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6,00 EURO - TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANESPA - SPED. IN ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1 COMMA 1, DCB 1 GENNAIO 2014 Il Congo «messo a fuoco»

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1GENNAIO 2014

Il Congo«messo a fuoco»

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Anno XLI, numero 1

Confronti, mensile di fede, politica, vita quotidia-na, è proprietà della cooperativa di lettori ComNuovi Tempi, rappresentata dal Consiglio di Am-ministrazione: Ernesto Flavio Ghizzoni (presi-dente), Stefano Toppi (vicepresidente), Gian Ma-rio Gillio, Piera Rella, Stefania Sarallo.

Direttore Gian Mario GillioCaporedattore Mostafa El Ayoubi

In redazioneLuca Baratto, Antonio Delrio, Franca Di Lecce,Filippo Gentiloni, Adriano Gizzi, Giuliano Liga-bue, Michele Lipori, Rocco Luigi Mangiavilla-no, Anna Maria Marlia, Cristina Mattiello, Da-niela Mazzarella, Luigi Sandri, Stefania Saral-lo, Lia Tagliacozzo, Stefano Toppi.

Collaborano a ConfrontiStefano Allievi, Massimo Aprile, Giovanni Ave-na, Vittorio Bellavite, Daniele Benini, Dora Bo-gnandi, Maria Bonafede, Giorgio Bouchard, Ste-fano Cavallotto, Giancarla Codrignani, GaëlleCourtens, Biagio De Giovanni, Ottavio Di Gra-zia, Jayendranatha Franco Di Maria, Piero DiNepi, Monica Di Pietro, Piera Egidi, MahmoudSalem Elsheikh, Giulio Ercolessi, Maria AngelaFalà, Renato Fileno, Giovanni Franzoni, PupaGarribba, Francesco Gentiloni, Maria RosariaGiordano, Svamini Hamsananda Giri, GiorgioGomel, Laura Grassi, Bruna Iacopino, Domeni-co Jervolino, Maria Cristina Laurenzi, GiacomaLimentani, Franca Long, Maria ImmacolataMacioti, Anna Maffei, Fiammetta Mariani, Daf-ne Marzoli, Domenico Maselli, Lidia Menapace,Mario Miegge, Adnane Mokrani, Paolo Naso,Luca Maria Negro, Silvana Nitti, Paolo Odello,Enzo Pace, Gianluca Polverari, Pier GiorgioRauzi (direttore responsabile), Josè Ramos Re-gidor, Paolo Ricca, Carlo Rubini, Andrea Sab-badini, Brunetto Salvarani, Iacopo Scaramuzzi,Daniele Solvi, Francesca Spedicato, Valdo Spini,Valentina Spositi, Patrizia Toss, Gianna Urizio,Roberto Vacca, Cristina Zanazzo, Luca Zevi.

Abbonamenti, diffusione e pubblicitàNicoletta CocretoliAmministrazione Gioia GuarnaProgrammi [email protected] tecnica e grafica Daniela Mazzarella

Publicazione registrata presso il Tribunale diRoma il 12/03/73, n. 15012 e il 7/01/75,n.15476. ROC n. 6551.

Hanno collaborato a questo numero: V. Albanesi, G. Battaglia, G. Corona, A.D’Eramo, P. Ferrero, M.J. Molina, C.Onana, E. Tesoriere, W. Tocci, R. Volpe.

Le immaginiIl Congo «messo a fuoco» · Matteo Merletto, copertinaRifugiarsi dalla guerra · Matteo Merletto, 3

Gli editorialiDisoccupazione: una questione di classe · Paolo Ferrero, 4La crisi morde solo i poveri · Vinicio Albanesi, 5Il Pd si è messo in gioco con i cittadini · Walter Tocci, 6La primavera verde militare d’Egitto · Mostafa El Ayoubi, 7

I serviziChiesa cattolica Quo vadis? Il sogno di papa Francesco · Luigi Sandri, 9Congo La guerra utile all’Occidente · (intervista a) Charles Onana, 12Laicità L’Europa di fronte al «fattore R» · Gaëlle Courtens, 15Battisti Celebrati i 150 anni di presenza in Italia · Michele Lipori, 18

La via italiana al battismo · (intervista a) Raffaele Volpe, 19Ambiente Cambiamento climatico: la colpa è dell’uomo · Mario José Molina 21Spiritualità Sincretismo religioso o nomadismo spirituale? · Gino Battaglia, 24Cultura Come il grano dalle fenditure della roccia · Giuliano Ligabue, 27Incontri/Fassone Con la Resistenza e la Costituzione nel cuore · Piera Egidi Bouchard, 29

Le notizieDiritti umani Sette milioni di madri bambine nel mondo, 31

Acat: il Benin introduca il reato di tortura, 31Le multinazionali violano i diritti dei popoli indigeni, 31

Corea del Nord I campi di prigionia politica, 32Qatar Le gravi condizioni della manodopera immigrata, 32Dialogo Presentati a Roma i calendari per la pace 2014, 32Dibattito Un convegno su antisemitismo e antisionismo, 33

Le rubricheIn genere Un problema innanzitutto maschile · Anna Maria Marlia, 34Note dal margine La Gerusalemme tradita · Giovanni Franzoni, 35Osservatorio sulle fedi Un osservatorio su religioni e diritto · Antonio Delrio, 36Spigolature d’Europa Il nazismo becero e quello «politicamente corretto» · Adriano Gizzi, 37Diari dal Sud del mondo Una gita alla scoperta della propria terra · Giada Corona, 38Cinema Placare il rancore seguendo il respiro dei boschi · Andrea D’Eramo, 39Libro «La morte è parte della vita, la dignità supera la morte» · G.M. Gillio, 40Libro 1510: il viaggio di Lutero a Roma · Antonio Delrio, 41Libro Divorzio, nuove nozze e penitenza nella Chiesa primitiva · D. G., 42

all’interno

INDICE 2013

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CONFRONTI

1/GENNAIO 2014WWW.CONFRONTI.NET

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LE IMMAGINI

Il conflitto a bassa intensità nella Repubblica democratica del Congo provoca la morte di centinaia di persone al giorno nel silenzio assordante dei mezzi di comunicazione.

Tutto ciò giova alle grandi multinazionali che sfruttano le risorse di questo paese.

Le foto si riferiscono al servizio di pagina 12 e sono state scattate a Kinshasa e dintorni da Matteo Merletto.

RIFUGIARSI DALLA GUERRA

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GLI EDITORIALI

Disoccupazione: unaquestione di classePaolo Ferrero

La disoccupazione è il principale pro-blema dell’Italia. Milioni di disoccupa-ti, di precari e sottoccupati, di personeche hanno smesso di cercare lavoro.

Poco meno di dieci milioni di persone nonriescono ad avere un lavoro, non dico soddi-sfacente, ma semplicemente che gli permet-ta di vivere decentemente. Il governo diceche per uscire da questa situazione occorreabbassare le tasse sul lavoro, in modo da ren-dere più competitive le imprese e quindi au-mentare l’occupazione. La cosa che non diceil governo è che la bilancia dei pagamenti èin attivo e cioè che l’Italia esporta più mercidi quante ne importi. Questo significa chel’industria italiana riesce a stare decentemen-te sul mercato mondiale e che il problemanon viene principalmente da lì.

Da dove viene il problema? Viene da uncrollo verticale dei consumi interni, delmercato interno. In pochi anni i consumi sisono ridotti drasticamente e siamo tornatial livello dei consumi di venti o trenta annifa. Come mai si sono ridotti i consumi in-terni? Perché è crollato il potere d’acquistodegli strati popolari: negli ultimi trent’anniabbiamo assistito ad una redistribuzionedella ricchezza italiana dai poveri ai ricchidi dimensioni enormi, con 10 punti di Pil(pari a circa 150 miliardi di euro all’anno)sono passati dai redditi da lavoro e da pen-sione ai profitti e alle rendite. È il più gigan-tesco trasferimento di risorse che si sia vi-sto in Occidente, maggiore di quello che èriuscito a fare la signora Thatcher ai dannidei lavoratori inglesi. In Italia tutto questo èaccaduto con il sostanziale consenso delPds/Ds/Pd e di larga parte del sindacatoconfederale.

In questa situazione il tema della giustiziasociale, cioè della redistribuzione del reddi-to dall’alto verso il basso, è tutt’uno con il ri-lancio dei consumi interni e questa è la con-dizione necessaria al fine di aumentare l’oc-cupazione. Anche perché una eventuale ri-presa economica trainata dalle esportazioni,se non supera l’1%, non può dare alcun risul-tato positivo in termini occupazionali. L’au-

mento della produttività delle impreseesportatrici è infatti mediamente dell’1% al-l’anno. Per questo è semplicemente impos-sibile avere una qualche soluzione del pro-blema dell’occupazione in assenza di un de-ciso intervento dello Stato in economia. Perquesto Rifondazione comunista ha avanza-to la proposta di dar vita ad un piano del la-voro e della riconversione ambientale dell’e-conomia. Questo piano si basa su due pila-stri. In primo luogo il reperimento delle ri-sorse necessarie per finanziare il piano: pa-trimoniale sulle grandi ricchezze, tetto di sti-pendi e pensioni al di sopra dei 5000 euro almese, fermo delle grandi opere inutili e dan-nose (come Tav e acquisto degli F35), lottaalla grande evasione fiscale, equiparazionedella tassazione dei redditi da capitale con latassazione dei redditi da lavoro ecc. Da que-ste diverse fonti si possono recuperare pocomeno di 100 miliardi di euro all’anno. Conquesti soldi è possibile dar vita a posti di la-voro attraverso più azioni. In primo luogoabolendo la riforma Fornero sulle pensionie ristabilendo l’età per andare in pensione a60 anni. In secondo luogo dando vita ad unpiano di riassetto idrogeologico del territo-rio, ad un piano per mettere a norma acque-dotti e fognature, ad un piano per mettere anorma e rendere autonomi energeticamen-te tutti gli edifici pubblici a partire dallescuole, ad un piano per la piena valorizza-zione del patrimonio archeologico e musea-le, la piena copertura delle piante organichenella sanità, nell’istruzione e nella pubblicaamministrazione in generale. Com’è eviden-te, un intervento di tal fatta metterebbe inmoto lavoro pubblico e lavoro privato, insettori ad alta utilità sociale e darebbe vitaad un milione e mezzo di posti di lavoro nel-l’arco di tre anni. Ovviamente il tutto deter-minerebbe un significativo aumento dei con-sumi interni e anche un significativo aumen-to delle entrate dello Stato, cioè un volanoper uscire dalla crisi che a sua volta darebbeluogo ad altri posti di lavoro.

Perché il governo non lo fa, visto che que-sta proposta non richiede la modifica dei pa-rametri e dei vincoli europei? Perché il gover-no italiano, il suo presidente del Consiglio e ilsuo azionista di riferimento – il Pd – sono in-tegralmente liberisti e difendono gli interessidelle classi sociali che vedrebbero ridursi i lo-ro privilegi dall’applicazione di un simile pia-no finalizzato al benessere sociale.

«Il tema della giustiziasociale, cioè dellaredistribuzione delreddito dall’alto verso ilbasso, è tutt’uno con ilrilancio dei consumiinterni e questa è lacondizione necessaria alfine di aumentarel’occupazione. Èsemplicementeimpossibile avere unaqualche soluzione delproblemadell’occupazione inassenza di un decisointervento dello Statoin economia». Ferrero èsegretario diRifondazionecomunista.

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GLI EDITORIALI

La crisi morde solo i poveriVinicio Albanesi

La crisi economica e sociale che mordein Italia non lascia scampo alle politi-che sociali. I tagli orizzontali che par-tono dal governo centrale riverberano

fino alle periferie, passando per le Regioni.Ogni responsabile, a vari livelli, ribalta in al-to la decisione, creando una catena che vuo-le giustificare, ma che non giustifica nulla.Dal governo alle Regioni, dalle Regioni ai Co-muni e la soluzione sembra trovata. Peccatoche, nel mezzo dei tagli, chi paga è comun-que persona fragile: per le proprie condizio-ni di salute e per quelle di sopravvivenza.

I dati statistici sono crudeli: le persone sicurano di meno. È diminuito il gettito deiticket sanitari; cinque milioni di persone han-no rinunciato al dentista, un milione di bam-bini sono poveri. Nell’impossibilità di farfronte alle spese, si rimanda anche il necessa-rio, sperando che il domani sia migliore. Nonsolo: le categorie forti o comunque tutelatenon cedono di un millimetro. Difendono ipropri interessi e nessuna solidarietà viene of-ferta a chi sta peggio. Si crea l’assurdo che chiha non molla nulla; chi chiede, rimane fuoridella distribuzione. Per qualcuno la crisi nonmorde affatto; al massimo cresce l’incertezzae la paura che le tutele possano terminare. Nési riesce a trovare il bandolo della matassa.

L’attenzione è tutta orientata alla mancan-za delle risorse. Cosa vera, ma anche falsa. Lerisorse sono da una parte mal distribuite edall’altra sono sottratte. Due dati: 130 miliar-di costituiscono l’evasione fiscale. Sono risor-se di persone che certamente non vivono nel-l’indigenza, ma che non sono affatto dispostea solidarizzare, anzi preferiscono commette-re reato, piuttosto che accontentarsi di pos-sedere meno. L’altro dato – ugualmente uffi-ciale – dice che la forbice tra ricchi e poveriva allargandosi da almeno dieci anni. Espe-rienza vissuta da chi, nel dopoguerra, ha as-sistito all’arricchimento di qualcuno, nono-stante la povertà dell’Italia di allora.

In questo quadro desolante si innesta la cri-si – o forse ne è conseguenza – della politica.Non c’è idea di futuro. Nemmeno sono statetracciate le linee delle priorità. La gestione

decisionale si è accartocciata all’interno di unmondo che dovrebbe tutelare il bene comu-ne, ma che è invece tutto orientato alla spar-tizione della gestione. Nonostante gli inviti aparlare di «cose concrete», la risposta è river-sa su chi questo potere lo eserciterà.

Sembrano perduti anche gli orientamentipiù elementari. L’attenzione è tutta sui nume-ri, dimenticando persone, disagi, sofferenze.Un circolo vizioso che invoca equità e giusti-zia, ma che nessuno ha la forza di proporre,nell’illusione che, cambiando le regole delgioco, si possa stabilire equilibrio.

Nessuno ha il coraggio di lanciare un mes-saggio morale: dire chiaramente che cosa èingiusto e che cosa occorre recuperare; chideve cedere e chi recuperare. Le categorie amaggiore rischio sono quelle più fragili. Nonoccorre molta fantasia per individuare disa-bili, anziani, marginali, disoccupati, famiglienumerose, immigrati irregolari sfruttati, ope-rai, giovani, artigiani. A costoro non è offer-ta nemmeno speranza. Ciascuno è costrettoad arrangiarsi. Se ha una cintura di solida-rietà che gli deriva dalla famiglia, riesce a so-pravvivere anche se con difficoltà; a chi rima-ne solo, non rimane che ricorrere alle operecaritative che, in questi ultimi tempi, hannorisposto più abbondantemente a richieste edisperazione.

La situazione è ancora più grave per chi vi-ve un effettivo stato di prostrazione e di im-mobilità: malati gravi, anziani soli, personesenza reddito. Chi ha comunque qualche ri-sorsa (istruzione, giovane età, mobilità) ten-ta altrove, ma chi non sa dove andare nonpuò che fare cena con un po’ di latte e accon-tentarsi di un solo pasto caldo.

Il tutto nell’indifferenza collettiva che, dauna parte, è distratta dalle superficialità (ve-di i programmi televisivi) e dall’altra concen-trata nella propria condizione che è vissutacome precaria, dimenticando la scala delleprovvisorietà. Sono scomparsi i momenticollettivi, ma anche i «sogni». Si è sclerotiz-zata una situazione per cui le contrapposi-zioni sono diventate intoccabili, prevalendo,naturalmente, quelle dei più forti.

Qualcuno – per la verità sommessamente –si appella ai deboli perché si facciano sentire,smentendo la realtà: se qualcuno è debole, co-me è possibile che si faccia sentire? L’appello,forte e chiaro, è per chi è già tutelato. Se nonper generosità, almeno per interesse. Senza latutela del vivere collettivo, la maggior parte

Si dice sempre «siamotutti sulla stessa barca»,ma in realtà – comespiega a Confronti don Vinicio Albanesi,presidente dellaComunità di Capodarco– la forbice tra ricchi e poveri va allargandosida almeno dieci anni e c’è una parte di italiani che non ha modificato in modorilevante il proprio stiledi vita, mentre altrimilioni che si vedonocostretti a rinunciarenon solo al superfluo,ma anche alle curemediche. Ci sono poi,nell’Italia del 2014, un milione di bambini poveri.

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GLI EDITORIALI

delle persone, per le risorse limitate che ha, ri-schia grosso. Ma solo solidarietà e un sistemadi sicurezze garantito possono attutire even-tuali difficoltà future. La vita delle popolazio-ni dell’Occidente è diventata complessa e one-rosa. Va, di conseguenza, aggiornato anche ilsistema di tutela, per i momenti di crisi. Siamogià in ritardo perché i miglioramenti pure rag-giunti sono datati anni ’70. Vanno aggiornati icomparti dell’istruzione, della salute, dell’assi-stenza, della previdenza. Non si può assisterepassivamente alle cose che non funzionanopiù, ignorando la situazione o affidandosi aqualcuno o qualcosa che non esiste. Significasoltanto permettere altre sofferenze e disagi.

L’urgenza è forte: in caso di passività assi-steremmo a un ritorno indietro della tuteladelle persone nei loro bisogni essenziali. Unacondizione che aggraverebbe disuguaglianzee abbandoni, con fasce di popolazioni sem-pre più benestanti e parte di popolazione ab-bandonata e marginale. La coscienza moralee civile non lo permette, qualunque siano iprincipi sociali, culturali e religiosi ai qualiciascuna coscienza civile fa riferimento.

Il Pd si è messoin gioco con i cittadiniWalter Tocci

Le primarie si confermano come una po-tente leva di cambiamento. Ha vinto ilgrande Pd dei tre milioni di cittadini eha perso il piccolo Pd del ceto politico

Ds e Margherita, ormai logorato da tantesconfitte. La guida è passata nelle mani dellanuova generazione. All’improvviso un parti-to ripiegato in se stesso è stato capace di par-lare al futuro proprio mentre gli altri guarda-vano indietro. I comici non fanno più ridere:da una parte il Cavaliere ripropone triste-mente il proprio fallimento, dall’altra Grillopronuncia parole mortifere per nascondere lapropria inutilità. In un momento tanto diffi-cile per la democrazia italiana, proprio a cau-sa della legge elettorale che ha fatto veniremeno il rapporto tra eletti ed elettori, il Pd siè messo in gioco con i cittadini e ha cercatouna via d’uscita dalla sua crisi.

Renzi ha parlato di un partito con la schie-na dritta che intende liberarsi dalla maledet-ta subalternità prodotta dalle larghe intesedei 101. Bene, ora dovrà passare dalle paroleai fatti, dovrà superare le ambiguità del pas-sato, dovrà chiarire il suo progetto. Si capiràse il Pd è davvero in grado di cambiare la po-litica italiana da come verranno sciolti duenodi: la decisione e la crisi.

1) Da quasi un trentennio si è affidata ladecisione a persone sole al comando, a rifor-me istituzionali che favoriscono i governi emortificano le assemblee rappresentative, apoteri tecnocratici apparentemente neutraliche invece impongono interessi di partesempre con la scusa dell’emergenza. Nono-stante, o forse proprio a causa di questa ver-ticalizzazione, il paese è diventato ingover-nabile. Invece, la decisione va ricercata nelladirezione opposta ovvero nel coinvolgimen-to delle forze più vitali della società. L’ultimorapporto Censis ha dimostrato che la deca-denza italiana è causata soprattutto dall’igna-via dell’establishment, mentre ci sono ener-gie che pur non trovando rappresentanza népolitica né mediatica operano quotidiana-mente nella vita reale, dai territori della nuo-va economia ai giovani che hanno la testa nelmondo, alle buone pratiche di integrazione

«Occorre ricreare grandipartiti popolarimoderni, certo fuoridagli schemi irripetibilidel Novecento, macapaci di suscitare nellasocietà la forza delcambiamento. Il Pd è inbilico, la crisidell’establishment loattira nella dimensioneverticale ma lapartecipazione delleprimarie lo orienta nellosguardo orizzontale.Tutto dipende dal ruoloche si vorrà dare ai tremilioni di cittadini deigazebo».Già vicesindaco di Romanegli anni ’90, Tocci èsenatore del Partitodemocratico e direttoredel Centro per lariforma dello Stato.

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GLI EDITORIALI

dei migranti. D’altro canto, le cose miglioridella storia nazionale non sono mai state rea-lizzate dall’alto, ma sempre dall’ingegno so-ciale che si esprime nella vita associata, daidistretti industriali alle scuole del tempo pie-no. La politica ha perduto il contatto conquesta dimensione orizzontale perché si èstatalizzata nella gestione della burocrazia edella spesa pubblica. Per invertire la tenden-za occorre ricreare grandi partiti popolarimoderni, certo fuori dagli schemi irripetibi-li del Novecento, ma capaci di suscitare nel-la società la forza del cambiamento. Il Pd è inbilico, la crisi dell’establishment lo attira nel-la dimensione verticale ma la partecipazionedelle primarie lo orienta nello sguardo oriz-zontale. Tutto dipende dal ruolo che si vorràdare ai tre milioni di cittadini dei gazebo. Sesono chiamati solo la domenica per acclama-re il solito leader che promette la vittoria epoi perde le elezioni si ripeteranno le delu-sioni degli anni passati. Se invece – comesuggerisce Fabrizio Barca – saranno chiama-ti i giorni feriali per partecipare alle decisio-ni, per condividere progetti piccoli e grandi,per verificare i risultati degli eletti, nasceràuna forza popolare del cambiamento.

2 ) La chiamiamo crisi ma si tratta di unatrasformazione del capitalismo che mette indiscussione la geopolitica, i modi di produ-zione e gli stili di vita. Molti pensano che sipossa ricominciare come prima: i poteri eco-nomici ripropongono le stesse ricette che cihanno messo nei guai; anche la vecchia sini-stra si illude che finito l’inganno liberista dipossa tornare agli anni Settanta. Per la sini-stra nuova, invece, è l’occasione di metterequalcosa di suo nel passaggio d’epoca.Avremmo dovuto capirlo quando nel referen-dum dell’acqua del 2011 la saggezza popola-re ci ha indicato la soluzione: se c’è una crisimondiale curiamo ciò che abbiamo di comu-ne, servirà a sortirne insieme. Avremmo do-vuto rispondere con un credibile programmadi governo orientato nella green economy,nell’impresa sociale, nei saperi di avanguar-dia, nella cura delle persone. Non si tratta so-lo di spesa pubblica, ma di occasioni per crea-re nuove imprese e lavoro qualificato. La po-tenza produttiva del lavoro contemporaneo èinusitata. Il valore aggiunto che scaturiscedalle mani e dalle menti dei nostri giovaninon ha precedenti nella storia umana. Sononativi digitali, parlano le lingue, pretendonola trasparenza del potere e superano le angu-

stie provinciali. Perché allora sono costretti avivere male? Chi se la prende la ricchezza cheproducono e chi la spreca tenendoli disoccu-pati? Bisogna pensare alla rovescia del mon-do attuale per progettare le vere riforme chemigliorano la vita dei cittadini. Alla nuova ge-nerazione che guida il Pd rivolgo l’augurio diliberarsi delle vecchie ideologie e di proporrenuove ambizioni per la sinistra italiana.

La primavera verde militare d’EgittoMostafa El Ayoubi

La rivoluzione del 25 gennaio 2011 inEgitto, alla quale, a partire da piazzaTahrir, avevano partecipato milioni dicittadini delle più svariate tendenze

politiche, culturali e religiose, aveva portatol’11 febbraio dello stesso anno alla caduta delregime di Mubarak durato 30 anni.

Due anni e mezzo dopo una seconda «rivo-luzione», quella del 30 giugno 2013, ha por-tato alla destituzione di Morsi, eletto democra-ticamente presidente un anno prima. Diversa-mente dalla prima, questa seconda «rivolta»popolare è stata messa in atto da una parte del-la popolazione che aveva piazza Tahrir comequartier generale. Nel mentre la parte della po-polazione fedele a Morsi aveva scelto la piaz-za Rabia al Adawiya come luogo simbolo diprotesta contro la rimozione e l’incarcerazio-ne del loro presidente da parte della giunta mi-litare. Gli anti-Morsi avevano sostenuto la re-pressione violenta perpetrata dall’esercito aidanni dei pro-Morsi e avallato la reintroduzio-ne (temporanea!) dello stato di emergenza.

Questo episodio ha di fatto sancito unagrave spaccatura sociale all’interno di un pae-se alle prime armi con il gioco della demo-crazia. E ha ridimensionato il sogno inizialedi un futuro Egitto finalmente democratico,prospero e sovrano. Si è quindi ritornati alpunto di partenza di tre anni fa.

Ma chi sono realmente i responsabili diquesta involuzione? In molti attribuisconola colpa al movimento dei Fratelli musulma-ni (Fm). Ciò è vero ma solo in parte. I Fm,forti di un sostegno popolare, sono giunti alpotere nel 2012 in un contesto politico, so-ciale ed economico molto fragile. Dopo la ri-voluzione, i Fm avevano subito avallato una

Dopo l’estromissione delpresidente Morsi, chevoleva imporre unaCostituzione islamista efomentava lo scontrointerconfessionale trasunniti e sciiti, a giugnoscorso gli egiziani sonotornati in milioni apiazza Tahrir e la giuntamilitare ha preso inmano il potere,mettendo fuori gioco iFratelli musulmani. Ma iproblemi politici esociali restano: mentrel’élite militare controllabuona partedell’economia, il paeseversa ancora incondizioni di gravepovertà.

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GLI EDITORIALI

Costituzione rimaneggiata dai militari e sot-toposta a referendum nel marzo 2011 perpoter arrivare subito alle elezioni: avevanotrionfato alle legislative e vinto – anche se dimisura, con il 51% – alle presidenziali con illoro candidato Morsi. Quest’ultimo, legitti-mato dalle urne e sostenuto da alcune po-tenze occidentali, pensava ingenuamente didisporre di un potere assoluto: si era attri-buito diversi poteri costituzionali e avevaimposto agli egiziani una nuova Costituzio-ne redatta da una commissione in maggio-ranza islamista e con impronta marcata-mente religiosa. La politica di Morsi avevainoltre fomentato lo scontro interconfessio-nale tra sunniti e sciiti. Aveva interrotto lerelazioni diplomatiche con il regime alawita(sciita) in Siria dopo che i teologi egiziani vi-cini ai Fm avevano emesso una fatwa per iljihad contro al-Assad. In seguito a questapresa di posizione, un imam sciita egizianoed esponenti della sua comunità sono statitrucidati da fanatici jihadisti il 24 giugnoscorso in un villaggio vicino al Cairo.

Nei discutibili provvedimenti presi daMorsi – nel suo anno di governo – una par-te della popolazione ha avvertito lo spettrodi un dittatore religioso e quindi si è mobili-tata. La storia ci dirà se questa mobilitazioneè stata spontanea o etero-diretta. Sta di fattoche il 30 giugno scorso gli anti-Morsi (in mi-lioni) avevano partecipato ad un’azione di ri-bellione a piazza Tahrir e il 3 luglio la giuntamilitare aveva arrestato Morsi e diversimembri dei Fm e ripreso in mano il potere. Iprotagonisti di quella ribellione avevano ac-colto festosamente quello che di fatto è statoun colpo di stato militare camuffato dietrouna mobilitazione di civili.

I Fm hanno avuto senza dubbio le loro gra-vi colpe nel gestire la fase di transizione po-st-rivoluzionaria. Tuttavia i militari riman-gono i principali responsabili dell’impasse incui versa l’Egitto. L’élite delle forze armate èstata da sempre una parte strutturale dellaperenne crisi egiziana: ha dominato il paesedal 1952 fino al 2011 e di democrazia non siera mai (pre)occupata.

L’Egitto, nonostante le sue risorse naturalie umane, patisce – oltre ad una crisi politicacronica – gravi problemi di povertà e sotto-sviluppo. Il 20% della popolazione vive al disotto della soglia di povertà. Ciononostante,l’esercito egiziano è una delle più ricche for-ze armate del mondo. L’élite militare control-

la il 30-40% dell’economia del paese. Parlan-do solo nel settore civile, essa dispone diaziende che producono pasta, olio, acqua mi-nerale, elettrodomestici; gestisce una catenadi stazioni di servizio (Al-Watania) per lavendita dei carburanti. È inoltre proprietariadi terreni, aziende agricole, immobili e altro.Le attività economiche produttive della giun-ta militare sono esonerate dalle tasse e i suoibilanci economici sono considerati top secret:la violazione è soggetta a sanzioni penali.

L’onnipotenza dell’esercito militare egizia-no deriva anche dal grosso sostegno da partedegli Usa che considerano l’Egitto uno snodostrategico per la loro politica in Medio Orien-te. Dal 1979, data della ratifica del trattato diCamp David tra Israele ed Egitto, l’esercitoegiziano riceve annualmente 1,3 miliardi didollari dagli Usa, paese dove periodicamentei quadri militari egiziani si recano per segui-re corsi di addestramento e di formazione.

Il generale Abdl Fattah al-Sisi, formato an-che lui nelle scuole militari statunitensi, èoggi di fatto l’uomo forte del paese: è capodel Consiglio supremo delle forze armate(Csfa), viceministro dell’Interno e ministrodella Difesa. È stato lui ad indicare una roadmap per uscire dalla crisi. Sotto il controllodel Csfa è stata creata una commissione co-stituente composta da 50 membri. Nessunesponente dei Fm ha partecipato a tale com-missione perché nel frattempo il movimen-to e il suo braccio politico, il Partito di li-bertà e giustizia, sono stati messi al bando ei suoi principali leader messi in galera. Aiprimi di dicembre la commissione ha appro-vato una nuova Costituzione, che sarà sot-toposta a referendum a metà gennaio. Que-sta nuova Carta costituzionale consente aimilitari di mantenere il loro controllo sulpaese: i tribunali militari per i processi con-tri i civili continueranno ad operare come aitempi di Mubarak; la carica di ministro del-la Difesa – nei prossimi 8 anni – sarà indica-ta dal Csfa.

Una delle costanti universali della demo-crazia è la non ingerenza dell’esercito nellavita politica. In Egitto invece una parte delpopolo egiziano oggi osanna i militari, il chesignifica che molti di coloro che hanno par-tecipato alla rivoluzione del 25 gennaio nonavevano ben chiaro il significato della demo-crazia. Si tratta di un problema di maturitàculturale che riguarda non solo gli egizianima tutte le società arabe.