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“ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITA’ DI BOLOGNA: SEDE DI BOLOGNA” SCUOLA DI SPEC.NE PER L’INSEGNAMENTO SECONDARIO INDIRIZZO: Fisico Informatico Matematico CLASSE: A049 SEDE: BOLOGNA Direttore della Scuola: Prof. Roberto Greci Direttore Sezione di Bologna: Prof. Antonio Genovese La matematica della parabola da un punto di vista storico-fisico TESI DI SPECIALIZZAZIONE Presentata dal Signor / Dott. Il Supervisore Massimiliano Bacchi Prof.ssa Sandra De Pietri Il Supervisore Prof. Davide Neri Relatore Chiar.mo Prof. Bruno D’Amore Anno accademico 2006/2007

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“ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITA’ DI BOLOGNA: SEDE DI BOLOGNA”

SCUOLA DI SPEC.NE PER L’INSEGNAMENTO SECONDARIO

INDIRIZZO: Fisico Informatico Matematico CLASSE: A049 SEDE: BOLOGNA

Direttore della Scuola: Prof. Roberto Greci Direttore Sezione di Bologna: Prof. Antonio Genovese

La matematica della parabola da

un punto di vista storico-fisico

TESI DI SPECIALIZZAZIONE

Presentata dal Signor / Dott. Il Supervisore Massimiliano Bacchi Prof.ssa Sandra De Pietri

Il Supervisore Prof. Davide Neri

Relatore Chiar.mo Prof.

Bruno D’Amore

Anno accademico 2006/2007

IndiceIntroduzione........................................................................................................ 3

Capitolo 1: Considerazioni sulla didattica della matematica ......................... 4

1.1 Finalità e metodologie della didattica della matematica .......................... 4

1.2 Strategie d’insegnamento.......................................................................... 10

Capitolo 2: Il progetto di tirocinio .................................................................... 17

Capitolo 3: La sperimentazione in classe ......................................................... 23

3.1 Approccio storico-epistemologico –

l’utilizzo di animazioni, Power Point e filmati ......................................... 23

3.2 Approccio fisico-sperimentale.................................................................. 27

3.3 Approccio geometrico – l’uso di filo e picchetto ..................................... 28

3.4 Approccio informatico – Derive............................................................... 29

3.5 Lavori di gruppo ....................................................................................... 30

Capitolo 4: Le verifiche e la valutazione .......................................................... 35

4.1 La verifica formativa ................................................................................ 35

4.2 La verifica sommativa .............................................................................. 36

4.2 La valutazione........................................................................................... 37

Capitolo 5: Conclusioni ...................................................................................... 41

Bibliografia.......................................................................................................... 43

Allegato 1............................................................................................................. 45

Allegato 2............................................................................................................. 47

Allegato 3............................................................................................................. 48

Allegato 4............................................................................................................. 50

Allegato 5............................................................................................................. 51

Allegato 6 ............................................................................................................. 52

Allegato 7............................................................................................................. 53

Progetto tirocinio ................................................................................................ 55

Progetto virtuale ................................................................................................. 79

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Introduzione

In questa tesi è riportata la sintesi e la valutazione sul mio periodo di tirocinio per la

classe di abilitazione A049 svolto presso la classe 3° A del Liceo Scientifico “A.Moro”

di Reggio Emilia, a conclusione del mio percorso formativo presso la S.S.I.S di

Bologna.

Questa tesi si suddivide in cinque capitoli, sette allegati e due progetti (quello reale e

quello virtuale).

Nel Capitolo 1 tratto temi riguardanti la didattica in generale e la didattica della

matematica in particolare.

Nel Capitolo 2 viene illustrato nel dettaglio il progetto di tirocinio.

Nel Capitolo 3 vi è la rivisitazione critica da un punto di vista didattico del progetto

di tirocinio applicato alla classe.

Nel Capitolo 4 sono descritte ed analizzate le verifiche svolte in classe e viene

effettuato un discorso critico sulla valutazione

Nel Capitolo 5 vi sono le considerazioni finali personali ed i ringraziamenti.

Negli Allegati sono raccolti vari materiali utilizzati durante le lezioni in classe e i

testi delle verifiche effettuate. Inoltre alla fine sono presenti i due progetti di tirocinio,

quello reale in matematica e quello virtuale in fisica.

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Capitolo 1

Considerazioni sulla didattica della matematica

Nulla egli sappia per averlo udito da voi, ma solo

per averlo compreso da sé: non impari la

scienza: la scopra. Se nella sua mente giungerete

a sostituire l’autorità alla ragione, non ragionerà

più; non sarà che lo zimbello dell’opinione altrui.

Jean-Jacques Rousseau, Émile ou de l’education

1.1 Finalità e metodologie della didattica della matematica

Dopo aver conseguito la Laurea in Fisica nel 2001 ho avuto da subito occasione di

svolgere diverse supplenze nelle scuole superiori della mia città. Se si escludono diversi

anni di lezioni private a singoli allievi, la mia esperienza di insegnamento dentro ad una

classe fino ad allora era limitata ai ricordi del periodo in cui, studente, frequentavo il

Liceo Scientifico ed ammiravo il modo in cui la mia insegnante riusciva e rendermi

chiari concetti che alla maggior parte dei miei compagni apparivano astratti e senza

collegamento con la realtà. Fu quindi per me naturale, una volta trovatomi dall’altra

parte della barricata, adottare quel metodo di insegnamento basato su rigorose

dimostrazioni fatte alla lavagna e applicazioni dei risultati trovati a diverse tipologie di

esercizi che tante volte avevo visto mettere in pratica tanti anni prima. Sarà forse stata

una mia innata capacità affabulatoria, o qualche altro fortunato evento, però sta di fatto

che ricevevo dagli studenti dei feedback positivi al mio modo di “istruire” (e il termine

non è stato scelto a caso).

Questi riscontri rinforzavano la mia autostima di insegnante; quando però qualche

allievo dimostrava invece difficoltà nella comprensione di un concetto per prima cosa

mettevo in dubbio la chiarezza delle mie spiegazioni, e mi riportavo alla lavagna per

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ripetere, usando parole ed esempi diversi da quelli utilizzati prima, l’elenco di “nozioni”

(altro termine non casuale) che erano appena state enunciate. Se le difficoltà

permanevano comunque, dopo un po’ scattavano in me l’idea che tutto ciò si doveva

imputare soprattutto ad una scarsa voglia di applicarsi da parte del ragazzo, oppure ad

un rifiuto a propri della matematica dovuto, probabilmente, ad un precedente docente

non sufficientemente capace. Mai, fino a quando non ho cominciato a frequentare i corsi

della S.S.I.S., avevo dubitato del mio tipo di didattica; per me era la cosa più naturale

mettere in pratica con i miei studenti quel modo di insegnare la matematica che con me

aveva avuto successo: “se ha funzionato nel mio caso non può non funzionare anche con

loro!”, pensavo.

Senza rendermene conto avevo assunto quella modalità di essere docente ben

sintetizzata da D’Amore (D’Amore, 1999) quando richiama la posizione di Gentile sulla

matematica nella scuola: “non esiste un problema della didattica della matematica;

l’insegnante deve fare null’altro che ripeterne i teoremi, e gli studenti apprenderli”.

Dette in maniera diversa, ma pur sempre efficacemente, le idee gentiliane di cui sopra si

ritrovano anche in: “i processi di formazione in matematica nell’ambito scolare hanno

mantenuto delle forme di insegnamento e di apprendimento che privilegiano la

memorizzazione non riflessiva dei concetti affrontati nell’aula, l’enfasi nella

meccanizzazione dei processi matematici, il trattamento delle nozioni matematiche in

forma isolata, la ripetizione di esercizi standard” (Bejarano Rodriguez, 2004).

Questo modo di intendere l’insegnamento è quello tipico della didattica della

matematica di tipo A (A qui sta per Ars), dove “lo sforzo del didatta è tutto teso a

trasformare un discorso specialistico (e dunque complesso in quanto si fa uso di un

linguaggio tecnico non naturale) in uno più comprensibile e più consono alla natura

dell’allievo. Il didatta di tipo A è sensibile all’allievo, lo pone al centro della sua

attenzione, ma la sua azione didattica non è sull’allievo bensì sull’argomento in gioco”

(D’Amore, 1999).

Uno dei punti problematici della didattica A è che in essa si tende a dare per scontato

che un allievo, una volta appreso un concetto in un determinato ambiente sarà in grado

di trasferire questa nuova conoscenza in ambienti diversi ed in modo completamente

spontaneo se si troverà in situazioni simili a quelle note: la pratica dimostra che ciò non

sempre accade, anzi spesso le capacità cognitive e procedurali permangono bloccate

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all’ambito in cui sono state apprese. Perciò operando esclusivamente sull’insegnamento

non vi è la certezza che avvenga in maniera efficacie e completa il cosiddetto “transfer

cognitivo” (Feldman, Toulmin, 1976).

Un insegnante che segue la didattica A è auspicabile che abbia capacità oratorie

spiccate, autorevolezza, esperienza maturata da anni di lavoro in classe, e che sia in

grado di creare ambienti stimolanti e di dare motivazione agli studenti. L’essere

insegnante è qui visto come una specie di vocazione; si tratta perciò di sviluppare

attraverso la pratica e l’esperienza sul campo una dote naturale innata. L’insegnante è

quindi teso a migliorare il suo modo personale di spiegare gli argomenti, ritenendo

quindi valida l’equazione che ad una migliore e più chiara esposizione di quest’ultimi

debba automaticamente corrispondere un migliore, più facile e duraturo apprendimento

da parte degli studenti. In questa metodologia al centro c’è perciò, come si accennava

prima, la fase di insegnamento, nella quale la didattica della matematica è intesa

esclusivamente come un’arte, un dono di natura che solo pochi possono vantarsi di

avere; di conseguenza la responsabilità dell’insegnamento non è condivisa fra istituzioni

e docente, ma è tutta sulle spalle dell’insegnante e delle sue qualità personali. Ancora

oggi, grazie alle graduatorie di istituto, appena conseguita la laurea ci si trova ad essere

insegnanti di matematica a tutti gli effetti e si viene “sbattuti in trincea” senza alcun

percorso di formazione specifico; si affronta l’esperienza di insegnamento contando

unicamente su se stessi, sulle proprie capacità personali e sui suggerimenti di alcuni

benevoli colleghi più anziani; e come il mio caso personale mostra, si applica l’unico

modo di insegnare che si conosce, ovvero quello visto mettere in pratica dai propri

professori quando si era ancora studenti liceali.

Purtroppo ancora molti docenti di estrazione sia scientifica che umanistica ritengono

che sia sufficiente il buon senso come strumento effettivamente utile all'insegnamento,

ritenendo inutile svolgere un percorso di aggiornamento e di studio relativamente al

campo della didattica, non interessandosi alle numerose ricerche che sono ora

disponibili su questo argomento, sia per quanto riguarda la didattica generale sia quella

disciplinare.

Invece entrare in contatto con la ricerca, come succede durante i corsi S.S.I.S. e come

è accaduto personalmente a me, inevitabilmente cambia la propria visione di

insegnamento; inoltre si impara ad essere più critici sia verso gli studenti, dei quali si

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comincia ad osservare con occhi diversi i comportamenti e a capirne più profondamente

i significati, ma soprattutto si impara ad essere più critici nei confronti di sé stessi e del

proprio modo di intervenire nelle classi, ridefinendo opportunamente le varie strategie

didattiche, adattandole al contesto della realtà scolastica nel quale si opera. In definitiva

si ridefinisce la propria idea di insegnamento e della disciplina stessa.

Quest’opera di destrutturazione e ricostruzione del concetto di didattica vede

secondo me un ottimo punto di partenza nell’affermazione di Hernandez: “La scuola

non è solo spazio di acquisizione di conoscenze, è uno spazio di formazione delle

competenze che si richiedono per la vita personale e collettiva […].La formazione in

vista di una società democratica richiede la formazione di competenze associate alla

costruzione collettiva di accordi” (Hernandez, 1999).

In quest’ottica si deve immaginare per l’insegnante un modo diverso da quello visto

precedentemente di rapportarsi allo studente: quest’ultimo diviene colui che deve

raggiungere competenza e non “semplice” conoscenza. Nella didattica della

matematica, in particolare, si parla di “competenza in matematica” e “competenza

matematica” (D’Amore & al., 2003), intendendo:

o competenza in matematica: si centra nella disciplina, riconosciuta come

scienza costituita, come oggetto proprio, determinato, di conoscenza.

L’allievo entra in contatto con saperi specifici, che la società ha annesso alle

competenze intese come fondamentali per permettere di entrare al suo

interno; si appropria di una parte di tali saperi, tanto formalmente quanto

informalmente.

o competenza matematica: viene riconosciuta agli individui che vedono,

interpretano e si comportano nel mondo in un senso matematico. Il piacere e

la valorizzazione della matematica permettono di orientare più facilmente il

raggiungimento della competenza matematica. Ciò implica la capacità e la

disponibilità a osservare il mondo in modo matematico; poiché tutto questo

non si apprende spontaneamente in modo implicito, è necessario

immaginare come parte del curricolo di uno studente proprio questo

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processo di insegnamento–apprendimento specificamente rivolto a “saper

vedere matematicamente” il mondo.

Quindi se l'obiettivo è quello di costruire una nuova didattica che anela ad andare

oltre la semplice costruzione della conoscenza mirando invece ad un “uso” della

conoscenza (ovvero una competenza), allora assume grande importanza la sfera

affettiva tanto degli allievi, da cui nasce la motivazione, quanto dell'insegnante, che

deve far trasparire agli alunni l'amore per la disciplina.

Per costruire conoscenze-competenze è necessario il passaggio dalla motivazione alla

volizione da parte degli studenti: "[…] la competenza racchiude in sé come oggetto non

solo le conoscenze chiamate in causa, ma fattori metaconoscitivi: l'accettazione dello

stimolo a farne uso, il desiderio di farlo, il desiderio di completare le conoscenze che si

rivelassero, alla prova dei fatti, insufficienti e dunque lo stesso desiderio di aumentare la

propria competenza" (D'Amore, 2000).

Va da sé che, se il nostro desiderio è giustamente quello di creare una nuova

didattica, diviene profondamente necessario giungere ad una svolta (“una vera e propria

rivoluzione della quale appena si intravedono contorni e limiti” (D’Amore e al., 2003)),

se non addirittura ad una chiusura, rispetto all’insegnamento tradizionale della

matematica “ [...] proprio perché basato sulla pretesa di dimostrazione di verità

incontestabili, non solo è fallace dal punto di vista logico, ma è dannoso in

una prospettiva educativa più generale, dato che spinge al dogmatismo e alla

rigidità mentale, invece che all’apertura critica e al dubbio sistematico” (Tarsitani,

1997).

E’ perciò da abbandonare l’idea che il potere formativo della matematica sia fondato

sul semplice far di conto, sull’applicazione meccanica, ripetitiva ed acritica di algoritmi

e procedure risolutive. L’impostazione gentiliana, già prima discussa, che solo il

ripetere la disciplina, nella lingua, nei modi e nelle forme ritenute peculiari possa essere

l’unico viatico all’apprendimento (ancor oggi, purtroppo, convinzione di molti!) ha

dimostrato tutta la sua fallacità. Non è più accettabile che in quell’ottica valga l’idea

che, adattando le parole di D’Amore (D’Amore 1999), chi per una forma misteriosa…di

osmosi, apprenda bene, può ritenersi fortunato; chi non abbia appreso, dà probabilmente

semplicemente di sé l’idea di non avere il famoso ”bernoccolo” per la matematica.

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La didattica deve quindi spostare il suo sguardo dal processo di insegnamento a

quello di apprendimento dell'allievo ed ai processi che portano alla conoscenza, ed ha

proprio l’apprendimento come suo fine ultimo; è su di esso che si indirizzano tutti gli

sforzi del didatta, le sue riflessioni, le sue ricerche sul campo. Quelli appena enunciati

sono i caratteri distintivi su cui poggia la didattica B: “se si effettuano prove empiriche,

con opportuni e ben studiati dispositivi sperimentali, sui risultati cognitivi ottenuti con

attività di tipo A, allora si passa alla ricerca considerata sperimentale, si entra nel campo

dell’epistemologia dell’apprendimento, cioè si passa al punto che contraddistingue la

tipologia B” (D’Amore, 1999).

Se durante la nostra opera di insegnanti non ci accade neanche una volta che uno

studente dica la classica frase “ma prof, a cosa mi servirà tutta questa matematica nella

mia vita?”, possiamo dire di aver raggiunto con successo il nostro scopo di educatori

alla matematica. Questo importante risultato può essere ottenuto solo se siamo in grado

di stimolare la curiosità nei giovani, provocando in loro il gusto della discussione e del

dubbio, facendo vedere loro da quali aspetti della realtà la costruzione dell’edificio

matematico prende le mosse, mostrando cosa effettivamente la matematica conosce e

quale sia la natura che si può attribuire agli oggetti matematici. Solo seguendo questo

percorso educativo irto di difficoltà ed enormemente faticoso, ma estremamente

proficuo, e non invece adagiandoci sulle comodità rappresentate dal mettere in pratica

in maniera sterile e pedissequa i classici programmi ministeriali, possiamo pensare di

aprire la mente degli studenti al fascino ed al mistero della matematica come

incomparabile avventura dell’intelletto umano.

Uno dei punti fondamentali di questo diverso approccio alla materia è trovare e

mostrare agli studenti il collegamento con il quotidiano e l’analisi storico-

epistemologica dei vari argomenti che vengono affrontati in classe. “Tutti noi siamo

stati allevati nell’idea che le discipline scientifiche, ed in particolare la matematica e la

fisica, richiedano una presentazione rigorosamente concatenata sulla base di rigide

propedeuticità e questa non è certo un’abitudine cui sia facile rinunciare. Siamo però

abbastanza consapevoli che questa concatenazione è frequentemente il risultato di una

sistemazione a posteriori, accettata per consuetudine, rassicurante per gli insegnanti;

troppo spesso, però, essa ignora la complessità dei fenomeni analizzati, le motivazioni

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che hanno spinto il ricercatore, la ricchezza della fase della scoperta” (Grimellini &

Segrè).

I ragazzi perciò devono sentire che dietro ad una legge, ad un teorema, ad un nuovo

ente matematico ci sono, con la loro umanità e la loro storia, uomini e donne che nei

secoli passati si sono posti domande molto concrete ed hanno cercato soluzioni e

spiegazioni ad esigenze quotidiane profondamente tangibili; ed inoltre va loro mostrato

che questo lavoro impegnativo ha prodotto ricadute pratiche delle quali loro stessi,

spesso inconsapevolmente, provano giornalmente i benefici.

La comune rappresentazione mentale della matematica come di qualcosa di

completamente distaccato dalla realtà spaziale e temporale della nostra società è il

principale preconcetto che deve essere combattuto; l’idea che sia un ente assoluto non

collocabile storicamente e temporalmente nella vita e nell’evoluzione del genere umano

è da sostituire con quella che vede la matematica come qualcosa di molto più quotidiano

e a noi vicino di quanto si creda. “Occorre sfatare il mito che la matematica sia un

prodotto stantio eterno atemporale, ma bisogna dare invece la certezza che si tratta di

una disciplina in continua evoluzione, anche ricorrendo alla sua storia, il che ha un

fascino notevole sulla maggior parte degli studenti e restituisce alla matematica quella

umanità altrimenti perduta” (Fandiño Pinilla, 2002).

Se il ragazzo sente che attraverso l’apprendimento della matematica permette alla

propria mente di sviluppare facoltà intuitive e logiche, di incrementarne le capacità di

astrazione e di formazione dei concetti, di esercitare il ragionamento induttivo e

deduttivo, di accrescere la capacità di sintesi e di risoluzione di problemi grazie a

ragionamenti coerenti, di esercitare l’utilizzo di un linguaggio appropriato e preciso,

forse avrà trovato ciò che spesso invece manca nei giovani studenti: il gusto dello studio

di una materia difficile ma allo stesso tempo affascinante. E noi come insegnanti

avremo fatto bene il nostro lavoro.

1.2 Strategie d’insegnamento

Affinché per uno studente la scuola sia un’esperienza sentita in modo pieno e

consapevole, e vissuta con un ruolo di soggetto, bisogna cercare un appoggio nella

didattica della matematica non per risolvere un problema di insegnamento, ma per

indagare sull’epistemologia dell’apprendimento (D’Amore, Fandiño Pinilla, 2001). Solo

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all’interno di una riflessione sull’attività di pensiero umano e soprattutto sul significato

che esso riveste per noi, diventa infatti possibile assicurare un posto significativo

all’allievo nel triangolo insegnante-allievo-sapere.

Infatti le più consolidate teorie sulla didattica della matematica mettono in mostra

come per poter pianificare una strategia di intervento non si possa prescindere dal

cosiddetto Triangolo di Chevallard, rappresentabile con ai suoi vertici i tre poli del

processo di apprendimento: insegnante, allievo e sapere. Questa rappresentazione

schematica va vista “come una semplice allusione a tre soggetti (enti, poli, idee) che

entrano (qualche volta fisicamente, qualche volta metaforicamente) in contatto fra loro

al momento dell’azione didattica” (D’Amore, 1999).

Molto delicato diviene quindi il ruolo dell’insegnante, in quanto egli deve attuare una

trasposizione didattica dal sapere matematico, (che Chevallard chiama savoir savant

che proviene dalla ricerca), al sapere da insegnare (savoir en enseignant) esposto nei

programmi e nei curricoli, fino al sapere insegnato (savoir enseigne), ovvero quello

della pratica in aula. Per fare questo il docente non può non tenere in giusta

considerazione il sistema didattico e l’ambiente sociale e culturale (cioè la noosfera) nel

quale deve operare, oltre alla tipicità e singolarità dei propri allievi.

Questo discorso può essere sintetizzato citando D’Amore (D’Amore, 1999) quando

afferma: “La trasposizione didattica consisterebbe allora [...] nel costruire le proprie

lezioni attingendo dalla fonte dei saperi, tenendo conto delle orientazioni fornite dalle

istruzioni e dai programmi (sapere insegnare), per adattarli alla propria classe: livello

degli allievi, obiettivi perseguiti. La trasposizione didattica consiste nell’estrarre un

elemento del sapere dal suo contesto (universitario, sociale, eccetera) per

ricontestualizzarlo nel contesto sempre singolare, sempre unico, della propria classe”.

Quindi l’insegnante deve modulare il proprio intervento soppesando vari elementi e

rendendo quindi il proprio agire unico e irripetibile in altre situazioni didattiche. Ciò

comporta che non sia più accettabile il ruolo del docente come semplice esecutore di

direttive vincolanti provenienti dal Ministero (i famosi-famigerati programmi

ministeriali che fissavano “cosa” insegnare, “quando” farlo e “come” realizzarlo); non

vi sono contenuti irrinunciabili della disciplina che ad ogni costo devono essere (magari

male e di corsa!) affrontati, pena la squalifica di tutto il lavoro fatto dal docente. Ogni

insegnante ha le sue convinzioni, i suoi metodi e le sue strategie, apprese ed affinate

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attraverso l’esperienza, ed ha il diritto di sperimentare, ricercare, migliorare i propri

metodi, nella consapevolezza che sarà egli stesso direttamente responsabile di tutto ciò.

L’insegnamento è un’arte e, come tale, deve essere libera.

Uno dei punti più deboli dell’insegnamento della matematica, è il disinteresse e la

noia che pervade gli studenti durante le ore di lezione. Come già affermato

precedentemente, è necessario abbattere l’idea di una disciplina puramente mnemonica,

avulsa dal mondo reale e caratterizzata da una ripetitività d’aula che provoca il rifiuto

degli studenti a qualunque tipo di applicazione allo studio, se non finalizzato al voto e

non alla conoscenza.

In generale l’insegnamento scientifico nei giovani deve quindi puntare allo sviluppo

di basi razionali su cui fondare un cambiamento concettuale e ciò implica spesso forti

resistenze da parte degli studenti. Le anomalie possono aiutare molto in questo tentativo

educativo; esse forniscono una sorta di conflitto cognitivo che prepara lo studente ad un

accomodamento delle proprie idee e quindi ad un cambiamento. Ma solo se lo studente

ha a disposizione dei modelli di giudizio e ragionamento scientifico validi tutto ciò si

potrà ottenere. Il rischio è che in mancanza di ciò una nuova teoria venga accettata solo

perché “lo dice il libro o il prof.”. Come può allora il docente aiutare gli studenti ad

accettare questi nuovi concetti? Può farlo puntando sia sugli obiettivi curriculari, sia sui

contenuti.

Per quanto riguarda i primi bisogna mirare a sviluppare negli studenti:

o Una consapevolezza delle proprie assunzioni personali e di quelle contenute

nella teoria scientifica;

o Una richiesta di coerenza delle proprie opinioni sul mondo;

o Una consapevolezza delle fondamenta storico-epistemologiche delle scienza

moderna;

o Un senso di fruttuosità dei nuovi concetti.

Se vogliamo sviluppare un cambiamento concettuale con basi razionali negli

studenti, i contenuti dei corsi scientifici devono essere tali da rendere le teorie

scientifiche intelligibili, plausibili e potenzialmente fruttuose. In quest’ottica bisogna:

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o Dare più enfasi ai contenuti piuttosto che alla loro “copertina”;

o Includere “anomalie retrospettive”;

o Utilizzare ogni metafora, modello e analogia che renda più chiari e

plausibili i nuovi concetti.

Per quanto riguarda la matematica in particolare alcuni modi di intervento volti ad

aumentare la motivazione degli studenti possono essere:

o Inquadrare sotto un profilo storico ed epistemologico i vari argomenti. La

matematica non è sempre esistita, è frutto di lavoro, di studio ed è derivata

da esigenze dell’uomo;

o Collegare gli argomenti trattati a contesti di attualità e di realtà. Connetterli

con altre discipline. La matematica è vista troppo spesso come materia a sé

stante, che esiste solo in aula durante le lezioni e che non sarà più di alcuna

utilità una volta conseguito il titolo di studio;

o Utilizzare altre tecnologie, non solo la classica lavagna e il gesso.

L’informatica soprattutto può essere di grande aiuto e permette di

risparmiare tempo e fatica nei calcoli e concentrarsi sull’interpretazione di

fenomeni, sull’analisi dei risultati, sicuramente attività più interessanti,

stimolanti e varie.

L’utilizzo di anomalie per stimolare un cambiamento, cui si accennava prima,

possono essere un cardine di una delle principali azioni che un docente può mettere in

pratica in un’azione didattica efficace: la rottura del contratto didattico. Si tratta,

secondo la definizione data da Brousseau (citato in D’Amore, 1999), dell’“insieme dei

comportamenti dell’insegnante che sono attesi dall’allievo e l’insieme dei

comportamenti dell’allievo che sono attesi dall’insegnante”. In pratica non è che

quell’insieme di norme che regolano le relazioni tra gli argomenti trattati, l’insegnante,

gli studenti e le loro attese; per la matematica in particolare si tratta di un processo in

cui l’allievo è consapevole di dover acquisire determinate nozioni, che rientrano

nell’istituzionalizzato sapere scolastico, e che lo porterà, giunto al momento di dover

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dare risposte, non a porsi domande sul contenuto ma a cosa l’insegnante si aspetta che

egli faccia o risponda.

Si tratta quindi di puntare su una continua rottura di tale contratto, facendo in modo

che sia lo studente stesso a farsi carico dell’apprendimento (“consegna di

responsabilità”), costruendo egli stesso la conoscenza (“devoluzione”). “Si può dire che

l’allievo costruisce la conoscenza solo se si interessa personalmente del problema della

risoluzione di quanto gli è stato proposto attraverso la situazione didattica: in tal caso si

usa dire che si è raggiunta la devoluzione da parte dell’allievo” (D’Amore, 1999). E

questo si può raggiungere solamente, come accennato precedentemente, attraverso la

continua frattura del contratto didattico, in modo che gli studenti non siano in grado di

identificare le aspettative dell’insegnante adeguando il loro comportamento di

conseguenza, ma siano implicati direttamente nel processo di apprendimento.

Per raggiungere tale scopo si può pensare di mettere in pratica situazioni a-

didattiche, nelle quali gli studenti affrontano attività che li coinvolgono senza essere a

conoscenza delle finalità cognitive che l’insegnante si ripromette di raggiungere.

Verranno quindi presentate delle situazioni problematiche che essi dovranno affrontare

tentando diverse vie risolutive, vagliando le possibili alternative e le conseguenze,

formalizzando conclusioni che saranno successivamente discusse con il resto della

classe; durante questi confronti lo studente dovrà argomentare e difendere le proprie

scelte e tentare di smontare, grazie all’utilizzo di controesempi, le posizioni altrui

diverse dalle sue. Il ruolo dell’insegnante in questo tipo di attività non sarà quello di

charificatore di idee e presentatore di informazioni, ma dovrebbe invece diventare per i

ragazzi sia un avversario in senso socratico, ovvero con la funzione di stimolo, di

mediazione, di verifica del processo di apprendimento; sia un modello di pensiero

scientifico, quando si assumerà il compito di istituzionalizzare le conoscenze

conquistate durante l’attività d’aula.

Questo tipo di approccio metodologico alla didattica richiede sicuramente un

maggior investimento in termini di tempo, con una conseguente riduzione della quantità

del lavoro eseguito, ma con un netto guadagno della qualità dell’apprendimento e del

coinvolgimento degli studenti.

Si tratta sicuramente di un prezzo che si paga volentieri poiché “occorre sviluppare

nello studente, come fine ultimo dell’educazione, il gusto a far uso delle proprie

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competenze, ad implicarsi nel processo di costruzione della propria conoscenza, del

proprio sapere, della propria educazione, ad accettare la devoluzione“ (D’Amore e al.,

2003).

Per raggiungere questo obiettivo può allora convenire focalizzare l’intervento

tramite attività a-didattiche sui cosiddetti nuclei fondanti della materia, cioè i contenuti

chiave della stessa disciplina matematica.

In questo modello di strategia d’insegnamento saranno importanti alcuni aspetti:

o In un’ottica costruttivista della matematica, si deve seguire un processo a

spirale nella costruzione dell’apprendimento, nel quale i vari punti vengono

affrontati più volte durante il percorso scolastico e dove i modelli intuitivi

degli alunni vengono via via accomodati, per giungere ad un modello di

concetto matematico vero e proprio: “ogni questione importante viene

studiata più volte, ed ogni volta ne vengono scoperte nuove facce, la si

elabora approfonditamente” (Grugnetti, Villani, 1999);

o L’insegnante deve sempre avere il polso della situazione della classe,

ovvero un continuo monitoraggio delle conoscenze e delle competenze dei

singoli alunni. Il feedback è un ausilio fondamentale per il docente, in

quanto permette di perseguire l’individualizzazione dell’insegnamento e la

temporalizzazione della propria azione didattica;

o Sempre nell’ottica di interventi sempre più indirizzati e misurati sui singoli

studenti, vi è la possibilità di utilizzare diversi registri di rappresentazione

di uno stesso concetto (conversione) e di più rappresentazioni all’interno

dello stesso registro (trattamento). In questo senso possono venire in aiuto

software matematici, soprattutto di tipo tabulare e grafico, che possono

permettere allo studente di concentrarsi maggiormente sulla lettura del

grafico piuttosto che sulla sua costruzione; anche l’utilizzo di supporti

video, in particolare quando si crea un ponte interdisciplinare con altre

materie, per esempio con la Fisica, possono consentire di portare

maggiormente l’attenzione sui nuclei fondanti del tema in esame;

o L’atteggiamento entusiasta dell’insegnante nei confronti della materia mette

in gioco anche la sfera affettiva del rapporto docente-allievo. Il rapporto

15

asimmetrico fra questi due vertici del triangolo di Chevallard deve essere

improntato alla chiarezza ed al rispetto dei ruoli, sempre però con l’intento

di una collaborazione la più ampia possibile. Mettendo in primo piano

l’attenzione per i processi di apprendimento degli studenti (didattica B),

l’insegnante può stimolare gli allievi a coinvolgersi in prima persona nella

costruzione della propria conoscenza;

o L’utilizzo dei lavori di gruppo permette ai ragazzi di effettuare un confronto

diretto ed informale con propri pari, stimolando una riflessione sulle

strategie risolutive delle anomalie adottate da se e dagli altri. L’insegnante

avrà una funzione di supervisore e potrà ottenere molte informazioni sul

livello di apprendimento generale e dei singoli individui, oltre che sulle

dinamiche interpersonali presenti nel gruppo-classe;

o Organizzare le lezioni in modo che una buona parte del tempo sia dedicata

alla discussione degli errori degli studenti. L’insegnante deve analizzare a

fondo l’errore per capire se si tratta di misconcezioni o comunque conflitti

cognitivi. L’errore deve essere inteso non come un fallimento

insormontabile, ma come un’opportunità per riorganizzare e riorientare le

proprie attività di studio; quindi non deve assumere una connotazione

puramente negativa, ma essere uno strumento per un’elaborazione critica da

parte dello studente stesso: “Dare agli errori una sola connotazione negativa

[…] è troppo semplicistico e banale; si tratta, invece, di dare agli studenti gli

strumenti necessari per l’elaborazione critica” (D’Amore, 1999).

16

Capitolo 2

Il progetto di tirocinio

La mia attività di tirocinante si è svolta nella classe 3°A del Liceo Scientifico “Aldo

Moro”, di Reggio Emilia, un istituto dotato di laboratori scientifici (Fisica, Informatica)

e di una biblioteca molto fornita ed attiva. Inoltre vi era la possibilità di avere a

disposizione due video proiettori con annessi computer portatili, importante opportunità

da me considerata in fase di stesura del progetto di tirocinio e poi messa in atto durante

la fase attiva, e diverse lavagne luminose, anch’esse rivelatesi molto utili.

La classe presso la quale si è svolto il mio intervento è inserita nel cosiddetto

“Triennio Autonomia Scientifico”. Nell’ambito di questa tipologia di corso si

inseriscono due ore settimanali, su un monte ore di sette, di codocenza: una con

l’insegnante di filosofia ed una con il collega di fisica. Il gruppo-classe è composto da

25 allievi, di cui 6 maschi e 19 femmine; sei alunni avevano acquisito il debito

formativo nell’anno scolastico precedente, da tutti saldato nelle prove deputate a tale

scopo.

Negli incontri preliminari con la Tutor Prof.ssa Giuseppina Maria Currò e il

Supervisore Prof.ssa Sandra De Pietri si è valutato quale tema avrei dovuto affrontare in

classe e a quale punto della programmazione individuale progettata dal docente, e

conseguentemente in quale periodo dell’anno scolastico, sarebbe stato opportuno

inserire la parte attiva del mio tirocinio. Abbiamo insieme concordato che l’argomento

più interessante da sviluppare, vista anche la mia precisa intenzione di inserire

collegamenti fra la matematica, la fisica e la storia delle scienze e della tecnologia,

sarebbe stata la parabola. L’inizio del mio intervento quindi è stato previsto verso fine

febbraio, una volta che la Tutor avesse esaurito la circonferenza; visti i miei impegni

precedenti presso la Scuola Media Sacro Cuore di Cesena come insegnante di Scienze

nelle giornate di lunedì e giovedì, si è scelto di concentrare la mia attività di tirocinio in

quattro ore settimanali, e più precisamente nelle giornate di martedì e mercoledì (un’ora

ogni giorno) e venerdì (due ore). Nell’unica ora restante non dedicata alla compresenza

17

nella quale non potevo essere presente, la Tutor avrebbe svolto attività di interrogazione

e di correzione di esercizi assegnati a casa.

Durante la parte osservativa del mio tirocinio ho notato un atteggiamento da parte dei

ragazzi che, se in un primo momento poteva apparire attento e partecipe, in realtà ad

una più approfondita valutazione emergeva essere, per buona parte di loro, una forma di

passività nei confronti della materia, la quale porta ad un atteggiamento apparentemente

tranquillo e interessato ma che in realtà nasconde una certa abulia rispetto alla

matematica.

Vivendo all’interno della classe in disparte per alcune settimane ho notato come

gran parte degli alunni passino il tempo a copiare pedissequamente tutto ciò che viene

scritto alla lavagna dall’insegnante o dai propri compagni che via via si alternano a

risolvere esercizi o ad eseguire dimostrazioni durante le interrogazioni, senza una

spiccata e positiva partecipazione attiva e critica verso quello che viene fatto. A parte

alcuni ragazzi, sempre gli stessi due o tre, i quali, durante la risoluzione pubblica di

problemi, intervengono per sottolineare incongruenze poste in essere dal proprio

compagno interrogato in quel momento o per suggerire vie alternative a quella proposta

nella ricerca della soluzione al quesito posto, la maggior parte della classe

semplicemente prende nota di ciò che viene scritto e detto rimandando, come da loro

confidatomi, ad una successiva analisi da effettuare a casa durante le ore di studio o di

ripetizioni private i contenuti degli argomenti trattati a scuola. L’atteggiamento di

apparente attenzione a ciò che accade alla lavagna, è dovuto, a mio avviso a diversi

fattori, ma non sottovaluterei il fatto che le generazioni attuali di studenti vivono in una

società che li “bombarda” di immagini in ogni occasione e che da invece poco peso alle

parole ed ai concetti. La scuola deve quindi adattarsi ad usare questi canali di

comunicazione se vuole raggiungere le menti e i cuori dei ragazzi; l’uso classico del

gesso e della lavagna, sempre molto importante per diversi aspetti, deve però

cominciare a lasciare più spazio ad altri registri comunicativi più vicini alla sensibilità

dei giovani; ciò comporta un maggior sforzo da parte degli insegnanti in fase di

preparazione della lezione, ma sono convinto che in questo modo si vedranno alunni più

attenti ai messaggi che si inviano loro invece che concentrati in un’opera di veloce

copiatura di ciò che è scritto sulla lavagna prestando attenzione ai simboli più che hai

contenuti che essi esprimono.

18

Poiché la Tutor ha in carico la classe solo da quest’anno scolastico, si riscontra una

certa soggezione in generale degli studenti, soprattutto nel gruppo delle ragazze, nei

confronti del nuovo docente, e solitamente, se per esempio l’insegnante ha pulito troppo

rapidamente la lavagna o se qualche sua parola non è stata ben compresa, non chiedono

di non cancellare così rapidamente o di ripetere ciò che non è stato capito, ma si

limitano a sbuffare ed a lamentarsi a voce bassa fra loro.

L’impressione è stata perciò quella di una classe che “sopporta” la materia e che vi si

applica solo in funzione del “risultato finale sulla pagella”. Purtroppo sembra mancare

per la maggior parte dei componenti di questo gruppo di studenti quel sacro fuoco del

desiderio di apprendere e capire una disciplina ricca di risvolti ed implicazioni come la

matematica. Da parte di molti di loro la matematica viene sentita come una materia

arida, fatta solo di numeri e formule da imparare a memoria, senza un collegamento con

la realtà e la quotidianità.

Questa mia riflessione è stata più volte condivisa dalla stessa Tutor, la quale mi ha

sempre illustrato la classe come di livello medio, con alcune discrete ma non eccelse

individualità che si possono ritrovare più nella minoranza maschile che nella

maggioranza femminile, e formata da ragazzi interessati fondamentalmente ad assolvere

il proprio “ruolo istituzionale” di studenti. Infatti ciò che traspare, e che rattrista

maggiormente, è che la finalità ultima degli alunni sia semplicemente quella

dell’ottenimento di un voto adeguato alle loro aspettative piuttosto che l’appagamento

di una “curiosità intellettuale”.

Lo stile di insegnamento della Tutor è fondamentalmente basato su un approccio

classico con scansione modulare dei contenuti: il nucleo della modalità d’intervento

didattico è formato da lezioni frontali, nelle quali l’insegnante presenta i nuovi

argomenti alla lavagna con puntuali dimostrazioni e definizioni, e risoluzioni di esercizi

relativi al tema in esame. La parte teorica di un determinato argomento viene sviluppata

in piccoli segmenti durante un certo lasso di tempo; fra essi trovano spazio

interrogazioni nelle quali i ragazzi devono affrontare fondamentalmente la risoluzione

di problemi proposti precedentemente come lavoro da fare a casa. L’attenzione della

Tutor è principalmente rivolta al ragazzo chiamato alla lavagna ma, grazie a domande

tipo “botta e risposta” rivolte agli studenti al posto, anche a mantenere viva la loro

capacità attentava e la loro concentrazione.

19

Le verifiche scritte in classe si basano sull’affrontare problemi che abbracciano tutti i

temi toccati fino a quel momento relativi all’argomento specifico in esame; a volte però

gli studenti meno dotati hanno trovato un ostacolo nel numero dei quesiti, incontrando

difficoltà nel portare a termine tutta la prova.

Il testo in adozione è “Moduli di lineamenti di matematica - Modulo B: geometria

analitica del piano cartesiano”, di Dodero, Baroncini e Manfredi edito dalla Ghisetti e

Corvi Editori. Esso viene usato essenzialmente come eserciziario. Le spiegazioni e la

parte teorica dell’argomento sono svolte fondamentalmente alla lavagna da parte

dell’insegnante. La tutor ha anche utilizzato fotocopie di altri testi scolastici per

integrare le varie tipologie di esercizi e problemi presenti nel testo a disposizione dei

ragazzi.

Prima del mio intervento attivo nell’ambito del tirocinio la classe avrebbe dovuto

aver acquisito una serie di competenze e di conoscenze per rendere possibile l’affrontare

gli obiettivi specifici preventivati nel mio progetto. Tal prerequisiti possono così essere

riassunti:

o Insiemi numerici:

Saper applicare le regole delle operazioni nei vari insiemi numerici.

o Piano cartesiano:

Avere acquisito il concetto di luogo geometrico;

Saper calcolare la distanza tra due punti del piano;

Saper rappresentare una retta sul piano cartesiano:

saperne riconoscere ed applicare l’equazione generale

saperne riconoscere ed applicare i relativi significati geometrici

del coefficiente angolare e del termine noto.

o Equazioni:

Riconoscere e saper risolvere equazioni di primo grado;

Riconoscere e saper risolvere algebricamente equazioni di secondo

grado ad una incognita.

o Funzioni:

Aver acquisito il concetto di funzione, in particolare di funzione

matematica e saperla interpretare correttamente sul piano cartesiano.

20

o Sistemi:

Riconoscere e saper risolvere con metodi di opportuni sistemi di

equazioni di primo e secondo grado.

La scelta del tema del mio tirocinio è stata indubbiamente influenzata dalla mia

Laurea in Fisica; negli incontri preliminari con la Tutor ed il Supervisore si era pensato

di poter sfruttare al meglio questa mia specifica preparazione per creare un ponte

didattico-culturale fra la matematica e la fisica; vi era cioè la volontà di avere come

obiettivo primario lo studio di tale conica utilizzando più registri e punti di vista: oltre a

quello matematico più formale, quello storico-epistemologico, quello fisico e quello

tecnologico con le sue applicazioni alla vita quotidiana.

Alla base del mi progetto vi era quindi l’utilizzo di mezzi multimediali - oltre a

quello classico della lavagna, della carta e della matita – come filmati di didattica della

fisica tratti dalla raccolta del PSSC, softwear specifici come Derive, documenti di

carattere matematico-storico tratti dal web e l’uso del laboratorio di fisica per un

esperimento sul moto accelerato. Ciò è stato possibile solo in parte per diversi motivi: la

non disponibilità dell’aula di informatica nei giorni da noi richiesti ha consentito solo un

uso dimostrativo in classe delle potenzialità di Derive; l’utilizzo del laboratorio di fisica

e dei filmati didattici è stato limitato alla parte introduttiva del mio intervento in quanto

la mole di lavoro “classico” (lezioni frontali con uso della lavagna) stabilito insieme alla

Tutor in fase di definizione del progetto è stata superiore al previsto e perciò i tempi per

l’utilizzo di registri diversi si sono molto ridotti. In alternativa ho quindi ripiegato, in

alcuni momenti, sull’uso della lavagna luminosa e di fotocopie distribuite ai ragazzi per

presentare loro risoluzioni di problemi e nuove situazioni di studio, evitando così di

perdere troppo tempo scrivendo ogni cosa sul momento.

Gli obiettivi specifici delineati nel progetto sono stati raggiunti tutti, a parte la

risoluzione di disequazioni di 2° grado utilizzando una parabola. In itinere è stato però

deciso di aggiungere lo studio delle parabole con asse parallelo alle ascisse ed una prova

intermedia di valutazione sulla conoscenza dell’argomento da parte della classe. Le

conoscenze disciplinari raggiunte riguardanti il tema del progetto sono state quindi:

21

o Sapere rappresentare ed interpretare le caratteristiche grafiche delle funzioni

di 2° grado complete, comprendendo la rilevanza geometrica dei suoi

parametri;

o Sapere riconoscere la parabola e le sue caratteristiche geometriche;

o Sapere interpretare geometricamente le soluzioni di un’equazione di 2°

grado;

o Sapere interpretare le posizioni reciproche di rette e parabole sul piano

cartesiano;

o Essere in grado di determinare l’equazione di una parabola con l’asse

parallelo alle ordinate (alle ascisse), dati tre punti o altre condizioni

sufficienti;

o Essere in grado di determinate equazioni di rette tangenti ad una parabola

passanti per un punto;

o Essere in grado di determinare l’equazione di un fascio di parabole;

In definitiva il raggiungimento di tali obiettivi attraverso una metodologia meno

classica che punti allo sviluppo negli studenti di un “pensiero funzionale” si è realizzato

solo in parte; ma quando ciò è stato possibile si è potuto osservare che l’utilizzo di vari

registri interpretativi di una stessa situazione ha potuto creare nei ragazzi un processo di

integrazione di conoscenze. Questo deve diventare un’attitudine mentale degli studenti

durante tutto il percorso scolastico, in modo che le tecniche matematiche apprese non

siano oggetto di pura applicazione meccanica ma frutto di una riflessione sui significati

nei diversi contesti affrontati.

Si è quindi potuto verificare che l’utilizzo di supporti informatici dedicati e di link ad

altre discipline non solo scientifiche, per non parlare dei collegamenti con la

quotidianità, sono stati i punti qualificanti di questo progetto.

Capitolo 3

La sperimentazione in classe

22

In questa sezione della mia tesi finale ho valutato più proficuo riportare non un

semplice “diario” dell’attività svolta in classe, ma di concentrare gli sforzi sulla

descrizione e la valutazione dell’utilizzo fatto dei diversi registri durante la fase attiva

del mio progetto (già presentati a grandi linee nel capitolo precedente). Verranno quindi

evidenziati e più approfonditamente analizzati quei momenti nei quali ai ragazzi è stata

proposta una matematica fatta non solo di gesso, lavagna e lezione frontale, ma basata

su software, filmati, esperimenti in laboratorio ed esperimenti mentali, lavori di gruppo

collaborativi, simulazioni computerizzate, notazioni storico-epistemologiche.

Come precedentemente annotato la classica lezione frontale, per esigenze legate allo

svolgimento del programma, ha avuto percentualmente una parte rilevante, e ne verrà

dato conto in maniera sintetica durante l’esposizione. Però, ritenendo peculiari e

qualificativi di questo progetto l’utilizzo di “altri” registri e le reazioni degli studenti al

loro impiego, è su questi che ci concentreremo ora.

Prima però un’annotazione di tipo metodologico: avendo seguito nei mesi di

osservazione della classe in modo assiduo le lezioni della Tutor, nelle quali

quotidianamente vi era una verifica del livello di apprendimento dei ragazzi tramite

interrogazioni alla lavagna o prove scritte, ho valutato, insieme alla docente, che non

fosse necessario proporre una prova valutativa informale dei prerequisiti degli studenti.

Il vivere con la classe il periodo nel quale sia i temi relativi alla retta che quelli attinenti

alla circonferenza venivano affrontati, e vedendo direttamente il grado di preparazione

degli studenti e valutandolo, insieme alla Tutor, più che sufficiente, ci ha convinti di

questa scelta e di affrontare direttamente l’argomento della parabola.

3.1 Approccio storico-epistemologico – l’utilizzo di animazioni, Power Point e filmati

Nel mio primo incontro con la classe non più nel ruolo di osservatore silenzioso

seduto in fondo all’aula ma di docente attivo, ho inizialmente presentato ai ragazzi a

grandi linee quello che saremo andati a fare insieme nelle settimane da lì a venire: in

primo luogo quale argomento avremo trattato ma soprattutto con quali metodologie, per

loro in parte nuove, avremo fatto tutto ciò . Ritengo che rendere partecipi gli studenti di

23

quelli che sono gli obiettivi che il docente vuole raggiungere insieme a loro li faccia

sentire co-protagonisti e non semplici comparse di un progetto didattico, all’interno del

quale loro stessi devono assumere un ruolo attivo e responsabile. La condivisione di una

meta da parte di un gruppo, contrariamente al semplice “subire” da parte della

maggioranza le scelte fatte da un leader, a mio avviso crea i presupposti per un più

facile successo.

Come delineato nel progetto di tirocinio e ribadito precedentemente in queste pagine

sia nel primo che nel secondo capitolo, la scelta di come affrontare inizialmente

l’argomento relativo alla parabola è caduta su un approccio di tipo storico-

epistemologico, mostrando cioè alla classe come il tema che stavo per iniziare a trattare

fosse legato ad esigenze pratiche e tecnologiche di più di duemila anni fa, e non ad una

astratta “ginnastica mentale” di qualche annoiato matematico.

Ho pensato che per meglio catturare fin da subito l’attenzione dei ragazzi avrei

dovuto utilizzare un registro di tipo visivo (diversi studi hanno dimostrato che

l’attenzione e il ricordo umani sono favoriti più dall’uso della vista che da quello

dell’udito); il software Power Point, utilizzato insieme al computer portatili e al

videoproiettore messi a disposizione dalla scuola, faceva quindi al mio caso (si veda

Allegato 1). Per fare in modo che la concentrazione fosse massima sui concetti che

stavano per essere espressi e non si disperdesse invece nell’operazione di copiatura sul

quaderno di tutto ciò che veniva proiettato, ho preventivamente rassicurato i ragazzi che

alla fine della lezione avrei loro distribuito fotocopie di tutto quello che avevano visto.

Partendo dalla considerazione che la matematica non è qualcosa che è sempre

esistito, ma è il frutto del lavoro di uomini e donne che hanno trovato nella vita

quotidiana, e non nell’astrattezza, ispirazione per le loro ricerche, sono passato ad

introdurre alcune notizie storiche riguardanti la nascita della geometria come scienza

che misurava la terra. Ho quindi descritto ai ragazzi il lavoro degli agrimensori

dell’antico Egitto, geometri addetti a tracciare i confini dei terreni dopo le alluvioni del

Nilo solo grazie a corde e picchetti. L’attenzione della classe durante questa prima parte

della mia esposizione è stata notevole, con anche diverse richieste di maggiori dettagli.

Il percorso storico da me tracciato ha poi portato i ragazzi dall’antico Egitto alla Grecia

ellenistica, ed in particolare a conoscere Menecmo e la sua scoperta delle coniche

durante il tentativo di risoluzione del problema della duplicazione del cubo. Il racconto

24

della leggenda dell’oracolo di Delo, da cui trae origine la sfida matematica risolta da

Menecmo grazie all’intersezione delle due parabole di equazione y2 = 2ax e x2 = ay,

ha molto incuriosito gli studenti e stimolato in loro diverse domande. La più

interessante e prodiga di risvolti attinenti al mio progetto è stata sicuramente quella di

Matteo: “perché Menecmo ha usato proprio quelle due parabole e non altre?”.

Per rispondere alla sua domanda ho allora proiettato tramite la lavagna luminosa un

lucido che avevo preparato per l’occasione (Allegato 2), nel quale viene mostrato,

sfruttando il secondo teorema di Euclide e le proporzioni continue, come sia possibile

giungere a quelle due equazioni se si vuole che il volume del cubo di lato x sia doppio

rispetto a quello del cubo di lato a.

Anche se già utilizzati nel corso della proiezione, tuttavia io non avevo ancora

completamente chiarito i concetti di conica e parabola. E’ stato a questo punto che ho

mostrato alla classe una animazione computerizzata tratta dal sito del Planetario di

Milano (Allegato 3), nella quale è ottimamente mostrato come si possano ottenere le

varie coniche intersecando un cono con un piano: nelle prime sequenze il piano entra

nell’immagine perpendicolarmente all’asse del cono (Fig. 3.1) e letteralmente ne

“taglia” via il vertice (Fig. 3.2), mettendo in rilievo come la curva di intersezione non

sia nient’altro che una circonferenza. Poi il piano si inclina (Fig. 3,3) evidenziando

un’ellisse. Proseguendo ad inclinarsi il piano forma poi con il cono una parabola (Fig.

3.4), quando è parallelo ad uno degli infiniti lati del cono ed infine un’iperbole (Fig.

3.5), quando è parallelo all’asse del cono. Nella parte conclusiva del filmato veniva

mostrato come queste varie coniche potevano rappresentare diversi tipi di orbita per un

oggetto celeste (Fig. 3.6).

Questa animazione ha destato grande interesse nella classe, ed ha permesso ai

ragazzi, in maniera molto accattivante e diversa dal solito, di capire da dove provenisse

il nome coniche e quale potesse essere una loro definizione puramente geometrica. Non

è stato necessario un mio intervento per “spiegare” una cosa sotto gli occhi di tutti: mi è

bastato solo sottolineare ed evidenziare ciò che stavano vedendo e comprendendo da

soli per ottenere l’apprendimento di un nuovo concetto. Ed inoltre, proprio nel finale,

hanno potuto osservare un diretto collegamento fra la matematica, ed in particolare le

coniche, e l’astronomia, rendendosi così conto dello stretto legame esistente fra il

25

mondo fisico che ci circonda e quella che normalmente viene considerata la materia più

arida e distaccata dalla realtà per eccellenza.

Ciò che era appena stato visto nell’animazione è stato poi ricreato in classe con una

semplice torcia elettrica, che è stata utilizzata per creare un cono di luce, e la lavagna,

nel ruolo di piano secante al cono. La torcia è stata puntata verso la lavagna prima

perpendicolarmente, mostrando come venisse “disegnata” dal cono di luce una

circonferenza sul piano della lavagna, poi inclinandola sempre più, ricreando “dal vivo”

prima il crearsi di un’ellisse, poi di una parabola ed infine di un ramo d’iperbole,

esattamente come mostrato pochi minuti prima nel filmato.

Dopo questo excursus nelle simulazioni sia computerizzate che ottenute con

materiale povero, sono tornato alla parte storico-epistemologica facendo alcuni accenni

ad Euclide, Apollonio ed Archimede ed i suoi specchi ustori, per poi giungere a tempi a

noi più prossimi con Galileo ed i suoi studi sul moto parabolico dei proiettili, Cartesio,

Keplero, Pascal e Newton.

E’ stato immediato a questo punto far presente ai ragazzi come alcuni oggetti

tecnologici moderni, come le antenne per la ricezione satellitare o i grandi

radiotelescopi, si basino sullo stesso principio di funzionamento degli specchi di

Archimede; il cominciare a pensare all’esistenza di un punto nel quale vadano a

concentrarsi raggi paralleli che incidano sulla superficie di questi apparati ed il

chiamarlo fuoco è stato per gli studenti il logico passo successivo.

Il creare nella mente dei ragazzi un ulteriore collegamento fra la parabola e la realtà

fisica, in particolare con il moto di caduta di un grave con velocità orizzontale non

nulla, è stato ottenuto, sempre all’interno della presentazione in Power Point, mostrando

loro stralci di video tratti da due filmati della serie didattico-scientifica degli anni ’50 a

cura del P.S.S.C., e nello specifico dai titoli “Sistemi di riferimento” e “Moti armonici”

(Allegato 4). Nel primo di essi si vedeva un carrellino con un sostegno al quale era

fissata una sferetta muoversi di moto lineare uniforme (Fig. 4.1); la sferetta veniva

lasciata cadere e la sua traiettoria era ripresa da due cineprese, una fissata sul tavolo ed

una solidale con il carrellino. E’ stato così possibile mostrare alla classe come un moto

con una componente verticale uniformemente accelerata ed una orizzontale a velocità

costante possa essere rappresentato da una traiettoria parabolica (Fig. 4.2). Nel secondo

si riprendeva quanto in precedenza osservato ma questa volta partendo da una traiettoria

26

parabolica (Fig. 4.3) ed arrivando a mostrare che essa è composta da due moti, uno

uniformemente accelerato (Fig. 4.4) ed uno lineare uniforme (Fig 4.5). Le osservazioni

ed i commenti dei ragazzi anche a quest’ultima mia proposta didattica mi hanno fatto

capire di aver colto nel segno, ovvero di averli colpiti con qualcosa di diverso dal solito

che li ha fatti uscire dalla solita routine della lezione frontale e di aver stimolato in loro

una certa curiosità sui vari collegamenti ed applicazioni possibili fra matematica e

mondo reale. In particolare Federica, la studentessa che avevo notato essere la più

insofferente durante le lezioni del mio periodo osservativo ed anche una di quelle con il

rendimento più basso, alla fine mi si è avvicinata con un gran sorriso e mi ha confessato

che “questo modo di fare matematica mi è proprio piaciuto!”.

3.2 Approccio fisico-sperimentale

Per continuare a far si che i ragazzi scoprissero sempre più collegamenti fra la

matematica e le altre discipline, in particolare la fisica, la classe è stata portata in

laboratorio per osservare e studiare un moto lineare uniformemente accelerato ed in

particolare quale relazione c’era fra lo spazio percorso s ed il tempo trascorso t.

Utilizzando un carrellino in moto su un piano inclinato, dei sensori di posizione ed

un software in grado di raccogliere, gestire ed elaborare anche graficamente i dati

raccolti, gli studenti hanno potuto avere a disposizione diverse coppie di valori

posizione-tempo. E’ stato quindi loro chiesto di riportare tali dati in un grafico s-t e di

fare il rapporto fra s e t per le varie coppie di valori a disposizione, e di osservare se, sia

graficamente che algebricamente, si poteva notare una proporzionalità lineare oppure no

fra le due grandezze spazio e tempo.

Una volta stabilito che questo tipo di legame lineare fra le due grandezze non c’era,

ai vari gruppi nei quali la classe era stata suddivisa è stata fatta la richiesta di ripetere

l’analisi sia grafica che matematica ma questa volta utilizzando come dati lo spazio ed il

quadrato del tempo.

I grafici ed i dati raccolti sono poi stati commentati in classe insieme agli alunni

grazie all’utilizzo della lavagna luminosa, che ha permesso di condividere molto

facilmente il lavoro fatto da un gruppo con il resto dei compagni. Tutti quanti hanno

osservato che la proporzionalità lineare emergeva solo nel secondo caso, quando in

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gioco c’erano s e t2, e che dai grafici s-t si poteva invece notare un andamento

curvilineo somigliante a quello di una parabola (nell’Allegato 5 sono riportati alcuni di

questi elaborati grafici come esempio).

Se lo scopo di mostrare ai ragazzi come un moto uniformemente accelerato possa

essere ben descritto da una parabola è stato a mio avviso raggiunto, non posso però

nascondere, da buon fisico, la non buona capacità della classe in generale nel disegnare

grafici sulla carta millimetrata: curve “compresse” in un angolino del foglio di carta con

ampi spazi non sfruttati, posizionamento degli assi non sempre ottimale, curve che

vanno a “toccare” tutti i punti sperimentali invece che essere il best-fit dei dati raccolti,

ecc.

3.3 Approccio geometrico – l’uso di filo e picchetto

Dopo aver avvicinato la classe al concetto di parabola partendo da tanti punti diversi,

come visto nei paragrafi precedenti, era arrivato il momento di convergere verso un

unico punto dando di questa conica una definizione matematicamente rigorosa. La

parabola è stata quindi enunciata come luogo geometrico dei punti equidistanti da un

fuoco e da una retta detta direttrice; ma in base a questa definizione, ho chiesto ai

ragazzi, come la si può disegnare sulla lavagna? Come si sarebbe comportato un

agrimensore dell’antico Egitto in questa situazione? Dopo aver ascoltato alcune loro

proposte, ho disegnato sulla lavagna un punto e una retta (per comodità ho preso

quest’ultima orizzontale e sotto al punto) e li ho uniti con un segmento perpendicolare

alla retta, trovandone poi il punto medio; in questo modo il vertice della parabola era

stato immediatamente trovato. Poi però ho tirato fuori un pezzo di spago, e fissandolo

sul punto con un dito, a mo’ di picchetto, l’ho usato come se fosse un compasso per

tracciare un arco di circonferenza; poi, mantenendone costante la lunghezza, ho

posizionato un suo capo sulla retta e facendolo scorrere su di essa tenendolo bene o

male perpendicolare ho trovato dove questo segmento intersecava l’arco prima

tracciato. Ripetendo il procedimento quattro o cinque volte ho così disegnato sulla retta

dei punti che “geometricamente” soddisfacevano la definizione di parabola come luogo

geometrico data poco prima.

Con questo metodo molto “artigianale” di costruire una parabola credo di aver

mostrato ai ragazzi quanto figure matematiche apparentemente astratte siano in verità

28

facilmente collegabili alla realtà quotidiana, ed averlo fatto usando semplici mezzi in

uso anche più di quattromila anni fa credo che abbia creato nella loro mente un ponte

culturale fra la matematica e la storia. Il fatto poi di averlo fatto dal vivo, e non

semplicemente raccontato tipo aneddoto storico, mi ha permesso di utilizzare quel

registro visivo al quale i giovani di oggi, come precedentemente accennato, sono assai

sensibili.

3.4 Approccio informatico – Derive

I software grafici appositamente studiati per la matematica, come Derive, sono

strumenti didattici molto potenti che nella scuola italiana non sono ancora abbastanza

utilizzati non per mancanza di mezzi tecnologici (oramai anche il più piccolo istituto ha

un’aula informatica con diversi computer) ma spesso per una diffidenza-resistenza

opposta dai docenti.

Nell’approntare il mio tirocinio attivo ho incontrato per la prima volta Derive; avevo

sentito parlare di questo programma, ma non avevo mai avuto l’occasione di studiarlo e

provarlo. Devo dire che personalmente è stata una grande scoperta; ho infatti trovato un

software che mi offre tante nuove possibilità didattiche che fino ad ora non avevo preso

in considerazione, molto flessibile ed in grado di permettere ai ragazzi di concentrarsi

sul cuore dei concetti e dei problemi e non di fermarsi sull’esteriorità. La manualità con

gesso e lavagna devono restare nel bagaglio culturale degli allievi, ma a volte

risparmiare tempo nella costruzione di figure e grafici, grazie proprio a Derive, permette

di andare al nocciolo della questione matematica che si desidera affrontare evitando di

annoiare la classe con lente e difficili costruzioni geometriche.

Nel progetto era stato previsto l’uso del registro grafico dopo poche lezioni

dall’inizio del mio intervento attivo per mostrare ai ragazzi come variava il grafico di

una parabola al variare del valore del parametro a. Ciò non è stato possibile per

indisponibilità dell’aula di informatica; si è deciso quindi di posticipare il tutto a quando

si sarebbe affrontato il tema dei fasci di parabole. Però l’aula di informatica anche per

quel periodo non è mai stata disponibile. Non potendo far provare le potenzialità di

Derive direttamente ai ragazzi, si è optato per una dimostrazione in classe sfruttando un

computer portatile ed un videoproiettore. Si sono scelti alcuni esempi di fasci e per

29

ognuno di loro si sono tracciate una decina di parabole diversamente colorate; si è così

potuto ragionare insieme ai ragazzi sulle caratteristiche tipiche di ogni fascio, sui punti

base e le parabole degeneri, sui luoghi geometrici dei vertici, ecc.

In meno di un’ora si è potuto offrire loro una carrellata dei vari tipi di fasci,

utilizzando un registro che, come detto in precedenza, ha grande presa sulle attuali

giovani generazioni, ovvero quello grafico. Se si fosse utilizzata la lavagna ci sarebbe

stato bisogno di molto più tempo per raggiungere lo stesso obiettivo, con il risultato

però di annoiare i ragazzi e di presentare un “prodotto” grafico di qualità ed impatto

nettamente inferiore.

Nell’Allegato 6 sono riportati i fasci mostrati alla classe.

3.5 Lavori di gruppo

Nell’ottica di costruire circostanze nelle quali l’uso della lavagna e del gesso fosse

presente solo lo stretto necessario, e con l’intento di portare i ragazzi a gestire situazioni

nelle quali dovessero affrontare un’inaspettata frattura del contratto didattico, nell’arco

dei due mesi circa del mio tirocinio attivo ho proposto loro quattro momenti di lavoro di

gruppo, diversamente strutturati ed organizzati. Durante queste situazioni a-didattiche

ho notato un tasso di produttività (inteso come numero di esercizi portati a termine in

un’ora di lezione) nettamente superiore alla media ed un impegno molto maggiore da

parte dei ragazzi nel cercare di risolvere i problemi loro posti rispetto ai momenti in cui

uno dei compagni era chiamato alla lavagna e tutti gli altri dovevano “in teoria” seguire

il suo operare (in pratica però il livello di attenzione tendeva vistosamente a calare col

trascorrere dei “passaggi” alla lavagna); vi sono stati anche casi di scarsa collaborazione

all’interno dei gruppi, quando per esempio uno dei componenti tendeva ad isolarsi ed a

fare da solo perché fra i vari soggetti non si riusciva a trovare un modus operandi

comune e condiviso. In generale però sono rimasto positivamente molto sorpreso e

soddisfatto dei risultati ottenuti con questa modalità di cooperative-learning; per il

futuro dovrò sicuramente perfezionarla e correggerne alcuni dettagli, ma ritengo che

potrà diventare un’arma in più che utilizzerò nella mia carriera di insegnante.

Ora vediamo più nel dettaglio come si sono svolti questi quattro momenti di lavoro

di gruppo.

30

Il primo è stato organizzato subito dopo che la classe aveva visto come ricavare

l’equazione di una parabola dati alcuni parametri (passaggio per alcuni punti, coordinate

del fuoco e del vertice, asse e direttrice, retta tangente in un punto della parabola).

I gruppi erano formati da tre studenti, e come primo “esperimento” di questo tipo di

attività si è scelto, insieme alla Tutor, di formarli per vicinanza di posti a sedere. I testi

dei tre esercizi sottoposti ai ragazzi si possono leggere qui sotto:

1 Determinare l’equazione della parabola con asse di simmetria parallelo all’asse y

e passante per A(1;0), B(5;0), C(3;-3).

2 Determinare l’equazione della parabola con vertice V4

9;

2

5 e il fuoco F 2;

2

5.

3 Determinare l’equazione della parabola , con asse di simmetria parallelo

all’asse y, sapendo che passa per A(-3;4), B(0;1) e che in quest’ultimo punto

ammette una retta tangente di coefficiente angolare 2.

Ogni esercizio era su un foglio diverso, con il testo riportato in alto e lo spazio sotto

per svolgerlo. A dispetto delle attese e nonostante il lavoro sia stato continuo per tutti i

cinquanta minuti a disposizione, nessun gruppo ha terminato tutti e tre gli esercizi

assegnati; mentre il primo è stato affrontato dalla totalità dei gruppi, il secondo ha visto

solo alcuni di loro, in particolare tre gruppi, cimentarsi con la sua risoluzione; il terzo

invece è rimasto desolatamente ignorato. La classe, nella sua totalità, ha dimostrato in

questa occasione notevoli difficoltà non nell’impostazione del problema (tutti sapevano

come fare per trovare l’equazione della parabola dati tre punti di passaggio) ma nei più

meccanici calcoli e nella velocità della loro applicazione. Molte richieste di aiuto

durante l’attività erano infatti volte a risolvere problematiche legate a “conti” che non

tornavano, piuttosto che a difficoltà concettuali attinenti all’argomento relativamente

nuovo. Ed infatti, verificando poi il lavoro fatto dai vari gruppi, sono emersi diversi

cosiddetti “errori di calcolo”, che sinceramente ritenevo dovessero essere oramai in gran

parte superati a questo punto della carriera scolastica. Inoltre quasi cinquanta minuti per

risolvere il primo esercizio mi sono parsi sinceramente molti, segno di una mancanza di

sicurezza generale della classe nelle proprie capacità e conoscenze algebriche.

31

Dopo questo primo approccio, in parte anche deludente, si è scelto di ripetere

l’esperimento circa venti giorni più tardi, periodo nel quale erano stati affrontati come

argomenti l’equazione della parabola con asse parallelo all’asse delle ascisse e

analizzati in classe diversi problemi relativi alle intersezioni della parabola con rette e

fasci di rette. Nei tre esercizi previsti ho voluto però inserire un “finto” problema di

fisica, nel quale si ritrovavano buona parte degli argomenti trattati in classe durante la

risoluzione di canonici esercizi di geometria analitica relativi alla parabola. Soprattutto

questo quesito ha suscitato interesse e confronto fra i ragazzi, che in un primo momento

hanno trovato molte difficoltà a “classificarlo” rispetto agli esercizi conosciuti, ma una

volta visto oltre il testo e riconosciutolo come una semplice variante di casi già noti,

sono stati in grado di giungere alla soluzione. Anche questa volta però nessun è stato in

grado di finire il lavoro nei tempi stabiliti, anche se qualche miglioramento rispetto alla

volta precedente si è notato. La formazione dei gruppi questa volta è stata però

demandata alla Tutor la quale, conoscendo meglio di me la classe, ha cercato di

affiancare a ragazzi con maggiore difficoltà dei compagni maggiormente sicuri nella

materia. I testi dei tre esercizi seguono qui sotto:

1 Un cannone spara da sopra il tetto di una casa di altezza 5m. Sappiamo che il

proiettile raggiunge la massima altezza ad una distanza di 30m dal punto di

sparo e che dopo altri 10 m si trova a 45m di altezza. A che distanza dal punto di

sparo cade a terra il proiettile? Quanto vale il coefficiente angolare della retta

tangente alla traiettoria del proiettile nel punto di sparo? E quello nel punto di

caduta del proiettile?

2 Trovare l’equazione della retta parallela all’asse delle x, che intercetta corde

congruenti sulle due curve di equazione :

042101422 yxyx8

17

4

5

8

1 2 xxy

3 Data la parabola di vertice (5/2;9/4) e passante per il punto (2;2), inscrivere nella

porzione di piano limitata dalla parabola e dall’asse x un rettangolo in cui la base

sia doppia dell’altezza.

La terza attività di gruppo è stata fissata circa due settimane prima della verifica

sommativa finale, quando oramai quasi tutti gli argomenti relativi alla parabola che si

era scelto di includere nel progetto di tirocinio erano stati trattati. Questo terzo lavoro di

32

gruppo non era stato però preventivato prima, ma ho scelto quella mattina stessa di

inserirlo a questo punto del mio periodo di intervento in classe perché nel corso delle

lezioni precedenti avevo notato una certa stanchezza degli studenti relativamente alla

risoluzione di esercizi alla lavagna in preparazione della verifica. Ho anche deciso, dopo

un consulto con la Tutor, di cambiare leggermente le norme per lo svolgimento

dell’attività: per renderla più interessante è stata posta sotto forma di gara, ovvero ai

gruppi venivano assegnati tre esercizi presi dal testo e si sarebbe fatta una classifica

finale che teneva conto del tempo di consegna del lavoro, ma al quale venivano aggiunti

minuti di penalità per ogni richiesta di aiuto fatta alla Tutor o al sottoscritto e per ogni

errore poi riscontrato in fase di correzione. I gruppi sono stati formati con la stessa

modalità della volta precedente.

Questo diverso modo di lavorare è stato stimolante per i ragazzi i quali, prima di

richiedere l’aiuto dei due docenti, hanno tentato in tutti i modi di venire a capo da soli

delle loro difficoltà. Nei vari gruppi ogni componente si è scelto un esercizio da portare

avanti e tutti hanno cercato di accelerare le procedure risolutive, prestando però

attenzione, grazie a controlli incrociati con i propri compagni, a non commettere errori

che sarebbero stati penalizzanti per la classifica finale. Il risultato finale è stato di avere

avuto studenti più motivati e meno dispersivi (c’era un obiettivo da raggiungere) e più

attenti verso il proprio lavoro e quello dei compagni (non si poteva sbagliare ma

neanche permettere al compagno di farlo).

Pochi giorni prima della verifica sommativa finale del mio periodo di tirocinio, dopo

che anche i fasci di parabole erano stati affrontati, in preparazione della prova si sono

proposti ai ragazzi diversi esercizi di varie tipologie e difficoltà da risolvere in coppia.

Questa volta l’attività è stata svolta invece che su una sola ora di lezione su due, in

modo da simulare il più possibile la situazione tipica della verifica in classe. Le coppie

sono sempre state formate dalla Tutor, seguendo ancora una volta il principio di

affiancare ad uno studente con difficoltà uno più preparato. La finalità dichiarata di

quest’ultimo lavoro di gruppo era quella di far lavorare i ragazzi sul maggior numero

possibile di problemi, affrontando insieme al compagno e con la collaborazione dei

docenti quei misconcetti e quelle lacune ancora presenti nella loro preparazione.

Gli studenti hanno dato grande prova di maturità, impegnandosi per due ore piene

senza sosta e con spirito di collaborazione all’interno della coppia. Anche per la Tutor e

33

per me il lavoro è stato intenso, dovendo intervenire continuamente per soddisfare le

richieste di chiarificazioni o di conferme che provenivano dai ragazzi.

La maggior soddisfazione, dopo queste due ore faticose, è stato essere avvicinati da

Federica (la ragazza maggiormente insofferente verso la matematica di cui si era già

parlato nel primo paragrafo di questo capitolo) e sentirsi dire: “non ho mai fatto tanti

esercizi in preparazione ad un compito come questa mattina. Se avessi dovuto farli da

sola a casa non mi sarebbe bastato tutto il pomeriggio e mi sarei stancata subito”.

34

Capitolo 4

Le verifiche e la valutazione

4.1 La verifica formativa

Nel corso dell’opera di programmazione e stesura del progetto di tirocinio, con la

Tutor si era deciso di valutare in itinere l’opportunità o meno di effettuare una verifica

formativa verso metà percorso. Dopo il secondo lavoro di gruppo e le incertezze emerse

da parte di un po’ tutta la classe, soprattutto nel gestire il tempo a disposizione ed i

calcoli relativi alle varie tipologie di esercizi, si è scelto effettuare tale tipo di prova per

venire incontro alle difficoltà degli alunni; si è valutato infatti che sarebbe stato molto

meglio per i ragazzi affrontare una prima verifica un po’ più “leggera” centrata sugli

argomenti fino ad allora trattati e poi una seconda conclusiva relativa ai temi della

seconda parte del progetto, piuttosto che dover sostenere un’unica corposa prova finale

contenente un po’ tutti gli argomenti toccati nell’arco dei miei interventi.

Il testo completo della verifica formativa può essere letto nell’Allegato 7.

Una delle difficoltà riscontrate dai ragazzi nel primo esercizio è stata per me inattesa:

infatti diversi di loro, evidentemente non leggendo attentamente il problema, hanno

considerato la parabola di cui dovevano trovare l’equazione avente l’asse parallelo

all’asse delle ordinate, contrariamente a quanto esplicitato chiaramente nel testo. Da qui

hanno poi proseguito in maniera coerente con la loro errata assunzione iniziale,

giungendo però ovviamente ad un risultato diverso da quello corretto. Qualcuno ha

provato poi a minimizzare tale errore affermando che però, a parte la considerazione

iniziale sbagliata relativa al posizionamento dell’asse, il procedimento era esatto. In

effetti essi hanno dimostrato di saper risolvere questa tipologia di esercizi, utilizzando

procedure matematiche assolutamente coerenti con la loro ipotesi iniziale errata; in

accordo con la Tutor gli esercizi che presentavano questo errore di partenza ma che

erano svolti logicamente e coerentemente sono stati valutati con un punteggio pari al

50% del massimo.

35

In tutti e tre gli esercizi, a parte il caso particolare del primo poc’anzi enunciato, non

vi sono state grosse difficoltà nella determinazione dell’equazione della parabola dati

alcuni parametri, segno che la classe aveva sufficientemente compreso ed assimilato ciò

che avevamo fatto insieme nelle prime lezioni. I problemi invece sono emersi nel

coordinare diversi enti matematici contemporaneamente, ovvero i ragazzi hanno trovato

difficoltà quando parabola e fasci di rette oppure parabola e rette secanti dovevano

essere gestiti insieme. Anche la necessità di dover impostare equazioni risolutive

relative a domande di tipo prettamente geometrico ha creato non poche problematiche,

mettendo in evidenza la scarsa familiarità della classe con questo tipo di esercizi.

4.2 La verifica sommativa

Nella verifica sommativa si è scelto di modulare maggiormente il livello degli

esercizi relativamente alle loro difficoltà intrinseche rispetto a quanto era stato fatto

nella verifica formativa, per dare così maggiori possibilità di successo agli studenti; dei

cinque esercizi scelti, i primi due sono stati classificati come facili, il terzo ed il quarto

come medi ed il quinto come difficile. Il testo del compito è stato inserito nell’Allegato

7.

Con la Tutor si è scelto di privilegiare alcuni argomenti relativi alla parabola come

assi portanti degli esercizi della verifica sommativa: tangenti da un punto esterno alla

parabola, fascio di parabole, luoghi geometrici, intersezioni fra parabola e retta.

Se il primo quesito non ha fatto riscontrare eccessive difficoltà di risoluzione da parte

di tutti gli studenti, il secondo è stato invece da molti lasciato indietro subito dopo aver

letto il testo od aver abbozzato un inizio di procedimento. Interrogati i ragazzi a fine

prova su quale era stata la causa di tale empasse, visto che questo doveva essere uno

degli esercizi più semplici, essi hanno risposto nella maggioranza dei casi che ricavare

l’equazione della parabola dato il vertice ed un punto era facile, ma che non sapevano

come fare per calcolare il perimetro del quadrilatero ottenuto dall’intersezione della

parabola con la retta passante per il punto (0,3) e di coefficiente angolare pari ad 1.

Osservando meglio i loro elaborati ho notato che era spesso il calcolo della distanza fra

due punti a generare difficoltà nei ragazzi. Davanti alle dichiarazioni degli stessi alunni

ed alle evidenze di problematiche connesse ad argomenti che si suppone debbano essere

padroneggiati con sicurezza in una terza Liceo (la formula della distanza fra due punti),

36

si è rafforzata in me l’idea che i ragazzi abbiano delle lacune pregresse di preparazione

che vanno ad inficiare in parte le competenze acquisite nell’anno scolastico in corso.

Inoltre dimostrano di avere facilmente già dimenticato diversi argomenti trattati con la

Tutor nei primi mesi di scuola relativi alle rette ed alle circonferenze, sintomo questo di

una metodologia di apprendimento rivolta più verso una conoscenza a breve scadenza

temporale (si imparano e soprattutto si ricordano le cose fino alla verifica o alla

interrogazione, poi la memoria viene resettata) piuttosto che ad una competenza

duratura nel tempo. Come infatti si commentava insieme alla Tutor: “fanno bene le cose

nuove, ma sbagliano quelle vecchie; non hanno le basi”.

Ciò a mio avviso è messo in risalto dal fatto che molti di loro hanno preferito

affrontare un esercizio potenzialmente più complesso come il terzo, ma nel quale i temi

erano quelli toccati più recentemente (fasci di parabole e tangenti ad una parabola da un

punto esterno), piuttosto che il secondo.

Nel quarto la difficoltà maggiore è emersa sempre nella seconda parte dell’esercizio;

in pochi hanno impostato correttamente il sistema fra parabola e fascio di rette ponendo

la giusta condizione sul discriminante, ovvero che fosse maggiore od uguale a zero. La

maggior parte ha imposto >0, rivelando una misconcezione relativa al concetto di

intersezione fra retta e parabola: infatti la condizione di tangenza non viene intesa da

molti come un caso di intersezione in cui i due punti in comune fra retta e parabola

coincidono fra loro; l’intersezione quindi viene erroneamente considerata come

equivalente al caso di retta secante alla parabola.

L’esercizio numero cinque invece è stato affrontato da pochi solo per un problema di

tempo; infatti molti ragazzi hanno affermato che avevano capito come farlo ma che non

ne hanno avuto la possibilità a causa dell’imminenza della fine delle due ore a loro

disposizione.

4.3 La valutazione

L’azione del valutare rappresenta certamente un momento assai delicato; infatti

implica arrivare a delle conclusioni circa il processo di acquisizione delle conoscenze da

parte dei ragazzi e nello stesso tempo “giudicare” l’efficacia del proprio insegnamento.

La valutazione quindi va intesa come un processo che fornisce importanti

informazioni all’insegnante, per controllare l’efficacia della propria condotta didattica e

37

influenzare perciò le sue future decisioni, ma anche all’allievo, che può grazie a questo

strumento verificare il proprio livello di conoscenza e le proprie competenze

Poiché ciò che è più interessante dal punto di vista educativo è “il grado di

implicazione personale” nella costruzione della propria conoscenza, e questo è un

fattore assolutamente non banale da stimare, si comprende perché valutare sia un

processo assai complesso. Molto più semplice è invece (tentare di) valutare l’insieme

delle capacità raggiunte.

Agli occhi degli studenti l’insegnante deve essere in grado di dare una valutazione

oggettiva e incontestabile, uguale per tutti. Il voto espresso deve quindi attestare ciò che

un alunno “sa fare” o “non sa fare”.

E’ inteso che non sempre i voti sono confrontabili: infatti bisogna tenere conto anche

delle capacità personali, dell’impegno profuso e del livello di competenza acquisito a

partire dalle conoscenze precedenti.

Pensando ad una forma di valutazione ottimale bisognerebbe immaginarla formata da

una prima valutazione “formativa” (una sorta di valutazione diagnostica (Fandiño

Pinilla M. I., 2002) il cui scopo sia ricercare le difficoltà o manchevolezze di

apprendimento) e una sucessiva valutazione “sommativa” riassunta da un voto che

giochi però un triplice scopo:

o fare un bilancio di ciò che lo studente sa / non sa fare,

o da questo bilancio far partire il passo successivo del processo di

insegnamento – apprendimento sia a livello di trasposizione didattica sia a

livello di ingegneria didattica,

o indagare e scoprire le cause delle difficoltà di uno studente.

Per ritornare alla valutazione delle verifiche formative, lo scopo fondamentale non è

tanto quello di dare i risultati corretti ma di puntare a conseguire gli obiettivi prefissati.

Ciò è ben riassunto da Perrenoud (citato in Fandiño Pinilla, 2002) nel quale afferma:

“Se la valutazione vuole fornire informazioni e vuol essere pertinente, allora deve essere

lo strumento tramite il quale l’insegnante sprona l’allievo e sé stesso a sviluppare

meglio il processo di insegnamento-apprendimento, aiutando in questo l’allievo a non

essere solo un attore in dipendenza del contratto didattico”.

38

La verifica sommativa non può essere l’unico mezzo per dare una valutazione

individuale dell’allievo; questa deve essere attuata lungo tutto l’arco del progetto e deve

tenere conto non solo del raggiungimento degli obiettivi specifici che erano stati

prefissati ma anche del livello di partecipazione e di interesse mostrati, della capacità di

gestire i nuovi concetti con i quali si è venuti a contatto e di collegarli ad altri argomenti

sia matematici che di altre discipline, della padronanza del linguaggio matematico e dei

contenuti. Sintetizzando il pensiero di Fandiño Pinilla si può affermare che le capacità

in matematica non si misurano solo a livello cognitivo ma occorre prendere in

considerazione anche capacità comunicative, metacognitive ed affettive, essendo

evidente la loro importanza nel processo di insegnamento-apprendimento e a fronte di

esigenze comunicative

Per quanto riguarda la valutazione relativa alla verifica formativa proposta durante il

mio tirocinio in classe, in accordo con la Tutor, e per venire incontro alle difficoltà

pregresse che la classe aveva palesato sia durante la fase osservativa che in quella attiva

del mio lavoro, si era deciso di assegnare la sufficienza a chi avesse risolto

completamente almeno uno dei tre quesiti proposti. Nell’istogramma seguente è

evidenziata la distribuzione dei voti (in rosso quelli insufficienti):

0

1

2

3

4

5

6

4 4+ 4,5 5- 5 5+ 5,5 6- 6 6+ 6,5 7- 7 7+ 7,5 8- 8

La media dei voti è risultata essere pari a 5.8, e le insufficienze undici su

ventiquattro: sicuramente non soddisfacente visto la bassa soglia alla quale era stata

fissata la sufficienza.

Nella verifica sommativa invece si era dato un punteggio massimo ad ogni punto

saliente dei singoli esercizi, e si era poi valutato che, essendo probabile che due ore di

cinquanta minuti l’una non fossero sufficienti per risolvere tutti e cinque i problemi, la

39

sufficienza potesse essere fissata intorno al 45% del punteggio massimo realizzabile.

Nell’istogramma successivo la distribuzione dei voti (in rosso quelli insufficienti):

0

1

2

3

4

5

6

4 4+ 4,5 5- 5 5+ 5,5 6- 6 6+ 6,5 7- 7 7+ 7,5 8- 8

La media risulta essere pari a 6.13 e le insufficienze quattro su ventiquattro: rispetto

alla verifica formativa c’è stato un netto calo delle insufficienze ed anche il voto

minimo, che prima era 4, ora si è alzato a 5-. L’altro dato interessante è che ben

diciannove alunni su ventiquattro hanno migliorato la loro valutazione fra le due prove,

e che nessuno di quelli che non sono migliorati è passato da un voto sufficiente ad uno

insufficiente.

40

Capitolo 5

Conclusioni

Questi due anni nei quali ho frequentato i corsi S.S.I.S, ed in particolare

quest’ultimo, per me sono stati, a causa del mio doppio lavoro di insegnante ed

allenatore e dei continui viaggi di trasferimento fra Forlì, Cesena, Reggio Emilia e

Bologna, estremamente faticosi ed impegnativi. Giunto però a questo punto, mentre

nella notte batto queste ultime righe, i sentimenti che prevalgono sono quelli

dell’orgoglio e della soddisfazione di essere riuscito a portare a termine un impegno che

in diversi momenti ho creduto di non riuscire a concludere.

Oltre a ciò però, se mi guardo indietro a come ero due anni fa e mi confronto con

quello che sono ora, vedo una persona arricchita sia culturalmente che umanamente. Il

mio modo di essere insegnante, prima di frequentare la S.S.I.S., si basava su un puro

empirismo dovuto all’esperienza e agli insegnamenti derivati da “maestri” più anziani di

me. Ora invece ho scoperto una nuova scienza, quella della didattica in generale e della

matematica in particolare. Ho dovuto fare, ed ancora lo sto portando avanti, un profondo

processo di autocritica sul mio modo di stare in aula; ora vedo cose che prima non

vedevo, capisco sfumature che prima non comprendevo.

Nei miei primi anni di insegnamento dopo la laurea sentivo il desiderio di “fare

qualcosa di nuovo, di diverso” dentro la scuola, ma non sapevo come fare. Ora i mezzi e

le conoscenze li ho, ed ho potuto provare a metterli in pratica durante il mio tirocinio.

Devo ammettere che si è trattato di un’esperienza estremamente positiva, che mi ha

arricchito molto sia umanamente che professionalmente. E di ciò devo ringraziare la

mia Tutor, prof.ssa Giuseppina Maria Currò, che ha dimostrato nei miei confronti

apertura, disponibilità, cordialità, professionalità e non per ultima grande umanità;

insieme a lei un grandissimo grazie ed un saluto immenso vanno a tutti i ragazzi e le

ragazze della 3°A del Liceo Moro, che mi hanno accolto benissimo fra loro e che

soprattutto mi hanno dovuto sopportare per tutti questi mesi. Una classe stupenda!

41

Un grazie colmo di gratitudine e di affetto al mio Relatore, il prof. Bruno D’amore,

che ha dimostrato nei miei confronti una disponibilità senza eguali.

A tutti gli amici e le amiche che insieme a me hanno percorso questo cammino

faticoso e il cui aiuto è stato fondamentale per permettermi di giungere al traguardo

(Elisa, Marina, Giulia, Betta, Mariasilvia, Silvia, ...) un grazie di cuore.

E dulcis in fundo il grazie più grande del mondo alla persona senza la quale non

sarei mai arrivato a questo punto e che ha avuto verso di me una pazienza ed una

costanza infinite, il mio Supervisore prof.ssa Sandra De Pietri.

42

Bibliografia

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Struzzi, Ed. Qualevita, Sulmona, 23-24-25 aprile 1999, pagg. 31-42.

44

Allegato 1

Introduzione storicaIntroduzione storica

•La matematica che oggi noi studiamo non è nata, come qualcuno può pensare, in tempi recenti. Recenti sono solo alcune sue applicazioni.•La matematica però non è neanche qualcosa che èsempre esistito, ma è il frutto del duro lavoro di uomini e donne che spesso hanno trovato motivo di ispirazione per le proprie fatiche dalla vita quotidiana e non dall’astrattezza nella quale spesso la matematica èpensata da parte dei più derivare.

Introduzione storicaIntroduzione storica

• Le prime linee che si presentano all'immaginazione dell'uomo sono la retta e il cerchio. Con esse nasce la geometria, il cui nome, letteralmente significa misura della terra. • Infatti i primi geometri dell'antichità sono gli agrimensori dell'antico Egitto (circa 2000 a.C.). Tirando le funi, essi potevano tracciare sul terreno rette e cerchi per disegnare i confini dei terreni• Un'operazione di cui resta una traccia in molte lingue moderne, nell'espressione "tirare una retta".

Le sezioni conicheLe sezioni coniche Le sezioni conicheLe sezioni coniche• Lo studio delle coniche si è evoluto nel corso di diversi secoli. Per quanto si sa, le sue le origini risalgono a Menecmo(350 a.C.) che scoprì le sezioni coniche nel tentativo di risolvere il problema della duplicazione del cubo, o problema di Delo. Narra la leggenda che la Grecia fosse funestata da una tremenda epidemia; l'oracolo diDelo disse che l'ira degli dei si sarebbe placata qualora l'altare a essi dedicato, a forma di cubo, fosse stato sostituito con uno grande il doppio. I Greci costruirono un altare, sempre a forma di cubo, e con il lato doppio del primo. Ma la pestilenza non accennava a calmarsi e si scoprì che il nuovo altare non era grande il doppio, ma otto volte più del primo. Infatti, essendo uguale ad a3 il volume del cubo di lato a, quello di lato 2a avràvolume (2a)3.

Le sezioni conicheLe sezioni coniche• Come risolse Menecmo il problema? Intersecando due parabole: Si considerino due parabole, di equazioni y2 = 2ax e x2 = ay. Se il punto di coordinate (x,y) appartiene ad ambedue queste curve,si avrà x4 = a2y2 =2a3x, da cui si trova x3=2a3,e quindi In definitiva, intersecando le due parabole si ottiene un punto la cui ascissa èil lato del cubo doppio.

3 2ax

Le sezioni conicheLe sezioni coniche• Anche Euclide (360-300 a.C.) si interessò alle coniche; scrisse ben 4 libri andati poi perduti.• La trattazione fu completata negli otto libri 'Leconiche' da Apollonio (200 a.C.).• Introdusse i nomi "ellisse", "parabola", e "iperbole“ e dimostrò una serie di proprietà poi applicate in molti campi della scienza e della tecnica.• I raggi che provengono dall'infinito sono delle rette parallele; riflettendosi sulla parabola vanno a finire nel fuoco.• Per concentrare in un punto i raggi del sole si dovràusare uno specchio parabolico. La leggenda narra che Archimede (III sec. a. C.) avrebbe incendiato le navi romane con uno specchio ustorio.• I grandi radiotelescopi e le antenne paraboliche agiscono secondo lo stesso principio.

45

Le sezioni conicheLe sezioni coniche• Pur interessante dal punto di vista matematico, lo studio delle coniche aveva scarsi interessi pratici e venne abbandonato per diversi anni. Solo dopo circa 1800 anni lo studio di Apollonio poté fare passi avanti. Questo fu dovuto essenzialmente all'introduzione dei nuovi metodi matematici basati sulle coordinate cartesiane, ma anche al sorgere di un nuovo interesse scientifico. Da segnalare nell'ordine Galileo (moto di un proiettile) Cartesio, Keplero, Pascal, ed infine Newton che utilizzarono lo studio delle coniche applicato a scoperte scientifiche.

Le sezioni conicheLe sezioni coniche

Le sezioni conicheLe sezioni coniche

46

Allegato 2

baxxba

xabax

osostituiscx

aby

bxyayx

byyxxabxxa

232

2

2

2

:::

::

b

x a

axyabax

mimpongo

maxmaaxosostituisc

mab

22

2

2

2

33

3323

ayx 2 axy 22

47

Allegato 3

Fig. 3.1

Fig. 3.2

Fig. 3.3

48

Fig. 3.4

Fig. 3.5

Fig. 3.6

49

Allegato 4

Fig. 4.2 Fig. 4.1

Fig. 4.3 Fig. 4.4

Fig. 4.5

50

Allegato 5

51

Allegato 6

52

Allegato 7

53

54

Università di Bologna

SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER L’INSEGNAMENTO SECONDARIO

ANNO ACCADEMICO 2006/2007

Progetto di tirocinio

La matematica della parabola da un

punto di vista storico-fisico

Specializzando: Dott. Massimiliano Bacchi

Supervisore: Prof.ssa Sandra De Pietri Indirizzo Fisico-Informatico-Matematico

Classe di abilitazione: A049

Scuola di attuazione: Liceo Scientifico Statale “Aldo Moro”, Reggio EmiliaTutor: Prof.ssa Giuseppina Maria Currò

55

Finalità dell’insegnamento della matematica

“Se alcuni argomenti matematici venissero presentati in maniera da incuriosire

l’opinione pubblica, si raggiungerebbe l’obiettivo di fare entrare più persone in

sintonia con la Matematica, sì da svelarla e renderla amabile a tutti.”

Guido Carolla

Scienza in continua evoluzione la Matematica è diversa da tutte le altre perché

studia oggetti da essa stessa creati che non esistono in natura, pur se questa lucida

descrizione della mente non solo trova nella natura un perfetto riscontro, prodigio che

ha stupefatto gli studiosi da Galileo a Einstein. Infatti spesso essa ricorre alla natura per

rendersi più comprensibile, ed allo stesso tempo per mostrare il proprio lato estetico ed

affascinante.

Molte persone colte che apprezzano la Letteratura, la Musica, le Arti figurative, e

che hanno maturato il gusto del bello nelle varie espressioni della creatività dell’uomo,

purtroppo considerano la Matematica come una disciplina misteriosa, certo importante

per lo sviluppo della scienza, che però ha sempre mostrato loro un aspetto non attraente,

quando non addirittura “orrendo”; il loro ricordo scolastico confina con l’incubo, perché

sicuramente, è mortificante riconoscerlo, non hanno avuto un insegnante all’altezza.

Queste persone, spesso, con un tratto di civetteria snobistica, si vantano di non aver mai

capito nulla di Matematica, né di aver mai provato interesse per essa e sia pure in senso

diverso, affermano il vero: non ne hanno mai capito lo spirito profondo, non sono mai

stati messi in condizione di vederne il lato estetico; non sarebbe altrimenti giustificabile

che una persona di media intelligenza non fosse in grado di comprendere semplici

processi logico-razionali. Il “non ne ho capito nulla” è in realtà conseguenza di un

rifiuto verso la Matematica quale sovente viene presentata negli anni di scuola, verso la

ripetitività noiosa di vuoti calcoli, l’elenco arido di teoremi, le proposte di problemi

assurdi da affrontare e risolvere con tecniche prive di logica, cioè con formule

preconfezionate, che, lungi dal provocare interesse e stimolare curiosità, inducono

repulsione e rifiuto. Il motivo per cui la matematica in Italia è la più detestata delle

materie scolastiche probabilmente va cercato proprio nel fatto che la nostra scuola la

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insegna come fine a se stessa senza far scoprire agli studenti le mille applicazioni e non

ne trasmette il fascino e la forza.

Certo che se due illustri intellettuali del passato hanno affermato che “O si fa scienza

o si fa arte” (Benedetto Croce) e che “la matematica è morta, infeconda, arida come un

sasso” (Gentile), si può ben capire perché le scienze, e la matematica in particolare,

siano sempre state viste nella scuola italiana quasi come un elemento estraneo alla

formazione culturale (prevalentemente di stampo classico) dei giovani studenti. Questa

impostazione formativa ha portato da tempo all’idea che nell’istituzione scolastica

italiana vi debba essere una netta divisione (contrapposizione) tra le materie tipicamente

umanistiche e quelle scientifiche, e la matematica in particolare; e la scuola stessa poco

o nulla ha fatto per smentire tale opinione che, purtroppo, è dei più. Ciò porta al

preconcetto dell’esistenza di due culture ben separate, quella letteraria e quella tecnico-

scientifica, che possono fare a meno una dell’altra. Si ignora però in questo modo che la

sete di conoscenza e l’amore per la scoperta che guida un matematico o un fisico da una

parte ed uno storico o un italianista dall’altra è esattamente la stessa. La cultura non

deve essere divisa in compartimenti stagni; i contatti e gli scambi fra le varie discipline

sono fecondi di crescita per tutti.

Quando un nostro studente ci dice la classica frase “ma non mi servirà a niente tutta

questa matematica!”, non possiamo che dargli ragione: presentata nel modo di cui si

diceva sopra la matematica è veramente “morta e infeconda”, per citare ancora Gentile.

Solo se siamo in grado di stimolare la curiosità nei giovani, provocando in loro il gusto

della discussione e del dubbio, facendo vedere loro quali sono i rapporti con la realtà

dalla quale la costruzione dell’edificio matematico prende le mosse, mostrando cosa

effettivamente la matematica conosce e quale sia la natura che si può attribuire agli

oggetti matematici, possiamo pensare di aprire la mente degli studenti al fascino ed al

mistero della matematica come incomparabile avventura dell’intelletto umano.

Il collegamento con il quotidiano e l’analisi storico-epistemologica dei vari

argomenti da affrontare in classe sono, a mio avviso, punti fondamentali di questo

approccio meno arido alla matematica che tutti auspichiamo. Il ragazzo deve sentire che

dietro ad una legge, dietro ad un teorema, dietro ad un nuovo ente matematico ci sono,

con la loro umanità e la loro storia, uomini e donne che nei secoli passati si sono posti

domande molto concrete ed hanno cercato soluzioni e spiegazioni ad esigenze

57

quotidiane e profondamente tangibili; inoltre deve essere messo al corrente che questo

faticoso lavoro ha portato a ricadute pratiche delle quali lui stesso, spesso

inconsapevolmente, prova giornalmente i benefici.

Bisogna lottare contro l’idea che la matematica sia qualcosa di completamente

distaccato dalla realtà spaziale e temporale della nostra società, cioè che sia un ente

assoluto non collocabile storicamente e temporalmente nella vita e nell’evoluzione del

genere umano.

Se il ragazzo sente che attraverso l’apprendimento della matematica permette alla

propria mente di sviluppare facoltà intuitive e logiche, di incrementarne le capacità di

astrazione e di formazione dei concetti, di esercitare il ragionamento induttivo e

deduttivo, di accrescere la capacità di sintesi e di risoluzione di problemi grazie a

ragionamenti coerenti, di esercitare l’utilizzo di un linguaggio appropriato e preciso,

forse avrà trovato ciò che spesso invece manca nei giovani studenti: il gusto dello studio

di una materia difficile ma allo stesso tempo affascinante. E noi come insegnanti

avremo fatto bene il nostro lavoro.

Strategie d’insegnamento

Le più consolidate teorie sulla didattica della matematica mettono in mostra come

per poter pianificare una strategia di intervento non si possa prescindere dal cosiddetto

Triangolo di Chevallard, rappresentabile con ai suoi vertici i tre poli del processo di

apprendimento: insegnante, allievo e sapere. Per citare D’Amore, questo schema

geometrico deve essere inteso “come una semplice allusione a tre soggetti (enti, poli,

idee) che entrano (qualche volta fisicamente, qualche volta metaforicamente) in

contatto fra loro al momento dell’azione didattica”.

Il ruolo dell’insegnante è quindi molto delicato in quanto egli deve attuare una

trasposizione didattica dal sapere matematico, che proviene dalla ricerca, al sapere da

insegnare fino al sapere insegnato, ovvero quello della pratica in aula. Per fare questo il

docente non può non tenere in giusta considerazione il sistema didattico e l’ambiente

sociale e culturale (cioè la noosfera) nel quale deve operare, oltre alla tipicità e

singolarità dei propri allievi.

58

Per sintetizzare questo discorso possiamo ancora rifarci a D’Amore quando afferma:

“La trasposizione didattica consisterebbe allora [...] nel costruire le proprie lezioni

attingendo dalla fonte dei saperi, tenendo conto delle orientazioni fornite dalle

istruzioni e dai programmi (sapere insegnare), per adattarli alla propria classe: livello

degli allievi, obiettivi perseguiti. La trasposizione didattica consiste nell’estrarre un

elemento del sapere dal suo contesto (universitario, sociale, eccetera) per

ricontestualizzarlo nel contesto sempre singolare, sempre unico, della propria classe”.

Quindi l’insegnante deve modulare il proprio intervento soppesando vari elementi e

rendendo quindi il proprio agire unico e irripetibile in altre situazioni didattiche. Ciò

comporta che non sia più accettabile il ruolo del docente come semplice esecutore di

direttive vincolanti provenienti dal Ministero (i famosi-famigerati programmi

ministeriali che fissavano “cosa” insegnare, “quando” farlo e “come” realizzarlo); non

vi sono contenuti irrinunciabili della disciplina che ad ogni costo devono essere (magari

male e di corsa!) affrontati, pena la squalifica di tutto il lavoro fatto dal docente. Ogni

insegnante ha le sue convinzioni, i suoi metodi e le sue strategie, apprese ed affinate

attraverso l’esperienza, ed ha il diritto di sperimentare, ricercare, migliorare i propri

metodi, nella consapevolezza che sarà egli stesso direttamente responsabile di tutto ciò.

L’insegnamento è un’arte e, come tale, deve essere libera.

Come già affermato precedentemente, uno dei punti più deboli dell’insegnamento

della matematica, è il disinteresse e la noia che pervade gli studenti durante le ore di

lezione. E’ necessario abbattere l’idea di una disciplina puramente mnemonica, avulsa

dal mondo reale e caratterizzata da una ripetitività d’aula che provoca il rifiuto degli

studenti a qualunque tipo di applicazione allo studio, se non finalizzato al voto e non

alla conoscenza.

In generale l’insegnamento scientifico nei giovani deve quindi puntare allo sviluppo

di basi razionali su cui fondare un cambiamento concettuale e ciò implica spesso forti

resistenze da parte degli studenti. Le anomalie possono aiutare molto in questo tentativo

educativo; esse forniscono una sorta di conflitto cognitivo che prepara lo studente ad un

accomodamento delle proprie idee e quindi ad un cambiamento. Ma solo se lo studente

ha a disposizione dei modelli di giudizio e ragionamento scientifico validi tutto ciò si

potrà ottenere. Il rischio è che in mancanza di ciò una nuova teoria venga accettata solo

perché “lo dice il libro o il prof.”. Come può allora il docente aiutare gli studenti ad

59

accettare questi nuovi concetti? Può farlo puntando sia sugli obiettivi curriculari, sia sui

contenuti.

Per quanto riguarda i primi bisogna mirare a sviluppare negli studenti:

o Una consapevolezza delle proprie assunzioni personali e di quelle contenute

nella teoria scientifica;

o Una richiesta di coerenza delle proprie opinioni sul mondo;

o Una consapevolezza delle fondamenta storico-epistemologiche delle scienza

moderna;

o Un senso di fruttuosità dei nuovi concetti.

Se vogliamo sviluppare un cambiamento concettuale con basi razionali negli

studenti, i contenuti dei corsi scientifici devono essere tali da rendere le teorie

scientifiche intelligibili, plausibili e potenzialmente fruttuose. In quest’ottica bisogna:

o Dare più enfasi ai contenuti piuttosto che alla loro “copertina”;

o Includere “anomalie retrospettive”;

o Utilizzare ogni metafora, modello e analogia che renda più chiari e

plausibili i nuovi concetti.

Per quanto riguarda la matematica in particolare alcuni modi di intervento volti ad

aumentare la motivazione degli studenti possono essere:

o Inquadrare sotto un profilo storico ed epistemologico i vari argomenti. La

matematica non è sempre esistita, è frutto di lavoro, di studio ed è derivata

da esigenze dell’uomo;

o Collegare gli argomenti trattati a contesti di attualità e di realtà. Connetterli

con altre discipline. La matematica è vista troppo spesso come materia a sé

stante, che esiste solo in aula durante le lezioni e che non sarà più di alcuna

utilità una volta conseguito il titolo di studio;

o Utilizzare altre tecnologie, non solo la classica lavagna e il gesso.

L’informatica soprattutto può essere di grande aiuto e permette di

60

risparmiare tempo e fatica nei calcoli e concentrarsi sull’interpretazione di

fenomeni, sull’analisi dei risultati, sicuramente attività più interessanti,

stimolanti e varie.

L’utilizzo di anomalie per stimolare un cambiamento, cui si accennava prima, possono

essere un cardine di una delle principali azioni che un docente può mettere in pratica

un’azione didattica efficace: la rottura del contratto didattico. Si tratta, secondo la

definizione data da Brousseau e ripresa da D’Amore, dell’“insieme dei comportamenti

dell’insegnante che sono attesi dall’allievo e

l’insieme dei comportamenti dell’allievo che sono attesi dall’insegnante”. In pratica

non è che quell’insieme di norme che regolano le relazioni tra gli argomenti trattati,

l’insegnante, gli studenti e le loro attese; per la matematica in particolare si tratta di un

processo in cui l’allievo è consapevole di dover acquisire determinate nozioni, che

rientrano nell’istituzionalizzato sapere scolastico, e che lo porterà, giunto al momento di

dover dare risposte, non a porsi domande sul contenuto ma a cosa l’insegnante si aspetta

che egli faccia o risponda.

Si tratta quindi di puntare su una continua rottura di tale contratto, facendo in modo

che sia lo studente stesso a farsi carico dell’apprendimento (“consegna di

responsabilità”), costruendo egli stesso la conoscenza (“devoluzione”). Per raggiungere

tale scopo si può pensare di mettere in pratica situazioni a-didattiche, nelle quali gli

studenti affrontano attività che li coinvolgono senza essere a conoscenza delle finalità

cognitive che l’insegnante si ripromette di raggiungere. Verranno quindi presentate

delle situazioni problematiche che essi dovranno affrontare tentando diverse vie

risolutive, vagliando le possibili alternative e le conseguenze, formalizzando

conclusioni che saranno successivamente discusse con il resto della classe; durante

questi confronti lo studente dovrà argomentare e difendere le proprie scelte e tentare di

smontare, grazie all’utilizzo di controesempi, le posizioni altrui diverse dalle sue. Il

ruolo dell’insegnante in questo tipo di attività non sarà quello di charificatore di idee e

presentatore di informazioni, ma dovrebbe invece diventare per i ragazzi sia un

avversario in senso socratico, ovvero con la funzione di stimolo, di mediazione, di

verifica del processo di apprendimento; sia un modello di pensiero scientifico, quando si

61

assumerà il compito di istituzionalizzare le conoscenze conquistate durante l’attività

d’aula.

Questo tipo di approccio metodologico alla didattica richiede sicuramente un

maggior investimento in termini di tempo, con una conseguente riduzione della quantità

del lavoro eseguito, ma con un netto guadagno della qualità dell’apprendimento e del

coinvolgimento degli studenti. Può allora convenire focalizzare l’intervento tramite

attività a-didattiche sui cosiddetti nuclei fondanti della materia, cioè i contenuti chiave

della stessa disciplina matematica.

In questo modello di strategia d’insegnamento saranno importanti alcuni aspetti:

o In un’ottica costruttivista della matematica, si deve seguire un processo a

spirale nella costruzione dell’apprendimento, nel quale i vari punti vengono

affrontati più volte durante il percorso scolastico e dove i modelli intuitivi

degli alunni vengono via via accomodati, per giungere ad un modello di

concetto matematico vero e proprio;

o L’insegnante deve sempre avere il polso della situazione della classe,

ovvero un continuo monitoraggio delle conoscenze e delle competenze dei

singoli alunni. Il feedback è un ausilio fondamentale per il docente, in

quanto permette di perseguire l’individualizzazione dell’insegnamento e la

calibrazione della propria azione didattica;

o Sempre nell’ottica di interventi sempre più indirizzati e misurati sui singoli

studenti, vi è la possibilità di utilizzare diversi registri di rappresentazione

di uno stesso concetto (conversione) e di più rappresentazioni all’interno

dello stesso registro (trattamento). In questo senso possono venire in aiuto

software matematici, soprattutto di tipo tabulare e grafico, che possono

permettere allo studente di concentrarsi maggiormente sulla lettura del

grafico piuttosto che sulla sua costruzione; anche l’utilizzo di supporti

video, in particolare quando si crea un ponte interdisciplinare con altre

materie, per esempio con la Fisica, possono consentire di portare

maggiormente l’attenzione sui nuclei fondanti del tema in esame;

o L’atteggiamento entusiasta dell’insegnante nei confronti della materia mette

in gioco anche la sfera affettiva del rapporto docente-allievo. Il rapporto

62

asimmetrico fra questi due vertici del triangolo di Chevallard deve essere

improntato alla chiarezza ed al rispetto dei ruoli, sempre però con l’intento

di una collaborazione la più ampia possibile. Mettendo in primo piano

l’attenzione per i processi di apprendimento degli studenti (Didattica B),

l’insegnante può stimolare gli allievi a coinvolgersi in prima persona nella

costruzione della propria conoscenza;

o L’utilizzo dei lavori di gruppo permette ai ragazzi di effettuare un confronto

diretto ed informale con propri pari, stimolando una riflessione sulle

strategie risolutive delle anomalie adottate da se e dagli altri. L’insegnante

avrà una funzione di supervisore e potrà ottenere molte informazioni sul

livello di apprendimento generale e dei singoli individui, oltre che sulle

dinamiche interpersonali presenti nel gruppo-classe;

o Organizzare le lezioni in modo che una buona parte del tempo sia dedicata

alla discussione degli errori degli studenti. L’insegnante deve analizzare a

fondo l’errore per capire se si sia in presenza di misconcezioni o comunque

conflitti cognitivi. L’errore deve essere inteso non come un fallimento

insormontabile, ma come un’opportunità per riorganizzare e riorientare le

proprie attività di studio; quindi non deve assumere una connotazione

puramente negativa, ma essere uno strumento per un’elaborazione critica da

parte dello studente stesso.

Vincoli

La scuola presso la quale si svolge la mia attività di tirocinante è il Liceo Scientifico

“Aldo Moro”, di Reggio Emilia. L’istituto è dotato di diversi laboratori scientifici

(Fisica, Informatica), di una biblioteca molto fornita ed attiva, e vi è la disponibilità di

supporti multimediali (tv, videoproiettori, ecc.) da utilizzare in classe o in aule

debitamente predisposte.

La scuola, frequentata da molte centinaia di studenti, offre diversi indirizzi di studi

(tradizionale, PNI, ecc.). La classe 3°A, presso la quale si svolge il mio tirocinio, in

particolare fa parte del cosiddetto “Triennio Autonomia Scientifico”. Nell’ambito di

questa tipologia di corso si inseriscono due ore settimanali, su un monte ore di sette, di

63

codocenza: una con l’insegnante di filosofia ed una con il collega di fisica. Il gruppo-

classe è composto da 25 allievi, di cui 6 maschi e 19 femmine, e non presenta casi di

non superamento del debito formativo acquisito nell’anno scolastico precedente da parte

di sei alunni.

Il periodo di osservazione che sto effettuando mi porta ad affermare che il

comportamento della classe può essere definito nel complesso tranquillo e composto, e

le ore di lezione fluiscono abbastanza agevolmente senza dover ricorrere a frequenti

interventi disciplinari o di richiamo dell’attenzione da parte dell’insegnante.

L’atteggiamento da parte dei ragazzi appare quindi rispettoso ed essi, ad una prima

valutazione, si mostrano attenti e partecipi alla lezione. Ad una più approfondita

osservazione però si ha l’impressione che, più che curiosità ed interesse per ciò che in

aula viene fatto, vi sia una sorta di passività degli studenti nei confronti della materia, la

quale porta ad un atteggiamento apparentemente tranquillo e partecipe ma in realtà

nasconde una certa abulia nei confronti della matematica.

Osservando la classe dall’interno in queste settimane ho notato come gran parte

degli alunni passino il tempo a copiare pedissequamente tutto ciò che viene scritto alla

lavagna dall’insegnante o dai propri compagni che via via si alternano a risolvere

esercizi o a eseguire dimostrazioni durante le interrogazioni, senza una spiccata e

positiva partecipazione attiva e critica verso quello che viene fatto. A parte alcuni casi

di ragazzi che, durante la risoluzione pubblica di problemi, intervengono per

sottolineare incongruenze poste in essere dal proprio compagno interrogato in quel

momento o per suggerire vie alternative a quella proposta nella ricerca della soluzione

al quesito posto, la maggior parte della classe semplicemente prende nota di ciò che

viene scritto e detto rimandando, probabilmente, ad una successiva analisi da effettuare

a casa durante le ore di studio o di ripetizioni private i contenuti degli argomenti trattati

a scuola.

Mi sento quindi di affermare che il comportamento tranquillo e composto della

classe notato nei primi giorni del mio tirocinio deve essere attribuito in generale più ad

una passiva trascrittura di tutto ciò che viene detto e scritto durante la lezione che ad una

positiva ed attiva partecipazione agli specifici argomenti trattati.

Purtroppo sembra mancare per la maggior parte dei componenti di questo gruppo di

studenti quel sacro fuoco del desiderio di apprendere e capire una disciplina ricca di

64

risvolti ed implicazioni come la matematica. In molti di loro si vede quell’atteggiamento

negativo e di rifiuto di cui si parlava nel primo paragrafo di questo mio progetto, ovvero

quel sentire la matematica come una materia arida, fatta solo di numeri e formule da

imparare a memoria, senza un collegamento con la realtà e la quotidianità.

Tale mia impressione è stata più volte confermata dalle parole dello stesso

insegnante-tutor, la quale mi ha sempre dipinto la classe come di livello medio, con

alcune discrete ma non eccelse individualità da riscontrare più nella minoranza maschile

che nella maggioranza femminile, e formata da ragazzi votati più che altro ad assolvere

il proprio “ruolo istituzionale” di studenti piuttosto che a cercare di cogliere il lato

affascinante della disciplina. Infatti ciò che traspare, e che rattrista, è che la finalità

ultima degli alunni sia semplicemente quella dell’ottenimento di un voto adeguato

piuttosto che l’appagamento di una “curiosità intellettuale”.

Per quanto riguarda lo stile di insegnamento del tutor direi che si basa

fondamentalmente su un approccio classico con scansione modulare dei contenuti: il

nucleo della modalità d’intervento didattico è formato da lezioni frontali, nelle quali

l’insegnante presenta i nuovi argomenti alla lavagna con puntuali dimostrazioni e

definizioni, e risoluzioni di esercizi relativi al tema in esame. Vi è anche l’uso integrato

del laboratorio di informatica ed inoltre sono previsti lavori di gruppo e l’utilizzo della

lavagna luminosa durante le lezioni.

Per quanto riguarda in particolare la lezione frontale in essa la parte teorica di un

argomento viene affrontata in piccoli segmenti durante un certo lasso di tempo,

intervallandoli l’uno all’altro con interrogazioni nelle quali viene chiesto ai ragazzi di

affrontare fondamentalmente la risoluzione di problemi proposti precedentemente come

lavoro da fare a casa. Quindi nella stessa ora di lezione abbiamo la classica

interrogazione alla lavagna il più delle volte seguita da un’implementazione ed

ampliamento dell’argomento in esame grazie alla presentazione da parte del docente di

alcuni casi nuovi o particolari, di strategie risolutive alternative per gli esercizi già

affrontati o della dimostrazione di nuove formule da applicare ad una tipologia di

problemi più complessa e completa.

Durante le interrogazioni l’attenzione del tutor è rivolta fondamentalmente al ragazzo

chiamato alla lavagna; a volte l’insegnante ha fatto domande tipo “botta e risposta” agli

studenti al posto per mantenere viva la loro attenzione e concentrazione, evitando così la

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pratica di semplice trascrizione dalla lavagna già descritta precedentemente.

L’interrogazione, come già detto basata principalmente sulla risoluzione di esercizi dati

come compito a casa o scelti al momento dal tutor, a volte, per mancanza di tempo, può

essere terminata nella successiva ora di lezione. L’esito non viene comunicato al

termine della prova ma il giorno successivo, dopo che l’insegnante ha riletto le proprie

note scritte durante la prova stessa.

Le verifiche scritte in classe si basano anch’esse sull’affrontare problemi di diversa

difficoltà e complessità che abbracciano tutti i temi toccati fino a quel momento relativi

all’argomento specifico del programma annuale in esame. Il loro numero è preventivato

in circa una al mese per un totale di tre a quadrimestre. Sono previste dalla

programmazione individuale del tutor anche test a risposta multipla e questionari con

domande aperte. Come scritto nel programma annuale, il tutor si impegna a comunicare

l’esito delle prove non oltre il ventesimo giorno dalla loro effettuazione.

Il programma è diviso in nove moduli più un “modulo zero” di ripasso dei contenuti

principali dell’anno precedente:

o Modulo uno: disequazioni irrazionali con valori assoluti e sistemi di

disequazioni;

o Modulo due: sistema di coordinate sulla retta e sul piano, distanza fra due

punti, punto medio di un segmento, baricentro e area di un triangolo,

equazione della retta, rette parallele e perpendicolari, fasci di rette;

o Modulo tre: luoghi geometrici, la circonferenza, fasci di circonferenze;

o Modulo quattro: la parabola, fasci di parabole;

o Modulo cinque: l’ellisse;

o Modulo sei: l’iperbole, definizione generale delle coniche;

o Modulo sette: informatica: array monodimensionali;

o Modulo otto: concetti fondamentali di geometria nello spazio;

o Modulo nove: funzione esponenziale, equazioni esponenziali, funzione

logaritmo, equazioni logaritmiche.

Il testo in adozione è “Moduli di lineamenti di matematica - Modulo B: geometria

analitica del piano cartesiano”, di Dodero, Baroncini e Manfredi edito dalla Ghisetti e

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Corvi Editori. Esso vene usato essenzialmente come eserciziario, lasciando che la parte

teorica della lezione si basi, come già detto, su spiegazioni alla lavagna da parte

dell’insegnante. Il tutor ha anche utilizzato fotocopie di altri testi scolastici per integrare

le varie tipologie di esercizi e problemi presenti nel testo a disposizione dei ragazzi.

Prerequisiti

La classe, in base la programma stilato dal tutor ad inizio anno, avrà acquisito una

serie di competenze e di conoscenze prima del mio intervento attivo nell’ambito del

progetto di tirocinio che permetteranno di affrontare gli obiettivi specifici che mi sono

posto e che saranno elencati nel prossimo paragrafo. Tal prerequisiti possono così essere

riassunti:

o Insiemi numerici:

Saper applicare le regole delle operazioni nei vari insiemi numerici.

o Piano cartesiano:

Avere acquisito il concetto di luogo geometrico;

Saper calcolare la distanza tra due punti del piano;

Saper rappresentare una retta sul piano cartesiano:

- saperne riconoscere ed applicare l’equazione generale

- saperne riconoscere ed applicare i relativi significati geometrici del

coefficiente angolare e del termine noto.

o Equazioni:

Riconoscere e saper risolvere equazioni di primo grado;

Riconoscere e saper risolvere algebricamente equazioni di secondo

grado ad una incognita.

o Funzioni:

Aver acquisito il concetto di funzione, in particolare di funzione

matematica e saperla interpretare correttamente sul piano cartesiano.

o Sistemi:

Riconoscere e saper risolvere con metodi di opportuni sistemi di

equazioni di primo e secondo grado.

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Obiettivi specifici

Come si evince dal titolo di questo progetto, l’argomento scelto per il mo intervento

attivo in collaborazione con il tutor ed il supervisore è la parabola.

La scelta del tema è stata influenzata anche dalla mia Laurea in Fisica, in quanto

tutti e tre abbiamo pensato di poter sfruttare al meglio questa mia specifica preparazione

per creare un ponte didattico-culturale ben strutturato fra la matematica e la fisica; in ciò

si inquadra il titolo del progetto “La matematica della parabola da un punto di vista

storico-fisico”, nel quale si legge la volontà di avere come obiettivo primario lo studio

di tale conica utilizzando più registri e punti di vista: oltre a quello matematico più

formale, quello storico-epistemologico, quello fisico e quello tecnologico con le sue

applicazioni alla vita quotidiana.

Proprio in rispetto di tali nostre finalità l’utilizzo di mezzi multimediali - oltre a

quello classico della lavagna, della carta e della matita – come filmati di didattica della

fisica tratti dalla raccolta del PSSC, softwear specifici come Derive, documenti di

carattere matematico-storico tratti dal web e l’uso del laboratorio di fisica per un

esperimento sul moto accelerato, sarà alla base del mio intervento.

Gli studenti arriveranno ad incontrare la parabola dopo aver affrontato nei mesi di

novembre, dicembre e gennaio lo studio della circonferenza. Ciò mi permetterà un

approccio più semplice all’argomento che dovrò presentare, in quanto la classe ha già

avuto un primo contatto con le coniche.

Oltre agli obiettivi didattici ed educativi più generali presenti anche nel programma

annuale del tutor, come:

o far acquisire i contenuti a livelli più elevati di astrazione e di

formalizzazione;

o potenziare le capacità di utilizzare metodi, strumenti e modelli matematici in

situazioni diverse;

o sviluppare l’attitudine a riesaminare criticamente e a sistemare logicamente

le conoscenze via via acquisite,

68

ci siamo posti in maniera più specifica il raggiungimento di altre conoscenze

disciplinari riguardanti l’argomento del progetto, quali:

o Sapere rappresentare ed interpretare le caratteristiche grafiche delle funzioni

di 2° grado complete, comprendendo la rilevanza geometrica dei suoi

parametri;

o Sapere riconoscere la parabola e le sue caratteristiche geometriche;

o Sapere interpretare geometricamente le soluzioni di un’equazione di 2°

grado;

o Sapere interpretare le posizioni reciproche di rette e parabole sul piano

cartesiano;

o Essere in grado di determinare l’equazione di una parabola con l’asse

parallelo alle ordinate, dati tre punti o altre condizioni sufficienti;

o Essere in grado di determinate equazioni di rette tangenti ad una parabola

passanti per un punto;

o Essere in grado di determinare l’equazione di un fascio di parabole;

o Saper risolvere una disequazione di 2° grado utilizzando l’intersezione della

parabola con l’asse delle ascisse.

Nei momenti di confronto fra il sottoscritto, il tutor ed il supervisore è emersa

fortemente la volontà di raggiungere tali obiettivi attraverso una metodologia meno

classica che puntasse allo sviluppo negli studenti di un “pensiero funzionale”; questo li

può portare ad utilizzare vari registri interpretativi di una stessa situazione e creare in

loro un processo di integrazione di conoscenze che deve diventare un’attitudine mentale

degli studenti durante tutto il percorso scolastico, in modo che le tecniche matematiche

apprese non siano oggetto di pura applicazione meccanica ma frutto di una riflessione

sui significati nei diversi contesti affrontati.

L’utilizzo di supporti informatici dedicati e di link ad altre discipline non solo

scientifiche, per non parlare dei collegamenti con la quotidianità, sono a nostro avviso i

mezzi per ottenere tutto ciò e i punti qualificanti di questo progetto.

69

Organizzazione dei contenuti

Il lavoro da effettuare in classe durante la fase attiva del tirocinio è stato pensato

diviso in due fasi principali, a loro volta poi suddivise in sottofasi. Le ipotesi relative al

numero di ore da impiegare durante i vari punti toccati dal progetto sono ovviamente

puramente indicative; non è possibile preventivare esattamente quanto tempo può

richiedere un determinato argomento per essere spiegato alla classe e soprattutto

compreso dai ragazzi quando questi è completamente nuovo e particolarmente quando a

fare tutto ciò è un insegnante che, a parte la fase passiva del tirocinio, entra attivamente

per la prima volta nell’aula. Sarà necessario quindi un periodo iniziale di calibrazione

dell’intervento da parte mia; ciò implica che in itinere, ovviamente in accordo con il

tutor, alcune variazioni sia sui temi da affrontare che sui tempi necessari per fare tutto

ciò potranno essere fatte rispetto alla mappa dei contenuti che poco più sotto vado ad

esporre.

A parte una prova scritta a fine tirocinio, che permetta di valutare l’avvenuta

comprensione dei concetti affrontati ed il raggiungimento dei relativi obiettivi specifici

previsti, ho preferito non riportare qui i momenti precisi in cui verranno effettuate

eventuali altre verifiche formative e sommative, e neanche la quantità di ore necessaria,

perché ritengo che ciò dovrà essere deciso strada facendo da me ed il tutor in base

all’impressione che coglieremo “sul campo” di come la classe sta recependo i nuovi

argomenti. Anche come tali verifiche saranno strutturate potrà variare a seconda di

quello che osserveremo durante le ore di lezione. Mia intenzione è però quella di

proporre non solo tipologie di esercizi già affrontati in classe, ma anche problemi

collegati al reale con i quali i ragazzi dovranno dimostrare di essere in grado di

rielaborare i concetti trattati, allontanandosi dalla semplice e sterile applicazione di

formule. La correzione verrà fatta in classe la lezione successiva; questo è

indubbiamente uno dei momenti più formativi per gli studenti, e ad esso verrà dedicato

tutto il tempo necessario.

E’ invece implicito che durante le ore di lezione vi saranno continui momenti di

verifica orale della preparazione dei ragazzi seguendo la falsa riga della modalità messa

in essere normalmente dal tutor durante le sue lezioni.

70

FASE 1: APPROCCIO STORICO-EPISTEMOLOGICO E FISICO

Storia ed epistemologia (1 ora circa)

In questo primo appuntamento con la classe è mia intenzione come prima cosa

illustrare ai ragazzi che cosa andremo a fare insieme, per renderli partecipi del progetto

in prima persona e non farli sentire come semplici “riceventi” di nozioni calate

dall’alto. Sapere fin dall’inizio quello che l’insegnante intende raggiungere ed in che

modo pensa di farlo rende gli studenti consapevoli protagonisti della propria formazione

culturale.

Dopo questa introduzione farò un excursus storico-epistemologico sugli studi e

soprattutto sugli scienziati che nei secoli passati hanno affrontato per primi lo studio

della parabola. L’obiettivo è quello di far vedere loro che la matematica non è qualcosa

che è sempre esistito ma è il frutto del duro lavoro di uomini e donne che spesso hanno

trovato motivo di ispirazione per le proprie fatiche dalla vita quotidiana e non

dall’astrattezza nella quale spesso la matematica è pensata da parte dei più derivare.

In questa fase verrà fornito alla classe materiale scaricato dalla rete riguardante la

vita e le opere di illustri studiosi del passato, quali Apollonio, Hypatia di Alessandria,

ecc.

Fisica (3 ore circa)

Verranno mostrati ai ragazzi alcuni spezzoni tratti dai film didattici “Sistemi di

riferimento” e “Moti armonici” appartenenti alla famosa serie di documentari

scientifici degli anni cinquanta curati dal PSSC. Nel primo di questi verrà mostrato il

moto di caduta di un grave: inizialmente visto da un sistema di riferimento fermo

rispetto al laboratorio e nel quale il grave si muove orizzontalmente in moto rettilineo

uniforme prima di essere lasciato cadere e poi visto da un sistema solidale con quello

del grave. In questo modo si attirerà l’attenzione della classe sul fatto che il moto del

grave è composto da uno orizzontale rettilineo uniforme e da uno verticale

uniformemente accelerato.

Nel secondo filmato verrà mostrata la ricostruzione del moto visto precedentemente

grazie ad una serie di palline che rappresentano la posizione del grave ad intervalli di

tempo uguali e formanti una traiettoria di forma parabolica. Tale modello sarà visibile

71

sia dall’alto (mettendo in mostra il moto rettilineo uniforme avvenuto lungo l’asse delle

ascisse) che da un punto di vista posto lungo la direzione di spostamento orizzontale del

corpo (evidenziando così la componente verticale della caduta, data da un moto

rettilineo uniformemente accelerato). Grazie ad un terzo contributo filmato si vedrà

come in un moto uniformemente accelerato la proporzionalità fra spazio percorso e

tempo è di tipo quadratico.

Sarà poi organizzato un esperimento nel laboratorio di fisica nel quale i ragazzi

potranno vedere direttamente sullo schermo del computer il grafico s-t (spazio-tempo)

di un moto uniformemente accelerato, osservando che la proporzione fra le due

grandezze non è lineare. Questo grafico verrà riutilizzato nella Fase 2 per notare come

tale curva sia ben approssimata dall’equazione di una parabola.

FASE 2: APPROCCIO MATEMATICO

y = ax2 (1 ora circa)

Verrà introdotta, grazie anche ai dati raccolti precedentemente in laboratorio ed alle

osservazioni fatte durante la visione dei filmati del PSSC, la relazione di proporzionalità

quadratica fra due grandezze esprimibile come y = ax2. Verrà poi data la definizione di

parabola come luogo geometrico e facendo il caso particolare della parabola con vertice

sull’origine degli assi cartesiani si vedrà come la sua equazione sia esattamente uguale

alla relazione di proporzionalità quadratica trovata precedentemente ed il suo grafico

approssimi molto bene quello ottenuto durante l’esperimento in laboratorio.

y = ax2 + bx + c (1 ora circa)

La seconda tappa sarà quella nella quale verrà generalizzato il caso particolare di

equazione della parabola visto in precedenza. Si passerà quindi ad analizzare la

funzione di 2° grado completa y = ax2+bx+c, introducendo le coordinate del fuoco, del

vertice, l’equazione della generatrice e dell’asse.

x = ay2 (1 ora circa)

Anche se solo come accenno verrà mostrato alla classe il caso della parabola con

asse parallelo a quello delle ascisse.

72

Utilizzo di Derive (1 ora circa)

Questa fase del lavoro prevede una prevalenza del registro grafico, per cui ci si

avvarrà dell’uso di strumenti informatici, in particolare del software Derive, che

permettono una maggiore rapidità nella costruzione della curva, consentendo di spostare

l’attenzione degli allievi su lettura ed interpretazione, piuttosto che sulla sua creazione.

Si mostreranno anche i casi “degeneri”, ovvero come cambia il grafico con il

tendere del parametro a a zero e ad infinito. Inoltre si capirà cosa implica graficamente

il segno sempre del parametro a. Nel caso in cui il laboratorio non sia accessibile, è

sufficiente avere a disposizione un proiettore collegato ad un computer portatile.

L’intento di questo intervento è molteplice: forse il più evidente è quello di

sottolineare l’importanza del “parametro” come simbolo che consente la

generalizzazione, restituendogli una dignità che troppo spesso nell’attività di classe gli è

negata da esercizi di pura manipolazione simbolica. Anche in questo caso si tratta di un

percorso didattico che tenta di devolvere agli studenti la costruzione della conoscenza,

seppure in maniera guidata dall’insegnante cui tocca infine, al solito,

l’istituzionalizzazione della stessa.

Casi particolari (1 ora circa)

Partendo dall’ormai nota funzione quadratica si effettueranno valutazioni sui

parametri b e c, introducendo funzioni del tipo y = ax2+c e y = ax2+bx onde dedurne

più agevolmente il significato geometrico.

Risoluzione di una disequazione grazie al grafico di una parabola (1 ora circa)

Si parlerà di “zeri di funzione” e si indagherà sul significato geometrico di equazioni

con una, due o nessuna soluzione e, quindi, su come il valore del discriminante

dell’equazione determini la posizione della parabola rispetto all’asse x. Si avrà

l’accortezza di parlare di due soluzioni coincidenti dell’equazione in relazione alla

situazione limite di tangenza dell’asse.

L’intento è quello di unificare lo studio di oggetti e relazioni dell’algebra con quelli

della geometria, manipolando registri simbolici diversi per uno stesso fenomeno.

73

Ricerca dell’equazione della parabola dati alcuni parametri (2 ore circa)

Nella prima parte di questa lezione si vorrà ottenere l’equazione di una parabola

passante per tre punti del piano di coordinate note. In primo luogo si tornerà ad

analizzare il problema, dal punto di vista algebrico, di una retta passante per due punti,

sottolineando la necessità di avere due equazioni indipendenti per determinare i due

coefficienti che individuano univocamente una retta. Si constaterà quindi la necessità di

avere tre equazioni indipendenti per ottenere univocamente i tre parametri che

individuano la parabola.

Nella seconda parte si otterrà l’equazione della parabola presentando altre condizioni

analoghe (un parametro e due punti, il vertice e un punto, l’equazione dell’asse di

simmetria e due punti). Si intende tentare, in questa maniera, di evitare che la

risoluzione di esercizi si trasformi in un procedimento meccanico e ripetitivo di

procedure standard tendenti quindi a staccarsi dal significato da cui hanno tratto origine.

Posizione reciproca tra retta e parabola (1 ora circa)

Si analizzeranno per prima cosa geometricamente le possibili posizione reciproche

di parabole e rette; verrà posta attenzione al caso particolare di rette parallele all’asse di

simmetria. Dopo alcuni esercizi per i quali si utilizzerà una risoluzione grafica, si

guiderà la classe a riconoscere in questo tipo di problemi quesiti già affrontati

precedentemente quando si ricercavano i punti di intersezione fra retta e circonferenza.

Lo scopo è quello di far trovare agli studenti stessi il legame che intercorre fra il segno

del discriminante e la posizione reciproca della retta rispetto alla parabola

Retta tangente alla parabola (2 ore circa)

In queste ore saranno presentati alla classe problemi che richiedono di trovare

l’equazione di una retta tangente ad una parabola nota, conoscendo le coordinate di un

punto della retta oppure il suo coefficiente angolare. Saranno operate inizialmente

considerazioni geometriche inerenti la posizione del punto sul piano cartesiano rispetto

alla parabola data (interno, esterno o sulla parabola), analizzando le varie possibilità

relative (nessuna, due o una tangente) e successivamente altre che consentiranno

all’insegnante di sottolineare, una volta in più, come la tangente possa essere

interpretata come caso limite della secante, con i due punti di intersezione coincidenti.

74

Gli studenti saranno quindi invitati al passaggio al registro algebrico, e dovranno

individuare metodi di risoluzione dei problemi attraverso una discussione in classe; tale

discussione sarà guidata dall’insegnante che dovrà comunque cercare di fornire meno

informazioni possibili, nella consapevolezza che meno si dirigono gli studenti verso la

soluzione, più loro tenderanno ad appropriarsene, a farsene carico.

Fasci di parabole (1 ora circa)

Conoscendo già i fasci di rette, non sarà eccessivamente difficile per la classe

familiarizzare anche con il concetto di fasci di parabole. Si porrà soprattutto l’accento

sulla determinazione dell’equazione del luogo dei punti dei vertici delle parabole stesse.

Anche in questo caso si cercherà soprattutto di guidare una discussione collettiva

all’interno del gruppo degli studenti affinché risolvano autonomamente il problema

posto; si fortificherà così in loro il consolidamento di un procedimento logico-

matematico che potrà essere utilizzato quando si affronteranno nuovi quesiti, invece che

imparare a memoria ed applicare meccanicamente una formula risolutrice.

Curiosità fisica e collegamento fra parabola ed ellisse (1 ora circa)

Per concludere si mostreranno agli studenti alcune curiosità fisico-matematiche che

ritengo possano mantenere viva la loro curiosità sull’argomento.

La prima, di molto semplice realizzazione, consiste nel portare in classe una torcia

elettrica e proiettare nell’aula buia un fascio di luce contro una parete. Si mostrerà così

ai ragazzi come l’intersezione fra un cono (il fascio di luce) e un piano (la parete) , a

seconda dell’angolo formato da piano e asse del cono, possa formare diversi tipi di

coniche. In particolare farò vedere come partendo da una circonferenza (asse del cono

perpendicolare al piano) si passi, inclinando semplicemente la torcia, prima ad

un’ellisse e poi ad una parabola. La stessa cosa sarà poi vista proiettando alcune

immagini riportate su slides di Power Point di vari tipi di intersezione fra cono e piano.

Infine si getterà un’ultima occhiata ad un interessante aspetto fisico del moto di un

proiettile e si creerà così un ponte tra un argomento che si va a concludere con il mio

intervento (la parabola) e quello successivo che affronterà il tutor (l’ellisse). Per fare

questo si ricorrerà all’esperimento concettuale di Newton del proiettile sparato dalla

cima di una montagna parallelamente al suolo. Grazie a ciò che è stato affrontato nella

75

Fase 1 i ragazzi sapranno già che la traiettoria di questo proiettile è una parabola;

verranno portati ad osservare che, aumentando la spinta iniziale impressa dal cannone,

la gittata del proiettile aumenterà sempre più. Quando la distanza percorsa

orizzontalmente comincerà ad essere considerevole non potrà più venir trascurata la

curvatura terrestre, e proseguendo nel far crescere la gittata, si potrà dimostrare che si

arriverà al punto che il proiettile ritorna al punto di partenza percorrendo un orbita

circolare. Si farà così capire loro che un oggetto in orbita è in continua caduta e che

viceversa un oggetto in caduta è in orbita. Da questo concetto si potrà immediatamente

passare al collegamento con l’ellisse, facendo vedere agli studenti che, se si

immaginasse il nostro pianeta tutto condensato al proprio centro, quando il proiettile

cade con traiettoria parabolica e non incontra il suolo non può far altro che posizionarsi

su un’orbita questa volta non circolare ma di forma ellittica.

L’utilizzo di una presentazione in Power Point raffigurante ricostruzioni grafiche

dell’esperimento concettuale di Newton renderà più fruibile la spiegazione da parte

degli alunni, tagliando i tempi morti legati alla necessità di disegnare a mano libera sulla

normale lavagna.

Valutazione

Mantenendo la linea tracciata dal tutor nel suo programma annuale, la valutazione

delle prove scritte terrà conto della correttezza e della qualità delle procedure usate nello

svolgimento dei problemi, dalla correttezza e completezza dei risultati ottenuti,

dall’ordine e dalla chiarezza nella presentazione dell’elaborato. Per la valutazione si

userà la scala decimale (1-10).

La valutazione delle prove orali terrà conto della correttezza e completezza dei

contenuti esposti, dell’organizzazione degli stessi nell’esposizione, del linguaggio usato

e della rielaborazione personale e farà uso dell’intera scala decimale.

La valutazione va intesa come un processo che fornisce importanti informazioni

all’insegnante, per controllare l’efficacia della propria condotta didattica e influenzare

perciò le sue future decisioni, ma anche all’allievo, che può grazie a questo strumento

verificare il proprio livello di conoscenza e le proprie competenze. In particolare nelle

verifiche formative, lo scopo fondamentale non è tanto quello di dare i risultati corretti

ma di puntare a conseguire gli obiettivi prefissati. Ciò è ben riassunto da Perrenoud nel

76

suo lavoro citato da Fandiño Pinilla, nel quale afferma: “Se la valutazione vuole fornire

informazioni e vuol essere pertinente, allora deve essere lo strumento tramite il quale

l’insegnante sprona l’allievo e sé stesso a sviluppare meglio il processo di

insegnamento-apprendimento, aiutando in questo l’allievo a non essere solo un attore

in dipendenza del contratto didattico”.

La valutazione individuale degli allievi non è comunque ristretta alla sola verifica

sommativa, ma è attuata lungo tutto l’arco del progetto e terrà conto non solo del

raggiungimento degli obiettivi specifici prefissati ma anche della partecipazione e

dell’interesse mostrati, della capacità di gestire i nuovi contenuti affrontati e di

collegarli ad altri argomenti sia matematici che di altre discipline, della padronanza del

linguaggio matematico e dei contenuti. Sintetizzando il pensiero di Fandiño Pinilla si

può affermare che le capacità in matematica non si misurano solo a livello cognitivo ma

occorre prendere in considerazione anche capacità comunicative, metacognitive ed

affettive, essendo evidente la loro importanza nel processo di insegnamento-

apprendimento e a fronte di esigenze comunicative.

77

Bibliografia

D’Amore B. (1999). Elementi di didattica della matematica. Bologna: Pitagora.

D’Amore B. & Godino J. D. (2003). Competenze in matematica. Bologna: Pitagora.

G. Carolla (2005). Qualche spunto di didattica matematica e programmi al computer

sulle progressioni e medie. Articolo tratto dal CD edizione 2005 dell’Associazione

per la Didattica con le Tecnologie (ADT).

Fandiño Pinilla M. I. (2002). Curricolo e valutazione in matematica. Bologna: Pitagora.

Marchi M. & Marro A. (2006). Incomparabile avventura della mente. Nuova

secondaria, N.1 2006, anno XXIII.

Posner G. J., Strike K. A., Hewson P. W., Gertzog W. A. (1982). Accommodation of a

scientific conception: toward a theory of conceptual change. Science Education

66(2): 211-227 (1982).

Zan R. (1999). Opinioni (non di lusso) sulle difficoltà in matematica. Articolo tratto da Allievo,

Insegnante, Sapere: dagli studi teorici alla pratica didattica, IV seminario internazionale di

didattica della matematica, a cura di B. Jannamorelli e A. Struzzi, Ed. Qualevita, Sulmona, 23-24-

25 aprile 1999, pagg. 31-42.

Libro di testo

Dodero N. , Barboncini P. , Manfredi R. (1999). Lineamenti di matematica. Milano: Ghisetti e Corvi.

Siti consultati

http://www.unibo.dm.it

http://web.unife.it/altro/tesi/A.Montanari/Apolloni.htm

http://www2.math.unifi.it/~archimede/archimede/index.html

78

SSIS VII ciclo Indirizzo FIM – classe A049

Progetto virtuale di Fisica

Approccio sperimentale alla

legge del moto di Newton

Massimiliano Bacchi

“Un aspetto chiave nella vita dei giovani

è la ricerca di significato e di rilevanza.

Piacciono quelle discipline in cui la loro

voce è tenuta in seria considerazione, in

cui le loro visioni contano. La scienza e

la matematica hanno un’immagine di

autorità, almeno come materie

scolastiche. E’ facile dimostrare la

nostra ignoranza in tali materie. La

mancanza di possibilità di attribuire

significati personali alla conoscenza e

l’idea che esistano verità eterne e

risposte corrette allontanano molti più

giovani oggi di ieri”.

(Sjøberg, ESERA Conference, 2001)

79

Finalità e strategia d’insegnamento

Molte persone colte che apprezzano la Letteratura, la Musica, le Arti figurative, e che

hanno maturato il gusto del bello nelle varie espressioni della creatività dell’uomo,

purtroppo considerano la Fisica come una disciplina misteriosa che ha sempre mostrato

loro un aspetto non attraente, quando non addirittura “orrendo”. Queste persone, spesso,

con un tratto di civetteria snobistica, si vantano di non aver mai capito nulla di Fisica,

né di aver mai provato interesse per essa e sia pure in senso diverso, affermano il vero:

non ne hanno mai capito lo spirito profondo, non sono mai stati messi in condizione di

vederne il lato estetico; non sarebbe altrimenti giustificabile che una persona di media

intelligenza non fosse in grado di comprendere semplici processi logico-razionali. Il

“non ne ho capito nulla” è in realtà conseguenza di un rifiuto verso la Fisica quale

sovente viene presentata negli anni di scuola, verso l’elenco arido di formule

preconfezionate e la loro applicazione a problemi apparentemente assurdi da affrontare

e risolvere con tecniche di puro automatismo matematico; tutto ciò è lungi dal

provocare interesse e stimolare curiosità, inducendo invece repulsione e rifiuto. Il

motivo per cui la Fisica, insieme alla Matematica, è in Italia la più detestata delle

materie scolastiche probabilmente va cercato proprio nel fatto che la nostra scuola la

insegna come fine a se stessa senza far scoprire agli studenti le mille applicazioni e non

ne trasmette il fascino e la forza.

Certo che se due illustri intellettuali del passato hanno affermato che “O si fa scienza

o si fa arte” (Benedetto Croce) e che “la matematica (possiamo leggervi anche la fisica,

n.d.a.) è morta, infeconda, arida come un sasso” (Gentile), si può ben capire perché le

scienze siano sempre state viste nella scuola italiana quasi come un elemento estraneo

alla formazione culturale (prevalentemente di stampo classico) dei giovani studenti.

Questa impostazione formativa ha portato da tempo all’idea che nell’istituzione

scolastica italiana vi debba essere una netta divisione (contrapposizione) tra le materie

tipicamente umanistiche e quelle scientifiche; e la scuola stessa poco o nulla ha fatto per

smentire tale opinione che, purtroppo, è dei più. Ciò porta al preconcetto dell’esistenza

di due culture ben separate, quella letteraria e quella tecnico-scientifica, che possono

fare a meno una dell’altra. Si ignora però in questo modo che la sete di conoscenza e

l’amore per la scoperta che guida un matematico o un fisico da una parte ed uno storico

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o un italianista dall’altra è esattamente la stessa. La cultura non deve essere divisa in

compartimenti stagni; i contatti e gli scambi fra le varie discipline sono fecondi di

crescita per tutti.

Quando un nostro studente ci dice la classica frase “ma non mi servirà a niente tutta

questa roba!”, non possiamo che dargli ragione. Solo se siamo in grado di stimolare la

curiosità nei giovani, provocando in loro il gusto della discussione e del dubbio, facendo

sentire quanto fascino abbia il “mettersi in gioco”, facendo vedere loro quali sono i

rapporti con la realtà dalla quale la costruzione dell’edificio delle teorie fisiche prende

le mosse, possiamo pensare di aprire la mente degli studenti al fascino ed al mistero

delle scienze come incomparabile avventura dell’intelletto umano.

Il collegamento con il quotidiano e l’analisi storico-epistemologica dei vari

argomenti da affrontare in classe sono, a mio avviso, punti fondamentali di questo

approccio meno arido che tutti auspichiamo. Il ragazzo deve sentire che dietro ad una

legge, dietro ad una teoria, dietro ad una formula ci sono, con la loro umanità e la loro

storia, uomini e donne che nei secoli passati si sono posti domande molto concrete ed

hanno cercato soluzioni e spiegazioni ad esigenze quotidiane e profondamente tangibili;

inoltre deve essere messo al corrente che questo faticoso lavoro ha portato a ricadute

pratiche delle quali lui stesso, spesso inconsapevolmente, prova giornalmente i benefici.

Bisogna lottare contro l’idea che la Fisica, così come viene fatta normalmente a

scuola, sia qualcosa di completamente distaccato dalla realtà della nostra società, cioè

che sia un qualcosa di astratto non collocabile storicamente e temporalmente nella vita e

nell’evoluzione del pensiero e della comunità umana.

Se il ragazzo sente che attraverso l’apprendimento delle scienze in generale permette

alla propria mente di sviluppare facoltà intuitive e logiche, di incrementarne le capacità

di astrazione e di formazione dei concetti, di esercitare il ragionamento induttivo e

deduttivo, di accrescere la capacità di sintesi e di risoluzione di problemi grazie a

ragionamenti coerenti, di esercitare l’utilizzo di un linguaggio appropriato e rigoroso,

forse avrà trovato ciò che spesso invece manca nei giovani studenti: il gusto dello studio

di una materia difficile ma allo stesso tempo affascinante, il piacere di capire e l’idea ,

per me fondamentale, che la conoscenza scientifica è una “sfida”. E se accade ciò noi

come insegnanti avremo fatto bene il nostro lavoro.

81

In generale l’insegnamento scientifico nei giovani deve quindi puntare allo sviluppo

di basi razionali su cui fondare un cambiamento concettuale e ciò implica spesso forti

resistenze da parte degli studenti. Le anomalie possono aiutare molto in questo tentativo

educativo; esse forniscono una sorta di conflitto cognitivo che prepara lo studente ad un

riadattamento delle proprie idee e quindi ad un cambiamento. Ma solo se lo studente ha

a disposizione modelli di giudizio e ragionamento scientifico rigorosi tutto ciò si potrà

ottenere. Il rischio è che in mancanza di ciò una nuova teoria venga accettata solo

perché “lo dice il libro o il prof.”. Come può allora il docente aiutare gli studenti ad

accettare questi nuovi concetti? Può farlo puntando sia sugli obiettivi curriculari, sia sui

contenuti.

Per quanto riguarda i primi bisogna mirare a sviluppare negli studenti:

o Una consapevolezza delle proprie assunzioni personali e di quelle contenute

nella teoria scientifica;

o Una richiesta di coerenza delle proprie opinioni sul mondo;

o Una consapevolezza delle fondamenta storico-epistemologiche delle scienza

moderna;

o Un senso di fruttuosità dei nuovi concetti.

Se vogliamo sviluppare negli studenti un cambiamento concettuale con basi

razionali, i contenuti dei corsi scientifici devono essere tali da rendere le teorie

scientifiche intelligibili, plausibili e potenzialmente fruttuose. In quest’ottica bisogna:

o Dare più enfasi ai contenuti piuttosto che alla loro “copertina”;

o Includere “anomalie retrospettive”;

o Utilizzare ogni metafora, modello e analogia che renda più chiari e

plausibili i nuovi concetti.

Personalmente ritengo che la strategia di base da seguire nello strutturare un corso di

Fisica in una scuola superiore sia quella di puntare a un generale sviluppo intellettuale

degli studenti, e che quindi sia necessario fornire ai ragazzi l’occasione di ragionare e di

esprimere le proprie idee, e nello stesso tempo di permettere loro di seguire i

82

ragionamenti fatti da altri. Per far questo torna utile pensare alla Fisica come

“interrogare la natura in base alle ipotesi”, cioè puntare a migliorare le capacità degli

alunni come osservatori e sperimentatori, e sviluppare in loro la qualità di saper

distinguere ciò che è importante ed essenziale da ciò che non lo è. Ma come fare tutto

questo? La risposta a questa domanda è il nome di un luogo: il laboratorio. Infatti è in

esso che meglio si può applicare un’altra affascinante definizione di che cosa sia la

Fisica: “studio finalizzato della natura”, dove studiare o esaminare altro non vuol dire

che porre domande, ottenere risposte, controllare le risposte e porre altre domande fino

ad ottenere un quadro sufficientemente chiaro e plausibile del fenomeno studiato.

In quest’ottica il mio progetto riguarda un segmento di percorso che vuole giungere

alla destrutturazione di un’idea aristotelica del moto tipica degli studenti abituati alla

presenza dell’attrito nella vita di ogni giorno e ad avvicinarli alla legge del moto di

Newton ed al concetto di massa inerziale.

Infatti molti studi mostrano che quando gli studenti devono riflettere su un problema

di meccanica dove l’immediata applicazione della relazione F = ma non sia così ovvia,

vi è una tendenza a ricadere nelle idee aristoteliche. Per evitare ciò verranno fornite ai

ragazzi esperienze e materiale atti a superare tali concetti “errati”, puntando così ad

“enfatizzare caratteristiche del gioco tipico della fisica: creare un ponte tra il mondo dei

fatti e quello delle forme razionali elaborate per comprenderlo”.

Questo approccio è tipicamente sperimentale, ed in esso si punterà pertanto ad

affrontare prima gli esperimenti in laboratorio e poi lo studio sul libro. Questo

permetterà ad ogni studente di farsi una propria idea personale sull’azione di una forza

costante su di un corpo.

Le attività si svolgeranno quindi prima in laboratorio per l’esperimento e poi in aula

per la discussione ed i chiarimenti. A questo scopo la classe verrà esortata ad intervenire

e si cercherà di stimolare il gruppo a discutere liberamente dei concetti e dei problemi

che verranno proposti. I conflitti cognitivi che nasceranno durante l’acquisizione dei

nuovi concetti verranno portati alla luce e resi il più espliciti possibile: si useranno per

questo fine esercizi e problemi individuali e di gruppo che punteranno anche a

consolidare le conoscenze già acquisite.

83

La correzione degli errori e l’eventuale critica sulle strategie utilizzate nella

risoluzione di problemi saranno un punto fondamentale dei momenti di lavoro di

discussione effettuato in classe.

Vincoli e prerequisiti

Il mio progetto di percorso didattico si rivolge ad una classe terza di un liceo

scientifico, che affronta per la prima volta la relazione fra il moto e le forze, ovvero la

dinamica, in un’ottica disciplinare.

Agli studenti vengono richiesti i seguenti prerequisiti:

o Conoscere i concetti di spazio e tempo.

o Conoscere e padroneggiare il concetto di grandezze direttamente e

indirettamente proporzionali e saper leggere ed utilizzare i relativi grafici.

o Conoscere e saper interpretare i grafici spazio-tempo e velocità-tempo.

o Conoscere i concetti di velocità, velocità media e velocità istantanea.

o Conoscere la nozione di moto rettilineo uniforme.

o Conoscere il concetto di sistema di riferimento spazio-temporale.

o Conoscere, comprendere e calcolare le incertezze sperimentali.

Si può ipotizzare che il percorso si sviluppi in un lasso di tempo di circa 10-12 ore.

Obiettivi specifici

o Destrutturare l’idea aristotelica del moto.

o Comprendere e conoscere il legame fra variazione di velocità e forza

applicata.

o Comprendere i concetti di accelerazione, accelerazione media, accelerazione

istantanea e di moto uniformemente accelerato e saperli mettere in relazione

con la rappresentazione grafica.

o Comprendere il concetto di massa inerziale.

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o Conoscere e comprendere la legge del moto di Newton.

o Saper descrivere un moto a partire dall’analisi del grafico.

o Saper costruire un grafico a partire dalla descrizione del moto.

o Saper costruire e mettere in relazione i grafici posizione – tempo, velocità –

tempo e accelerazione – tempo.

o Acquisire consapevolezza e abilità nella raccolta dei dati sperimentali e

nella loro rappresentazione grafica.

o Acquisire consapevolezza del passaggio dai fatti naturali ai fenomeni fisici,

e nel successivo processo di formalizzazione matematica.

Organizzazione dei contenuti

Come già detto precedentemente, la scelta di questo progetto è quella di avvicinare

per la prima volta gli studenti alla legge del moto di Newton tramite esperienze in

laboratorio, ed in particolare gli esperimenti 3 e 5 presenti nella guida al laboratorio a

sussidio del libro di testo “ Fisica” a cura del PSSC (4° edizione). Questi potranno

fornire una diretta e personale esperienza di una forza costante esaminata sotto l’aspetto

dinamico (e non statico, come avviene per esempio quando si sostiene un oggetto con

una mano).

Fase 1: Approccio sperimentale alla variazione di velocità con una forza costante

I ragazzi verranno in primo luogo fatti riflettere sul fatto che, secondo l’esperienza

quotidiana, per mettere in movimento un oggetto o per variarne la velocità è necessario

agire su di esso applicando una certa azione, che verrà chiamata forza.

Obiettivo dell’esperimento numero 3 è che gli studenti ricavino dalle loro

misurazioni, nel limite delle incertezze sperimentali, la relazione quantitativa fra le

variazioni della velocità di un oggetto e la forza su di esso applicata, cioè che osservino

che una forza costante agente su un corpo ne varia la velocità in modo costante.

Per svolgere l’esperimento saranno necessari i seguenti materiali:

o Marcatempo e nastro di carta,

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o Tavolo,

o Carrello,

o Mattoncini,

o Morsetti,

o Asta graduata,

o Elastico (o una molla),

o Fermo applicato al tavolo per fermare il carrello.

Il tavolo dovrà avere la superficie possibilmente ben levigata ed orizzontale; ad una

sua estremità verrà fissato con dei morsetti il marcatempo, e il relativo nastro di carta

avrà un’estremità collegata al carrello.

Prima di eseguire l’esperimento per misurare gli effetti di una forza costante, verrà

studiato il moto del carrello quando non vi è alcuna forza agente su esso (se la velocità

del carrello è sufficientemente elevata, le forze di attrito dovute allo scorrere della

striscia di carta nel marcatempo ed al rotolare delle ruote del carrello sul tavolo saranno

trascurabili; potremo quindi affermare che per un intervallo di tempo relativamente

breve sul carrello non agisce alcuna forza). Si imprimerà quindi una spinta iniziale al

carrello, sul quale sono stati posti due mattoncini e dopo aver avviato il marcatempo,

per alcuni istanti, si osserverà che una volta cessata la spinta esso continuerà ancora per

qualche momento a muoversi. Si ripeterà la prova diverse volte e con differenti spinte

iniziali. Grazie al nastro del marcatempo si potrà tracciare un grafico velocità-tempo del

carrello dal quale si potrà osservare che la sua velocità, subito dopo che la spinta si è

esaurita, è quasi costante, e che il moto è quasi uniforme quando il carrello si muove a

velocità elevata.

A questo punto si potrà far riflettere gli studenti su quest’ultima osservazione e

confrontare ciò che è stato visto in laboratorio con le idee comunemente derivate

dall’esperienza quotidiana (concetti aristotelici del moto), ovvero creare in loro quelle

anomalie di cui si è accennato in precedenza. Far loro osservare che il carrello per brevi

intervalli di tempo si è mosso a velocità costante nonostante nessuna forza agisse su di

esso può far scattare nelle loro menti un conflitto cognitivo fra le idee pregresse di

origine aristotelica, ancora molto comuni sia fra chi non ha mai studiato la Fisica e sia

fra chi lo ha fatto, ma in maniera puramente nozionistica e non sperimentale, e le

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osservazioni dirette effettuate in laboratorio. Tutto ciò potrà aiutare ad introdurre ai

ragazzi la prima legge del moto o legge di inerzia, necessaria per arrivare a

comprendere appieno la legge del moto di Newton.

Si passerà poi ad osservare l’effetto di una forza costante sulla velocità del carrello.

Al carrello caricato con due mattoncini verrà attaccato l’elastico, che sarà fissato con

l’altro capo all’asta graduata. Un allievo terrà fermo il carrello, mentre un altro spingerà

in avanti l’asta fino ad ottenere un allungamento dell’elastico prestabilito (ciò dipenderà

dal tipo di elastico). Ad un segnale convenuto il carrello verrà lasciato libero di

muoversi e lo studente con l’asta graduata si muoverà in avanti cercando di mantenere

costante l’allungamento dell’elastico. Alla fine del tavolo un terzo ragazzo fermerà il

carrello prima che sbatta contro il fermo. Sarà necessario fare diverse prove per

abituarsi a mantenere costante l’allungamento dell’elastico (ovvero applicare una forza

costante al carrello) prima di raccogliere i dati. Una volta pronti si rifarà l’esperimento

ma questa volta con il marcatempo in funzione. Sarà opportuno ripetere almeno un paio

di volte la prova scegliendo quella nella quale, a detta di chi “spingeva” l’asta e di una

quarta persona che osservava, l’allungamento dell’elastico è stato relativamente più

costante. Solitamente questo è difficile che accada verso la fine della corsa del carrello,

quindi converrà scartare oltre la parte iniziale (corrispondente alla fase della spinta)

anche la parte finale del nastro. Con i dati raccolti si traccerà un grafico della velocità in

funzione del tempo. Per convenienza i segni presenti sul nastro verranno considerati a

gruppi di 5 o 10. Dallo studio del grafico appena costruito si noterà che la pendenza è

praticamente costante e che quindi c’è una proporzionalità diretta fra la variazione della

velocità e la variazione del tempo quando una forza costante è applicata all’oggetto:

ovvero una forza costante produce una variazione della velocità del moto costante.

Fase 2: Analisi dei dati e definizione di accelerazione

In classe verrà fatta l’analisi più approfondita dei dati ottenuti dal primo esperimento.

Si è già osservato che v t, ovvero che v = a t: la costante di proporzionalità a

verrà detta accelerazione e le sue dimensioni saranno [lunghezza x tempo-2]. Si

osserverà che il segno di a sarà sempre uguale a quello di v essendo t positivo, e si

introdurrà il concetto di accelerazione media quando il grafico velocità-tempo di un

corpo non è dato da una retta (ovvero la forza agente non è costante) e di accelerazione

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istantanea facendo tendere a zero t. Con l’introduzione di questo concetto si potrà

allora far osservare ai ragazzi direttamente su un grafico v-t come l’accelerazione

istantanea sia data dalla pendenza della retta tangente al grafico nel punto

corrispondente all’istante t. Verranno poi mostrate le analogie esistenti con i grafici

spazio-tempo ed i concetti di velocità media ed istantanea.

Fase 3: Esperimento sulla dipendenza dell’accelerazione dalla forza e dalla massa

Con l’esperimento 5 del PSSC si vorrà studiare come forze costanti ma differenti

accelerano una massa data e come una forza data accelera masse differenti. Si arriverà

così a trovare una proporzionalità diretta fra forza ed accelerazione. Da ciò si potrà

scrivere la legge di Newton del moto, ovvero F=ma.

Per procedere nell’esperimento si necessiterà degli stessi materiali elencati per quello

precedente, tranne il fatto di avere a disposizione quattro elastici e cinque mattoncini.

Per prima cosa si studierà l’accelerazione causata da forze differenti su una massa

costante. Si caricherà il carrello con quattro mattoncini e si ripeterà l’esperimento

numero 3, ma questa volta prima con uno, poi con due, poi con tre ed infine con quattro

elastici contemporaneamente; questi saranno fissati con un’estremità ad appositi “ganci”

posti nella parte anteriore del carrello, mentre l’altra sarà collegata ad un bastoncino al

quale è legato uno spago il cui altro capo sarà fissato all’asta graduata. Si dovrà

ottenere l’accelerazione dall’analisi dei nastri del marcatempo e per farlo, poiché

dall’esperimento precedente si sa che l’accelerazione è costante, sarà sufficiente

prendere sul nastro due intervalli temporali uguali e determinarne le corrispondenti

velocità medie, e non studiare un gran numero di intervalli. Si traccerà quindi un grafico

dell’accelerazione in funzione della forza, cioè del numero di elastici, e si osserverà una

proporzionalità diretta, ovvero il rapporto fra forza ed accelerazione è costante.

Come seconda tappa si studierà l’effetto della massa sull’accelerazione prodotta da

una forza costante. L’elastico attaccato al carrello sarà uno, ma di volta in volta si

caricheranno uno, due, tre, quattro ed infine cinque mattoncini. Si ripeterà ancora una

volta il procedimento attuato nell’esperimento 3 e i dati raccolti dai nastri del

marcatempo serviranno per costruire un grafico del rapporto fra forza ed accelerazione

in funzione del numero di pesi. Si osserverà ancora una volta una proporzionalità

diretta.

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Fase 4: Analisi dei dati e legge del moto di Newton

In classe si osserverà che dai dati sperimentali si può scrivere a F, ed anche ma =

F. Ai ragazzi la relazione appena scritta verrà presentata come la legge del moto di

Newton. Si potrà quindi definire la massa inerziale come il rapporto F/a, rapporto

costante per ogni corpo il quale dice quanto sia difficile accelerarlo: maggiore è la forza

necessaria per ottenere una certa accelerazione e maggiore è la massa inerziale del

corpo.

A questo punto, introdotti sperimentalmente i concetti di accelerazione e massa

inerziale ed ottenuta sempre grazie ai dati la legge del moto di Newton, sarà possibile

assegnare ai ragazzi esercizi e problemi nei quali dovranno applicare queste nuove

conoscenze; dopo questo tipo di approccio però il rischio che essi utilizzino formule e

relazioni in maniera meccanica ed inconsapevole dei loro contenuti fisici sarà a mio

avviso notevolmente ridotto.

Valutazione

E’ opportuno valutare ogni attività del singolo studente, ovvero la conoscenza della

teoria, la capacità di risoluzione degli esercizi, l’attività di laboratorio e la conseguente

stesura di una relazione.

La valutazione avverrà quindi sia in itinere, tenendo conto anche della partecipazione

alle lezioni, sia con una verifica sommativa finale.

La valutazione delle prove orali e scritte e delle relazioni di laboratorio terrà conto

della correttezza e completezza dei contenuti esposti, dell’organizzazione degli stessi

nell’esposizione, del linguaggio usato e della rielaborazione personale.

Nella risoluzione degli esercizi si valuterà non solo la correttezza del risultato, ma

anche le strategie risolutive adottate.

In generale la valutazione va intesa come un processo che fornisce importanti

informazioni all’insegnante, per controllare l’efficacia della propria condotta didattica e

influenzare perciò le sue future decisioni, ma anche all’allievo, che può, grazie a questo

strumento, verificare il proprio livello di conoscenza e le proprie competenze. In

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particolare nelle verifiche formative, lo scopo fondamentale non è tanto quello di dare i

risultati corretti ma di puntare a conseguire gli obiettivi prefissati.

Bibliografia

- Appunti del corso Laboratorio di Didattica della Fisica, prof. Nella Grimellini,

SSIS VII ciclo, classe A049;

- N. Grimellini Tomasini, O. Levrini, C. Casadio, M. Clementi, S. Medri Senni,

Insegnare la fisica per nuclei fondanti: un esempio riferito al concetto di spazio,

La Fisica nella Scuola, XXXII, 4, 1999;

- PSSC, Fisica, Zanichelli, Bologna 2001;

- PSSC, Fisica – Guida al Laboratorio, Bologna 2001;

- PSSC, Guida per l’insegnante, Bologna 2001;

- Rosenquist, McDermott, A conceptual approach to teaching kinematics,

American Journal of Physics, 55(5), 1987;

- G. Zanarini, Immagini del sapere e formazione scientifica, La Fisica nella

Scuola, XXV, 4, 1992;

- Sjøberg, ESERA Conference, 2001;

- B. D’Amore, Elementi di didattica della matematica, Pitagora, Bologna 1999;

- Posner G. J., Strike K. A., Hewson P. W., Gertzog W. A. (1982).

Accommodation of a scientific conception: toward a theory of conceptual

change. Science Education 66(2): 211-227, 1982.

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