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Mumei - Lezioni Di Giapponese I-XIV

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DESU, DESHITA, DESHŌ: �����������

Da bambini, quando abbiamo imparato l’italiano, non avevamo la minima idea della struttura della lingua: aggettivi, pronomi, soggetti, complementi, eccetera, erano perfetti sconosciuti ma la cosa non ci preoccupava. Una delle difficoltà del giapponese è proprio il capire la sua struttura, perché non sempre si trova corrispondenza tra le due lingue: per esempio un verbo italiano può essere tradotto da un aggettivo in giapponese. Quindi non ci occuperemo della struttura e, se userò termini come aggettivo o complemento, sarà solo per dare una similitudine con la nostra lingua.Un altro scoglio della lingua giapponese è la sua variabilità: la stessa frase sarà espressa in maniere diverse a seconda che il nostro interlocutore sia un amico o un “superiore” (insegnante, capo ufficio, o anche solo una persona anziana o che abbiamo appena conosciuto); ci sono poi differenze tra lingua scritta e parlata, tra espressioni femminili e maschili. Anche in italiano abbiamo di queste differenze, ma non sono certo così marcate.In giapponese occorre invece distinguere tra questi stili e soprattutto tra quelli che ho accennato per primi: verso un amico (stile piano, futsu-tai) o verso un superiore (stile cortese, teinei-tai). La teinei-tai deve essere imparata per prima, perché è quella che ci permetterà di parlare con chiunque (meglio sembrare un po’ troppo gentili piuttosto che maleducati). Comunque cercherò di riportare gli esempi in entrambe le forme.Bene, ora cominciamo.La frase più semplice che possiamo immaginare è del tipo “X è Y”, dove con Y diamo qualche informazione riguardo ad X: “il gatto è nero”, “lui è un dottore”.In giapponese la “X è Y” diventa “X � Y ��” [X wa Y desu]. La particella � è normalmente definita una posposizione (ecco uno dei termini propri della grammatica giapponese!). Questo perché deve essere sempre pensata come collegata a ciò che la precede. Esistono molte posposizioni, che ci danno vari tipi di informazioni: per esempio � [ga] identifica il soggetto e � [o] il complemento oggetto. In questo caso �[wa] indica che X è l’argomento della frase, stiamo parlando di X. Molte volte argomento e soggetto coincidono, ma non è sempre così. Nelle frasi seguenti il soggetto è sempre “bambino”, ma poniamo l’accento su cose diverse:

Il bambino è nel giardino. soggetto = bambino; argomento = bambino

Nel giardino c’è un bambino. soggetto = bambino; argomento = giardino.

La posposizione � [wa] è per così dire molto forte, e se ce n’è bisogno, rimpiazza sia � [ga] che � [o]. Sarà il senso della frase a dirci se quel che precede � [wa] è il soggetto o il complemento oggetto.

Torniamo a “X � Y ��” [X wa Y desu]. L’ultima parola,�� [desu], non è un verbo, ma è la forma cortese di chiusura per una frase che non termina con un verbo. In un certo senso si può assimilare alla copula italiana.E adesso un po’ di esempi (tutti i vocaboli utilizzati sono riportati in fondo):

�� � ��� �� [neko wa kuroi desu]

il gatto è nero

� ��� �� [kare wa isha desu]

lui è un dottore

� � ���� �� [uchi wa chiisai desu]

la casa è piccola

��� �� � ���� �� [kuroi neko wa ookii desu]

il gatto nero è grande

����� � ����� �� �� [Tanaka-san wa shinsetsuna hito desu]

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Tanaka è una persona gentile

��� � ��� �� [Asako wa onnanoko desu]

Asako è una bambinaIn questi esempi potete notare che l’aggettivo è sempre posto prima del nome cui si riferisce e questa è una regola generale.Tutte queste frasi sono in teinei-tai (lo stile cortese). E se volessimo usare la futsu-tai? Può sembrare strano, ma a volte parlare con un amico complica la vita. Per il momento limitiamoci a quelle frasi in cui Y è un sostantivo. La struttura di “X è Y” diventa “X � Y �” [X wa Y da]:

� ��� � [kare wa isha da]

lui è un dottore

����� � ����� �� � [Tanaka-san wa shinsetsuna hito da]

Tanaka è una persona gentile

��� � ��� � [Asako wa onnanoko da]

Asako è una bambinaLa colpa, come forse immaginate, è degli aggettivi dei quali parleremo la prossima volta.Forma negativa e passataVogliamo passare al negativo o al passato? Non è troppo difficile, sempre se continuiamo a limitarci ai casi in cui Y è un sostantivo. Per la forma cortese si tratta di declinare �� [desu], come nello specchietto seguente:

��

affermativo negativo

presente�� [desu] �� ����� [dewa arimasen]

passato��� [deshita] �� ����� ��� [dewa arimasen deshita]

Attenzione a �� che usa il fonema �, letto come wa. Le nostre frasi diventano:

� ��� ��� [kare wa isha deshita]

lui era un dottore

����� � ����� �� �� ��� [Tanaka-san wa shinsetsuna hito dewa arimasen]

Tanaka non è una persona gentile

��� � ����� �� ����� ��� [Asako wa onnanoko dewa arimasen deshita]

Asako non era una bambinaPer la futsu-tai basta cambiare specchietto:

��

affermativo negativo

presente� [da]

�� �� [dewa nai]

passato��� [datta]

�� ���� [dewa nakatta]

e quindi:

� ��� ��� [kare wa isha datta]

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lui era un dottore

����� � ����� �� �� �� [Tanaka-san wa shinsetsuna hito dewa nai]

Tanaka non è una persona gentile

��� � ����� �� ���� [Asako wa onnanoko dewa nakatta]

Asako non era una bambinaFuturoOra c’è senz’altro qualcuno che si chiede: ed il futuro? Il giapponese non ha un vero e proprio futuro, si usa sempre il presente. Se però vogliamo enfatizzare l’incertezza possiamo usare ���

� [desh ] al posto di �� [desu]. Questa è però solo un’espressione di incertezza, di dubbio, che può essere motivata dal fatto che qualcosa accadrà nel futuro, ma anche dal non avere notizie certe. Se io dico:

� ��� ���� [kare wa isha desh ]

lo si può tradurre “lui sarà un dottore”, ma anche “forse è un dottore”. Sarà il contesto in cui è inserita la frase a dirmi qual è l’interpretazione corretta. Per la futsu-tai invece di ���� [desh ] si usa ��� [dar ].

NoteVorrei precisare alcuni punti, che sono trapelati qua e là. Innanzitutto la pronuncia di alcune sillabe. In generale il giapponese si legge così come si scrive, ma ci sono le eccezioni. Una delle più eclatanti è il fonema � [ha], che si legge [wa] quando è usato come posposizione o in �� [dewa]. Un’altra occorrenza in cui fa eccezione è nei saluti sia buongiorno, ���� [konnichiwa], che buonasera ��� [konbanwa]. Anche la posposizione � [o] è un’eccezione, perché il segno grafico è quello del fonema wo che per ogni altro uso è sparito.

L’allungamento della vocale o si ottiene quasi sempre con la � [u] e lo indicherò . Solo raramente si usa un’altra [o]. Abbiamo visto uno di questi casi �� [ookii], l’aggettivo grande. Altri sono: � [ooi] (numeroso), �� [tooi] (lontano) e �� [ookami] (lupo).

Un’ultima nota per il suffisso � [san]. Vuol dire signore, signora, ma può tranquillamente essere omesso in una traduzione italiana. Altri suffissi sono �� [sama], molto più formale, quindi dovrà essere tradotto, e �� [chan] che si usa per i bambini o tra amici.

Vocaboli�� [neko] gatto

��� [kuroi] nero (aggettivo)

[kare] lui

��� [isha] dottore

� [uchi] casa

���� [chiisai] piccolo (aggettivo)

���� [ookii] grande (aggettivo)

-�� [-san] signore (suffisso)

����� [shinsetsuna] gentile (aggettivo)

�� [hito] persona

��� [onnanoko] bambina

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© 2000 – 2001. Testo a cura di Anna Mumei, elaborato per il sito Giappone Giappone. Tutti i diritti sono riservati. E’ consentito l’utilizzo di questo documento esclusivamente a scopo educativo. E’ dunque vietata la riproduzione sia parziale che totale di tutto il documento, senza l’autorizzazione di Anna Mumei e di Alice Buda (rispettivamente autrice del testo e detentrice dei diritti per il sito Giappone Giappone).

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ANCORA UN PO’ DI DESCRIZIONIOra che abbiamo visto la struttura delle frasi del tipo “X è Y”, dobbiamo provare a fare qualche esempio in più e ad arricchire questa descrizione. Cominciamo con una buona notizia: non abbiamo imparato solo a dire “è”, ma anche “sono, sei, siamo, ...”. Riprendiamo una delle frasi usate come esempio:

������������� [Tanaka-san wa shinsetsuna hito desu]

Tanaka è una persona gentile

e togliamo l’argomento (che in questo caso coincideva col soggetto):

������� [shinsetsuna hito desu]

è una persona gentile

Abbiamo una frase che è ancora corretta da un punto di vista grammaticale. Il suo significato però è meno evidente. Io l’ho tradotta “è una persona gentile”, perché stavo ancora pensando a Tanaka, questo era l’argomento sottinteso. Ma se la sentissi pronunciata per la strada, da qualcuno che magari parla al cellulare (cosicché io non so proprio nulla dei suoi discorsi), non potrei tradurla in italiano. Infatti in giapponese non esiste distinzione tra le varie persone, così come in italiano, e la frase potrebbe essere:

sono una persona gentile, sei una persona gentile, …, sono persone gentili.

E’ per questo motivo che in giapponese è importante stabilire il contesto di ogni frase, cioè specificare di che cosa si sta parlando. Se vogliamo capire qualcosa, dobbiamo prima di tutto identificare l’argomento, ed in questo ci aiuta l’uso di � [wa].

Per poter costruire qualche nuova frase, una cosa di cui probabilmente sentiamo bisogno è l’uso dei pronomi personali, quindi ecco qui un elenco:

��� [watashi] io

��� [anata] tu

�� [kare] egli, lui

�� [kanojo] lei

����� [watashitachi] noi

��� � [anatagata] voi

��� [karera] essi, loro

���� [kanojotachi] esse

In questo caso c’è una completa corrispondenza con l’italiano: solo i pronomi di terza persona si differenziano in base al genere, il pronome maschile ��� [karera] si usa anche per parlare di un gruppo misto (uomini e donne insieme).

Potremo quindi scrivere:

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1) ������������ [anata wa shinsetsuna hito desu]

sei una persona gentile

2) � �� 23 ��� [watashi wa 23 sai desu]

ho 23 anni (letteralmente: sono un 23-enne)

3) ��� ���� [kanojo wa gakusei deshita]

erano delle studentesse

4) ���������������� [karera wa itariajin dewa arimasen]

non sono italiani

Ho numerato queste frasi per commentarle più facilmente. Con la 1) ho messo in pratica quello che abbiamo detto all’inizio, ed in più ho introdotto un kanji � [hito]. D’ora in poi cercherò d’infilarne qualcuno qua e là, i più semplici, così cominciamo a poterli leggere (prima dell’elenco dei vocaboli troverete i kanji).

La 2) è la frase tipica per dire la propria età: �� [sai] è un suffisso che indica gli anni intesi come età. La 3) è molto semplice, mentre la 4) merita un paio di annotazioni. Innanzitutto ���� [itaria] è scritto in katakana e questo è il destino di tutte le parole che sono state importate nella lingua giapponese. La parola ����� [itariajin] è composta dal nome del nostro paese e dal suffisso � [jin] che indica sempre persona. In questo modo possiamo identificare tutte le nazionalità, le popolazioni:

���� [nihonjin] giapponese

������ [amerikajin] americano

e così via…

Genere e numero

Se avete notato tutti i possibili modi di tradurre la frase iniziale

������� [shinsetsuna hito desu]

vi sarete accorti che ����� � [shinsetsuna hito] non varia tra singolare e plurale, ma c’è di più. Questa è una regola generale: in giapponese non c’è differenza di numero né di genere. Vi ricordate �� [neko] che abbiamo tradotto come gatto? beh, vuol dire anche gatta, gatte, gatti. Semplice, ma a volte complica un po’ le cose, perché noi vorremmo essere più precisi.

Un modo di precisare che non parliamo di una persona sola, ma che vorremmo usare il plurale, è quello di utilizzare il suffisso �� [tachi]: forse nell’elenco dei pronomi avete notato �����[watashitachi] e ���� [kanojotachi]. E per dire voi si può usare �����, anche se è meno comune.

��� [kodomo] bambino, bambini

��� � [kodomotachi] bambini

Se invece vogliamo precisare il genere, dobbiamo ricorrere a delle locuzioni: ��� � [otoko no]per indicare il genere maschile e ��� � [onna no] per quello femminile:

���� [otoko no hito] uomo

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����� [onna no hito] donna.

Posposizione � [no]

Quando descriviamo qualcosa c’è spesso bisogno di specificare. A volte si tratta del genere o del numero, oppure è necessario utilizzare un aggettivo, come in “il gatto nero”. Ma ci sono altri casi in cui dobbiamo utilizzare un secondo sostantivo: “la casa di Tanaka”, “il libro di giapponese”, … Per collegare questi due nomi si usa la posposizione [no], che ha proprio il compito di specificatore (un po’ come la nostra preposizione “di”). Attenzione però: è una posposizione, perciò si deve trovare dietro al sostantivo cui si riferisce (quello che serve a precisare). Diremo perciò:

������� [Tanakasan no uchi]

la casa di Tanaka

�� �� [nihongo no hon]

il libro di giapponese

!����������� [Asako no sensei no kusuri]

la medicina dell’insegnante di Asako

� ��"��# [watashi no niwa no ki]

l’albero del mio giardino

(insomma, si segue l’ordine contrario rispetto all’italiano). Le espressioni �� [otoko no] e ��� [onna no] sono altri esempi. La volta precedente avevo tradotto ��� [onnanoko] come bambina e quel vocabolo si forma proprio così, come anche il suo equivalente maschile �� [otokonoko]. Il [ko] finale sta per !" [kodomo].

Con questo meccanismo si ottengono anche pronomi ed aggettivi possessivi, che non esistono nella lingua giapponese:

��� �#��!��� [kare no kuruma wa akai desu]

la sua macchina è rossa

��$���� ��� [ookii hon wa watashi no desu]

il libro grande è mio

Note

Così come con il suffisso� [jin] si ottiene il nome di un popolo, e con �� [sai] l’età, esistono molti altri utili suffissi. Per esempio per la lingua si usa $ [go]:

�� [nihongo] la lingua giapponese

%&�� [itariago] la lingua italiana.

Per i negozi si usa % [ya]:

&% [honya] libreria

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���% [kusuriya] farmacia

Kanji

Non è facile parlare dei kanji, come non è facile imparare a leggerli e scriverli, ma tutti sappiamo che gli ideogrammi sono un aspetto fondamentale della lingua giapponese. Qui voglio solo radunare quelli che abbiamo incontrato. Tenete presente che ogni kanji può essere letto in più modi, ma indicherò solo quello appena introdotto.

� [hito] persona. E’ un kanji pittografico, cioè deriva da un disegno, in questo caso molto stilizzato. Rappresenta una persona che si sta inchinando, vista di profilo. La diagonale di sinistra rappresenta il busto e le braccia (con le mani che quasi toccano terra), mentre quella di destra raffigura le gambe.

# [ki] albero. Anche questo è pittografico, la barra orizzontale rappresenta la chioma, quella verticale il tronco e la parte più in basso le radici.

� [hon] libro. Questo kanji discende dal precedente. Il piccolo segno in basso accentra qui il suo significato: radice, quindi sorgente di vita e da qui fonte del sapere, libro.

�� [nihon] Giappone. Il primo kanji rappresenta il sole, il secondo ha tra i suoi significati quello di sorgente: sol levante.

Vocaboli

-�� [-sai] età (suffisso)

��� [gakusei] studente

���� [itaria] Italia

-� [-jin] popolo (suffisso)

'(� [nihon] Giappone

�)�* [amerika] Amerika

!" [kodomo] bambino

(� [hon] libro

���� [sensei] insegnante

��� [kusuri] medicina

'� [niwa] giardino

+ [ki] albero

�#� [kuruma] macchina, automobile

��� [akai] rosso (aggettivo)

-$ [-go] lingua (suffisso)

-% [-ya] negozio (suffisso)

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CHE ORA E’?Prima di fare questa semplice domanda, dobbiamo imparare a costruire una frase interrogativa. Riprendiamo la solita frase su Tanaka:

������������ [Tanaka-san wa shinsetsuna hito desu]

Tanaka è una persona gentile

sappiamo coniugarla anche al negativo (vi ricordate?):

����������� ������ [Tanakasan wa shinsetsuna hito dewa arimasen]

Tanaka non è una persona gentile

Ma se la volessimo porre in forma interrogativa? E’ piuttosto semplice, basta aggiungere in fondo alla frase la particella � [ka] che ha la stessa funzione del nostro punto interrogativo:

������������ [Tanaka-san wa shinsetsuna hito desu ka]

Tanaka è una persona gentile?

Così possiamo porre molte domande:

��� ����� [kanojo wa gakusei desu ka]

sono delle studentesse?

����������� [anata wa itariajin desu ka]

sei italiano?

�� ���� ��� [kare no kuruma wa akai desu ka]

la sua macchina è rossa?

������� [tenki wa ii desu ka]

fa bel tempo? (letteralmente: il tempo è buono?)

Allo stesso modo si formano le frasi interrogative passate (ricordiamoci però che per ora sappiamo mettere al passato solo le frasi senza aggettivi!):

�������� [nihongo no hon deshita ka]

era un libro di giapponese?

����������������� [anata no ot san wa kaishain deshita ka]

tuo padre era un impiegato?

E se volessimo usare la futsu-tai (forma piana)? Nessun problema, sempre � [ka] dobbiamo aggiungere. Anzi, spesso non si fa neanche questo e si lascia che sia il tono ascendente della frase a far capire che si tratta di una domanda. In questo caso scrivendo la frase useremo il punto interrogativo per faci capire:

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��������� [anata wa itariajin ka] oppure

���������? [anata wa itariajin?]

sei italiano?

Pronomi ed aggettivi interrogativi

Più avanti vi parlerò dei vari pronomi ed aggettivi in maniera completa, per ora mi limito a dare un elenco di quelli interrogativi per proseguire con queste note di grammatica:

����� [nani, nan] cosa, che cosa

�� [dare] chi

�� [itsu] quando

��� [ikura] quanto

� [doko] dove

Tra �� [nani] e �� [nan] non ci sono differenze grammaticali, ma solo eufoniche: si usa ��[nan] davanti alle parole che iniziano con i suoni T, D, J, S, M, N, P e B. Gli altri pronomi si usano più o meno come in italiano:

���������� [anata wa nan sai desu ka]

quanti anni hai?

���������� [sensei wa dare deshita ka]

chi era l’insegnante?

������ �� [paatii wa itsu desu ka]

quand’è la festa?

!"#���$�� [kippu wa ikura desu ka]

quanto costa il biglietto? (letteralmente: quanto è il biglietto)

%�&'()��*'�� [heiwa no k en wa doko desu ka]

dov’è il Parco della Pace?

L’ora

Finalmente possiamo chiedere l’ora:

(��) !"�� [(ima) nan ji desu ka]

(adesso) che ora è?

L’avverbio �� [ima] l’ho messo tra parentesi, perché possiamo tranquillamente saltarlo. Se invece gli vogliamo dare più importanza (come se chiedessimo l’ora per mettere a posto il nostro orologio), basta farlo seguire dalla solita posposizione � [wa].

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Adesso bisogna imparare anche a rispondere. In giapponese in genere si usano solo le ore fino al 12, precisando ��� [gozen] per la mattina o �� [gogo] per il pomeriggio, se necessario.

L’ora si indica con � [ji], i minuti con �� [fun]. Quest’ultima parola però può variare in #� [bun] o $� [pun] per motivi eufonici.

Per precisare l’ora, per esempio si dirà:

�%� +�" ���,(-.�� [gozen rokuji sanj gofun desu]

sono le 6 e 35 di mattina

oppure:

���&""'��(�� [gogo shichi ji j gofun desu]

sono le 19 e un quarto

Per indicare la mezz’ora si usa �� [han]:

��"�� [san ji han]

le tre e mezza

Probabilmente già sapete che alcuni numeri possono essere detti in più di un modo. Per esempio 4 è /� [yon], / [yo] o � [shi]. Quando si tratta di orari, bisogna attenersi a queste regole:

• per esprimere le 4 o le 9 si usano sempre i numeri) [yo] e � [ku], quindi )" [yoji] e �"[kuji]; mentre per indicare le 7 si usa di preferenza �& [shichi].

• per indicare i 9 minuti invece, si usa sempre �'� [ky ], mai � [ku].

Prima ho detto che il termine per i minuti può variare. I minuti per cui si hanno le eccezioni sono quelli che terminano con le cifre 1, 3, 6 e 0. Queste sono le forme da usare:

�*$� [ippun] 1 minuto

�(� [nifun] 2 minuti

��$� [sanpun] 3 minuti

)�(� [yonfun] 4 minuti

�(� [gofun] 5 minuti

+*$� [roppun] 6 minuti

��(� [nanafun] 7 minuti

�&(� [hachifun] 8 minuti

�'�(� [ky fun] 9 minuti

"'�*$ [j ppun] 10 minuti

e così via… Per dire 8 minuti si può anche usare la forma �*$� [happun ].

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Note

Un’altra cosa riguardo i pronomi interrogativi. Nelle frasi interrogative usate per esempio, ho sempre messo come argomento ciò su cui ci si vuole informare. Quindi nella domanda posta per scoprire chi era l’insegnante, ho usato ���� [sensei] come argomento:

���������� [sensei wa dare deshita ka]

Traducendola alla lettera questa frase diventa “l’insegnante, chi era?”. Anche in giapponese si può tranquillamente porre la domanda nel modo più diretto “chi era l’insegnante?”. Bisogna però fare attenzione ad una nuova regola: se il soggetto di una frase interrogativa è un pronome, questo deve essere sempre seguito da � [ga] (non si può usare � [wa]):

��,������� [dare ga sensei deshita ka]

chi era l’insegnante?

La risposta si adegua alla domanda. Quindi se l’insegnante in questione è il solito Tanaka:

���������� [sensei wa dare deshita ka]

�����-.���� [sensei wa Tanakasan deshita]

oppure:

��,������� [dare ga sensei deshita ka]

-.��,������ [Tanakasan ga sensei deshita]

Usare la prima o seconda forma è indifferente, basta ricordarsi l’uso di � [wa] o [ga].

Solo una piccola annotazione sul gentilissimo �� [Tanaka]. Il significato del suo nome è “dentro il campo di riso”. La maggior parte dei cognomi giapponesi, come anche i nostri del resto, deriva dal tipo di lavoro del progenitore o dal nome della località d’origine della famiglia. L’uso degli ideogrammi e l’introduzione piuttosto recente dei cognomi fa sì che sia ancora semplice risalire al significato originario.

Kanji

Questa volta abbiamo incontrato pochi kanji, ma ho usato una nuova lettura per un kanji già visto in precedenza.

�� [ta+naka] si tratta di due kanji pittografici. Il primo rappresenta un campo, una risaia, e sono evidenziati i canali per l’irrigazione. Il secondo è un rettangolo tagliato a metà da una linea verticale. E’ questo il tratto che dà significato al kanji: dentro, in mezzo, tra.

0 [nani] che cosa. Questo è un kanji più difficile ed è composto di due parti. A sinistra c’è il radicale, che è ancora quello di persona (il tratto obliquo e quello verticale), poi c’è la parte di destra che non ha significato di per sé, ma che contiene il kanji di bocca (il quadratino). Quindi possiamo aiutarci a ricordarlo pensando ad un uomo che chiede qualcosa.

� [jin] popolazione. E’ esattamente il kanji usato per 12 [hito], persona. Non poteva essere altrimenti, visto che il suffisso –jin vuole dire persona, popolo.

Vocaboli

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�� [ii] buono

�/ [ima] adesso

���� [ot san] padre

������ [kaishain] impiegato

�*$ [kippu] biglietto

�0� [k en] parco

�� [gogo] pomeriggio

�%� [gozen] mattina

" [ji] ora, orario

��� [tenki] tempo (atmosferico)

1234 [paatii] festa (dall’inglese party)

.� [fun] minuto

5�6 [heiwa] pace

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I VERBIQuesta volta cercherò di parlarvi un po’ dei verbi, sperando di riuscire ad essere abbastanza chiara. In giapponese esistono molti modi di coniugare un verbo, che determinano il significato della frase molto più di quanto avviene in italiano: specificano il tempo in cui si svolge l’azione, ma anche se stiamo facendo un’affermazione o una congettura, se esprimiamo un desiderio o un obbligo, se chiediamo un favore o diamo un ordine… In compenso i verbi giapponesi non variano secondo la persona.

La struttura della frase prevede che il verbo sia in fondo: X � V [X wa V] o X � V [X ga V], cioè X fa l’azione V. I complementi, quando ci sono, devono essere inseriti prima del verbo. Quindi gli elementi principali di una frase si trovano rispettivamente all’inizio (l’argomento) ed alla fine (l’azione descritta).

Io ho più di una grammatica e, tanto per semplificare la vita, ognuna usa termini diversi per parlare delle varie forme verbali e delle declinazioni. Userò quelli che mi sono più familiari, ma dove sarà possibile vi dirò anche qualche altro termine molto utilizzato. Il primo termine da imparare è ��

[kei], che vuole dire “forma” ed è il suffisso per tutti i nomi delle forme verbali.

Jisho-kei (forma del dizionario)

Se vogliamo trovare il significato di un verbo italiano dobbiamo cercare nel vocabolario il modo infinito del verbo: mangiare, andare, bere… Il corrispondente giapponese è la jisho-kei (���[jisho] vuole dire proprio dizionario). La jisho-kei è però una coniugazione che ha un significato di per sé, non come il nostro infinito. In questa forma tutti i verbi terminano con la vocale “u” e l’ultima sillaba (che può essere �,�,�,,,�,�, ,� [u, ku, gu, su, tsu, nu, bu, mu, ru]) è sempre scritta in hiragana e quindi non fa parte della desinenza o radice del verbo.

I verbi si dividono in tre gruppi o declinazioni e le coniugazioni sono un po’ diverse tra i vari gruppi. Cominciando dal fondo, abbiamo:

III gruppo (verbi irregolari): sono solo due: �� [suru], fare e �� [kuru], venire. Con � [suru] si formano molti altri verbi, facendolo precedere un sostantivo (un po’ come noi che diciamo fare una domanda, fare un lavoro…). Già dagli esempi ne vedremo qualcuno, ma ricordate che sono dei composti, il verbo è � [suru] (a volte tra il sostantivo ed il verbo si inserisce la posposizione � [o], come a dire che il sostantivo è un complemento oggetto del verbo, ma quest’uso si va perdendo).

II gruppo (verbi ichidan): sono i verbi la cui jisho-kei, scritta in r maji, termina in –eru o –iru: come per esempio ��� [taberu], mangiare e �� [miru], guardare, vedere. In inglese sono chiamati “vocal stem”.

I gruppo (verbi godan): tutti gli altri, che sono la maggioranza. Tra questi abbiamo �� [iku], andare, � [nomu], bere, �� [iu], dire e �� [hanasu] parlare. In inglese sono chiamati “consonant stem”.

Bisogna prestare attenzione, perché alcuni verbi anche se terminano in –eru o –iru, fanno parte del I gruppo. Qualche esempio? ��� [kaeru], tornare, ��� [hashiru], correre e �� [kiru], tagliare. Esiste anche una regola più precisa per determinare se un verbo appartiene al I o al II gruppo, ma è complicatissima e comunque non risolve la questione al 100%, quindi conviene imparare le eccezioni a memoria, o tenere una lista a portata di mano.

Per ora accontentiamoci di sapere che la jisho-kei serve a trovare i verbi nel dizionario ed a capire a quale gruppo appartengono.

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Masu-kei

Questa è una forma utilissima, perché ci consentirà di comporre le prime frasi. Vediamo subito come si forma, gruppo per gruppo.

Nel I gruppo la “u” finale deve essere trasformata in “i”. E’ facile, ma bisogna trasformarla secondo il sillabario giapponese. Ecco un po’ d’esempi:

�� [iku] �� [iki]

� [nomu] �� [nomi]

�� [iu] �� [ii]

�� [hanasu] ��� [hanashi]

Un’altra trasformazione che richiede attenzione è quella dei verbi che terminano in [tsu] come � [matsu], aspettare, che diventa �� [machi].

Per il II gruppo è più facile, basta togliere l’ultima sillaba � [ru]:

��� [taberu] �� [tabe]

�� [miru] � [mi]

Ed infine il III gruppo, dove non c’è una regola:

� [suru] � [shi]

�� [kuru] � [ki]

Ora che sappiamo la regola, vediamo come utilizzare la masu-kei: basta aggiungere in fondo �[masu] per ottenere una coniugazione che è molto simile al nostro presente indicativo:

�� [iku] �� [iki] ��� [ikimasu] vado, vai, va…

�� [miru] � [mi] �� [mimasu] guardo, guardi, guarda…

� [suru] � [shi] �� [shimasu] faccio, fai, fa…

Il finale (� [masu]) non fa parte del verbo, ma un po’ come � [desu] serve a concludere una frase cortese.

Ed ora qualche esempio:

������������ [Tanakasan wa sakana o tabemasu]

Tanaka mangia il pesce

�����!��"� [watashi wa uchi e kaerimasu]

io torno a casa

#$%�������� [nihongo o benky shimasu]

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studiamo il giapponese

Forma negativa, passata e interrogativa

Così come con � [desu], per formare il negativo ed il passato basta coniugare � [masu] e questo è lo specchietto che ci serve:

��

affermativo negativo

presente� [masu] �&� [masen]

passato��� [mashita] �&���� [masen deshita]

Più facile di �, vero? Facciamo qualche frase:

#$!����� [Nihon e ikimashita]

sono andato in Giappone

'������&���� [Fujisan o mimasen deshita]

non abbiamo visto il Monte Fuji

(�)����&� [osake o nomimasen]

non beve il sakè

Indovinate la forma interrogativa? Eh sì, basta aggiungere � [ka].

Note

Per fare gli esempi ho dovuto introdurre qualche complemento e le relative posposizioni. Per il complemento oggetto si usa � [o], per quello di moto a luogo ! [e]. In realtà di � [o] avevo parlato all’inizio, come esempio di uno di quei fonemi che si scrivono diversamente dalla pronuncia. Ed ! [e] è un altro esempio dello stesso tipo, ricordatevi che in questa posposizione l’acca non deve essere aspirata.

Il significato della coniugazione di un verbo in giapponese sarà più chiaro mano a mano che ne studieremo qualcuna. Intanto vorrei ripetere un paio di differenze dalla coniugazione italiana che è bene avere chiare:

• i verbi giapponesi hanno solo due tempi: presente e passato. Il futuro è generalmente espresso dal presente, con degli avverbi che specificano il tempo o qualche particella per dare un senso di incertezza (come ���� [desh ]);

• la coniugazione di un verbo è indipendente dalla persona che compie l’azione. Solo il senso della frase o l’uso esplicito di un pronome permettono di precisare la persona.

Avete fatto caso al nome del monte Fuji in giapponese? E’ '��� [Fujisan], non Fujiyama come siamo abituati a dire noi: tutto è nato dalla doppia lettura del kanji utilizzato per monte, *, che può essere sia �� [san] che +� [yama].

Infine la bevanda giapponese (�) [osake]. La prima lettera, ( [o], è un prefisso onorifico che serve a distinguere il sakè vero e proprio da altre bevande alcoliche, dette semplicemente �)[sake].

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Kanji

Non ho introdotto nuovi kanji negli esempi, perché era bene concentrarsi solo sui verbi, ma eccone qualcuno per non perdere le buone abitudini.

* [san, yama]monte, un kanji pittografico. Come abbiamo visto, ha una doppia lettura: ,- [san] (scritta in katakana perché è quella cinese) e +� [yama] (la parola originaria del Giappone per montagna). Di solito si usa ,- [san] nei composti e +� [yama] come parola a sé stante, ma non è regola assoluta.

. [me] occhio. Anche questo è pittografico, anche se può sembrare strano che l’occhio sia in verticale (il rettangolo centrale rappresenta la pupilla).

/ [mi] è la radice di /� [miru], vedere, guardare. E’ formato da un occhio con sotto un paio di piedini, cioè un occhio che cammina e si guarda intorno.

0 [i] è la radice di 0� [iu], dire. Vi ricordate che in 1 [nani] il quadratino rappresenta la bocca? Qui c’è ancora la bocca e dei trattini che rappresentano ciò che esce dalla bocca, cioè le parole, quello che si dice.

Vocaboli

Specifico il gruppo d’appartenenza di un verbo solo per quei casi che non rientrano nelle regole generali.

0� [iu] dire

�� [iku] andare

( [o] prefisso onorifico

(�) [osake] sakè

��� [kaeru] (I gruppo) tornare

�� [kiru] (I gruppo) tagliare

�� [kuru] venire

��� [sakana] pesce

��� [jisho] dizionario

� [suru] fare

��� [taberu] mangiare

� [nomu] bere

��� [hashiru] (I gruppo) correre

�� [hanasu] parlare

����� [benky ] studio (l’atto di studiare, non una sala)

Page 19: Mumei - Lezioni Di Giapponese I-XIV

������ [benkyōsuru] studiare

'�* [Fujisan] monte Fuji

� [matsu] aspettare

/� [miru] vedere, guardare

* [yama] montagna

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ANCORA SULLA MASU-KEIPoiché i verbi sono senza dubbio un argomento delicato, facciamo una piccola pausa in modo da familiarizzare con questa masu-kei e non subire troppi traumi quando faremo il prossimo passo in avanti. Ne approfitteremo per fare un piccolo controllo su quel che abbiamo visto fino ad ora con dei quiz. Ma non preoccupatevi, ci saranno anche delle novità.

Cominciamo con qualche esempio, per imparare dei nuovi termini:

��������� [ongaku o kikimashita]

ha ascoltato la musica

��� ����� [watashi wa uchi de kakimasu]

scrivo in casa

���������� [shinbun o yomimasuka]

leggi il giornale?

Esserci, esistere

In italiano usiamo tranquillamente il verbo essere per indicare l’esistenza di qualsiasi cosa, persona, entità. I giapponesi distinguono tra i soggetti animati (per i quali si usa �� [iru]) e quelli inanimati (che vogliono �� [aru]). La frase però si forma sempre nello stesso modo e la cosa importante da ricordarsi è che si può usare sia � [wa], che � [ga]:

���������� [Tanakasan wa niwa ni imasu]

Tanaka è in giardino

������ [hon ga arimashita]

c’erano dei libri

La differenza tra � [wa] e � [ga] sta tutta nell’enfasi che vogliamo dare al soggetto, quanto vogliamo mettere su di lui l’attenzione di chi ci ascolta. In altre parole, la prima frase potrebbe essere la risposta a qualcuno che ci chiedeva dove fosse Tanaka, mentre la seconda una semplice descrizione dei fatti.

Se invece avessimo voluto evidenziare più il giardino che Tanaka, avremmo detto

����������� [niwa ni wa Tanakasan ga imasu]

nel giardino c’è Tanaka

In realtà è una cosa più facile da capire che da spiegare. Il � [wa] si usa per evidenziare l’argomento di cui vogliamo parlare; spesso questo è il soggetto, ma non è sempre così. Se riteniamo che nella frase non c’è un argomento degno di questo nome (come in “c’erano dei libri”) usiamo soltanto la particella che definisce il soggetto, cioè � [ga].

Avere

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E’ arrivato il momento di parlare anche del verbo avere, che in giapponese non esiste… non c’è né come ausiliare (io ho mangiato), né col significato di possedere (io ho una mela). E allora? Dire che io ho una mela significa che, proprio per quanto riguarda me, esiste una mela:

���������� [watashi wa ringo ga arimasu]

io ho una mela

Si tratta di un nuovo uso del verbo �� [aru]: il possessore è identificato da � [wa], la cosa posseduta da� [ga]. Un altro esempio?

���������������� [Tanakasan wa kuruma ga arimasen deshita]

Tanaka non aveva una macchina

Attenzione! Se troviamo scritto, o sentiamo dire

������ [hon ga arimasu]

non possiamo azzardare una traduzione, potrebbe essere sia “c’è un libro”, sia “ho un libro” (o “ha un libro”…). Dipenderà tutto dal contesto della frase.

Forma esortativa

Vogliamo invitare un amico a fare qualcosa con noi? Aggiungendo ���� [mashō] alla masu-kei abbiamo proprio quest’esortazione (si usa sempre nella prima persona plurale):

��� �!��� � [issho ni yomimashō]

leggiamo insieme!

"��#$��� � [eiga e ikimash ]

andiamo al cinema!

Note

Il complemento di stato in luogo si traduce in maniere diverse secondo il tipo di verbo. Se il verbo descrive un’azione vera e propria si usa � [de], se invece è statico si usa � [ni]:

� ����� [uchi de kakimasu] scrivo in casa

� ���� [uchi ni imasu] io sto in casa

A questo punto possiamo tornare un attimo a �� [desu]. Vi ricordate che dissi che non era un verbo? Probabilmente sembrava una strana affermazione, anche perché l’abbiamo usato in frasi che, nella versione italiana, contenevano il verbo essere. Adesso possiamo ripensarci un attimo e dire che forse l’uso di �� [desu] e �� [iru] (o �� [aru]) per differenziare il senso di descrizione da quello di esistenza non è poi troppo balordo…

Kanji

% [mimi] orecchio. E’ un kanji pittografico, perché tutte le lineette che lo compongono vogliono rappresentare le pieghe del padiglione.

Page 22: Mumei - Lezioni Di Giapponese I-XIV

& [mon] porta. I due battenti sono evidenti.

' [ki] è la radice di '� [kiku], ascoltare. E’ formato dal kanji della porta e da quello dell’orecchio: un orecchio alla porta ascolta quel che si dice.

$ [i] è la radice di $� [iku], andare. E’ un kanji piuttosto semplice da ricordare.

Quiz

Come ho detto all’inizio, facciamo un po’ il punto della situazione. Vi do alcuni esercizi da fare, tutti dello stesso tipo: una domanda e più possibili (o impossibili) risposte. Quelle corrette le trovate in fondo, dopo i vocaboli. Ma cercate di non andare a sbirciare!

Il primo gruppo è il più semplice, bisogna solo ricordarsi un po’ di vocaboli:

a) La bambina è grande

1) ��()*������� [onna no ko wa ookii desu]

2) �+*)* ������� [otoko no ko wa ookii desu]

3) *,- ������� [kodomo wa ookii desu]

b) L’insegnante era italiano

1) �����./01��� [sensei wa itariago deshita]

2) �����./012�� [sensei wa itariajin deshita]

3) �����./012�� [sensei wa itariajin mashita]

c) La casa è rossa

1) � ������ [uchi wa akai desu]

2) ��������� [kuruma wa akai desu]

d) Lui è americano

1) �3�1405���� [kare wa amerikasan desu]

2) �3�14056��� [kare wa amerikajin desu]

Adesso aggiungiamo qualcosa, l’uso di �� [desu]:

e) Loro sono americane (in forma piana)

1) �)6 �14052�� [kanojo wa amerika jin desu]

2) �)6 �140527 [kanojo wa amerika jin da]

3) �)6 �140527 [kanojotachi wa amerika jin da]

f) La casa di Asako sarà piccola

Page 23: Mumei - Lezioni Di Giapponese I-XIV

1) ��*)� � ����� � [Asako no uchi wa chiisai desh ]

2) � )��*� ����� � [uchi no Asako wa chiisai desh ]

3) ��*)� � ���78� [Asako no uchi wa chiisai dar ]

g) Il gatto è nero (in forma piana)

1) 9*��8� [neko wa kuroi]

2) 9*��8�� [neko wa kuroi de]

3) 9*��8�7 [neko wa kuroi da]

Adesso qualche esercizio sulla struttura delle frasi e sulle posposizioni:

h) Chi è Michiko?

1) 73�� *����� [dare ga Michikosan desu ka]

2) 73� *����� [dare wa Michikosan desu ka]

i) Io non sono un dottore (in forma piana)

1) ����:������� [watashi wa isha dewa arimasen]

2) ����:��(� [watashi wa isha dewa nai]

3) ����:��(� [watashi o isha dewa nai]

l) Tanaka ha letto un libro

1) ��������� [Tanakasan yomimashita hon]

2) ���������� [Tanakasan wa hon yomimashita]

3) ����������� [Tanakasan wa hon o yomimashita]

m) Cosa ascolti?

1) ;�'���� [nani o kikimasuka]

2) ;�'���� [nani ga kikimasuka]

3) ;�'���� [nani wa kikimasuka]

4) ;�'��� [nani o kikimasu]

ed infine i verbi:

n) Avete corso?

1) ����� [hashimasuka]

2) ������ [hashirimasuka]

Page 24: Mumei - Lezioni Di Giapponese I-XIV

o) Bevo sakè

1) ��<�)��� [osake wa nomimasu]

2) ��<�)���[osake o nomimasu]

3) ��<�)= [osake wa nomu]

p) Tanaka è nella stanza

1) �����#>#��� [Tanakasan wa heya e imasu]

2) �����#>����� [Tanakasan wa heya ni arimasu]

3) �����#>���� [Tanakasan wa heya ni imasu]

q) Il gatto ha mangiato il pesce

1) 9*���(�?�� [neko wa sakana o tabemashita]

2) ��(�9*�?�� [sakana wa neko ga tabemashita]

3) 9*���(�?��� [neko wa sakana o taberu desu]

r) Non legge il giornale

1) ������������ [shinbun o yomimasen deshita]

2) ���������� [shinbun o yomimasen]

3) ������������ [shinbun wa yomimasen deshita]

s) Sono andato in Giappone

1) @��$��� [Nihon ni ikimashita]

2) @�#$��� [Nihon e ikimasu]

3) @�#$��� [Nihon e ikimashita]

Vocaboli

Specifico il gruppo d’appartenenza di un verbo solo per quei casi che non rientrano nelle regole generali.

�� [aru] essere, esistere (per cose inanimate)

�� [iru] essere, esistere (per cose animate)

"�� [eiga] cinema, film

���� [ongaku] musica

�� [kaku] scrivere

Page 25: Mumei - Lezioni Di Giapponese I-XIV

'� [kiku] ascoltare

���� [shinbun] giornale

�= [yomu] leggere

Risposte

a) 1 b) 2 c) 1 d) 2

e) 3 f) 1 g) 3

h) 1 i) 2 l) 3 m) 1

n) 2 o) 2 p) 3 q) 1 r) 2 s) 3

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GLI AGGETTIVISiamo finalmente arrivati a parlare di aggettivi… Forse qualcuno si sarà chiesto cosa ci possa essere di tanto difficile e tremendo. Non molto in verità, se non la nostra abitudine di considerare gli aggettivi solo come qualcosa che descrive un po’ meglio un nome e che può variare solo per genere e numero. Visto che queste variazioni in giapponese neanche ci sono, verrebbe spontaneo pensare che stiamo partendo per una passeggiata… ma non è proprio così.

Per cercare di spiegare bene quello che so, sono andata a rileggere la grammatica italiana ed ho scoperto (ebbene sì, lo ignoravo) che per noi gli aggettivi si distinguono in due grossi gruppi: i qualificativi (bello, buono, grande…) e i determinativi (che a loro volta si dividono in possessivi,dimostrativi…). Benissimo! c’è la stessa suddivisione anche in giapponese, cambiano solo i nomi. I nostri qualificativi sono detti semplicemente aggettivi (����� [keiyōshi]), gli altri non sono considerati aggettivi e spesso nelle grammatiche occidentali sono indicati col termine di prenomi (perché precedono sempre il sostantivo cui si riferiscono).

Gli i-aggettivi ed i na-aggettivi

D’ora in poi parlando di aggettivo intenderò sempre ����� [keiyōshi], quello giapponese, cioè il qualificativo. Questi sono a loro volta divisi in due gruppi: i-aggettivi e na-aggettivi, che a volte si comportano in maniera diversa. Per sapere il tipo bisogna guardare la ����� [jishokei], perché, proprio come i verbi, gli aggettivi hanno la loro “forma del dizionario” (che poi è quella che abbiamo usato fino ad oggi…). Ecco un elenco di aggettivi che già conosciamo:

��� chiisai] piccolo i-aggettivo��� [kuroi] nero i-aggettivo �� [ookii] grande i-aggettivo����� [shinsetsuna] gentile na-aggettivo��� [akai] rosso i-aggettivo

ed ecco delle novità:

��� [oishii] buono, gustoso i-aggettivo���� [kireina] bello na-aggettivo���� [shizukana] silenzioso, tranquillo na-aggettivo�� [takai] alto i-aggettivo����� [nigiyakana] vivace, animato na-aggettivo���� [majimena] serio na-aggettivo

Quali sono i più facili da usare? forse gli i-aggettivi, perché sono più vicini al concetto italiano, mentre i na-aggettivi a volte si comportano quasi come dei verbi. Oppure i na-aggettivi che hanno regole grammaticali più semplici? Boh, ognuno decida per sé…

L’aggettivo come attributo

Quando usiamo un aggettivo davanti ad un nome, quindi come attributo di questo, dobbiamo sempre utilizzare la sua ����� [jishokei]:

������ [shinsetsuna hito] una persona gentile������ [kireina machi] belle città��� [takai ki] l’albero alto������ ! [nigiyakana pātii] una festa animata

L’aggettivo come predicato

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Se invece usiamo l’aggettivo come un predicato, non accompagnato da un nome (come in “il cielo è azzurro”) dobbiamo distinguere. Gli i-aggettivi non cambiano, mentre i na-aggettivi perdono l’ultima sillaba � [na]:

"�#$ %���&' [eiga wa omoshiroi desu] il film è interessante� ! $���&' [pātii wa shizuka desu] la festa è tranquilla

Ricordatevi che in queste frasi il &' [desu] serve a dare un tono cortese, non è come il nostro verbo essere.

La futsu-tai

Nella nostra prima lezione, parlando di &' [desu] e di futsu-tai (forma piana), avevamo escluso le frasi del tipo “X è Y” in cui Y era un aggettivo. Ma adesso possiamo allargarci: se Y è un i-aggettivo non si aggiunge &' [desu], se è un na-aggettivo si usa ( [da]. I due esempi precedenti diventano:

"�#$ %��� [eiga wa omoshiroi] il film è interessante� ! $���( [pātii wa shizuka da] la festa è tranquilla

Un altro modo di vedere le cose è di pensare che gli aggettivi si coniugano secondo questo specchietto:

i-aggettivo na-aggettivo

teinei-tai -�&' [-i desu] -&' [- desu]

futsu-tai -� [-i] -( [- da]

dove il trattino - sostituisce tutta quella parte dell’aggettivo che nella����� [jishokei] precede la sillaba finale � [i] o � [na].

Questo e quello

Lo so, tra le cose in sospeso ci sono anche la forma negativa e passata delle frasi del tipo “X è Y”, ma non voglio mettere troppa carne al fuoco. Lasciamo riposare gli aggettivi e passiamo a dei prenomi. Qui saranno avvantaggiati quei toscani che ancora usano questo, codesto e quello. Per tutti gli altri, ripassiamo velocemente la differenza:

• questo è per le persone o gli oggetti vicini a chi parla;• codesto è per le persone o gli oggetti vicini a chi ascolta;• quello è per le persone o gli oggetti lontani da entrambi.

Per i giapponesi è la stessa cosa ed i prenomi usati sono rispettivamente �� [kono], �� [sono] e � [ano]:

)*+�$���&' [kono heya wa shizuka desu] questa stanza è silenziosa,*-$ %��� [sono hon wa omoshiroi] codesto (quel) libro è interessante�*�$����( [ano hito wa shinsetsu da] quella persona è gentile

Affinché il tutto sia più chiaro, immaginiamo che queste frasi siano state tratte da un dialogo telefonico tra due amici (alcune sono in futsu-tai!). Con la prima frase chi parla descrive il luogo in cui si trova; la seconda è la risposta all’amico che ci dice di avere in mano un libro che ci ha appassionato; la terza è il commento quando c’informa che quel libro glielo ha prestato il solito Tanaka.

Aggiungiamo un altro prenome, l’equivalente di quale, una forma interrogativa. Si usa � [dono]. Per esempio potremmo dire

Page 28: Mumei - Lezioni Di Giapponese I-XIV

.*/012���3� [dono pen o kaimashita ka]quale penna hai comprato?

.*�4�#��3*&'� [dono kaban ga anata no desu ka]quale borsa è la tua?

Di solito questo .* [dono] si usa quando c’è un gruppo di oggetti tra cui scegliere: quale penna tra tutte quelle che c’erano nel negozio, quale borsa tra quelle appoggiate sul tavolo…. Se invece la scelta è solo tra due oggetti si preferisce .�5 [dochira]. Perciò arrivati ad un bivio:

.�56�#3(��&'� [dochira michi ga tadashii desu ka]quale strada è corretta?

Note

Abbiamo detto che gli aggettivi si dividono in due gruppi: i-aggettivi e na-aggettivi. Di solito un aggettivo sta o di qua o di là, ma ci sono due eccezioni, facili da ricordare perché si tratta di due opposti:

��� chiisana] piccolo na-aggettivo �� [ookina] grande na-aggettivo

Di solito si usa la forma in -� [-na] davanti ai nomi e la forma in -� [-i] come predicativo, ma usare sempre �� [ookii] e ��� [chiisai] non è sbagliato.

L’aggettivo ��� [oishii] vuol dire buono, gustoso. Si riferisce al sapore di qualcosa. Un termine più generico per buono, positivo, è l’aggettivo �� [ii] oppure �� [yoi]. Questi sono equivalenti, anche se di solito si usa�� [ii].

Avete notato la sequenza )* [kono], ,* [sono], �* [ano] e .* [dono]? Terminano tutti in -*[-no]. Non è una strana coincidenza, è un suffisso che li identifica come prenomi distinguendoli dalla serie gemella dei pronomi: )� [kore], ,� [sore], �� [are] e .� [dore]. Senza entrare nel dettaglio facciamo subito qualche frase:

)�$�����4�&' [kore wa kireina kaban desu]questa è una borsa carina

,�$����+�&$�7��� [sore wa shizukana heya dewa arimasen]quella non è una stanza tranquilla

��$(�&'� [are wa dare desu ka]chi è quello?

.�#89�*:&'� [dore ga Tanakasan no kuruma desu ka]qual è l’auto di Tanaka?

Quindi -* [-no] e -� [re] distinguono il prenome dal pronome, mentre )- [ko-], ,- [so-], �- [a-] e.- [do-] si riferiscono alla vicinanza o all’essere interrogativo.

A proposito di vicinanza, non dobbiamo pensarla solo come qualcosa di fisico ma anche in senso figurato. Parlando del Giappone possiamo dire )* �� [kono kuni], questo paese, perché è vicino a noi nel senso che ci interessa.

Kanji

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�� [takai] alto. Rappresenta un edificio a due piani, quindi alto… Partendo dall’alto, c’è il tetto, la finestrella del secondo piano, il primo piano con la porticina.

;� [kai] conchiglia. Anche questo è un kanji pittografico, ma non conosco abbastanza le conchiglie per capire come sia nato. Bisogna fare attenzione a non confonderlo con < [mi]: cambia poco, il piedino di destra, ma è una differenza fondamentale.

2� [kau] radice del verbo comprare. La parte inferiore è la conchiglia, che è stata una delle prime monete; la parte superiore è una rete: prendere qualcosa con le monete, cioè comprare.

: [kuruma] auto, macchina. E’ un carretto a due ruote, visto dall’alto. La barra verticale è l’asse delle ruote, il quadratino centrale rappresenta il carro. I kanji sono stati importati dalla Cina e questa è la rappresentazione di un risciò.

Vocaboli�* [ano] quello (aggettivo)�� [are] quello (prenome)�� [ii] buono, positivo ��� [oishii] buono, gustoso���� [kireina] bello�� [kuni] paese����� [keiyōshi] aggettivo)* [kono] questo (aggettivo))� [kore] questo (prenome)���� [shizukana] silenzioso, tranquillo,* [sono] codesto (aggettivo),� [sore] codesto (prenome)3(�� [tadashii] corretto�� [takai] alto.�5 [dochira] quale (tra due), chi (formale).* [dono] quale (aggettivo, tra più oggetti).� [dore] quale (prenome)����� [nigiyakana] vivace, animato���� [majimena] serio�� [machi] città6� [michi] strada�� [yoi] buono, positivo

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I CONTATORIQuando si impara una nuova lingua, una delle prime cose da studiare a memoria è la filastrocca dei numeri da 1 a 10. Fino ad oggi ho evitato di affrontare direttamente l’argomento numeri, perché in giapponese la questione non è così semplice. Noi diciamo: 3 giorni, 3 libri, 3 mele, 3 persone, 3 alberi… ed il numero 3 è una costante, non cambia secondo ciò che stiamo contando. In Giappone no, bisogna sapere cosa si conta e… usare dei “numeri” adatti, i contatori.

Sembrerebbe una tragedia… quante serie di numeri occorre imparare a memoria? In realtà si va per grossi gruppi di oggetti simili: per dire 3 libri o 3 riviste useremo lo stesso contatore, perché stiamo parlando di oggetti stampati; anche gli ombrelli e le matite usano lo stesso contatore in quanto sono oggetti lunghi e cilindrici. Inoltre esiste una specie di super contatore o contatore jolly, che si può usare quasi con tutto. E’ il primo contatore che impara un bambino giapponese ed in caso di necessità ci si può sempre far capire con questo.

Come è già successo per altre cose, è più difficile spiegare cos’è un contatore e come si usa, che provare ad utilizzarlo. Ora cerco di raccontarvi qualche cosa al riguardo, ma non vi spaventate. Forse alcuni di voi non lo sanno, ma abbiamo già usato dei contatori nelle lezioni precedenti…

Quando noi parliamo di mele, possiamo scegliere se contare i frutti (7 mele) o se pesarli (1 chilo di mele). Se parliamo di farina, a nessuno verrà in mente di contare i singoli granellini, tutti la misuriamo in chili (etti o tonnellate, ma non facciamo i pignoli). Allo stesso modo misuriamo i liquidi in litri e le distanze in metri. Questo vuol dire usare delle unità di misura, che sono precise per definizione. E’ proprio per la sua imprecisione che non consideriamo il numero dei frutti come unità di misura: le mele possono essere grandi o piccole e se si pagassero un tanto a frutto, sai che liti dal fruttivendolo! Se però estendiamo il nostro concetto di unità di misura, anche a quelle imprecise, ci avviciniamo al metodo giapponese, che non conta gli oggetti stessi, ma le unità. Un giapponese non dice “ho 3 mele”, ma “ho delle mele, 3 unità”.

Ore, minuti ed età

Vi ricordate quando abbiamo imparato a domandare l’ora ed a rispondere?

�������������� [gozen rokuji sanjūgofun desu]sono le 6 e 35 di mattina

Abbiamo usato i termini � [ji] e � [fun] per indicare rispettivamente le ore e i minuti, cioè per contarli. Possiamo dire che � [ji] e � [fun] sono stati quasi i primi contatori che abbiamo imparato. Non è stato troppo difficile, vero? forse il problema nasceva dalle variazioni eufoniche, perché ogni tanto i minuti diventavano � [pun] o �� [bun]. Questo purtroppo è vero per molti contatori, ogni tanto si pronunciano in maniera un po’ anomala. Con il tempo e la pazienza, i suoni giusti ci sembreranno familiari.

Ancora prima avevamo accennato all’età:

���� 23 ���� [watashi wa 23 sai desu]ho 23 anni (letteralmente: sono un 23-enne)

in realtà �� [sai] è un contatore per l’età.

Serie cinese e serie giapponese

Il Giappone, oltre che i kanji, ha importato dalla Cina anche una nuova serie di numeri, che ha affiancato alla propria. I numeri giapponesi infatti arrivano solo fino a 10, ma formano quello che abbiamo chiamato super contatore:

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�� ��� [hitotsu] uno�� �� [futatsu] due�� ��� [mittsu] tre�� ��� [yottsu] quattro�� ��� [itsutsu] cinque�� �� [muttsu] sei!� ""� [nanatsu] sette#� $�� [yattsu] otto%� &&'� [kokonotsu] nove( � [tō] dieci

Il suffisso � [tsu], comune a quasi tutti, vuole dire pezzo (ma non si può usare come parole a sé stante). Questo è il motivo per cui la serie giapponese può essere usata come contatore jolly. Ricordatevi che questi numeri, proprio perché contengono � [tsu], sono dei sostantivi.

La serie cinese è più completa, consente di comporre i primi dieci numeri per contare decine, centinaia, migliaia…. I kanji utilizzati sono sempre gli stessi, cambiano le letture:

� �) [ichi] uno� * [ni] due� �� [san] tre� �+�+�� [shi, yo, yon] quattro� � [go] cinque� �� [roku] sei! �)+"" [shichi, nana] sette# �) [hachi] otto% �+,� [ku, kyū] nove( �� [jū] dieci

Come vedete il 4 ed il 7 hanno conservato anche la lettura originaria, quella giapponese. Per il 4 la causa è l’omofonia (lo stesso suono) con la parola che indica la morte (e che è preferibile non pronunciare); per il 7 è semplicemente il timore di confondersi: � [shi] e �) [shichi] sono troppo simili.

I numeri oltre il dieci

I numeri si compongono di unità, decine, centinaia…: 11 sarà 10 + 1, 37 sarà 3 volte 10 + 7, 548 sarà 5 volte 100 + 4 volte 10 + 8. Abbiamo quindi bisogno delle parole cento, mille…:

- �.� [hyaku] cento/ 0� [sen] mille1 2� [man] diecimila

Ricordandosi di usare sempre la serie cinese, basta comporre tutte queste parole:

11 (� ���) [jū ichi]37 �(! �����) [san jū shichi]568 �-�(# ��.������) [go hyaku roku jū hachi]

In realtà ci sono alcune eccezioni. Per oggi accontentiamoci di poter contare fino a 999, così i nostri problemi sono relativi a:

300 �- ��3.� [sanbyaku]600 �- ��4.� [roppyaku]800 #- �4.� [happyaku]

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cambia solo il modo di leggere i numeri, non quello di scriverli.

I libri

Cominciamo col contatore dedicato ai libri, alle riviste, ai quaderni: �� [satsu]. L’ho scelto perché non ci crea problemi di cambiamento, è sempre �� [satsu], così nelle prime frasi ci concentriamo solo sull’uso generale.

Se abbiamo un vuoto di memoria, possiamo dire

��5 [itsutsu hon] 5 libri

con il contatore generico, ma

���'5 [go satsu no hon] 5 libri

che letteralmente sarebbe 5 unità di libro è più preciso. In una frase completa però il contatore non si trova vicino all’oggetto, ma al verbo:

��6'7*58���9:2� [tsukue no ue ni hon ga roku satsu arimasu]sopra il tavolo ci sono 6 libri

����;5�'58���9:2� [watashi wa Nihongo no hon ga ni satsu arimasu]io ho 2 libri sulla lingua giapponese

Questo tipo di costruzioni ci suona un po’ strano, perché mai la quantità non deve stare vicino agli oggetti contati? Ma come vi dicevo all’inizio non dobbiamo pensare “ho 3 libri”, ma “ho dei libri, 3 unità”.

Un po’ di contatori

Adesso vi do l’elenco di alcuni contatori, i più comuni, quelli che facilmente avrete occasione di usare. Ogni contatore ha il suo kanji, ma ne riporto solo alcuni già noti e quello per �� [satsu] (ospite d’onore). In fondo alla lista, metterò le principali eccezioni:

� [tou] animali grandi�, [hiki] animali piccoli�� [sai] anni di et� [hai] bicchieri, tazze).� [chaku] capi di vestiario

- �.� [hyaku] centinaia< �� [satsu] libri, riviste (in generale, le cose stampate)

� [fun] minuti2� [mai] oggetti larghi e piatti (fogli, francobolli...)

5 =� [hon] oggetti lunghi e cilindrici (matite, alberi...)>� [dai] oggetti meccanici (automobili, biciclette...)� [ji] ore

? *� [nin] persone� [wa] uccelli piccoli (passeri, piccioni...)

Le persone hanno una grande particolarità, perché i primi due termini della serie somigliano alla serie giapponese:

�? ��: [hitori] una persona�? �: [futari] due persone�? ��*� [sannin] tre persone

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e poi continua regolarmente.

Il contatore 5 [hon] si comporta in modo simile a � [fun], ma fa eccezione anche l’8:

�5 ��@� [ippon] uno�5 ��A� [sanbon] tre�5 ��@� [roppon] sei#5 ��@� [happon] otto(5 ���@� [juppon] dieci

Ricordate che anche il contatore �.� [hyaku] ha le sue eccezioni per 3, 6 e 9.

La forma negativa degli aggettivi

Cambiamo completamente argomento, e torniamo alla nostra prima forma grammaticale “X � Y ��” [X wa Y desu]. L’avevamo posta al negativo solo nel caso in cui Y fosse un sostantivo. Se Y è un aggettivo, dobbiamo distinguere il tipo di aggettivo. Per adesso limitiamoci al tempo presente.

Per i na-aggettivi non c’è problema, si coniuga tranquillamente �� [desu] (ricordandosi di togliere -" [-na]):

BCDC�*E$F��9:20� [pātii wa nigiyaka dewa arimasen]il party non è animato

&'FG��,H���"� [kono kaban wa kirei dewa nai]

questa borsa non è bella (in forma piana)

Gli i-aggettivi devono essere declinati… ma non è difficile, si toglie la -� [-i] finale e la si sostituisce con -��� [-kunai]. Termina sempre con -� [-i], ed è come se avessimo formato un nuovo aggettivo con significato opposto:

I� [takai] alto I�"� [takakunai] non alto

9')�I�"��� [ano uchi wa takakunai desu]quella casa laggiù non è alta

���'J�K�"� [watashi no kuruma wa shirokunai]la mia macchina non è bianca (forma piana)

Forma passata degli aggettivi

Anche qui abbiamo lo stesso tipo di differenza. Per i na-aggettivi basta agire su �� [desu]:

0�0����0���� [sensei wa shinsetsu deshita]l’insegnante è stato gentile

L$��MF9:20���� [heya wa shizuka arimasen deshita]la stanza non era silenziosa

Per gli i-aggettivi c’è un’altra trasformazione: la -� [-i] finale diventa -��� [-katta]. Questa volta si perde la desinenza -� [-i], quindi se dobbiamo usare la forma negativa passata si fa prima il negativo e poi il passato:

2)�N,F���� [machi wa ookikatta desu]

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la città era grande

OH���P���"F���� [sore sushi wa oishikunakatta desu]quel sushi non era buono

Futsu-tai dei verbi

Ormai la forma grammaticale “X � Y ��” [X wa Y desu] sappiamo come trattarla al presente, al passato e al negativo, sia in futsu-tai sia in tenei-tai (magari sbirciando gli appunti ogni tanto). Ma per le frasi un po’ più complesse che contengono i verbi? Con la tenei-tai ce la possiamo cavare, perché abbiamo visto tutte le forme di -2� [-masu]. Andando sempre per gradi, vediamo come fare con il presente affermativo: si usa la jisho-kei, cioè non si coniuga il verbo…(si parla alla Tarzan):

QLR� [kawa e iku]vado al fiume

STU���V [kodomo wa hashiru]il bambino corre

Per il passato ed il negativo siate ancora pazienti… Però, considerando che ora potremo usare spesso la futsu-tai, cercheremo di farlo (l’avevo promesso sin dall’inizio). Quindi da questo momento cercherò di scrivere ogni esempio in entrambe le forme, prima la cortese, poi la piana:

,�WX!2�Y�2� [kitte o nana mai kaimasu],�WX!2�Y [kitte o nana mai kau]

compro sette francobolliSe non lo faccio ci possono essere due motivi: o ancora non abbiamo visto la forma piana, oppure mi sono scordata dei buoni propositi…��20� [sumimasen]!

Note

Per indicare la posizione (sopra, sotto, davanti, dietro…) i giapponesi usano dei sostantivi. La costruzione della frase è sempre dello stesso tipo: luogo [no] posizione [ni]:

��6'7* [tsukue no ue ni] sopra il tavolo��'Z* [isu no shita ni] sotto la sedia

La volta scorsa abbiamo detto che �� [ii] e �� [yoi] hanno lo stesso significato (buono, positivo). Ma �� [ii] è irregolare, non può essere coniugato. Quando serve, si usa �� [yoi]:

,'W�,���"F���� [kinō tenki wa yokunakatta desu]

,'W�,���"F�� [kinō tenki wa yokunakatta]

ieri il tempo era brutto

Vi ricordate le serie &-O-9-T [ko-so-a-do]? Abbiamo visto &' [kono] e &H [kore], prenome e pronome. Un’altra serie dello stesso tipo è relativa al luoghi, contraddistinta dal suffisso -& [-ko]:

&& [koko] qui, qua (vicino a chi parla)O& [soko] lì, là (vicino a chi ascolta)9O& [asoko] laggiù (lontano da tutti)T& [doko] dove (interrogativo)

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Ha una piccola irregolarità nel terzo termine, fate attenzione!

Kanji

N,� [ookii] grande. Non vi fa pensare ad un omone che se ne sta lì a braccia larghe per sembrare ancora più imponente?

Q [kawa] fiume. Continua la serie dei kanji pittografici, è l’acqua che scorre.

S [ko] bambino. Sempre per la stessa serie, abbiamo un bimbo con la testa grossa e gli arti sottili.

7 [ue] sopra. Questo è un kanji simbolico; in questo caso il simbolo è la bandierina orizzontale che marca la parte alta della figura.

Z [shita] sotto. Adesso la bandierina è in basso…

; [hi] sole. E’ un kanji pittografico e come spesso accade quello che nei nostri disegni è rotondo, ora è squadrato.

K� [shiroi] bianco. In basso si riconosce il sole, mentre il segno in alto, disegnato per primo, indica l’inizio: il tutto ci dovrebbe far pensare alla luce bianca dell’alba.

- [hyaku] cento, centinaia. Questo kanji è composto da due parti: in alto c’è � [ichi] per evidenziare che si parla di numeri, sotto c’è il kanji di bianco che tra le sue letture ne ha una molto simile a [hyaku].

< [satsu] contatore per libri. Rappresenta delle striscioline di bambù (usate una volta per scrivere), legate da una cordicella.

Tra i kanji che si usano per i numeri, i primi tre sono simbolici: � [ichi], � [ni] e � [san] rappresentano le dita estese nell’atto del contare. Tutti gli altri sono stati presi a prestito ed hanno perso il loro significato originario.

Vocaboli

9O& [asoko] laggiù (lontano da tutti)�� [isu] sedia7 [ue] sopraQ [kawa] fiume,' [kinō] ieri,�W [kitte] francobollo&& [koko] qui, qua (vicino a chi parla)�� [satsu] libri, riviste (in generale, le cose stampate) (contatore)Z [shita] sottoK� [shiroi] bianco (aggettivo)��20� [sumimasen] scusi, scusateO& [soko] lì, là (vicino a chi ascolta)>� [dai] oggetti meccanici (automobili, biciclette...) (contatore)).� [chaku] capi di vestiario (contatore)��6 [tsukue] tavoloW� [tenki] tempo atmosferico� [tou] animali grandi (contatore)

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T& [doko] dove (interrogativo)? [nin] persone (contatore)�� [hai] bicchieri, tazze (contatore); [hi] sole�, [hiki] animali piccoli (contatore)�? [hitori] una persona�.� [hyaku] cento, centinaia (contatore)�? [futari] due persone5 [hon] oggetti lunghi e cilindrici (matite, alberi...) (contatore)2� [mai] oggetti larghi e piatti (fogli, francobolli...) (contatore)� [wa] uccelli piccoli (passeri, piccioni...) (contatore)

© 2000 – 2002. Testo a cura di Anna Mumei, elaborato per il sito Giappone Giappone. Tutti i diritti sono riservati. E’ consentito l’utilizzo di questo documento esclusivamente a scopo educativo. E’ dunque vietata la riproduzione sia parziale che totale di tutto il documento, senza l’autorizzazione di Anna Mumei e di Alice Buda (rispettivamente autrice del testo e detentrice dei diritti per il sito Giappone Giappone).

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POTERE, VOLERE E PIACERETorniamo a parlare di verbi e, a parte qualche altro uso della masu-kei, cerchiamo di studiare questi tre: potere, volere e piacere. La prima cosa importante da dire è che non c’è una corrispondenza delle forme grammaticali tra italiano e giapponese: dei tre, solo potere è un verbo anche in giapponese, piacere si traduce con un aggettivo e volere con una particolare declinazione del verbo o un aggettivo.

Potere

Noi usiamo il verbo potere con più significati: a volte proprio per esprimere una capacità, una possibilità (“posso correre i 100 metri in meno di 10 secondi”, “domani devo studiare e non posso venire al cinema”), altre volte per chiedere o dare un permesso (“ho caldo, posso aprire la finestra?”). Per ora limitiamoci al primo caso, che in giapponese è reso dal verbo ��� [dekiru]. Useremo questo verbo anche per tradurre frasi del tipo “Gianni sa nuotare” o “io non conosco il turco”, perché si tratta sempre di capacità.

La nostra frase sarà del tipo “X � Y ����” [X wa Y ga dekiru], dove X è chi sa fare la cosa Y. L’argomento della frase è X, è di lui che stiamo parlando, ma il soggetto è ciò che può fare, cioè Y. Per la grammatica giapponese questo Y può essere solo un sostantivo, quindi potremo dire:

������ ������ [Tanaka san wa itariago ga dekimasu]

������ ����� [Tanaka san wa itariago ga dekiru]

Tanaka sa l’italiano

������������ [Junko wa ongaku ga dekimasu]

����������� [Junko wa ongaku ga dekiru]

Junko conosce la musica

E se vogliamo usare un verbo? Dobbiamo trasformarlo, aggiungendo alla sua ����� [jishokei] la parola �� [koto] che vuole dire “cosa, oggetto”:

�� [iku] andare ���� [iku koto] l’azione andare��� [oyogu] nuotare ����� [oyogu koto] l’azione nuotare

Adesso possiamo sbizzarrirci:

���� !�"#�������$ [watashi wa nihongo o hanasu koto ga dekimasen]

io non so parlare il giapponese

�%&'��(��������$��� [kinō eiga e iku koto ga dekimasen deshita]

ieri non siamo potuti andare al cinema

)%������������� [kanojo wa oyogu koto ga dekimasu]

)%������������ [kanojo wa oyogu koto ga dekiru]

lei sa nuotare

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Vi ricordate il verbo �� [suru]? E’ uno dei due verbi del terzo gruppo e serve a comporre molti altri verbi, come il nostro fare:

*��&�� [benkyō suru] studiare&+�� [unten suru] guidare (una macchina),�-%�� [kaimono suru] fare spese$���� [sentaku suru] fare il bucato

Si tratta di verbi composti da un sostantivo e dal verbo �� [suru]; se vogliamo renderli sostantivi per usarli con ��� [dekiru], basta togliere �� [suru]:

./� � &+ � ���$0 12 � ��� [Michiko wa unten ga dekimasen. Basu de kimasu]

Michiko non sa guidare. Viene in autobus

Piacere

Questo verbo non esiste in giapponese, ma si usano dei na-aggettivi, che potremmo tradurre “piacevole” e “non piacevole”:

��3 [sukina] piacevole�4�3 [kiraina] non piacevole

La costruzione della frase è simile a quella vista per potere: “X � Y � …” [X wa Y ga …], dove Y è ciò che piace (o non piace) ed X la persona che prova questa sensazione. E’ come se dicessimo “per X, Y è piacevole (o non piacevole)”:

53��63)7�����) [anata wa donna kaban ga suki desu ka]

53��63)7���8) [anata wa donna kaban ga suki da ka]

che tipo di borsa ti piace?

�����%!��4��� [watashi wa kono hon ga kirai desu]

�����%!��4�8 [watashi wa kono hon ga kirai da]

questo libro non mi piace

Se poi ci piace mangiare, guardare un film, correre o fare qualunque altra cosa espressa da un verbo, il trucco è sempre lo stesso: usare �� [koto] per i verbi semplici e togliere �� [suru] dai verbi composti:

�9������� [yomu koto ga suki desu]

�9�����8 [yomu koto ga suki da]

mi piace leggere

):�&+��4���� [kare wa unten ga kirai deshita]

):�&+��4�8;� [kare wa unten ga kirai datta]

non gli piaceva guidare

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Per dire che qualcosa ci piace molto, rafforzando la nostra frase, abbiamo due scelte: usare l’avverbio ��� [totemo] (molto):

<=2��+-����� [tenisu ga totemo suki deshita]

<=2��+-��8;� [tenisu ga totemo suki datta]

il tennis mi piaceva molto

oppure una forma rafforzata dell’aggettivo, �� [daisukina]:

!��>���� [nihongo ga daisuki desu]

!��>��8 [nihongo ga daisuki da]

la lingua giapponese mi piace molto

Volere (con i sostantivi)

Anche volere ha più di un significato per noi: esprime una volontà, un desiderio, oppure (in frasi interrogative) un invito, come “vogliamo andare al cinema?”. Al momento limitiamoci al primo caso. Per tradurre volere dobbiamo distinguere se ciò che vogliamo è proprio un oggetto o un’azione. Se l’oggetto del desiderio è un sostantivo (“voglio una mela”), il nostro volere si rende con l’i-aggettivo �� [hoshii], che potremmo tradurre con desiderabile, e la frase si forma come le precedenti: “X � Y �?����” [X wa Y ga hoshii desu], cioè “X vuole Y”:

����@��?���� [watashi wa ringo ga hoshii desu]

����@��?�� [watashi wa ringo ga hoshii]

io voglio una mela

5%A�?��3);��� [ano kuruma ga hoshikunakatta desu]

5%A�?��3);� [ano kuruma ga hoshikunakatta]

non volevo quella macchina

Volere (con i verbi)

Se desideriamo fare qualcosa (“voglio mangiare”, “voglio andare al cinema”) abbiamo a disposizione un verbo ausiliario -� [-tai] che si comporta come un i-aggettivo. Questo -�� [-tai] va aggiunto al verbo in masu-kei:

����'��"B���� [watashi wa eiga o mitai desu]

����'��"B�� [watashi wa eiga o mitai]

voglio vedere il film

�%CDEF"G�����) [kono rek do o kikitai desu ka]

�%CDEF"G���? [kono rek do o kikitai?]

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vuoi ascoltare questo disco?

�/H"%.��3);��� [ocha o nomitakunakatta desu]

�/H"%.��3);� [ocha o nomitakunakatta]

non voleva bere il te

I numeri oltre il mille

La volta scorsa siamo arrivati a contare fino a 999, ora andiamo avanti. Anche per le migliaia abbiamo delle variazioni eufoniche:

1.000 I $ [sen]3.000 JI �K [sanzen]8.000 LI �;$ [hassen]

ma fino a 9.999 non ci sono altre regole da conoscere:

1.703 IMNJ $33OH�� [sen nanahyaku san]3.456 JIPNQRS �K�OH����&T� [sanzen yohyaku gojū roku]

Quando le cifre aumentano bisogna applicare un modo particolare di dividere il numero. In Italia dividiamo i numeri grandi in gruppetti di 3 cifre (usando un punto per separarle). In Giappone invece si separa a gruppi di 4 cifre:

in Italia in Giappone

56mila 423 56.423 5.6423

128mila 500 128.500 12.8500

2milioni 745mila 2.745.000 274.5000

37milioni 250mila 600 37.250.600 3725.0600

125 milioni 125.000.000 1.2500.0000

Ricordando che 10.000 (o 1.0000 scritto alla giapponese) è � [man] possiamo comporre i numeri formati da due gruppi di cifre inserendo U [man] al posto del separatore:

56.423 5.6423 QUSIPNVRJ [go man roku sen yo hyaku ni jū san]128.500 12.8500 RVULIQN [jū ni man hassen go hyaku]2.745.000 274.5000 VNMRPUQI [ni hyaku nana j yo man go sen]37.250.600 3725.0600

JIMNVRQUSN [sanzen nana hyaku ni j go man roppyaku]

Per l’ultimo numero (che ha tre gruppi di cifre) dobbiamo usare un nuovo termine �� [oku] che corrisponde a 100 milioni (cioè 10mila per 10mila). Questo �� [oku] va inserito al giusto posto:

125.000.000 1.2500.0000 W��VIQNU [ichi oku ni sen go hyaku man]

Data

I giapponesi esprimono la data come anno, mese e giorno, facendo seguire ogni numero dal relativo contatore:

X Y [nen] anno

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Z �[ [gatsu] mese ) [ka], \/ [nichi] giorno

Lo sbarco sulla luna è avvenuto il 1968 X 7 Z 14 . Scrivere una data è piuttosto facile, leggerla un po’ meno. Per l’anno non c’è problema, si legge il numero e poi il contatore Y [nen]. Anche il mese è facile: numero e contatore �[ [gatsu]. Infatti i mesi non hanno un nome vero e proprio, sono solo contati:

WZ �/�[ [ichi gatsu] gennaioVZ \�[ [ni gatsu] febbraioJZ ��[ [san gatsu] marzo

e così via.

Per il giorno, le cose si complicano un pochino. I primi dieci giorni seguono una loro numerazione, che ricorda la serie dei numeri giapponesi, poi si passa a quella cinese seguita da \/ [nichi], tranne qualche eccezione: il 22 del mese è VRV \/ [nij ni nichi]; mentre il 17 è RM \/[j shichi nichi]. Comunque ecco la litania delle date particolari:

1 W [��/ [tsuitachi]2 V ][) [futsuka]3 J .;) [mikka]4 P �;) [yokka]5 Q �[) [itsuka]6 S 9�) [muika]7 M 3%) [nanoka]8 L �&) [y ka]9 ^ ��%) [kokonoka]10 R �&) [t ka]14 RP ���;) [j yokka]20 VR �[) [hatsuka]24 VRP \��&�;) [nij yokka]

Il motivo di queste particolarità? E’ storico, nell’antichità giorno si diceva ) [ka].

Moto con scopo

Con potere, volere e piacere possiamo comporre delle frasi un po’ più articolate rispetto a quanto fatto finora. Ci sono però molti altri casi in cui in italiano si usano due verbi contemporaneamente e in giapponese non riusciremmo a cavarcela. Vediamo adesso uno dei più semplici, un verbo di movimento con uno scopo, per esempio “vado al ristorante per mangiare”. La prima parte non ci crea problemi: “C2_`a ( ���� (��) [resutoran e ikimasu (iku)]”. Ma poi? Per indicare lo scopo per il quale ci siamo mossi, si usa la masu-kei seguita dalla posposizione \ [ni]:

C2_`a(�*\����[resutoran e tabe ni kimashita]

è venuto al ristorante per mangiare

�;�&( !�"bc\��� [gakkō e nihongo o manabi ni ikimasu]

�;�&( !�"bc\�� [gakkō e nihongo o manabi ni iku]

vado a scuola per imparare il giapponese

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Invito

Prima ho detto che una frase del tipo “Vogliamo andare al cinema?” (intesa come invito, sollecitazione) non si può tradurre col verbo volere, però vi posso subito dire come si fa. Basta usare la masu-kei interrogativa negativa, per essere più semplici -�$ ) [-masen ka]. Questa forma è valida per tutti gli inviti, anche se non sempre in italiano usiamo il verbo volere:

�7�'��(���$) [konban wa eiga e ikimasen ka]

vogliamo andare al cinema stasera?

�deE"�c�$) [takushii o yobimasen ka]

chiamiamo un taxi?

��"�*\���$) [sushi o tabe ni ikemasen ka]

andiamo a mangiare del sushi?

Note

Gli aggettivi ��3 [sukina] e �4�3 [kiraina] possono essere usati anche al negativo:

*��&�����5@�$ [benkyō ga suki dewa arimasen]

*��&�����3� [benkyō ga suki dewa nai]

non mi piace studiare

ma è bene impararli entrambi.

In uno degli esempi è comparso 63 [donna]. E’ l’ultimo termine di un’altra serie �-f-5-6 [ko-so-a-do], quella relativa al tipo:

�3 [konna] questo tipof3 [sonna] codesto tipo53 [anna] quel tipo63 [donna] quale tipo?

Stiamo quasi per completare il ciclo, ecco un altro gruppo, che parla di direzioni:

�/4 [kochira] questa direzione, da questa partef/4 [sochira] quella direzione5/4 [achira] quella direzione laggiù6/4 [dochira] quale direzione?

Quest’ultimo termine l’avevamo già incontrato come sostituto di 6% [dono] quando si trattava di scegliere tra due cose o persone, di essere di fronte ad un bivio. L’intera serie è anche usata al posto delle serie �: [kore] e �� [koko], soprattutto dai commessi e da chi ha, per lavoro, relazioni col pubblico.

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Il volere è qualche cosa di personale, un sentimento privato. Secondo i giapponesi noi non possiamo sapere che cosa vogliono gli altri, ma soltanto ciò che noi stessi desideriamo: non si può dire “Giovanni vuole…”, perché solo lui sa quello che vuole. Per questo motivo il verbo volere, sia nella forma ?�� [hoshii] sia nella -�� [-tai], non può essere usato liberamente. Se è al presente, solo in prima persona per le frasi affermative o negative, in seconda nelle interrogative. Al passato c’è più libertà, si può tranquillamente affermare “Luca voleva…”, perché si suppone che nel frattempo Luca ci abbia espresso chiaramente il suo pensiero. Altrimenti bisogna accontentarsi di perifrasi (“Sembra che Luca voglia…”) oppure di discorsi indiretti (“Luca mi ha detto che vuole…”).

La stessa cosa vale per tutte quelle espressioni che descrivono uno stato d’animo: essere felici, tristi, contenti, depressi…

Anche se forse non è proprio corretto dirlo, usando -�� [-tai] trasformiamo un verbo in un aggettivo (i- aggettivo, per la precisione). E’ una regoletta semplice, che ci aiuterà a formare le frasi al negativo ed al passato.

Una piccola osservazione su tenei-tai e futsu-tai: la differenza tra -�� �� [-tai desu] e -�� [-tai] è molto simile a quella che c’è in italiano tra l’uso di “vorrei” e “voglio” per esprimere un nostro desiderio. In molti casi il significato è lo stesso, ma lo stile no. Al collega posso dire “oggi voglio uscire un’ora prima”, ma al capo ufficio è meglio dire “oggi vorrei uscire un’ora prima”.

Anche sulle date ci sono delle preferenze nell’uso dei numeri: se un giorno termina con 9 solitamente si usa � [ku] e se termina col 7, �/ [shichi].

Per indicare l'ultimo giorno di un mese si usa anche .f) [misoka]. Per l'ultimo giorno dell'anno c’è >.f) [oomisoka], perché in qualche modo è il più grande ed importante fra tutti i .f)[misoka].

La frase “vado a mangiare” in giapponese diventa “mangiare a vado”. E’ uno dei tanti casi in cui per avere l’ordine esatto delle parole bisogna fare il contrario di ciò cui siamo abituati…

Kanji

Alcuni kanji sono composti da due parti: una definisce il significato generale, l’argomento cui ci si riferisce, l’altra dà (o dovrebbe dare) un’indicazione sulla lettura del kanji. Un esempio di questo tipo l’abbiamo visto la volta scorsa, N [hyaku]. Questa volta c’è I [sen], per il quale l’indicazione per la pronuncia è decisamente oscura.

[ka, nichi] giorno. Questo kanji l’abbiamo già incontrato col significato di sole, ed il sole scandisce lo scorrere dei giorni. Cambiano le letture: O [hi] e ) [ka] sono i termini originari giapponesi, mentre =g [nichi] è la lettura cinese importata insieme al kanji.

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I [sen] mille, migliaia. Questo kanji è composto da due parti: in basso c’è R [jū] per evidenziare che si parla di numeri, sopra c’è un segno che indica la variazione di pronuncia.

U [man] diecimila. E’ semplicemente un prestito, come molti degli altri kanji relativi ai numeri.

> [dai] è solo una nuova lettura dello stesso kanji che abbiamo visto in >�� [ookii]. Si tratta della lettura cinese, h [dai], mentre �� [oo] è quella giapponese.

bi [manabu]imparare. Se guardate bene, vedrete un bambino con un cappellino in testa. E’ il cappello della divisa, sta andando a scuola ad imparare.

j [shita] lingua. In basso c’è il quadratino che rappresenta la bocca e sopra la lingua che guizza fuori.

#� [hanasu] parlare. Questo kanji è formato da altri due: a sinistra c’è quello di k& [iu], dire, a destra quello di j [shita], lingua: dire con la lingua, parlare. Attenti però, non si tratta più di due kanji, ma sono uniti per formarne uno solo.

Z [gatsu] mese, luna. E’ un kanji pittografico, che rappresenta uno spicchio di luna. Per estensione è passato ad indicare il mese.

X [nen] anno.

Vocaboli5/4 [achira] quella direzione laggiù53 [anna] quel tipo&+ [unten] guida (dell’auto)&+�� [unten suru] guidare (un’auto)>.f) [oomisoka] ultimo giorno dell’anno�� [oku] 100 milioni�/H [ocha] te��� [oyogu] nuotare [ka] contatore per giorno,�-% [kaimono] spese, shopping,�-%�� [kaimono suru] fare speseZ [gatsu] mese, luna�4�3 [kiraina] non piacevole�/4 [kochira] questa direzione, da questa parte�3 [konna] questo tipo�7 [konban] stasera��3 [sukina] piacevoleI [sen] mille$�� [sentaku] bucato, lavaggio$���� [sentaku suru] fare il bucatof/4 [sochira] quella direzionef3 [sonna] codesto tipo>��3 [daisukina] molto piacevole�deE [takushii] taxi��� [dekiru] potere6/4 [dochira] quale direzione?

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�+- [totemo] molto63 [donna] quale tipo?X [nen] anno [nichi] giorno12 [basu] autobus (dall’inglese bus)?�� [hoshii] desiderabilebi [manabu] imparareU [man] diecimila.f) [misoka] ultimo giorno del meseCDEF [rek do] disco (dall’inglese record)C2_`a [resutoran] ristorante (dall’inglese)�i [yobu] chiamare (un taxi)

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VERBI: TE-KEIContinuiamo con i verbi, ma affrontiamo una nuova forma, la te-kei. Ci servirà a costruire molti nuovi tipi di frasi: chiedere un favore (per piacere, passami il libro), chiedere o dare un permesso (posso aprire la finestra?), fare un elenco di azioni (ho studiato, cenato e sono andato al cinema), legare tra loro due frasi collegate dall’avverbio dopo (dopo mangiato, mi lavo i denti)… e tante altre cose. Andremo però avanti con un po’ di pazienza per non fare troppa confusione e ne approfitterò per inserire qualche altra cosa, che non merita un capitolo tutto per sé.

Se vi ricordate la masu-kei non termina con �� [masu], questo è solo un suffisso. Invece la te-kei termina proprio in � [te] (o � [de] in qualche caso), non ha bisogno di alcun suffisso. Personalmente questa differenza mi ha creato qualche problema inizialmente, perché ancora non avevo studiato usi della masu-kei senza il suffisso �� [masu] (o ai suoi equivalenti al passato e al negativo). La te-kei invece va sempre usata in maniera granitica (nel senso che non si può mai togliere il � [te], o � [de]).

Te-kei

Per coniugare bene i verbi, bisogna sempre tenere presente il gruppo cui appartengono. In ogni caso la sillaba finale cade e la si sostituisce con qualcos’altro.

Il I gruppo è il più difficile, perché a sua volta si suddivide in tanti sottogruppi, sempre secondo la sillaba finale:

• -� [-ku] -�� [-ite]• -� [-gu] -�� [-ide]• -�, -, - [-mu, -nu, -bu] -�� [-nde]• -�, - , -� [-ru, -tsu, -u] -�� [-tte]• -� [-su] -�� [-shite]

Facciamo subito qualche esempio:

ascoltare �� [kiku] ��� [kiite]nuotare ��� [oyogu] ���� [oyoide]leggere �� [yomu] ��� [yonde]morire � [shinu] ��� [shinde]divertirsi �� [asobu] ���� [asonde]diventare �� [naru] ��� [natte]aspettare � [matsu] ��� [matte]incontrare �� [au] ��� [atte]parlare �� [hanasu] ��� [hanashite]

A questa regola c’è una grossa eccezione, che bisogna imparare a memoria:

andare �� [iku] ��� [itte]

poiché è l’unica irregolarità del verbo �� [iku], è molto meglio continuare a considerarlo di I gruppo, piuttosto che spostarlo al III.

Il II gruppo si coniuga semplicemente eliminando -� [-ru] ed aggiungendo -� [-te]:

mangiare ��� [taberu] ��� [tabete]guardare �� [miru] �� [mite]

e i verbi di III gruppo si coniugano a modo loro:

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fare �� [suru] �� [shite]venire �� [kuru] �� [kite]

Chiedere un favore

Quando chiediamo qualcosa, possiamo limitarci a nominare l’oggetto che desideriamo (un giornale, per favore) oppure costruire una frase completa, con un verbo (vieni qua, per piacere). In entrambi i casi un giapponese può usare il termine ���� [kudasai], che corrisponde grosso modo ai nostri “per favore”, “per piacere”.

Richiedere direttamente un oggetto è molto semplice, basta ricordarsi di infilare la particella � [o] tra ciò che vogliamo e la “parolina magica” � !� [kudasai]:

����� !� [shinbun o kudasai] un giornale, per favore����"��� !� [kitte o j mai kudasai] 10 francobolli, per piacere

Se invece utilizziamo un verbo, lo dobbiamo coniugare con la te-kei ed aggiungere � !�[kudasai]:

��� !� [mite kudasai] per favore, guardi#$�%���&!� [chotto matte kudasai] aspetti un attimo, per favore

V-� ��� [V-te imasu]

Questa è una delle costruzioni più famose, e utili, che si possono formare con un verbo in te-kei(con V-te ho semplicemente voluto indicare un verbo V coniugato in te-kei). La parte finale ���[imasu] viene dal verbo �� [iru], esserci. Se vogliamo utilizzare la stessa costruzione in futsu-tai, ��� [imasu] dovrà essere sostituito da �� [iru].

Questa te-kei in alcuni casi esprime il nostro gerundio, o la forma in -ing degli inglesi, perché esprime qualcosa che si sta facendo in un preciso momento:

'()*������� [ima kono hon o yonde imasu]

'()*������ [ima kono hon o yonde iru]

adesso sto leggendo questo libro

+,!� � ����- ./0 � 1�� ���� [Tanaka san o mimashita. Kamera o katte imashita]

ho visto Tanaka. Stava comprando una macchina fotografica.

E’ bene dedicare qualche altra parola all’uso di questa forma, per affrontare tranquillamente quelli che possono sembrare degli strani usi. Facciamo questi semplici esempi:

2������ [niku o tabemasu]

2����� [niku o taberu]

mangio la carne

3������� [niku o tabete imasu]

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3������ [niku o tabete iru]

sto mangiando la carne

Banale vero? Però riflettiamo. Con la prima frase diciamo che in genere, o ogni tanto, mangiamo della carne, non siamo vegetariani; con la seconda frase che ora mangiamo carne, cioè parliamo di un’azione che è iniziata nel passato e sta continuando. Quest’idea di azione continuativa è quella che sta alla base della forma V-���� [V-te imasu]. Spesso coincide col nostro gerundio, ma non sempre.

Verbi continuativi

Prendiamo il verbo abitare (in giapponese �� [sumu]). Questa è sicuramente un’azione continuativa, ma noi non diciamo mai “sto abitando a Roma”, tutt’al più diremo “in questo momento abito a Roma” se vogliamo sottolineare che casa nostra è da un’altra parte. I giapponesi invece usano la forma progressiva e quindi diranno:

4562������ [R ma ni sunde imasu]

4562����� [R ma ni sunde iru]

abito a Roma

questo perché l’abitare è un’azione che è iniziata nel passato, ma continua nel presente. Allo stesso modo si comportano altri verbi come 7�(� �� [kekkon suru], essere sposati, e ��[shiru], sapere, perché si riferiscono a cose che una volta accadute non cambiano stato (almeno non troppo facilmente).

I verbi che esprimono azioni di questo tipo si chiamano continuativi ed hanno anche altre particolarità, che scopriremo strada facendo.

Alcuni verbi continuativi si prestano ad un doppio uso della forma V-� ��� [V-te imasu].Possono essere tradotti in entrambe le maniere secondo il contesto:

'8�9����� [ima hataraite imasu]

'8�9���� [ima hataraite iru]

sto lavorando (presente progressivo)

:�(�� 8�9����� [gakkō de hataraite imasu]

:�(�� 8�9���� [gakkō de hataraite iru]

lavoro nella scuola (azione continuativa)

Verbi momentanei

All’estremo opposto dei verbi continuativi, abbiamo i verbi momentanei, per i quali l’azione si svolge in un istante. Sarà triste, ma l’esempio classico di questa categoria è � [shinu], morire. Il momento della morte è ben preciso, un attimo prima si è vivi, un attimo dopo no. E’ vero che noi usiamo l’espressione ”sta morendo”, ma in quel momento la persona è in realtà viva. Per i verbi momentanei non si può usare la forma V-���� [V-te imasu].

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Per il momento l’importante è rendersi conto che nella grammatica giapponese esistono delle classificazioni che ci suonano estranee, come questa separazione tra verbi momentanei e continuativi; poi, piano piano, impareremo a tenerne conto.

Un altro verbo particolare: � [motsu]

Anche il verbo � [motsu], prendere, è particolare perché dal momento che ho preso qualcosa, se continuo a tenermelo (azione continuativa! si usa la te-kei), questo oggetto è mio:

;!�<����� [kasa o motte imasu]

;!�<���� [kasa o motte iru]

ho un ombrello

con questa frase si intende che ho un ombrello qui con me, lo possiedo in questo istante (non che sta a casa e quindi ora rischio di bagnarmi). Per affermare di avere un ombrello in senso assoluto (senza sindacare se ce l’ho qui con me o se si trova da qualche altra parte) si usa il verbo ��[aru], che già conoscete.

La congiunzione e

Può sembrare esagerato un intero capitoletto per una parolina così semplice, ma non esauriremo neanche l’argomento.

Prima di tutto consideriamo il caso di un elenco di sostantivi, per esempio “ho mangiato mele e banane”. Noi capiamo dall’intonazione se i frutti mangiati sono solo questi o se ce ne sono anche altri (a volte, soprattutto scrivendo, usiamo eccetera o i puntini di sospensione). Ma i giapponesi non usano molto l’intonazione della voce; ecco la necessità di due congiunzioni % [to] per elenchi completi e = [ya] per gli altri:

>�?%@AA������� [ringo to banana o tabete imasu]

>�?%@AA������ [ringo to banana o tabete iru]

sto mangiando mele e banane (e niente altro)

>�?=@AA������� [ringo ya banana o tabete imasu]

>�?=@AA������ [ringo ya banana o tabete iru]

sto mangiando mele, banane…

Volendo inserire eccetera, metteremo � [nado] dopo l’ultimo termine dell’elenco:

%>3 = ��? = � <) �B : �� �� [toriniku ya tamago ya kudamono nado ga suki desu]

%>3=��?=� <)�B:�� [toriniku ya tamago ya kudamono nado ga suki da]

mi piacciono pollo, uova, frutta, eccetera eccetera

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Devo ricordarvi che questo vale solo per i sostantivi (eventualmente preceduti da aggettivi o prenomi), non per elencare aggettivi (la bandiera è rossa, bianca e verde) e tantomeno verbi o per legare due frasi.

Uniamo due frasi

Noi formiamo molto spesso dei lunghi periodi, con frasi che si intrecciano l’un con l’altra, separate dalle virgole e legate da qualche congiunzione. Nella lingua giapponese questo è più difficile e troverete spesso delle frasi brevi, composte da un piccolo numero di elementi. Questo non vuol dire però che le congiunzioni siano assenti. Adesso è venuto il momento di vederne un paio, per poter iniziare a fare delle frasi più articolate.

La prima è � � [soshite], che si usa dopo il punto, per collegarsi a quanto detto prima, aggiungere informazioni:

+,!� 8 ��C � D ��- ��� E�� ) %< # �� [Tanakasan wa shinsetsuna hito desu. Soshite watashi no tomodachi desu]

+,!�8��C �D -���E�� )%< # [Tanakasan wa shinsetsuna hito da. Soshite watashi no tomodachi da]

Tanaka è una persona gentile. Ed è mio amico

Non c’è un modo univoco per tradurre ��� [soshite]. Vanno bene e, inoltre, poi…

Se la nuova informazione che diamo, è in qualche modo in contrasto con la precedente, useremo solo una virgola per separare le frasi e la congiunzione � [ga], ma attenti all’ordine (prima la congiunzione, poi la virgola):

��9��F:�>��:G����:���C� [atarashii kuruma ga arimasu ga, unten ga dekimasen]

ha una macchina nuova, ma non sa guidare

La stessa particella si usa per indicare un’esitazione nel parlare, quella che per noi potrebbe essere una breve pausa:

�H�C� :G() I�: � � 2 ������ �� [sumimasen ga, kono eiga o mi ni ikitakunai desu]

�H�C�:G()I�:��2������ [sumimasen ga, kono eiga o mi ni ikitakunai]

scusa, non voglio andare a vedere questo film

Note

Abbiamo visto che il verbo �� [iku] è un clandestino nel I gruppo, perché ha una forma irregolare. Dobbiamo temere il crollo di questa bella idea di due soli verbi irregolari? Parrebbe di sì, in poco tempo ne abbiamo trovato un altro… No, tranquilli! E’ vero che troveremo un’altra grossa irregolarità e guarda caso ancora una volta per un verbo molto usato (�� [aru], per i curiosi), ma sarà sempre ristretto ad una forma particolare. Noi italiani, pieni di verbi irregolari, in questo campo non abbiamo diritto al mugugno.

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Per richiedere un oggetto gentilmente, c’è anche un’altra forma, che è considerata leggermente più cortese; si tratta semplicemente di sostituire & ! � [kudasai] con � J : � � � �[onegaishimasu]:

KL��J:���� [pen o onegaishimasu]

una penna per piacere

Il termine �J:���� [onegaishimasu] è la masu-kei di �J:� �� [onegai suru], fare una preghiera; per essere ancora più precisi, la � [o] iniziale è il prefisso onorifico.

A volte in questa espressione si omette la posposizione � [o].

Ci sono dei casi in cui bisogna usare questa forma, non quella con &!� [kudasai]. Il primo caso è quando cerchiamo qualcuno al telefono

+,!��J:���� [Tanakasan onegaishimasu]

C’è Tanaka? Posso parlare con Tanaka, per favore?

Un altro caso è quando stiamo chiedendo un servizio, più che un oggetto vero e proprio:

MNI����J:���� [Tōkyō eki made onegaishimasu]

alla stazione di Tokyo, per favore (ad un tassista, per esempio)

��E�J:���� [denwa onegaishimasu]

un telefono, per piacere (se non vogliamo comprarlo, ma solo utilizzarlo).

Come avete visto da qualche esempio, la costruzione V-� ��� [V-te imasu] può essere anche coniugata al passato come V-� ���� [V-te imashita], o al negativo come V-� ��C� [V-te imasen] o V-���C���� [V-te imasen deshita]. Il tempo della frase non è determinato dalla te-kei (che di per sé è priva di un tempo proprio) ma dal verbo �� [iru]

Il verbo �� [shiru], che vuol dire conoscere, sapere, ha un comportamento che può sembrare strano (oltre al fatto che è di I gruppo). In forma affermativa va coniugato in te-kei, perché il sapere è un’azione che dura nel tempo:

+,!�)��EO�?������� [Tanaka san no denwa bango o shitte imasu]

+,!�)��EO�?������ [Tanaka san no denwa bango o shitte iru]

so il numero di telefono di Tanaka

ma al negativo c’è un cambiamento:

+,!�)��EO�?��>�C� [Tanaka san no denwa bango o shirimasen]

non conosco il numero di telefono di Tanaka

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Il “non sapere” non è continuativo, perché tra un attimo qualcuno potrebbe dirmi questo numero di telefono, non sono destinato a vivere nell’ignoranza.

Lo stesso comportamento lo ha anche il verbo P� [sumu], abitare.

Anche l’uso della punteggiatura è diverso tra italiano e giapponese… Prima di tutto, loro sono molto più poveri di noi: hanno solo la virgola (G) ed il punto (-), un po’ diversi graficamente. Dopo la seconda guerra mondiale hanno cominciato ad utilizzare anche punto esclamativo (!) ed interrogativo (?), ma sono acquisizioni dalle lingue estere, come i tanti vocaboli importati dall’inglese.

Non ci sono grandi differenze nell’uso del punto, ma la virgola ha solo il compito di rappresentare una breve pausa nel discorso, un’esitazione. Non la si può utilizzare per racchiudere un inciso o separare i veri termini di un elenco.

Kanji

&!� [kudasai] per favore. E’ una nuova lettura di un kanji già visto: �� [shita] per dire sotto. Sono entrambe letture kun, cioè giapponesi.

3 [niku] carne. Rappresenta una fetta di carne con le nervature. Per vederlo meglio dovete provare a disegnarlo: si fa prima la linea verticale a sinistra, poi quella in alto, scendendo verso il basso (e questo rettangolo aperto è la fetta di carne vera e propria); per concludere si tracciano gli altri tratti che rappresentano le nervature.

�� [yomu] leggere. La prima parte già la conoscete, indica la parola. La seconda, come kanji a sé stante, indica la vendita. Per vendere le proprie parole bisogna farle leggere.

�� [au] incontrare. La parte più in alto rappresenta un coperchio, quella sotto un vaso. I due pezzi sono fatti per combaciare, incontrarsi.

' [ima] adesso. Non so darvi alcuna spiegazione per questo kanji, ma è facile da scrivere e ricordare. La parte superiore è la stessa di �, che compone il verbo �� [au], ma non so dirvi altro.

P� [sumu] abitare. La parte a sinistra rappresenta un uomo, quella a destra il padrone: ognuno è padrone a casa propria, cioè dove abita.

M è un kanji pittografico, composto da altri due che già conosciamo: c’è il sole Q che sorge da dietro un albero R. Il significato è quello di est, in giapponese S:�[higashi].

N anche questo è pittografico: in alto c’è un edificio ricoperto da un tetto che sorge su un terreno elevato: una capitale. Quindi Tokyo significa letteralmente capitale dell’est.

Vocaboli�� [au] incontrare��9�� [atarashii] nuovo�� [asobu] divertirsi' [ima] adesso, in questo momento

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I� [eki] stazione�J:� [onegai] preghiera, richiesta�J:��� [onegai suru] pregare, chiedere cortesemente: [ga] ma (per unire due frasi)&!� [kudasai] per piacere, per favore� <) [kudamono] frutta�� [shiru] (I gruppo) sapere, conoscere� [shinu] morireP� [sumu] abitare��� [soshite] e, poi inoltre (per unire due frasi)��? [tamago] uovo% [to] e (per elenchi completi)MN [T ky ] Tokyo#$�% [chotto] attimo, momento%>3 [toriniku] carne di pollo��E [denwa] telefono��EO�? [denwa bango] numero di telefono�B [nado] eccetera�� [naru] diventare3 [niku] carne8�9� [hataraku] lavorareM [higashi] est�� [made] fino a (posposizione)= [ya] e (per elenchi incompleti)456 [R ma] Roma

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SCUSI, DOV’E’ LA STAZIONE?Lasciamo un po’ da parte la grammatica, i verbi, gli aggettivi… voliamo a Kyoto o Tokyo o Hiroshima (ognuno può andare dove più desidera, purché sia in Giappone) e proviamo a muoverci per le strade della città, a prendere un autobus, a chiedere qualche informazione. Ci mancano sicuramente i termini, ma le regole di base le abbiamo tutte: sappiamo fare le domande, chiedere un favore, dire che cosa ci piace o non ci piace…

Richiamare l’attenzione

Questa è probabilmente la prima cosa da fare, soprattutto se stiamo in mezzo alla strada. E’ vero che molti giapponesi offrono il loro aiuto quando vedono uno straniero in difficoltà, ma se dovesse servire dobbiamo sapere come bloccare qualcuno. Ci sono molti modi e ci accontentiamo di vederne qualcuno, da quelli formali a quelli via via un po’ più sciolti, amichevoli:

��������… [ano, shitsurei desu ga]Ehm, mi scusi...

(�� �)���� [(chotto) sumimasen]Scusi (un attimo)

����� � [ano, chotto...]Ehm, un attimo…

�� [ano...]Ehm…

Dov’è la stazione?

Ora che abbiamo richiamato l’attenzione, possiamo formulare la nostra richiesta. Per una frase di questo tipo non dovremmo avere problemi, anzi sappiamo dirla in almeno due modi:

������� [eki wa doko desu ka]���������� [eki wa doko ni arimasu ka]

dov’è la stazione?…il problema può essere capire la risposta. Se ci capitasse questo, basterà chiedere al povero passante di ripeterci quello che ha appena detto:

���� (� ��) !"#� [m ichido (yukkuri) itte kudasai]per favore, lo dica ancora una volta (lentamente)

Al semaforo giri a sinistra…

Adesso cerchiamo di interpretare la risposta, che potrebbe essere di questo tipo:

�� �� $ � % & !� �' � ��(� $ �' � � ! "#� [kono michi o massugu itte, tsugi no shing o migi ni magatte kudasai]

vada dritto per questa strada e giri a destra al prossimo semaforo

)��*+,�-���#!�$./��� !"#� [sorekara sanbanme no k saten o hidari ni magatte kudasai]

poi al terzo incrocio giri a sinistra

���01� [eki wa migigawa desu]la stazione è sul lato destro

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Terrificante? no, non facciamoci prendere dal panico! Qualche piccolo chiarimento e poi rileggiamo le singole frasi. Sappiamo già che il moto a luogo vuole la posposizione 2 [e], e che quello di stato in luogo vuole � [ni] o � [de]; oggi aggiungiamo che il complemento di moto per luogo è seguito da $ [o]:

��$&� [michi o iku] camminare per la strada����$�3� [k en o aruku] passeggiare nel parco

Il verbo girare deve essere preceduto dalla posposizione � [ni]:

0��3 [migi ni magaru] girare a destra4�53[hidari ni magaru] girare a sinistra

ed il luogo in cui si gira vuole la posposizione $ [o].

Per indicare il prossimo, il successivo, non si usa un aggettivo, ma il sostantivo �' [tsugi] che in qualche modo specifica una caratteristica del nome successivo. I due sostantivi devono quindi essere legati dalla particella � [no].

Per formare i numeri ordinali, si usano i due suffissi ,� [ban] e - [me]. Il primo identifica i numeri (è uno dei contatori di cui abbiamo parlato tanto tempo fa), il secondo è quello che definisce l’ordine:

6 [go] = 56,� [goban] = numero 56,�- [gobanme] = quinto

Quest’ultima forma non è un aggettivo (come in italiano), quindi bisogna nuovamente usare la posposizione � [no].

Torniamo alle indicazioni ed esaminiamo le frasi una ad una:

����$� %& !��'���(�$0�5 !"#� [kono michi o massugu itte, tsugi no shing o migi ni magatte kudasai]

vada dritto per questa strada e giri a destra al prossimo semaforo

Ci sono due verbi: il primo, &� [iku], è stato lasciato in sospeso, coniugandolo in te-kei perché la frase non era terminata. Il secondo, 53 [magaru], è ancora in te-kei ma per indicare una richiesta cortese. Poi le spiegazioni continuano:

)��* +,�- � ��#!� $ 4 � 5 ! "#� [sorekara sanbanme no k saten o hidari ni magatte kudasai]

poi al terzo incrocio giri a sinistra

)��* [sorekara] è una di quelle congiunzioni che legano le diverse frasi (un po’ come )�![soshite]). Infine:

���01� [eki wa migigawa desu]la stazione è sul lato destro

talmente semplice da ricordare “X � Y �” [X wa Y desu], ed una volta imparato che 0 [migi] è destra, basta poco per indovinare che01 [migigawa] è il lato destro.

Adesso possiamo concludere:

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1����7��������(8�� [wakarimashita, dom arigat gozaimasu]ho capito, mille grazie

Le posizioni

Prima di vedere qualche altro esempio, dobbiamo capire come si precisano le posizioni (sopra, sotto, di fianco…). Qualche esempio è già stato visto:

����9� [tsukue no ue ni] sopra il tavolo��"� [isu no shita ni] sotto la sedia

e questa è la struttura base per tutte queste indicazioni: N � P [N no P], dove N sta per un sostantivo (ciò di cui vogliamo descrivere la posizione) e P è la posizione stessa (sopra, sotto, davanti…). Infatti anche la posizione è espressa da un sostantivo, per cui c’è sempre bisogno della posposizione � [no] per legarla al primo. Ecco alcuni sostantivi che indicano posizioni (ho lasciato anche i termini già noti, per avere un elenco abbastanza completo):

9 [ue] sopra" [shita] sotto: [mae] davanti, di fronte��; [ushiro] dietro< [naka] in mezzo, dentro= [soto] fuori4 [hidari] sinistra0 [migi] destra��� [chikaku] vicino> [aida] tra

Qui vicino c’è una banca?

Ora facciamo un altro esempio. Vogliamo andare in banca, ma non abbiamo la minima idea se ce ne sia una nei dintorni. Potremmo formulare così la nostra richiesta:

������� ��� � '��� ��� � [sumimasen, kono chikaku ni gink ga arimasu ka]

scusi, qui vicino c’è una banca?

La domanda era piuttosto facile, adesso vediamo la risposta:

�� �& !���$4�5 !"#� [chotto itte, kado o hidari ni magatte kudasai]vada un po’ avanti e all’angolo giri a sinistra

'����?@�:� [gink wa hanaya no mae desu]la banca è davanti al fioraio

9 A�* 5 A��� [9 ji kara 5 ji made desu]è aperta dalle 9 alle 5

Le indicazioni sono chiare e ci hanno dato un’informazione in più: l’orario di apertura. Questa è una delle frasi più semplici per dirlo, l’importante è ricordarsi le due posposizioni, �* [kara], da e��[made], fino.

Controlliamo l’orologio e ci accorgiamo che manca veramente poco alle 5! Chissà se faremo in tempo o se dobbiamo rimandare a domani…

'�������%*������ [gink made dono gurai kakarimasu ka]all’incirca quanto tempo ci vuole fino alla banca?

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Il verbo ��3 [kakaru] non ha un esatto corrispettivo in italiano, si usa per indicare il tempo necessario a fare qualcosa. La risposta ci tranquillizzerà:

B�!6C�%*����� [aruite gofun gurai kakarimasu]a piedi occorrono circa 5 minuti

Qualche espressione utile

Vediamo infine qualche altra espressione utile per girare in città. Non si tratta di regole di grammatica, ma solo di alcuni modi di dire:

������3 [densha ni noru] salire sul trenoDE$F�3 [densha o oriru] scendere dal trenoGHIJ$KL [takushii o yobu] chiamare un taxiMN��, [basu noriba] fermata dell’autobus4�53 [hidari ni magaru] girare a sinistra0�53 [migi ni magaru] girare a destra� %&� [massugu iku] andare dritti

Non sono tutti nuovi, ma oggi è la volta degli elenchi. Al posto di treno o autobus potete mettere anche altri mezzi di trasporto…

Dopo…

Alla fine della lezione scorsa abbiamo parlato brevemente della ta-kei, ricordate? Abbiamo detto solo che si costruisce in modo molto simile alla te-kei (cambia la vocale finale) e che rappresenta una forma passata.

Ora cerchiamo di imparare qualche altro uso. Visto che è un passato la possiamo usare per indicare quel che è avvenuto prima; l’espressione

V-7��� [V-ta ato de]

si traduce “dopo aver fatto V”. E’ equivalente all’espressione V-! �* [V-te kara], che abbiamo già visto (sempre nella lezione scorsa):

O�����7�����2&���7 [benky shita ato de umi e ikimashita]O�����7�����2& 7 [benky shita ato de umi e itta]

dopo aver studiato, sono andato al mare

Esperienza

Un’esperienza è qualcosa che è avvenuto nel passato, nessuna meraviglia se ritroveremo la ta-kei: V-7 �� ��� [V-ta koto ga arimasu] è l’espressione che si usa per indicare l’aver fatto l’esperienza di V, letteralmente si potrebbe tradurre “ho avuto V”. La costruzione è:

A � V-7����� [A wa V-ta koto ga arimasu]A � V-7���3 [A wa V-ta koto ga aru]

A ha avuto un’esperienza di V

La parola �� [koto] è la stessa che abbiamo usato per esempio col verbo ��3 [dekiru]: fa diventare l’azione un oggetto, in questo caso un’esperienza. Potremo dire

PQ�����$7O��7 [Nihon no ryōri o tabemashita]PQ�����$7O7 [Nihon no ryōri o tabeta]

ho mangiato cucina giapponese

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è una frase che serve ad introdurre un evento, si può poi precisare come, quando e dove ciò è accaduto. Invece con:

PQ�����$7O7����� [Nihon no ryōri o tabeta koto ga arimasu]PQ�����$7O7���3 [Nihon no ryōri o tabeta koto ga aru]

ho avuto l’esperienza di mangiare cucina giapponese

affermiamo un avvenimento, ma non entriamo nei dettagli, restiamo sul generico.

La stessa espressione al negativo indica il non aver mai fatto una determinata esperienza o azione:

A � V-7������� [A wa V-ta koto ga arimasen]A non ha mai avuto un’esperienza di V

In generale il verbo �3 [aru], che chiude questa costruzione, va coniugato al presente perché oggi “possediamo” l’esperienza fatta nel passato (e questo è sottolineato dalla ta-kei).

Con, insieme

La posposizione � [to] serve a rendere la congiunzione italiana e. Un altro suo uso è tradurre la preposizione con, nei complementi di compagnia:

R<#��'���2&�� [Tanaka san to gink e ikimasu]R<#��'���2&� [Tanaka san to gink e iku]

vado in banca col signor Tanaka

Un altro modo di esprimere la compagnia è usare l’equivalente di “insieme”:

� ���7O� [issho ni tabemasu]� ���7O3 [issho ni taberu]

mangiamo insieme

Note

In molti esempi ho usato solo la forma cortese, ma non perché mi sia scordata della promessa di usare anche la forma piana, è che la futsu-tai non è indicata in un colloquio con estranei.

Per richiamare l’attenzione di qualcuno abbiamo usato �� [ano...], tradotto con ehm… Potevo anche tradurlo mm…, aah… o in qualche altro modo. E’ semplicemente un’interiezione, un’esitazione, e molto spesso è pronunciata allungando la “o” finale.

Tra le posizioni ho inserito > [aida], tra. Questa ha una costruzione leggermente diversa dalle altre, perché presuppone l’esistenza di due oggetti o luoghi: la banca è tra la stazione e l’ufficio postale. Queste due località hanno la stessa importanza nel definire la posizione della banca e quindi saranno collegate dalla particella � [to]:

'���������S�����>�� [gink wa eki to y binkyoku no aida ni desu]la banca è tra la stazione e l’ufficio postale

Del suffisso @ [ya] avevamo già parlato all’inizio: indica il negozio in cui si vende un determinato articolo. Adesso abbiamo incontrato un esempio: ?@ [hanaya] è il luogo dove si vendono i fiori.

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Il verbo ��3 [kakaru] può usarsi anche per indicare una necessità in soldi:

TUV���� [niman en kakarimasu]TUV��3[niman en kakaru]

servono 20.000 yen

B�! [aruite] è la te-kei del verbo B3� [aruku], camminare; usato da solo significa camminando, cioè a piedi.

Fino ad adesso avevamo usato la posposizione $ [o] solo per segnalare il complemento oggetto. Adesso sono comparsi altri tre casi: il complemento di moto per luogo, il posto in cui si deve girare, lo scendere dal treno. In realtà, tutti questi casi si possono ricondurre al lasciar libero un posto. Useremo quindi la posposizione $ [o] per scendere dal treno e per alzarci da una sedia:

DE$F�3 [densha o oriru] scendere dal treno�$W� [isu o tatsu] alzarsi dalla sedia

Anche quando ci muoviamo, noi lasciamo continuamente libero un posto per portarci un po’ più in avanti. Se non è importante sottolineare dove stiamo andando, useremo $ [o]. Quando arrivati all’angolo della strada svoltiamo, abbandoniamo una posizione, ed useremo ancora $ [o].

Nell’esempio

O�����7�����2& 7 [benky shita ato de umi e itta]dopo aver studiato, sono andato al mare

compare due volte la ta-kei. La prima volta serve a fare una precisa costruzione grammaticale, la seconda indica semplicemente il tempo passato (forma piana).

Kanji

: [mae] davanti, di fronte.

= [soto] fuori. La parte si sinistra rappresenta la luna, parzialmente coperta dalle nuvole; quella di destra è la frattura che si cercava negli ossi degli animali per praticare una forma di divinazione.

0 [migi] destra. Le due linee più a sinistra vogliono rappresentare una mano, mentre il quadratino è la bocca: la mano che porta il cibo alla bocca è la destra.

4 [hidari] sinistra. Anche qui c’è una mano, e quella specie di I maiuscola vuole rappresentare uno strumento, una squadra da carpentiere, che è spesso usata con la sinistra. Bisogna stare attenti nello scrivere questi due kanji, perché il segno che rappresenta la mano si disegna con ordine diverso: in sinistra si fa prima il tratto orizzontale e poi quello verticale, in destra il viceversa.

> [aida] tra. Questo kanji rappresenta il sole visto attraverso una porta. La porta è quella del tempio, che rimane aperta durante il giorno. Da qui il significato di durata, intervallo.

X#� [chiisai] piccolo. In realtà l’abbiamo già incontrato, anche se non mi pare di aver detto nulla sulla sua origine. Bisogna confrontarlo con il kanji diY�� [ookii]: uno è un omone che allarga le braccia per sembrare ancora più grande, l’altro un omino che stringe le spalle per cercare di sparire…

Z� [sukoshi] poco. E’ il kanji di piccolo con il segno del numero 1: una quantità piccola, un poco.

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[-3 [tomeru] fermare. Non abbiamo mai usato questo verbo, ma volevo parlarvi del kanji. Secondo alcuni rappresenta un piede (l’alluce da una parte, tutte le altre dita dall’altra, il tallone in basso), secondo altri è il kanji 9 [ue] con un tratto in più per indicare il terreno, dove ci si ferma. In ogni caso vuole rappresentare una sosta, una fermata.

B� [aruku] camminare. La parte superiore è una fermata ([), quella sotto indica un poco (Z): muoversi un po’ e fermarsi… camminare.

53 [magaru] girare, svoltare.

? [hana] fiore. La parte superiore rappresenta dei fili d’erba che nascono del terreno, ed è comune a molti kanji che si riferiscono alle piante. La parte inferiore ci mostra una persona, prima disegnata correttamente, poi in maniera deformata: questo rappresenta un cambiamento. I fiori sono una trasformazione dell’erba.

\ [ame] pioggia. Anche questa è una parola nuova, ma ho bisogno di introdurre questo kanji. Le goccioline parlano da sole, vero?

DE [densha] treno. Il secondo kanji lo conosciamo: è �3� [kuruma], l’automobile. Il primo rappresenta questa scena: sta piovendo su un campo di riso, e cade un fulmine. Il fulmine è una scarica elettrica e questo kanji rappresenta l’elettricità. La somma dei due è quindi un veicolo elettrico e per eccellenza un treno.

V [en] yen.

W� [tatsu] alzarsi. E’ una figura, molto stilizzata, di un uomo dritto in piedi sulla terra. In pratica si possono riconoscere la testa, le spalle e le gambe, sopra un tratto orizzontale che indica il suolo. Significa quindi stare in piedi, alzarsi (dalla posizione seduta).

Vocaboli

> [aida] tra�� [ato] dopoB�! [aruite] a piedi, camminandoB� [aruku] camminare\ [ame] pioggia� �� [issho] insieme��; [ushiro] dietro�� [umi] mareV [en] yen��3 [kakaru] essere necessario, servire (per il tempo o i soldi)�* [kara] da (posposizione)'��� [gink ] banca��#!� [k saten] incrocio��(� [shing ] semaforoZ� [sukoshi] poco= [soto] fuoriW� [tatsu] alzarsi (da una sedia)��� [chikaku] vicinoDE [densha] treno� [to] con (in compagnia)[-3 [tomeru] fermare

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< [naka] in mezzo, dentro? [hana] fiore?@ [hanaya] fioraio4 [hidari] sinistra: [mae] davanti, di fronte53 [magaru] girare, svoltare0 [migi] destra��S���� [y binkyoku] ufficio postale1�3 [wakaru] capire

© 2000 – 2001. Testo a cura di Anna Mumei, elaborato per il sito Giappone Giappone. Tutti i diritti sono riservati. E’ consentito l’utilizzo di questo documento esclusivamente a scopo educativo. E’ dunque vietata la riproduzione sia parziale che totale di tutto il documento, senza l’autorizzazione di Anna Mumei e di Alice Buda (rispettivamente autrice del testo e detentrice dei diritti per il sito Giappone Giappone).

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IO CREDO CHE…Anche questa volta dobbiamo parlare di molti argomenti. C’è sempre la forma verbale tipica del passato, la ta-kei, che si può usare in molte espressioni e che dobbiamo approfondire. Ma per variare un po’, affronteremo anche altri argomenti e, primo fra tutti, il “perché”.

Proposizione causale

Qualche tempo fa avevo iniziato a parlare dei periodi composti di due o più frasi, e le abbiamo collegate usando le congiunzioni ��� [soshite] e � [ga]: la prima indica una prosecuzione, la seconda un’informazione che in qualche modo contrasta la frase precedente o un’esitazione. Adesso vediamo come esprimere la causa di qualche cosa, per esempio “oggi non vado a scuola, perché ho il raffreddore”. E’ vero che possiamo sempre considerarle come due frasi separate:

������� �������� ���[kyō wa gakkō e ikimasen. Kaze o hikimasu]������� ����������[kyō wa gakkō e ikimasen. Kaze o hiku]

oggi non vado a scuola. Ho il raffreddore.

e tutti ci capirebbero, ma è senz’altro un modo un po’ artificioso di parlare e non sempre utilizzabile. Il nostro “perché”, almeno in molti casi, si traduce con una particella che già conosciamo, ��

[kara]. Sappiamo che questa è una posposizione e, come abbiamo già detto altre volte, le frasi giapponesi si sviluppano quasi sempre al contrario delle nostre. Nessuna meraviglia che l’equivalente giapponesi, tradotto letteralmente suoni: “ho il raffreddore perché, oggi non vado a scuola”:

�� � � �� ����� � �� � � ��� [kaze o hikimasu kara, kyō wa gakkō e ikimasen]��������������� ��� [kaze o hiku kara, kyō wa gakkō e ikimasen]

poiché ho il raffreddore, oggi non vado a scuola

���������� !����"#$��� [kono tokei wa takakunakatta desu kara, sengetsu kaimashita]�%&������ ���"#$� [kono tokei wa takakunakatta kara, sengetsu katta]

il mese scorso ho comprato quest’orologio perché non era caro

Dare un consiglio

Torniamo a vedere come possiamo usare la ta-kei. Una delle possibilità è quella di dare un consiglio, un parere a qualcuno. La costruzione da usare è

V- '���!� [V-ta hō ga ii desu]V- '��� [V-ta hō ga ii]

dove V rappresenta come sempre il verbo, l’azione che consigliamo. La parola ' [hō] l’abbiamo già incontrata con i comparativi e sappiamo che indica una direzione. In pratica stiamo affermando che l’aver fatto V è una buona cosa, spingendo così a farla:

�(�)�*'���!� [kono hon o yonda hō ga ii desu]�(�)�*'��� [kono hon o yonda hō ga ii]

ti consiglio di leggere questi libri

+%!����,-!�� '���!� [san ji desu kara, densha de itta hō ga ii desu]+%���,-!�� '��� [san ji kara, densha de itta hō ga ii]

poiché sono le tre, è meglio prendere il treno

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.�/!0� '���!� [eigo de hanashita hō ga ii desu]

.�/!0� '��� [eigo de hanashita hō ga ii]è meglio se parliamo in inglese

Elenco di verbi

Usando la te-kei potevamo fare un elenco di azioni compiute tutte in successione. Ma a volte facciamo degli elenchi con non sono così precisi, per esempio se vogliamo semplicemente descrivere cosa facciamo normalmente nei fine settimana… In tal caso si usa una forma particolare della ta-kei, che vuole la sillaba 1 [ri] inserita subito dopo [ta] (o � [da]):

V- 1�V- 1… �2 [V-tari, V-tari… suru]

Questa costruzione indica una successione d’azioni non legate temporalmente. E’ un elenco di verbi, che spesso si usa per azioni che si è soliti compiere. L’elenco deve essere sempre terminato col verbo �2 [suru], coniugato adeguatamente alla frase:

V1- 1�V2- 1�V3- 1��� [V1-tari, V2-tari, V3-tari shimasu]V1- 1�V2- 1�V3- 1�2 [V1-tari, V2-tari, V3-tari suru]

faccio V1, V2 e V3

Un’altra possibile traduzione è “a volte faccio V1, a volte V2 e a volte V3”, proprio perché si tratta di un elenco molto generico. Potremmo dire che l’elenco di verbi costruito con la te-kei è analogo a quello di oggetti che usa il � [to], mentre l’elenco con la ta-kei corrisponde all’uso di 3 [ya].

Ecco alcuni esempi:

42 � 567 � 8� 1�9:; � < 1 ��� [yoru wa rajio o kiitari, terebi o mitari shimasu]42�567�8� 1�9:;�< 1�2 [yoru wa rajio o kiitari, terebi o mitari suru]

la sera a volte ascolto la radio, a volte guardo la televisione

�4= > ( � )�*1�? � �� 1�@*A � B�� 1�CDE � �� 1 ���

[nichiyōbi ni hon o yondari, umi e ittari, tomodachi to dekaketari, piano o hiitari shimasu]�4= > ( � )�*1�? � �� 1�@*A � B�� 1�CDE � �� 1 �2

[nichiyōbi ni hon o yondari, umi e ittari, tomodachi to dekaketari, piano o hiitari shimasu]la domenica di solito leggo un libro, vado al mare, esco con gli amici, suono il piano…

Le citazioni

A volte vogliamo riportare agli altri pensieri o parole, nostri o di qualcun altro: “Io credo che sia meglio fare così”, “Giovanni ha detto che è andato al mare”, “Luca pensa di sposarsi”. Queste sono tutte frasi piuttosto comuni nel nostro modo di parlare, ma l’ultima non può essere tradotta tale e quale in giapponese. Il problema è che nessuno può sapere cosa pensa veramente Luca, tranne lui stesso. Noi eventualmente possiamo cercare di indovinare il suo pensiero, o sapere quello che lui ci riferisce, ma non possiamo essere certi che sia realmente ciò che lui pensa. In giapponese dovremmo quindi dire “Luca dice che vuole sposarsi” o “Pare che Luca voglia sposarsi”.

C’è comunque un modo standard per riportare le idee, le opinioni, le parole. Esaminiamo prima la grammatica, poi torneremo su cosa si può dire e cosa no.

Le citazioni introdotte da espressioni del tipo “Io penso che…”, “Ha detto che…” sono tradotte con l’uso della particella � [to]. La citazione stessa va in forma piana, perché è una subordinata, non è la frase principale del periodo:

{futsu-tai} �F��� [….to omoimasu] penso che …{futsu-tai} �G�� [….to itta] ha detto che …

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Il soggetto sottinteso è normalmente la prima persona singolare, ma può essere la terza in frasi al passato, soprattutto con verbi come dire. Se si vuole usare quest’espressione per la terza persona in frasi al presente, il verbo deve essere coniugato nella te-kei (sia con soggetto implicito, sia esplicito):

{futsu-tai} �F [….to omou] penso che …{futsu-tai} �F����� [….to omotte imasu] pensa che …

Perché in te-kei? Torniamo alla frase che abbiamo detto di non poter rendere in giapponese: “Luca pensa di sposarsi”; posta in questi termini, o Luca ha già deciso e l’ha comunicato (ed allora possiamo dire “Luca ha detto che si sposa”), oppure noi stiamo facendo delle ipotesi (ma non possiamo giurare sui suoi pensieri reali). Se invece diciamo “Luca sta pensando di sposarsi”, rendiamo un’azione che dura nel tempo e della quale Luca ci può aver reso partecipi (del fatto che sta pensando e valutando se è il caso o meno di compiere questo passo). In realtà non possiamo sapere nulla di preciso sulle sue intenzioni, ma sappiamo che rimugina su questo argomento.

La seconda persona di solito si usa solo nelle frasi interrogative, con il tempo al presente:

{futsu-tai} �F���� [….to omoimasuka] pensi che …?{futsu-tai} �F? [….to omou?] pensi che …?

Queste espressioni si costruiscono solo con determinati verbi (più o meno gli stessi che usiamo in italiano). Questi sono i più comuni:

• F [omou] pensare• G [iu] dire• ���.2 [kangaeru] pensare, riflettere• �� [kaku] scrivere• 8� [kiku] sentire, chiedere• HI2 [shinjiru] credere

Dopo tutto ciò, vediamo qualche esempio:

JKLDM*�F��� [itariajin da to omoimasu]JKLDM*�F [itariajin da to omou]

penso che sia italiana

NOP��JKLD� QR��� *�G��� [Tanakasan wa itaria no tabemono ga suki da to iimashita]NO P� � JKLD � QR� � � * � G� [Tanakasan wa itaria no tabemono ga suki da to itta]

Tanaka ha detto che gli piace la cucina italiana

S P������2�F����� [Akiko san wa kekkon suru to omotte imasu]S P������2�F���2 [Akiko san wa kekkon suru to omotte iru]

Akiko sta pensando di sposarsi

Un’ultima particolarità di questa costruzione: la frase principale non può essere negativa. Quindi “non penso che sia giapponese” diventa “penso che non sia giapponese”:

�(M!����F��� [nihonjin dewa nai to omoimasu]�(M!����F [nihonjin dewa nai to omou]

penso che non sia giapponese

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La famiglia

Questo non è un argomento strettamente grammaticale, ma serve per poter parlare in giapponese, quindi mi sembra giusto affrontarlo. Anche in una famiglia giapponese, ogni membro ha un suo nome: mamma, padre, fratello… ma le distinzioni sono molto precise. Prima di tutto, bisogna sempre distinguere tra i membri della propria famiglia e quelli di famiglie altrui: non si può usare lo stesso termine per indicare la propria madre, moglie, sorella o quella di qualcun altro. Bisogna poi tenere presente che i fratelli maggiori meritano un riguardo maggiore… insomma, districarsi in questo labirinto di appellativi non è proprio semplice, ma ci proveremo.

Cominciamo con una famiglia “ristretta”: genitori e figli, e supponiamo che sia la nostra. Per indicare i genitori si usa la parola T3 [oya]; se vogliamo specificare meglio useremo U [haha], mamma, e V [chichi], papà.

Se però ci riferiamo a genitori altrui, questi termini non si possono usare, sarebbe molto scortese. Le parole da usare sono TUP� [okāsan], madre, e TVP� [otōsan], padre. Come potete vedere la pronuncia cambia totalmente, ma si usano sempre gli stessi kanji. La T [o] iniziale è il solito prefisso onorifico, il P� [san] finale è lo stesso suffisso usato per “signore”.

Possiamo riepilogare con questa tabella:

famiglia propria famiglia altrui

genitore/iT3 [oya]

madreU [haha] TUP� [okāsan]

padreV [chichi] TVP� [otōsan]

Adesso passiamo ai fratelli. Anche in Giappone vige la regola della predominanza del maschile, quindi con “fratelli” si indicano sia i soli maschietti, sia il gruppo di fratelli e sorelle. Per cercare di essere più chiara, metto subito la tabella e poi la commentiamo:

famiglia propria

hiragana kanji

famiglia altrui

fratello/i W*� [kyōdai] XY ZXY [gokyōdai]

sorella/e��� [shimai] [\

fratello maggioreS> [ani] X TXP� [oniisan]

fratello minoreT�� [otōto] Y YP� [otōtosan]

sorella maggioreS] [ane] [ T[P� [oneesan]

sorella minore�R� [imōto] \ \P� [imōtosan]

I termini relativi alla propria famiglia li ho scritti su due colonne per darvi subito sia la scrittura in hiragana, sia in kanji (che, come vedete, sono utilizzati anche nei termini relativi alla famiglia altrui). In totale si usano solo 4 kanji, ma ogni volta si devono leggere in maniera diversa. Gli ideogrammi delle parole generiche, fratello e sorella, sono formati con le coppie relative al maggiore/minore

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(rigorosamente in quest’ordine). Come per madre e padre, i termini per famiglia altrui si ottengono in line di massima con T [o] e P� [san]. Fanno eccezione fratello e sorella minore, che pare non siano degni di un prefisso onorifico. L’altra eccezione è quella dei fratelli (intesi come insieme, come gruppo), che hanno come prefisso onorifico Z [go], quello di origine cinese, perché in questo caso la lettura del kanji è la on-yomi (lettura cinese).

Note

L’espressione �� � �� [kaze o hiku], prendere (o avere) il raffreddore, va considerata nel suo insieme, non ha molto senso tradurla parola per parola. State però attenti alla posposizione che usate, infatti ����� [kaze o hiku] significa “il vento soffia”.

Sono certa che qualcuno si sta chiedendo: come faccio a consigliare a qualcuno di non fare una determinata azione? Abbiate pazienza, ci manca ancora qualcosa. Non appena avremo superato qualche altro scoglio grammaticale, torneremo sui consigli.

Il verbo suonare non ha un’unica traduzione in giapponese, ma si differenzia secondo il tipo di strumento. Per gli strumenti a corda si usa �� [hiku], per quelli a fiato ^� [fuku] che vuol dire soffiare.

Una piccola precisazione sulla pronuncia. Vedendo TR [omou], qualcuno potrebbe aver pensato che la [u] finale serva ad allungare la sillaba precedente e che la pronuncia sia <omoo>; ma non è così. La [u] è la “desinenza verbale” e quindi questa parola va letta proprio così come la scriviamo in rōmaji, cioè <omou> (proprio per dare un’indicazione sulla pronuncia, non la si scrive omō).

Per le citazioni abbiamo usato la futsu-tai, perché si tratta di frasi subordinate. Questo è il primo esempio di periodi composti, per ora ci eravamo limitati a frasi contenenti un solo predicato verbale (tranne gli elenchi di verbi o il perché…) Si tratta però di una regola abbastanza generale nella lingua giapponese: la frase principale va coniugata nella forma migliore secondo il contesto, il rapporto tra le persone coinvolte, ciò che si vuole esprimere…; le frasi subordinate vanno in futsu-tai, perché non sono complete, nel senso che non spetta a loro esprimere quanto detto prima.

Se vogliamo riportare le parole di qualcuno come discorso diretto dobbiamo sempre usare la forma con � [to]; questa volta la frase riportata manterrà la sua forma (non deve essere per forza in futsu-tai), ma scrivendo bisogna inserirla tra virgolette:

"_ � `S� a � ���b � G��� [sensei wa “ashita watashi wa kimasen” to iimashita]"_�`S� a� ���b�G� [sensei wa “ashita watashi wa kimasen” to itta]

l’insegnante ha detto “domani non verrò”

Un altro termine simpatico relativo ai fratelli è Y\ [teimai], che racchiude tutti i fratelli minori, indipendentemente dal loro sesso.

Tra i kanji troverete c [mai], col significato di ogni. Non l’abbiamo ancora usato, ma mi serve per spiegare poi un altro ideogramma. E’ molto utile per comporre espressioni del tipo c� [mainichi], ogni giorno, c# [maitsuki], ogni mese, cd [mainen], ogni anno. In questo caso per il kanji di mese si usa la lettura e [tsuki], che è quella giapponese, cioè la kun-yomi. E’ bene precisare che e [tsuki] è la lettura corretta anche quando con il kanji # vogliamo indicare la luna.

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Kanji

E’ venuto il momento di dire qualche cosa in più sui kanji. Prendete le mie parole per quello che sono: un commento, per darvi un’idea di concetti delicati. Non voglio (e soprattutto non saprei) darvi un’esposizione completa, ma se non vi spiego cosa si intende per radicale ho grosse difficoltà ad illustrare i kanji via via che si fanno più complessi.

Un radicale è una parte di ideogramma che si ritrova uguale in vari kanji. Per esempio, abbiamo già visto che la parte in kanji del verbo G [iu], dire, si ritrova come componente di altri ideogrammi: 0, da cui 0� [hanasu] e ), da cui )f [yomu]. In questi casi l’ideogramma rimane quasi uguale a se stesso (si restringe solo un po’, perdendo magari le proporzioni); altre volte lemodifiche sono più evidenti, come nel caso di M [hito] che diventa la parte di sinistra di g [nani] (la barretta verticale con una piccola diagonale in cima).

In realtà possiamo dire che ogni kanji ha un radicale (come 0) o è lui stesso un radicale (come G). Il radicale esprime la natura più generale del kanji, è quindi quella parte che ci dà un’idea sulla sua origine, sul significato o sulla pronuncia. Inoltre molti dizionari ordinano gli ideogrammi secondo i loro radicali ed il numero di segni necessari a disegnarli. Certo sarebbe bello imparare a riconoscerli tutti…

I radicali ufficialmente riconosciuti e censiti sono 214, alcuni piuttosto semplici, altri più complessi. Così ad occhio può non sembrare troppo difficile arrivare a riconoscerli tutti o quasi, e probabilmente è vero, basta impegnarsi con un po’ di metodo. Io adesso non vorrei scoraggiarvi, ma fare presente alcune cose.

Innanzitutto la forma di un radicale non è costante: � [ima] ha lo stesso radicale di g [nani] (quindi M), ma questa volta la forma è rimasta molto più simile all’originale (è il cappelletto in testa).

A volte il radicale ha una forma abbastanza differente dall’ideogramma da cui deriva: h [mizu], acqua, si trasforma nei piccoli segni a sinistra di ? [umi], mare. Solo per aiutarvi a rintracciarlo, visto che non ho modo di scriverlo separatamente, ecco altri ideogrammi con questo radicale: i, j, k.

Un ideogramma può contenere più parti che sono dei radicali, ma una sola di queste è il radicale. Per esempio in 0 potremmo pensare di riconoscere il radicale che viene da G e quello che ha origine da l. In realtà il radicale è solo il primo. Come si fa a saperlo? bisogna avere a portata di mano un dizionario dei kanji e per trovare lì dentro proprio 0 potrebbe servire conoscere il suo radicale…

Per questi motivi ed altri ancora, non farò un discorso generale, esatto in tutti i particolari, completo. Anzi, vi dirò di più: userò il termine “radicale” anche impropriamente, semplicemente per indicare una parte del kanji principale che può aiutarci a comprendere il suo significato (tornando al caso precedente, 0, potrei chiamare radicale sia G sia l).

Ultimissima informazione sui radicali (reale!). I radicali sono divisi in 7 gruppi (ognuno con un nome diverso), secondo la loro posizione rispetto all’ideogramma visto nella sua totalità. Il radicale infatti può essere la parte sinistra, la destra, quella in alto, in basso, sinistra e alto, sinistra e basso, intorno.

Basta con le chiacchiere e passiamo alle parole con i kanji introdotte questa volta, che sono parecchie…

h [mizu] acqua. Vi ricordate m [kawa], fiume? L’origine è sempre pittografica, ma il disegno dell’acqua che scorre è meno preciso, sembra quasi di vedere gli schizzi… (che poi diventeranno goccioline formando il radicale).

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_ [nama] crudo, non cotto (soprattutto in relazione alle verdure. Attenzione, è un prenome, non un aggettivo!). Rappresenta una piantina che esce dal terreno: vedete la fogliolina sulla sinistra? Questo ideogramma ha quindi a che fare con la nascita, con l’origine delle cose, ed appare per esempio nel verbo _�n2 [umareru], essere nato.

" [saki] precedente, futuro. Il kanji è composto da due parti: la superiore è una deformazione di _ [nama]; quella inferiore rappresenta un paio di gambe. Il significato é “qualcosa che viene prima, precedente”, ma anche “qualcosa che avverrà, futuro”.

"# [sengetsu] mese scorso. E’ un esempio pratico dell’uso di" [sen].

"_ [sensei] insegnante. I due kanji li conosciamo. Perché poi l’insieme dei due ideogrammi significhi insegnante, non mi è ben chiaro.

o [sun] a questo kanji, così da solo, non corrisponde alcuna parola, solo l’idea di misura. Le due linee più lunghe sono uno dei tanti modi per disegnare una mano, ed il trattino più corto indica il polso, o meglio il punto dove si misurano i battiti. Pare che una volta questo kanji indicasse proprio il polso. Le pulsazioni si misurano con due dita unite e la larghezza di queste dita, circa 3 cm, è stata anche un’unità di misura. Ora si sono persi questi significati ed il kanji è usato solo insieme ad altri o come componente, per rappresentare il concetto di misura.

p [tsuchi] terra, suolo. Anche qui c’è la solita piantina che nasce dal terreno, ma proprio sul terreno, sul suolo, si vuole mettere l’attenzione.

q [tera] tempio. La parte superiore proviene da p [tsuchi], quella inferiore da o [sun]; e cos’è che si trova ogni tanto sulla terra? Un tempio, perché sono sparsi qua e là.

% [ji] ora. La parola già la conosciamo, adesso parliamo del kanji. La parte di sinistra è il radicale di � [nichi], giorno, perché le ore servono a misurare le giornate. La parte di destra abbiamo visto che rappresenta un tempio, dove si batte un gong per segnare le ore che compongono il giorno.

%& [tokei] orologio. Il primo kanji è quello di ora; il secondo è formato da G [iu], dire, e da r[jū], dieci. In questo caso, r [jū] rappresenta un numero in generale, quindi dire i numeri, cioè contare. L’orologio serve a contare le ore.

/ [go] suffisso per lingua. Sulla sinistra c’è il radicale di parola, con la parte destra ribadiamo che è qualcosa che esce dalla bocca e diamo indicazione sulla pronuncia: Z [go], proprio come per il kanji s che rappresenta il numero 5.

F [omo] è la radice del verbo pensare. La parte superiore probabilmente vi ricorda N [ta], il campo di riso. Questa volta però vuole rappresentare un cervello, con le sue circonvoluzioni. La parte inferiore è uno dei radicali più noti, e rappresenta il cuore, l’animo umano. Dal cervello e dal cuore nascono i pensieri, le riflessioni...

HI2 [shinjiru] credere. Anche in questo caso possiamo riconoscere le due parti: a sinistra c’è un uomo, a destra le sue parole. Un uomo in piedi davanti alle sue parole rappresenta la verità, bisogna credergli.

Page 77: Mumei - Lezioni Di Giapponese I-XIV

U [haha] mamma, madre. Questo kanji deriva da quello di t [onna], donna, con una barra orizzontale che lo taglia in due e dei piccoli tratti che rappresentano i capezzoli: una donna che allatta è una mamma.

V [chichi] padre, papà. E’ molto meno affettuoso del kanji di mamma, U [haha]. Le due linee più lunghe sono dei bastoni, tenuti saldamente in mano (i trattini): l’autorità paterna, che si fa rispettare.

X [ani] fratello maggiore. Qui abbiamo una bocca ed un paio di gambe, che rappresentano un uomo. Quindi questo è un uomo che ha una qualche autorità per parlare: un fratello maggiore.

Y [otōto] fratello minore.

[ [ane] sorella maggiore. La prima parte è il radicale di t [onna], donna, e questo è comprensibile. La seconda rappresenta un mercato. Probabilmente le figlie maggiori venivano mandate a fare la spesa…

\ [imōto] sorella minore. Anche in questo caso c’è il radicale di t [onna], donna. La parte di destra è un albero, con un tratto in più, quello in alto. Questo punto deve ancora essere raggiunto dall’albero nella sua crescita, rappresenta qualcosa di incompiuto. La sorellina è perciò una donna in fieri, ancora non compiuta.

XY [kyōdai] fratello, fratelli. E’ composto dai due kanji di fratello maggiore e minore. Si può usare sia per indicare i fratelli nel loro complesso (maschi e femmine), sia per indicare un unico fratello, ma senza specificare né il sesso, né se sia maggiore o minore.

[\ [shimai] sorella. E’ composto dai due kanji di sorella maggiore e minore.

Y\ [teimai] fratelli minori. E’ composto dai due kanji di fratello e sorella minore.

c [mai] ogni. Il trattino superiore è una variante di M [hito], persona, mentre la parte inferiore viene da U [haha], mamma. Poiché ogni uomo ha una madre, questo kanji ha assunto il significato di ogni, ciascuno.

? [umi] mare. La parte più a sinistra è il radicale di acqua, poi c’è il kanji che rappresenta ogni. Che cosa fa tutta l’acqua? va al mare.

Vocaboli

_�n2 [umareru] essere nato.�/ [eigo] lingua ingleseF [omou] pensare���.2 [kangaeru] pensare, riflettere�� [kaze] raffreddore�� [kaze] vento����� [kaze o hiku] avere il raffreddore����� [kaze ga hiku] il vento soffia�� [kara] perché, poiché, siccomeHI2 [shinjiru] credere"# [sengetsu] mese scorso QR� [tabemono] cibo

Page 78: Mumei - Lezioni Di Giapponese I-XIV

# [tsuki] lunaY\ [teimai] fratelli minori, sia maschi che femmine.9:; [terebi] televisione%& [tokei] orologioCDE [piano] piano�� [hiku] suonare (strumenti a corda)^� [fuku] suonare (strumenti a fiato)c [mai] ognic# [maitsuki] ogni mesec� [mainichi] ogni giornocd [mainen] ogni annoh [mizu] acqua567 [rajio] radio42 [yoru] sera

© 2000 – 2002. Testo a cura di Anna Mumei, elaborato per il sito Giappone Giappone. Tutti i diritti sono riservati. E’ consentito l’utilizzo di questo documento esclusivamente a scopo educativo. E’ dunque vietata la riproduzione sia parziale che totale di tutto il documento, senza l’autorizzazione di Anna Mumei e di Alice Buda (rispettivamente autrice del testo e detentrice dei diritti per il sito Giappone Giappone).

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Page 79: Mumei - Lezioni Di Giapponese I-XIV

VERBI: NAI-KEIAdesso introduciamo una nuova forma verbale, la nai-kei, che è la forma negativa per eccellenza. Semplificando un po’, si potrebbe dire che la nai-kei è la forma negativa della jisho-kei; infatti riusciremo finalmente a tradurre farsi semplici come “io non mangio la mela” sia in forma cortese, sia in forma piana. Impareremo subito alcuni possibili usi di questa forma, alcuni dei quali vanno a coprire dei “buchi” lasciati nelle precedenti lezioni.

Nai-kei

La nai-kei è caratterizzata dalla vocale “a”, così come la masu-kei è caratterizzata dalla vocale “i”. Questa affermazione in realtà è valida solo parzialmente, perché non tiene conto dei verbi irregolari, ma può servire come promemoria. Un altro elemento distintivo è che il suffisso -�� [-masu] non fa parte della coniugazione verbale, mentre il suffisso -�� [-nai] è sempre presente.

Introducendo la te-kei avevo detto che per coniugare bene i verbi, bisogna sempre tenere conto del gruppo cui appartengono; poi si lascia cadere la sillaba finale e la si sostituisce con qualcos’altro. Questo è vero anche per la nai-kei, almeno per i verbi dei primi due gruppi (i cosiddetti regolari), quindi cominciamo da loro.

Se il verbo è nel I gruppo, la “u” finale diventa “a” (attenzione ad eventuali variazioni eufoniche) e si aggiunge -�� [-nai]:

• ���� [hataraku] ����� [hatarakanai] non lavorare• � [matsu] ���� [matanai] non aspettare• �� [iku] ��� [ikanai] non andare• �� [yasumu] ���� [yasumanai] non riposare

Fanno eccezione i verbi in cui la “u” finale è preceduta da un’altra vocale (cioè quando la “u” è una sillaba essa stessa), perché in tal caso la -� [-u] si trasforma in -� [-wa]:

• �� [kau] ���� [kawanai] non comprare• �� [iu] ���� [iwanai] non dire• �� [omou] ���� [omowanai] non pensare

Un’ulteriore eccezione è il verbo �� [aru], la cui nai-kei è soltanto �� [nai].

Se il verbo è di II gruppo, come al solito è tutto più facile: la -� [-ru] finale si trasforma in -�� [-nai]:

• ��� [taberu] ���� [tabenai] non mangiare• �� [miru] ��� [minai] non guardare

Infine nel III gruppo ogni verbo va per conto suo e si perde anche la “a” caratteristica:

• �� [suru] ��� [shinai] non fare• �� [kuru] ��� [konai] non venire

Adesso possiamo fare qualche esempio:

����������� [watashi wa ringo o tabemasen]���������� [watashi wa ringo o tabenai]

io non mangio la mela

Page 80: Mumei - Lezioni Di Giapponese I-XIV

�� ������ [kare wa kasa o kaimasen]�� ����� [kare wa kasa o kawanai]

lui non compra un ombrello

!�� " ��� #� �$ %&' � ��()� �* ���� [atama ga itai desu kara, nihongo o benky shite imasen]!�� " ��� �$ %&' � ��()� �* ��� [atama ga itai kara, nihongo o benkyshite inai]

non studio giapponese perchè ho mal di testa

!(� ��+�,����� [Akikosan wa s ji shimasen]!(� ��+�,���� [Akikosan wa s ji shinai]

Akiko non pulisce

-. ��(��� [Tanaka san wa kimasen]-. ����� [Tanaka san wa konai]

Tanaka non viene

Il passato della nai-kei

Vi ricordate che per indicare il desiderio di fare qualcosa si usava il suffisso verbale -�� [-tai]? e che al passato questo si comportava come un i-aggettivo: diventava -�/� [-takatta]? Per la nai-kei è più o meno la stessa cosa, un verbo in nai-kei assume comportamenti simili ad un i-aggettivo, e formerà il passato trasformando la -� [-i] in -��� [-katta]. Quindi:

• ���� [hataraku] ����/� [hatarakanakatta] non lavorato• � [matsu] ���/� [matanakatta] non aspettato• �� [kau] ���/� [kawanakatta] non comprato• !� [aru] �/� [nakatta] non esistito

• ��� [taberu] ���/� [tabenakatta] non mangiato• �� [miru] ��/� [minakatta] non guardato

• �� [suru] ��/� [shinakatta] non fatto• �� [kuru] ��/� [konakatta] non venuto

Qualche esempio? ecco qua:

(0���1#���$���(���#�� [kinō wa yasumi deshita kara, hatarakimasen deshita]2%��13/��$����/� [kinō wa yasumi datta kara, hatarakanakatta]

poiché ieri era un giorno festivo, non ho lavorato

!0&�41���#�� [ano hon o yomimasen deshita]!0&�4��/� [ano hon o yomanakatta]

non ho letto quel libro

�5678 ��%&9�(���#�� [sakunen Annasan wa Nihon e ikimasen deshita]25678 ��%&9��/� [sakunen Annasan wa Nihon e ikanakatta]

l’anno scorso Anna non è andata in Giappone

Potete sbizzarrirvi ricercando le frasi lasciate solo in forma cortese nelle lezioni precedenti, perché non conoscevamo la forma piana negativa, e trasformandole adesso.

Page 81: Mumei - Lezioni Di Giapponese I-XIV

Consigliare di non fare

Per consigliare di fare qualcosa si usa la costruzione V-� : " �� #� [V-ta h ga ii desu], l’abbiamo imparato da poco; ma era rimasto in sospeso un aspetto: come fare a consigliare di non fare qualcosa (o sconsigliare…)? Ora possiamo fare anche questo. La struttura è la stessa, ma il verbo deve essere coniugato in nai-kei: non fare è la scelta buona. Ecco un paio di esempi:

!0��������:"��#� [ano ringo o tabenai h ga ii desu]!0��������:"�� [ano ringo o tabenai h ga ii]

ti sconsiglio di mangiare quella mela

;<�= " ��� �$ -. � 0 �= # ���� : " �� #� [kodomotachi ga imasu kara, Tanaka san no uchi de suwanai h ga ii desu];<�= " �� �$ -. � 0 �= # ���� : " �� [kodomotachi ga iru kara, Tanaka san no uchi de suwanai h ga ii]

poiché ci sono dei bambini, è meglio non fumare a casa di Tanaka

Dare un senso d’incertezza

Proprio all’inizio, oltre a #� [desu] abbiamo parlato anche di #�)� [desh ] (e del suo equivalente in forma piana 3>� [dar ]). Si poteva usare per dare un senso di incertezza alle affermazioni:

&- ��?@#�)� [Honda san wa sensei desh ]&- ��?@3>� [Honda san wa sensei dar ]

il signor Honda forse è un insegnanteil signor Honda sarà un insegnante

C’è una doppia traduzione in italiano, perché l’incertezza può derivare dalla non completa conoscenza dei fatti (espressa anche da avverbi del tipo “forse”, “probabilmente”…) o dalla loro non realizzazione (qualcosa che si compirà nel futuro). Se avessimo a disposizione un brano più lungo, un discorso completo, potremmo scegliere la traduzione più adatta, aiutandoci con il contesto; con una frase così breve, si resta nel dubbio.

Ora che sappiamo padroneggiare la futsu-kei dei verbi, possiamo esprimere l’incertezza anche in frasi più complesse. La regola da seguire è semplice: si lascia il verbo in forma piana e poi si termina la frase con #�)� [desh ] o 3>� [dar ]. Ecco alcuni esempi:

A%B"C�#�)� [ashita ame ga furu desh ]A%B"C�3>� [ashita ame ga furu dar ]

domani piove

DE �����#�)� [oniisan wa konai desh ]DE �����3>� [oniisan wa konai dar ]

probabilmente mio fratello grande non viene

La particella �[mo]

Questa posposizione l’abbiamo già incontrata qua e là, usata in costruzioni particolari, per esempio per la richiesta di un permesso, nella costruzione V-*F��#� [V-te mo ii desu].

Il principale significato di F[mo] è “anche”. E’ una posposizione che prende il sopravvento sulle altre: se dopo una parola ci sembra di poter mettere sia � [o] che F [mo], basterà mettere F[mo]:

Page 82: Mumei - Lezioni Di Giapponese I-XIV

-. � � ��G #�H ( � � F ��G #� [Tanakasan wa isha desu. Kimurasan mo isha desu]-. ����G3H( � �F��G3 [Tanakasan wa isha da. Kimura san mo isha da]

Tanaka è un dottore. Anche Kimura è medico.

2%I9�(��� [kin umi e ikimashita]2%I9�/� [kin umi e itta]

ieri sono andato al mare�F [watashi mo]

anch’io

!(� ��6JKLMNOF����� [Akiko san wa aisukuriimu mo tabemashita]!(� ��6JKLMNOF��� [Akiko san wa aisukuriimu mo tabeta]

Akiko ha mangiato anche il gelato

La posposizione F [mo] si usa anche con i pronomi interrogativi per rendere una negazione assoluta (nulla, niente, nessuno…). Come spesso accade un paio di esempi saranno più chiari dei miei tentativi di spiegazione:

3�F���� [dare mo imasen]3�F��� [dare mo inai]

non c’è nessuno

PF���� [nani mo mimasen]PF��� [nani mo minai]

non vedo nulla

Q� (9) F�(���#�� [doko (e) mo ikimasen deshita]Q� (9) F�/� [doko (e) mo itta]

non sono andato da nessuna parte

Particelle finali

Abbiamo già detto che nella lingua giapponese non si usano molto le inflessioni della voce, il tono è sempre abbastanza piatto. Ma allora come si fa ad esprimere tutta una serie di sentimenti ed atteggiamenti quali la sorpresa, l’essere d’accordo, il richiedere una conferma e così via?

A questo scopo esistono tutta una serie di particelle che hanno come unica funzione quella di evidenziare proprio questi aspetti. Sono particelle che si pongono al termine della frase e che molto spesso caratterizzano il linguaggio maschile e femminile. Infatti nella lingua giapponese non c’è solo una differenza di “livello” (noi ci limitiamo a tenei-tai e futsu-tai, ma si potrebbe anche andare oltre), c’è anche una differenza legata al sesso: certe parole o espressioni possono essere usate solo dagli uomini o solo dalle donne. Chi parlasse usando espressioni non proprie verrebbe considerato volgare o effeminato. Per questo motivo, bisognerebbe scegliersi un insegnante del proprio sesso.

Le particelle in questione sono veramente tante, per ora ne consideriamo poche, usate indifferentemente da uomini o donne. Una la conosciamo già: è [ka] che ci consente di trasformare qualunque frase in una domanda e che quindi ha una certa funzione grammaticale. Ma sempre la particella � [ka] può servire per chiedere una conferma. Per esempio, supponiamo che qualcuno ci chieda il numero di telefono di Akiko; noi non siamo sicuri di aver capito bene il nome e ripetiamo “Akiko?”. Questa non si può considerare una vera domanda, perché non aspettiamo la risposta, tutt’al più solo una smentita:

!(� �0RST����/*��� [Akiko san no denwa bango o shitte imasu ka]

Page 83: Mumei - Lezioni Di Giapponese I-XIV

!(� �0RST����/*��?[Akiko san no denwa bango o shitte iru?]sai il numero di telefono di Akiko?

!(� �H��U$�1��� [Akikosan ka. Iie, sumimasen]!(� �H���$�1��� [Akikosan ka. Uun, sumimasen]

Akiko? no, mi spiace

Un’altra utile particella è [ne], che si usa per chiedere consensi ad una propria affermazione:

!��� �������V [anata wa sakana o tabemashita ne]!��� �����V [anata wa sakana o tabeta ne]

hai mangiato pesce, vero?

o per dare maggiori enfasi ad una esclamazione (in questo caso si tratta di solito di frasi pronunciate in risposta a quanto ci viene detto):

�0WX�YZ[\#� [kono tokei wa j go man en desu]�0WX�YZ[\3 [kono tokei wa j go man en da]

quest’orologio costa 150.000 yen]�#�V [takai desu ne]]�V [takai ne]

che caro!

Infine [yo] serve a rafforzare un’opinione:

����^ [wakarimasu yo]��^ [wakaru yo]

certo, si capisce!

!0 1��]�#�^ [ano mise wa takai desu yo]!0 1��]�^ [ano mise wa takai yo]

quel negozio è caro!

Note

Piccola curiosità sulla -� [-u] finale dei verbi che diventa -� [-wa] prima di aggiungere il suffisso -�� [-nai]: pare che anticamente non esistessero verbi in -� [-u], ma tutti questi terminassero in -wu (l’hiragana si è ormai perso, almeno nel mio programma di videoscrittura…). Questo spiegherebbe l’apparente anomalia della coniugazione.

Con la nai-kei di !� [aru], solo �� [nai], abbiamo esaurito le irregolarità che non si trovano nel III gruppo. Facciamone un breve riassunto:

jisho-kei te-kei te-kei nai-kei�� [iku] �/* [itte] �/� [itta]�� [aru] �� [nai]

Ho tradotto “avere il mal di testa” con “!�� " ��� #� [atama ga itai desu]”. Come in altri casi, non c’è una corrispondenza diretta tra le parole ed i termini grammaticali nelle due lingue. Noi usiamo un verbo, mentre per i giapponesi c’è un aggettivo, ��� [itai], che forse potremmo tradurre “doloroso”. Questa costruzione è valida in generale, per tutti i nostri dolori:

�"���#� [ha ga itai desu]�"��� [ha ga itai]

Page 84: Mumei - Lezioni Di Giapponese I-XIV

ho mal di denti]

0Q"���#�� [nodo ga itai deshita]0Q"��/� [nodo ga itakatta]

aveva mal di gola

Notate che la parte dolorante è il soggetto della frase, chi prova il dolore è l’argomento della conversazione:

��D�"���#� [watashi wa onaka ga itai desu]��D�"��� [watashi wa onaka ga itai]

io ho mal di pancia

Dal verbo � [yasumu], riposare, viene il sostantivo �1 [yasumi], riposo, giorno di festa. Se ci fate caso si tratta dellla masu-kei e questo capita abbastanza di frequente (ma purtroppo non sempre, non è una regola): la masu-kei di un verbo è un sostantivo che rappresenta l’azione del verbo stesso, a volte con l’ausilio di un suffisso:

��U� [kotaeru] ��U [kotae] rispondere rispostaS� [hanasu] S�[hanashi] parlare racconto��� [taberu] ��F0 [tabemono] mangiare cibo0 [nomu] 01F0 [nomimono] bere bibita

in particolare, negli ultimi due casi, il suffisso -F0 [-mono] vuol dire “cosa” (cosa da mangiare, cosa da bere).

Fate attenzione, perché “racconto” si può scrivere anche utilizzando solo la parte in kanji, S[hanashi], anzi quest’ultima è la forma più diffusa.

Ho usato la parola ;<�= [kodomotachi] per tradurre bambini. Forse sarà bene ricordare che ;< [kodomo] è generico, non ha numero, si può tradurre sia al singolare, sia al plurale. Il suffisso -�= [-tachi] indica una pluralità e può essere aggiunto a molti termini, soprattutto quelli riguardanti le persone.

Un’altra regola, che non usiamo molto spesso e merita una rinfrescata, è quella relativa allo stato in luogo: è necessario il _ [ni] se l’azione che si compie in quel luogo è statica, il # [de] negli altri casi. Può sembrare strano l’aver usato il # [de] nella frase

�=#�� [uchi de suu]fumare in casa

ma fumare è un’azione, lo è anche dormire! In pratica il _ [ni] si usa solo con i verbi di esistenza �� [iru] ed !� [aru].

In giapponese non esiste un verbo per “piovere”, ma si usa un’espressione particolare:

B"C� [ame ga furu]la pioggia cade, piove

Il verbo C� [furu] vuol dire “cadere”, ma solo per i fenomeni atmosferici: pioggia, neve, grandine…

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In una delle frasi in futsu-tai, oltre alla coniugazione del verbo ho cambiato anche una parola, per la precisione il modo di dire “no”. Infatti anche “sì” e “no” hanno una loro forma piana, o per meglio dire sono sostituiti da dei loro sinonimi:

• sì �� [un]• no ��� [uun]

Avete fatto caso a Q� (9) F [doko (e) mo]? La posposizione 9 [e] è un di più, si può mettere o tralasciare a piacimento. Abbiamo detto che F [mo] tende a sovrapporsi ad altre eventuali particelle. Con � [wa], " [ga] e � [o] la sovrapposizione è totale, mentre le altre posposizioni possono rimanere, ma sono sempre in sottordine.

Kanji

� [yasumu] riposare. Questo è proprio facile: c’è un uomo sotto un albero, riposa…

2% [kin ] ieri. Il secondo ideogramma è quello di giorno. Il primo è composto di due parti: a sinistra c’è il radicale di giorno, a destra un simbolo che vuole rappresentare un pugnale, o meglio uno scalpello. Un giorno scolpito è passato, ed infatti questo kanji indica genericamente il passato. Unito al simbolo del giorno indica un giorno appena passato, cioè ieri. Per essere precisi, questa coppia di kanji andrebbe letta �, [sakujitsu], che è una parola meno usata (almeno nella lingua parlata) del termine (0� [kin ], ma con lo stesso significato.

25 [sakunen] anno scorso. Il primo kanji è quello del passato, il secondo quello di anno.

;< [kodomo]bambino. Il primo kanji è quello classico per bambino, cucciolo. Il secondo ha il radicale di [hito], quindi stiamo sicuramente parlando di bambini.

A% [ashita] domani.

RS [denwa] telefono. I due kanji già li conosciamo: il primo indica l’elettricità, il secondo vuol dire parlare: il telefono ci fa parlare grazie all’elettricità, anche se siamo lontani.

Vocaboli

6JKLMNO [aisukuriimu] gelato (dall’inglese ice cream)!�� [atama] testa��� [itai] doloroso�� [un] sì (informale)��� [uun] no (informale)D� [onaka] pancia, ventre [kasa] ombrello��U [kotae] risposta��U� [kotaeru] rispondere25 [sakunen] anno scorso�� [suu] fumare (tabacco)+�,�� [s ji suru] fare le pulizie, pulire0Q [nodo] gola01F0 [nomimono] bibitaS [hanashi] racconto

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S� [hanashi] raccontoC� [furu] cadere (per pioggia, neve…)�1 [yasumi] riposo, giorno di festa� [yasumu] riposare

© 2000 – 2002. Testo a cura di Anna Mumei, elaborato per il sito Giappone Giappone. Tutti i diritti sono riservati. E’ consentito l’utilizzo di questo documento esclusivamente a scopo educativo. E’ dunque vietata la riproduzione sia parziale che totale di tutto il documento, senza l’autorizzazione di Anna Mumei e di Alice Buda (rispettivamente autrice del testo e detentrice dei diritti per il sito Giappone Giappone).

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PROPOSIZIONI RELATIVENon sono del tutto certa dell’esattezza del titolo di questo capitolo… Abbiamo iniziato queste lezioni dicendo che la grammatica l’avremmo utilizzata un po’ alla buona, più per comodità che per necessità effettiva: ogni tanto aiuta far riferimento a qualche termine grammaticale. Non vorrei quindi spaventare nessuno, non voglio addentrarmi nei meandri dell’analisi logica, ma solo provare a raccontarvi come si possono rendere in giapponese tutto un insieme di frasi composte, in cui una serve a descrivere meglio il soggetto o un complemento dell’altra:

• Il libro che ho letto è interessante• La persona che sta laggiù è mio padre• Queste sono le foto che ho fatto io• A Tanaka piace l’automobile che ha comprato Akiko

Questo è il tipo di frasi che cercherò di aiutarvi a tradurre in giapponese (ho sottolineato quelle che secondo me sono le “descrizioni”). Oltre a questo, vedremo qualche altro uso della nai-kei e continueremo ad esplorare la famiglia giapponese. Pronti?

Un po’ di filosofia…

Visto che non vogliamo affidarci alla grammatica (forse in questo caso dovrei dire all’analisi logica), riflettiamo un po’ sulle frasi precedenti. Cominciamo dalla prima: “Il libro che ho letto è molto interessante“. Potremmo spezzarla in due parti:

Io ho letto un libro. Quel libro è interessante

Il significato non cambia: abbiamo prima enunciato un fatto che ci serve a precisare di quale libro stiamo parlando. Tra l’altro siamo anche in grado di dire la stessa cosa in giapponese:

� � � � ������ � � �� � �� [watashi wa hon o yomimashita. Ano hon wa omoshiroi desu]����������� �� � [watashi wa hon o yonda. Ano hon wa omoshiroi]

io ho letto un libro. Quel libro è interessante

Quello che vogliamo realmente affermare è che c’è un libro che riteniamo interessante; il fatto che l’abbiamo letto (magari l’anno scorso…) è un di più, una precisazione. Se il libro in questione fosse stato a portata di mano, avremmo detto “Questo libro è interessante”; se fosse stato visibile, “Il libro rosso è interessante”; e potrei continuare con varie alternative: “Il libro che mi ha regalato Taro è interessante”, “…che mi ha prestato la nonna…”, “…citato nell’articolo…”, “…esposto in vetrina…” e così via. Tutte queste frasi sono in un certo senso aggettivi per il libro.

Poiché abbiamo unito due frasi, possiamo riparlare della differenza tra soggetto ed argomento. Ne avevo accennato proprio all’inizio, con questo esempio:

Il bambino è nel giardino. soggetto = bambino; argomento = bambinoNel giardino c’è un bambino. soggetto = bambino; argomento = giardino.

Nell’esempio attuale possiamo dire che “libro” è l’argomento di tutto il discorso o periodo, mentre “io” è il soggetto della prima frase e “libro” è il soggetto della seconda. Questo vuol dire che, quando saremo riusciti a comporre la nostra frase unica in giapponese, il termine “libro” vorrà la posposizione � [wa] ed “io” si dovrà accontentare di � [ga].

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Il libro che ho letto è interessante

Vi ho confuso abbastanza le idee con la filosofia? E’ per questo motivo che ho riscritto quello che in fin dei conti è il nostro obiettivo, temevo che qualcuno potesse averlo perso di vista. Vorrei però ricordarvi un’ultima cosa: molto spesso in giapponese una frase secondaria è espressa in futsu-tai, anche se ci troviamo in un contesto in cui sarebbe corretto usare la teinei-tai.

Riprendiamo le due frasi tradotte separatamente e, per semplicità, consideriamo solo la forma cortese:

� � � � ������ � � �� � �� [watashi wa hon o yomimashita. Ano hon wa omoshiroi desu]

io ho letto un libro. Quel libro è interessante

Riepiloghiamo quanto abbiamo detto sulla frase secondaria: va in forma piana ed il suo soggetto vuole la posposizione � [ga]. Sono due cose che sappiamo fare:

������� [watashi ga hon o yonda]io ho letto un libro

Inoltre tutto ciò è in pratica un aggettivo per il libro (argomento della frase principale), cioè deve sostituire �� [ano] in

���� �� ��� [ano hon wa omoshiroi desu]quel libro è interessante

ma ripetere la stessa parola è certamente di troppo, ne facciamo a meno:

������� �� ��� [watashi ga yonda hon wa omoshiroi desu]il libro che ho letto è interessante

Molto probabilmente un giapponese avrebbe omesso il pronome “io”, perché in questo caso è intuitivo, ed avrebbe detto:

����� �� ��� [yonda hon wa omoshiroi desu]����� �� � [yonda hon wa omoshiroi]

il libro che ho letto è interessante

Altri esempi

E’ stata dura, ma ce l’abbiamo fatta! Adesso verifichiamo le nostre capacità con gli altri esempi.

• La persona che sta laggiù è mio padre• Queste sono le foto che ho fatto io• A Tanaka piace l’automobile che ha comprato Akiko

Ripetiamo tutti i passaggi con “La persona che sta laggiù è mio padre”:

1) la spezziamo in due parti:laggiù c’è una persona. Quella persona è mio padre

2) le traduciamo separatamente��� � � � ����� � � � �� [asoko ni hito ga imasu. Ano hito wa chichi desu]

3) la frase secondaria va in forma piana�������� [asoko ni hito ga iru]

Page 89: Mumei - Lezioni Di Giapponese I-XIV

4) il suo soggetto deve avere la posposizione � [ga] (questa volta è già a posto)

5) sostituiamo con questa frase l’aggettivo �� [ano], evitando di ripetere l’argomento� [hito]����������� [asoko ni iru hito wa chichi desu]

Riepilogando:

����������� [asoko ni iru hito wa chichi desu]���������� [asoko ni iru hito wa chichi da]

la persona che sta laggiù è mio padre

Adesso proviamo con “Queste sono le foto che ho fatto io”, sempre passo passo:

1) la spezziamo in due parti:io ho fatto delle foto. Queste sono le foto

2) le traduciamo separatamente� � ���� � ������ � ���� �� [watashi wa shashin o torimashita. Kore wa shashin desu]

3) la frase secondaria va in forma piana��������� [watashi wa shashin o totta]

4) il suo soggetto deve avere la posposizione � [ga]��������� [watashi ga shashin o totta]

5) usiamo questa frase come aggettivo del complemento oggetto ���� [shashin], evitando di ripeterlo������������� [kore wa watashi ga totta shashin desu]

Riepilogando:

������������� [kore wa watashi ga totta shashin desu]������������ [kore wa watashi ga totta shashin da]

queste sono le foto che ho fatto io

E’ cambiato poco: la frase secondaria fa da aggettivo di un complemento invece che del soggetto. Nell’ultimo passo abbiamo fatto un’aggiunta invece che una sostituzione, ma questo dipende solo da come ho spezzato la frase inizialmente. Potevo dividerla in “io ho fatto delle foto. Queste sono quelle foto“ ed avremmo ritrovato l’aggettivo �� [ano].

L’ultimo degli esempi dovrebbe ormai essere abbastanza semplice:

!"� � �#�"� � $� % � �# �� [Tanaka san wa Akiko san ga katta kuruma ga suki desu] !"� � �#�"� � $� % � �# � [Tanaka san wa Akiko san ga katta kuruma ga suki da]

a Tanaka piace l’automobile che ha comprato Akiko

Lo so che qualcuno avrà una grande confusione in testa, ma spero che con un altro paio di esempi riuscirete tutti a intravedere il meccanismo:

&'(�)�*�+�,��� [piano o hiru tomodachi ni aimashita]&'(�)�*�+�,� [piano o hiru tomodachi ni atta]

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ho incontrato un amico che suona il piano

����-�./�0�12345�� [koko ni wa kanojo ga taberu resutoran desu]����-�./�0�12345� [koko ni wa kanojo ga taberu resutoran da]

questo è il ristorante dove mangia lei

Marito, moglie e figli

Allarghiamo la nostra famiglia e consideriamo i rapporti coniugali. Continua ad essere valido il discorso di differenziare i termini per parlare del proprio coniuge o di quello altrui.

famiglia propria famiglia altrui

marito6 [otto]

7� [shujin]

87� [goshujin]

moglie-9� [kanai]

:� [tsuma]

;"� [okusan]

La parola 6 [otto] si utilizza solo per indicare il proprio marito, mentre 7� [shujin] può in realtà essere usato anche in termini più generali. Con il prefisso onorifico 8 [go] otteniamo 87�[goshujin].

Le parole -9� [kanai] e :� [tsuma] sono equivalenti; se vogliamo essere ancor più cerimoniosi possiamo anche sostituire il suffisso "� [san] con "�[sama]: ;"�[okusama].

Adesso consideriamo i figli. Bisogna distinguere tra maschi e femmine, ed inoltre ci sono dei termini specifici per indicare i maggiori in età. La deferenza verso i figli altrui è mostrata dall’uso del suffisso -"� [-san].

Il proprio figlio maschio è <= [musuko], mentre quello altrui è <="� [musukosan]. Il figlio maggiore si chiama >? [ch tan].

Per le ragazze invece abbiamo rispettivamente @ [musume], @"� [musumesan] e>A [ch jo].

Dovere

Il verbo dovere non esiste in giapponese, si usano dei giri di parole, perché l’espressione “dovere” è troppo forte, troppo diretta. Non possiamo ancora capire completamente queste costruzioni, ma considerato che sono abbastanza semplici da fare e che prevedono l’uso della nai-kei, ve le presento.

Una prima forma in pratica proibisce di non fare. La costruzione è:

V-9���B�C� [V-nai to ikemasen]

dove V-9� [V-nai] rappresenta un verbo in nai-kei e � �B�C� [to ikemasen] indica una proibizione:

0�#/D�9���B�C� [benky shinai to ikemasen]devi studiare (letteralmente: è proibito non studiare)

E09���B�C� [tabenai to ikemasen]

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devi mangiare

La seconda forma forse è ancora più subdola e sembra uno scioglilingua:

V-9B�F9��C� [V-nakereba narimasen]

il verbo va coniugato in nai-kei, poi la -� [-i] finale si trasforma in -B�F [-kereba] e si aggiunge 9��C� [narimasen], masu-kei negativa del verbo 9� [naru], diventare. Non entro nei dettagli, ma un verbo coniugato in questo modo indica un condizionale negativo. Il senso di tutta l’espressione è quindi “se non (fai) V, non diventi”. Che cosa non si diventi, non è espresso, rimane una minaccia… (è per questo che la considero un’espressione subdola).

G-9B�F9��C� [ikanakereba narimasen]devi andare

H9B�F9��C� [minakereba narimasen]deve guardare

Ripeto, non cercate adesso di capire il perché e il per come, prendete queste espressioni così come sono, soltanto per arricchire il nostro vocabolario. E non pretendete di poter subito usare anche la forma negativa: “non devi toccare”, “non devi bere birra”. Abbiate pazienza!

Note

Una volta che siamo riusciti a comporre una proposizione relativa in forma cortese, basta modificare il verbo della principale per metterla in forma piana (vale anche il viceversa!).

In italiano si usa più l’espressione “fare una foto”, che “prendere una foto”. In giapponese invece, più la seconda. Infatti il verbo �� [toru] vuol dire “prendere”, anche in senso di rubare. Ma l’espressione ������� [shashin o toru] non ha nulla di negativo.

Riguardiamo questo esempio sulle proposizioni relative:

!"� � �#�"� � $� % � �# �� [Tanaka san wa Akiko san ga katta kuruma ga suki desu] !"� � �#�"� � $� % � �# � [Tanaka san wa Akiko san ga katta kuruma ga suki da]

a Tanaka piace l’automobile che ha comprato Akiko

La posposizione � [ga] compare due volte. La prima è il soggetto della frase secondaria, che da sola suonerebbe come:

�#�"��%�$� [Akiko san ga kuruma o katta]Akiko ha comprato un’automobile

la seconda volta invece è parte integrante della struttura che traduce il verbo piacere: “X � Y ��# ��” [X wa Y ga suki desu], dove Y è ciò che piace ed X la persona che prova questa sensazione.

Ricordatevi che non tutte le proposizioni che contengono il “che” possono essere tradotte con questa forma. Per esempio quelle che in realtà indicano le parole o il pensiero di qualcuno hanno tutta un’altra costruzione:

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I�J�#�K-��L��� [Taro wa tenki ga yokatta to iimashita]I�J�#�M-��L� [Taro wa tenki ga yokatta to itta]

Taro ha detto che il tempo era buono

Il kanji M� [ii, yoi] non è molto usato, forse perché in questo caso è veramente molto più rapido usare l’hiragana. E’ però utilizzato per comporre molti altri kanji, come ad esempio in E0�[taberu], mangiare.

Kanji

6 [otto] marito. Abbiamo il kanji di N#� [ookii], grande, con un altro segno che rappresenta uno spillone per capelli. Siamo quindi di fronte ad un uomo fatto, cresciuto.

7 [omo] signore, padrone. Il segnetto in alto indica una fiamma, per la precisione quella del fuoco sacro. La parte inferiore è il suo guardiano, quindi un signore (nel senso di persona cha ha un certo potere), un padrone.

7� [shujin] marito. Abbiamo il segno di padrone e quello di persona, come dire che la persona che può fare da padrone è il marito….

;"� [okusan] moglie (altrui). Dovete cercare di vedere questo kanji scomposto in varie parti. Non so se riuscite a visualizzarlo abbastanza bene, ma grosso modo è formato da una linea orizzontale, sotto la quale ci sono due linee oblique. Altri tratti servono a completare il disegno di un quadrato con uno sbuffo in cima. Infine dentro la figura c’è un altro disegno, più piccolo, che rappresenta del riso. I tratti che completano il quadrato vogliono indicare una stanza interna alla nostra casa, privata. La moglie è colei che conserva il riso nella nostra casa (qui il riso non è solo il cibo, ma tutto ciò che concorre al benessere).

M� [ii, yoi] buono, positivo. In questa figura c’è un setaccio (i due rettangoli al centro); dall’alto entra qualcosa nel setaccio e ciò che ne esce è la parte scelta, il “buono”.

E0� [taberu] mangiare. La parte superiore è un coperchio, sotto c’è qualcosa di buono: del cibo tenuto in caldo per essere mangiato.

O [chikara] forza. Avete presente un uomo che vuol mostrare tutta la sua forza e gonfia il torace tenendo le braccia abbassate e leggermente allargate? un po’ come nella camminata di Braccio di Ferro… Questo kanji rappresenta proprio queste braccia muscolose.

? [otoko] uomo, maschile. Il kanji è composto di due parti: un capo di riso e la forza. Per coltivare bene un campo di riso occorre la forza di un uomo.

A [onna] donna, femminile. E’ una donna inginocchiata: la linea orizzontale rappresenta le braccia, quella che sporge in alto è la testa, le altre sono le gambe.

P [ji] questo kanji non ha un significato di per sé, ma è usato come prefisso in una serie di parole ed ha un significato molto simile al nostro “auto” delle parole autoritratto, autobiografia… Indica quindi qualcosa che riguarda sé stessi. Il disegno viene da quello di Q [me], occhio, con in più un piccolo tratto. Cos’è che si trova ad una così piccola distanza dagli occhi? il naso, che come già sappiamo ci rappresenta, è il nostro io.

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< [iki] respiro. La parte inferiore l’abbiamo già incontrata, è un radicale che indica il cuore; quella superiore è il naso, cioè noi stessi: il respiro è qualcosa che viene proprio da noi, la nostra essenza.

<= [musuko] figlio maschio. Un piccolo, un bambino, che viene dal nostro io.

>? [ch tan] figlio maggiore. Il primo kanji rappresenta dei capelli lunghi, fermati sulla nuca. Era la tipica acconciatura degli uomini, quindi è passato ad indicare qualcuno già grande. Il secondo kanji ci dice soltanto che questa persona è di sesso maschile.

@ [musume] figlia. Questo ideogramma è composto da altri due, quello di donna e quello di buono: una figlia è una donna che è ancora buona.

>A [ch jo] figlia maggiore. E’ speculare al figlio maggiore, >? [ch tan].

Vocaboli

;"�[okusama] moglie (altrui);"� [okusan] moglie (altrui)6 [otto] marito-9� [kanai] moglie87� [goshujin] marito (altrui)���� [shashin] fotografia7� [shujin] marito>A [ch jo] figlia maggiore>? [ch tan] figlio maggiore:� [tsuma] moglie�� [toru] prendere<= [musuko] figlio maschio<="� [musukosan] figlio maschio (altrui)@ [musume] figlia@"� [musumesan] figlia (altrui)

© 2000 – 2002. Testo a cura di Anna Mumei, elaborato per il sito Giappone Giappone. Tutti i diritti sono riservati. E’ consentito l’utilizzo di questo documento esclusivamente a scopo educativo. E’ dunque vietata la riproduzione sia parziale che totale di tutto il documento, senza l’autorizzazione di Anna Mumei e di Alice Buda (rispettivamente autrice del testo e detentrice dei diritti per il sito Giappone Giappone).

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