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Collaboratori: Miguel Abensour / Pietro Adamo / Fernando Aínsa / Vito Altobello / Pietro Barcellona / Pino Cacucci / José MariaCarvalho Ferreira / Antoni Castells / Noam Chomsky / Fabio Ciaramelli / John Clark / Eduardo Colombo / Ronald Creagh /Robert D’Attilio / Marianne Enckell / Fabrizio Eva / Luca Fantacci / Goffredo Fofi / Mimmo Franzinelli / Jean-Jacques Gandini /Pierandrea Gebbia / Giulio Giorello / José Ángel Gonzalez Sainz / Franco La Cecla / Jean-Jacques Lebel / Mauro Macario /Francisco Madrid Santos / Sebastiano Maffettone / Todd May / Serena Marcenò / Franco Melandri / Sergio Onesti /Mario Rui Pinto /Rodrigo Andrea Rivas / Massimo Annibale Rossi / Andrea Staid / Paulo Torres / Giorgio Triani / Tullio Zampedri

libertaria 1-2 / 2010

in questo numero

Anno 12 - numero 1-2gennaio/giugno 2010

Editrice A cooperativa arlsezione Libertariaregistrazione al tribunale di Milano n. 292 del 23/4/1999

AmministrazioneLibertariavia Vettor Fausto, 3- 00154 Romacellulare 338/4160678Libertariacasella postale 9017 -00167 Romae-mail: [email protected]

Versamenticcp 53537007 intestato a Editrice A sezione Libertariacasella postale 9017 / 00167 Romarimesse bancarieBanca Etica Filiale di RomaIBAN: IT80 A050 1803200000000114485intestato a Editrice A Libertaria

Abbonamentoa quattro numeriItalia euro 25,00estero euro 30,00sostenitore euro 50,00

Collettivo redazionaleMaassimo AmatoFrancesco Berti Giampietro Nico Berti Franco Buncuga Marco CaponeraGiorgio CiaralloFrancesco Codello Giulio D’ErricoCarlo Ghirardato Aldo GiannuliMartino IniziatoLuciano LanzaStefania MaroniPietro Masiello Claudio Neri Lorenzo PezzicaFerro Piludu Persio TincaniSalvo Vaccaro Claudio Venza

progetto grafico Maria Luisa Celotti

direttore responsabileLuciano Lanza

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Redazione Libertaria via Rovetta, 27 - 20127 Milano telefono e fax 02/28040340cellulare 335/1406493

Corrispondenza Libertaria casella postale 10667 20110 [email protected]

Distribuzione nelle librerieDiestVia Cavalcanti, 11 - 10132 Torinotelefono e fax 011/8981164

StampaFranco Ricci Arti GraficheVia Bolgheri, 22/26 - 00148 Roma

ISSN 1128-9686

Internetwww.libertaria.it

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• lavori in corso 22 Che la crisi si aggravi

• dietro i fatti 184 Quel teatrino di Davos di Massimo Amato

• piano sequenza 388 Per una storia della corruzione in Italia di Aldo Giannuli

• rifrazioni 5521 Ripensare il movimento anarchico nell’era del collasso

di Stefano Boni

32 In visita a Kapriole di Irene Stella

• botta e risposta 6836 Quale anarchismo oggi di Andrea Papi e di Nico Berti

• laboratorio 78 46 L’anarchismo e la disputa sulla postmodernità di Eduardo Colombo

• persone 6290Il seme sotto la neve di Francesco Codello

• conversazioni98 2826 Il ritorno dell’utopia intervista a Yona Friedman di Franco Buncuga

• archivio 8790Il rapporto dello stato con l’individuo di Benjamin Tucker

93 Quel libertario «egoista» di Pietro Adamo

• arcipelago 9695 Notizie della cultura libertaria

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«Come si reagirebbe alla scoperta chela società in cui si vorrebbe real-mente vivere c’è già (…), se non si

tiene conto, ovviamente, di qualche piccologuaio come sfruttamento, guerra, dittatura egente che muore di fame? Questo libro vuolproprio dimostrare che una società anarchica,una società che si organizza senza autorità, esi-ste da sempre, come un seme sotto la neve, se-polta sotto il peso dello stato e della burocrazia,del capitalismo e dei suoi sprechi, del privilegioe delle ingiustizie, del nazionalismo e delle suelealtà suicide, delle religioni e delle loro super-stizioni e separazioni» [1].In questa citazione è compendiata tutta la ri-cerca a cui Colin Ward [2] ha dedicato la vita diattento indagatore della società con l’intento di

dimostrare che l’anarchia non è una visione,basata su congetture, di una società futura,quanto piuttosto un modo del tutto umano diorganizzarsi, ben radicato da sempre nella con-creta esperienza della vita quotidiana, che fun-ziona a fianco delle tendenze spiccatamenteautoritarie della nostra società e nonostantequelle.La domanda che fin dal 1961 Ward si pone è se,come anarchici, si è sufficientemente rispetta-bili (Anarchism and Respectability, 1961), vale adire se la qualità delle idee e proposte libertariesono meritevoli di rispetto, in quanto suggeri-scono concrete soluzioni libertarie ai problemidel vivere sociale, da preferirsi a quelle autori-tarie.Uno degli aspetti più interessanti e nuovi (nelpanorama anarchico) è costituito dal fatto chetra gli oltre venti libri da lui scritti (senza conta-re l’enorme numero di articoli pubblicati inuna varietà di periodici non solo libertari), solodue sono esplicitamente riferiti all’anarchia,mentre tutte le sue ricerche sono indirizzate aun’ampia gamma di problematiche sociali(educazione, urbanistica, politica, architettura,costumi e comportamenti sociali, economia...)utilizzando sempre fonti e studi, oltre che espe-

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IL SEME SOTTOLA NEVE di Francesco Codello

Un anarchico pragmatico, questa era la definizione ricorrente di Colin Wardmorto l’11 febbraio. Inglese, nato nel 1924, architetto, insegnante, giornalistae scrittore ha pubblicato oltre trenta libri di argomento politico, urbanistico e pedagogico.Ward è una figura di primo piano dell’anarchismo. I suoi libripubblicati in italiano: Anarchia come organizzazione (1996), Dopol’automobile (1992), Acqua e comunità (2003), L’anarchia. Un approccioessenziale (2008),Conversazioni con Colin Ward (a cura di David Goodway,2003) tutti pubblicati da Elèuthera. E La città dei ricchi e la città dei poveri(1998), Il bambino e la città (2000). Mentre il Bollettino dell’Archivio G. Pinelli (supplemento al n. 30) ha pubblicato L’anarchismo pragmatico di Colin Ward. Qui ne tratteggia la figura e il pensiero Francesco Codello,dirigente scolastico a Treviso, autore di Educazione e anarchismo (1995),La buona educazione (2005),Vaso, creta o fiore? (2005), Né obbedire né comandare (2009) e Gli anarchismi (2009)

1. Colin Ward, Anarchy in Action, (1973) ora Anarchiacome organizzazione, Elèuthera, Milano, varie edizioni,qui 2006.2. Per una biografia intellettuale di Colin Ward vedi:David Goodway, Conversazioni con Colin Ward. Losguardo anarchico, Elèuthera, Milano, 2003; StuartWhite, Un anarchismo rispettabile?, Bollettino ArchivioPinelli, n. 30, Milano, 2007; Francesco Codello, Lalezione di Colin Ward, in A rivista anarchica, Milano, n.2/2010; Id., Il seme sotto la neve. Intervista a Colin Ward,in Libertaria, Milano, n. 3/2001. David Goodway, Anar-chist Seeds Beneath the Snow, Liverpool UniversityPress, Liverpool, 2007, pp. 309-325.

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rienze, di provenienza e orientamento culturalivari. Ward scriveva infatti già nel 1958:

A mio modo di vedere la caratteristica più sa-liente del «libro che non c’è» sul movimentoanarchico del ventesimo secolo non dovrebbetanto essere il superamento delle concezioniproprie ai pensatori classici dell’anarchismo,Godwin, Proudhon, Bakunin, Kropotkin, ma larielaborazione che ne è stata fatta, la loroestensione ad ambiti più vasti. Si è trattato diun processo selettivo che ha respinto il perfe-zionismo, la fantasticheria utopistica, il roman-ticismo cospirativo, l’ottimismo rivoluzionario,prendendo dai classici dell’anarchismo le ideepiù valide, non quelle più discutibili… E vi hainfine inglobato l’apporto concreto offerto dal-le scienze sociali del nostro secolo, in particola-re dalla psicologia e dall’antropologia, oltre chedall’evoluzione tecnica [3].

Le influenze culturali

anarchiche e libertarie

Per sua stessa ammissione Colin Ward dichiarache questo quesito e questa idea dell’anarchianon è nuova nel panorama dei pensatori e nellastoria dei movimenti libertari, ma è stata sicu-ramente poco ripresa e non sviluppata, al difuori di qualche intuizione peraltro minorita-ria. Si può quindi sostenere che essa rappre-senta un’idea sostanzialmente originale e di-viene una sfida nuova con cui misurarsi.Lo stesso Ward individua in alcuni autori i suoipunti di riferimento principali, senza tralascia-re gran parte della tradizione storica dell’anar-chismo stesso, ma cercando di privilegiarnequegli elementi non obsoleti o chiaramente in-soddisfacenti.Le principali influenze culturali (non le unicheovviamente) verso le quali si sente debitore, cele ricorda egli stesso, e sono quelle di WilliamGodwin e Mary Wollstonecraft per l’educazio-ne, Alexander Herzen per la politica, Pëtr Kro-potkin per l’economia, Martin Buber per la so-ciologia, William Richard Lethaby e Walter Se-

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gal per l’architettura, Patrick Geddes e PaulGoodman per la pianificazione urbanistica [4]. Accanto a questi riferimenti, diciamo originari,egli assume e sviluppa molte altre indagini e ri-cerche, privilegiando quegli studi più originalie attuali in grado di portare dati e riscontri certialla sua tesi di fondo. Infatti nelle varie biblio-grafie che accompagnano i suoi scritti sonomolto più citati autori e ricercatori che nullahanno a che fare con l’anarchismo, ma chehanno indagato a fondo aspetti diversi di unproblema, arrivando a conclusioni che possonoessere utilmente e facilmente portate a suffra-gio di una visione libertaria.Il pensiero di Colin Ward arriva in Italia graziesoprattutto a pochi anarchici riuniti attorno al-l’esperienza dei Gaf (Gruppi anarchici federati)e in particolare alla rinnovata gestione delleEdizioni Antistato (curata da Amedeo Bertolo eRossella di Leo) e alla rivista Volontà (diretta daLuciano Lanza). Saranno proprio questi e pochialtri anarchici che accoglieranno con piacere lasfida innovativa che l’anarchico inglese avevalanciato fin dagli inizi degli anni Sessanta attra-verso, soprattutto, le pagine di quella indimen-ticabile rivista che è stata Anarchy [5].

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Alla Colonia Berneri. Colin Ward nel 1952 in visita allacolonia marina fondata da Giovanna Caleffi, la vedovadi Camillo Berneri, con Cesare Zaccaria a Piano diSorrento nel 1951 nel nome della figlia MariaLuisamorta nel 1949. Un’esperienza che si chiude nel 1957

3. Colin Ward, The Unwritten Handbook, in Freedom,Londra, 28 giugno 1958.4. Cfr.: Colin Ward, Influences. Voices of CreativeDissent, Green Books, Bideford, 1991.5. Sulla esperienza di Ward (fondatore) alla rivista Anar-chy vedi l’introduzione dello stesso al volume da lui cu-rato, A Decade of Anarchy (1961-1970), Freedom Press,Londra, 1987. Il volume contiene una scelta di articolidalla rivista su vari argomenti di diversi autori.

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Scorrendo i numeri della rivista si ha subitochiaro l’intento di fondo del suo direttore, valea dire esplorare tutti gli ambiti della società, neiquali le idee e le intuizioni anarchiche abbianoqualche cosa di attuale e di significativo da di-re, cercando di cogliere tutti quei fermenti, fattidi studi e di esperienze concrete, in grado diampliare gli orizzonti e gli spazi di libertà pertutti gli esseri umani. Nell’antologia (citata innota) appaiono articoli che riguardano i temiclassici del suo interesse come l’analisi di espe-rienze concrete di autorganizzazione, comeutilizzare le nuove tecniche e le nuove scienzea favore dell’emancipazione umana, la neces-sità del federalismo a tutti i livelli, l’uso nonconvenzionale che viene fatto dagli uomini,dalle donne e dai bambini, dell’ambiente circo-stante, il significato e il senso di un nuovo sin-dacalismo, l’educazione alternativa a quella uf-ficiale, le cause e le risposte libertarie alla de-vianza sociale, l’organizzazione della città inmodo da promuovere l’incontro e lo scambio alposto della gerarchizzazione dei rapporti socia-li, le occupazioni di case e spazi pubblici pertrasformarne l’uso, e così via [6].Per fare questa opera di svecchiamento e di ag-giornamento del pensiero anarchico, inevita-bilmente, Ward si avvale di una enormità difonti e di ricerche che spaziano negli ambiti diinteresse e vengono intelligentemente utilizzatisenza quasi mai presentarsi come trattati teori-ci di pensiero astratto e di dottrina ideologica.L’anarchico inglese, tra i primi nel panoramaeuropeo, indica anche una nuova modalità discrittura, molto poco ideologica e intensamen-te pragmatica, sempre nello sforzo di renderel’approccio anarchico via via più «rispettabile».Parte del suo sforzo innovativo è infatti rivoltoa coniugare le intuizioni dei padri nobili dell’i-dea anarchica con i ragionamenti più attuali,frutto di uno sviluppo intenso delle conoscen-ze, senza tralasciare alcun aspetto specifico delpiù generale vivere sociale, ma muovendo pro-prio da particolari questioni, indagandole conpragmatismo per poi portare il lettore a scopri-re il senso più profondo e libertario dell’espe-rienza e della questione affrontata.Anche quando presenta un classico del pensie-

ro anarchico, come è il caso del libro di Kro-potkin, Campi, fabbriche, officine (1899), egli siprende la libertà di togliere alcune parti obso-lete (relative ai dati specifici) per aggiungere aogni capitolo un post scriptum da lui redattoche aggiorna, sul solco delle intuizioni kro-potkiniane, ai tempi attuali, l’indagine e le va-lutazioni dell’autore che possono quindi essereusufruite dal lettore contemporaneo, senzanulla togliere alla traccia originale [7]. Kropotkin rappresenta, tra gli autori classicidell’anarchismo, quello a cui Ward guarda conpiù attenzione, cogliendone tutti gli elementiche a suo giudizio sono ancora centrali per unarivisitazione del pensiero anarchico. In ogni occasione che gli si presenta di doverdare una definizione del termine anarchismo,non a caso, egli cita quella redatta dal rivolu-zionario russo per l’Enciclopedia Britannica nel1910 secondo cui per anarchia si deve intende-re:

il nome dato a un principio o a una teoria dellavita e del comportamento, secondo cui la so-cietà è concepita priva di governo, risultandol’armonia di tale società non dalla sottomissio-ne alla legge o dall’obbedienza a un’autoritàqualsiasi, ma da liberi accordi stabiliti tra grup-pi numerosi e diversi, su base territoriale o pro-fessionale, liberamente costituiti per la neces-sità della produzione e del consumo, come an-che per soddisfare l’infinita varietà dei bisognie delle aspirazioni degli uomini civili.

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6. Ibidem.7. Pëtr Kropotkin, Campi, fabbriche, officine, Antistato,Milano, 1975. Scrive per l’appunto il curatore di questaedizione: «Lo scopo della presente edizione è esatta-mente questo. Gli argomenti di Kropotkin sono rimastiintatti, ma il materiale a sostegno è stato abbondante-mente sfrondato, mentre nelle appendici a fine di ognicapitolo si tenta di illustrare il significato delle sue ideeai nostri giorni» (p. 19).

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Inoltre ancora Kropotkin per primo ha sottoli-neato che forme organizzative libertarie sonogià esistite in diverse epoche storiche e rappre-sentano la risposta spontanea che gruppi so-ciali diversi si danno per risolvere vari proble-mi, pur in una cornice di società autoritarie egerarchiche [8].Riferendosi inoltre al pensiero di autori comePierre-Joseph Proudhon, Gustav Landauer,Martin Buber, oltre che a Kropotkin, Ward puòessere considerato, come Paul Goodman, il di-vulgatore di una concezione dell’anarchismopragmatico e praticabile. Infatti «la strategiache viene associata a scrittori come Colin Warde Paul Goodman, è disegnata per portare l’a-narchismo nella vita quotidiana. Ward sostieneche la strategia, che lui chiama anarchia inazione, è una nota a piè pagina del Mutuo Soc-corso di Kropotkin. In altre parole è un modo didimostrare che l’anarchismo è presente nellenostre vite quotidiane e che il lavoro dell’anar-chico è quello di aiutare gli individui e i gruppia esprimere le loro attitudini naturali» [9].Un’importante lezione che Ward trae soprat-tutto da Campi, fabbriche, officine (forse il libroda lui più citato) di Kropotkin è la previsioneper il domani che quest’opera contiene. Scrivea tal proposito nel 1974:

Come libro per l’oggi con un messaggio per ildomani, il significato dell’opera di Kropotkin èchiaro. Negli ultimi dieci anni noi ci siamo resisempre più conto che c’è una crisi dell’ambien-te naturale, una crisi delle risorse, dei consumie della popolazione… Il fatto incontrovertibileè che le risorse del mondo sono limitate, che lenazioni ricche hanno via via consumato risorsenon rinnovabili a un ritmo che il pianeta nonpuò sostenere, che le economie «progredite»

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stanno sfruttando le risorse delle economie «ar-retrate», come le materie prime a buon merca-to. La conseguenza è che non solo i paesi pove-ri non potranno mai sperare di raggiungere i li-velli di consumo garantiti nei paesi ricchi, mache gli stessi paesi ricchi non possono speraredi continuare ad andare avanti come oggi [10].

Si può ragionevolmente sostenere che questolibro abbia rappresentato anche un modello discrittura e di dissertazione per nulla ideologi-che ma molto empiriche che Ward ha fatto suotrasferendone le caratteristiche in tutte le sueopere. Il pensatore russo, per Ward, ha avuto ilmerito di scrivere in modo semplice, chiaro elogico. Il suo trattato sull’organizzazione dellasocietà, Il mutuo appoggio [11] del 1902 è servi-to a confutare l’uso indiscriminato delle teoriedarwiniane sulla selezione naturale per giustifi-care lo sfruttamento capitalistico e la concor-renza. Naturalmente al nostro autore sonochiari anche i limiti dell’indagine kropotkinia-na che consistono soprattutto in un eccesso diottimismo rivoluzionario [12]. Ma «per ciascu-no che pensa seriamente a un’economia alter-nativa, egli è un precursore immensamenteprezioso» [13]. Ciò che differenzia il pensierodei due anarchici è che mentre Kropotkin cre-

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8. Cfr.: Pietro Kropotkine, La scienza moderna e l’anar-chia, Ginevra, 1913. Scriverà in completa sintonia conKropotkin diversi anni dopo Colin Ward: «Il carattere diuna società non è determinato dal suo sistema econo-mico dominante. Ogni società umana è in realtà una so-cietà pluralistica in cui ampie aree di attività non sonoin conformità con i valori ufficialmente imposti o di-chiarati», in L’anarchismo e la crisi del socialismo, in Vo-lontà, Milano, n. 4/1984).9. Ruth Kinna, Anarchism. A Beginner’s Guide ,Oneworld, Oxford, 2005, p. 142.10. Pëtr Kropotkin, Campi… , op. cit., p. 232-233.11. Cfr.: Pëtr Kropotkin, Il mutuo appoggio, Casa Editri-ce Sociale, Milano, 1925. 12. Cfr.: David Goodway, Conversazioni con Colin Ward,cit., p. 103-104. Una interessante lettura del pensiero delrivoluzionario russo si trova in: Hug Heinz, Kropotkin,Massari editore, Bolsena, 2005.13. Colin Ward, Influences…, cit., p. 66.

Architetto e muratore. Colin Ward nel 1954,propugnatore dell’integrazione fra lavoro manuale e intellettuale e anticipatore dell’autocostruzione

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deva che il passaggio a una struttura sociale ditipo anarchico sarebbe giunto attraverso unarivoluzione sociale, Ward individua nell’azionedei gruppi cooperativi, nell’instaurazione dinuove forme di aggregazioni alternative e nellasecessione continua, la trasformazione anar-chica [14].Accanto a Kropotkin, Ward assume alcune ri-flessioni di Alexander Herzen [15] e le fa pro-prie soprattutto per rivisitare il concetto di ri-voluzione. Testimonia infatti che il suo debitodi riconoscenza nei confronti di Herzen siesprime nelle sue convinzioni circa il modo diaccostarsi alla propaganda anarchica: «Ho inmente soprattutto il saggio di Herzen, L’altrasponda, e la sua critica di quei fanatici che ac-cettavano la tesi, poi accolta dai bolscevichi inRussia e dai loro portavoce altrove, secondo laquale una generazione dovrebbe rinunciare al-le proprie aspirazioni in nome del futuro» [16].Una meta infinitamente lontana, come sostie-ne Herzen, non è una meta, ma, se volete, un’e-sca; una meta deve essere più vicina, deve esse-re almeno il salario dell’operaio o il piacere dellavoro compiuto. «Ogni epoca, ogni generazio-ne, ogni vita ha avuto e ha la sua pienezza» [17].Il prevalere di una soluzione libertaria o autori-taria non è, secondo Ward, il risultato di unoscontro definitivo di proporzioni cosmiche, maè piuttosto determinato da una serie di roundconsecutivi, senza vincitori né vinti nella mag-gior parte dei casi, che si sono susseguiti, e con-tinuano a verificarsi, nel corso della storia uma-na. Ogni società, se si escludono le più autori-tarie, è una società pluralistica, con vaste areeche non sono in conformità con i valori ufficial-

mente imposti o sbandierati. E la soluzione chelui prefigura e per la quale impegna la sua ri-cerca è ben espressa nella convinzione che«l’alternativa anarchica è quella che propone laframmentazione e la scissione al posto della fu-sione, la diversità al posto dell’unità, proponeinsomma una massa di società e non una so-cietà di massa» [18]. Infine, Ward riconosce nelle critiche che Her-zen indirizza in alcune lettere a Bakunin [19]degli elementi di verità condivisibili, e li fa pro-pri. La conoscenza e l’intelligenza non si con-quistano né con un colpo di stato né con uncolpo di testa. Nonostante l’andamento storicoci turbi e ci soffochi, sostiene Herzen, è oppor-tuno affrettare in noi stessi e negli altri i mede-simi sentimenti, ma nei modi dovuti e libertari:«Non v’è dubbio che l’ostetrico deve accelera-re, facilitare, eliminare ostacoli, ma entro certilimiti, che è difficile stabilire e spaventoso ol-trepassare. Per farlo, oltre a un’abnegazione lo-gica, sono necessari tatto e improvvisazioneispirata. Inoltre, non dappertutto è identico illavoro, mentre gli stessi sono i limiti» [20].Queste riflessioni si coniugano con quelle diLandauer, altro anarchico nel cui pensieroWard si riconosce, relative al ruolo e al signifi-cato dello stato. Landauer ha una visione moltoattuale del concetto di stato e di dominio, chelo affianca al più moderno dibattito intorno alpost e neoanarchismo. Facendo propria la ri-flessione di Landauer secondo la quale «lo Sta-to non è qualcosa che può essere distrutto at-traverso una rivoluzione, ma è una condizione,un certo tipo di rapporto tra gli esseri umani,un tipo di comportamento; lo possiamo di-

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14. Cfr.: Colin Ward, Temporary Autonomous Zones, inFreedom, Spring, 1997.15. Cfr.: Alexandr Herzen, Sviluppo delle idee rivoluzio-narie in Russia, Editori Riuniti, Roma, 1971; Il passato e ipensieri, Feltrinelli, Milano, 1961; Dall’altra sponda,Adelphi, Milano, 1993; A un vecchio compagno, Einaudi,Torino, 1977. Sulla figura di Herzen vedi: Martin Malia,Alle origini del socialismo russo, il Mulino, Bologna,1972; Giovanna Calebic Creazza (a cura di), AlexandrIvanovic Herzen. Profezia e tradizione, Cuen, Napoli,1995.16. David Goodway, Conversazioni…, cit., p.104.17. Alexandr Herzen, Dall’altra sponda, cit., p. 78.18. Colin Ward, Anarchia come organizzazione, cit., p.65.19. Alexandr Herzen, A un vecchio compagno, cit., pp. 3-10; Colin Ward, Influences, cit., pp. 63-64.20. Ibidem, p. 4.

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struggere creando altri rapporti, comportan-doci in modo diverso» [21], Colin Ward sottoli-nea che lo Stato è come una abdicazione dellasocietà nei confronti della politica, è poterenon utilizzato. Questo surplus politico costi-tuisce la principale fonte di depauperamentodella società. Ward conosce il pensiero di Landauer attra-verso Buber e il suo libro Paths in Utopia(1945), ma un altro saggio di Buber, testo diuna conferenza all’università di Gerusalemme,Society and the State (1950), attira la sua atten-zione e suscita il suo apprezzamento. Scrive Ward: «Buber ha assunto differenti si-gnificati per vari scrittori. Per me è un filosofo

sociale, un sociologo di fatto, il quale ha com-preso diverse decadi fa la natura della crisi delcapitalismo e del socialismo. L’era del capitali-smo avanzato, ha scritto, è naufragata nellastruttura della società. La società che l’ha pre-ceduta era composta di differenti società; è sta-ta una struttura complessa e pluralistica. Que-sto fatto le ha dato una particolare vitalità so-ciale e le ha consentito di resistere alle tenden-ze totalitarie insite nello stato centralistico». Lostesso fenomeno si è verificato con i sistemi so-cialisti, tranne in quelle forme di socialismo de-finite utopistiche e pluralistiche [22]. Egli è af-fascinato soprattutto dalla semplicità e dallachiarezza con cui Buber, prima di altri, ha in-tuito ciò che costituisce, rispetto all’organizza-zione sociale, il pensiero che poi lo stesso Wardsvilupperà [23]. Buber edifica una grande e vi-sionaria alternativa all’individualismo estremoe antisociale del sistema capitalista e al colletti-vismo statalista del socialismo reale. L’utopiadiviene dunque un’esigenza reale così comeimprescindibile è ritrovare un sogno comune.Nel sognare una comunità fondata su rapportiumani autentici, sul mutualismo e sulla reci-procità, sul riconoscimento completo dell’al-●

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Quella prima traduzione del 1976

Ecco ampi stralci della prefazione alla prima edizione italiana di Anarchia come organizzazione

Con questo libro di Colin Ward si apre la collana Anarchismo oggi, che pubblicherà interpretazionicontemporanee dell’anarchismo. Anarchia come organizzazione, per l’appunto, si presenta esplici-tamente come una interpretazione del pensiero anarchico, secondo una prospettiva particolare,con la quale si può o meno consentire, ma alla cui espressione argomentata e documentata non sipuò non riconoscere dignità di coerenza e serietà.Nelle sue linee fondamentali l’interpretazione di Colin Ward è riconducibile alla convinzione(«neokropotkiniana», se ci è consentita un’etichetta) che i modelli organizzativi anarchici (solidari-stici, egualitari, libertari) sono non utopie ma tendenze già esistenti nelle società gerarchiche, «co-me il seme sotto la neve», e che l’azione anarchica deve essere rivolta a rafforzare queste tendenzeantigerarchiche, in una estensione continua degli ambiti di autodeterminazione individuale e col-lettiva. E in una lucida contrapposizione tra rivoluzioni che perpetuano la gerarchia cambiando ipadroni e riforme che rendono più sopportabile la dominazione da un lato e mutamenti sociali disegno anti-autoritario, rivoluzionari o progressivi, dall’altro. Con questa contrapposizione autorita-rio-antiautoritario, che sostituisce la più corrente (e falsa, secondo Colin Ward) antitesi rivoluziona-rio-riformista, si chiude significativamente il libro, in una posizione che è, o almeno appare, al limi-te tra anarchismo e radicalismo libertario. Non tanto la scelta della tematica che attraversa tutto il li-bro (la teoria anarchica dell’organizzazione sociale) quanto il modo di affrontarne i singoli momentiapplicativi e inoltre quel poco (ma significativo) di concezione generale dell’anarchismo che apparenella prefazione e nel capitolo conclusivo riflettono a nostro avviso l’esperienza anarchica personaledell’autore e più in generale la realtà del movimento anarchico britannico. Nei pregi e nei difetti. Eogni anarchico italiano, ogni lettore valuterà e soppeserà a suo modo gli uni e gli altri.L’esperienza personale di Colin Ward si identifica in gran parte con Freedom, ma soprattutto conAnarchy, di cui fu direttore tra il 1961 e il 1970. Quest’ultima rivista, che un recensore del New State-

21. Cfr.: Gustav Landauer, Aufruf zum Sozialismus, Op-po-Verlag, Berlin, 1988. Di Landauer vedi anche: La ri-voluzione, Carucci, Assisi, 1970; La Commonauté par leretrait et autres essais, Editions du Sandre, Parigi, 2009.Sul pensiero di Landauer vedi il classico: Martin Buber,Sentieri in utopia, Edizioni di Comunità, Milano, 1981.22. Colin Ward, Influences…, cit. p. 81.23. Ibidem, p. 79.

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sman definì come «il mensile più originale che abbia mai conosciutoquanto a percezione delle tendenze dinamiche della società» e il supple-mento letterario del Times come una grande «avventura intellettuale», se-gnò per dieci anni una rilevante presenza culturale libertaria, superioreprobabilmente a quella di qualunque movimento anarchico contempora-neo, in uno sforzo di approfondimento e attualizzazione dei grandi temidell’anarchismo, che sono poi i grandi temi della liberazione umana, cuiparteciparono studiosi d’ogni campo delle scienze (...).Sulle pagine di Anarchy vennero pubblicati, in anticipo sulle «mode» cul-turali, saggi che appaiono come precursori di molti dei temi oggi correnti.Contemporaneamente però il movimento anarchico britannico (...) rima-neva in quegli stessi anni una realtà minuscola, priva di una sua vita orga-nica specifica e pressoché inesistente al di fuori di quella presenza cultu-rale. Erano anche, quelli, anni di grande «pace sociale» nelle isole britan-niche (e non solo là) e la scarsa conflittualità più che alla lotta di classe era

legata a temi antimilitaristi, ecologici, e così via. Anche l’esplosione di combattività studentesca eoperaia del ‘68 e ‘69 si ripercosse in Inghilterra in modo attenuato.Questa pecularità dell’anarchismo britannico si riflette indubbiamente nell’opera di Colin Ward espiega quelle che possono apparire gravi carenze o distorsioni prospettiche. (...) Così, per esempio,il lettore italiano potrà trovare sbiadito e fragile e poco convincente il capitolo sull’autogestione,con quegli esempi britannici così prossimi alla cogestione... Tutto ciò si può ricondurre solo in par-te alla volontà di Ward di esemplificare con dati scelti quanto più vicini possibile nel tempo e nellospazio all’autore e al suo primo pubblico di lettori inglesi e a una programmatica delimitazione del-l’ambito di competenza della trattazione conseguente al taglio interpretativo scelto. Anzi, questastessa scelta si può a sua volta ricondurre a quella esperienza vissuta di anarchismo e ai suoi limiti.D’altro canto, dalla stessa esperienza derivano un’apertura e una ricchezza intellettuale di cui l’a-narchismo ha, noi crediamo, un grande bisogno, per uscire dal ghetto culturale ed evitare l’asfissia.

Amedeo Bertolo

tro, è quanto accomuna questo autore a ColinWard.Il riconoscimento che egli attribuisce agli altripensatori che lo hanno favorevolmente stimo-lato è rivolto ai temi dell’architettura e dellapianificazione urbanistica.William Richard Lethaby (1857-1931), WalterSegal (1907-1985), Patrick Geddes (1854-1932)e soprattutto Paul Goodman (1911-1942), nonsolo per questi aspetti ma per l’intera concezio-ne dell’anarchismo, hanno rappresentato deipunti di partenza per le sue indagini in questiambiti. E quale idea di fondo sviluppa? Il ruolodell’architetto e del progettatore deve incontra-re gli utenti per ascoltare le loro aspettative esoddisfare i loro bisogni in modo diretto, sal-tando le mediazioni degli uffici e del governocentrale. Infatti il controllo degli inquilini e de-gli abitanti è il principio base che deve esseresoddisfatto. Fin dall’inizio della sua vita lavora-

tiva, Ward, allievo diretto di Lethaby, sviluppala convinzione che occorra promuovere l’auto-costruzione bioecologica, la formazione dicooperative edilizie, l’occupazione di spazi indisuso o votati alla speculazione edilizia, l’usodi materiali disponibili e poveri, in modo che,come gli aveva insegnato Segal, fosse semplifi-cato il processo di costruzione per permetterea chiunque di poterlo effettuare con costi mol-to bassi [24].La pianificazione urbanistica Ward la intendecome una regolamentazione dal basso dellosviluppo delle città in modo che non siano leagenzie immobiliari a beneficiarne ma le classipiù povere. Ciò comporta delle contraddizioni,ma egli sostiene comunque l’utilità di questostrumento (come appunto ha fatto Geddes),cercando di vederne le possibili implicazionipositive. A questi temi dedica anche un lavorodi riflessione sulle sue esperienze, New Town,Home Town, sottolineando appunto le istanzepartecipative che queste iniziative urbanisti-che mettono in atto [25]. Questi aspetti parte-

24. Ibidem, pp. 91-101.25. Cfr.: Colin Ward, New Town, Home Town, Londra,1993.

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cipativi ed ecologici dell’intervento urbanisticosono l’antidoto alla colonizzazione che inveceavviene normalmente, come dimostra l’operadi Paul e Percival Goodman, Communitas, nel-le nostre società, proprio grazie a una pianifica-zione e a una urbanizzazione che distrugge ilterritorio e risponde a logiche astratte di urba-nisti che si sovrappongono agli altri esseriumani con la pretesa del possesso della tecnicae della conoscenza [26].Accanto a questi nomi di architetti e urbanisti,Ward stringe rapporti stretti con Giancarlo DeCarlo e John Turner e riconosce l’importanzaavuta su di lui anche di Lewis Munford.In ambito educativo riconosce in WilliamGodwin (1756-1836) e in Mary Wollstonecraft(1759-1797) i suoi due primari riferimenti. Egliricava da questi filosofi soprattutto la critica diuna sorta di curricolo nascosto che noi adultidobbiamo alla nostra esperienza di allievi e dicome tendiamo a replicarne, anche inconscia-mente, strutture e contenuti:

Ciascuno di noi è stato un bambino, la maggiorparte di noi è diventata genitore, mentre un in-credibile numero di noi diventa in un modo oin un altro, in un certo momento delle nostrevite, insegnante. Di conseguenza molti di noicostituiscono una sorta di filosofia dell’educa-zione. Ma un certo numero di insegnanti nonlo fa. Questi insegnano non con le tecniche cheteoricamente avrebbero dovuto apprendere alcollege ma nei modi che loro stessi avevano su-bito a scuola [27].

Un’altra significativa idea che Ward prende daGodwin è la contrarietà alla definizione di uncurricolo nazionale che è fondata «sulla non at-tenzione verso la natura della mente» [28],quindi serve solo allo stato per un’opera diomogeneizzazione che violenta la diversità distili di apprendimento e di tempi diversi di svi-luppo personale.In questo Godwin, sottolinea Ward, diverge inmodo significativo dai filosofi francesi dell’epo-ca illuministica, i quali progettano degli schemipredefiniti per sistemi scolastici ed educativinazionali postulando inevitabilmente uno statoideale. Ma uno stato ideale è una contraddizio-

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ne in termini poiché Godwin e Ward si ricono-scono nella distinzione tra società e governochiaramente parafrasata da Thomas Paine [29].Naturalmente il contributo di Godwin e di Wol-lstonecraft (soprattutto nel caso di Mary e delsuo impegno nella lotta per l’emancipazionedella donna) non si esauriscono qui ma vengo-no in diverse altre opere ricordati e utilizzati daWard.Il milieu anarchico e libertario nel quale eglimatura le sue idee e sviluppa la sua azione ècostituito da un gruppo di intellettuali con iquali interagisce e di cui utilizza la collabora-zione soprattutto nella rivista da lui fondata ediretta Anarchy. Si instaurano una serie di rap-porti anche personali che producono una si-nergia intellettuale, che rappresenta quanto dimeglio si potesse pensare per rielaborare leteorie anarchiche e applicarle alla società con-temporanea. Figure come George Woodcock,Herbert Read, Alex Confort, Nicolas Walter,Geoffrey Ostergaard, George Orwell, Dwight

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26. Cfr.: Paul e Percival Goodman, Communitas (1960),il Mulino, Bologna, 1970. Vedi anche: Colin Ward, Influ-ences..., cit., pp. 103-132.27. Colin Ward, Influences..., cit., p. 13.28. Ibidem, p. 29.29. Cfr.: Ibidem, p. 28.

In gita. Colin Ward con il figlio Ben nel 1970. Ward ha sempre avuto una grande attenzione per i bambiniarrivando a pensare una città a misura di bambino

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MacDonald (per ricordare solo i più stretti) di-vengono interlocutori privilegiati di Ward as-sieme all’immancabile Paul Goodman, a Mi-chael Young, agli statunitensi Noam Chomskye Murray Bookchin (già meno stretti). Infineoccorre ricordare che egli si è spesso misuratocon il pensiero di uno dei più grandi pensatoriliberali del Novecento, vale a dire con IsaiahBerlin.

Le idee sociali e l’anarchismo

Per me l’anarchismo è una filosofia sociale ba-sata sull’assenza di autorità. Per me l’anarchi-smo è una prospettiva individuale o sociale. Perquanto mi riguarda l’anarchismo è un punto divista sociale… nel quale il principio di autoritàè stato superato da uno fondato sulla coopera-zione volontaria. Si potrebbe dire che l’anar-chismo è una decentralizzazione estrema. Iocredo in una società decentralizzata. Ciò chedesidero realizzare è cambiare una società dimassa in una massa di società [30].

Lo scopo dell’azione dell’anarchico dovrebbeessere quella di indicare le soluzioni antiautori-tarie possibili ai vari problemi sociali e fare inmodo di dimostrare, con gli esempi, che questaprospettiva è di gran lunga più desiderabile eutile di quella autoritaria. Colin Ward non pen-sa dunque all’anarchismo come a un’utopia fu-turibile quanto piuttosto, come peraltro sugge-riva Paul Goodman, a una infinita serie di solu-zioni concrete a problemi piccoli e grandi, se-guendo una metodologia coerente tra mezzi efini che, proprio in quanto inusuale e incompa-tibile con le logiche del dominio, viene etichet-tata come utopica. Infatti “le idee vengonochiamate «utopiche” quando appaiono utili mapropongono uno stile diverso, una proceduradifferente, un movente differente da quelli con-

sueti in quel particolare momento» [31].Quella di Ward è «una forma pragmatica dianarchismo, è stata una teoria dell’organizza-zione, una combinazione tra self-help e mutualaid, di fallo da solo e fallo assieme ad altri.Ward sarà rievocato non tanto per una rivolu-zione politica quanto per una trasformazionesociale… Il suo anarchismo non è deduttivo,estrapolato cioè da una ideologia generale ver-so una istanza particolare, ma induttivo, dedot-to cioè da una massa di istanze verso un princi-pio d’azione» [32].Questa rivoluzione copernicana dell’anarchi-smo, come abbiamo visto, Ward la deduce daalcune intuizioni di anarchici classici, in parti-colare da una lettura critica e selettiva dell’ope-ra di Kropotkin, ma il suo merito è quello diconferire a queste intuizioni uno sviluppo or-ganico e un’elaborazione originale. Assieme aPaul Goodman, a cui dedicherà la sua unicaopera scritta esplicitamente sull’anarchismo,Anarchy in Action, egli dunque riformula laprospettiva metodologica con la quale gli anar-chici si dovrebbero affacciare ai problemi so-ciali. Condivide le osservazioni di Goodmanquando sottolinea che «gli anarchici voglionosviluppare la funzionalità intrinseca e ridurre ilpotere estrinseco. È un’ipotesi psicosociologi-ca, con evidenti implicazioni politiche [33]. Masoprattutto quando Goodman sostiene che:una società libera non può essere l’imposizione

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30. Richard Boston, Conversation about anarchism,Risposta di C.W. (Colin Ward), in Anarchy, Londra, n.85/1968. Cfr.: Colin Ward (a cura di), A Decade of Anar-chy (1961-1970), Freedom Press, Londra, 1987.31. Paul Goodman, Utopian Thinking (1961), ora in PaulGoodman, Individuo e comunità, Elèuthera, Milano,1965, p. 68. Sull’utopia Ward ha scritto anche un saggiorivolto ai ragazzi con l’intento di testimoniare che «ci so-no un milione di sogni in una buona vita», Cfr.: ColinWard, Utopia, Penguin Education, England, 1974.32. Nicolas Walter, Colin Ward, in Times Literaly Supple-ment, Londra, 12 gennaio 1996, ora in Nicolas Walter,The Anarchist Past, Five Leaves Pubblications, Notting-ham, 2007.33. Paul Goodman, Anarchist Principle, in Anarchy, Lon-dra, n. 62/1966.

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di un «ordine nuovo» al posto di quello vec-chio: è l’ampliamento degli ambiti di azioneautonoma fino a che questi occupino gran par-te della vita sociale… In qualsiasi società con-temporanea, a onta di una crescita continua euniforme della coercizione, esistono comun-que molti spazi liberi. Se così non fosse, per unlibertario conseguente non sarebbe affattopossibile collaborare o viverci, mentre in effettinoi «tracciamo un limite» in continuazione: unlimite al di là del quale non siamo più dispostia collaborare [34].

Questo anarchismo pragmatico, sperimentali-sta, induttivo, è il fondamento della lezionewardiana. Non si tratta né di pragmatismo finea se stesso né, tantomeno, di un nuovo ideolo-gismo. È piuttosto una terza via che nella speri-mentazione continua acquisisce una sempremaggiore consapevolezza che è, prima di tutto,rielaborazione personale e collettiva. Lo sforzometodologico di Ward è quello di cercare nellarealtà gli esempi e le testimonianze che le solu-zioni libertarie sono migliori e più efficaci diquelle autoritarie. Dopo aver dimostrato chel’anarchismo è una teoria dell’organizzazione,egli sostiene, riprendendo l’insegnamento ma-latestiano, che tutto questo non può prescin-dere da un atto di libera volontà: l’anarchismonon può esistere se non accompagna le sue ri-sultanze organizzative con un’etica libertariafondata sull’autodeterminazione individuale.Da qui discende la sua avversione, prima ditutto psicologica, per ogni forma di fondamen-talismo comunque mascherato e interpretatonella prassi politica e culturale [35]. Scrive, in-fatti, di essere interessato «alle questioni che cilegano gli uni agli altri, come il bisogno di al-loggi e di cibo e la produzione di beni e servizi,piuttosto che quelle che ci separano, come ilnazionalismo, il tribalismo e la religione, che

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mi sembrano dipendere da causalità geografi-che e scelte estetiche» [36].Colin Ward impiega il suo talento particolare«per capire e spiegare il modo in cui operano iprincipi anarchici di aiuto reciproco e coopera-zione nell’agire quotidiano e nelle varie situa-zioni, dai campi da gioco alle scuole, agli ospe-dali, ai luoghi di lavoro. Era determinato a esor-cizzare l’immagine dell’anarchico ingenuo uto-pista o fosco lanciatore di bombe, affermandodell’anarchia il profondo radicamento concretonella vita di tutti i giorni» [37].Il punto di partenza dell’anarchismo pragmati-co di Ward, è il rifiuto della concezione insurre-zionalista tradizionale e di rivoluzione ottocen-tesca, poiché constata che le rivoluzioni, pre-senti nella storia, portano quasi sempre a dellerestaurazioni peggiori delle società che hannocreduto di rimuovere. È stata un po’, sostiene,la caratteristica di tutti gli «ismi» che hannotentato di rimuovere forzatamente i percorsidella storia senza considerare che ogni proces-so evolutivo non può non accompagnarsi conun rinnovamento individuale profondo e co-stante.Ward sviluppa, per certi versi, un pensiero pa-rallelo a quello di Geoffrey Ostergaard (1926-1990), di cui pubblica diversi articoli in Anar-chy, il quale, già nella metà degli anni Cinquan-ta, scriveva un articolo su Freedom sostenendoche gli anarchici avevano commesso l’errore diseguire la teoria marxista della rivoluzione cre-dendo possibile «un balzo verso la libertà attra-verso una rivoluzione che avrebbe spezzato lecatene degli oppressi» [38]. Secondo Oster-gaard «la libertà deve essere conquistata uncentimetro alla volta ed è necessario rimuoverele catene che ci siamo autoimposti prima che sipossa agire come esseri umani responsabili.Che gli anarchici comincino a parlare in termi-ni di “gradualismo” non è un segno di disin-canto ma di crescente maturità» [39].Inoltre è facile individuare anche un altro riferi-mento nel pensiero di David Wieck (1921-1997)quando questi scrive:

Chiamando l’anarchismo un’Idea, intendo spe-cificatamente dire che non è dottrinale, che èsempre stato «inteso» piuttosto che definito;che dà un significato condiviso ad aspirazioniprofondamente sentite; che indica una metaideale che suscita un movimento sociale di co-muni esseri umani che nella pratica si trove-ranno poi spesso in contraddizione col loroideale; che esprime un «quel che dovrebbe es-sere» che è un’anticipazione dello scopo chepersegue; che serve quale oggetto di fede, cometerreno di solidarietà e di mutuo appoggio; che●

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34. Id., Reflectionss on Drawing the Line, in Political Es-says, New York, 1946.35. Colin Ward, Fundamentalism, in Raven, Londra, n.27/1994, ora In nome di Allah, in Volontà, Milano, n.1/1996.36. Ibidem.37. Colin Ward: social philosopher and autor, in TheTimes, Londra, 2 marzo 2010.38. Geoffrey Ostergaard, Utopia and Experiment, inFreedom, 10 marzo 1956.39. Ibidem.40. David Wieck, Il negativismo anarchico, in Volontà,Genova, n. 2/1976.41. Cfr.: Alex Comfort, Writing against Power and Death,Freedom Press, Londra, 1994; Id., Potere e delinquenza,Elèuthera. Milano, 1996.

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fu arricchito ma non sostanzialmente trasfor-mato dalle speculazioni e dalle argomentazionid’appoggio e che è rimasto sempre scrupolosa-mente aderente ai suoi ideali originali [40].

In queste convinzioni echeggiano oltre che ilpensiero di Ostergaard e Wieck, quello di Lan-dauer, Buber, Read, Goodman e di Alex Confortparticolarmente attento ai risvolti psicologicidel cambiamento sociale [41].

Secondo il pensiero di Ward, espresso in Anar-chy in Action, si tratta «di accrescere il conte-nuto di anarchismo nel mondo in cui vivia-mo», favorendo lo sviluppo di tutte quelle po-tenzialità sociali, mutualistiche, solidali, an-tiautoritarie, attraverso le quali uomini e don-ne, bambini e ragazzi, giovani e vecchi, nor-malmente e abitualmente, si organizzano al difuori dell’ufficialità e della tradizione. Non c’èdunque uno scontro definitivo, epocale, riso-lutivo, quanto piuttosto una serie di accelera-

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Case e autogestione. Colin Ward nel 1978. L'anarchicoinglese ha dedicato gran parte delle sue riflessioni e del suo intervento sociale al problema dell'abitazione,dei rapporti fra abitanti per la costruzione di isoled'autogestione

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zioni attraverso un sapiente e coerente uso dimezzi coerenti con il fine perseguito. Uscendodalla tradizionale disputa tra riformismo e rivo-luzionarismo Ward scrive:

Parimenti, la distinzione non è tra rivoluzione eriforme, ma tra quel tipo di rivoluzione che ser-ve a installare una nuova cricca di oppressori oquel genere di riforme che servono solo a ren-dere l’oppressione più digeribile o più efficien-te, da una parte, e quei mutamenti sociali, sia-no essi rivoluzionari o riformisti, attraverso iquali i popoli allargano le proprie sfere di auto-nomia e riducono la sottomissione alle autoritàesterne, dall’altra. L’anarchismo, in tutte le sueforme, è un’affermazione della dignità e dellaresponsabilità degli esseri umani. Non è unprogramma di mutamenti politici, ma un attodi autodeterminazione sociale [42].

Ward non sogna dunque una società anarchica,non cerca di delinearne visioni, poiché il suopragmatismo lo conduce a cogliere che quantooggi si può immaginare, sia in termini positivisia negativi, non necessariamente domani sipresenterà valutabile secondo la rappresenta-zione odierna. Vi è dunque un elemento di per-manente critica e autocritica, nell’interpreta-zione wardiana delle idee dell’anarchismo, chelo conducono a pensare come nella pratica unasocietà anarchica è impossibile, sulle tracce diquanto scrive George Molnar su Anarchy a talproposito [43]. Molnar infatti evidenzia, vista lainattualibilità di avere un consenso generaliz-zato, la contraddizione, che già Malatesta avevasegnalato, circa l’impossibilità di imporre, conla forza, una visione del mondo a chi non èd’accordo nel sostenerne le medesime caratte-ristiche, poiché questa ipotesi sarebbe contra-ria ai principi fondamentali dell’anarchismo. Ma l’anarchismo non mira esclusivamente,poiché è impossibile l’anarchia, a una libera-zione individuale degli esseri umani. Gli anar-chici devono conservare la volontà e la deter-

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minazione di cambiare anche le strutture e leattività sociali, anche se la stessa società nonpuò essere trasformata completamente e defi-nitivamente in senso anarchico. Se, infatti, l’i-dea di una società libera può essere un’astra-zione, quella di una società più libera non lo è[44].Sostiene, a questo proposito, Stuart White:

Questa osservazione ci aiuta a capire comeWard sia anarchico nonostante il proprio scet-ticismo circa la possibilità di costruire una «so-cietà anarchica». Egli è un anarchico in sensonormativo, ovvero sostiene che il criterio eticochiave per giudicare i meriti delle varie societàsta nella misura in cui sono anarchiche. Il chenon comporta la convinzione che una societàpossa verosimilmente essere del tutto anarchi-ca, o che sia possibile che lo diventi [45].

Tutto l’anarchismo di Ward è rivolto a dimo-strare come l’anarchismo sia (per quanto possaesserlo) un insieme di idee adatte a risolvere iproblemi continuando la tradizione aperta daProudhon, Kropotkin e da Woodcock ed Her-bert Read [46].Commentando la sua esperienza editoriale diAnarchy scrive:

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42. Colin Ward, Anarchia come organizzazione, cit., p.204.43. Cfr.: George Molnar, Conflicting strains in anarchisttought, in Anarchy, n. 4/1961. Vedi anche dello stessoMolnar, Anarchism, in The Libertarian, Sydney, 1 set-tembre 1957.44. Cfr.: Colin Ward, Anarchia come organizzazione, cit.45. Stuart White, Un anarchismo rispettabile?, in Bollet-tino Archivio G. Pinelli, supplemento al n. 30, Milano,febbraio 2007, pp. 7-8.46. Cfr.: George Woodcock, Anarchism and Anarchists,Quarry Press, Kingston Ontario, 1992; Herbert Read, AOne-Man Manifesto, Freedom Press, Londra, 1994.

Coppia. Colin Ward ed Heriette nel 1990. I due hannocondiviso decenni di impegno politico e sociale

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Sono convinto che il modo più efficace perdiffondere l’anarchismo tramite una rivistamensile sia quello di prendere l’intero venta-glio di questioni parziali, frammentarie, ma im-mediate, dalle quali è probabile che la gente siaconcretamente presa e ricercare soluzionianarchiche, invece che abbandonarsi a vacuiesercizi retorici sulla rivoluzione [47].

La risposta libertaria

alle questioni sociali

La rispettabilità dell’anarchismo, secondoWard, sta nella capacità di dimostrare, nei fatti,la sua utilità dando risposte ai vari problemi so-ciali. E lui ha cercato di farlo sui problemi dellacasa, dei trasporti, dell’uso dell’acqua, dell’e-ducazione, dell’organizzazione federalista.La convinzione da cui parte è sempre quella diKropotkin espressa nel mutuo appoggio e nellanorma etica della reciprocità («fai come vorre-sti ti fosse fatto»). Questa premessa lo porta in-nanzitutto a uscire dalla logica economica delconcetto di sviluppo sostenendo che «i miglio-rati livelli di vita prodotti dai grandi successitecnologici hanno promosso l’acritica fede nelprogresso, tanto che la stessa “progressività” èdivenuta un criterio di valore» [48]. Ward chia-ma tutto questo «la religione dei valori del mer-cato» e che ha cambiato perfino il nostro lin-

guaggio e quindi il modo di considerare beni eservizi: «C’è qualcosa di sinistro e spaventosonella velocità vertiginosa con cui in molti setto-ri i rapporti basati su un’ideologia di mutualitàe doveri reciproci sono stati sostituiti da valoridi mercato reali o simulati [49].Questi elementi fanno da cornice alla critica alWelfare State da una visuale di cui sono inter-preti quelle culture politiche ed esperienze so-ciali fondate sull’autorganizzazione comunita-ria dal basso e dal mutuo appoggio, dalle retisociali di assistenza e di volontariato. Secondola sua visione critica, nel Welfare attuale il so-ciale viene sussunto nel pubblico e questo nelsistema burocratico-istituzionale, e sinistraprogressista e radicale sono accomunate dauna visione statalista che vede la socialità risol-ta e compiuta solo nello stato e nell’unica for-ma di organizzazione nel partito e nel sindaca-to [50].Sgomberato il campo dall’equivoco dell’econo-mia, intesa come una realtà verso cui piegareogni azione umana, ecco che l’organizzazionesociale deve, per poter essere a misura di con-trollo umano, assumere i connotati federalisti.Quindi Ward, parafrasando Kropotkin, sostieneche «questa modalità di organizzazione sociale,secondo cui gli organismi sociali si sostituisco-no allo stato, rappresenta una fitta rete, com-posta da un’infinita varietà di gruppi e di fede-razioni di qualsiasi portata e livello… per tuttigli scopi possibili» [51]. È la risposta che i pen-satori anarchici, Proudhon, Bakunin, Kro-potkin, hanno dato fin dall’Ottocento al dibat-tito politico sull’Europa, che Ward fa propria erilancia nella discussione attuale su una visionefederalista dell’Europa stessa, la grande Europadelle piccole regioni [52], in alternativa ai varinazionalismi e all’unione degli stati. Secondo questa visione è «la diversità, e nonl’uniformità, a creare il tipo di società in cuitutti noi potremmo vivere confortevolmente»perché «finché la pianificazione e l’ideazionedel futuro europeo sarà nelle mani delle buro-crazie governative, ciò che ne uscirà sarà soloun’Europa dei burocrati [53]. Il segreto del fe-

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47. Colin Ward, A Hundred Issues of Anarchy, in Free-dom, n. 30/1969; ora anche in: David Goodway, Conver-sazioni…, cit., p. 75.48. Colin Ward, Il pericolo integralista, in Volontà, Mila-no, n. 1/1995. In questo articolo, tra l’altro, scrive: «Lostato laico del consumismo, della religione, della cresci-ta economica e del libero scambio verrà sempre a patticon i fondamentalismi di altre religioni se questi forni-ranno mercati per equipaggiamenti militari: in un mo-do o nell’altro, questo genere di fondamentalismo eco-nomico non viene considerato un’ideologia irrazionale,ma una legge di natura».49. Colin Ward, L’anarchismo nel XXI secolo, in La cittàdei ricchi e la città dei poveri, E/O, Roma, 1998, p. 102. Iltitolo originale dell’opera è: Social Policy: an anarchistresponse (1996) ed è la raccolta delle lezioni che Wardtenne come visitor professor alla London School of Eco-nomics nell’anno accademico 1995-1996. Vedi anche:Id., Anarchism and the Informal Economy, in Raven,Londra, n. 1/1987.50. Cfr.: Colin Ward, La città dei ricchi…, cit.51. Ibidem, p. 103.52. Cfr.: Colin Ward, La grande Europa delle piccole re-gioni, in Resurgence Book, Terra, Anima, Società, FioriGialli edizioni, Velletri, 2006; Id., La ragione delle regio-ni, in Volontà, Milano, n. 2-3/1991.53. Colin Ward, L’anarchia. Un approccio essenziale,Elèuthera, Milano, 2008, p. 114. Vedi anche: ColinWard, Kropotkin’s Federalism, in Raven, Londra, n.20/1992.

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deralismo, come ci ricorda Leopold Kohr [54](citato da Ward), è la suddivisione interna, nonl’unione complessiva; questo principio federa-tivo può essere applicato in ogni tipo di orga-nizzazione, e Ward ne illustra numerosi esempiin ambiti sociali diversi [55].La questione abitativa e l’organizzazione dellacittà sono altri due ambiti nei quali, il Ward ar-chitetto e anarchico, profonde grande impe-gno, per dimostrare ancora una volta, qualipossono essere, e quali sono state, le soluzionilibertarie, che hanno soddisfatto uomini e don-ne molto di più di quelle esistenti.In questi due ambiti gli scritti di Ward sono nu-merosi e, partendo dai fatti concreti, le intui-zioni e le analisi sono sempre suggestive [56].

La nostra è una società nella quale, in ognicampo, a prendere le decisioni, a esercitarecontrolli, a limitare le scelte, è sempre un grup-po ristretto di persone, mentre la stragrandemaggioranza della gente può solo accettarequelle decisioni, sottoporsi al controllo, restrin-gere il proprio campo d’azione nei limiti dellescelte imposte dall’esterno. In nessun casoquesto è vero come nel campo delle abitazioni[57].

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La posizione di Ward sulla politica della casa,così come viene affrontata dai governi, è chia-ra: nel momento in cui si contrappone agli ar-chitetti e ai pianificatori modernisti afferma ilprincipio del controllo degli utenti: le personedevono essere messe nelle condizioni di allog-giare se stesse e non di essere alloggiate [58].Da questa affermazione nasce la sua simpatiaper i movimenti di occupazione delle case sianel corso della storia inglese negli anni Quaran-ta sia negli anni Sessanta [59]. Dal suo punto divista l’occupazione delle case e degli immobilisfitti o abbandonati è una forma costruttiva diazione diretta che risponde a precise necessitàsociali tanto più che gli squatter hanno dimo-strato con la loro iniziativa di saper ristruttura-re le case con maggiore celerità e con miglioreefficacia di quanto non sia in grado di fare abi-tualmente il sistema politico. Scopo del libro diWard, Cottes and Squatters, è infatti quello didimostrare, sempre avvalendosi di esempi con-creti, come le pratiche di autoaiuto e aiuto reci-proco, nella storia e nell’attualità, abbiano datorisposte nuove al problema degli alloggi, cosìcome ne sono testimonianza diretta tutte le ini-ziative di autocostruzione che hanno saltato leregole ossessive della burocrazia e superato lelogiche economiche del mercato. Si tratta sem-pre di un uso informale e non convenzionaledell’ambiente di cui Ward si è dimostrato uneccellente studioso. Le conclusioni a cui giungesono sempre ottimiste:

I membri di questi gruppi sono d’accordo neldichiarare che il coinvolgimento diretto nellacostruzione della casa in cui abitano ha trasfor-mato le loro vite. Il controllo sulle abitazionipuò sembrare poca cosa di fronte alla speranzadegli anarchici del diciannovesimo secolo, maè comunque una tappa importante del cammi-no che bisogna compiere [60].

Ward ha praticato lui stesso l’autocostruzionedi «nuovi insediamenti fai-da-te», dove ungruppo di pianificatori individua un sito e vi or-ganizza la fornitura dei servizi essenziali, peresempio energia e fognature, lasciando poi allepersone l’iniziativa di inserirsi e di costruirsi,nell’ambito di certi parametri, la propria abita-zione. Allo stesso modo, è stato tra i primi, inInghilterra, a proporre l’idea e a favorire la na-scita di cooperative di affittuari, in alternativaalle case popolari programmate e gestite dai

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54. Cfr.: Leopold Kohr, Il crollo delle nazioni, Comunità,Milano, 1960; Id., La città a dimensione umana, Red,Como, 1992. Vedi anche: Colin Ward, Federalism, Re-gionalism and Planning, in Raven, Londra, n. 31/1995.55. Cfr.: Colin Ward, Federalism, Regionalism and Plan-ning, in Raven, Londra, n. 43/2001; Id., Anarchia comeorganizzazione, cit., pp. 67-74; Id., The Anarchists Soci-ology of Federalism, in Anarchy Order, Colin WardReader, www.anarchyisorder.org. Vedi anche di GeorgeWoodcock, Not any power, reflection on decentralism,in Anarchy, Londra, n. 104/1969. 56. Sulle politiche della casa, sulle occupazioni e sullacittà vedi: Colin Ward, La casa è di chi l’abita, inVolontà, Milano, n. 1-2/1989; Id., Piccola lezione daLondra, in Volontà, Milano, n. 2-3/1995; Id., La vita nel-la città, in Volontà, Milano, n. 4/1992; Id., La maisonanarchiste, in A. Pessin-M. Pucciarelli (a cura di), Laculture libertaire, Acl, Lione, 1997; Id., Talking Houses,Freedom Press, Londra, 1990; Id., Welcome ThinnerCity, Bedford Square Press, Londra, 1989. 57. Colin Ward, Anarchia come organizzazione, cit., p.88.58. Cfr.: Colin Ward, Housing: An Anarchist Approach,Freedom Press, Londra, 1976; Id., Talking to Architets,Freedom Press, Londra, 1996.59. Cfr.: Colin Ward, Cotters and Squatters, Five Leaves,Nottingham, 2002; Id., Piccola lezione da Londra, cit.Vedi anche: C. Ward-D. Hardy, Arcadia for All: TheLegacy of a Makeshift Landscape, Mansell, Londra,1984.60. Colin Ward, La casa è di chi l’abita, cit.

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poteri politici e clientelari. Nel libro TenantsTake Over [61] mette in luce come la mancanzadi controllo da parte degli abitanti produce ildeterioramento continuo dell’intero bloccoabitativo, degli spazi verdi e degli orti urbani,per cui l’unica alternativa concreta può esserequella di dare in gestione queste attività alle as-sociazioni di inquilini [62]. Ward non dimenti-ca anche in questo contesto la lezione di Kro-potkin, della sua valutazione positiva della di-mensione su piccola scala degli agglomeratiumani, dell’integrazione città-campagna, dellaproduzione integrata agricolo-industriale [63].Collegata alla questione abitativa vi è quelladella città [64].In sintonia ancora con Kropotkin, Ward svilup-pa una simpatia per quella «città giardino» dicui sono stati fautori Ebenezer Howard e Pa-trick Geddes, ma anche George Woodcock e ifratelli Goodman. Le città giardino si basanosulla fusione della produzione agricola e indu-striale per far fronte alle varie esigenze e neces-sità locali, in una concezione poi «regionalista»della progettazione urbana. Le città di una re-gione sarebbero collegate tra loro in modo chepersone e beni possano muoversi rapidamentetra esse. Ciò produce una struttura ammini-

strativa fortemente decentralizzata e federativabasata sulle unità primarie, individuate daWard nei consigli di quartiere. Secondo questavisione ipotizza una pianificazione partecipati-va che riguardi anche i trasporti, organizzati inmodo da scoraggiare l’uso di veicoli privati afavore di quelli pubblici. Ipotizza varie alterna-tive per la libertà di muoversi, nella speranzache, dopo l’era del feticismo automobilistico, cisi possa muovere liberamente tutti, nel conte-sto urbano ed extraurbano, secondo una mol-teplicità e varietà di modi e mezzi, compresoun uso riformulato e ridimensionato dell’auto-mobile [65].Naturalmente in questo ambito integrato va vi-sto anche il problema della riorganizzazionedel lavoro e del controllo dei lavoratori, secon-do la tradizione libertaria [66]. Ward non è peròun sostenitore del sistema classico di stamposocialista del «controllo operaio» nell’economiaformale. Egli è più interessato a valorizzarequell’iniziativa cooperativistica e individualedell’artigianato, pur essendo consapevole dellarealtà della grande industria, ma sostenendo ilcontrollo all’interno di specifiche unità produt-tive:

È raro trovare gli anarchici nel mondo avvilentedel lavoro dipendente, nell’industria tradizio-nale o negli apparati burocratici. Essi tendonoa trovare la propria nicchia nell’economiainformale o di piccola scala. Il che non sorpren-de, dal momento che gli psicologi dell’industriariportano frequentemente che la soddisfazionenel lavoro è direttamente correlata al «marginedi autonomia» che esso offre, cioè alla parte

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Allievo e maestro. Francesco Codello, autore di questoarticolo, con Colin Ward in una foto del 2005

61. Cfr.: Colin Ward, Tenants Take Over, ArchitecturalPress, Londra, 1976.62. Per una analisi dell’autorganizzazione nell’ambitodella gestione di lotti di terreno a uso giardini od orti ve-di: D. Crouch-C. Ward, The Allotment. Its Landscapeand Culture, Five Leaves, Nottingham, 1997. 63. Colin Ward, A People Landscape, in Ken Worpole (acura di), Richer Futures. fashioning a new politics,Earthscan Publications, Londra, 1999. 64. Per una visione d’insieme dell’approccio libertarioal problema della città vedi: La città è nuda, in Volontà,Milano, n. 2-3/1995.65. Cfr.: Colin Ward, Dopo l’automobile, Elèuthera, Mi-lano, 1992.66. Cfr.: Colin Ward, Anarchia come organizzazione, cit.,pp. 133-154. Vedi anche: Id., Work, Penguin Education,Londra, 1972; Id., L’anarchia, cit., pp. 54-65.

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della giornata o della settimana lavorativa incui i lavoratori sono liberi di prendere decisioniin modo autonomo [67].

E applica il suo metodo pragmatico di indaginesociale anche a quella risorsa primaria, un benedi tutti, che è l’acqua e alle politiche governati-ve di privatizzazione che stanno sviluppandosiin tutte le società occidentali. L’acqua sta sem-pre di più diventando una merce proprio nellacrescente politica di privatizzazione nei paesiricchi ma anche in quelli poveri dove milioni dipersone subiscono la costruzione di enormi di-ghe a scapito della loro sussistenza. L’acquanon è controllata dalla comunità locale ma dagrandi imprese e da poteri forti, economici epolitici, e sta diventando sempre più evidenteche sarà proprio questa risorsa a scatenare leguerre future. Eppure lungo tutta la storia, cidimostra Ward, le comunità locali hanno svi-luppato modi d’uso in grado di assicurare unasua equa e solidale distribuzione [68].Per garantire tutto questo è indispensabile chele città abbiano piccole dimensioni, che lo svi-luppo sia decentralizzato in piccole unità a mi-sura d’uomo, che possano godere nel medesi-mo tempo dei vantaggi della città e della cam-pagna. L’obiettivo è quello di una città giardinoe di una città sociale, vale a dire un intreccio dicomunità, una città polinucleata. Ward ripren-de, oltre a Kropotkin, Howard, Munford, Good-man, Kohr, anche il pensiero di Murray Book-chin [69]. Non tralascia una critica severa allapianificazione urbana (riprendendo proprio

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Bookchin), la quale ha potuto raramente tra-scendere le disastrose condizioni sociali che nehanno determinato l’esigenza. Criticando l’atti-vità professionale di architetti, ingegneri e so-ciologi, Ward sottolinea come le proposte mi-gliori per risolvere problemi urbanistici sianostate avanzate da «non addetti ai lavori», chehanno un contatto diretto con l’esperienza e iproblemi della gente. Ancora una volta dunquerichiama l’attenzione sull’inevitabilità di uncontrollo diretto dei cittadini su tutti gli aspettidella vita della città. Questa è l’unica alternati-va possibile al degrado e alla disumanizzazionedelle metropoli e questo va di pari passo con larichiesta sempre più diffusa di comunità nuo-ve, decentralizzate, fondate su criteri ecologici,che integrino in sé i caratteri più avanzati dellavita urbana e rurale [70].Nell’introduzione al bel libro Welcome ThinnerCity, scrive:Questo libro è un semplice e modesto contri-buto alla tradizione del decentramento. Ne ri-sulta che i problemi della decadenza e della ri-

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67. Colin Ward, L’anarchia, cit., p. 63. Vedi anche: Id.,Healthy Autonomia, in Freedom, Londra, 24 luglio 1999;Id., A Few Italian Lessons, in Raven, London, n. 7 del1989. Scrive anche: «Sin dal diciannovesimo secolo c’èla tendenza da parte degli osservatori a concentrare laloro attenzione sull’industria su larga scala… Tutti han-no ignorato il significato economico, sociale e personaledel piccolo laboratorio. Kropotkin è stato il solo pensa-tore politico di sinistra a riconoscerne l’importanza» (Laviolenza della city, in Volontà, Milano, n. 3/1990).68. Cfr.: Colin Ward, Acqua e comunità, Elèuthera, Mila-no, 2003.69. Cfr.: Murray Bookchin, I limiti della città, Feltrinelli,Milano, 1975; Id., Post-Scarcity Anarchism, La Salaman-dra, Milano, 1979.70. Cfr.: Colin Ward, A Checklist for improving inner citylife, in Raven, Londra, n. 35/1997; Id., Food and GreenAspiration, in Raven, Londra, n. 43/2001.

Grande libertario.Una delle ultime immagini di ColinWard. Con lui se ne va uno dei più originali pensatorianarchici del Novecento

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generazione urbana sono problemi di una po-vera minoranza di abitanti della città i quali so-no estromessi dalle decisioni politiche. La miaconvinzione è che essi dovrebbero essere messinelle condizioni di creare da se stessi le solu-zioni [71].

Educazione libertaria

e descolarizzazione

Nel solco della tradizione che va da Godwin aGoodman, Ward dedica ai temi educativi e sco-lastici grande attenzione. Anche in questo ambi-to la sua attenzione è sempre molto pragmaticae tende a sottolineare, con esempi concreti, co-me descolarizzare la società e avviare una veraeducazione libertaria sia una necessità ormaiinevitabile. Coerentemente con tutto ciò egli sispende «a favore delle scuole libere, delle scuolepovere, delle non scuole; per un’educazionefuori dalle aule scolastiche, dalle classi, fuori dalconcetto di infanzia; per un’educazione che di-venga un processo lungo tutta la vita, per una vi-ta che si addice a un processo educativo, perchéambedue si fondino in un’unica realtà» [72].È convinto, come Goodman e Illich, che «per-petuare questa società è, in definitiva, la verafunzione sociale della scuola: è la funzione so-cializzante. La società assicura il suo futuroeducando i bambini secondo il suo modello(…). L’istruzione obbligatoria è il prodotto sto-rico di molteplici fattori: non solo dell’inven-zione della stampa e dell’ascesa del protestan-tesimo e del capitalismo, ma anche della cre-scita degli stessi stati nazionali» [73]. Per questeragioni riprende l’idea forte di Godwin sull’as-surdità di un curricolo nazionale e dell’istruzio-ne statale [74], nella convinzione che, comeGoodman ha spiegato, la vera istruzione (maanche l’educazione) non può che essere «inci-dentale», vale a dire il risultato di una domanda

che nasce spontaneamente dal contesto am-bientale, e non l’abitudine a rispondere in mo-do giusto alle domande poste dall’educatore edall’insegnante. Infatti «l’approccio anarchicoal problema dell’istruzione si basa non sul di-sprezzo per lo studio ma sul rispetto dell’allie-vo» [75].Ward riassume in quattro principi base la suavisione dell’educazione:

• l’assenza di coercizione nel processo educati-vo;• sostenere che vi è una naturale motivazionedel bambino ad apprendere e insistere in unapedagogia che sia conseguente a questo;• stimolare la capacità di resistere del bambinoall’ideologia imposta dalla scuola;• educazione integrale del bambino [76].

Questo modello educativo trova attuazionenelle scuole alternative e antiautoritarie che le-gano indissolubilmente le idee di Godwin (ri-maste solo intuizioni) e le esperienze della tra-dizione anarchica e libertaria, fino a raggiunge-re l’apogeo con la scuola di Summerhill diAlexander Neill di cui Ward è stato un mentoreappassionato. Le sue idee trovano sempre con-ferma in esperienze e in analisi che provengo-no anche dal di fuori dell’ambito intellettualelibertario, ma che egli sa usare per avvalorare lesue convinzioni [77].Ward esprime chiaramente la convinzione cheun’educazione libertaria esige un profondo evero rispetto della natura di ogni bambino eche nessun educatore ha il diritto di sovrappor-vi le proprie convinzioni:

Significativo è lo slogan coniato tempo fa nel-l’ambito della pedagogia progressista: Genera-teli, amateli e lasciateli in pace. E questo, lo ri-peto, non vuole essere un invito al disinteresse,sottolinea invece che una buona metà dei guaie delle frustrazioni che una persona si trascinanell’adolescenza e nella vita adulta hanno le lo-ro radici in quella insidiosa attenzione con cui,da bambini, sono stati circondati per indurli acomportarsi secondo quello che altri riteneva-no «il loro bene» [78].

Con un’efficace immagine Ward esprime que-sto radicale bisogno di sconvolgere i terminitradizionali dell’educare, ritornando al suo si-

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71. Colin Ward, Welcome Thinner City, cit., p. 4.72. Nicolas Walter, Colin Ward, in The Anarchist Past,cit., p. 239.73. Colin Ward, Anarchia come organizzazione, cit., p.107 e p. 109.74. Sulla storia dell’educazione libertaria vedi: FrancescoCodello, La buona educazione, Franco Angeli, Milano,1995. 75. Colin Ward, Anarchia come organizzazione, cit., p.115.76. Colin Ward, Slippery Schooling Issues, in Freedom,Londra, 21 agosto 1999.77. Cfr.: Colin Ward, L’anarchia, cit., pp. 66-77. Vedi an-che Fiona Carnie, Education on Human Scale, in RicherFutures…, cit., pp. 23-41.78. Colin Ward, Anarchia come organizzazione, cit., p.104.

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gnificato originale di «tirar fuori» piuttosto che«trasmettere». Egli lo fa usando una metaforaconvincente: «Vaso, creta o fiore?». La centra-lità di un’educazione fondata sul vero e profon-do rispetto del bambino conduce a dare una di-versa definizione dell’atto educativo. Il bambi-no non è dunque un vaso da riempire, non èneppure una creta da plasmare, quanto piutto-sto un fiore a cui deve essere permesso di sboc-ciare naturalmente. Questa immagine rappre-senta per Ward «l’approccio educativo centratosul bambino e implica che l’ambiente scolasti-co sia concepito coerentemente con i bisognidel bambino… L’insegnante diviene così un fa-cilitatore, uno stimolatore, non un formidabileistruttore» [79].Se ognuno è diverso e a tutti bisogna dare lospazio perché divengano liberamente quelloche sono, va da sé che una critica al concettomeritocratico è inevitabile. Ward riprende le te-si sostenute da un suo amico, Michael Young,nel 1950 con il libro The Rise of the Meritocracy,svelando come dietro a questa nuova ideologiadel sapere si nasconda una nuova e più fortediscriminazione sociale [80].Ma l’originalità del pensiero educativo di Wardsi evidenzia soprattutto in due lavori che hannodimostrato in maniera esemplare il suo metodoanalitico anche in questo ambito, The Child inthe City (1978) e The Child in the Country(1988) e in un testo precedente scritto assiemead Anthony Fyson, Streetwork. The explodingschool (1973) [81].Il primo esplora la relazione che intercorre tra ibambini e il loro ambiente urbano e dimostrauna costante attenzione all’uso diretto, nonconvenzionale, che i bambini fanno degli spazie dei tempi dell’ambiente cittadino stesso. Gliesempi che si snodano lungo il testo mettonoin rilievo la gestione e la capacità di fruizioneda parte dei giovani di muri, case, giardini, gio-chi e così via, dimostrando come da questepratiche spontanee e autogestite, possa nasce-re un’idea stessa di città. Una città che proprio

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in quanto a misura di bambini è una città frui-bile da tutti. Non basta però stare dalla partedei piccoli, ammonisce Ward, occorre anchetradurre in azioni concrete una scelta così radi-cale. Questo suo lavoro è «un tentativo di mo-strare a tutti l’intensità, la varietà e l’originalitàdell’esperienza dell’infanzia urbana: una cele-brazione dell’ingegnosità» [82]. Egli confuta latesi corrente, sempre avvalendosi di esempiconcreti, secondo la quale oggi avere un bam-bino amante della vita fuori di casa significaun’infinità di guai e di preoccupazioni, mentreesalta questa capacità dei bambini a usare glispazi e i momenti della vita cittadina secondomodalità che ne sconvolgono la tradizione. Inparticolare viene evidenziata quella capacità divivide esperienze sensoriali dei bambini chesono «un aspetto del mondo che gli adulti han-no perduto, non solo perché i sensi sono smor-zati dall’abitudine, ma perché c’è un autenticodeclino, fisicamente misurabile, della sensibi-lità del gusto, dell’odorato, della capacità di os-servare i colori e ascoltare i suoni» [83].Uno degli esempi che Ward porta per avvalora-re le sue convinzioni è quello dell’uso creativodei giochi e degli spazi a ciò deputati. I bambinidovrebbero poter giocare dovunque e in pienalibertà e non essere costretti in ambiti circo-scritti. Se osservassimo davvero come usanol’ambiente avremmo un’idea più chiara di co-●

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79. Colin Ward, Talking Schools, Freedom Press, Londra,1995, p. 96.80. Cfr.: Ibidem, pp. 39-58. 81. Colin Ward, The Child in the City, Freedom Press,Londra, 1978; Id., The Child in the Country, BedfordSquare Press, Londra, 1988; Id. con Anthony Fyson,Stretwork. The exploding school, Routledge & KeganPaul, London, 1973. Vedi inoltre: Colin Ward, Violence,Penguin Education, Londra, 1970; Id. Vandalism, VanNostrand Reihnold Company, New York, 1973.82. Colin Ward, The Child in the City, ora Il bambino e lacittà, L’ancora del mediterraneo, Napoli, 2000, p. 18.83. Ibidem, p. 37.

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me dovremmo adattarlo a loro. Uno dei deficitcui oggi assistiamo è proprio questa impossibi-lità per i bambini di avere tempi e spazi non or-ganizzati dagli adulti e ciò ha portato inevita-bilmente all’aumento della deresponsabilizza-zione e della mancanza di autonomia.Attenzione però, mette in guardia Ward, «nonvoglio una Città dei Bambini. Voglio una cittàdove i bambini vivano nello stesso mondo dovevivo io. Se il nostro obiettivo è una città condi-visa, e non una città dove zone non necessarievengono messe da parte per trattenervi i bam-bini e le loro attività, allora le nostre prioritànon sono le stesse di quelle delle crociate a fa-vore dei bambini» [84].Nel lavoro sul bambino in ambiente rurale,Ward va oltre l’ideale popolare e romantico delbambino di campagna, documentando larealtà che affrontano i bambini in un’area nonurbanizzata. Poiché la maggior parte dei bam-bini nel mondo sono poveri e vivono in territorirurali assume importanza particolare denun-ciare come il declino dei servizi e dei mezzipubblici, la chiusura delle scuole, la mancanzadi accesso ai prati, ai boschi e ai torrenti, di fat-to stia limitando quella cultura popolare equella profonda autonomia che caratterizzavaquella parte dell’infanzia, oggi colonizzata dauna cultura virtuale e asettica [85].Infine nell’analizzare il significato dell’educa-zione della e nella strada, Ward lamenta comesia terminata e sia andata perduta quella cultu-ra che proviene da luoghi non più frequentatidai piccoli e dai giovani. La scuola è divenutaprogressivamente un istituto di custodia per-dendo quella vitalità e quella ricchezza che puòavere se si immerge interamente nell’ambiente.Questa concezione di separatezza tra scuola estrada rivela fino in fondo la progressiva estra-neazione della cultura e dell’infanzia dalla vitareale [86].Dietro l’educazione ambientale, così come vie-ne comunemente impartita nelle scuole, vi èuna concezione che rimanda a una divisione dipoteri molto marcata, nascosta nelle concezio-ni della specializzazione professionale a cui siviene indotti a rivolgersi, tralasciando invece lo

studio delle pratiche di partecipazione:

Ovviamente, però, per me in quanto anarchicol’assunto più importante era che il nostroobiettivo non dovesse essere l’inserimento neiprogrammi di insegnamento dei principi dellapianificazione urbana e rurale, o le basi legisla-tive per l’attuazione di essa, quanto piuttostofavorire il controllo dell’ambiente, con l’occhioa una situazione dove la capacità di interveniresul proprio ambiente sia accessibile a tutti enon soltanto a una particolare minoranza. Acosa può mirare l’educazione ambientale, senon a mettere la gente in condizione di con-trollare il proprio ambiente? (...). L’educazioneambientale, potenzialmente un aiuto offerto aigiovani per capire come lo sfruttamento uma-no possa anche essere realizzato attraverso lamanipolazione dello spazio, si trasforma inun’opera di indottrinamento pura e semplice,inducendo a credere che vi sia bisogno di pia-nificazione e dunque di pianificatori [87].

La pratica della partecipazione vera e reale sepraticata fin dalla tenera età diviene una fonda-mentale qualità di un uomo responsabile e au-tonomo. La richiesta di spazi sociali non è altroche l’evoluzione naturale della «richiesta deibambini di partecipare alla vita della città» [88].La conclusione più appropriata del pensiero diColin Ward appare essere quella, sempre nellasua ricerca continua di testimonianze concrete,di quel seme sotto la neve nella vita quotidiana,che lui così esemplifica:Vorrei infine riflettere su come sarebbe interes-sante un mondo in cui vivere dove si possa or-ganizzare ogni cosa nel modo in cui organizzia-mo la nostra musica. Ho citato l’intuizione diMartin Buber perché ciò accade ovunque lagente lega se stessa nel perseguire un bisogno oun interesse comune, e il concetto di Kropotkindella cooperazione volontaria come elementodella struttura sociale. Vista in un contesto divita organica in senso più ampio, dice Kro-potkin, l’armonia è il risultato di un continuocambiamento, aggiustamento e riaggiustamen-to di equilibrio tra la moltitudine di forze e in-fluenze ma, soprattutto, rappresenta una reteintrecciata, composta da un’infinita varietà digruppi e federazioni di ogni dimensione… tem-poranei o più o meno permanenti, per ognipossibile obiettivo [89].Vale a dire l’anarchia.

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84. Ibidem, p. 159.85. Colin Ward, The Chil in the Country, cit.86. Colin Ward, Streetwork…, cit.87. Colin Ward, La vita nella città, in Volontà, Milano, n.4/1992.88. Colin Ward, La città vista dal basso, in Volontà, Mila-no, n. 3/1992.89. Colin Ward, Anarchia a Milton Keynes, in Volontà,Milano, n. 1-2/1993. ●

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