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Periodico bimestrale, Registro Tribunale di Pisa n° 612/2012, 7/12 “Network in Progress” #18 Gennaio/Febbraio2014

Nip18 gennaio 2014

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NIP #18 Gennaio/Febbraio 2014 Rivista bimestrale di Architettura, Paesaggio e creatività Urbana

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Periodico bimestrale, Registro Tribunale di Pisa n° 612/2012, 7/12 “Network in Progress” #18 Gennaio/Febbraio2014

Casa Editrice: ETS, P.za Carrara 16/19, PisaLegale rappresentante Casa Editrice: Mirella Mannucci Borghini

Network in ProgressIscritta al Registro della stampa al Tribunale di Pisan° 612/2012, periodico bimestrale, 7/12 “Network in Progress”

ISSN 2281-1176

[email protected]

In copertina:Fluo (estratto)di Emanuele Capozza

Dim:480x650mmTecnica MistaFirenze 2012

Editing and graphics:Valerio Massaro

Con il patrocinio di:

Enrico Falqui_ [email protected]

Direttore Responsabile

Stella [email protected]

Direttorice Editoriale ideazione eventi e campagne

Valerio [email protected]

Direttore Creativo

Francesca Calamita_ [email protected]

Responsabile attività culturali e formative

Paola Pavoni_ [email protected]

Responsabile network culturale

Vanessa Lastrucci_ [email protected]

Responsabile Social Networks

Ludovica Marinaro_ [email protected]

Responsabile Atelier, Tirocini

Claudia Mezzapesa_ [email protected]

Responsabile programmazione pubblicitaria, traduzioni

Editoriale

La scorsa settimana ascoltando news e leg-

gendo i giornali una del-le notizie più trasmesse è stata la morte di Hiroo Onoda, ufficiale delle for-ze speciali dell’esercito imperiale giapponese che nel 1945 aveva rifiutato di arrendersi ed era rimasto per trent’anni nascosto nella giungla selvaggia su un’isola delle Filippine an-che dopo che la guerra era terminata.

Ovviamente sorge spontaneo chiedersi

come sia stato possibile che il soldato giapponese per trenta anni non si sia

accorto di quello che gli stava succedendo intor-no. Beh la risposta è facile, semplicemente non se ne é voluto rendere conto.

Ecco questo strambo fatto di cronaca ci dice

tanto sulla natura umana, e allo stesso tempo ci do-vrebbe spingere a reagire in direzione contraria e stimolarci a riflettere con profonda attenzione su quello che ci succede at-torno.

Sono sempre più scon-certanti le notizie inter-

nazionali, in special modo provenienti dalla Russia di Putin, in cui ormai l’essere

omosessuale è divenuto un reato.

Purtroppo non si deve andare così tanto lon-

tano per stupirsi altrettan-to nel sapere che anche nel nostro paese e nelle nostre città le persone continuino a vivere nella loro giungla intellettua-le, come ha fatto il nostro ostinato soldato giappone-se.

E’ sconcertante che an-che le nostre istituzioni

facciano scelte che vanno in direzioni non chiare e che quindi succedano avvenimenti come quelli accaduti solo poche set-

timane fa a Firenze in cui in sedi istituzionali sono state ospitate associazio-ni apertamente contrarie all’uguaglianza dei diritti di tutti i cittadini e che in-citano alla discriminazio-ne.

L’apprendere una noti-zia tale e cioè che una

città permetta che tali cose accadano a livello istituzionale sotto al naso di tutti ci deve fare lo stes-so effetto strambo che ci fa la notizia del soldato ri-masto per trent’anni nella

giungla…. è obsoleta, fuori dal tempo, una cosa così non puo’ accadere!

Ma purtroppo non è così, queste cose ac-

cadono eccome.

E’ ovviamente inutile dire che la parità e l’u-

guaglianza di tutti i cittadi-ni sono diritti innegabile che vanno di pari passo con la vivibilità che un luogo offre a tutti i suoi abitanti. Per rendere un luogo ricco e bello non ba-stano certo strade lastrica-

te di fresco, ristoranti alla moda o alti alberi di natale luccicanti.

Dunque prima che sui giornali appaiano no-

tizie che avvisano che uno strambo paese chiamato Italia si è disperso nella giungla dell’inciviltà, ri-cordiamoci sempre di te-nere gli occhi aperti, per-ché la guerra è finita da trent’anni… anzi forse da molto di più.

in copertina:

FluoDim. 480 x 650 mm

Firenze 2012 Tecnica mistaFirenze, Italia.

Emanuele Capozza

Emanuele Capozza, 35 anni, è nato a Firenze dove si è laureato in Architettura.L’innata passione per il disegno, parallela-mente alla formazione maturata come archi-tetto, guidano il giovane artista all’interno di un percorso in cui la sperimentazione sul “ma-terico”, convergerà negli anni, alla definizione di un vero e proprio stile. L’apparente preva-lenza del modo “astratto” cede inevitabilmen-te all’esame di una visione più attenta: poco a poco, piccoli richiami e accenni inequivocabili rivelano il valore paesaggistico delle sue opere.Nel periodo trascorso in Russia, la tavolozza si arricchisce di colori mentre i paesaggi d’intro-spezione, prendono finalmente forma.

http://www.emanuelecapozza.it/ 5

CuoreDim. 500 x 700 mm

Firenze, 2012 Tecnica mista

Collezione privata Mosca, Russia

FugaDim. 500 x 380 mm

Mosca, 2013 Tecnica mistaMosca, Russia.

http://www.emanuelecapozza.it/6

ContentsContents #18RUBRICHE

Architettura che ci piaceArchitettura senza architettura a Firenze

di Luca Da Frassini

FramesGhost Town Challenge

in collaborazione con Homemade Dessert

FOCUS ONParchetto Feronia Pietralata di Francesco Careri

INTERVISTAFirenze Goes GreenImmaginando la futura greenway della cittàintevista a Maria Chiara Pozzana a cura di Claudia Mezzapesa

IL PROGETTODragon DreamingCome realizzare un sognodi Claudia Patrizia Ferrai

CREATIVITÀ URBANAVille e giardini Medicei, patrimonio dell’umanitàLa sfida del presente tra conservazione del passato e valorizzazione per il futuro di Daniele Angelotti

LE RECENSIONI_il libro_

Sul paesaggio: Lettera Aperta(Franco Zagari)di Enrico Falqui

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Quanto l’evoluzione dell’edilizia e dell’architettura sia andata pedisse-

quamente di pari passo alla storia econo-mica dell’ultimo trentennio è un assunto che sarebbe fin troppo facile da verificare e confermare. La produzione illimitata di PRG, Piani strutturali, Piani di lottizzazione era la risposta, o il tentativo di essa, ad uno

sviluppo sociale e monetario che non pre-vedeva le conseguenze che ad oggi si sono ripercosse su ogni sfera della vita quotidia-na. Non siamo qui a tirare le fila di un ra-gionamento, a dare voci assolute e definire se tutto ciò sia stato un bene o un male (ciò è lasciato alle esperienze personali di cia-scuno), ma ad affermare e raccontare quel-

Architettura senza architettura a FirenzeDi Luca Da Frassini, fotografie di Giorgio Verdiani

Architettura che ci piace/ non ci piace

la che è la nuova concezione di architettura e delle sue modalità espressive. Se pur più limitatamente e con meno risorse mone-tarie, continua la classica produzione edili-zia che è sempre esistita, ma nel contempo sta prendendo piede la rappresentazione “non fisica” di tutti quegli aspetti sensoria-li e percettivi che caratterizzano ogni spa-zio pubblico o privato che sia. Un’Architet-tura Immateriale, che non ha componenti fisiche perenni, ma che sfrutta la sua tem-poraneità come fattore di persistenza nel-le esperienze personali dei fruitori dello spazio modificato. Proprio in questo caso si è scelto di “rivalutare” piazza Sant’Ambro-gio, una centralità che è stata per troppe volte al centro di contestazioni per il suo effettivo disagio, ma che invece nascon-de uno dei tesori storici architettonici più

importanti della città di Firenze (la chiesa gotica omonima). Cosi tramite un loop di proiezioni la piazza ha cambiato il punto di vista da cui veniva osservata, è stata “volta-ta”, come se si fosse palesata una parte che non era mai esistita o percepita. Un inter-vento semplice, ma efficace che ha sfrutta-to il bianco intonaco della chiesa, come tela su cui dipingere le fantasie di ogni autore. Facoltà in piazza – Sant’Ambrogio Inso-lita ha adoperato le elaborazioni grafiche degli studenti del corso di Visual Portfolio tenuto dal Prof. Marcello Scalzo, presso la Facoltà di Design, fornendo la prova tangi-bile della positiva capacità interpretativa delle dinamiche sociali e della dimensione degli spazi pubblici dei futuri professioni-sti del settore.

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GHOST TOWN CHALLENGE - RISULTATI

Homemade Dessert, in collaborazione con la Municipalità di Liepaja, Lettonia, e un colletti-vo di artisti, aveva qualche tempo fa lanciato un concorso di progettazione, aperto a desi-gners di ogni genere, per proporre idee visio-narie per la rivitalizzazione della piccola città costiera di Karosta, in Lettonia. Questo ex quartiere militare fu costruito pri-ma sotto l’Impero Russo all’inizio del XX seco-lo, e successivamente aveva svolto la funzio-ne di base navale Sovietica finché, a seguito della dissoluzione dell’Unione Sovietica, la popolazione di 20.000 abitanti la abbando-nò nel 1990. Mentre molti dei suoi edifici sono caduti in rovina, lo scheletro costruito di Ka-rosta è servito come importante memoria di una specifica forma di architettura e pianifi-cazione militare. La città presenta elementi caratteristici come la Cattedrale Marina Or-todossa di St. Nicholas, la prigione di Karosta, i bunker militari e i blocchi di edifici dell’era sovietica costruiti vicino al mare e il canale per le navi da guerra auto costruito. Mentre il sito è diventato una meta per turisti e artisti, in molti auspicano di rivitalizzare la vita co-munitaria di Karosta e ristrutturare i suoi edi-fici. Homemade Dessert ha ricevuto più di 160 proposte di un complessi multi funzionali per il cuore di Karosta, con l’obiettivo di incre-mentare la popolazione e il turismo per que-sta città di 6000 abitanti situata a 10 km a nord di Liepaja. La richiesta secondo il bando includeva nel progetto una sala esposizioni, una libreria, un centro conferenze, aree per il tempo libero e spazi per negozi e ristoranti. I partecipanti potevano scegliere di rispettare i requisiti proposti, ma era data loro la possi-bilità di presentare idee visionarie che uscis-sero dagli schemi richiesti. Una giuria inter-nazionale ha avuto il compito di selezionare i tre progetti vincitori che si sono aggiudicati un monte premi totale di 10.000 USD$.

in collaborazione con HOMEMADE DESSERT

Architecture & Design Competitionshttp://homemadedessert.org/

1st place

2nd place

3rd place

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GHOST TOWN CHALLENGE - RESULTS

Homemade Dessert, in collaboration with the City Council of Liepaja, Latvia and a collection of regional artists, has called for designers to submit visionary ideas for the revitalization of the small but historically significant coastal Latvian town - Karosta. This former military headquarters was constructed first under the Russian Empire at the turn of the 20th cen-tury, and later functioned as a Soviet naval base until its population of 20,000 deserted the town in the 1990s with the dissolution of the Soviet Union. While many of its buildings have fallen into disrepair, the built skeleton of Karosta serves as an important record of a very specific form of military architecture and planning. The town features such buildings as the St. Nicholas Orthodox Marine Cathedral, the Karosta Prison, military bunkers and So-viet-era housing blocks near to the sea and a man-made warship canal. While the site has become a destination for tourists and artists, many wish to more actively revive Karosta’s community life and restore its buildings. Over 160 submissions were received offering ideas for a multi-purpose cultural complex at the heart of Karosta, with the potential to gene-rate increasing population and further touri-sm for this town of about 6,000 inhabitants situated 10 kilometres north of Liepaja. The requested program includes an exhibition hall, a library, conference centre, recreatio-nal areas, and spaces for retail and restau-rants. Designers could choose to respect the City Council site requirements, but were also given the opportunity to present visionary ideas that worked outside of these require-ments. An international jury has chosen, af-ter much deliberation, three winning submis-sions to be awarded a total of USD$10,000.

1st place

2nd place

3rd place

NIPmagazine, in qualità di media partner ufficiale, propone attraverso la rubrica Frames i risultati del concorso “Ghost Town Challange”, presentando sia i tre progetti vincitori che i sei progetti che hanno ricevuto menzione d’onore.

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1ST PRIZE Winners : Fabien Grousset + Hélène Besson + Julien Colom + Guillaume Friolet (FRANCE)

Taking cues from former Soviet bunker design, the proposal reinterprets the heavy and closed concrete form as an open centre for civic activity, elegantly incorporating light, landscape and public space at a variety of scales. The jury was impressed with the submission’s professionalism, and the clarity and refinement of its diagrams. The project successfully made use of the entire site, and the judges appreciate its flexibili-ty, offering the types of open space necessary for community life - the internal arran-gement of functions has the capacity to engage the visitor with a range of activities, and its multi-purpose hall is effective as an indoor urban plaza. The proposal is smart in its simplicity, and certainly seems executable. One can imagine its potential for be-coming an exciting new cultural core for Karosta and the surrounding region.

Francesco Careri insegna alla Facoltà di Architettura di Roma Tre e dirige il Laboratorio interdisciplinare di Arti Civiche; svolge anche un’intensa attivi-tà didattica in Francia presso l’Institut d’Arts Visuels d’Orléans, l’École d’Ar-chitecture de Paris-Tolbiac e di Paris-Val-de-Marne, l’École de Beaux Arts de Clermont-Ferrand, l’École d’Architecture de Brétagne e all’École des Beaux Arts de Dijon presso il corso di Arts Urbaines. In Francia espone sue installa-zioni al Palais de Tokyo e al Centre Pompidou, ed è responsabile italiano del-la sezione francese dell’IFYA, (International Forum of Young Architects). Ha partecipato a numerosi concorsi internazionali di architettura, ricevendo la menzione d’onore per i progetti Hellersdorfer Graben-Berlin (con Franco Za-gari 1994) e Europan 6. In-between cities (2002 Nel 2003 vince il 1° Premio per il Concorso Europan 7. Sub Urban Challenge. Urban Intensity and Housing Diversity nella periferia di Parigi.È stato fondatore del Laboratorio di Arte Urbana “Stalker” con cui ha speri-mentato diverse metodologie di lettura del paesaggio contemporaneo, espo-nendone i risultati in numerose mostre e riviste nazionali ed internazionali. Per tre anni ha condotto sperimentazioni progettuali in laboratori aperti alla cittadinanza presso il Campo Boario del Mattatoio di Testaccio e per i proget-ti “Immaginare Corviale” e “Ricordando Samudaripan”per la giornata della memoria della shoà nomade.Autore di numerose pubblicazioni in Italia e all’estero, ha ottenuto un signi-ficativo riconoscimento da parte della comunità scientifica internazionale, attraverso la traduzione in numerose lingue del suo libro “Walkscapes”, PBEi-naudi, 2006,Milano.

Photo credits: Monica Bertolino, Emanuela Di Felice, Florian Loesch,

Annalisa Metta, Maria Livia Olivetti, Maria Rocco.

Parchetto Feronia Pietralata Roma.Di Francesco Careri e Maria Rocco(LAC_Laboratorio di Arti Civiche)

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Ci arriviamo di venerdì pomeriggio alla fine di una lunga camminata

cominciata di buon mattino dalla nuo-va stazione Tiburtina, passando per cantieri, grandi sommovimenti di terra, accampamenti rom e cacciatori di re-perti bellici. È la prima camminata con gli studenti del nuovo Master1 stiamo per tornare a casa quando sulla strada verso la metro vediamo una rete aperta. Dietro c’è un fitto canneto, dei rovi e un sentiero che si inoltra. Troppo invitante per non entrarci. Ci infiliamo. Attraver-siamo borsette di finto cuoio, brandelli di abiti, forse siringhe e seguiamo il sen-tiero fino ad arrivare a una casetta con

intorno degli orti (urbani, certamen-te… urbani…). Il proprietario ha messo un singolare sistema di allarme. Dei fili di ferro per terra che quando li si pesta, fanno suonare dei grappoli di bottiglie. Ingegnoso. La porta è aperta ma non c’è nessuno. Usciamo dalla sua proprietà e ci troviamo in un cantiere di palazzine che sembrano venute dal raccordo anu-lare a saturare i pochi brandelli di spazi vuoti ancora esistenti. Gli operai ci gri-dano di tornare indietro, obbediamo ma fuggendo in avanti dove tra gli sterpi si ergono due bianche porte di un campo di calcetto. Figura ormai classica delle periferie italiane, fotografiamo.

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In cima a una rupe ci appare questa scena: una baracca di teli di plastica

verde dove alcuni vecchietti giocano a tressette. Intorno altri anziani assisto-no e commentano. Pioviccica. C’è una lunga panca, ci sediamo e proviamo a farci notare. È un po’ che gli giriamo intorno e li fotografiamo. Niente. Nes-suno ci degna di un commento, di uno sguardo. Il tressette li assorbe e non hanno voglia di parlare col primo che capita. Dopo molti sforzi riusciamo a in-teragire: quella casa del tressette l’ab-biamo costruita noi… insieme ad altri giovani… quel poco di spazio su cui si riesce a camminare lo abbiamo sottrat-

to ai rovi… era tutto una massa di spine inaccessibile. Ovviamente tutto questo ci piace, capiamo che è proprio il posto che stiamo cercando, se mai ne stessi-mo cercando uno. È qui che volevamo inciampare. Quello squarcio verde in mezzo a palazzi, strade e cantieri, e so-prattutto quell’idea e quel processo che i frequentatori della casetta stanno portando avanti, sono il terreno fertile dove proporre il progetto che comincia ad apparire nelle nostre menti. Per ora non ne parliamo. Meglio non creare aspettative. Ma non immaginiamo an-cora quanto tutto questo ci coinvolgerà nei tempi a venire.

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Seguono due mesi di organizzazione del workshop PICS2 con ragiona-

menti incrociati tra LAC e LUS, e con-tatti con le istituzioni e le associazioni locali. Finalmente il workshop parte, in una prima fase si cammina, in una se-conda fase si costruirà. Ritorniamo dai vecchietti alla fine di una campagna di esplorazione del quartiere di Pietrala-ta, e questa volta insieme agli studenti del Master ci sono sessanta studenti provenienti da tutta Italia e un piccolo nucleo di abitanti. Attraversiamo l’in-

tero quartiere di Pietralata in gruppi e lungo differenti percorsi. Troviamo pa-esaggi dimenticati e abbandonati, ma anche accessibili e ricchi di possibilità. Camminiamo, ne facciamo esperienza con il nostro corpo, li abitiamo e nelle nostre menti cominciano ad apparire nuovi immaginari. Raccogliamo storie e informazioni, seguiamo tracce e intu-izioni. Alla fine produciamo una serie di mappe. Vogliamo restituire al terri-torio quei paesaggi che abbiamo attra-versato. Desideriamo raccontare agli

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abitanti quella rete di attraversamen-ti del quartiere che a noi si è rivelata camminando e alcune idee utili per ri-attivarla con piccoli interventi di fluidi-ficazione artistica e paesaggistica.

Sabato mattina. La nostra prima set-timana si conclude a Parchetto Fe-

ronia. Oltre ai vecchietti nel frattempo abbiamo conosciuto anche i giovani che hanno avviato l’associazione Fe-ronia3, sono molto attivi e hanno tante idee per il parco. Inventiamo insieme un pranzo, o meglio un pics-nic, attorno alla casetta del tressette, per condivi-dere i risultati dell’esperienza e capire come procedere. Le mappe elabora-te sono stampate sulle tovagliette con cui vengono apparecchiate le tavole. Si mangia, si chiacchiera del parco e del quartiere, si beve e si canta accompa-gnati da chitarre e fisarmoniche. Poi la discussione si concentra sulla par-

te bassa del parco, verso le porte del campo di calcetto che abbiamo visto la prima volta, e su una vecchia rampa che scendeva nel bosco oggi infestata da rovi alti più degli uomini, una mas-sa inaccessibile. Comincia a nascere l’idea di concentrare lì il lavoro suc-cessivo del workshop, per estendere il parco e rendere fruibile anche quell’a-rea. Andiamo insieme a vedere come si può fare. Dalle parole ai fatti è un solo istante. Improvvisamente siamo in un film di Fellini: un decespugliatore fa da apripista e si inoltra scolpendo tra i rovi una nuova strada. Segue un corteo di musicisti, danzatori e saltimbanco, che procede lentamente al ritmo del dece-spugliatore. Quando la strada è aperta si balla in cerchio schiacciando l’erba del campo di calcetto al suono vetusto delle fisarmoniche tzigane. Un rituale ludico collettivo inaugurale, che san-cisce l’annessione al parco di questo

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nuovo spazio, ma soprattutto una nuo-va fratellanza tra PICS e l’associazione Feronia.

Prima di tornarci passa un altro mese di incontri e ragionamenti. Abban-

donata lentamente l’idea di interveni-re in più luoghi del quartiere con il pe-ricolo di lasciare all’abbandono quanto potremmo produrre, si chiarisce che è meglio seminare dove il terreno è fer-tile. L’obiettivo diventa partecipare al progetto dell’associazione Feronia, far crescere il parco nato grazie alle sue

cure, nutrirlo con nuove idee, metten-do a disposizione competenze, forza la-voro ed energia. Lanciarci in una spe-rimentazione comune alla ricerca di nuove modalità di costruzione di uno spazio pubblico inedito e condiviso. Questo almeno è quanto spieghiamo a cena la sera prima di iniziare i lavori, agli architetti, paesaggisti e professio-nisti invitati a guidare la fase costrut-tiva del workshop4. Vogliamo fare un parco in una settimana. La sorte vuole che uno dei ragazzi del parco è falegna-me. Dopo alcuni tentennamenti si con-

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vince. Domani verrà con il suo furgone con tutti gli attrezzi di cui abbiamo biso-gno. L’arrivo di una camionata di legno inaugura la settimana di cantiere di autocostruzione. Si parte senza un pro-getto vero e proprio. Ma il nostro viavai incuriosito ha scolpito i sentieri che mancavano e ha rivelato alcune poten-ziali aree di intervento. A gruppi si cer-ca di immaginare dei luoghi in diverse aree del parco con un disegno ancora aperto alla trasformazione. Senza ulte-riori riunioni ma con continui scambi di idee tra tutti si cerca di armonizzare e controllare il processo relazionale, creativo e costruttivo. A un certo punto tutti cominciano ad andare a prendere le tavole di legno e a portarle in diversi posti. Significa che si sa cosa fare.

Prendono il via sei piccole opere: la Casetta del Tresette, ricostruita in

legno intorno a quella precedente, e che solo alla fine viene smontata con il consenso dei vecchietti; la Stazione Feronia, una piattaforma con sedute per la sosta nel parco, realizzata con pallets di riciclo; il Dragone, grande ar-chitettura zoomorfa che segnala, invita

e accompagna a scendere nella parte bassa del parco; il Bosco a Dondolo, un sistema di panche sospese agli alberi a ridosso del nuovo percorso di discesa scolpito con il tagliaerba; il Merende-ro, una piattaforma con sedute all’om-bra di un grande albero; il Frutteto, due tavoli con panche tra degli alberi da frutto piantati dai partecipanti; in tutto il parco diffondiamo un sistema di se-gnaletica per facilitarne la fruizione.

Il progetto/processo è continuamente dirottato dai desideri di ognuno, dagli

imprevisti saltati fuori in corso d’o-pera e dalle conseguenze inaspettate, ma spesso determinanti, delle azioni messe in campo. Lavorando a stretto contatto si susseguono accese discus-sioni tra partecipanti e residenti: ma-teriali impiegati, soluzioni costruttive, dove mettere cosa, dimensioni, forme, colori… tutto, fino ai minimi dettagli, è costantemente messo in discussio-ne da tutti. Tanto che spesso si decide di costruire direttamente senza far sa-pere cosa e dove, per poi sparire al bar in modo da “sfuggire alla partecipa-zione” e alle infinite elucubrazioni. Gli

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abitanti infatti hanno scoperto per la prima volta che hanno facoltà di paro-la e questo diritto non lo mollano più. Ma a parte il desiderio di commenta-re e criticare, tutto viene poi assorbito e inglobato dal parco. In pochi giorni, a lavori avviati, tutti contribuiscono come possono a ideare, costruire, for-nire materiali e strumenti, o anche solo supporto morale nei momenti di mag-

giore fatica e problematicità; gli anzia-ni del tressette ci coccolano con dolci e altre attenzioni, i giovani dell’associa-zione cercano di coinvolgere il vicinato e lavorano insieme a noi. L’opera finita prende forme inedite che al principio, nella fase d’ideazione, non erano asso-lutamente visibili. Sono architetture di qualità, interventi ragionati e puliti, che non appartengono al pensiero di un

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singolo, ma scaturiscono dalla capacità di armonizzare tra loro tutti i contributi nel loro divenire.

Ultimo giorno. Giorno di inaugura-zione, di pranzi, di saluti e di arri-

vederci. Il miracolo si è compiuto. Si passeggia nel parco e si abitano i nuovi luoghi fino a notte tarda. Si brinda “con-tro Autocad” e tra le risate generali si propone di disinstallarlo tutti per non diventare “caddisti”, i nuovi schiavi di alienanti catene produttive. Alla fine è convinzione diffusa che il progetto in-determinato può essere. L’architettura è molto più bella se fatta così, con chio-di, martello e lavorando con gli abitanti. Senza disegni, senza rendering, senza simulazioni. Scherzando con gli impre-visti. Alla scala del corpo dell’uomo, alla scala Uno a Uno.

Note1Master MAAC - Arti Architettura Città | http://www.articiviche.net/LAC/MAAC.html Il Workshop è parte del seminario proget-tuale PIETRALATA PAESAGGI PROSSIMI nell’ambito del programma PICS_Public 2Identity and Common Space, a cura di Anna Lambertini, Annalisa Metta e Maria Livia Olivetti (ricerca LUS/UniRomaTre), con Eliana Saracino e Mario Leonori, in colla-borazione con: Francesco Careri, Emanuela Di Felice, Florian Loesch, Maria Rocco per LAC_Laboratorio Arti Civiche, Biennale dello Spazio Pubblico, Associazione Feronia. http://www.livingurbanscape.org/pics.wor-kshop.html3Associazione culturale Feronia: http://par-chettoferonia.blogspot.it/ https://www.face-book.com/associazioneculturale.feronia4I gruppi di lavoro sono stati seguiti da German Valenzuela (architetto, professore alla Universidad de Talca, Cile), Francisco Guynot de Boismenu (architetto, Uruguay), François Vadepied e Mathieu Gontier (Wa-gon Landscaping paesaggisti, Parigi), Patri-zia di Monte e Ignacio Grávalos (architetti, Saragozza), con la partecipazione di Monica Bertolino (architetto, Cordoba, Argentina) e con l’intervento di Daniela Colafranceschi (architetto, professore all’Università di Reg-gio Calabria).

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2ND PRIZE Winners : Gilles Retsin + Isaie Bloch (UK)

Both the architectural expression and the programming of this proposal made it stand out as an especially creative and rooted response. Its function is paradoxical to its form: a radical, symbolic monument that re-imagines the coastal concrete bunker; yet programmed with civic commonplace amenities including a canteen, a daycare cen-ter, and a workshop. It flips the city center inside-out, proposing to infuse the larger-scale ‘cultural’ spaces – a museum, a conference centre – into the existing fabric in need of renovation. The architecture combines heavy concrete with lighter gilded ele-ments to integrate materials from both the Soviet-era blocks and the Russian-Empire Orthodox Church in a controlled, fragmented way that recalls deconstructivist design methods.

3RD PRIZE Winners : Johann Bertelli + Gustavo Deleu Nogueira + Julie Deglesne (FRANCE)

A truly realisable proposal, the ‘Light Core’ engages its surroundings quietly and re-spectfully. The design in plan and section clearly pays homage to the cathedral to-wards its south, while utilising sun orientation to offer a string of naturally lit interior spaces that starkly differentiates the new cultural centre from Karosta’s solid concre-te constructions. The jury valued the articulate presentation of this submission and the clarity of its design. The angled position of the main form establishes a strong site organization that breaks from yet connects the otherwise rigid East-West and North-South blocks nearby, and this positioning is enhanced by embedding the building into a constructed wooden landscape of outdoor event and gallery spaces.

MARIA CHIARA POZZANA, architetto, socio AIAPP, lavora nel campo dell’architettura del paesaggio e del restauro dei giardini storici dal 1984. Per circa dieci anni ha diretto i restauri nel parco di Pratolino come funzionaria della Soprintendenza di Firenze, quindi, dal 1996, come libero professionista con lo studio Architettura e Paesaggio, ha restaurato il Giardino Bardini a Firenze, i giardini di Venaria a Torino, il giardino del Castello di Torre a Pordenone, i giardini della nuova sede di Banca CR a Firenze; è stata consulente del Comune di Firenze per la realizzazione della Tramvia nel centro storico. Lo studio Architettura e Paesaggio si accosta al tema del paesaggio con un approccio interdisciplinare affrontando con grande attenzione la progettazione di giardini privati e di grandi parchi pubblici sia storici sia contemporanei.

Claudia MezzapesaArchitetto, responsabile programmazione pubblicitaria, traduzioni per NIP magazine

di Claudia Mezzapesaintervista a Maria Chiara Pozzana

FIRENZE GOES GREENImmaginando la futura Greenway della città

Il movimento delle greenways ha radici sia nella storia dell’architettura del paesaggio sia nel più recente interesse verso l’ecologia e la conservazione dell’ambiente. Per molti, Frederick Law Olmsted a metà del 1800 fu il primo a capire il potenziale degli spazi aperti lineari nell’estenderne i benefici al tessuto urbano circostante. Nel 1865 Firenze divenne capitale e Giuseppe Poggi ricevette l’incarico di realizzare i viali urbani. Nell’Oltrarno, il Viale dei Colli fu concepito come un grande Boboli: un parco moderno che ampliava quello mediceo-lorenese, un grande giardino all’inglese a scala urbana, un itinerario panoramico con affacci sulla città storica.Maria Chiara Pozzana ha pubblicato numerosi libri e saggi sul tema e nel 2003, con il libro “Greenways: percorsi verdi nell’Oltrarno di Firenze”, è stata tra i primi a mettere in luce le potenzialità di una Greenway nell’Oltrarno fiorentino. A distanza di dieci anni da quella pubblicazione ci racconta del progetto che si è nel frattempo sviluppato. 29

Com’è nata l’idea della Greenway nell’Oltrarno di Firenze e come si è evoluto il progetto in quegli anni?

M. All’inizio degli anni 2000, quando era stato da poco aperto il cantiere di restauro del Giardino Bardini, è nata l’idea di collegare quest’ultimo e il Giardino di Boboli con un itinerario subito immaginato come una Greenway. All’epoca, Edoardo Speranza e Antonio Paolucci l’avevano denominata la ‘spina verde’: una struttura verde che attraversa la città storica con grandissime e splendide aperture sul panorama di Firenze. Questo primo tratto è stato realizzato e adesso i due giardini sono visitabili con un unico biglietto.Nel 2003 il Comune di Firenze, con l’Assessorato all’Ambiente, sostenne la pubblicazione del libro “Greenways: percorsi verdi nell’Oltrarno di Firenze”, nel quale fu sviluppata l’idea un po’ ambiziosa di una Greenway che, partendo dal Giardino Bardini e Boboli, si

inoltra nei giardini privati dell’Oltrarno per poi ricollegarsi con il giardino di Porta Romana. A quel punto venne l’idea di connettere questo itinerario urbano con il più grande percorso nel verde che esiste a Firenze: il Viale dei Colli, un luogo che abbiamo iniziato a frequentare, studiare e analizzare, rendendoci subito conto della sua incredibile potenzialità. Così è nata l’idea di una straordinaria Greenway pedonale nell’Oltrarno fiorentino.

1Il tracciato della Greenway nell’Oltrarno fiorentino

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Cosa rappresenta il Viale dei Colli per Firenze e come viene vissuto?

M. Attualmente l’idea di una passeggiata esclusivamente pedonale è realisticamente impossibile. Ad oggi, il viale viene utilizzato più come un’autostrada e vissuto pochissimo dai fiorentini. Non è così per gli stranieri che qui si fermano a contemplare le viste su Firenze.L’itinerario è tra i più panoramici della città. Partendo dai giardini d’Oltrarno e attraversando i tre giardini del Bobolino, allineati su un asse prospettico centrale, si arriva sul Viale Galilei e poi, quasi in pianura, si percorre il tratto più panoramico e paesaggistico fino al Piazzale Michelangelo. Da qui si scende in città attraverso quel capolavoro assoluto che sono le Rampe del Poggi, un intervento di architettura del paesaggio che collega il centro storico con

2I giardini del Bobolino

3Le rampe del Piazzale

Michelangelo nel progetto di

Giuseppe Poggi

4Le rampe del Piazzale

Michelangelo

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6Vista sulla città e sul Giardino Bardini dal

Viale dei Colli

7Piazzale Michelangelo, la

tramvia in una foto storica

le sue colline retrostanti attraverso un percorso che, dalla natura del Viale dei Colli, scende verso l’architettura della città, facendosi sempre più architettonico in un sistema di grotte, scale e grandi muri bugnati “alla rustica”. Mi piace definire questa passeggiata come un giardino all’inglese a scala urbana.

Il Viale dei Colli può essere paragonato ad un esempio simile in Europa?

M. In realtà non esistono molti esempi di viali in salita con tutte queste aperture panoramiche sulla città. La conformazione urbana di Firenze e la morfologia del territorio rendono unica e particolare la passeggiata lungo il Viale dei Colli. Giuseppe Poggi visitò Parigi anche dopo la metà dell’800 e con molta probabilità si ispirò ai grandi boulevards parigini.

Le rampe di Piazzale Michelangelo ricordano quelle del Pincio a Villa Borghese a Roma. Un’idea di promenade sopraelevata la ritroviamo a Luxemburg Ville, qui Edouard Andrè realizzò un parco-passeggiata lungo le mura settecentesche intorno alla città. Questi sono solo alcuni esempi ma il tema sarebbe sicuramente da approfondire.

5Luxemburg Ville

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Quali sono state le linee progettuali dell’intervento di Giuseppe Poggi? Cosa è ancora visibile dell’originale progetto?

M. Giuseppe Poggi nel volume “Sui lavori per l’ingrandimento di Firenze” spiega perché aveva concepito il progetto come un sistema di affacci sulla città, nel quale l’aspetto paesaggistico era la principale linea progettuale.Un altro intento era quello di creare un nuovo e prestigioso quartiere residenziale. Pur tuttavia l’obiettivo principale del piano consisteva nell’offrire ai cittadini un verde strutturato, piacevole da vivere e che rispondesse ai criteri di sanità e salubrità. Quindi c’era in nuce un concetto che ora potremmo definire ecologico e di sostenibilità della vita urbana. In alcune fotografie della metà dell’800 è immortalata perfino

6Vista sulla città e sul Giardino Bardini dal

Viale dei Colli

7Piazzale Michelangelo, la

tramvia in una foto storica

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una tramvia a vapore che saliva fino al piazzale.Questi intenti non sono cambiati: oggi come nell’800 abbiamo bisogno della natura in città, di quella campagna in città che effettivamente è l’obiettivo principale e finale del progetto della Greenway.Questi giardini sono stati costruiti benissimo con una tecnica eccezionale tant’è vero che resistono dopo 150 anni e sono ancora molto ben leggibili, con una collezione di piante d’alto fusto e di conifere molto pregiate che spesso sono oggetto di studio per gli studenti delle facoltà di agraria e scienze forestali.

Quali dovrebbero essere le linee progettuali di un intervento di restauro oggi?

M. In tantissime occasioni di discussione sul progetto ho avuto l’opportunità di sottolineare che ci vorrebbe una visione d’insieme per un intervento di questa portata. Occorrerebbe elaborare un masterplan con una previsione di quindici anni di lavoro. Questo materiale andrebbe organizzato sotto forma di un piano generale di conservazione del Viale dei Colli. Subito a seguire si dovrebbero realizzare la segnaletica e attraversamenti stradali sicuri, che attualmente mancano, per poter consentire l’immediata fruibilità dell’intero percorso.Lo scorso anno, in occasione del corso ‘Restauro dei

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giardini e parchi storici’, promosso dalla Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron e Cescot Firenze, abbiamo sperimentato con un gruppo di architetti, agronomi e forestali, una prima fase del masterplan analizzando i Giardini del Bobolino. In quella occasione è subito emersa la necessità di scendere nel dettaglio con un’analisi degli elementi architettonici e di arredo. Il restauro delle sedute, muretti, cordoli, recinzioni, cancellate, e la risistemazione dei drenaggi, delle superfici erose dall’acqua e delle fognature sono operazioni che andrebbero concepite utilizzando gli stessi materiali e soluzioni tecniche dall’inizio alla fine, e non un campionario di materiali diversi, come spesso accade in simili situazioni.Il Viale dei Colli collegandosi al Giardino delle Scuderie Reali e al bellissimo edificio delle Pagliere, alle serre comunali del Bobolino, al Piazzale Michelangelo e ai giardini dell’iris e delle rose, potrebbe dar vita ad un nuovo percorso turistico dedicato all’arte nella natura alternativo a quello del centro storico. Questo costituirebbe un polo di interesse straordinario per quanto riguarda la cultura del giardino e del paesaggio.Si tratterebbe di un restauro ma sarebbe la ripresa di un concetto ottocentesco interpretato nella vita attuale. Nella Firenze ottocentesca non esisteva il turismo che ora abbiamo, quindi un progetto oggi deve contemplare questa esigenza. Lavoriamo per i cittadini ma anche per i visitatori che per brevi periodi diventano cittadini di Firenze.

Nella pagian precedente:

8Tavola di rilievo, Masterplan ‘I giardini del Bobolino’,

corso di ‘Restauro dei giardini e parchi storici’ 2013, promosso dalla Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron e

Cescot Firenze, coordinatore:

arch.Maria Chiara Pozzana, direzione Cescot: dott.ssa Cinzia Caraviello, dott.ssa Marina Ciafrè, tutor: arch. Claudia

Mezzapesa, docenti: Alessandro Cecchi,

Francesca Cintelli, Isabella Dalla Ragione, Lorenzo De Luca, Massimo De Vico Fallani,

Margrit Freivogel, Claudia Gerola, Tiziana Grifoni, Enrico Mailli,

Maria Chiara Pozzana, Giancarlo Raddi, Tommaso Tarassi, Mariella Zoppi

iscritti: Cadetti Alessia, Caldini Cecilia, Ciantra Maggie, Cirigliano Viola,

Condorelli Maurizio, Dalle Mura Chiara, Di Giampaolo Giampietro,

Giachetti Costanza, Mennuno Lucia, Pelagatti Sara, Rahmati Nausikaa

Mandana, Statini Chiara, Tasticci Alessandro, Vaccaro Rosa, Vannella

Matteo

9seminari sul Viale dei Colli

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Cosa è stato fatto finora e come si sta sviluppando il progetto?

M. Nella guida del Giardino Bardini si parla anche del progetto della Greenway dell’Oltrarno, ma questo non è sufficiente. Probabilmente una guida dedicata alla Greenway potrebbe essere uno strumento utile ma questo non prima che vengano realizzate le opere necessarie per la messa in sicurezza degli attraversamenti.La Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron ha fatto proprio il progetto da noi proposto, e attualmente lo sta portando avanti con una serie di iniziative che coinvolgono le istituzioni locali e nazionali, il Polo Museale Fiorentino, la Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici della provincia di Firenze, il Comune di Firenze, l’ufficio sito UNESCO ‘Centro storico di Firenze’ e il Ministero per i Beni Culturali.In questi anni sono stati già organizzati workshop, seminari con studenti stranieri, e, nel 2013, un corso specifico sul tema.É on-line anche il sito internet http://vialedeicolli.jimdo.com, un modo per raccogliere e condividere gli studi fatti finora e aprire una discussione pubblica sul tema, affinché possa attivarsi un meccanismo di coinvolgimento collettivo.

In questi anni l’argomento di cui non si può far a meno di parlare è la crisi. Il progetto della Greenway dell’Oltrarno può oggi essere considerato un investimento?

M. Non si considera che il giardino produca valore, quindi si pensa che anche il giardino pubblico rappresenti solo un costo per la collettività. Invece non lo è. Mi piace citare la frase ‘open space is a good investment’, però è necessario dimostrarlo. Come? Ogni singola nostra azione può contribuire a che ciò sia vero. Per esempio se iniziassimo

10seminari sul Viale dei Colli

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BIBLIOGRAFIA:

-“Sui lavori per l’ingrandimento di Firenze’ relazione di Giuseppe Poggi (1864-1877), Firenze, Tipografia G. Barbera, 1882

-“Greenways. Percorsi verdi nell’Oltrarno di Firenze”, Mariachiara Pozzana, Polistampa, Firenze, 2003

-‘Giardini pubblici a Firenze dall’Ottocento ad oggi’, Mario Bencivenni, Massimo de Vico Fallani, Edifir Edizioni, Firenze, 1998

Fonti Fotografiche:

Foto 1_ Il tracciato della Greenway nell’Oltrarno fiorentino (Studio architettura e paesaggio, arch. M.Pozzana, C.Mezzapesa, T.Tarassi)

Foto 2_ I giardini del Bobolino (Studio architettura e paesaggio, arch. M.Pozzana, C.Mezzapesa, T.Tarassi)

Foto 3_ Le rampe del Piazzale Michelangelo nel progetto di Giuseppe Poggi (dal libro “Sui lavori per l’ingrandimento di Firenze’ relazione di Giuseppe Poggi (1864-1877), Firenze, Tipografia G. Barbera, 1882)

Foto 4_ Le rampe del Piazzale Michelangelo

(da Vecchia Firenze mia, https://www.facebook.com/vecchiaFirenzemia?fref=ts)

Foto 5_ Luxemburg Ville (Studio architettura e paesaggio, arch. M.Pozzana, C.Mezzapesa, T.Tarassi)

Foto 6_ Vista sulla città e sul Giardino Bardini dal Viale dei Colli (Studio architettura e paesaggio, arch. M.Pozzana, C.Mezzapesa, T.Tarassi)

Foto 7_ Piazzale Michelangelo, la tramvia in una foto storica

(da Vecchia Firenze mia, https://www.facebook.com/vecchiaFirenzemia?fref=ts)

Foto 8_ Tavola di rilievo, Masterplan ‘I giardini del Bobolino’, corso di ‘Restauro dei giardini e parchi storici’ 2013, promosso dalla Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron e Cescot Firenze

Foto 9-10_ seminari sul Viale dei Colli (Studio architettura e paesaggio, arch. M.Pozzana, C.Mezzapesa, T.Tarassi)

ad esplorare i parchi più vicini a noi senza dover a tutti i costi spostarci in auto per raggiungere gli spazi verdi, già avremmo fatto fruttare il nostro investimento.Il potenziamento di questa green belt ha prima di tutto un effetto immediato sul microclima e sulla riduzione dell’inquinamento urbano, misurabili anche con l’esperienza empirica. Se addirittura si riuscisse a liberare il Viale dei Colli dal traffico delle auto realizzando un tunnel sotterraneo, come in tante altre città, questo ritornerebbe ad essere la passeggiata panoramica come lo era nell’800; attualmente però è un tema urbanistico complesso.

Quando il prossimo incontro per una passeggiata al Bobolino?

M. Il programma è di riprendere l’appuntamento annuale del corso di ‘Restauro dei Giardini e Parchi Storici’ che avrà come tema, in prosecuzione di quello del 2013, il masterplan del Viale dei Colli. Quindi appuntamento a quest’anno, e per restare aggiornati vi invito a consultare le pagine:http://vialedeicolli.jimdo.com/http://www.bardinipeyron.it/ab/

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Honorable mention Diego Perez (Chile)Karosal Cultural Centre

Honorable mention Stefano Privitera + Francesco Quadrelli (Italy)VI.R.U.S. Viral Redeveloping Urbanity System

Claudia Patrizia Ferrai Neo-Laureata in Architettura del Paesaggio presso l’Università di Sheffield, in Inghilterra. La sua tesi riguarda l’agricoltura urbana come modello sociale, ecologico e sostenibile. È inoltre laureata in Ingegneria Ambiente e Territorio presso Università Federico II di Napoli nel 2005. I suoi interessi risiedono nella progettazione sostenibile, sociale ed ecologica, agricoltura urbana, permacul-tura, paesaggio come narrazione ed è inoltre fondatrice della linea di saponi artigianali e naturali Ilex. Esempio dei suoi lavori su cargocollective.com/clau-diaferrai e [email protected].

di Claudia Patrizia Ferrai

Dragon Dreaming Come realizzare un sogno

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Dragon dreaming. How to realize a dream

The eco-village Sieben Linden, Ger-many is an example of how to live sustai-nably having a holistic view. It is a coo-perative where 130 people live, produce 70% of their food, do composting, water recycling, use dry toilets and farm using organic methods. The eco-village is a de-monstration that it is possible to change lifestyles and live sustainably. The EDE course (Eco village Design Education) is a course created by Gaia Education in order to plan and design sustainable set-tlements, based on the principle “Live and learn”. The course runs for 4 weeks with members from Europe, Africa and China, giving you an insight in the world issue and coming up with solutions. The course emphasised mainly on delive-ring tools to realize projects. A series of tools have been shared like permacul-ture, dragon dreaming, empowered fun-draising, conflict resolution and SWOC analysis.

Particularly interesting is the Dragon Dreaming method inspired by the Au-stralian aboriginals, the theory of com-

plexity and chaos. The method is used to realize a dream, stimulates personal growth, strengthens community and promotes services to the Earth. It is ba-sed on a cyclical process: dream time, do time, plan time and celebrate time. It is a simple and playful method for visiona-ry processes, planning, implementation and evaluation*.

During the EDE Course, dragon dre-aming has been applied to a series of projects. In particular to the project “Fig tree: a model of eco soap business” whe-re we walked the initial two steps of the circle.

The EDE course was a month of perso-nal growth, during which I listened to my inner voice, I expressed my dreams, and I am willing to realize them using the methodologies learnt. We danced, sang, cried and laughed. We sat in front of a fireplace and told stories. We con-nected with ourselves, the group and the world around us. We built friendships and a community, and to close the cycle we celebrated.

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L’eco-villaggio di Sieben Linden in Germania è un esempio di come vivere in modo sostenibile basandosi su una visione olistica. È una cooperativa dove vivono 130 persone che producono il 70% del proprio fabbisogno di cibo ba-sandosi su una dieta vegetariana, fanno il compostaggio e il trattamento delle acque reflue e piovane e coltivano in modo biologico. Per arare i propri ter-reni usano cavalli addestrati con tecni-che di horse whispering e coinvolgono una serie di aziende sociali che sosten-gono l’economia locale. L’innovazione di Sieben Linden sono le abitazioni in paglia (straw bale houses) di due piani, le prime di questo genere in Europa.

L’eco-villaggio è una dimostrazione che cambiare stile di vita e vivere in modo sostenibile è possibile. Il Corso EDE (Ecovillage Design Education) è stato creato da Gaia Education per progettare insediamenti sostenibili

ed è basato sul principio di “vivere e imparare”1. Il corso ha una durata di 4 settimane e fornisce le tecniche e le conoscenze per eseguire tale cambia-mento. Il curriculum EDE è suddiviso in quattro argomenti che corrispon-dono alle quattro dimensioni primarie dell'esperienza umana: sociale, econo-mica, ecologica e visione globale. Ogni argomento è suddiviso in ulteriori cin-que argomenti secondo il cerchio della sostenibilità.

Partecipare ad un corso sulla sosteni-bilità e vivere in un eco-villaggio è stata un’esperienza olistica unica. Abbiamo vissuto un mese imparando la teoria ma fondamentalmente vedendo esem-pi pratici e mettendoli in azione. Il cor-so enfatizzava la pratica, lo sviluppo e la realizzazione di progetti, l’opportunità di networking, la risoluzione di conflitti interiori e di gruppo e il concetto di di-stribuzione delle risorse in modo equo.

a destra

Ruota che rappresenta il

cerchio della sostenibilità.

pagina precedente

L’immagine è il risultato di un

brainstorming di un gruppo di cinque persone

dall’Italia, Regno Unito,

Romania, Etiopia e Tanzania.

Ci illustra l’evoluzione dalla

storia personale al servizio olistico

al mondo.

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È stato un corso interattivo con un alto coinvolgimento dei partecipanti.

Il corso era multiculturale con perso-ne provenienti da 27 paesi tra Europa, Africa e Cina. Questo ha permesso di avere una visione globale del mondo, conoscere le varie culture, i problemi locali e mondiali e cercare soluzioni con gli insegnamenti e le metodologie proposte.

Per affrontare le problematiche dei quattro argomenti dell’EDE, sono stati illustrati vari metodi di design e proget-tazione tra cui dragon dreaming, per-macultura, empowered fundraising, risoluzione di conflitti, team bulding, coaching e analisi SWOC (Strengths,

Weaknesses, Opportunities and Chal-lenges).

Particolarmente interessante è il me-todo di dragon dreaming (sognare del dragone), una metodologia che facilita la progettazione e la ricerca di soluzio-ni. Prima di tutto è importante saper ascoltare, risolvere conflitti, essere consci che non possiamo vivere indi-vidualisticamente, ma in gruppo, saper di essere connessi con gli altri e avere la stessa visione del progetto. Parlando dei nostri progetti è importante farlo dal cuore e dallo stomaco, mettendo in mostra la nostra passione, la nostra fer-mezza e unendoci con noi stessi e con il resto del mondo.

Il gruppo EDE composto da persone provenienti da 27 paesi del mondo tra Europa, Africa ed Asia.

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Dragon dreaming è una metodolo-gia che può essere usata per qualsia-si tipo di progetto, anche personale. È una tecnica che aiuta a realizzare un progetto creativo, collaborativo e so-stenibile. Allo stesso tempo stimola la crescita personale, rafforza il rapporto tra i membri del gruppo e promuove diversità, creatività e vitalità, non tanto per noi stessi e il gruppo, ma in modo particolare per il mondo2.

Dragon dreaming è stato sviluppato da John Croft ispirandosi all’antica spi-ritualità aborigena australiana, alla te-oria del caos e della complessità. Ogni progetto inizia con un sogno interio-

re. Purtroppo spesso il sogno non vie-ne condiviso o espresso. Circa il 90% di tutti i progetti non superano la fase della pianificazione e solo il 10% dei progetti che sono realizzati vive più di tre anni3. La maggior motivazione del fallimento dei nostri progetti è perché muore la passione del nostro sogno, non celebriamo i successi dei nostri risultati e non si riflette a sufficienza. Fondamentale è ascoltare le varie per-sone del gruppo, condividere le stesse motivazioni, il progetto in tutte le sue fasi ed il suo possesso (ownership). In questo modo le persone sono piena-mente coinvolte nel percorso ciclico del dragon dreaming.

Esempio del SongLine del progetto Beautiful

world. Il progetto consiste nel creare

videoclips per diffondere messaggi di sostenibilità

per far comprendere cosa rappresenta

l’eco-villaggio.

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Il percorso ciclico inizia con il sogna-re, segue il pianificare, l’agire e infine la celebrazione. Di ogni tassello ci sono una serie di domande di riflessione che produco dei Songlines.

Questi rappresentano il frutto di ener-gia delle varie riflessioni, una lista di azioni e chi deve eseguirli. Uno dei motti di dragon dreaming è “Se non è divertente non ha valore di essere re-alizzato”. Bisogna essere onesti con se stessi, iniziare con piccoli progetti e compiere tutti i passi del dragon dre-

aming senza tralasciare la riflessione e la celebrazione.

Durante il corso EDE questa tecnica è stata applicata ad una serie di proget-ti tra cui il progetto “Fig Tree: azienda ecologica, equa e sociale per la creazio-ne di saponi naturali”. Inizialmente ab-biamo discusso del progetto partendo dalla nostra storia, cosa possiamo offri-re e creare per il mondo. I vari principi del corso EDE sono stati discussi. Finita questa prima fase di brainstorming, abbiamo iniziato a percorre il cerchio

L’ultimo giorno del Corso EDE tutti i membri del gruppo hanno scritto i loro progetti su un foglio di carta e raggruppati in argomenti. In seguito con una matassa di lana abbiamo fatto i collegamenti tra i vari membri del gruppo e il nostro progetto. La ragnatela era fitta di idee e networking.

L’eco-villaggio Sieben Linden con le sue case in paglia (straw bale houses) e i campi coltivati in modo biologico.

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ascoltando ogni membro del gruppo. A causa del poco tempo a disposizione, ci siamo fermati alla fase della pianifi-cazione, assegnando ad ognuno di noi un’azione da compiere. In remoto stia-mo continuando a percorrere il cer-chio, continuando a realizzare il nostro sogno e ad allinearlo a quelli dei vari membri nei vari paesi d’Europa e Afri-ca, per eventualmente chiudere una fase del ciclo.

Il Corso EDE è stato un mese di cre-scita personale, durante il quale sono riuscita a esprimere i miei sogni, ad ascoltare la mia voce interiore e sono intenzionata a realizzarli utilizzando le tecniche apprese in quell’occasione. Inoltre abbiamo cantato, ballato, pian-to, riso, ci siamo seduti intorno al fuoco

e raccontato storie. Ci siamo connessi con noi, e il mondo intorno a noi, abbia-mo costruito amicizie e una comunità. E per chiudere il ciclo, abbiamo cele-brato.

Note*Dragon Dreaming, 2014. About Dragon Dreaming. Available online at <http://www.dragondreaming.org/>

1 Gaia education, 2014. Design for Sustainability. Available online at <http://www.gaiaeducation.net/index.php/en/sustainability-online/71.html>

2 Dragon Dreaming, 2014. About Dragon Dreaming. Available online at <http://www.dragondreaming.org/>

3 ibidem

Schema del processo di Dragon dreaming

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Honorable mention Dace Gurecka (Latvia)Unapologetically No City

Daniele Angelotti dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Milano si tra-sferisce dalla verde Brianza Lecchese a Firenze, consegue la magistrale in Archi-tettura del Paesaggio e si specializza in restauro di giardini storici. Attualmente è tirocinante presso l’Ufficio Parchi e Giardini del Polo Museale Fiorentino. Dal 2012 collabora con l'Associazione "Per Boboli" seguendo progetti di conser-vazione e valorizzazione del Giardino. Lo studio “Boboli - Giardino dei sensi, Mu-seo da ascoltare” vince il Lifebility Award 2013 per aver approfondito come mi-gliorare la fruibilità dei giardini storici per ciechi e ipovedenti mediante sistemi tecnologici [email protected]

Ville e Giardini Medicei

Patrimonio dell’Umanità

La sfida del presente tra conservazione

del passato e valorizzazione

per il futuro

Foto e Testi di Daniele Angelotti

Uno degli ambiti di studio più affasci-nanti che si affrontano oggi nelle

Università di Architettura è forse quello legato all’Arte dei Giardini: un micro-cosmo che offre privilegi appassionanti a chi si accinge ad indagarlo. “La storia dei giardini si identifica con quella del-le idee, del modo di vivere insieme, delle forme di governo, del gusto e della capa-cità organizzativa delle diverse società. È storia di immagini, di sogni e di memo-rie: è, in fondo, la storia degli uomini”1 .

Definita in passato il Giardino d’Euro-pa, l’Italia è sempre stata celebrata per la bellezza dei suoi giardini ed è ormai ri-conosciuto da tutti come questi costitu-iscano una componente fondamentale del nostro patrimonio storico, culturale e paesaggistico.

Il recente inserimento di dodici Ville e di due Giardini Medicei nella Lista

UNESCO per il Patrimonio dell’Umanità punta i riflettori su una realtà importan-te non soltanto per la Toscana. Alla Corte Medicea maturarono il sogno e l’utopia del giardino rinascimentale che da Fi-renze fu esportato e interpretato in tutto il mondo occidentale.

Alla luce delle congiunture economi-che attuali, garantire a questi straordina-ri beni un futuro meno critico è fonda-mentale. Inoltre, la loro presenza diffusa sul territorio ne fa potenzialmente un grande volano per lo sviluppo locale ed esperienze straniere, quali il circuito dei Castelli della Loira, rappresentano un buon modello di confronto.

1M.Zoppi, Storia del giardino europeo, Editori Laterza, Firenze, 1995, pag. VIII.

in altoVeduta del Giardino di Boboli

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Si incontrano ville e giardini storici lungo tutta la Penisola e si intuisce

facilmente come la valorizzazione in rete di tali realtà costituisca sì una sfida complessa per il presente, ma, al tem-po stesso, un’occasione da non perdere per il futuro.

Se in Toscana godiamo delle bellezze Medicee, in Piemonte abbiamo la Co-rona delle Delizie Sabaude, ci sono poi le straordinarie Ville Venete, quelle della Brianza, quelle Laziali e quelle Si-ciliane: un elenco che potrebbe di sicu-ro ampliarsi ulteriormente.

Nell’ultimo secolo la Legislazione Italiana in materia di beni cultu-

rali e paesaggistici è stata scandita da

leggi, quali la Bottai del ’39 o la Galasso dell’’85, fondamentali per lo sviluppo di un dibattito sensibile all’argomento. Per trattare nello specifico la tutela dei giardini storici fu però necessario at-tendere il 1981 con la stesura della Car-ta di Firenze (ICOMOS) e della Carta Italiana dei Giardini Storici (ICOMOS Italia) finalizzate a fornire definizioni e linee guida per la manutenzione, il re-stauro e il ripristino. Attualmente l’in-tera materia è disciplinata dal Codice dei Beni culturali e del Paesaggio del 2004.

Tutela e conservazione possono e de-vono andare di pari passo con la va-

lorizzazione e con forme di gestione in linea con le esigenze attuali ed è neces-

in altoVeduta del Giardino di Boboli

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sario che lo Stato e le Amministrazioni locali riconoscano la funzione sociale ed educativa dei giardini storici adope-randosi in maniera sempre più attenta per favorirne la fruizione. Promuovere il rispetto dei beni culturali e paesaggi-stici è infatti importante per recupera-re il legame profondo tra un luogo e chi lo vive.

Sembra difficile a credersi ma ca-polavori inestimabili custoditi per

esempio al Museo della Natura Mor-ta di Poggio a Caiano o a quello della Caccia e del Territorio di Cerreto Guidi

sono spesso sconosciuti ai più. L’essere difficilmente raggiungibili costituisce sicuramente un fattore limitante, ma è davvero questo il problema?

Flotte di turisti varcano ogni anno i cancelli del Giardino di Boboli per

ammirare le opere d’arte e le collezioni botaniche qui custodite ed è impensa-bile che non possano essere parimenti interessati alla straordinaria collezione di agrumi di Castello, alla turrita Villa della Petraia o all’Appennino di Prato-lino che custodisce i segreti di un desti-no misterioso e pieno di interrogativi.

in alto a sinistraVilla Medicea della Petraia

in alto a destraGrotta degli animali Giardino di Castello

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La valorizzazione in rete di tali realtà potrebbe inoltre rivestire un ruo-

lo importante anche nella realizzazio-ne di connessioni nuove e alternative. Un esempio: l’approvazione del PIT ha riportato al centro della discussione i progetti per il Parco della Piana Prate-se. La Villa di Poggio a Caiano potrebbe forse ritrovare lo storico collegamento con le vicine Cascine di Tavola e, pur senza recuperare le vie d’acqua che in passato univano i due complessi, si po-trebbero proporre piste ciclabili e sen-tieri per il trekking per ricongiungersi

anche alla vicina Villa di Artimino e al borgo di Carmignano. Molte realtà si trasformerebbero in nuove centrali-tà per lo sviluppo locale contribuendo così concretamente alla crescita di atti-vità artigianali, agricole e non solo.

Il ruolo dei cittadini non dovrebbe essere marginale e le collaborazioni

sinergiche tra soggetti differenti evite-rebbero che la connessione “cultura-le” possa non trovare riscontro in quel-la “reale”. Le proposte possibili sono molteplici e la non comune rilevanza

in altoScorcio della Villa Medicea di Poggio a Caiano

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Giardino di BoboliLa Limonaia grande

L’Appennino nel Parco di Pratolino

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internazionale di cui godono i Giardini Medicei sarebbe sicuramente un fatto-re di successo. È però importante riflet-tere sulla necessità che queste attività debbano effettivamente valorizzare le eccellenze del territorio.

Volenti o nolenti, termini quali tute-la e conservazione trovano un sen-

so compiuto solo in un’ottica culturale diffusa capace di riconoscere il valore di ciò che è pervenuto. Le prospettive portano a sperare che in futuro si po-trà e si dovrà fare molto. Solo in questo modo si potranno veramente conside-rare salvi questi tesori unici e irripeti-bili.

Giardino di BoboliIl Prato della meridiana

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Honorable mention Jonathan Palazzolo + Antonia Wai (United States)DO YOU HEAR THE PEOPLE SING. Cultural interventions to bring opportunities back home

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Honorable mention Uldis Amars + Reinis Predelis + Liva Vilcina + Anna Vaivare (Latvia)RECYCLED TIME

il lib

ro

Franco ZagariSul Paesaggio: lettera aperta

Libria, 2013

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Enrico FalquiDirettore Responsabile di NIPmagazine.Direttore del laboratorio di ricerca in Architettura ed Ecologia del Paesaggio. DIDA, Università di Firenze.

Le recensioni di

il libroL’ultimo libro di Franco Zagari possiede un fasci-

no misterioso, su cui il lettore si interroga fino all’ultima pagina, quando scopre che tutta la narra-zione “riflessiva”, che ci ha accompagnato attraverso vari temi in tutti i capitoli precedenti, ci ha spinto ad intraprendere un“viaggio nel Paesaggio” che non si conclude al termine del libro, ma prosegue “quando il vento cambia”, proprio come il viaggio di Ulisse.

Zagari utilizza, in questa sua ultima fatica let-teraria, un linguaggio diverso dal tradizio-

nale “pentagramma” scientifico, intrecciando abilmente la narrazione biografica degli eventi im-portanti della sua vita con le riflessioni più attua-li e innovative sul “destino” del Paesaggio italiano. E’ questo invito che, Zagari costantemente rivolge alle presenti e future generazioni di saper guardare “in avanti”, che ci permette di considerare il testo non come un “bilancio” di una vita dedicata al Progetto di Pae-saggio, bensì come un “programma” per il futuro, alla ricerca costante dei diversi modi di produrre “Bellez-za” nelle nostre città e nel nostro territorio “europeo”. Kafka affermava che “..chiunque sia in grado di man-tenere la capacità di vedere la Bellezza non diven-terà mai vecchio”; Zagari è un esempio limpido e trasparente della veridicità di questa dotta citazione, essendo divenuto negli ultimi 25 anni uno degli archi-tetti-paesaggisti più riconosciuti a livello internazio-nale nella cultura del Progetto di Paesaggio.

L’Autore ci spinge a riflettere sul “perché” la bellezza sembra non abitare più nelle nostre

città e ci spiega che “...anche il paesaggio più mo-desto deve essere una promessa di bellezza”. Nella ricerca di questa “dimenticata e perduta” quali-tà dello Spazio nelle nostre città, Zagari mette in risal-to la straordinaria “rivoluzione culturale” che la Con-venzione Europea sul Paesaggio (2006) ha introdotto sia nel dibattito politico-culturale, sia nell’approc-

Sul Paesaggio: Lettera aperta.

diEnrico Falqui

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il lib

rocio socio-culturale da parte degli attori fondamen-tali delle trasformazioni della Città e del Territorio. Infatti, dice l’Autore: ”E’ quando fra Spazio e Socie-tà si stabilisce una sintonia che possiamo parla-re veramente di Paesaggio”. La consapevolezza di questo paradigma nuovo comporta per l’Autore una revisione radicale delle classificazioni troppo rigi-de di cui si sono dotate Regioni e Province, come ad esempio la definizione statutaria di una “Carta dei Luoghi” o la valutazione della “qualità paesaggisti-ca” attraverso una rigida determinazione di “soglie” misurate attraverso indici di discutibile oggettività. Zagari ci invita al viaggio alla ricerca della Bellez-za ,accompagnandoci per luoghi di città con le quali ha stabilito un’osmosi emozionale, come la Chellah a Rabat, la città storica di Siviglia, il miti-co scenario tra Scilla e Cariddi attraverso lo Stret-to di Messina, il movimento dinamico del paesag-gio urbano di Times Square a New York, i paesaggi iconemici di Petra e Venezia, il barranco (canyon) di Guiniguada a Las Palmas nella Gran Canaria. Questa narrazione paesaggistica ci fa riflettere sulla pluralità di definizioni e di modalità di percezione dei paesaggi contemporanei da parte dell’individuo mo-derno; il che ci fa comprendere con maggiore consa-pevolezza che “il Paesaggio evolve nel nostro pensie-ro con grandi cambiamenti, nel giudizio di ciò che ci appare giusto e bello...” poiché stiamo vivendo la transizione da una democrazia arcaica a una demo-crazia moderna che si lascia alle spalle tutti i paradig-mi arcaici che stanno alla base del modello sociale ed economico.

Zagari ci invita a liberarci di qualsiasi pregiudizio nei confronti di ciò che vediamo negli spazi am-

bigui e liquidi di questa “Città-Non Città”, che attra-versiamo nel movimento quotidiano tra spazi dell’a-bitare e spazi della produzione e del tempo libero. In questa esortazione, l’Autore, a mio avviso, ci affida l’eredità del suo “modo” di progettare il Paesaggio, allargando l’orizzonte professionale del paesaggista ma anche il campo della percezione sociale del Pae-saggio. E’ in questo passaggio che Zagari ci fa capire l’ambizioso obiettivo progettuale al quale sta dedi-cando le sue energie migliori con la frenetica attività di “progettista itinerante” quale sempre egli è stato; egli vuole cambiare “il modo di percepire le forme del

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il libroPaesaggio”ed anche il modo e il metodo di “progetta-re” il paesaggio a scala d’opera e a scala urbana, impo-nendo all’architetto- paesaggista una vera e propria “catarsi”, sia nel metodo di interpretazione dei luo-ghi che nell’ascolto delle tante voci della Comunità. Zagari dà l’impressione, in questa lucida narrazio-ne “paesaggistica”, di voler teorizzare la necessi-tà di una “rottura” con quella cultura “difensiva” del paesaggio che ha burocratizzato e ghettizzato la professione del paesaggista in Italia, che ha reso marginale il Paesaggio nelle politiche di governo del Territorio da parte delle pubbliche amministra-zioni, che ha consegnato impropriamente la salva-guardia e tutela del paesaggio alle Sovrintendenze Regionali e Comunali, che ha impedito alle Comu-nità locali di progettare uno sviluppo sostenibile fondato sulla centralità “economica” del Paesaggio. Per operare questa rottura, Zagari ci rende consape-voli che “...in un progetto di paesaggio i temi do-vrebbero essere trattati tenendo in stretta rela-zione di scambio la scala del dettaglio e quella dei grandi sistemi, tenuti invece molto distanti tra di loro nell’abitudine del progetto di architettura e di urbanistica. ”Ciò che deve essere smontato è il rapporto “deduttivo” dal Piano al Progetto, poiché è evidente ormai a gran parte dell’opinione pubbli-ca che nelle nostre città “...nuove forme si impon-gono, nuove densità, nuovi canoni e funzioni d’uso dello spazio e nuovi criteri di identità e di bellezza”. Più che una “lettera aperta” il testo costituisce l’ante-prima di un nuovo “Manifesto” di idee e proposte per far divenire il Paesaggio una delle “centralità” cultu-rali e politiche per le nuove generazioni di “attori e stakeholders” del Territorio e della Città.

Il libro è corredato da belle immagine a colori di parchi, spazi verdi progettati e di suggestioni pa-

esaggistiche dello stesso Zagari, di Marina Merisi e Monica Sgandurra. Per tutti questi motivi è un libro che non dovrebbe mancare in nessuna biblioteca per-sonale o pubblica di questo Paese.

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Honorable mention Hansjörg Göritz + Melissa Morris + Brandon McCloy (Germany)KAROSTA OASIS CULTURAL FORUMAscending Place - Descending Space

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