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LA VOCE DELLA COMPAGNIA DI S. ANGELA BRESCIA Speciale Poste Italiane S.p.A. - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. L. 27/02/2004 n° 48) art. 1, comma 2, DCB Brescia

La Voce della Compagnia di Brescia - Speciale

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Atti del convegno "Paolo VI e la vita consacrata" Brescia 24 gennaio 2015

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VOCEDELLA

COMPAGNIA DI S. ANGELADI BRESCIA

SPECIALE

Via F. Crispi, 23 - 25121 BresciaTel. 030/295675-3757965 c/c postale n. 12816252

Nihil obstat quominus imprimatur

Aut. del Trib. di Brescia n. 24/69 del 5 sett. 1969Direttore responsabile: D. Antonio Fappani

Tipografia: Alfa - Brescia

Poste Italiane S.p.A. - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003(conv. L. 27/02/2004 nº 46) art. 1, comma 2, DCB Brescia

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ATTI DEL CONVEGNO

PAOLO VI E LA VITA CONSACRATABRESCIA 24 GENNAIO 2015

ORE 9,30

Sommario

Saluto del Vescovo Luciano Monari pag. 5

Introduzione al Convegno Giuseppina Pelucchi pag. 7

Memoria di un futuro Suor Enrica Rosanna pag. 12

Paolo VI e la Compagnia di S. AngelaMario Trebeschi pag. 26

“La Compagnia di Sant’Orsola: segni di futuroda un carisma antico” Giuseppina Pelucchi pag. 38

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Presentazione

In questo numero speciale di “Voce” sono raccolti gli Atti del Convegno “Paolo VI e la vita consacrata”, che si è svolto il 24 gennaio u.s., in sostituzione del ritiro plenario che si solito avviene in concomitanza con la festa di Sant’Angela.

Si tratta di un importante e partecipato convegno che ci tocca direttamente in quanto è inserito nell’anno che papa Francesco ha dedicato alla Vita Consacrata.

I testi che qui presentiamo, così ricchi di suggestioni e messaggi, sono affi dati a ciascuna di noi per un’attenta lettura, una meditata rifl essione ed una viva preghiera personale per cui, prima di presentare brevemente i singoli interventi, auguriamo a tutte buona meditazione!

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Dopo il saluto del Vescovo Monari e l’introduzione scritta della nostra sorella Giusy Pelucchi, così come la successiva relazione letta dalla nostra Giusy Gregori, in quanto la Pelucchi era assente per malattia, si sono alternate le relazioni di suor Enrica Rosanna, una delle tre suore Salesiane che a Concesio costudiscono la casa di Paolo VI, don Mario Trebeschi storico e archivista della Compagnia, e Giusy Gregori che, come abbiamo già detto, leggeva la relazione della Giusy Pelucchi.

Moderatore della mattinata è stato mons. Mauro Orsati delegato del Vescovo per la Vita Consacrata.

Il 14 marzo, sempre nella Chiesa Inferiore del Santuario di S. Angela, si terrà il terzo convegno dedicato a Paolo VI dal titolo “Beato Paolo VI e la promoxione della donna”.

Clara Stella

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Saluto del Vescovo di BresciaMons. Luciano Monari

Il mio saluto è semplice, benché questo convegno sia ricco di stimoli e di provocazioni per il cammino che dobbiamo percorrere. Siamo davanti ad un momento di trasformazione della vita consacrata, in particolare della vita consacrata femminile. A partire da Paolo VI esiste un legame con Sant’Angela, prezioso sotto alcuni aspetti. Sant’Angela è estremamente moderna e quindi capace di suscitare vocazioni molto signifi cative. Il problema della spiritualità è un problema decisivo per la vita della Chiesa; è la capacità di trasformare il vissuto quotidiano delle persone non in pienezza di vita raggiunta solo nella vita eterna, ma in un cammino di maturazione. Se riusciamo a presentare in questo modo l’esperienza cristiana, allora diventa signifi cativa per l’uomo d’oggi, altrimenti non intercetta il vissuto delle persone. Grande è il problema di una spiritualità consacrata perché richiede un impegno radicale della vita che sembra andare contro il trend culturale di oggi. L’uomo d’oggi tende a vivere il momento attuale con il massimo d’intensità, ma con poca progettualità per il futuro. E fare una scelta, che sia una scelta defi nitiva di vita, sembra che vada contro

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questa tendenza dell’uomo di oggi. Bisogna riuscire a dimostrare, soprattutto, che una consacrazione a vita è un’esperienza umana completa; che vivere alla giornata, o solo nel momento presente anche se intensamente, alla fi ne è un’esperienza di povertà, d’incertezza, di vita non riuscita, in qualche modo troncata, non portata a compimento. E fi nalmente credo che il discorso che riguarda in modo particolare il vissuto secolare e femminile deve essere diverso, perché il vissuto femminile è cambiato profondamente. Dobbiamo riuscire a proporre alle donne un’esperienza di consacrazione che risponda a questa esperienza diversa del vissuto, l’esperienza di maternità per una donna di oggi diversa da quella di cinquant’anni fa. L’esperienza di una donna di oggi si compie attraverso una serie di responsabilità sociali in modo arricchente dal punto di vista spirituale con tutto quello che comporta di libertà, autonomia, creatività e che vale la pena di continuare. Questa mattina, bella coincidenza, il breviario cita un brano della Filotea di San Francesco di Sales dove si parla della molteplicità delle devozioni, dell’esperienza di spiritualità, di santifi cazione e dice che non c’è un unico modo di vivere la santità. Ce ne sono tanti quanti sono gli stili concreti di vita delle persone. Siccome nella società contemporanea questi stili di vita stanno cambiando profondamente e si moltiplicano, sono numerosi, molto diversi; essi hanno bisogno di una spiritualità che sappia rispondere a questa situazioni, quindi a realtà nuove, alle realtà molteplici nelle quali noi ci muoviamo. Io auguro che la rifl essione su Paolo VI vi aiuti in questo cammino e che possa aiutare tutta la nostra Chiesa Bresciana e in qualche modo anche tutta la Chiesa Cattolica.

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Introduzione al ConvegnoGiusy Pelucchi

Nella “Lettera Apostolica” a tutti i consacrati in occasione dell’Anno della Vita Consacrata il Santo Padre Francesco indica gli obiettivi di questo anno: guardare il passato con gratitudine, vivere il presente con passione, abbracciare il futuro con speranza.Circa il primo obiettivo (guardare al passato con gratitudine) il Santo Padre suggerisce: “ogni famiglia carismatica ricordi i suoi inizi e il suo sviluppo storico….Non per coltivare inutili nostalgie, quanto piuttosto per …narrare la propria storia per rendere lode a Dio e ringraziarlo per tutti i suoi doni.”

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Queste del Papa mi sembrano parole appropriate anche per introdurci al presente convegno che, a partire da una più ampia riflessione sul rapporto “Paolo VI - Vita Consacrata”, intende mettere in luce un aspetto importante della storia più recente della Compagnia di San’Orsola di Brescia, quella che ha visto intrecciare le sue vicende con il pontificato del beato Paolo VI. Il tentativo è anche quello di cogliere nelle aspettative e nella prospettiva del Papa bresciano, il convergere di temi, intuizioni, dinamismi spirituali e persino di modalità che presentano molti punti di contatto con il carisma di Angela Merici e sono punti di forza che confermano, ancora oggi, la sua attualità.In questo ultimo decennio la Compagnia con il Centro Mericiano e con tutto il mondo Orsolino ha organizzato diversi convegni di carattere storico il cui intento era quello di scandagliare i molteplici aspetti del carisma mericiano, per riscoprirne la valenza non solo storica ma attuale, capace di parlare ancora con forza alla donna e alla società di oggi. Spazzata via la polvere del tempo e i tipici tratti agiografici l’esperienza umana e spirituale della donna Angela Merici è emersa con maggiore forza e originalità. Un tempo di lei si sottolineavano le mortificazioni, i digiuni: ora la sua grande capacità di dialogo, di accoglienza, di consolazione per includere tutti nel suo progetto d’amore. Certo i tempi sono differenti, tuttavia per certi versi la situazione attuale presenta alcune analogie con l’epoca di S. A. La crisi economica, dopo il Sacco di Bs, determinava nuove povertà, si cominciava ad intuire che i tempi prosperi et boni stavano terminando, lo stesso si può dire per la crisi dei valori, così forte che Gabriele Cozzano (fedele segretario di Angela) vedeva nell’arrivo dell’anticristo luterano lo schiudersi degli ultimi tempi.

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Ma la nostra storia non è solo Angela Merici è anche la storia delle Compagnie, degli Ordini religiosi che a lei si richiamano. Fondamentali sono stati al proposito i due convegni che hanno ripercorso la storia del nostro mondo. Le relazioni degli illustri studiosi hanno delineato un quadro finora sconosciuto di donne colte, volitive, duttili, capaci di dialogare con il mondo sia che vivessero in famiglia sia fra le mura di un chiostro. Con una punta di orgoglio pensiamo alla Compagnia di Brescia custode dell’insegnamento della Madre per tutto il periodo della controriforma, capace di attuare i cambiamenti richiesti dal clima tridentino senza snaturare la via e il carisma mericiano per poi consegnarlo ancora vitale quasi intatto a tutta l’Europa. Pare un elemento costante che quando lo spirito mericiano rifiorisce rispunta la “centralità della Compagnia di Brescia”; pensiamo all’azione delle sorelle Girelli a cui tutte le nuove fondazioni orsoline italiane ed europee si rivolgevano per chiedere consigli. Basta scorrere il lavoro di don Mario Trebeschi per rendersi conto della vastità delle loro relazioni. Oggi noi non possiamo ambire a tanto, tuttavia in questo ultimo decennio la Compagnia di Brescia e il Centro Mericano sono diventati un punto di riferimento per il mondo orsolino: pensate che il Centro Internazionale di Studi on line S. Orsola S. Angela si sta avvicinando alle 150.000 visite annuali, nonostante quello appena trascorso sia stato un anno di difficoltà. 150.000 contatti da ogni parte del mondo per conoscere Sant’Angela, chi siamo, le nostre attività e quelle delle orsoline. Potenza dei nuovi mezzi di comunicazione..Nello sforzo di ricostruzione storica intrapreso, la Compagnia di Brescia è stata sorretta dalla consapevolezza che il carisma è un fatto dinamico e che il “tesoro” non va chiuso in un cassetto per essere rimirato prima di andare a dormire, ma vada investito: solo nel contatto, nel dialogo esso si potenzia, altrimenti avvizzisce e muore.

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Certo questo sforzo non è una scelta facile e diciamolo pure non sempre compresa in tutte le sue valenze.Sembrava urgente, e di fatto lo è, concentrare l’attenzione sui problemi del momento, complessi, e sulle prospettive del futuro, incerte. Ma paradossalmente il bisogno di ripercorrere la storia interviene in modo più forte proprio nei momenti in cui vengono meno alcune sicurezze e il futuro sembra più incerto.Ci sono dei problemi che la Compagnia oggi deve affrontare, ci sono – a breve – prospettive di cambiamento nei compiti di responsabilità e di guida, ci sono aspettative che richiedono risposte profetiche che possano cioè illuminare il futuro. Dalle parole di Papa Francesco cogliamo la disposizione interiore con cui affrontare il percorso: «Guidati dallo Spirito, mai rigidi, mai chiusi, sempre aperti alla voce di Dio che parla, che apre, che conduce, che ci invita ad andare verso l’orizzonte»1.Dalle indicazioni del nostro Vescovo Luciano Monari (Padre e Superiore della Compagnia) cogliamo sia l’esortazione a cercare con coraggio strade nuove sia l’ambito e la modalità della nostra missione: la vicinanza al mondo femminile, per accompagnare la presenza di donne che sappiano rendere testimonianza a Gesù Cristo.... che siano nello stesso tempo moderne – nel senso che il loro vissuto è quello della donna d’oggi – e credenti nel senso che hanno assimilato davvero il vangelo…. Donne cristiane che sappiano fare oggi quello che lei, sant’Angela, ha fatto quattro secoli fa, affrontando le sfide culturali del mondo d’oggi, frequentando i normali luoghi di lavoro e di vita ma portando in ogni luogo l’anima del vangelo fatta di saggezza, di responsabilità, di amore.Gli interrogativi che oggi ci attraversano e la consapevolezza delle forze in campo umanamente potrebbero paralizzarci, ma la fede, unita ad un

1 Scrutate, n. 10 La profezia della vigilanza

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adeguato senso della storia della Compagnia, ci incoraggia a percorrere con fiducia i sentieri dell’oggi e a guardare con speranza al futuro.Un futuro che anche nei temi delle relazioni di oggi è all’ordine del giorno.E sono i principali soggetti di questo convegno (il beato Paolo VI e sant’Angela Merici, quali poderosi testimoni del Signore Gesù) ad offrirci prospettive di luce per il futuro che ci sta innanzi.Dalle relazioni di sr. Enrica Rosanna e di don Mario Trebeschi coglieremo questa grandezza del Papa bresciano. Infine, confidando nella vostra resistenza, nella relazione che è stata a me affidata cercherò di individuare a partire dalla vita e dall’opera di Angela Merici (Santa bresciana, Patrona secondaria della Città e Diocesi di Brescia) i possibili segni di futuro per la Compagnia di S. Orsola di Brescia.

Giuseppina Pelucchi

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“Memoria di un Futuro”La preziosa eredità di Paolo VI sulla vita consacrata

Sour Enrica Rosanna

“L’amore a Cristo, l’amore alla Chiesa, l’amore all’uomo” sono i tre atteggiamenti fondamentali, ma anche appassionati” che Paolo VI “ci ha testimoniato e insegnato”. Lo ha ricordato Papa Francesco ricevendo nella Basilica Vaticana il pellegrinaggio della diocesi di Brescia per l’Anno della Fede nel 50° anniversario dell’elezione al pontificato di Papa Montini: “Paolo VI ha saputo testimoniare, in anni difficili, la fede in Gesù Cristo. Risuona ancora, più viva che mai, la sua invocazione: ‘Tu ci sei necessario o Cristo!’ ”.1

Amore a Cristo, amore alla Chiesa, amore all’uomo possono essere le coordinate essenziali che delineano il pontificato di Paolo VI e tutta la sua vita, di uomo, di sacerdote e di Pastore della Chiesa universale. Amore a Cristo, amore alla Chiesa, amore all’uomo sono gli atteggiamenti “fondamentali e appassionati” che Paolo VI addita ai consacrati, il cuore del suo messaggio per quanti hanno scelto di seguire Cristo casto, povero e obbediente. Sono il tesoro che Egli ci ha consegnato e che Papa Francesco valorizza con sapienza e semplicità, come testimoniano tanti suoi interventi.

Oggi desidero entrare nello scrigno di questo tesoro per attingere alcune indicazioni, che sono così attuali e importanti, da essere imprescindibili per guardare con ottimismo e speranza al presente e al

1 FRANCESCO, Discorso ai partecipanti al pellegrinaggio della Diocesi di Brescia, Basilica Vaticana, 22 giugno 2013, in «Istituto Paolo VI. Notiziario» (2013) 66, p. 5.

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futuro della vita consacrata e per vivere in pienezza questo anno della vita consacrata.Certo, sarebbe bello attingere a piene mani a questo scrigno di memoria che contiene risorse di futuro, ma non ne sono capace… Nella lettura e nell’approfondimento di quanto ci ha donato il Beato Paolo VI mi ritengo solo una principiante, alle prime armi…

Questo premesso, mi sembra doveroso mettere in evidenza che Paolo VI ha avuto un indiscusso protagonismo sulla vita consacrata promuovendone il rinnovamento con i due documenti Ecclesiae Sanctae e Renovationis Causam, richiamandola alle sue autentiche finalità con l’Esortazione apostolica Evangelica Testificatio e con numerosi discorsi e non cessando mai di dialogare e di tendere la mano anche quando altri esitavano a fare altrettanto. Vorrei anche ricordare

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che nella prima tappa del post-Concilio si sono succeduti una serie di documenti magisteriali volti a orientare e a sostenere la difficile impresa del rinnovamento negli Istituti di vita consacrata: il Motu Proprio Ecclesiae Sanctae del 6 agosto 1966; l’Istruzione Renovationis Causam, della Sacra Congregazione per i Religiosi, del 6 gennaio 1969; il Rito della Professione Religiosa del 2 febbraio 1970; il Rito della Consacrazione delle vergini del 31 maggio 1970.Pur tenendoli presenti, nella mia riflessione vorrei concentrare l’attenzione sull’Esortazione Apostolica Evangelica Testificatio del 29 giugno 1971, perché mi pare che essa condensi la miniera di suggestioni, idee, proposte che sono contenute negli insegnamenti, nelle omelie, negli scritti, di Giovanni Battista Montini sacerdote, Arcivescovo, Sommo Pontefice.

Padre Pietrgiordano Cabra, uno dei più acuti studiosi della vita consacrata contemporanea, la presenta come un Documento indimenticabile, “stupendo, dinamico, incoraggiante e coraggioso, ricco di ispirazione e di amore per la vita religiosa” (Cf. CABRA Piergiordano, Paolo VI e la vita consacrata. Guida del rinnovamento, in L’Osservatore romano 3 giugno 2014).

E continua “E’ un documento realista, perché affronta con concretezza le tensioni del momento, tensioni tra autonomia personale e istituzione, tra regolare osservanza e realizzazione personale, tra grandi e piccole comunità. Un documento scritto con la delicatezza di una lettera d’amore e con la sincerità di chi conosce le esigenze dell’amore che promana da Cristo... In un momento di egualitarismo e di livellamento al minimo comune denominatore di tutte le vocazioni, Paolo VI ha il coraggio di dire nella Evangelica testificatio che la vita consacrata ha “un posto d’elezione nella vita della Chiesa”(n. 2), per il fatto che permette di conformarsi più profondamente al genere di vita di Cristo. Donde le citatissime parole: ‘Senza questo segno concreto,la carità che

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anima l’intera Chiesa rischia di raffreddarsi, il paradosso salvifico del Vangelo di smussarsi, il sale della terra di diluirsi in un mondo in fase di secolarizzazione’(n.3). In tal modo ‘la Chiesa non può fare a meno di questi testimoni eccezionali della trascendenza dell’amore di Cristo’ ”.

“Chi dice queste cose è un uomo che appartiene alla gerarchia ecclesiastica, che promuove con forza il laicato, ma che dalla tradizione della Chiesa ha appreso che sono le vette che permettono di alzare lo sguardo per stimolare ad innalzarsi, che in un mondo che si appiattisce sul “qui e ora” sono indispensabili coloro che vivono per il “non ancora”, che nel totalitarismo del visibile affermino di essere mossi dall’invisibile, che nella proiezione verso il futuro, tipico dell’epoca, le guide più affidabili sono coloro che tendono al Futuro assoluto.

Quando (Paolo VI) dice che occorrono i Testimoni dell’Assoluto che cosa vuol dire se non che occorre chi accetti di dedicarsi tutto al Tutto perché altri siano spinti a dedicare qualche a Colui dal quale tutto proviene?”.

Fin qui Padre Cabra.

Passo ora a frugare nello scrigno e mi accorgo innanzitutto che la parola di Paolo VI, quando si rivolge ai consacrati e in particolare alle consacrate, si illumina di ammirazione, di fiducia, quasi di esaltazione della vita consacrata (cf. MACCHI Pasquale, Prefazione a STEVAN Sergio, Felici voi, Libreria Editrice Vaticana 2001, 5).

L’amore a Cristo

Paolo VI scrive nella Evangelica testificatio: “Questo mondo, oggi più che mai, ha bisogno di vedere in voi uomini e donne che hanno creduto alla parola del Signore, alla sua risurrezione ed alla vita eterna, fino al punto di impegnare la loro vita terrena per testimoniare la realtà di

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questo amore che si offre a tutti gli uomini”2. Sono parole accorate, parole di tenerezza di un Pastore per i suoi figli, ai quali chiede di essere testimoni viventi dell’amore del Signore: amore gioioso, senza limiti, generoso e fedele.

“Gesù e il suo amore, la gioia di appartenergli, gioia inalterabile, gioia trasfigurante che è prova, espressione, della vita in Cristo vissuta tramite i consigli evangelici3: è questo che chiede Paolo VI ai consacrati e alle consacrate, - che chiede a ciascuna di noi – gioia che scaturisce dall’incontro con il Signore Risorto.In queste parole comincia ad emergere il filo rosso che lega tutti gli interventi di Paolo VI alle consacrate: la gioia, la felicità, che scaturisce dall’incontro col Signore Gesù!Quante volte Paolo VI ha proposto la gioia alle consacrate: siete e siate felici perché avete scelto la parte migliore; perché avete destinato la vostra vita all’unico e più altro amore; perché siete della Chiesa le figlie predilette; perché nulla di quanto fate, pregate, soffrite è perduto; perché nulla è sconosciuto a quel Padre che vede nel segreto; perché avete ascoltato la Parola di Dio e vi siete fidati, l’avete seguita.Cito: “Figlie carissime, la gioia del Signore trasfiguri la vostra vita consacrata, e la fecondi del suo amore” (ET 56). E’ una gioia a 360 gradi, quella gioia di cui anche noi, consacrate del 2014, dobbiamo essere fiere e responsabili.Dinanzi all’invito alla gioia, come non pensare alle attese di Papa Francesco per l’Anno della vita consacrata? “‘Dove ci sono i religiosi c’è gioia’.Siamo chiamati a sperimentare e mostrare che Dio è capace di colmare il nostro cuore e di renderci felici, senza bisogno di cercare altrove la nostra felicità (Lettera apostolica in occasione dell’anno della vita consacrata. N. 1).

2 PAOLO VI, Esortazione Apostolica Evangelica testificatio, n. 53.3 Cfr ivi, nn. 55-56.

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Care sorelle, Paolo VI ci insegna che è nell’intimo dialogo con il Signore Gesù che impariamo ad amarlo, ad amarlo con gioia, e quando lo si ama, tanto più lo si vuole amare perché – come afferma S. Agostino – lo si cerca per trovarlo con maggior dolcezza, lo si trova per cercarlo con maggior ardore. E’ solo l’incontro personale col Signore (il più bello tra i figli dell’uomo) – in un rapporto con Lui coltivato e cercato con costanza, coraggio e gioia – che ci rende capaci di riplasmare anche la dimensione più attiva della quotidianità così da consentirne una rilettura “contemplativa”, capace di riconoscere nel quotidiano i luminosi tratti del Suo volto (STEVAN, Felici voi 17). E’ l’incontro personale, quotidiano col Signore che ci rende sempre più disponibili ad accogliere il dono inestimabile della Carità di Cristo e a farci testimoni credibili di quella carità che tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.Testimoni, sì, nella consapevolezza – come afferma Paolo VI – che “l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”(EN 41).

Conoscere il Signore Gesù per accogliere il dono inestimabile della sua carità! “La carità!”. Paolo VI, alla Conferenza dei Superiori Maggiori, il 13 novembre 1969, così si interrogava: “Non è forse questo il fine della vita religiosa, il suo costante esercizio, il suo segno verace, il suo culmine beatificante? Non è forse questa la vostra qualificazione, il vostro sforzo continuo, la vostra aspirazione più profonda?” Ed Egli stesso rispondeva – come gli era abituale – alla domanda: “La carità è il vostro bene. La carità è lo scopo della vostra vita crocifissa, e nascosta con Cristo in Dio, e fa di tutta la gamma delle vostre famiglie religiose il tesoro più prezioso, che le fa sorgere come da un’unica matrice e le unifica in un’unica impronta, pur nella diversità delle condizioni storiche, religiose, psicologiche in cui esse sono nate. La carità vi deputa al servizio della Chiesa… Di qui deriva il dovere di lavorare, secondo le forze e la

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forma della propria vocazione, sia con la preghiera, sia anche con l’opera attiva, a radicare e consolidare negli animi il Regno di Cristo”.Leggo dal Documento Rallegratevi, n. 5 “La vita consacrata è una continua chiamata a seguire Cristo e ad essere conformati a Lui”. ”Cristo è il sigillo sulla fronte, è il sigillo sul cuore: sulla fronte perché sempre lo professiamo; sul cuore, perché sempre lo amiamo; è il sigillo sul braccio, perché sempre operiamo”.Conformati a Gesù, siamo chiamati a manifestare agli occhi degli uomini il primato dell’amore di Dio: un amore ricevuto e donato. “Noi siamo amati, – scrive Paolo VI – siamo benvoluti, siamo pensati, siamo voluti da Dio; Dio veglia su di noi più che una madre non vegli sul suo bambino”. Ed è proprio la contemplazione di questo amore gratuitamente ricevuto la scuola per imparare a nostra volta ad amare, ad amare tutti, senza condizioni, … come Gesù.Come Gesù, ma oso anche dire: come Paolo VI. Egli infatti ci è testimone di questo amore senza confini che ha vissuto con magnanimità. Stralcio da alcuni suoi interventi: “Noi siamo chiamati ad un amore esagerato…”(Giovedì Santo 1961); “Fa’ che il tuo amore sia immenso, capace di amare tutti, il buono perché buono, il cattivo perché deve essere compreso come tale, il grande perché deve essere stimato come grande ma tutti in uno stesso principio che è l’amore …”(Mercoledì Santo 1961). Egli è entusiasta di Cristo, innamorato di Cristo, desideroso di trascinare tutti gli uomini ad amare Cristo: già da Cardinale, prima del Concilio, aveva scritto: “La Chiesa è tutta per Cristo”4. Quanto è bella la sua preghiera, che io amo ripetere frequentemente:

4 Cfr. G.B. MONTINI (Arcivescovo di Milano), Discorsi e scritti milanesi (1954-1963), I: 1954-1957, Istituto Paolo VI – Edizioni Studium, Brescia-Roma, 1997, pp. 139-149.

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TU CI SEI NECESSARIO, O CRISTO

Tu ci sei necessario, Cristo, unico mediatore,per entrare in comunione con Dio Padreper diventare come te, unico Figlio,suoi figli adottivi,per essere rigenerati nello Spirito Santo.

Tu ci sei necessario, solo Verbo,maestro delle verità recondite e indispensabili della vita,per conoscere il nostro essere e il nostro destino,e la via per conseguirlo.

Tu ci sei necessario, Redentore nostro,per scoprire la nostra miseria morale e per guarirla;per avere il concetto del bene e del malee la speranza della santità;per deplorare i nostri peccatie averne il perdono.

Tu ci sei necessario,fratello primogenito del genere umano,per ritrovare le ragioni veredella fraternità fra gli uomini,i fondamenti della giustizia, i tesori della carità,il bene sommo della pace.

Tu ci sei necessario, grande paziente dei nostri dolori,per conoscere il senso della sofferenzae dare ad essa un valore d’espiazione e di redenzione.Tu ci sei necessario, o vincitore della morte,per liberarci dalla disperazione e dalla negazionee avere la certezza che non tradisce in eterno.

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Tu ci sei necessario, Cristo, Signore, Dio con noi,per imparare l’amore vero e camminare,nella gioia e nella forza della tua carità,sulla nostra via faticosa,sino all’incontro finalecon te amato, con te atteso,con te benedetto nei secoli. Amen.

Nell’Esortazione ET, come in tutto il suo Magistero sulla vita consacrata, emerge prepotentemente Gesù Cristo celebrato nel mistero, fissato nella tradizione liturgica; Gesù Cristo presente nel cuore del mondo, Gesù Cristo inizio e fondamento della vita religiosa.

Sentire con la Chiesa e servire la Chiesa

L’essenza della consacrazione religiosa secondo Paolo VI consiste nel professare, all’interno e per il bene della Chiesa, la povertà, la castità e l’obbedienza in risposta al particolare invito di Dio, per glorificarlo e servirlo in una maggiore libertà di cuore (cfr 1 Cor 7, 34-35). La consacrazione religiosa non soltanto approfondisce la personale adesione a Cristo, ma rafforza anche il rapporto con la sua sposa, la Chiesa; la consacrazione è un modo peculiare di vivere nella Chiesa, una maniera singolare di aderire alla vita di fede e di servizio iniziata con il Battesimo.Rivolgendosi alle Religiose Paolo VI sottolinea con ardore questa relazione con la Chiesa, non per «un’utilità organizzativa e operativa», ma per l’essere stesso, non per quanto i consacrati fanno, ma «specialmente per il merito della consacrazione a Cristo Signore», e confessa la propria consolazione dicendo: «non soltanto per ciò che voi, Religiose, fate e siete capaci di fare per il bene della Chiesa, ma specialmente per ciò che siete, votate alla perfezione, capaci di fare risplendere nella vostra vita la

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completa autenticità del battesimo, portata alle più radicali rinunce, che il suo mistero di purificazione e di penitenza reclama, e portata insieme alle sommità della vita spirituale e dell’assorbente amore a Dio, a Cristo, alla Chiesa, ai fratelli bisognosi, quali lo stesso mistero battesimale offre a chi in pienezza lo vive» 5.Nell’incontro con le religiose della Diocesi di Frascati (11 settembre 1965), così esorta le religiose: “Noi vogliamo bene alle Religiose della santa Chiesa; Noi abbiamo grande stima dello stato di santificazione e di apostolato da esse scelto; Noi guardiamo con fiducia alla loro fioritura in mezzo al Popolo di Dio; Noi riconosciamo volentieri l’importanza, la generosità, l’utilità, la bellezza, che le nostre Religiose rappresentano non solo per la Chiesa, ma altresì per la società, per il mondo, che spesso, mentre si contende i loro silenziosi e preziosi servizi, ne contesta la legittimità o l’opportunità della loro esistenza e delle loro prestazioni. …

Il saluto, che Noi oggi porgiamo a voi, care Religiose, sia di vita contemplativa – come si dice –, sia di vita attiva, vuol avere un significato ed uno scopo.

Un significato: quello appunto, che dicevamo, di riconoscere la po-sizione speciale, elettissima e non separata, non dimenticata, che la vita religiosa femminile occupa nella grande e complessa famiglia di Cristo, la santa Chiesa. È la vostra una posizione distinta, che esige un suo particolare stile di vita, una sua iniziazione, una sua custodia, una sua mentalità, una sua relativa autonomia; ma è posizione, che s’innesta nel disegno unitario della comunità ecclesiastica; è il vostro ceto un membro qualificato per superiori e spirituali funzioni nel Corpo

5 Alle Religiose delle Diocesi di Frascati e di Albano, Grottaferrata (Roma), Chiesa del Noviziato delle Suore Francescane Missionarie di Maria, 11 settembre 1965, in Insegnamenti di Paolo VI, III: 1975, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1966, p. 452.

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mistico di Cristo, ma ad esso essenzialmente e organicamente congi-unto. Questo rapporto fra la Chiesa, considerata nel suo complesso uni-tario, gerarchico e co-munitario, e le istituzioni religiose, voi lo sapete, è messo in miglior luce ed in maggiore efficienza

dallo spirito e dai decreti del Concilio ecumenico: avviene, certamente per impulso dello Spirito santo animatore della santa Chiesa, che la Chiesa stessa sente un crescente bisogno di sapersi ornata e sorretta dalle corporazioni religiose; e queste, a loro volta, sentono il bisogno d’essere più strettamente congiunte con la Gerarchia e con la comunità dei fedeli.

È questo fenomeno un segno consolante e promettente per la vita spirituale nel nostro tempo e per il rinvigorimento della Chiesa. E osservate: questa maggiore valutazione dello stato religioso e questa sua migliore articolazione con tutta la compagine ecclesiastica non avvengono soltanto per i servizi pratici ed apostolici, che anime consacrate, come voi siete, possono rendere e rendono effettivamente e generosamente alle opere pastorali, caritative o scolastiche; per un’utilità organizzativa e operativa …, ma avviene anche e specialmente per il merito della vostra consacrazione a Cristo Signore. Cioè: non soltanto per ciò che voi, Religiose, fate e siete capaci di fare per il bene della Chiesa, ma specialmente per ciò che siete, votate alla perfezione, capaci di fare risplendere nella vostra vita la completa autenticità del battesimo, portata alle più radicali rinunce, che il suo mistero di

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purificazione e di penitenza reclama, e portata insieme alle sommità della vita spirituale e dell’assorbente amore a Dio, a Cristo, alla Chiesa, ai fratelli bisognosi, quali lo stesso mistero battesimale offre a chi in pienezza lo vive.

La Chiesa ha bisogno della vostra santità, non meno che della vostra operosità.

Interessante è l’espressione che Egli usa per qualificare i voti religiosi di castità, povertà, obbedienza, il dono della vita consacrata alla Chiesa :“la legge della vostra esistenza” (ET 7). Questa legge emerge in tanti suoi interventi con una interpretazione di grande respiro, non tanto come negazione di qualcosa, ma come donazione generosa che coinvolge tutta la persona nel suo essere e farePermettetemi di concentrare le mie riflessioni in merito con tre espressioni, che mi pare dicano bene il pensiero di Paolo VI al riguardo: gustate il fascino della radicalità (castità); conquistate la ricchezza della libertà (povertà), consegnate con gioia la vostra liberta (obbedienza).

Gustate il fascino della radicalità: il tratto fondamentale della verginità è l’appartenenza, non il distacco. Il lasciare tutto è sempre e solo funzionale all’appartenenza sempre più radicale al Signore. La testimonianza della verginità consacrata è efficace e feconda solo quando fa trasparire la gioia che l’appartenenza all’unico e più grande amore le dona: la gioia di essere proprietà di Dio. La gioia di essere profezia di un mondo futuro.

Conquistate la ricchezza della povertà

“Casti alla sequela del Cristo – afferma - voi volete anche vivere poveri secondo il suo esempio, nell’uso dei beni di questo mondo necessari per il quotidiano sostentamento. Su questo punto, del resto, i nostri contemporanei vi interrogano con particolare insistenza”. “Finché non

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si acquistata con taglio reciso la libertà da questi attacchi possibilità di servire il Signore non c’è. … Bisogna che questa rinuncia a cose, affetti, opinioni, persone care ma non conformi alla volontà del Signore sia completa Rinuncia anche drammatica. Riuscirà solo chi ha completa libertà verso se stesso. E’ necessario allontanare da noi ciò che ci rende indegni di Cristo e del suo colloquio interiore.

Consegnate con gioia la vostra libertà

“Il Signore impone a ciascuno l’obbligo di “ perdere la propria vita “, se vuole seguirlo. Voi osserverete questo precetto, accettando le direttive dei vostri superiori come una garanzia della vostra professione religiosa, che è “offerta totale della vostra volontà personale come sacrificio di voi stessi a Dio”. L’obbedienza cristiana è una sottomissione incondizionata al volere divino. Ma la vostra è più rigorosa, perché voi l’avete fatta oggetto di una dedizione speciale, e l’orizzonte delle vostre scelte è limitato dai vostri impegni. È un atto completo della vostra libertà che sta all’origine della vostra presente condizione: vostro dovere è di renderlo sempre più vivo, sia con la vostra stessa iniziativa, sia con l’assenso che prestate di cuore agli ordini dei vostri superiori. Così il concilio enumera tra i benefici dello stato religioso “ una libertà corroborata dall’obbedienza “, e sottolinea che tale obbedienza, “ lungi dal diminuire la dignità della persona umana, la conduce a maturità, facendo sviluppare la libertà dei figli di Dio “.

Concludendo

Quando Paolo VI si rivolge ai religiosi non dimentica mai di richiamarli alla gioia di Cristo. Unico Pontefice ad aver dedicato un’Esortazione Apostolica alla gioia cristiana, Gaudete in Domino (9 maggio 1975), egli chiede sempre ai religiosi di vivere la gioia: «Ecco allora uno scopo particolare di questo incontro con voi: lo scopo di richiamare

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la vostra attenzione sulla letizia che deve rivestire e penetrare la vostra professione religiosa […]. Questa non è un’osservazione ovvia e convenzionale; no, essa riguarda una nota caratteristica della vita religiosa, la quale, appunto perché satura di grazia e di amore, deve essere piena di santa letizia […]. Noi vogliamo dirvi, raccomandarvi ed augurarvi a ricordo di questa sacra riunione: siate felici! Felici, perché avete scelto la parte migliore. Felici, perché chi mai e che cosa mai, come esclama San Paolo, vi potrà separare dalla carità di Cristo? (Rom. 8, 35). Felici, perché avete destinato la vostra vita all’unico e più alto amore. Felici, perché siete della Chiesa le figlie predilette, e della Chiesa partecipate il gaudio e il dolore, la fatica e la speranza. Felici, perché nulla di quanto fate, pregate, soffrite è perduto, nulla è sconosciuto a quel Padre, che vede nel segreto, e che nulla lascerà senza ricompensa. Felici, perché come la Madonna, avete ascoltato la parola di Dio e vi siete fidate, l’avete seguita».6 Sono parole accorate e paterne! Parole che Paolo VI ripeteva sempre, ricordando la gioia di appartenere al Signore per sempre, frutto incomparabile dello Spirito Santo.

Suor Enrica Rosanna

6 Alle Religiose delle Diocesi di Frascati e di Albano, cit., pp. 453-454.

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Paolo VI e la Compagnia di S. AngelaDon Mario Trebeschi

L’incontro di Paolo VI con S. Angela cominciò molto presto. Nel 1907 senti parlare della Santa dal suo papà, davanti a Pio X, come si dirà più avanti in questa relazione. Qui citiamo, come introduzione, un documento, segnalato dalla superiora della Compagnia di Brescia, Maria Teresa Pezzotti. Nel registro delle messe dell’allora parrocchia di S. Afra, dove riposa il corpo di S. Angela, al 31 maggio 1920 si trova la firma di un celebrante: “Neosacerdos Montini secundum sacrum faciens ad aram S. Angelae obt.”: “Il sacerdote novello Montini ha celebrato il secondo sacrificio all’altare di S. Angela”. Aveva celebrato la prima messa il giorno precedente, alle Grazie, e il 29 maggio era stato ordinato dal vescovo Gaggia. Quel 31 maggio era la festa di S. Angela, che, a quell’epoca, si celebrava in quel giorno. Il Montini, fresco di sacerdozio, accorse ad onorare la Santa bresciana, la cui festa richiamava innumerevoli devoti. Nel registro si S. Afra sono riportate le firme di 10 sacerdoti; al nono posto vi è quello del Montini. Tra gli altri celebranti vi sono don Bartolomeo Pasolini vicesuperiore della Compagnia,che celebra per l’inferma Maddalena Girelli (Elisabetta era morta il 21 gennaio 1919), e frate Arcangelo Mazzotti, del convento di S. Gaetano, poi vescovo di Sassari, nel 1931. La vita sacerdotale del Montini, quindi, ebbe le sue primizie nel santuario della Madonna delle Grazie e davanti a S. Angela, proprio i santi di cui i Bresciani erano maggiormente devoti. Negli stessi giorni il Montini celebrava anche nella stanza di Maddalena Girelli, che era ammalata, colei che aveva ripristinato, insieme alla sorella Elisabetta, la Compagnia di S. Angela nel 1866. Il Montini, poi, andò lontano da Brescia, ma il ricordo della

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sua città fu sempre associato a queste devozioni di famiglia.Il pensiero di Paolo VI sulla Compagnia è espresso soprattutto in due suoi discorsi e in una lettera al vescovo Morstabilini. Il primo discorso fu tenuto nella Cattedrale di Brescia il 27 gennaio 1956, nell’occasione dei festeggiamenti per la ricostruzione della chiesa di S. Afra, distrutta da un bombardamento nel 1945, dove giace il corpo di S. Angela; il secondo fu pronunciato nell’agosto del 1966, a Castel Gandolfo alle Compagnie d’Italia federate; la lettera è un indirizzo di conferma della Compagnia inviato al vescovo Luigi Morstabilini il 27 gennaio 1975, nel V centenario della nascita di S. Angela.Dei due discorsi selezioniamo alcuni punti, che potrebbero essere considerati come le linee essenziali di approfondimento su S. Angela, sulla sua Compagnia e sull’attualità del progetto della Santa.

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Il primo punto riguarda l’idea che Sant’Angela ha della donna, quanto alla pratica della perfezione cristiana. S. Angela ha pensato che la donna potesse vivere una vita di perfezione al di fuori del convento. Per tre volte il card. Montini fa questa affermazione nel discorso del 1956: “La Santa ha fatto credito alla vocazione femminile fuori del convento, in un tempo in cui la Chiesa era rivolta a rendere più severa la clausura”: “S. Teresa inasprì

la clausura perché la vita profana aveva mondanizzato i Monasteri... S. Angela ha voluto che le Sue figlie formassero una famiglia, anziché vivere in un convento”. S. Angela ha visto che si poteva domandare alla donna e l’una e l’altra carità, di Dio e del prossimo, senza il convento”.

Il secondo punto è che questo progetto di perfezione cristiana della donna al di fuori del monastero, proviene da una visione positiva della donna, dotata di risorse naturali e spirituali, che meritano fiducia e sviluppo. Dice il Montini: “S. Angela ha compiuto un atto di fiducia...rivolto... alla donna... chiamata ad una statura, ad una sublime ed alta grandezza spirituale”. “ Chi ebbe il genio e la fiducia che la donna sarebbe vissuta santamente anche fuori dei conventi fu S. Angela... Ella comprese che la donna è capace di sacrificio, di eroismi, e che mai

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indarno le si chiedono tali dedizioni quando nella donna fiorisce e si dilata il pensiero e l’amore di Dio, perché è insita nella sua natura la fede, la religione, mentre la mente speculativa dell’uomo è più tarda ad accettare le convinzioni” (1956).S. Angela sviluppa il suo progetto spirituale sulla perfezione cristiana femminile, non partendo da considerazioni di decadenza della donna, come frequentemente avviene oggi. Il disegno di S. Angela non è sollecitato dalla necessità di limitare il male nella donna, ma di promuovere il bene, che essa ha già in sé. L’ostacolo alla perfezione spirituale della donna, in quel tempo, non proveniva semplicemente dal decadimento della donna nel secolo, che bisognava pur togliere, ma dal preconcetto che la perfezione della donna dovesse essere reclusa nel rigore del convento. Alla donna faceva male, più che i mali del secolo, l’idea che la perfezione fosse appannaggio di una élite di elette da convento. Più che dilungarsi a elencare i mali della donna, per poi porre dei limiti, occorre occuparsi a riconoscere le sue possibilità e porre condizioni adatte per farle crescere. S. Angela adotta pratiche di mortificazione non proponibili oggi, penitenze inaudite, ma ha molto da insegnare sul contenuto della spiritualità incentrata attorno all’amore di Cristo diletto, ed anche molto sul metodo di accostare e considerare il mondo femminile, partendo dalla valorizzazione delle sue capacità umane e cristiane.

La terza riflessione riguarda la sostanza della perfezione cristiana della donna nel mondo, secondo S. Angela. Il Montini rileva l’evoluzione storica nel concetto di perfezione cristiana: da un primo momento in cui si intese la perfezione come austerità, si passò a uno stadio successivo, intendendola come pratica dei consigli evangelici; un terzo momento intende la perfezione cristiana come unione con Dio, praticata nei consigli evangelici, ma vissuta nell’amore del prossimo: “E’ possibile rendere facile ad un maggior numero di anime di seguire

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il Signore, attraverso le due ali della carità: la carità di Dio, ossia l’amore, tesoro invisibile, intimo, noto a Dio solo che ha ragion di fine, e la carità del prossimo, che ha ragione terminale”. Nel progetto di S. Angela sulla Compagnia gli elementi della perfezione cristiana della donna sono tre: l’unione con Dio, i consigli evangelici, l’amore del prossimo... e il prossimo, nella ordinarietà della vita, non si trova in monastero. L’amore del prossimo rientra essenzialmente nella consacrazione secolare. Da qui la necessità di considerare la missione della Compagnia nel mondo. Questa missione non è giustificata originariamente dalle urgenze secolari, ma da una visione teologica di perfezione, in cui entra essenzialmente l’amore del prossimo. Questo non è solo un precetto, ma un tratto dell’identità della consacrazione secolare. Anche per i laici vale l’unione con Dio e l’amore del prossimo: ma in loro manca la promessa dei consigli evangelici.

Il quarto punto è l’attualità del progetto di S. Angela affinché la donna possa realizzare la perfezione cristiana. L’attualità non è un auspicio, una deduzione di esempi passati, ma un fatto: sono gli istituti secolari. Da qui le varie espressioni di Paolo VI: “S. Angela ci appare antesignana di una forma di vita religiosa che oggi la Chiesa vuole diffusa, quella degli Istituti secolari - che dal 1947 [Provida Mater] la Chiesa ha inserito nel suo diritto e che S. Angela presagì ed attuò 400 anni prima”; “Fu la pioniera delle necessità moderne, nella vita sociale, ha scoperto un metodo nuovo di vivere il Cristianesimo” (1956). “Voi Siete state fondate 400 anni fa... Noi siamo convinti che la Compagnia di S. Angela, se sa rispondere davvero a una sua nativa, insita vocazione, è modernissima e di grande attualità. Anche perché avete un titolo che le altre formazioni che la Chiesa va generando in questo tempo, voglio dire gli Istituti Secolari, non possono vantare, un’esistenza “ante litteram” quale voi potete vantare. Siete più antiche di tutte e avete indovinato una formula che la Chiesa ha fatto propria qualche secolo dopo la sua invenzione” (1966). Questo pensiero viene ripreso da

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Paolo VI nel 1975 in una lettera al vescovo Morstabilini. Ricordando il suo discorso del 1956, afferma su S. Angela: “Antesignana, diciamo, ossia precorritrice e quasi quasi pioniera di quel movimento spirituale e pastorale che, nella vita ecclesiale moderna, ha trovato definita espressione negli Istituti Secolari”. Quando si discorre di istituti e di fondatori di altri tempi, si va in cerca dell’attualizzazione, a volte anche con faticose analogie; nel caso di Sant’Angela non è così. In essa si scopre quello che si è capito solo oggi. Nella Compagnia non occorre affaticarsi nel mettere in moto un processo di attualizzazione,ma di riconoscere una attualità, anticipata nei tempi, e viverla.

Il quinto punto riguarda la spiritualità delle Figlie di S. Angela, la loro santificazione. Il papa chiama quello di S. Angela “movimento

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spirituale” (1975), e ne parla con una terminologia molto semplice: “Siete ascritte alla Compagnia di S. Angela per essere brave, buone, sante cristiane, per santificare voi stesse! ... per arrivare alla santità, alla santità personale, direi anche alla santità di gruppo” (1966). Il papa considera la Compagnia come una famiglia in cui ci si santifica in unità, non solo singolarmente. L’osservazione sulla santità di gruppo offre interessanti suggestioni di approfondimento alle Figlie di S. Angela; proprio a loro che non vivono la comunità in convento.

Il sesto punto è l’attenzione alla parte pastorale. Il card. Montini chiama quello di S. Angela “movimento pastorale” (1975) e indica quali sono i luoghi in cui le Figlie possono mettere in atto l’amore del prossimo: “Le Figlie di S. Angela, vere e genuine Religiose nel mondo, non erano distolte dalla famiglia e dagli obblighi dei doveri sociali... sono angeli nelle parrocchie” (1956). Per questa presenza diluita nel mondo, il Montini definisce con una particolare espressione l’apostolato delle Figlie; esso avviene in ordine sparso: “Siete nate per un apostolato. Apostolato esercitato, direi, un po’ così, in ordine sparso, senza delle opere ben determinate... Fate del bene dove siete, ciascuna nel proprio campo, santificate il vostro stato, santificate la vostra famiglia, il vostro ambiente, il vostro ufficio, la vostra scuola, ecc. il raggio di persone che avvicinate, questa è la vostra missione” (1956).Un luogo importante di questo apostolato, per il papa, è la parrocchia. Paolo VI ,con espressioni proprie di quel tempo, afferma: “Voi siete ausiliarie del Parroco... Noi potremmo, direi, incoraggiare una certa autarchia parrocchiale, per cui la Parrocchia assiste se stessa, cioè la Parrocchia genera le sue maestre, le sue zelatrici, le sue assistenti, le anime capaci di dare alla Parrocchia stessa quanto fa di bisogno per l’apostolato femminile” (1966). Il papa invita a prendere seriamente l’apostolato parrocchiale. Le Figlie devono dire: “Noi ci consacriamo al Parroco, nei suoi bisogni

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di assistenza infantile, giovanile, femminile, per dare alla Parrocchia quello di cui oggi ha bisogno, cioè il senso della comunità, la preghiera nuova, l’istruzione religiosa, la bellezza del culto, l’ordine spirituale e morale che la fa veramente comunità cristiana... E perciò voi rappresentate, la formula di speranza per la parrocchia”. L’Apostolato delle Figlie corrisponde alle mutevoli necessità del prossimo, così tipica oggi: L’opera di S. Angela della Compagnia delle Dimesse per “il servizio dei poveri, e, in particolare, delle giovani abbandonate, orfane e bisognose” è “agile nelle strutture, aperta ad un immediato servizio di presenza, di assistenza e di formazione” (1956).

Il settimo punto è l’attenzione alle origini della Compagnia. Il papa nel 1966, nel convegno delle Compagnie federate d’Italia, a Roma, in un’epoca in cui si stavano studiando gli statuti per conformare l’istituzione alle norme della “Provida Mater” afferma che l’affetto e la stima che ha verso la Compagnia di S. Angela gli fa apprezzare questo sforzo, ma raccomanda la fedeltà alle origini: “Incomincia una pagina nuova della vostra storia”. “Che cosa è da tenere presente allora in questo momento che vi fa passare dalla vita già trascorsa a quella che il Signore prepara per la vostra Istituzione? Innanzitutto: le origini. Le origini, so che è raccomandazione superflua, perché le avete stampate nel cuore e nella mente. Le origini di S. Angela non sono dimenticate da voi. Ma il Concilio proprio nel decreto, che certamente è stato da voi meditato e conosciuto. “Perfectae charitatis” fa questa, tra le altre, prima raccomandazione: di restare fedeli, aderente allo spirito e anche alle norme originarie del singolo Istituto religioso. Ed è ciò che dovrete fare bene anche voi, perché è una legge della vita restare aderenti alla propria radice e anche perché questa aderenza non è un’aderenza che inchiodi e fermi e paralizzi ogni espansione, ogni progresso, ogni rinnovamento, ma piuttosto la ispira, la esige, la suggerisce, la conforta”. Il papa precisa che il termine di confronto è S. Angela stessa: “Se voi

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capite che cosa quella santa anima ha voluto fare nel suo tempo e nella società che la circondava, trovate subito i suggerimenti anche per voi. Lo stare aderenti alle origini conserva davvero le energie spirituali e traccia la via anche per il progresso”. Le “origini” sono rappresentate quindi dallo spirito di Sant’Angela, non semplicemente dalle regole formali. Il papa apprezza anche la posizione della Compagnia di Brescia, che non si riconobbe negli statuti delle Compagnie, che avevano scelto la forma degli Istituti Secolari (1967), abbandonando la regola antica, e privilegiando le costituzioni, come, d’altra parte, era voluto dall’autorità ecclesiastica; Brescia volle, con l’autorizzazione di Paolo VI (1971) rimanere fedele alla regola antica della Compagnia; una fedeltà alle origini non solo di spirito, ma anche di forma. Paolo VI elogia questo tentativo, quando raccomanda al vescovo Morstabilini di continuare l’antica attività benefica della “Compagnia di Sant’Angela in cotesta Diocesi, ed in altre rimaste fedeli alla primitiva fondazione” (1975), senza suscitare emulazione o contrasto con l’Istituto secolare intitolato parimente alla medesima Sant’Angela Merici” ed esortando a inserirsi nelle forme attuali dell’apostolato, specie del mondo femminile. La Compagnia di Brescia entrò nella forma degli Istituti secolari il 2 giugno 1992, quando la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, su richiesta del vescovo mons. Bruno Foresti e della Compagnia dichiarò il riconoscimento canonico come Istituto Secolare “ante litteram”.

L’ottavo punto di riflessione è l’esempio di S. Carlo. Il Montini riporta la stima di S. Carlo espressa alle Figlie in un’omelia: “Diceva in una omelia, che avevano tanta possibilità di farsi sante, di vivere la perfezione, queste figlie devote, piene di gusto delle cose di Dio, ritirate dentro a se stesse nell’unione con Dio, mortificate, magari vilipese, sfregiate, ma sempre rassegnate e sempre pronte, nel silenzio dell’umile casa, o del lavoro, a donare Dio a sé ed intorno a sé” (1956).

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Nel 1966 Paolo VI ricorda S. Carlo che difendeva le Figlie da chi avversava la loro forma di vita, citando un suo discorso: “Fu San Carlo, il primo a darle il carisma di fronte a chi l’avversava : “No, no, questa va bene”. Egli aveva l’intuito pastorale e il senso veramente dei bisogni della Chiesa. Mi ricordo di aver letto una delle sue omelie in quei bei volumoni del Sassi in cui prende la difesa delle Figlie di S. Angela, e non oserei farlo io, se non lo avesse fatto lui. Prospetta un confronto e dice:”Ci sono tante di queste brave fìgliole, Angeline, che vivono a casa propria, non hanno convento, non hanno abito religioso, ma sono molto più brave di tante religiose chiuse dentro i conventi» (conventi di quel tempo, che avevano proprio bisogno di essere riformati, e che hanno fatto tanto tribolare anche S. Carlo stesso). E qui si consolava: “Almeno queste qui obbediscono, almeno queste qui capiscono, queste qui prendono le cose sul serio, almeno queste qui vivono in grazia di Dio, queste anelano veramente alla santità e sono diffuse in mezzo al popolo cristiano”. Dobbiamo a San Carlo se davvero la vostra Istituzione ha preso questa figura ed ha avuto l’attestato e la garanzia della Santa Chiesa”.La citazione di Paolo VI assegna un ruolo importante a S. Carlo, proprio in anni in cui nelle Compagnie si dibatteva sul Santo, che, secondo varie opinioni, aveva operato delle forzature nella regola primitiva, inserendo norme sul governo, non previste da S. Angela.

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Paolo VI sottolinea il ruolo avuto da S. Carlo nella Compagnia, dal punto di vista istituzionale.

In un nono punto si possono collocare i ricordi personali di Paolo VI sulla Compagnia e sulle sue persone esemplari. Ricorda di essersi recato a Roma nel 1907 a incontrare il papa Pio X, in occasione del primo centenario della canonizzazione di Sant’Angela, con la nonna, il papà e altri familiari. Il papà, che era presidente della commissione delle pubblicazioni, illustrò al papa il programma della festa. Paolo VI dice espressamente: “Io ricordo benissimo” questi fatti. Fu la prima volate che conobbe il nome di S. Angela; dalle labbra del papà (1966). In quell’anno il piccolo Giovanni Battista aveva fatto la prima comunione e la cresima.Il papa ricorda “anime stupende, soavissime” delle Figlie che gli erano legate per vincolo di amicizia e i parentela. “Queste anime restano davvero davanti a noi incantevoli esempi di virtù, di umiltà, di bontà ... e non sono stati inutili credo, neanche alla nostra formazione spirituale e sacerdotale, tanto i loro esempi sono stati luminosi e limpidi, familiari e, nello stesso tempo, impressionanti”. Paolo VI fa i nomi di queste persone: “Due Sante anime bresciane: le nobili Girelli... queste sì davvero meriterebbero che voi foste capaci di dire alla Chiesa: Ma riconosca che sono veramente anime sante”. Ricorda di avere celebrato una delle sue prime messe nella stanza di Maddalena Girelli. Segnala “lo sforzo fatto a Siena dalla Bianca Piccolomini” per sistemare la Compagnia (1966).Questi ricordi di Paolo VI e anche i frequenti accenni all’apostolato parrocchiale, rivelano che il papa teneva in conto la specifica Compagnia si Brescia, la cui fisionomia era stata delineata dalle sorelle Girelli, che operava nelle parrocchie e negli oratori. Per Paolo VI la Compagnia è sinonimo di apostolato, e di missione; e ciò lo aveva esperimentato dalla Compagnia bresciana. Se la Compagnia debba selezionare altri luoghi di apostolato, oggi, è un tema da prendere in considerazione. Sta il fatto che quella Compagnia aveva lasciato in Paolo VI un esempio

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straordinario di presenza e attività delle Figlie nel secolo. Un decimo e ultimo punto riguarda il conforto dato da Paolo VI ai superiori che si prendono a cuore la Compagnia: “Voi Superiori, voi Padri Spirituali, guardate, lo sapete meglio di noi, quanto bene si può fare proprio in questo campo e diciamo, a lode di queste anime buone, quanto si può domandare, come sono disposte ad aprirsi alla devozione, al sacrificio, alla preghiera, alla santità! Se noi siamo maestri di spirito, se siamo educatori di anime, non dobbiamo trascurare questa zolla privilegiata del campo della Chiesa. Di lì ci possono venir fuori i fiori migliori, di lì ci possono venire i frutti più belli; lì possiamo educare le anime che irradieranno a loro volta il nome di Cristo e l’esempio del Vangelo nell’ambiente in cui vivono; esse sono veramente zelatrici e collaboratrici vostre” (1966).A conclusione, si potrebbero sottolineiamo due aspetti dalle parole di Paolo VI rivolte alla Compagnia, che possono fungere da linee guida di roflessione, oggi. Il primo riguarda l’importanza della donna nella Chiesa. Essa non è tanto oggetto, ma soggetto di apostolato. L’osservazione va oltre l’aspetto della consacrazione al secolo e riguarda ogni donna cristiana, che ha nel suo essere femminile qualità peculiari, che, spiegate in un apostolato attivo, danno alla Chiesa una fisionomia nuova.Un’altra sottolineatura può riguardare la Compagnia stessa. Paolo VI insiste sull’aspetto della secolarità della istituzione. Il rapporto tra i vari gruppi della Compagnia, oggi, va letto all’interno di questa definizione. Tutti questi gruppi sono canonicamente secolari, e per di più con un unico riferimento, S. Angela. Questa caratteristica li spinge ad approfondire la ricerca sulla qualità della loro presenza cristiana nel mondo, con il carattere della consacrazione. Il dibattito sulla fisionomia canonica della Compagnia come istituto Secolare è meno urgente della necessità di vivere e far vivere. Mario Trebeschi

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“La Compagnia di Sant’Orsola:segni di futuro da un carisma antico”

Giuseppina Pelucchi

Angela Merici è comunemente riconosciuta antesignana degli Istituti Secolari che hanno trovato una prima definizione e comprensione ecclesiale solo nel 1947 con la costituzione apostolica Provvida Mater Ecclesia, praticamente solo quattro secoli dopo la fondazione della Compagnia di Sant’Orsola avvenuta il 25 novembre 1540, giorno in cui ri ricorda la Santa martire Caterina d’Alessandria. In questo luogo in cui ci troviamo oggi – secondo alcune fonti storiche –Angela Merici insieme a 28 vergini dà avvio alla fondazione della Compagnia di Sant’Orsola segnando su di un libretto preparato per questo fine i nomi delle elette. Un cerimoniale decisamente scarno realizzato in un quadro di una grande intensità emotiva.Il mio compito oggi è quello di individuare nel carisma che qui è nato i segni segni(o semi) di futuro, ovvero nuclei tematici che la Compagnia può provare a rielaborare in chiave moderna, tenendo conto dei registri spirituali e umani tipici dell’epoca in cui viviamo. Per meglio articolare il discorso vedrò di procedere per punti:1. La Compagnia di Sant’Orsola ha nel proprio codice genetico la

promozione della donna, vediamo il perché. La fondazione è il frutto maturo dell’evoluzione umana e spirituale di Angela Merici1,. L’intuizione di questa singolar consacrazione (con la celebre visione della scala mistica). L’accompagna fin dalla giovinezza,

1 Originaria di Desenzano (nasce attorno al 1470 circa), canonizzata il 24 maggio 1807, proclamata patrona secondaria della città e della diocesi di Brescia nella solenne celebrazione presieduta dal Vescovo Mons. Luciano Monari il 24 gennaio 2010 nel santuario a lei dedicato]

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eppure resiste, esita a dar vita alla Compagnia fino a quando è ormai vicina alla conclusione della sua vita terrena (muore il 27 gennaio 1540). Il motivo del “ritardo” è comprensibile: Angela era ben consapevole della portata rivoluzionaria di una formula che avrebbe scompaginato le consuetudini sociali ed ecclesiali e perciò si prende tutto il tempo necessario per discernere: persevera nella sua intensa vita di preghiera, nella pratica dei digiuni, intraprende, diremmo noi oggi, una formazione permanente, leggendo una grande quantità di libri, intraprendendo molti (per l’epoca) pellegrinaggi per leggere dentro se stessa2. Il suo attendere

2 Agostino Gallo, che l’ha ben conosciuta avendola ospitata nella sua casa, testimonia che non essendogli mai insegnato pur l’alphabeto, et non di meno non solo leggeva una quantità de libri santi, ma anco ho veduto assai volte andar da lei più religiosi, et in specialità Predicatori et Theologhi adomandarli la dichiaratione sopra molti passi de Psalmi, de Propheti, dell’Apocalipse, et di tutto il Testamento Novo et Vecchio, et sentire da lei tale espositione che ne rimanevano stupefatti

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non è immobilismo, è un paziente scrutare (come diremmo noi oggi) i “segni dei tempi”, un vegliare attento per poter cogliere il momento opportuno dell’attuazione.

Giunge alla fondazione quando è evidente che è proprio questa la volontà di Dio, tanto è vero che la Compagnia rappresenta da subito una formidabile opportunità di risposta alla vocazione cristiana e nello stesso tempo di promozione umana della donna, che a quell’epoca non aveva alcuna possibilità di esercitare una scelta; aveva un destino segnato dalle decisioni familiari che la volevano monaca o maritata (il marito ovviamente era individuato dalla famiglia). Entrambe le condizioni sottraevano la donna alla propria possibile autodeterminazione, ponendola sotto la permanente tutela del marito o del convento. Se la donna non si sposava, nella propria casa godeva della posizione di serva.

Angela Merici, con un incredibile scarto culturale rispetto ai costumi del tempo, ha offerto alla donna cristiana la possibilità di rispondere ad una chiamata “altissima” quella di diventare “vera ed intatta sposa del Figliol di Dio” con un impegno giuridico e morale definitivo, come quello del matrimonio o della monacazione, espresso nella formula della promessa solenne, ma rimanendo “nel secolo” nel mondo, nella condizione ordinaria della vita. L’ideale a cui Angela si rifà (secondo la testimonianza del Cozzano) è la vita “apostolica” cioè “la vita secondo il modo di viver degli Apostoli e della primitiva Giesa.. che, - specifica Gabriele Cozzano - nel suo primo et aureo stato di viver, è stata senza clausure, né seraglie di conventi..,3”.

Questa nuova esperienza richiedeva alla donna – altra novità -anche un’assunzione diretta di responsabilità nella funzione di governo interno, tanto da essere il primo esempio di un’istituzione

3 Cozzano, Risposta.

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ecclesiastica che affidava interamente il proprio governo alle donne e che al bisogno poteva anche avvalersi di quattro homini maturi et di vita probata come agenti et patri ancora circa l’occurrente necessitade della Compagnia.

La Compagnia di Sant’Orsola proponeva alle donne di ogni condizione sociale la possibilità di vivere oltre i limiti imposti alle donne del tempo, offrendo loro una nuova identità femminile, un modello di vita socialmente e spiritualmente indipendente, un ruolo attivo e pubblico nella società. Ciò che forse colpisce di più nella Regola di Angela è l’assenza della categoria del “potere” e l’enfasi data allo sviluppo della persona in quanto essere umano – seppure all’interno di una finalità che trascende l’esistenza.

L’alto ideale spirituale ha innescato anche un risvolto sociale molto concreto, che ha permesso alla donna non sposata e non claustrata, quindi alla donna nubile, di essere riconosciuta soggetto giuridico, una novità assoluta che si è affermata a partire dalla possibilità (sancita da Papa Paolo III) di poter entrare in possesso della propria dote o di altre eredità, diritto dal quale le donne non sposate erano in precedenza totalmente escluse.

Per questi motivi la via aperta da Sant’Angela è stata subito avvertita come fortemente rivoluzionaria e le conseguenze non

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hanno tardato a farsi sentire con le avversità che la Compagnia di sant’Orsola ha dovuto affrontare subito dopo la morte della Fondatrice.

(a questo proposito mi piacerebbe proprio vedere l’espressione che farebbero oggi i denigratori di sant’Angela che riferendosi a lei, dicevano che cosa pensava di fare? Di imitar ancor lei un santo Benedetto, una santa Chiara, un santo Francesco. Anzi ancor ella ha volesto esser da più, et pensava, assegurandose, a poner vergini in mezzo del mondo, cosa che mai ardite alcun de patriarchi. Oggi, leggendo la lettera indirizzata da papa Francesco alla vita consacrata, dovrebbero farsene una ragione di fronte all’espressione con la quale il papa indica Angela Merici tra i maggiori esempi di santità proprio insieme a quelli di san Benedetto es an Francesco, San Basilio, S. Teresa d’Avila, e pochi altri ancora)

Comunque l’ideale mericiano, nonostante le avversioni umane, ha preso corpo e quelle donne così intraprendenti e coraggiose hanno cominciato davvero ad essere considerate un modello di realizzazione umana, cui altre donne potevano aspirare.

E qui sorge spontanea la prima Domanda: siamo noi in grado di offrire la medesima percezione?

E’ un interrogativo su cui la Compagnia deve lungamente riflettere e lavorare, perché se l’ideale vissuto dalla Compagnia oggi ha perso fascino nella considerazione femminile, significa che un elemento importante del proprio DNA carismatico ha perso smalto.

Come recuperarlo? Non so dare una risposta precisa, Angela, che era una santa, ha impiegato una vita, ma c’è bisogno di una analisi seria, illuminata dallo Spirito Santo ed attuata in modo comunitario nella Compagnia.

Resto convinta che molto si giochi sulla espressione della spiritualità, in particolare sul superamento del clichè ottocentesco, marcatamente devozionale, che ha accentuato il riserbo, l’intimismo,

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il nascondimento, il distacco dal mondo, il senso di dipendenza, l’atteggiamento un po’ sofferente nei riguardi della vita. Una spiritualità che ha formato donne sante, ma che non forse non interpreta al meglio le esigenze e le aspettative di oggi.

La spiritualità potrà aprire nuovi e orizzonti quanto più assumerà la forma e lo stile del Vangelo, così come del resto è stato per sant’Angela. La sua Regola tipicamente evangelica e ricca di riferimenti scritturali ne è una chiara testimonianza.

Indicazioni di grande portata che possono aiutare la Compagnia a recuperare il respiro ci arrivano dalle lettere del Papa e della congregazione per gli istituti di vita consacrata (Scrutate), che la Compagnia dovrà declinare molto appropriatamente per sé stessa: anche qui l’appello principale è di porre al centro della nostra vita il Vangelo e l’essenziale cristiano, come il Concilio e il Magistero ci hanno insistentemente invitato a fare. Poi le lettere sottolineano:• L’urgenza di rivedere i cammini formativi permanenti, perché

la povertà ripetitiva di contenuti blocca su livelli di maturazione umana infantile e dipendente4;

• L’esercizio del discernimento evangelico per scegliere con sapienza dato la vita consacrata vive una stagione di esigenti passaggi e necessità nuove5;

• La necessità di superare un paradigma invecchiato, superando l’accidia un male che sfibra e intorpidisce, e sviluppa la psicologia della tomba; accogliendo l’invito di papa Francesco ad essere una Compagnia in uscita….. che si lascia condurre a cose grandi attraverso segnali piccoli e fragili, mettendo in gioco le risorse deboli6.

4 n. 95 n. 106 n. 11

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• La disponibilità ad operare insieme e con semplicità e chiarezza da chi serve in autorità, per fare le scelte …senza restare ancorati alla nostalgia di strutture e abitudini che non sono più portatrici di vita nel mondo attuale…7.

• L’opportunità di procedere partendo sempre dai soffi di gioia dello Spirito Santo, che può semplificare situazioni bloccate e complesse. Non c’è maggior libertà che quella di lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e controllare tutto, e permettere che lo Spirito ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove desidera..8.

• La disponibilità a vivere la mistica dell’incontro, alimentando la …capacità di empatia, vicinanza …senza chiudere lo spirito e il carisma nelle strutture rigide e nella paura di abbandonarle; la fraternità come segno della possibilità di rapporti umani accoglienti, trasparenti, sinceri…consapevoli però che la fraternità non produce la perfezione delle relazioni, ma accoglie il limite di tutti e lo porta nel cuore e nella preghiera come ferita inferta al comandamento dell’amore.9

Ognuna di queste indicazioni, seppur richiamate sinteticamente, tocca corde molto sensibili del carisma della Compagnia, e ciascuna di noi potrebbe – ripercorrendo gli scritti di sant’Angela e quelli dei suoi testimoni - ritrovarne tutto lo spessore e il cuore.

Ma un’altra indicazione – molto concreta - non andrebbe disattesa: quando il nostro Vescovo Luciano ci ha consegnato il direttorio il 26 gennaio 2013 ha fatto una domanda esplicita alla Compagnia: ha chiesto la disponibilità ad aprire spazi umani e materiali per offrire alle ragazze che hanno una sensibilità di fede robusta degli spazi nei

7 n. 128 n. 129 n. 13

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quali possano appropriarsi dello straordinario patrimonio della fede cristiana e della testimonianza femminile….. un luogo di gestazione in cui si forma e cresce una forma attuale di partecipazione della donna alla missione della Chiesa. Questa richiesta attende ancora una elaborazione progettuale da parte nostra ed una risposta; è vero che facciamo fatica perché abbiamo perso il contatto vitale con le ragazze, è vero che è difficile entrare nel loro mondo, nel loro linguaggio, nel loro modo di pensare, tuttavia dobbiamo trovare il modo di accogliere questo mandato anche per offrire una prospettiva al futuro prossimo della Compagnia.

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Se proprio non riusciremo nell’intento, potremo sempre impegnarci a mettere questa intenzione nella molteplicità delle relazioni che intessiamo con le donne presenti nel nostro quotidiano: le sorelle, le nipoti, le colleghe di lavoro, le donne che entrano nelle nostre case per aiutarci a gestire le persone anziane, le vicine di casa…Il clima di dialogo, la comprensione reciproca, la disponibilità al servizio, rappresentano un’occasione straordinariamente favorevole per testimoniare il messaggio liberante del Vangelo e la gioia di appartenere al Signore Gesù.

2. Punto importante: La mistica dell’incontro (come capacità di sentire, di ascolto delle altre persone, la capacità di cercare insieme la strada, il metodo) richiamata nella lettera della congregazione, mi dà modo di guardare ad un altro segno, ugualmente radicato nel carisma antico: la condivisione del carisma. Combattendo contro la tentazione dell’isolamento, del circolo chiuso e dell’autoreferenzialità.

Nella lettera indirizzata Al Lettore, che precede uno dei testi più antichi della Regola, troviamo indicato che la Regola sarà principalmente osservata da quelle vergini che appartengono alla Compagnia (che hanno dato il loro nome). Però, si aggiunge non che per questo se voglia escluder come seguaci ed aderenti ancor ogni altro...., ....Imperochè qui se invita, qui se abbrazza con gran disio ogni sorta di creature: homini, donne, grandi, piccoli, giovani, vecchii. che quanto più saranno, tanto maggior allegrezza se pigliarà,

Mi parrebbe un bel segno provare a riflettere sull’opportunità di rendere partecipi dello spirito di sant’Angela – nelle formule e nelle modalità che si potranno o vorranno mettere a tema - altre persone, a partire proprio da coloro che già adesso guardano a Lei con una certa ammirazione, i membri del Centro Mericiano, gli Amici di Sant’Angela.

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Questa condivisione non sarebbe una novità: sant’Angela aveva addirittura previsto nel governo della Compagnia il coinvolgimento delle Matrone (nobili vedove che si interessavano alla Compagnia), che non erano consacrate; e poi c’erano i quattro homini maturi e di vita probata che potevano essere considerati come padri.

Anche quando la Compagnia è stata sciolta dalle leggi napoleoniche, qui a sant’Afra si era costituita una fraternità, con finalità di culto che registrava negli anni dal 1816 al 1854 la presenza di consorelle e confratelli. L’inventario dell’archivio della Parrocchia di S. Afra, nel fondo della Compagnia, testimonia la presenza di questi Divoti iscritti a s. Angela Merici .

Un clima di apertura fiduciosa in questo senso, non può farci che del bene. L’atmosfera amicale, seria e bella nella quale condividere il possibile bene spirituale e umano sono una grande forza.

Ma sarebbe impensabile ipotizzare un’ampia condivisione del carisma, se non valorizzassimo al massimo i legami esistenti con le espressioni orsoline che già sono partecipi del carisma: le Compagnie (diocesane e federate) sparse in Italia e nel mondo, le diverse congregazioni orsoline (sono una quarantina le famiglie religiose che si rifanno a sant’Angela).

La consapevolezza e il rafforzamento di questi legami devono ampliarsi diventando patrimonio condiviso di tutte noi Figlie di Sant’Angela. E’ una ricchezza inestimabile che non possiamo permetterci di perdere; i diversi percorsi storici e la pluralità di esperienze non sono un ostacolo e neppure un pericolo per l’identità della Compagnia di Brescia. E’ vitale consolidare e ampliare le occasioni di conoscenza, approfittare di ogni singola opportunità di incontro, per vedersi e rallegrarsi come care sorelle, come dice sant’Angela.

Sarebbe bello giungere a percepirci – soprattutto tra Compagnie

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federate e no – non tanto come un “noi” e un “loro”, ma tutte come un NOI, al di là delle rispettive configurazioni giuridiche.

3. Un altro segno caratteristico della Compagnia voluta da sant’Angela è la secolarità: la nostra missione è il mondo, il luogo che maggiormente ignora la nostra identità profonda. Il mondo è stato anche il tema di grande interesse di Paolo VI, che con la Chiesa conciliare di cui era espressione, ha sentito il bisogno di conoscere, avvicinare, comprendere, penetrare, servirlo, rincorrere nel suo rapido e continuo mutamento.

Mi piace ricordare – riferendomi a questo tratto caratteristico della Compagnia - un’affermazione che Mons. Luigi Fossati fece nel 1963 all’interno di alcune giornate di studio: Una figlia di sant’Angela che vuol vivere raccolta e tranquilla, non ha la vocazione10. Un’affermazione forte, da leggersi come uno sprone, come un auspicio, come un’indicazione di vita.

Posso dire che viviamo nel luogo della periferia ecclesiale? e il luogo in cui viviamo non è un luogo geografico o sociale, ma è un luogo teologico, un luogo in cui il protagonista è il Signore se noi non lo lasciamo estraneo al nostro modo di operare e di essere in famiglia, nel mondo del lavoro, nelle pratiche quotidiane, quando andiamo a fare la spesa, o prendiamo la metropolitana, o collaboriamo con le associazioni presenti sul territorio, o quando paghiamo le tasse o ci interessiamo degli sviluppi della politica, quando sosteniamo gli sforzi per la costruzione del bene comune. La secolarità, è un elemento costitutivo della nostra vocazione e missione, non ne è un’appendice facoltativa o un’accidente.

Sant’Angela – anche se lei non poteva nel suo tempo tematizzarla – ci insegna a prendere sul serio la secolarità e tutte le occasioni di

10 Voce Documenti, 18, pag. 44

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incontro e di relazione “mondana”: nei luoghi della vita ha dialogato con persone umili e con illetterati (Agostino Gallo, Giacomo Chizzola), ha collaborato con semplici artigiani e grandi artisti (Moretto, Romanino), si è rapportata con gente di popolo e Governatori (Luigi Alessandro Gonzaga, il Duca di Milano Francesco Sforza); si è formata sulle scritture e nello stesso tempo sapeva ascoltare, consigliare su come fare testamenti, su come affrontare le difficoltà della vita, stringere o meno nuovi legami familiari, ….insomma spendeva tutto il giorno, come dice Agostino Gallo, in buoni officii col prossimo. Pensate che la storiografia tradizionale, tesa a veicolare solo gli aspetti più sensazionali della vita di Angela Merici, ha per secoli posto in sordina questi aspetti quotidiani, solo gli studi e i convegni dell’ultimo ventennio, liberandola dalle incrostazioni agiografiche, ci hanno restituito in tutta la sua unicità la complessità umana, spirituale, culturale della nostra fondatrice.

Non dobbiamo farci problema perciò se il nostro quotidiano, gli impegni, le attività, l’esito delle nostre relazioni, rimane per lo più nascosto; è una caratteristica del nostro tratto umano, e della nostra spiritualità secolare quella di essere un semplice, umile seme, che se vuole svolgere al meglio la propria funzione, non si vede. La visibilità non è una questione che ci riguarda più di tanto, non deve essere una preoccupazione nostra, a quella penserà il Signore, è un affare suo. Noi facciamo quel che dobbiamo fare, là dove il Signore ci ha poste e ci ha chiamate.

Padre Antonio Marrazzo, postulatore della causa di beatificazione

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di Paolo VI e delle sorelle Maddalena ed Elisabetta Girelli, ha bene sottolineato questo esito anche nella esperienza delle Venerabili sorelle, affermando che il loro è stato un cristianesimo diluito, vissuto con estrema normalità, il loro messaggio è il Cristo vissuto nella quotidianità senza sbatterlo in faccia a nessuno…. Le Girelli sono grandi e sono fortemente attuali non perché sono andate a fare qualcosa in certi posti, ma perché si sono immerse nella situazione, hanno fatto in modo che quel bene diventasse normale, ovvio, quasi scontato.

4. Un altro segno espressivo della Compagnia e importante per il suo futuro, è la consapevolezza di essere Chiesa e di tradurre questa coscienza ecclesiale in partecipazione matura alla vita della comunità cristiana, a partire dalla comunità parrocchiale in cui ciascuna Figlia è inserita.

La nostra identità è comunitaria, un sentire ed un essere Chiesa, secondo la visione assimilata dal Concilo Vaticano II. Siamo un corpo con la Chiesa, e in questo corpo il nostro compito forse è semplicemente un compito di comunione quello di tenere stretti i legami tra le varie membra, portare l’ossigeno agli organi o ai muscoli fiaccati, alleviare le parti ammaccate o doloranti, motivare quelle indolenti, insomma aiutare ciascuno con cui interagiamo a sentirsi a casa propria nella comunità ecclesiale. La modalità con la quale siamo presenti, cioè i ruoli intra-ecclesiali, non mi sembrano importanti: ciò che conta è che la nostra presenza si caratterizzi come missione di comunione, di dialogo, di animazione e promozione del bene di ciascuno.

Penso che quando Paolo VI nel discorso alle Compagnie dell’agosto 1966 afferma “prendete la formula parrocchiale sul serio e dite noi ci consacriamo al parroco nei suoi bisogni di assistenza femminile, per dare alla parrocchia quello di cui ha bisogno, cioè il

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senso della comunità, la preghiera nuova, l’istruzione religiosa, la bellezza del culto, l’ordine spirituale e morale che la fa veramente comunità cristiana non stesse chiedendo semplicemente alle Figlie di Sant’Angela di essere (passatemi l’espressione) una sorta di chierichette. Ma di assumere un compito maturo all’interno della comunità, di servizio teso a rafforzare il senso e la bellezza dell’essere comunità cristiana.

Concludo sottolinenando due temi che mi sembra accomunino nel modo di sentire e nello stile Angela Merici e papa Paolo VI: La gioia e l’essere pellegrini. Entrambi gli aspetti hanno ancora oggi una grande rilevanza umana e spirituale.

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La gioia, meglio la letizia, è una parte importante del programma spirituale di Angela Merici; lei dà così importanza alla letizia da metterla come condizione per entrare validamente nella Compagnia: entri lietamente e di propria volontà (Regola cap. I) e poi sia lieta, e sempre piena di carità, di fede e di speranza in Dio (Reg. cap. IX). Angela ci tiene ad assicurare che passeremo questa nostra brevissima vita consolatamente e ogni nostro dolore e tristezza si volgeranno in gaudio e in allegrezza; e troveremo le strade, per sé spinose e sassose, per noi fiorite e lastricate di finissimo oro (Reg. proemio). Papa Paolo VI ha scritto nientemento che una Esortazione apostolica sulla gioia, la Gaudete in Domino attraverso la quale ancora oggi ci raggiunge con un appello: noi vi invitiamo ad implorare dallo Spirito Santo il dono della gioia. Il suo scritto mette in evidenza il bisogno di gioia presente nel cuore di tutti gli uomini, e chiede a tutti di tornare alle sorgenti della gioia; una richiesta insistente, rivolta particolarmente alla vita consacrata anche da Papa Francesco, lui pure autore di una recente esortazione apostolica sulla Gioia evangelica. Pellegrini. L’iconografia mericiana raffigura sant’Angela con il bordone da pellegrina, con il quale è anche stata sepolta a caratterizzarne il temperamento e lo stile di vita.La sua ricerca esigente l’ha portata ad intraprendere pellegrinaggi (Mantova, Gerusalemme, Roma, Varallo) in tempi in cui non era poi così scontato tornare portando a casa intatta la pelle. Grazie a questi cammini Angela ha affinato la sua identità, la sua spiritualità, e delineato il suo carisma. La sua esperienza consegna a noi il desiderio della ricerca, della disponibilità a lasciarci attraversare da paesaggi ed orizzonti (anche umani e culturali) che non ci sono del tutto familiari, ma ai quali è possibile guardare con simpatia per valorizzarli o asumerli, se necessario e se sono espressione dell’umanità bella, così come è uscita dal pensiero creatore di Dio. Una ricerca che non è fatta solo di cammino fisico-geografico, ma anche culturale,

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al cui impegno ci richiama la lettera della congregazione per la vita consacrata, nella quale si constata che “ È motivo di profondo rammarico che un rinnovato amore per l’impegno culturale e la dedizione allo studio non sia sempre accolto e ancor meno recepito come esigenza di riforma radicale per i consacrati e, in particolare, per le donne consacrate.”11

Paolo VI, il primo uomo moderno diventato Papa12, come lo ha definito il card. Poupard, è anche il primo papa pellegrino della storia (in Terra Santa, alle sorgenti del Vangelo, a Bombay fra gli indù, all’Onu per incontrare i potenti della terra, a Samoa, Kampala, Bogotà, Manila, le periferie del mondo. Ha toccato tutti i continenti I suoi viaggi hanno avuto un significato straordinario) e ci consegna l’immagine – e il compito - di una chiesa in cammino sulle strade del mondo e dell’uomo, nella prospettiva di un incontro fecondo. Mi ha piacevolmente sorpreso sapere un particolare forse marginale; la testimonianza di don Macchi è riportata in una piccola pubblicazione intitolata Il pellegrino dalle scarpe rosse. Paolo VI rispondendo ad una richiesta del suo segretario circa il riordino di indumenti personali tra cui un paio di vecchie scarpe che non usava più da tanti anni, si esprime così: “Con queste scarpe ho fatto tutti i miei viaggi apostolici. Mi rimane un pellegrinaggio da compiere, il più importante. Quando partirò le chiedo di calzarmi queste scarpe” Alla morte di Papa Paolo VI qualcuno, vedendolo esposto alla venerazione dei fedeli non capì perché non gli erano state messe delle scarpe nuove13.

Angela Merici e Paolo VI: sono due grandi cristiani e straordinari protagonisti della storia della chiesa.

11 Scrutate, n. 912 Paolo VI. Destinazione mondo (Bernardelli-Rosoli)13 Paolo VI. Destinazione mondo (Bernardelli-Rosoli) pag. 133

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Molte cose li accomunano: l’amore per il Signore Gesù e per la Chiesa, la passione per l’uomo e per il mondo, il Vangelo come norma di vita, la gioia come condizione di vita, la grande fiducia nell’azione dello Spirito come motore del cambiamento e della novità di vita, il desiderio dell’incontro e della conoscenza che si traduce nello stile del pellegrino. Mi pare che per la Compagnia ci sia già una strada ben tracciata, sta a noi aprire, non soltanto gli occhi, ma il cuore, la mente e lo spirito per vederla.

Giuseppina Pelucchi

LA VOCEDELLA COMPAGNIA DI S. ANGELA • BRESCIA

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