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La cartuccia .375 Holland & Holland Magnum venne im-messa sul mercato, dalla pre-stigiosa ditta Holland & Hol-

land di Londra nell’agosto del 1912. A quel tempo per la caccia grossa nelle proprie colonie i britannici erano ben forniti anche con riguardo ai fucili a ot-turatore girevole-scorrevole: nel 1909 era stato presentato il calibro .404 Jeffery, seguito più tardi, nel corso dello stesso anno, dal .425 Westley Richards, mentre giusto l’anno prima della nascita del .375 H&H, ossia nel 1911, erano apparsi sia il .416 Rigby che il gigantesco .505 Gibbs. Inoltre il successo riscontrato, nelle colonie te-desche, dalla cartuccia 9,3x62 Mau-ser, creata da Otto Bock nel 1905, fu un altro fattore che spinse senz’altro la Holland & Holland a gettarsi nell’a-gone dei calibri da bolt-action per cac-cia grossa, ispirandosi per il diametro della palla proprio alla munizione te-desca. Invero già nello stesso 1905 la Holland & Holland aveva cercato di crearsi una propria fetta di merca-to con la cartuccia .400/375 Belted Rimless Nitro Express o .400/375 H&H, ma tale munizione, la prima con bossolo belted, ossia cinturato, a essere mai venuta al mondo, con il suo bossolo di soli 2,5”(63,5 mm) e le sue anemiche prestazione non ri-scosse nessun successo e sarebbe presto caduta nel dimenticatoio. Non è invece certamente andata così con la seconda cartuccia belted mai ap-parsa sul mercato, ossia la .375 Bel-ted Rimless Magnum o, per l’appunto, .375 Holland & Holland Magnum, la quale sarebbe diventata la cartuccia per caccia grossa più famosa, univer-sale e di maggiore successo di tutti i tempi. Essa fu inizialmente offerta con tre caricamenti, tutti montanti

ovviamente una palla del diametro di .375”(9,525 mm), lo stesso della .400/375 H&H, e tutti prodotti dalla Kynoch, che deteneva allora il mono-polio dei calibri inglesi: uno con palla da 235 grani (15,228 grammi) con Vo di 2800 fps (853,44 m/s), uno con palla da 270 grani (17,496 grammi) con Vo di 2650 fps (807,72 m/s) e un terzo con palla da 300 grani (19.44 grammi) con Vo di 2500 fps (762 m/s). La .375 H&H è dunque una munizione cinturata, con bossolo a collo di bottiglia lungo 2,85” (72,39 mm) e, data l’esiguità della sua spal-la, avente un angolo di soli 12,45°, è una delle poche cartucce belted in cui

il belt è davvero indispensabile per l’head- space, ossia , in parole pove-re, il belt è il punto in cui la cartuc-cia viene trattenuta nell’arma e/o in seguito espulsa dalla stessa. La sua lunghezza cospicua è dovuta al fatto che allora venisse caricata, come del resto tutte le cartucce Nitro-Express, con la voluminosa cordite vermicola-re, l’unica polvere infume usata allora dai britannici per tutte le loro cartuc-ce.Ancora più imponente era però il bossolo della cartuccia quasi gemel-la della .375 H&H e introdotta sem-pre da Holland & Holland insieme a quest’ultima nello stesso 1912: la

Per celebrare i cento anni dalla presentazione della cartuccia per caccia grossa più famosa e universale di tutti i tempi, vi proponiamo la prova sul campo di una delle carabine da Safari altrettanto celebri, qui nella versione con calciatura sintetica

Di Andrea Bubola

.375 H&H MAgnUMUn seCoLo DI CACCIA grossA

Pubblicità della Weatherbydel 1979. Molta enfasi era data alle

prestazioni di arma e munizioni

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.375 Flanged Magnum: dotata, come dice il nome stesso, di collarino e quindi pensata espressamente per l’uso in fucili Express o monocolpo, il suo bossolo misura la bellezza di 2,94”(74,676). Per facilitare l’estra-zione dei bossoli le sue prestazione furono sin da subito inferiori a quelle della consorella belted, dato che in ognuno dei tre diversi caricamenti of-ferti da Holland & Holland tramite la

Kynoch, essa, proposta con gli stessi pesi di palla della .375 Belted, rag-giungeva però 100 fps (30,48 m/s) in meno di Vo. Di recente è stata ripro-posta dalla Norma svedese, nella pro-pria linea di cartucce African PH, con un peso di palla di 350 grani (22,68 grammi).La Holland & Holland pensò la propria .375” come una “proprietary cartrid-ge” ossia come una cartuccia sulla

quale aveva l’esclusiva, e questo era anche il caso, per esempio, della .416 Rigby e della .505 Gibbs; questa scelta non contribuì certo alla diffusio-ne della .375 H&H nei due anni che precedettero lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, a seguito del quale la sua produzione cessò. Ma una vol-ta terminato il suicidio collettivo della vecchia Europa la Holland & Holland decise di liberalizzare la propria cre-

Da quando, nel corso del 1996, i Weatherby Mark V hanno iniziato a essere prodotti negli U.S.A., il pulsante di sgancio del caricatore è stato assai opportunamente spostato da davanti la guardia del grilletto, dov’era prima, a dentro la medesima

Nelle carabine Weatherby l’attacco anteriore della cinghia di trasporto non è sulla canna, ma sul calcio e ciò, almeno in linea teorica e sotto l’effetto di un forte rinculo, potrebbe creare qualche problema alla mano “debole” che impugna l’arma, benché l’autore a caccia non abbia affatto avuto difficoltà in merito

Particolare del vivo di volata dell’arma; le rigature sono sei con andamento destrorso e con un passo costante di 1 giro in 12”

FUCIL ILa carabina bolt-action Weatherby Mark V Synthetic in calibro .375 Holland & Holland Magnum, con canna di 24”, corredata di ottica Leupold 1,5-5x20 mm e cinghia di trasporto

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Il caricatore (della capacità di tre cartucce .375 H&H, più una in canna), con il fondello ribaltato; si noti la molla a lamina pieghevole che comanda lo stesso

azione e il successo della .375 H&H assunse progressivamente dimensio-ni planetarie. Balisticamente assai superiore alla sua antenata nata male .400/375 e più veloce e radente an-che della 9,3X62 Mauser, la .375 H&H diventò presto uno standard di riferimento per le munizioni per caccia grossa. Negli anni ‘20 la .375 H&H si affacciò anche negli Stati Uniti quan-do preparatori di armi custom come Griffin & Howe iniziarono a proporre carabine per essa camerate, mentre la Western Cartridge Co. fu la prima ditta a offrire un caricamento com-merciale statunitense nel 1925. La consacrazione definitiva negli U.S.A. la nostra .375” l’ebbe però nel 1937, quando il Winchester Modello 70, “The Rifleman’s Rifle”, nato giusto l’anno prima, venne camerato nella munizione di Holland & Holland.Come abbiamo già visto la .375 H&H venne caricata inizialmente a cordite, un propellente assai sensibile, quan-to ad aumenti di pressione, alle alte temperature dei climi tropicali, per cui inizialmente il suo picco pressorio massimo era di circa 47000 libbre per pollice quadrato (47000 psi), ma, una volta passati a propellenti più mo-derni e affidabili, si giunse tranquilla-mente ai 55000 psi, e le prestazioni della cartuccia salirono a 2700 fps (822,96 m/s) per la versione con palla da 270 grani, e a 2530 fps

(771,144 m/s) per quella con palla da 300 grani, mentre il peso di pal-la di 235 grani era progressivamente scomparso, causa lo scarso succes-so incontrato.Tra i più recenti caricamenti commer-ciali del .375 H&H vi sono sia la ver-sione della Norma, la quale nella pro-pria serie di cartucce African PH con il bossolo nichelato propone una .375 H&H con palla da 350 grani della Wo-odleigh australiana, sia a espansione controllata che camiciata in acciaio, con Vo di 2300 fps (701,04 m/s), che le .375 H&H ultraveloci della Federal, nella serie High Energy, e della Hor-nady, in quella Superformance. Tali cariche si avvantaggiano delle ricer-che più aggiornate in fatto di polveri, per cui riescono a spingere le palla di .375” nei classici pesi di 270 e 300 grani a velocità chiaramente più alte rispetto alle cariche standard, pur restando nei limiti pressori poc’anzi citati; la .375 H&H della Hornady Su-

performance spinge infatti una palla da 270 grani a 2800 fps. Un prece-dente caricamento Hornady, con pol-vere diversa e denominato Heavy Ma-gnum, la spingeva addirittura a 2870 fps (874,776), ma si trattava di pol-vere fortemente compressa, per cui la Hornady ha preferito ripiegare sulla carica Superformance di cui sopra. Da diversi decenni a oggi la .375 Hol-land & Holland Magnum si è afferma-ta quale cartuccia per caccia grossa, a un punto tale che allo stato attuale si può tranquillamente affermare che non esista fabbricante di armi al mon-do, sia di armi strettamente di serie che di armi custom, che non abbia in catalogo almeno un modello in essa camerato. Benchè fosse una munizio-ne concepita in origine espressamen-te per l’impiego in fucili bolt-action, quando l’inglese Kynoch nei tardi anni ‘60 dismise la produzione delle grosse cartucce Nitro Express, inizia-rono a fiorire fucili Express camerati

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nel calibro in oggetto, e la tendenza è tuttora ben viva, nonostante il prepo-tente ritorno dei calibri Nitro Express. Sicuramente, soprattutto consideran-do i pesi di palla affermatisi a livello commerciale, la .375 Holland & Hol-land Magnum è decisamente adatta a selvaggina di mole considerevole, negli U.S.A. dal cervo wapiti in su; per animali più piccoli può senz’altro essere usata, e difatti lo viene, ma il suo rinculo è inutilmente alto per cac-ce in cui funzionano egregiamente, e appunto con minore rinculo, anche calibri ben più piccoli. In Africa viene

considerata ideale per il leone e le an-tilopi più grosse, tale era stimata in India per la caccia alla tigre, mentre sul continente americano il suo impie-go elettivo è la caccia agli orsi polare, kodiak e grizzly, me vi è anche chi la usa con grande profitto per insidiare l’alce e il già citato cervo wapiti. In Alaska talune guide di caccia grossa la considerano un assicurazione sulla vita impiegandola, data la rapidità nel ripetere il colpo tipica di tali armi, in fucili Express. Assai più controverso è il suo utilizzo in Africa per la caccia al bufalo cafro e ai pachidermi. Talune

L’attacco della cinghia di trasporto sul calcio. Si può anche ammirare la

gobba sopraelevata del “Montecarlo”, elemento distintivo dello stile

Weatherby anche nelle calciature sintetiche

La calciatura sintetica del modello Mark V Synthetic presenta una piega assai meno accentuata rispetto ai Weatherby Mark V con calciatura in legno. Si osservi inoltre lo zigrino volto a favorire una migliore presa dell’arma

autorità in materia ritengono che per tali cacce possa andare bene nelle mani di un cliente, ovviamente accom-pagnato da un cacciatore professioni-sta armato con un calibro più grosso, ma, non considerandola una stopping-cartridge, e quindi una munizione atta a fermare una carica, ne sconsigliano l’uso ai Professional Hunter, benchè in codesta categoria vi siano individui sopravvissuti a decenni di onorata carriera nel bush africano, confidan-do unicamente nel proprio bolt-action camerato in.375 Holland & Holland Magnum. Inoltre, stante il tempo da cui è in cir-colazione e data la sua capillare diffu-sione, non è peregrino il pensare che con il calibro .375 Holland & Holland Magnum si siano abbattuti in assolu-to più bufali cafri e più pachidermi che con qualsiasi altra cartuccia esistente al mondo. Tra i massimi “guru” della caccia grossa John Howard “Pondoro” Taylor, nel suo fondamentale testo del 1948 “African Rifles and Cartridges”, dedica un intero capitolo alla .375 Holland & Holland Magnum, definen-dola il migliore calibro medio per la caccia africana e soprattutto la sua personale candidata per il titolo di mi-gliore cartuccia adatta a tutti gli usi (in effetti, dato che con la palla da 270 grani la .375 H&H ha la stessa raden-za di un .30/06 con la classica palla da 180 grani (11,664 grammi), essa è sempre stata usata con piena soddi-sfazione anche per la caccia a tutte le antilopi africane). Invece Elmer Keith,

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supremo cantore dei grossi calibri, la ritiene assolutamente inadatta per il bufalo e l’elefante, per la caccia dei quali consiglia, come minimo, il .404 Jeffery e il .416 Rigby, e lo stesso af-ferma Charles Askins Junior (il quale però asseriva che, munito di un guan-to da baseball, egli sarebbe riuscito a fermare in volo una .44 Magnum sparatagli da una distanza di 600 yard (550,2 m), per cui è facile desu-mere che avesse una certa tendenza a sottovalutare i calibri che non gli an-dassero a genio). Tra le autorità nella caccia grossa a noi più vicine nel tem-

po, Tony Sanchez-Arino, Professional Hunter con oltre 1300 elefanti all’atti-vo, considera la 375 H&H la migliore cartuccia multiuso esistente, con la quale egli ha abbattuto egregiamente anche l’elefante, consigliando però ai propri clienti, per la caccia al medesi-mo animale, un peso di palla minimo di 400 grani (25,92 grammi), quindi un calibro maggiore, mentre la ritie-ne il limite minimo di potenza per la caccia al bufalo cafro. Ross Seyfried, già campione mondiale di Tiro Pratico nel 1981 a Johannesburg e anch’egli guida di caccia grossa, sostiene che

la sola arma che voglia vedere nelle mani dei propri clienti all’inizio di un Safari sia un bolt-action, dotato di otti-ca, in calibro .375 Holland & Holland Magnum. Craig Boddington reputa la .375 H&H assolutamente adeguata al bufalo cafro mentre non la conside-ra l’ideale per l’elefante, ritenendola adatta a tale caccia soltanto in mani estremamente esperte, tra le qua-li evidentemente anche le sue, dato che con la .375 H&H egli ha abbat-tuto ben più di un elefante. Sempre Boddington, nello scrivere i suoi libri “Safari Rifles” e “Safari Rifles II” ha

L’ottica variabile Leupold 1,5-5x20 mm è stata saldata al telaio dell’arma. Essa

non è quindi staccabile ed è dotata di due torrette di regolazione

Particolare del lato sinistro della medesima ottica

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interpellato due volte, a distanza di diciotto anni, tutti i principali P.H. del continente africano, i quali alla sua precisa domanda su quale fosse il ca-libro che essi consigliassero ai propri clienti, in un Safari in cui questi ultimi potessero portare un solo fucile, han-no indicato, in entrambe le occasioni e a stragrande maggioranza, il .375 Holland & Holland Magnum. Jack Lott, il quale, dopo che il 18 settem-bre 1959 durante un Safari al bufalo cafro in Mozambico, in cui impiegava il calibro .458 Winchester Magnum, aveva quasi perso la vita, giunse nel 1971 a creare la cartuccia .458 Lott, stimava la .375 H&H come il minimo assoluto per il bufalo cafro. Compa-rando però la .375 H&H ad altre car-tucce dotate dello stesso diametro di palla, egli giunse ad affermare che la .375 Holland & Holland Magnum, con la quale aveva sparato quasi ot-tocento colpi con munizioni commer-ciali alla coriacea selvaggina africana, ottenendo sempre ottimi risultati, co-stituisse un mix quasi perfetto di dia-metro, buone palle, traiettoria tesa, penetrazione e shocking power, tale per cui l’unico modo di incrementarne l’efficacia fosse quello di ricorrere a un calibro maggiore. A tale proposito

è d’uopo rilevare che, tra i calibri più recenti del .375 H&H, il .375 Reming-ton Ultra Magnum e il .375 Weatherby Magnum costituiscono indiscutibil-mente un gradino più elevato, sulla scala della velocità e dell’energia ci-netica, rispetto al .375 H&H, mentre il .378 Weatherby Magnum, con un incremento velocitario ed energetico di circa il 30% rispetto alla creazione di Holland & Holland, la sovrasta net-tamente. Ma, dato che non esistono pasti gratis, anche il rinculo di tali car-tucce è proporzionalmente più forte di quello della .375 H&H, tanto che, se quest’ultima rappresenta spesso, essendo l’entità del rinculo avvertito un fattore assolutamente soggettivo, il limite estremo cui un uomo di sana e robusta costituzione possa giun-gere per sparare con agio e senza la presenza di un freno di bocca un’ arma per essa camerata, per gli altri calibri poc’anzi citati il freno di bocca è spesso necessario, diventando as-solutamente indispensabile, a meno di non essere morbosamente attratti dai CTO, nel caso del .378 Weatherby Magnum. Le due cartucce dalle prestazioni più simili alla .375 H&H sono, senza dub-bio, la 9,3X64 mm Brenneke, e il re-

Il cuore dell’azione Weatherby Mark V, l’otturatore con nove alette radiali, disposte in tre file di tre. Si possono anche notare, sul corpo dell’otturatore, le scanalature longitudinali atte a favorire la scorrevolezza dell’azione

Particolare della scritta, forse pleonastica ma comunque sensata, la quale, nell’indicare il calibro, raccomanda di usare solamente cartucce in .375 H&H

Le scritte sull’arma indicanti rispettivamente il modello, il numero di brevetto relativo allo stesso e il nome del costruttore con il proprio indirizzo

centissimo .375 Ruger, frutto di una joint-venture tra Hornady e Ruger. La prima vanta prestazioni sovrapponibi-li alla .375 H&H, mentre la seconda, pur avendo un bossolo nettamente più corto della .375 H&H, è però più larga, per cui supera i caricamenti standard di quest’ultima, pur essendo camerabile, contrariamente alla .375 H&H, in azioni di lunghezza standard, come quelle adatte al calibro .30/06. In tutti gli stati africani il calibro .375” è ammesso per la caccia alla selvag-gina grossa e pericolosa, invece non tutti ammettono come calibro mini-mo il .366” ossia il 9,3 mm, donde il vantaggio della creatura di Holland & Holland su quella di Wilhelm Bren-neke. Per quanto concerne invece il confronto con la .375 Ruger, le cari-che commerciali iperveloci della .375

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H&H, citati più sopra, le fanno egua-gliare senz’altro le prestazioni della .375 Ruger, la quale, anche poiché di recente immissione, non è certo molto diffusa, mentre la .375 H&H è assai facilmente reperibile dovunque, anche in tutta l’Africa. In definitiva, per tutta la serie di fattori esposti, non è certo azzardato affermare che, pur non esistendo ovviamente la car-tuccia da caccia ideale, buona per tut-ti gli animali, dal topo all’elefante, se si tenesse però un sondaggio presso tutti i cacciatori del mondo, su quale calibro per arma lunga rigata fosse ri-tenuto la cartuccia da caccia migliore in assoluto, ebbene, il .375 Holland & Holland Magnum assai probabilmente vincerebbe a mani basse.

La carabina Mark VLa carabina che qui vado a esaminare è una Weatherby Mark V Synthetic in calibro .375 Holland & Holland Ma-gnum. Invero essa sarebbe una Syn-thetic Stainless, ossia in acciaio inox, ma, avendola io acquistata come me-mento di un mio safari al bufalo cafro, di cui parlerò più oltre, e volendola io in tutto e per tutto eguale a quella che mi fu prestata in Africa, ottica com-presa, l’ho fatta brunire. Come si può evincere dal nome stesso del modello è caratterizzata dalla calciatura sinte-tica, ma soprattutto dall’essere basa-ta sulla solidissima azione Weatherby Mark V, creata nel 1958 da Fred Jen-nie, capo ingegnere della Weatherby, in collaborazione con Roy Weatherby stesso. Tale meccanica si caratterizza per l’otturatore dotato di nove alette radiali di chiusura disposte in tre file di tre per quanto riguarda i calibri Ma-gnum, come è quindi in questo caso, e di sei alette disposte in due file di tre nei bolt-action camerati in calibri standard; in entrambi i casi la chiu-sura dell’otturatore medesimo è soli-da come la cassaforte di una banca, dato che presenta una superficie di tenuta maggiore di circa il 30% rispet-to al classico schema a due alette contrapposte. L’aumento della super-ficie di chiusura viene per di più inte-grato dall’inserimento profondo della testa dell’otturatore in culatta, il che esclude, data anche la superlativa la-vorazione meccanica, qualsiasi fuga

La sicura ad aletta è qui in posizione sollevata ed è dunque disinserita, come avverte anche il riferimento rosso. Si noti un simile punto rosso, posto sulla coda del percussore, che indica che lo stesso è armato, e difatti sporge anche dall’otturatore

Il percussore qui è sempre armato ma ora la sicura è abbassata per cui l’intera catena di scatto risulta bloccata, così come l’otturatore

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In questa foto si possono notare meglio le due torrette per la regolazione in altezza(posta sopra) e in derivazione(collocata sul fianco destro). La lente d’uscita presenta un diametro di 20 mm

di gas nonostante le elevate pressioni di canna proprie dei calibri Weatherby. Secondo la stessa Weatherby, l’ottura-tore nei calibri Magnum, essendo più grande, pesa 35,9 once (1017,765 grammi), con un incremento pondera-le del 28% rispetto all’otturatore nei calibri standard, il quale pesa invece 25,9 once (734,265 grammi). L’a-spetto più importante dell’otturatore Mark V è appunto la sua giustamen-te leggendaria robustezza, tanto che esso è realizzato in modo tale da po-tere sopportare addirittura pressiono di 200000 psi. Altra sua caratteristica precipua è il ridotto angolo di inarca-mento in fase di apertura, pari a 54°, rispetto ai 90° propri della classicissi-ma azione Mauser, il tutto ovviamente volto a favorire la velocità nel ribattere il colpo. Il corpo dell’otturatore, come in tutti i modelli della serie Mark V, è dotato di scanalature laterali per fa-vorirne lo scorrimento e soprattutto presenta sul lato destro tre forellini che dovrebbero servire da sfogo per i gas di combustione, allontanandoli al contempo dal volto del tiratore, nel

caso in cui, causa sovrapressione, si verificasse la rottura di un bossolo en-tro la camera di scoppio. La sicura è ad aletta e, posta late-ralmente sulla coda dell’otturatore, si può azionare agevolmente con il pol-lice: quando è abbassata l’arma non spara, mentre quando è sollevata la carabina può sparare e un circoletto rosso indica tale eventualità; la coda dell’otturatore è poi dotata di indica-tore di percussore armato, avvertibile sia al tatto che, tramite il solito circo-letto rosso, alla vista. La sicura inseri-ta blocca sia il grilletto e il percussore che l’otturatore, che non è più aziona-bile, salvo previo disinserimento sicu-ra. Nel calibro .375 H&H il caricatore è capace di tre cartucce (più una in canna), esso è apribile agendo, trami-te un pulsante, sul proprio fondello, il quale si apre in tal modo verso il basso. Per molti anni il pulsante de-putato all’apertura del caricatore è stato situato sull’esterno della guar-dia del grilletto; diversi anni or sono il già citato Ross Seyfried aveva scritto su “Guns & Ammo” su come egli, in

quanto guida di caccia grossa, avesse visto parecchi suoi clienti, armati con carabine Weatherby, aprire inavverti-tamente il caricatore, sotto l’effetto del vigoroso rinculo delle cartucce per le quali tali bolt-action sono di solito camerati, proprio a causa della discu-tibile posizione dello sgancio del ca-ricatore. Evidentemente alla Weather-by sanno assai commendevolmente ascoltare le critiche più sensate, poi-ché quando nel corso del 1996 la pro-duzione dei Weatherby Mark V passò dalla Howa Machinery nipponica alla Saco Difense di Saco, nel Maine, già produttrice per l’esercito statuniten-se della nota mitragliatrice M-60, il pulsante di sgancio caricatore venne finalmente e assai opportunamente spostato all’ interno della guardia del grilletto, dunque in una posizione del tutto indifferente al rinculo estrinseca-to. Il mio Mark V Synthetic, essendo “Made in U.S.A.”, ha quindi per fortu-na il pulsante per aprire il caricatore razionalmente posizionato entro la guardia del grilletto. Nel modello Synthetic la calciatura

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Sul corpo dell’otturatore sono ben visibili i tre fori deputati all’uscita dei gas di combustione nel caso di rottura di un bossolo. Gli stessi sono posizionati in modo da allontanare i gas dal viso del tiratore

in materiale sintetico di colore nero privilegia al massimo grado la funzio-nalità rispetto all’estetica; essendo assai meno delicata e preziosa della calciatura in legno, e data la sua mol-to minore tendenza ad ammaccarsi, i cacciatori, spesso in abbinamento con un arma in acciaio inox, la usa-no sempre più spesso negli ambienti estremi, quali quelli polari o delle alte cime innevate. Anche sul modello Synthetic come sull’intera gamma Mark V è presente,” out of the box”, il bedding, ossia il perfetto allettamento nella calciatura di canna e meccanica dell’arma. Volto ovviamente a favorire la precisione, esso è spesso assente sulle carabine prodotte industrialmen-te, tanto che gli acquirenti di tali armi ricorrono di frequente, per la sua re-alizzazione, ad artigiani specializzati. Fortunatamente la Weatherby, che lo realizza tramite una resina sintetica, memore del fatto che i propri Mark V costino senz’altro più della media dei bolt-action concorrenti, lo fornisce di serie sull’intera linea Mark V. La carabina Mark V Synthetic viene for-

nita, come tutte le Weatherby, del tut-to priva di qualsivoglia organo di mira, e in questa nuda veste e nel calibro .375 H&H pesa 8,25 libbre (3742,2 grammi). Risulta invece di poco più di 1,5 kg lo scatto dell’arma, netto, a un tempo e senza precorsa, esso è facilmente gestibile anche grazie al comodo grilletto rigato verticalmente. La canna del modello di carabina in oggetto è lunga, come per tutti i cali-bri non Weatherby per cui essa viene camerata, 24”(609,6 mm), mentre i 26”(660,4 mm) sono appannaggio esclusivo dei calibri Weatherby. Essa è di sezione generosa, presenta infat-ti un profilo definito dalla Weatherby numero 3, lo stesso delle canne in .378 e in .416 Weatherby Magnum montate sul modello Mark V Deluxe, risultando più spessa e più pesante della canna con profilo numero 2, usata per esempio per il .300 Wea-therby Magnum, restando più sottile e leggera soltanto dell’enorme canna con profilo numero 4, che la Weather-by utilizza nel calibro .460 Weatherby Magnum. Come per il proprio calibro

.378 Magnum, che monta in realtà palla di .375” di diametro, anche per le carabine in .375 H&H Magnum la Weatherby ha adottato un passo di rigatura costante (la rigatura ha sei principi con andamento destrorso) di un giro in 12”(304,8 mm). Sulla mia Mark V Synthetic, per ren-derla proprio eguale a quella da me usata in Africa, ho fatto montare una cinghia di trasporto e soprattutto lo stesso cannocchiale colà impiegato, ossia una ottica variabile Leupold 1,5-5x20 mm, perfettamente adat-to allo scopo di insidiare grossi ani-mali. Al poligono di tiro l’ho provata sulla distanza di 100 metri; come l’inclito lettore di “Diana Armi” spero ricordi avevo, diverse parole fa, di-squisito su come il calibro .375 H&H avesse un rinculo dominabile da qualsiasi uomo robusto e senza che costui dovesse essere l’incredibile Hulk, anche senza l’uso di un freno di bocca. Ebbene, proprio grazie a ciò,dato che mi potevo concentrare esclusivamente sul tiro, senza timori dovuti al rinculo, e causa anche la

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bontà dello scatto dell’arma, ho ot-tenuto buone rosate, considerando soprattutto le dimensioni dei ber-sagli cui per solito il .375 H&H è destinato, e vista anche la varietà delle cartucce provate, essendo esse sia di marche diverse che in entrambi i classici pesi di 270 e 300 grani. Parte della leggenda del .375 Holland & Holland Magnum è basata sul fatto che, secondo mol-ti suoi utilizzatori, con tale calibro si possano sparare cartucce le più svariate per marche e pesi di pal-la, colpendo però sostanzialmente sempre nello stesso punto mirato, pur senza dovere ritarare gli organi di mira a ogni cambio di muniziona-mento. Ciò ovviamente non è sem-pre vero, ma, per mia fortuna, lo è nel caso della mia carabina Wea-therby Mark V Synthetic.E ora, dopo avere tanto parlato della Weatherby Mark V Synthetic e specialmente della leggendaria cartuccia .375 Holland & Holland Magnum, giungo finalmente a trat-tare dell’ambito cui esse, soprat-tutto la seconda, indissolubilmente appartengono, ossia la caccia gros-sa africana, e della indimenticabile esperienza in tale contasto da me, insieme a esse, vissuta.

La prova a cacciaPiù importante della salute, più im-portante dell’amore, più importante del lavoro. Più importante dell’aria stessa che respiriamo, dell’acqua che beviamo, del cibo che mangiamo. Al di sopra perfino della sublime, supre-ma musica di “Tristano e Isotta” di Richard Wagner, al di sopra di tutto vi è il Safari africano. E da che mondo è mondo il Safari africano ha significato soprattutto una cosa: bufalo cafro! A ciò io stavo pensando mentre lunedì 3 agosto 2009 atterravo a Hoedspru-it, Sud Africa, per una caccia al bufalo cafro nella Boston Game Reserve, as-sai vicina al famoso Parco Kruger. Io che in vita mia non avevo mai cacciato animali, all’infuori di vespe, mosche, tafani e del partecipare ogni estate al tentato, purtroppo mai riuscito, stermi-nio programmatico delle insopportabili zanzare, mi accingevo allora a tentare di coronare il sogno di una vita: per l’appunto la caccia al bufalo cafro. Da sempre appassionato di grossi calibri ma assolutamente disinteressato alla selvaggina italiana e, più in generale, europea, io, nella mia mania di gran-dezza, che mi aveva portato a posse-dere come mia prima arma corta un revolver Smith & Wesson calibro .44 Magnum e, come prima arma lunga,

addirittura una carabina Weatherby in calibro .460 Weatherby Magnum, non potevo non volgermi, come mia prima caccia in assoluto, all’animale che tut-ti i cacciatori da me conosciuti nella mia giovinezza, indicavano senz’altro come il più pericoloso in assoluto, il mitico, leggendario bufalo cafro. Per i motivi poc’anzi esposti e complice anche un’inarrestabile allergia alla bu-rocrazia italiota, non ho mai nemmeno preso la licenza di caccia, per cui avrei cacciato con un’arma prestatami dal mio Professional Hunter. Era costui Ray Kemp della Lalapa Sa-faris (www.lalapasafaris.co.za; [email protected]), mentre l’Outfitter ossia l’organizzatore e il sovrinten-dente del tutto era Philip Oosthuizen della Ebony Wild Safaris ([email protected]), socio in affari del sim-paticissimo Frank Voos, il proprietario, beato lui, dell’intera riserva di caccia, che avrebbe anche svolto mansioni d’autista. Con tali professionisti, assai validi e seri, mi trovai benissimo, an-che perché, pur senza saperlo, mi re-sero assai felice quando mi indicarono tutti quanti, in base alla loro cospicua esperienza, il bufalo cafro come l’ani-male potenzialmente più pericoloso in assoluto, proprio le parole che ago-gnavo tanto sentirmi dire. Poiché pen-

Cartucce .375 H. & H. Magnum della RWS con palla da 300 grani blindata. Poco sopra il fondello è visibile il “belt” o cintura; la .375 H&H è stata la seconda munizione in assoluto nella storia a farne sfoggio, nel 1912, dopo la sfortunata .400/375, sempre di Holland & Holland, nel 1905

Rosata di cinque colpi ottenuta da cinquanta metri di distanza, usando cartucce RWS con palla completamente blindata da 300 grani

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so da sempre che chiunque racconti le proprie esperienze di caccia in ge-nerale, e grossa in particolare, senza fare menzione delle armi e dei calibri usati, meriti come minimo la pubblica gogna, passo subito alla situazione armiera od oplologica che dir si vo-glia: Frank Voos usava un bolt-action Voere in .375 Holland & Holland Ma-gnum, Philip Oosthuizen un bolt-action CZ nel medesimo calibro mentre Ray Kemp, il mio P.H., portava un CZ cui aveva cambiato sia la calciatura ori-ginale con una più bella, con puntale in palissandro, che soprattutto la ca-meratura, dall’originale .375 H&H al .416 Remington Magnum, modifica che, se venisse fatta in Italia, farebbe certo venire, il che non sarebbe certo negativo, un colpo apoplettico a più di qualche ineffabile burocrate italiota. Quanto a me, Ray mi prestava una carabina bolt-action Weatherby Mark V Synthetic in .375 Holland & Holland Magnum corredata di ottica variabile Leupold 1,5-5x20 mm; come cartucce avrei usato, per quanto riguarda quel-le a palla espansiva, delle ricaricate, assemblate da Ray, montanti palla Nosler Accubond da 270 grani (sono queste ultime palle a espansione controllata del tipo bonded-core ossia con il nucleo in piombo chimicamente

saldato alla camiciatura, onde mante-nere più peso possibile dopo l’espan-sione, il tutto ai fini di incrementare la penetrazione della palla pur dopo l’espansione della stessa), mentre per le “solide” avrei avuto a disposi-zione sia delle ricaricate, sempre da Ray, con palla da 270 grani della PMP con il nucleo in piombo rivestito da un mantello in acciaio, che delle cartuc-ce di fabbrica della PMP con palla da 300 grani totalmente blindata (la PMP è una ditta sudafricana che fornisce sia palle per la ricarica, sia munizioni di fabbrica già assemblate). Tutti que-sti cacciatori professionisti preferisco-no, nella caccia al bufalo cafro, che il proprio cliente abbia in canna una cartuccia con palla espansiva, per fare più danno possibile con il primo col-po, ma che nel caricatore tenga mu-nizioni con palla solid, onde avere la massima penetrazione possibile, nel caso si debba fronteggiare una carica. Come si può evincere dall’elenco pre-cedente, non vi era dunque nemmeno l’ombra del classico fucile Express a doppia canna tanto spesso associato alla caccia grossa africana: per tutti i miei accompagnatori l’Express era ed è un’arma troppo preziosa, costosa e raffinata per un uso, potenzialmente assai rude, nel bush africano, molto

meglio, per tutti loro, una, molto meno costosa e molto più pratica, carabi-na bolt-action. E, a proposito di tale arma, io ero assai contento di avere a disposizione una Weatherby Mark V: come grande appassionato conosce-vo molto bene l’azione Mark V, aven-dola provata molte volte sui campi di … tiro, donde me ne derivava quella confidenza nell’arma da usare, che tutti gli esperti indicano come uno dei fattori più importanti in assoluto nella caccia africana alla selvaggina perico-losa. Il giorno del mio arrivo alla Bo-ston Game Reserve, Ray mi fece effet-tuare, sparando dallo stick, ossia dal bastone d’appoggio che avrei usato per il primo colpo al bufalo cafro, due tiri su un bersaglio di carta posto alla distanza di 50 metri. Il tutto per veri-ficare la corretta taratura dell’ottica, dopodichè via, dal giorno successivo sarebbe iniziata la tanto disiata caccia al bufalo cafro. Il mattino di mercoledì 5 agosto 2009 mi trovai così finalmente, con il Wea-therby Mark V appoggiato allo stick, ad effettuare il primo tiro di caccia in assoluto della mia vita, ad un maschio solitario di bufalo cafro, posto a circa 50 metri da me, in posizione frontale. Attraverso l’ottica potei vedere benis-simo i suoi occhi scuri focalizzati su di

Cartucce .375 Holland & Holland Magnum della Hornady con palla da 270 grani semiblindata espansiva ; appartengono alla serie di cartucce iperveloci “Heavy Magnum” di cui si discute nell’articolo

Rosata di tre colpi alla distanza di cento metri, impiegando cartucce Federal con palla semiblindata espansiva da 300 grani

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me e vissi così sulla mia propria pelle la verità assoluta e inconfutabile del-la celeberrima frase di Robert Ruark, grandissimo scrittore di caccia grossa africana oltre che grande praticante della medesima:”Tutti i vecchi maschi di bufalo cafro hanno una cosa in co-mune, ti fissano come se tu dovessi loro dei soldi”. La mia fucilata partì alfine come una liberazione ma il solo effetto che vidi fu che il bufalo scartò alla propria sinistra correndo via come se nulla fosse stato, mentre il mio PH, con mia grande sorpresa, si congratu-lava con me per la bontà del tiro. Iniziò così la cerca del bufalo ferito per la quale i tracciatori neri non avevano a disposizione nessun segno di sangue, secondo Philip e Ray poiché la palla era rimasta nel corpo dell’animale. Pochi minuti dopo però lo ritrovammo, evidentemente provato dalla ferita, al che tutti all’unisono mi gridarono: ”Shoot! Shoot!” ossia “Spara! Spara!” e io quello feci, portando velocemen-te la carabina alla spalla e sparando d’istinto, quasi senza mirare, al che, con mio stupore superato solo dalla

mia soddisfazione, il bufalo crollò all’i-stante, colpito alla colonna vertebrale. Riusciva però ancora a nuovere l’im-ponente testa per cui occorsero an-cora ben due colpi di grazia da parte mia affinchè la prima caccia della mia vita avesse termine. Rinvenimmo poi la palla Nosler Accubond da 270 gra-ni del mio primo colpo perfettamente espansa nel polmone sinistro del bufa-lo, eppure esso era scappato via come se non fosse nemmeno stato colpito, mentre la PMP camiciata in acciaio del secondo colpo dopo avergli rotto la co-lonna vertebrale entrando dal suo lato sinistro era fuoriuscita dall’altra parte. L’animale, secondo Ray, aveva circa dodici anni e doveva pesare intorno agli ottocentocinquanta chilogrammi, indubbiamente pesava molto dato che, durante il primo tentativo di issar-lo sul fuoristrada Toyota, un asse di legno si spezzò. Il trofeo misurava 36” (914,4 mm), ma la mia immensa gio-ia era data soprattutto dall’emozione della caccia e dalla bontà dei miei tiri. Ma il meglio doveva ancora venire poi-ché se il primo bufalo, come il primo

amore, non si scorda mai, il secondo è più bello ancora, come giustamente ci ricorda la nota canzone. Due giorni più tardi, il mattino di venerdì 7 agosto 2009, mi accingevo a sparare a un vecchio cafro, accompagnato da uno più giovane, e il mio bersaglio si tro-vava a circa 50 metri di distanza, dan-domi il fianco, quindi in una posizione potenzialmente più favorevole rispetto a quella di due giorni prima, senonché il vecchio bufalo era anche posto in un avvallamento, dunque un po’ più in basso rispetto a noi. Ebbene, tutti i sacri testi venatori sa-crosantemente insegnano che, quan-do il tuo bersaglio si trovi vuoi più in basso, vuoi più in alto di te, tu debba mirare comunque sempre un poco più in basso rispetto al punto che tu inten-da colpire. Io conoscevo perfettamen-te tutto ciò, ma all’atto pratico il misto negativo di inesperienza ed emozione mi giocarono un brutto tiro, nel senso più pieno dell’espressione, dato che, mirando esattamente dove volevo col-pire, anziché tenermi più basso, il mio tiro finì alto e un po’ nella carne di nes-

L’autore con il primo bufalo cafro abbattuto e con il Weatherby Mark V Synthetic in .375 H&H

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suno, in quanto mancò i polmoni, per quanto grandi essi fossero, ma risultò al contempo troppo basso per potere attingere la colonna vertebrale. Il vec-chio bufalo, colpito nel fianco destro iniziò a correre a rotta di collo nella di-rezione verso la quale guardava, tosto seguito dal suo più giovin compagno. Iniziò così per me ciò che tutti i caccia-tori di caccia grossa temono quanto il fisco italiano, ma cui neanche tanto segretamente al contempo e contra-riamente che al fisco anelano, ossia la cerca di un bufalo cafro solo marginal-mente ferito e comunque comprensi-bilmente assai rabido, nel fitto intrico del bush africano. Il nostro insegui-mento si protrasse per diverse ore, e questa volta vi erano tracce di sangue ben visibili, segno che la palla Nosler Accubond da 270 grani era probabil-mente fuoriuscita dall’animale. La cer-ca continuò addirittura nel pomeriggio dopo la sospensione causa pranzo. Io, su consiglio di Ray, avevo abbassato l’ingrandimento dell’ottica dai 4 del mio primo tiro, al minimo di 1,5, men-tre mi ricordo benissimo il consiglio

di Philip: “Non appena vedi una cosa nera, tu spara!”. E io esattamente ciò feci non appena il bufalo colpito, evi-dentemente comunque un po’ rallen-tato dalla ferita, visto che l’altro non lo si poteva più vedere nemmeno con il telescopio del Monte Palomar, ci sfrec-ciò davanti, da destra verso sinistra, per passare da un macchione all’altro, e la mia fu un’autentica stoccata, sui cui esiti, se fosse o meno andata a se-gno, sul momento, non seppi proprio cosa pensare. Ma ecco che, percorsi pochi metri, io vidi tutti i tracciatori ,di-sarmati, fuggire via partendo con uno sprint tale da fare invidia al Ben John-son dopato del 1988. Sul momento, essendo io controsole, non ne compresi il motivo, ma una fra-zione di secondo dopo una visione mi fece letteralmente sobbalzare il cuore in gola: a non più di venticinque me-tri da noi, leggermente spostato sulla mia destra, vi era il bufalo ferito, tanto vicino a me che il famoso sguardo del bufalo secondo Robert Ruark, questa volta lo potei vedere a occhio nudo, non attraverso l’ottica, e fu perciò tan-

to più impressionante. A quel punto temetti ovviamente una sua carica, un’eventualità secondo me quanto mai esiziale, poiché va bene l’emozione della cerca al bufa-lo ferito, ma solo un fervente segu-ce del barone von Masoch, quale io non sono mai stato, può anelare alla carica di un cafro. Come tra l’altro insegna Tony Sanchez-Arino, nessun animale lanciato in carica è tanto difficile da fermare quanto un bufalo cafro, poiché questi, durante la pro-pria carica,assorbe le pallottole come fossero pastiglie di vitamine, per cui soltanto un colpo al cervello o alla co-lonna vertebrale può davvero fermarlo in tale occasione. Ma la tanto temuta carica fortunatamente neanche iniziò, il bufalo rimase piantato di fronte a noi mentre Ray, Philip e io lo bersa-gliavamo di fucilate; avevamo tutti e tre finito tutti i colpi ma il bufalo era ancora in piedi, seppure immobile, no-nostante fosse pieno di ferite sicura-mente mortali. Il pericolo corso fu an-che la conferma di quanto gli esperti di caccia grossa da sempre sostengo-

Il secondo bufalo cafro abbattuto, si veda la punta mancante del corno sinistro causa lotte con altri maschi, e con il Weatherby Mark V Synthetic in .375 H&H. Da sinistra a destra, l’Outfitter Philip Oosthuizen, l’autore e il Professional Hunter Ray Kemp

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no, ossia l’importanza assolutamente fondamentale del primo colpo: con il primo bufalo io avevo colpito subito un punto vitale e dunque nessun peri-colo corso, per contro con il secondo bufalo nessun organo vitale centrato quindi batticuore e adrenalina a livel-li stratosferici. Ora che la situazione si era quasi normalizzata ci raggiun-sero i tracciatori recando munizioni fresche, al che io gli potei tirare altri due colpi e il formidabile bovide final-mente cadde morto. In tutto incassò ben tredici colpi prima di defungere, ma sia Philip che Frank mi assicura-rono che lì alla Boston Game Reser-ve, dove giustamente tengono questo tipo di statistiche, il record assoluto spettasse a un cafro crollato soltan-to dopo ben diciassette fucilate, e ciò la dice tutta su cosa possa arrivare a fare un bufalo cafro carico di adrena-lina e sul perché così tanti cacciatori considerino questo animale il più peri-coloso in assoluto da cacciare, al pun-to che pare che un cacciatore profes-sionista del passato avesse un giorno esclamato:”Se, considerandolo libbra per libbra, l’elefante fosse stato tanto resistente al piombo quanto il bufalo cafro, io non sarei neanche mai salito

Particolare delle due zampe posteriori del secondo bufalo spezzate da una .375 H&H di fabbrica della PMP con palla completamente blindata da 300 grani. Si noti il foro d’uscita sulla zampa destra, mentre quella sinistra, ove il proiettile è entrato, risulta quasi staccata dal corpo

Alcune palle estratte dai due bufali, da sinistra a destra, una Nosler Accubond in .375” da 270 grani, affungata nel polmone sinistro del primo bufalo, rappresenta il primo colpo mai sparato a caccia dall’autore, una PMP in .375” del peso di 270 grani con blindatura rinforzata in acciaio, una PMP, proveniente da cartuccia di fabbrica, in .375” con palla completamente blindata da 300 grani, e, infine, una Rhino Bullets (ditta sudafricana costruttrice di palle) in .416” del peso di 400 grani e di tipo Monolithic Solid. La sua lunghezza inusuale è proprio dovuta al fatto che essa venga tornita dal pieno d’ottone e, non avendo quindi un nucleo in piombo, metallo più pesante dell’ottone, risulti dunque, a parità di calibro e di peso di palla, assai più lunga delle palle più convenzionali

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sull’aereo per l’Africa”. Ray stimò il secondo bufalo come un vecchio ma-schio di almeno quindici anni e anche il muso spelacchiato, a differenza di quello dellì’altro, faceva certo pensa-re a un’età più avanzata rispetto al pri-mo bufalo abbattuto. Anche il trofeo si rivelò superiore, con un’apertura di 39”(990,6 mm) e con un boss, ossia lo scudo osseo, proprio solo dei bu-fali cafri maschi, in cui si incontrano le corna, palesemente più grande; il corno sinistro era privo di punta, si-curamente a causa dei combattimenti con altri maschi, ma tutti lì lo ritenne-ro un trofeo migliore del primo. A ogni modo ciò che più contava era che io lo considerassi il più bel Syncerus caffer caffer del creato, date le emozioni e l’adrenalina in quantità davvero indu-striali che mi aveva fatte vivere. Sco-primmo più tardi, con conseguente mio grande godimento postumo per la bontà del mio tiro istintivo, che, grazie alla mia stoccata, la palla camiciata da 300 grani di una PMP di fabbrica lo aveva colpito alla zampa posteriore sinistra, fuoriuscendo dalla destra e spezzandogli entrambe le zampe, la sinistra era addirittura quasi del tutto staccata dal corpo; il bufalo era così

forte che, a onta della tremenda ferita riportata, era riuscito a percorrere sul-lo slancio oltre venti metri dopodiché la sua fuga era inevitabilmente termi-nata, ed esso, non potendo più scap-pare, si era allora rivolto verso i suoi tormentatori, ma, con entrambe le zampe posteriori rotte, la tanto temu-ta carica non aveva potuto nemmeno avere inizio, così come un’automobile con entrambe le ruote posteriori bu-cate non può certo andare da nessu-na parte. Il formidabile lavoro svolto da una palla normalmente blindata, nemmeno rinforzata in acciaio, la dice davvero lunga sulle eccezionali capa-cità di penetrazione del calibro .375 Holland & Holland Magnum, confer-matemi anche da Frank, anch’egli Pro-fessional Hunter, il quale mi raccontò di come una volta un suo cliente, non proprio un Guglielmo Tell, nello spara-re a un bufalo cafro con un .375 H&H avesse invece colpito prima una pian-ta; ebbene, la palla era egualmente giunta a segno in un punto vitale, dopo avere attraversato, senza peral-tro deviare minimamente dalla propria traiettoria letale, un albero di sezione generosa. Se dunque è indubbio, fin-chè esisterà la caccia grossa e quindi

io spero per sempre, che si metterà in discussione l’attitudine del .375 H&H a fermare una carica e quindi la sua validità come stopping-cartridge, è però altrettanto certo che nessuno, ma proprio nessuno, potrà mai nega-re una sua grandissima virtù che è poi una delle qualità più importanti che una cartuccia da caccia grossa deb-ba possedere: la sua penetrazione davvero mirabolante e tale da essere anche superiore a quella di calibri ben più grandi.Anche e soprattutto grazie alla .375 Holland & Holland Magnum io ho così potuto abbattere due ottimi esemplari di bufalo cafro, coronando quindi il sogno della mia vita, per-ché se è vero, per parafrasare Gigi Marzullo, che la vita non è certo un sogno, è però altrettanto veritiero che i sogni aiutino senz’altro a vive-re meglio. Il presente articolo vuole dunque essere il mio piccolo, perso-nale omaggio a questa grandissima, immortale cartuccia. Il calibro .375 Holland & Holland Magnum ha fe-steggiato nell’agosto del 2012 il suo primo, glorioso secolo di vita; è assai facile prevedere che esso non sarà certo l’ultimo.

Il trofeo del primo bufalo cafro abbattuto dall’autore

Il trofeo del secondo bufalo cafro

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