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a celebrazione di un Anno Sacer- dotale esorta ogni presbitero a guardare alla vita sacerdotale in modo rinnovato e attento: è l’occasione preziosa per ripensare in modo profondo le radici della nostra vocazione, il senso del nostro ministero, la realtà per molti versi misteriosa della vita sacerdotale lega- ta a quella di Cristo. In quest’anno avremo la possibilità di non soffermarci semplice- mente su quel che dobbiamo fare o orga- nizzare, ma soprattutto di comprendere quello che siamo, di considerare e ap- profondire la conoscenza della nostra identità autentica. La vita di ogni sacerdote è un mistero che coinvolge tutta la sua esistenza, la conformazione a Cristo è un prodigio di grazia che lascia stupiti e meravigliati. In momenti di crisi vocazionale e di difficoltà nella perseveranza dei sacerdoti siamo portati a pensare che il messaggio cristia- no abbia perso la sua efficacia, che è su- perato dalle esigenze storiche della con- temporaneità. Oppure a volte siamo ten- tati di pensare che il Signore si sia stanca- to di usare verso di noi la sua misericordia e che quindi ci sta abbandonando a noi stessi non inviando più vocazioni, accu- sando quasi Dio di non amare abbastanza la sua Chiesa e magari pensando un po- co, nel profondo di noi stessi, che le no- stre preoccupazioni dimostrano che noi la amiamo più di lui! Ma non è così. Le vo- cazioni esistono e forse sono più di quan- to noi immaginiamo ma sono sommerse e soffocate “dalle preoccupazioni di que- sto mondo” per usare le parole di Gesù stesso, come quel seme che cade in terra e non può produrre radici, oppure viene portato via dagli uccelli o soffocato dalle spine. Sta a noi proteggere il seme di Dio e aiutarlo a crescere e svilupparsi. L’amore di Dio continua sempre a effondersi nella Chiesa con la potenza del- lo Spirito e suscita continuamente nei cuori dei credenti quelle vocazioni necessarie per l’edificazione del Regno di Dio chiamando gli uomini, al di là dei loro meriti e qualità, a un servizio totale dell’Amore divino. Non si tratta di un’adesione intellettuale, né semplicemente di un’adesione morale a valori e principi condivisi, ma è un legame reale con la persona di Cristo. L’ordinazio- ne sacerdotale configura l’uomo a Cristo in modo talmente profondo da trasformare l’uomo in strumento della grazia divina e i suoi gesti in quelli del Salvatore. Il mistero che fa risplendere nella Chiesa la gloria del corpo di Cristo Risorto si manifesta nella vi- ta sacerdotale. L’Eucaristia è questa pre- senza sublime che sostiene il cammino del- 1 Formazione Liturgica Culmine e Fonte 4-2009 Un anno per scoprire la propria identità sacerdotale mons. Marco Frisina L

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http://www.ufficioliturgicoroma.it/default.asp?iId=LDJMKIl sussidio bimestrale "Culmine e fonte" edito dall'Ufficio Liturgico della Diocesi di Roma ha come obiettivo primario l'approfondimento delle tematiche liturgiche nel contesto pastorale. Non è una rivista rivolta solo agli "esperti", ma è pensata per tutti coloro che si accostano alle Celebrazioni della Chiesa con l'intento di pregare, comprendere, partecipare attivamente, secondo i propri doni, carismi e ministeri. E' uno strumento di formazione e spiritualità liturgica dedicato a Sacerdoti, diaconi, Lettori, Accoliti e Ministri straordinari della Comunione. Rivolgendosi anche a tutti i cultori di Liturgia ed a tutti coloro che riconoscono la necessità di approfondire le tematiche liturgiche si usa un linguaggio semplice ed un approccio prevalentemente pastorale. I contenuti rimangono altamente scientifici: i contributi sono affidati ad esperti del settore, che propongono riflessioni documentate sulle varie problematiche ed aprono la strada a successivi approfondimenti personali.

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a celebrazione di un Anno Sacer-dotale esorta ogni presbitero aguardare alla vita sacerdotale in

modo rinnovato e attento: è l’occasionepreziosa per ripensare in modo profondole radici della nostra vocazione, il sensodel nostro ministero, la realtà per moltiversi misteriosa della vita sacerdotale lega-ta a quella di Cristo. In quest’anno avremola possibilità di non soffermarci semplice-mente su quel che dobbiamo fare o orga-nizzare, ma soprattutto di comprenderequello che siamo, di considerare e ap-profondire la conoscenza della nostraidentità autentica.

La vita di ogni sacerdote è un misteroche coinvolge tutta la sua esistenza, laconformazione a Cristo è un prodigio digrazia che lascia stupiti e meravigliati. Inmomenti di crisi vocazionale e di difficoltànella perseveranza dei sacerdoti siamoportati a pensare che il messaggio cristia-no abbia perso la sua efficacia, che è su-perato dalle esigenze storiche della con-temporaneità. Oppure a volte siamo ten-tati di pensare che il Signore si sia stanca-to di usare verso di noi la sua misericordiae che quindi ci sta abbandonando a noistessi non inviando più vocazioni, accu-sando quasi Dio di non amare abbastanzala sua Chiesa e magari pensando un po-

co, nel profondo di noi stessi, che le no-stre preoccupazioni dimostrano che noi laamiamo più di lui! Ma non è così. Le vo-cazioni esistono e forse sono più di quan-to noi immaginiamo ma sono sommersee soffocate “dalle preoccupazioni di que-sto mondo” per usare le parole di Gesùstesso, come quel seme che cade in terrae non può produrre radici, oppure vieneportato via dagli uccelli o soffocato dallespine. Sta a noi proteggere il seme di Dioe aiutarlo a crescere e svilupparsi.

L’amore di Dio continua sempre aeffondersi nella Chiesa con la potenza del-lo Spirito e suscita continuamente nei cuoridei credenti quelle vocazioni necessarie perl’edificazione del Regno di Dio chiamandogli uomini, al di là dei loro meriti e qualità,a un servizio totale dell’Amore divino. Nonsi tratta di un’adesione intellettuale, nésemplicemente di un’adesione morale avalori e principi condivisi, ma è un legamereale con la persona di Cristo. L’ordinazio-ne sacerdotale configura l’uomo a Cristo inmodo talmente profondo da trasformarel’uomo in strumento della grazia divina e isuoi gesti in quelli del Salvatore. Il misteroche fa risplendere nella Chiesa la gloria delcorpo di Cristo Risorto si manifesta nella vi-ta sacerdotale. L’Eucaristia è questa pre-senza sublime che sostiene il cammino del-

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Un anno per scoprirela propria identità sacerdotale

mons. Marco Frisina

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la Chiesa nella storia e che santifica le suemembra vivificandole con la forza di Cristoe della sua grazia. Per celebrare l’Eucaristiala Chiesa ordina i sacerdoti che non sonosemplicemente rappresentanti, ma testi-moni autentici della potenza della graziadel Risorto e sono sua presenza autenticaall’interno della Chiesa. In ogni sacerdotevive la presenza salvifica di Cristo per ilmondo e la ricchezza inestimabile dellagrazia della redenzione a lui affidata per lasalvezza del mondo.

“Come tu mi hai mandato nel mon-do, anch’io li ho mandati nel mondo; perloro io consacro me stesso, perché sianoanch’essi consacrati nella verità” (Gv17,18-19). La missione di Cristo prose-gue in quella della Chiesa, in quella deisuoi sacerdoti consacrati con Cristo allamissione del Padre. Questa con-consacra-zione rende ogni sacerdote forte dellaforza di Cristo e nello stesso tempo loconsacra alla testimonianza totale dellaredenzione insieme con lui. Il sacerdote èunito a Cristo non semplicemente in mo-do esteriore e accidentale ma in modotalmente profondo da confondersi quasicon la sua persona. L’espressione classicache spiega le azioni sacerdotali, come ilconferimento dei sacramenti “in personaChristi” deve essere intesa in modo reali-stico e autentico. “Sono stato crocifissocon Cristo e non sono più io che vivo, maCristo vive in me. Questa vita che vivonella carne io la vivo nella fede del Figliodi Dio” (Gal 2,20). Le espressioni di Paolonon sono frutto dell’entusiasmo di unmomento, ma l’atto di fede di un auten-

tico apostolo e testimone del Risorto chevive nella sua vita quella di Cristo, che èsacerdotalmente unito al Salvatore condi-videndone l’amore, la dedizione alla vo-lontà del Padre, il sacrificio e l’amore.

Essere in persona Christi è la più grandegratificazione che un uomo possa vivere, èla gioia più bella perché è il modo straordi-nario con cui si sperimenta l’amore di Cri-sto per il mondo, in modo diretto e sempli-ce, un amore che passa attraverso di meper andare verso i miei fratelli, con l’azionelibera e gioiosa della mia opera. Attraversoi gesti sacramentali ripetiamo quelli di Ge-sù, offriamo ai fratelli quella grazia che egliè venuto a portare nel mondo, rinnoviamola potenza di quell’amore che ci salva.Ogni sacerdote è custode e amministratoredi questa grazia, ne distribuisce i tesori conla prudenza e la saggezza che derivanodall’amore autentico che vuole costruire inmodo durevole e solido qualcosa di grandee di bello. La responsabilità di un sacerdotelo spinge a distribuire la grazia con atten-zione e audacia insieme, l’attenzione èquella di non sprecare o disperdere un do-no così grande e l’audacia consiste nell’o-perare con la massima creatività e fantasiaaffinché non venga seppellita e inutilizzatauna potenza d’amore così preziosa e ne-cessaria al mondo.

Il sacerdote condivide con Cristo il mi-stero pasquale e ciò implica sicuramentesacrifici e sofferenze ma conduce a quel-l’amicizia profonda con Cristo che edificae salva i fratelli che possono vedere in noisacerdoti l’immagine forte e dolce del Sal-vatore.

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Il RICA e la sua struttura

Il Rito dell’iniziazione cristiana degliAdulti (RICA), pubblicato nel 1972 (in ita-liano nel 1978) si compone di due “pre-messe”, sei capitoli, un’appendice. Nellepremesse abbiamo i Praenotanda gene-ralia sull’Iniziazione cristiana (che si trova-no anche nel Rito del Battesimo dei bam-bini), e i Praenotanda particolari sull’Ini-ziazione degli Adulti. Da ciò si compren-de come l’iniziazione cristiana ha due iti-nerari: uno, quello che accompagna unadulto che crede, si converte e vuol di-ventare cristiano (ci stiamo occupando diquesto); l’altro quello di un bambino, peril quale genitori cristiani chiedono la gra-zia del battesimo poco tempo dopo lanascita, rinviando di alcuni anni il com-pletamento dell’iniziazione con la cresi-ma e la partecipazione all’eucaristia. Perl’iniziazione dei bambini abbiamo, in unlibro distinto, il rito della Confermazione,e nessuna indicazione per la prima parte-cipazione all’eucaristia.

Torniamo al RICA. Dopo le Premesse,troviamo vari capitoli, che presentano ri-spettivamente:

1. L’iter normale e completo della ini-ziazione degli adulti. Stranamente èintitolato “Rito del catecumenato

disposto per gradi”. C’è da osser-vare che non è il catecumenato di-sposto per gradi, essendo esso ungrado, ma è il percorso dell’inizia-zione a essere disposto per gradi.L’espressione però è copiata, senzaulteriore approfondimento, dal n.64 della SC, dove si diceva: “sia re-staurato il catecumenato dispostoper gradi”, intendendo lì non il ca-tecumenato in senso stretto, matutto il cammino.

2. Il cap. 2° presenta un rito “più sem-plice” dell’iniziazione di un adulto (sinoti il titolo, e il singolare).

3. Il terzo capitolo contiene un rito“più breve dell’iniziazione di unadulto in prossimo pericolo o in ar-ticolo di morte”, nel quale non cisono gradi né tempi, ma tutto av-viene in un’unica celebrazione.

4. Il cap. 4° contiene indicazioni pasto-rali, per “preparare alla confermazio-ne e all’eucaristia (si noti l’ordine)quegli adulti che, battezzati da bam-bini, non hanno ricevuto la cateche-si”. Questo capitolo dovrebbe esserela base per il catechismo di cresima edi prima comunione.

5. Il cap. 5° presenta un “Rito di ini-ziazione dei fanciulli, che hanno

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Gradi e tempidell’iniziazione cristiana

p. Ildebrando Scicolone, osb

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raggiunto l’età del catechismo”. Sitratta di fanciulli non battezzati.Questi, se vogliono diventare cri-stiani, non devono essere primabattezzati, e poi iscritti al catechi-smo di prima comunione, ma co-minciare un cammino di iniziazionecristiana disposto per gradi (con te-sti e riti adattati alla loro età), altermine del quale ricevono tutti etre i sacramenti. Questo è un capi-tolo sconosciuto o misconosciuto.

6. Il cap. 6° presenta testi diversi o alter-nativi per i vari momenti celebrativi.

Come si vede, il percorso normale del-l’iniziazione è descritto nel capitolo pri-mo, che è anche il più lungo (dal n. 68 aln. 239): esso è il modello, o il quadro diriferimento di ogni cammino di iniziazio-ne. Ora noi lo descriviamo a grandi linee,come è presentato nei nn. 6 e 7 dei Prae-notanda.

Tempi e gradi

Attingendo alle fonti principali dellatradizione, che il Concilio ha voluto “re-staurare”, cioè dalla Tradizione Apostoli-ca e dal Sacramentario Gelasiano, il cam-mino per diventare cristiani si articola intre passaggi. Graficamente potremmo fa-re una scala con tre gradini. Essi sono co-stituiti da tre riti: a) rito dell’ammissioneal catecumenato; b) rito della elezione oiscrizione del nome; c) celebrazione deisacramenti di iniziazione. Il primo avvienedopo un tempo di conoscenza e primamaturazione della fede cristiana, a giudi-

zio del parroco e dei catechisti o dei “ga-ranti” che presentano il candidato. Il se-condo, l’elezione, avviene all’inizio dellaultima quaresima degli anni di catecume-nato, esattamente nella prima domenicadi quaresima. Il terzo grado, cioè la cele-brazione dei tre sacramenti, avviene nellaveglia pasquale successiva (RICA n. 6).

I gradi, dice il n. 7, conducono ai tem-pi della ricerca. Essi risultano così quattro:

1. Il “precatecumenato”: è il primotempo, della durata variabile, nelquale chi desidera essere cristianoprende i primi contatti, apprende leverità fondamentali della fede, co-mincia a entrare nella visione cristia-na della vita. Esso si conclude conl’ammissione al catecumenato.

2. Il secondo tempo è il “catecumena-to” vero e proprio. Esso dura nor-malmente tre anni. In esso, oltre allacatechesi sistematica, che verte prin-cipalmente sulla conoscenza dellastoria della salvezza sintetizzata nel“Credo”, prevede riti di esorcismi(minori), incontri di preghiera, praticadelle virtù cristiane, soprattutto dellacarità. Non si tratta di imparare no-zioni, quanto di entrare progressiva-mente nel mistero e nella vita cristia-na, conformemente all’insegnamen-to e all’esempio di Cristo Signore. Gliesorcismi hanno il senso di abbando-nare eventuali vizi o abitudini contra-rie alla vita cristiana. Esso si concludecon il secondo grado, cioè con l’ele-zione, o iscrizione del nome nella li-sta dei candidati al battesimo.

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3. Gli eletti a “essere iniziati ai santimisteri nella prossima veglia pa-squale”, iniziano il terzo tempo cheè chiamato “illuminazione o purifi-cazione”, che dura tutta la quaresi-ma. Il termine “illuminazione” (ingreco fotismòs) indica in san Giusti-no (Apologia I, cap. 61) lo stessobattesimo, ed è un termine che pro-viene dai riti miste-rici dell’antichità.Esso si ispira al van-gelo del cieco nato,che andò a lavarsi,e tornò che ci ve-deva. Questo tem-po di più intensapreparazione è ca-ratterizzato da tre“scrutini”, cioè riu-nioni degli eletticon la comunitàcristiana, nelle qualiessi ricevono esor-cismi, preghiere ebenedizioni. Sisvolgono dopo laliturgia della Parola,nella terza, quartae quinta domenicadi quaresima. Per ilrito della elezione eper questi scrutini,il messale prevedeformulari appositi,all’inizio della se-zione delle “messerituali”. Inoltre, nel-

le ultime settimane sono previstedue consegne, o traditiones: la con-segna del “simbolo”, cioè del Cre-do, e la consegna della preghieradel Signore, cioè il Padre nostro.

4. Con la celebrazione dei sacramenti,nella veglia pasquale, non si conclu-de il cammino, ma inizia il quartotempo, chiamato “mistagogia”, o

meglio tempo della “ca-techesi mistagogica”. Iltermine “mistagogia” si-gnifica “introduzione, ini-ziazione al mistero” e diper sé designa tutta l’ini-ziazione cristiana. In que-sto quarto tempo, chedura tutto il tempo pa-squale e può arrivare finoal primo anniversario delbattesimo (pascha annò-tinum). I Padri del quartosecolo (Cirillo di Gerusa-lemme, Giovanni Criso-stomo, Teodoro di Mo-psuestia e Ambrogio) te-nevano catechesi sui mi-steri, cioè sui sacramentidi cui i nuovi battezzati(neòfiti = nuove pianticel-le) avevano fatto espe-rienza. Si tratta di inserirsipiù strettamente nella co-munità ecclesiale, peresercitarvi quelle funzionisacerdotali, profetiche eregali, ricevute propriocon i sacramenti.

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approccio di questo contributonon è teologico o liturgico mastrettamente pragmatico, e sor-

ge dall’esperienza diretta. Infatti, mentre va sensibilmente au-

mentando il numero degli adulti che,chiedendo il Battesimo, entrano nel pro-cesso formativo dell’iniziazione cristiana,nello stesso tempo, ovviamente, abbiamoun sempre più vasto campo di verifica dicome tale processo si è svolto, dato che,aumentando il numero di coloro chehanno già ricevuto il Battesimo da adulti,si possono avere più riscontri.

Con il fermo proposito di non emet-tere apprezzamenti indebiti, non credodi formulare un giudizio temerario se af-fermo di essermi imbattuto più di unavolta in battezzati da adulti che mostra-vano un preoccupante pressappochismonella loro sintesi personale fra fede e vi-ta pratica.

Non c’è da stupirsi più di tanto: si par-la di una realtà fragile, esposta a mille va-riabili, impastata di elementi eterogeneifra loro. Ma vale la pena di chiedersi, al-meno in linea di massima, quale può es-sere una sorgente di disordine, dove puòessere la falla.

Mi si consenta una analogia formati-va: in musica, quando si apprende unostrumento, fra tante fasi di cui la forma-zione può esser costituita, ce ne è unache, per decisività, domina sulle altre:quella iniziale. Se in questa fase si mu-tuano dei difetti, questi saranno un se-gno distintivo dell’allievo, il quale assu-merà i cosiddetti “difetti di impostazio-ne”. Queste storture di impostazione ingenere si mantengono per tutta la vita...

Indubbiamente l’inizio di un processo,in molti campi dell’esperibile, segna tuttala sua dinamica.

Non sono in grado di fare una disami-na di tutti gli aspetti fragili della sfida for-mativa, ma intendo semplicemente con-tribuire con la sottolineatura di un ele-mento macroscopico della fase iniziale.

Vorrei quindi portare l’attenzione sudi un aspetto del RICA, il rito dell’ammis-sione al primo grado del catecumenato.Dopo il primo dialogo, che verte sulla ri-chiesta della fede (n. 75), il rito si spostaall’adesione a Cristo:

76. Quindi il celebrante, […] si rivolge dinuovo ai candidati con queste parole o con altresimili:

[…] A voi, che avete seguito la sua luce, si

Quando deve finireil precatecumenato?

Riflessioni sui tempi dell’ingresso al catecumenato.don Fabio Rosini

L’

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apre ora la via del Vangelo […].Questa è la via della fede nella quale Cristo

sarà vostra guida, perché possiate raggiungerela vita eterna.

Siete pronti a incamminarvi oggi per que-sta via, sotto la guida di Cristo?

Candidato: Sì, sono pronto.

Si fa quindi constatare ai garanti l’a-desione dei candidati (n. 77) e ci si dispo-ne, ove ritenuto necessario, a richiedereesplicita rinuncia ai culti di religioni noncristiane (n. 78), momento che viene cor-roborato da un esorcismo (n. 79).

Arriviamo quindi al n. 80, che fungeda sottolineatura dell’adesione a Cristo esostanzia la rinuncia ai culti non cristianicon il seguente dialogo:

80. Se la Conferenza Episcopale riterrà op-portuno che i candidati fin da questo momen-to rinunzino apertamente ai culti di una religio-ne non cristiana e agli spiriti o alle arti magi-che, dovrà preparare una formula di interroga-zione e di rinunzia, adatta alle caratteristichedei vari luoghi, che si esprime con queste paro-le o con altre simili /…/:

Carissimi candidati, poiché per la vocazionee la grazia di Dio siete decisi ad onorare e adora-re lui solo e il suo Cristo e a lui solo volete servi-re, è questo il momento di rinunziare pubblica-mente a quelle potenze che sono avverse a Dioe ai culti con i quali non si onora il vero Dio.

Mai dunque vi accada di abbandonare Dioe il suo Cristo e di servire ad altre potenze.

Candidati: Non ci accadrà mai.Celebrante: Mai vi accada di venerare N. e N.Candidati: Non ci accadrà mai.Così parimenti per ciascun culto a cui si de-

ve rinunciare.

L’attuazione dei nn. 78-80 del RICA èfacoltativa e dipende dalle situazioni, mava sottolineato che è possibile; il rito della

rinunzia ai culti non cristiani, e il propositodi non più venerare tali culti, a dire il veropiuttosto apodittico (“Non ci accadràmai”), hanno, secondo il rito, il loro postoproprio in questa fase della pedagogia ca-tecumenale, ossia al rito di ingresso.

Se tale atto è nelle condizioni di poteresser fatto, a quale grado di evoluzionenella fede si suppone debba essere il can-didato? Se può rinunziare in modo defi-nitivo (”mai”) ai culti idolatrici, ne conse-gue che il candidato deve aver di certogià raggiunto quel grado di distacco datali culti, e di essere, come lui stesso devedire al n. 76, “pronto” a incamminarsiper la via del Vangelo.

Ripeto: il rito suppone una certa ma-turità nel processo di conversione (“pron-to”), e anche una non piccola risoluzione(“mai”). Di certo sappiamo che il rito diammissione al primo grado del catecu-menato non è l’inizio del processo: cosaintercorre fra la richiesta del battesimo equesto primo rito?

Di mezzo c`è il cosiddetto precatecu-menato.

Vediamo di cosa si tratta nel testo delRICA. Il n. 7 lo definisce così:

Precatecumenatoa) il primo tempo, che impegna il candidato

nella ricerca, è dedicato dalla Chiesa all’evange-lizzazione e al «precatecumenato» e si conclu-de con l’ingresso nell’ordine dei catecumeni.

È il tempo dell’evangelizzazione. Maquanto deve essere lungo tale tempo? Èfacile focalizzare un possibile malinteso,che può venire solo da un approccio su-

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perficiale: quello per cui l’evangelizzazio-ne di un non battezzato corrisponda so-stanzialmente al tempo del catecumena-to. Basta proseguire nel testo del RICA(nn. 9-13) per veder descritto il tempodel precatecumenato come un tempo,per l’appunto, fondante e delicato.

Molte cose si possono dire, ma a volerdare un peso alla forma del rito di ingres-so, il rito stesso fornisce alcune coordinateoggettive: si intende che i candidati possa-no essere in grado di esplicitare rinunzie eadesioni sostanziali. L’evangelizzazione hauna sua fase decisiva che viene prima del-l’ingresso. Se non viene prima, se non èsostanziale, se qualcuno suppone che ilcambiamento di vita debba avvenire du-rante il catecumenato, mi sembra che il ri-to di ingresso non potrebbe contenere al-cuna rinunzia o atti simili. Se invece tali attisono elementi previsti, possibili, allora - siadetto con chiarezza - il rito di ingresso alcatecumenato deve essere preceduto daun tempo che deve avere uno spessore euna durata non indifferenti.

Il precatecumenato non è robetta. IlConcilio diceva cose di questo tenore:

Ad Gentes, n. 13“Dovunque Dio apre una porta della parola

per parlare del mistero del Cristo, a tutti gli uomi-ni con franchezza e con fermezza deve essere an-nunziato il Dio vivo e colui che egli ha inviato perla salvezza di tutti, Gesù Cristo, affinché i non cri-stiani, a cui aprirà il cuore lo Spirito santo, creden-do si convertano liberamente al Signore e sincera-mente aderiscano a lui che, essendo “la via, la ve-rità e la vita” (Gv. 14, 6), risponde a tutte le attesedel loro spirito, anzi infinitamente le supera.

Una tale conversione va certo intesa comeiniziale, ma sufficiente perché l’uomo avverta che,staccato dal peccato, viene introdotto nel mistero

dell’amore di Dio, che lo chiama a stringere nelCristo una personale relazione con lui. Difatti, sot-to l’azione della grazia di Dio, il neo-convertitoinizia un itinerario spirituale, in cui, trovandosi giàper la fede in contatto con il mistero della mortee resurrezione, passa dall’uomo vecchio all’uomonuovo che in Cristo trova la sua perfezione. Que-sto passaggio, che implica un progressivo cambia-mento di mentalità e di costumi, deve manifestar-si con le sue conseguenze sociali e svilupparsiprogressivamente nel tempo del catecumenato”.

Annunzio, conversione, rottura con ilpeccato, relazione personale con Cristo,itinerario spirituale in cui si passa dall’uo-mo vecchio all’uomo nuovo: questi sono,per sommi capi, gli elementi della faseiniziale. Dopo di ciò si parla di catecume-nato, momento di sviluppo in cui si mani-festano le conseguenze sociali del cam-biamento dovute alla trasformazione dimentalità e di costume.

Il catecumenato è il tempo dell’espli-citazione del cambiamento, della cristal-lizzazione e solidificazione della trasfor-mazione. La mia esperienza di parrocosottolinea, anzi grida, che il rito dell’in-gresso al catecumenato deve interveniredopo il tempo della conversione, dopola rottura con il peccato, che è insitanell’apertura del cuore allo Spirito San-to, dopo i primi segni certi del passag-gio all’uomo nuovo.

Urge evidenziare a mio avviso la labi-lità di un processo di iniziazione cristianache parta “troppo presto”, che mettasulla bocca dei candidati parole non ap-partengono a loro, e che possono, viavia, dare un preoccupante senso di ritua-lismo, di estraneità esistenziale a quantosi professa nel rito.

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A ben vedere il problema chesto ponendo corrisponde al quesi-to: cosa significa questa prima fasedi evangelizzazione? Se il tempodel precatecumenato è “dedicatodalla Chiesa all’evangelizzazione”,tale precatecumenato deve essereun tempo in cui il genio evangeliz-zativo deve produrre il suo massi-mo sforzo, perché è in questo mo-mento che la vera meraviglia deveaver luogo, ossia il cambiamentodel cuore del candidato.

Deve essere un momento ta-gliato sulla persona, duri quantoduri, ma ha un parametro impre-scindibile: termina quando il can-didato è pervenuto alla possibilitàdelle rinunzie.

Sembra banale dirlo, ed è assolu-tamente autoevidente che l’ingressonel catecumenato deve celebrarsidopo la rottura con il male. Poi vengono lacrescita e la solidificazione dell’uomo nuovoe delle sue virtù nel catecumenato. In so-stanza: ritengo sia doveroso proporre untempo cospicuo di precatecumenato, untempo di evangelizzazione e di prima rottu-ra con il peccato, di cambiamento del cuoreche sia riscontrabile, sostanziale.

Che fretta c’è? Perché correre, abbre-viare i tempi, inventarsi scorciatoie? È dicerto l’unico irripetibile momento dellaformazione di un novello cristiano, e checosa ci sta a cuore: il rito o la conversio-ne? Chissà perché qualcuno si sente più“pastore” se dà il battesimo appena pos-sibile, anziché prendere tutto il tempo

che ci vuole! Abbiamo veramente biso-gno di produrre altri cristiani malformati?

Con questo piccolo contributo intendoelevare una voce di dissenso rispetto allapratica, che riscontro diffusa, di ammette-re quanto prima al primo rito, e così farcoincidere il tempo delle decisioni inizialicon il tempo, diverso, dell’appropriarsi edel rendere stabili le proprie decisioni.

Glissare sul precatecumenato è un di-fetto grave di impostazione. I documentinon lo consentono, e il rito che concludeil precatecumenato si presenta assai di-verso da un primo inizio, ma costituisceinvece, a mio avviso, una prima e decisivaverifica del percorso compiuto.

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el cammino del catecumenatocertamente l’attività catechetica èpreminente ma non esclusiva

perché nell’itinerario catecumenale, cheaccompagna l’adulto alla celebrazione deitre sacramenti dell’iniziazione cristiana, al-tre attività le si affiancano e tra questequella della iniziazione alla preghiera.

Catechesi

Il Rito della Iniziazione Cristiana degliAdulti (=RICA), al n. 19,1 della Introdu-zione, richiede una “opportuna cateche-si”, dice da chi deve essere fatta: “dai sa-cerdoti, dai diaconi, dai catechisti e da al-tri laici” e afferma che deve essere dispo-sta “per gradi, adattata all’anno liturgi-co” e che si fonda “sulle celebrazionidella parola” al fine di portare i catecu-meni: “non solo a una… conoscenza deidogmi e dei precetti, ma anche all’intimaconoscenza del mistero della salvezza”.

In nessuna parte del RICA si offronoindicazioni o proposte su queste cateche-si, non si danno indicazioni né sul suocontenuto né sul metodo. Ma i momenticelebrativi previsti dal RICA sino ai sacra-menti, suppongono una catechesi speci-fica non solo in ordine al contenuto maanche al metodo che deve essere mista-

gogico (ad essa è dedicato l’ultimo tem-po della iniziazione cristiana dopo la cele-brazione dei sacramenti).

Se ne deduce che implicitamente il RI-CA suppone una catechesi il cui contenu-to deve essere assimilato da coloro chepercorrono l’itinerario di iniziazione cri-stiana e strutturato in “gradi” o passaggiche sono caratterizzati da celebrazioni.

Queste conoscenze debbono esseretrasmesse mediante una catechesi ai cate-cumeni adottando le modalità più adatte.

Il primo grado dell’Iniziazione prevedeche il catecumeno “dopo aver ricevuto ilprimo annuncio del Dio vivente” e avermaturato “una fede iniziale in Cristo Sal-vatore” (n. 68) sia ammesso al catecume-nato mediante il Rito dell’Ammissione.Questo tempo che si apre “può protrarsiper diversi anni, è dedicato alla catechesi eai riti con essi connessi” (n. 7,b) e si con-clude con l’elezione. In ordine ai contenutiè prevista una connessione tra riti e cate-chesi di questo tempo. Da ricordare che isegni che si incontrano in questo periodosono: la comunità riunita in assemblea,

la signatio sulla fronte con la croce, laconsegna del libro dei Vangeli. È alla lucedi questi segni e delle relative orazioniche si intuisce quali sono le cose che i ca-tecumeni debbono conoscere e soprat-

Il catecumenato: catechesi,preghiera ed esorcismi minori

diacono Antonio Cappelli

N

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tutto aver sperimentato nella fede. Dal ri-to dell’ammissione vediamo che la comu-nità raccolta in assemblea accoglie il librodelle Sante Scritture portato processio-nalmente, deposto con amore e da essosi leggono una o più letture (nn. 91-92)Questo significa che gli ammittendi deb-bono aver avuto sentore che essere cri-stiani significa mettersi alla sequela diGesù, farsi suoi discepoli, riporre in lui fi-ducia e speranza di salvezza. Conoscereche la sua morte e risurrezione sono fon-te di vita nuova. Che essi vogliono appar-tenere a questa comunità che camminasulla via del vangelo percependo che frale tante parole umane si sceglie di ascol-tare le parole che Dio dice alla e nella suaChiesa: “È la via della fede nella qualeCristo sarà la vostra guida” (n. 76). La ca-techesi deve chiarire bene che farsi disce-poli di Gesù comporta un mutamento dimentalità e di comportamento.

La lettura attenta dei riti che si cele-brano durante il lungo tempo del catecu-menato (almeno due anni) fa arguire cheper la loro celebrazione si suppone la ma-turazione degli atteggiamenti spiritualinecessari cioè progressi non solo nell’am-bito delle conoscenze ma e soprattuttonell’ambito della conversione e della fede.Si tratta allora di trasmettere l’etica delNuovo Testamento. È un “faticoso cam-mino”, si tratta di lottare contro il malecome chiaramente esplicitato dal rito del-la unzione con l’olio dei catecumeni (nn.127-132) e per fare sì che questo rito ab-bia senso occorre istruire i catecumeni sulsenso del peccato, fornire i criteri di di-

scernimento per individuare ciò che nellaloro vita si oppone a Dio. Le condizioninelle quali si vive oggi la fede, moltospesso non evangeliche, esigono una ca-techesi-formazione a rendere il cristianocapace di discernimento e di decisione.

La catechesi supposta dal RICA, oltrela formazione mediante la trasmissione dicontenuti e la acquisizione degli atteg-giamenti spirituali, suppone anche un’ini-ziazione alla partecipazione. Il tempo del-la purificazione e illuminazione, che siapre dopo la ammissione, più che untempo di apprendimento è tempo diesercizio degli atteggiamenti maturati edelle conoscenze acquisite nel periododel catecumenato. Il rito della elezionesuppone che sia stata assimilata la esi-stenza cristiana come chiamata di Dio,vissuta nella disponibilità alla sua parola enella sequela di Gesù dentro la Chiesa.

Il tempo che segue la “celebrazionedei sacramenti dell’iniziazione” è il “tem-po della mistagogia” (nn.37-40; 235-239) in cui oltre che approfondire i signi-ficati e gli effetti dei riti sperimentati nel-la Veglia pasquale occorre approfondirnela comprensione della dimensione eccle-siale mediante catechesi di contenuto ec-clesiale sulla comunità, i ministeri, l’as-semblea, le attività ecclesiali, l’impegnocaritativo. Questo momento ha il suppor-to nelle opere della comunità nella qualeil neofita è stato formato aprendosi an-che alla dimensione diocesana (vescovo echiesa particolare) e universale (papa eChiesa universale) e alle altre attività ec-clesiali non incontrate come le missioni,

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la vita monastica, assistenza sociale e at-tività culturali).

Le celebrazioni del catecumenatofonte per la Preghiera

“Nel loro itinerario i catecumeni sonoaiutati dalla Madre Chiesa mediante ap-positi riti liturgici per mezzo dei qualivanno progressivamente purificandosi esono sostenuti dalla benedizione divina”(n. 19.3). L’itinerario catecumenale si arti-cola in tempi (della ricerca e della matu-razione) e gradi o “passaggi” e ogni gra-do è segnato da un rito liturgico.

Il primo tempo quello della primaevangelizzazione o pre-catecumenato èdedicato all’evangelizzazione e a suscitarela fede e una iniziale conversione e in que-sta fase non sono previste celebrazioni. Inquesto periodo il candidato è aiutato a fa-re, con gradualità, l’esperienza della pre-ghiera personale e comunitaria. È inop-portuno, in questo tempo, invitare i sim-patizzanti a partecipare alla celebrazionedell’Eucaristia. Si può prevedere un mo-mento di accoglienza dei simpatizzanti edeventualmente prima della celebrazionedell’Ammissione al catecumenato durantela Messa domenicale, il parroco potrà darenotizia ai fedeli e presentare il simpatiz-zante alla comunità invitandola alla pre-ghiera e alla testimonianza della fede.

Il secondo tempo, quello della forma-zione cristiana, attraverso la catechesi ten-de a far fare ai catecumeni un cambiamen-to di mentalità e di costume. Nel primogrado vi sono dei passaggi successivi da fa-

re che vengono scanditi da un certo nume-ro di riti che hanno il compito di accompa-gnare il catecumeno nella sua rinascita co-me uomo nuovo e immagine di Gesù. Laprogressiva formazione spirituale e allapreghiera deve prestare attenzione allosvolgersi dell’anno liturgico, soprattutto inquelle celebrazioni proprie di Avvento e diQuaresima. Attraverso i momenti celebrati-vi egli parteciperà a suo modo ai misteridella vita del Signore e contemporanea-mente avrà modo di approfondire ulterior-mente la parola di Dio, scoprire nuove for-me di preghiera ed essere introdotto allacomprensione del mistero liturgico.

Con il rito dell’Ammissione al catecu-menato, da celebrarsi la prima domenicadi Avvento, il simpatizzante manifesta lasua intenzione di essere discepolo di Cri-sto, la Chiesa da parte sua lo ammettenotificandogli l’accoglienza di Dio. Dal-l’ammissione inizia per il catecumeno unaricca esperienza liturgica che poggia sul-l’ascolto della parola di Dio fatta nella ce-lebrazione Eucaristica domenicale, la cele-brazione degli esorcismi minori, ripetutianche più volte, le benedizioni con cui laChiesa esprime la sua materna sollecitudi-ne per la crescita spirituale dei catecume-ni. Anche ulteriori ed apposite celebrazio-ni della Parola, in contesto celebrativo dipreghiera e di canto, aiutano il catecume-no a scoprire nuove forme di preghieraintroducendolo gradualmente anche allacomprensione dei segni e tempi liturgici.

Alcuni segni tipici del rito di ammissio-ne vanno opportunamente spiegati per-ché dalla loro corretta e profonda com-

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prensione vengono educati i catecumeniad assumere gli atteggiamenti spiritualicorrispondenti ai segni liturgici.

Il segno di croce come segno dellaprotezione di Cristo che apre le orecchiead ascoltare la sua voce, che fa vedere losplendore del volto di Dio, che apre labocca alla risposta alla sua Parola e ilcuore alla fede pronti a sostenere il giocosoave di Cristo (Cfr le formule per la se-gnazione di orecchi, occhi, bocca, petto,spalle n. 85); un segno di croce che apreai catecumeni la strada della sequela“degli esempi di Cristo” (n. 87). La con-segna dei Vangeli dopo la celebrazionedella parola di Dio indica l’impegno delcatecumeno a voler appartenere ad unacomunità che cammina sulla “via delVangelo” cioè “la via della fede nellaquale Cristo è guida” (n. 76).

Il terzo tempo, quello della purifica-zione e della illuminazione, è il tempoche coincide con la Quaresima preceden-te alla Pasqua in cui i catecumeni verran-no battezzati. Un tempo in cui pur conti-nuando la vita ordinaria, gli eletti vivran-no con una forte intensità spirituale, cer-cando di imitare Gesù vivendo con unospirito di penitenza e di contemplazione.Durante questo tempo “si fa una prepa-razione spirituale più intensa, scandita dariflessione e preghiera, purificazione delcuore e revisione di vita, penitenza e di-giuni, riti e celebrazioni” (Nota 1, ICA35). Le celebrazioni previste sono la Ele-zione o iscrizione del nome e gli Scrutini.

L’elezione fa passare dallo stato di cate-cumeno a quello di Eletto ed avviene nella

chiesa cattedrale la prima domenica diQuaresima. La celebrazione è presiedutadal Vescovo. È significativo che il Vescovoaccerti l’idoneità del catecumeno verifican-do se “ha ascoltato fedelmente la Parola diDio”, se ha messo in pratica la Parolaascoltata e se ha “partecipato… alla pre-ghiera” (n. 144). Nelle domeniche III, IV eV di Quaresima nelle parrocchie avrannoluogo gli Scrutini. Si proclameranno le let-ture dell’anno A che presentano le “figu-re” della Samaritana, del Cieco nato e del-la risurrezione di Lazzaro di una grandeportata cristologica –Cristo è Salvatore delmondo, Luce del mondo, Risurrezione e vi-ta. Temi ripresi nelle orazioni degli “scruti-ni” (nn.154-180)

Se non sono state fatte prima, dopogli Scrutini, in celebrazioni feriali, si fa-ranno le Consegne del Simbolo (la regoladella fede; nn. 183-187) la settimanasuccessiva al primo scrutinio e della Pre-ghiera del Signore (le norme della pre-ghiera; nn. 188-192) nella settimana suc-cessiva al terzo scrutinio.

I riti immediatamente preparatori chesi svolgono di preferenza il Sabato Santo,prevedono la Riconsegna del Simbolo (nn.194-199), il Rito dell’effatà (nn. 200-202)e l’Unzione con l’olio dei catecumeni (nn.206-207). Quest’ultimo è un rito tipicodel catecumenato il cui senso è quello delconvertito al Signore che, unto su tutto ilcorpo, sfugge alla presa dell’avversarioche lo vuol trascinare al peccato. È un ritoche si può ripetere più volte (n. 128) du-rante il tempo del catecumenato e ha lafinalità di “sostegno e difesa” e di infon-

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dere “forza e vigore” al catecumeno chesta impegnandosi ad “assumere gli impe-gni della vita cristiana” (n. 131).

Gli esorcismi minori

Sono celebrati dal sacerdote o il dia-cono ma anche un catechista deputatodal Vescovo, e costituiti da Orazioni fattecon le mani distese sul catecumeno ingi-nocchiato o inchinato. Questi riti, la cuifinalità è ben chiarita dal contenuto delle

Orazioni di esorcismo (nn.113-118), costituiscono lapreghiera della Chiesa peri catecumeni perché sianoresi forti contro “lo spiritomaligno” (n. 113); sia tol-ta la corruzione del pec-cato, rafforzata la fede,ravvivata la speranza e ac-cresciuta la carità (cfr n.114), sia allontanata “l’in-credulità… la cupidigiadel denaro e le attrattivedelle passioni, le inimiciziee l’ostilità” (n. 114) peressere accolti nel regno,avere il cuore aperto percomprendere il Vangelo ediventare figli della luce emembra della Chiesa san-ta (cfr n. 115).

Come si vede la Chiesamadre aiuta e sostiene ifigli durante il tempo diprova e di lotta contro ilmale per rinascere a vita

nuova con i potenti mezzi della preghie-ra. La loro importanza, per la loro fun-zione di rafforzamento contro il male, èsottolineata dal fatto che possono esserecelebrati a partire dal tempo della evan-gelizzazione per il bene spirituale dei sim-patizzanti, si possono ripetere “più voltein varie circostanze” (n. 112).

Essi si svolgono in situazione di pre-ghiera e di ascolto della parola di Dio (n.110) in chiesa o in cappella o nella sededel catecumenato.

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Introduzione

Con il secondo grado dell’iniziazionesi dà avvio a quel tempo chiamato di“purificazione e illuminazione”, coinci-dente normalmente con il tempo liturgi-co della Quaresima, nel quale i catecu-meni si preparano in maniera più intensa,nello spirito e nel cuore, a ricevere i sa-cramenti dell’iniziazione cristiana1. Inquesto grado la Chiesa inserisce l’elezio-ne e ammissione dei catecumeni i quali,ritenuti idonei, sono chiamati a riceveretali sacramenti nel corso della Veglia pa-squale presieduta dal vescovo locale nellaChiesa cattedrale. «Si chiama “elezione”o scelta, perché l’ammissione, fatta dallaChiesa, si fonda sull’elezione o sceltaoperata da Dio, nel cui nome la Chiesastessa agisce; si chiama anche “iscrizionedel nome” perché i candidati, come pe-gno della loro fedeltà, iscrivono il loronome nel libro degli eletti»2. I loro nomiinfatti saranno solennemente iscritti, in-sieme a quelli dei loro padrini, nel “Regi-stro dei catecumeni” che si conserva nel-la diocesi. Le firme, sia degli eletti che deipadrini, insieme a quella del vescovo,convalideranno l’atto ufficiale. È questo ilrito che conclude il catecumenato.

Attraverso di esso la Chiesa, udita latestimonianza dei padrini, dei catechisti edi tutti coloro che hanno seguito e cura-to alla formazione cristiana dei neofiti,nonché accolta la libera scelta dei catecu-meni, giudica la loro preparazione e liammette ai sacramenti pasquali. È questala prima volta che i padrini stessi, scelti inprecedenza dai catecumeni con il con-senso del sacerdote e, possibilmente del-la comunità locale, esercitano pubblica-mente il loro ministero. Essi infatti vengo-no nominati all’inizio del rito e si presen-tano con i catecumeni3, rendono la lorotestimonianza dinanzi alla comunità4 e,secondo l’opportunità, iscrivono anch’es-si il loro nome5. I padrini e le madrineperciò si rendono garanti del cammino difede compiuto dai catecumeni durante lapreparazione e si impegnano a seguirli infuturo per una crescita cristiana coerente.Tale rito perciò, come l’intero camminodel catecumenato, mette in evidenza co-me l’iniziazione cristiana non sia un cam-mino individuale, “egocentrico”, solita-rio, ma riguarda e coinvolge l’intera co-munità che non solo è chiamata, nellapreghiera e con la propria attività, ad af-fiancare il neofita nel suo cammino, masi rende anche responsabile della sua for-

Elezione o iscrizione del nomedei catecumeni

don Pier Angelo Muroni

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mazione catechetica e spirituale. La Chie-sa stessa infatti, individuata nelle singoleChiese locali e comunità, è grembo ge-stante dei cristiani e perciò co-responsa-bile insieme al neofita, quale madre at-tenta e premurosa, dell’inserimento delcatecumeno nel mistero pasquale di Cri-sto attraverso i sacramenti dell’iniziazionecristiana. Ecco perché il rito dell’elezioneè il più solenne del cammino catecume-nale e la sua celebrazione è presiedutadal vescovo quale segno della Chiesa lo-cale, immagine sempre della Chiesa uni-versale sposa di Cristo, che accoglie ilneofita nel cammino verso il battesimo6.Il luogo della celebrazione è normalmen-te la cattedrale, quale ulteriore segnodella Chiesa madre che accoglie i suoi fi-gli al suo interno.

Ma procediamo ora a un’analisi piùapprofondita del rito.

1. Rito dell’elezione

Tale rito si celebra normalmente laprima domenica di Quaresima, visto ilcarattere proprio di questo tempo taleda preparare alle solennità pasquali edunque alla ricezione stessa dei sacra-menti. Si svolge normalmente durantela messa, dopo l’omelia.

1.1 Presentazione dei candidati

Il rito ha inizio con la presentazionedei candidati da parte del sacerdote

responsabile dell’iniziazione dei cate-cumeni o del diacono o di un catechi-sta o di un delegato stesso della co-munità. Egli, rivolgendosi al vescovo oad un suo delegato, presenta i candi-dati a nome dell’intera comunità, sot-tolineando la loro volontà di ricevere isacramenti dell’iniziazione cristiananel corso delle imminenti solennitàpasquali, accompagnati da un’ade-guata preparazione e dalla preghiera edall’esempio dell’intera comunità7.

Il presidente della celebrazione, di-nanzi a tale richiesta, non dà subito ilsuo assenso, ma vuole ascoltare la te-stimonianza della comunità stessa cheaccompagna i passi dei catecumeniverso la grande notte pasquale, e per-ciò invita a farsi avanti i candidati ac-compagnati dai r ispettivi padrini omadrine, quali rappresentanti e dele-gati dell’intera comunità nell’accom-pagnamento più prossimo e personaledei catecumeni. Ciascuno dei neofiti èchiamato per nome. È interessantequesto elemento, da non trascurare.La Chiesa chiama ciascuno dei candi-dati in maniera individuale, non collet-tiva, pronunziando il suo nome. Nelfar ciò, la Chiesa rappresenta la chia-mata stessa di Dio alla figliolanza divi-na, a entrare per la prima volta nelsuo mistero grande di amore e di al-leanza con l’uomo. Dinanzi a Dio per-ciò non siamo una collettività, né tan-to meno un numero; siamo “chiamatiper nome” perché “amati per nome”.Un amore che, attraverso il battesimo,

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miracolosamente ci rende uno in Cri-sto Gesù (la sua Chiesa), chiamandocianche questa volta per nome, un uni-co nome per tutti: “cristiano”, cioè“di Cristo”.

È interessante notare come questoelemento della chiamata “per nome”,con tutti i risvolti biblici che lo caratte-rizzano, anche quando intorno al VIsecolo l’istituto del catecumenato ini-zierà il suo declino, non verrà a scom-parire, soprattutto quando i sacra-menti verranno amministrati separata-mente. Alcuni riti catecumenali infattiassumeranno la dimensione piuttostodi “riti esplicativi”, didascalici e fun-zionali alla stessa celebrazione battesi-male. Il “rito di iscrizione del nome”,che nel rituale del catecumenato anti-co dava inizio al cammino di ascoltodella Parola e di apprendistato alla vi-ta cristiana dando a tale iscrizionequasi il carattere giuridico di un impe-gno vincolante, assume pian piano ilsignificato di professione di un nomecoerente con il battesimo cristiano8. Icatecumeni che dovevano essere bat-tezzati davano il nome nella domenicaDe samaritana (II di Quaresima). La li-sta definitiva dei nomi doveva però es-sere redatta il sabato De Lazzaro (pri-ma della V di Quaresima). È evidenteperciò il carattere catecumenale del ri-to dell’iscrizione del nome nella tradi-zione antica. Con la scomparsa del ca-tecumenato quale effettivo tempo diascolto e di formazione, il rito del no-me, posto all’inizio dello stesso rituale

battesimale, avrà ormai lo scopo di fa-cilitare le ulteriori interrogazioni che ilministro dovrà fare nominativamente9.E a testimonianza di ciò basti osserva-re il Rito del battesimo dei bambiniche si apre proprio con la domandarelativa al nome: «Che nome date alvostro bambino?»10, e i genitori ri-spondono pronunciando il nome; daallora in poi il celebrante chiamerà ilbambino per nome. Anche la celebra-zione della confermazione presentatale chiamata nominale. È il parroco, oil diacono o il catechista che, dopo laproclamazione del Vangelo, presenta icresimandi chiamandoli per nome efacendoli entrare ad uno ad uno nelpresbiterio, accompagnati dai padrini.Anche al momento della crismazione,il confermando si presenta dinanzi alvescovo pronunciando il proprio nome(o è il padrino stesso che lo presenta);il vescovo lo conferma chiamandolo asua volta per nome11.

Tornando al rito dell’elezione, il ce-lebrante, dopo la presentazione deicandidati, si rivolge ai padrini chieden-do loro conferma riguardo l’ascolto as-siduo della Parola di Dio, l’impegno nelvivere secondo i suoi comandamenti ela costanza nella comunione fraterna enella preghiera da parte dei catecume-ni. Se lo si ritiene opportuno, l’appro-vazione può essere richiesta anche al-l’intera assemblea. Il fatto che le rubri-che, sia quella riguardante la presenta-zione dei candidati sia quella riservataalla richiesta di conferma da parte del

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celebrante circa le loro attitudini, pre-vedano la possibilità di utilizzare paro-le simili o comunque maggiormenteadattabili alla circostanza, alla comu-nità e ai candidati stessi, rende il ritocertamente meno formale e anzi mag-giormente incarnato nel contesto cele-brativo ed ecclesiale.

1.2 Interrogazione dei candidatie petizione

Il celebrante, dopo aver udito la te-stimonianza dei padrini e catechisti, ri-volto ai catecumeni li ammonisce e liinterroga sulla loro intenzione di esse-re ammessi a ricevere i sacramenti del-l’iniziazione cristiana, chiedendo dimanifestarla pubblicamente. È la Chie-sa che, come sottolineato dalla moni-zione proposta, “invita” i candidati aricevere i “sacramenti pasquali”; ma ènella libertà del catecumeno accettareo meno questo importante invito, ma-nifestando dinanzi a tutta la comunitàla propria volontà. Dopo di ciò, al ca-tecumeno è chiesto di pronunciare ilproprio nome. «L’iscrizione del nomesi può fare in vari modi. Il nome o èsegnato dallo stesso candidato, o pro-nunciato a chiara voce, è segnato dalpadrino o dal sacerdote»12.

Sarebbe bene preparare una perga-mena dove il catecumeno sottoscri-verà il proprio nome accanto a quellogià precedentemente dattiloscritto. Idati trascritti sul libro dei catecumeni

porteranno la firma dell’eletto, dei pa-drini, del parroco o del celebrante.

1.3 Ammissione o elezione

A questo punto avviene l’ammissionedei candidati a ricevere il battesimo, laconfermazione e l’eucaristia. Ora i cate-cumeni, definitivamente accolti dal ve-scovo, divengono degli “eletti”. Anchein questa parte, specie nella monizioneproposta, si evidenzia come sia la Chiesache sceglie i candidati dopo una loroprecisa richiesta: «N. e N., siete stati pre-scelti per essere iniziati ai santi misterinella prossima Veglia pasquale»13. È laChiesa infatti che, rappresentata dal ve-scovo e guidata dallo Spirito Santo, pos-siede il dono del discernimento ed è per-ciò capace di riconoscere coloro che so-no pronti ad essere accolti nella famigliacristiana.

Segue un’ammonizione rivolta innan-zitutto ai candidati, affinché continuinocon impegno, fedeltà e fortezza la loropreparazione, specie dinanzi alle prove etentazioni che incontreranno nel lorocammino e richiamate dal brano evange-lico di questa domenica, Mt 4, 1-11; am-monizione che riguarda anche i padrini,perché svolgano con diligenza e con unareale testimonianza cristiana il loro ruolodi accompagnatori, assistendo e incorag-giando con l’esempio i catecumeni. Taleimpegno è sottolineato dal rito con l’im-posizione della mano destra del padrinosulla spalla del catecumeno a lui affidato.

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1.4 Preghiera per gli eletti

Come dicevamo sopra, il camminocompiuto dai catecumeni verso la rice-zione dei sacramenti pasquali impegnatutta intera la comunità, anche e so-prattutto nell’accompagnamento oran-te. Ecco perché nelle preghiere che se-guono il presidente della celebrazioneinvita a pregare «per loro e per noi»;siamo tutti implicati in questo cammi-no, affinché «questo reciproco impe-gno di conversione ci renda degni dellegrazie pasquali»14. E infatti le preghierestesse abbracciano l’intera comunità: icatecumeni innanzitutto, poi i catechi-sti, i padrini, le famiglie degli eletti, lacomunità stessa che accoglie i candida-ti e infine coloro che ancora non hannoabbracciato la fede cristiana. Si notaqui un respiro universale del camminod’iniziazione cristiana, che coinvolge inmaniera fattiva e in maniera orante laChiesa universale.

La preghiera termina con l’orazionedel celebrante che, stendendo le manisopra gli eletti, così conclude: «O Dio,che nella tua onnipotenza hai creatol’uomo e nella tua misericordia l’hai re-dento, guarda con bontà ai tuoi figli diadozione e accogli questi eletti nel po-polo della nuova alleanza, perché di-ventati figli della tua promessa, otten-gano per grazia ciò che non hanno po-tuto ottenere con le loro forze»15. Conquesta orazione viene sottolineato co-me i catecumeni, attraverso i sacramen-ti pasquali, entrino a far parte del po-

polo della nuova alleanza, della Chiesadi Cristo; ma, altrettanto interessante èil prendere coscienza che ciò non è unaconquista dell’uomo, come sottolineatoda S. Paolo nella Lettera ai Romani pre-vista per questa celebrazione, ma è do-no di Dio, della sua grazia: «[…] moltodi più la grazia di Dio e il dono conces-so in grazia di un solo uomo, Gesù Cri-sto, si sono riversati in abbondanza sututti gli uomini. E non è accaduto per ildono di grazia come per il peccato diuno solo: il giudizio partì da un solo at-to per la condanna, il dono di grazia in-vece da molte cadute per la giustifica-zione. Infatti se per la caduta di uno so-lo la morte ha regnato a causa di quelsolo uomo, molto di più quelli che rice-vono l’abbondanza della grazia e deldono della giustizia regneranno nella vi-ta per mezzo del solo Gesù Cristo»16.Ecco allora svelato, in maniera ancorapiù chiara, quanto presentato nel corsodell’intero rito: non si tratta tanto di unauto-candidatura o di un’auto-convoca-zione da parte del catecumeno, quantopiuttosto di una Chiesa - sacramentoche elargisce i doni di grazia di Dio, cheaccoglie e che riveste della nuova graziaproveniente da Cristo coloro che da luisono stati chiamati “per nome”.

1.5 Congedo degli eletti

Terminata l’orazione, se il rito av-viene durante la celebrazione eucari-stica, il presidente congeda gli eletti,

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——————1

Cf. Rituale romano riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II e promulgato da Papa

Paolo VI. Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti, Città del Vaticano 1984 (= RICA), 35.2

RICA 35.3

Cf. RICA 143.4

Cf. RICA 144.5

Cf. RICA 146.6

Cf. RICA 133-151.7 Cf. RICA 143.8 Già a partire dall’Epifania, sant’Ambrogio lanciava l’appello ai catecumeni affinché dessero il nome, di modo

da poter ricevere il battesimo nella Pasqua successiva, lamentando a volte di non ricevere risposta.9 Solo più tardi, a mo’ di reazione contro i nomi paganeggianti di moda con il rinascimento, il rito acquisterà

anche il compito di assicurare un nome cristiano al neofita.10 Rituale romano riformato a norma dei decreti del Concilio ecumenico vaticano II e promulgato da Papa Paolo

VI. Rito del battesimo dei bambini, Città del Vaticano 1970, 86.11 Cf. Pontificale romano riformato a norma dei decreti del Concilio ecumenico vaticano II e promulgato da Pa-

pa Paolo VI. Rito della confermazione, Città del Vaticano 1985, 30. 32.12 RICA 146.13 RICA 147.14 RICA 148.15 [15] RICA 149.16 [16]

invitandoli sempre di più ad aderire aCristo via, verità e vita e a riunirsi conl’intera comunità in occasione degliimminenti scrutini. Gli eletti infatti,parteciperanno in pienezza all’eucari-stia nella notte della Veglia pasqualequando, ricevuti i sacramenti dell’ini-ziazione cristiana ed entrati in pienez-za nel mistero pasquale di Cristo, sa-ranno invitati dalla Chiesa a prendereparte al banchetto eucaristico.

Conclusione

Con il Rito dell’elezione gli eletti,dopo essere stati accolti dalla Chiesamadre a ricevere i sacramenti dell’ini-ziazione cristiana, sono proiettati versola notte sacramentale nella quale, gui-dati dalla luce del cero pasquale, pas-seranno dalle tenebre alla luce di Cri-sto, dall’ignoranza del peccato allacondivisione della sapienza divina.

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er mezzo dei sacramenti dell’ini-ziazione cristiana, gli uomini,uniti con Cristo nella sua morte,

nella sua sepoltura e risurrezione, vengo-no liberati dal potere delle tenebre, rice-vono lo Spirito di adozione a figli e cele-brano, con tutto il popolo di Dio, il me-moriale della morte e risurrezione del Si-gnore (Rito dell’iniziazione cristiana degliadulti - Introduzione generale - n. 1).

L’iniziazione dei catecumeni si fa conuna certa gradualità in seno alla comunitàdei fedeli i quali, meditando insieme conloro sull’importanza del mistero pasqualee rinnovando la propria conversione, li in-coraggiano col loro esempio a corrispon-dere più generosamente alla grazia delloSpirito Santo (Rito dell’iniziazione cristianadegli adulti - Introduzione - n. 4).

In questo itinerario, oltre ai tempi del-la ricerca e della maturazione, sono previ-sti vari «gradi» o passaggi per i quali ilcatecumeno avanzando passa, per cosìdire, di porta in porta o di gradino in gra-dino. Il primo grado si ha quando uno,dando inizio alla conversione, vuol diven-tare cristiano ed è accolto dalla Chiesacome catecumeno; il secondo grado si haquando, cresciuta la fede e quasi termi-nato il catecumenato, viene ammesso a

una più intensa preparazione ai sacra-menti; il terzo grado si ha quando, com-piuta la preparazione spirituale, riceve isacramenti che formano il cristiano (Ritodell’iniziazione cristiana degli adulti - In-troduzione - n. 6).

I tre gradi comportano tempi diversi diapprofondimento e di maturazione; ilprecatecumenato, il catecumenato, lapreparazione quaresimale immediata e lamistagogia. La terza di queste quattroscansioni è dedicata in maniera specificaalla purificazione e all’illuminazione inte-riore (Rito dell’iniziazione cristiana degliadulti - Introduzione - n. 7). In questotempo - oltre al rito dell’elezione o dell’i-scrizione del nome – si celebrano gli scru-tini e le consegne.

Gli scrutini hanno come finalità di ac-compagnare l’eletto nell’ultimo periodoche lo separa dalla celebrazione dei sa-cramenti pasquali, sostenendolo con lapreghiera forte e affettuosa di coloro chepiù direttamente lo guidano nel cammi-no, ma anche di tutta la comunità cristia-na. Se queste celebrazioni ricordano alcandidato al battesimo la sua condizionedi peccatore, bisognoso di essere aiutatonella lotta contro il maligno, lo esortanoanche a fare memoria di come l’amore

L’iniziazione cristianaGli scrutini

Stefano Bodi

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del Padre lo abbia chiamato alla fede esostenuto nel lungo e insidioso camminoverso il suo abbraccio sacramentale. Gliscrutini infatti sono predisposti per libera-re dal peccato e dal demonio e infonderenuova forza in Cristo che è via, verità evita degli eletti (Rito dell’iniziazione cri-stiana degli adulti - Introduzione - n. 25).

Gli scrutini sono celebrati dal ministroordinato ed è bene che a essi partecipi -oltre agli eletti, ai catechisti e ai garanti-padrini - anche l’intera comunità. La cele-brazione è infatti occasione privilegiataper fare memoria della continua lottacontro il tentatore e del comune bisognodi conversione, oltre che presenza cherafforza la preghiera di intercessione percoloro che diverranno fratelli in Cristo.

Per la loro particolare struttura e perl’insostituibile richiamo ai temi dell’ac-qua, della luce e della vita, tipicamentepasquali, è bene che essi siano celebratinel giorno del Signore della III, IV e V set-timana di Quaresima, anche per permet-tere la partecipazione di un maggior nu-mero di fedeli rispetto a una celebrazioneferiale degli stessi.

La liturgia della parola si svolga con lepericopi del ciclo dell’anno A che propo-ne i vangeli della samaritana, del cieconato e della risurrezione di Lazzaro, testiche - data la loro peculiarità - possonoessere sempre utilizzati durante il tempodi Quaresima nelle celebrazione domeni-cali sopra indicate al posto delle letturedegli anni B e C a esse assegnate. Quan-do - ovviamente per serie motivazioni pa-storali o di riservatezza richiesta dalla

particolare situazione personale e socialedell’eletto - gli scrutini debbono esserecelebrati in giorno feriale, le letture sianosempre quelle succitate, così come l’ordi-ne degli scrutini (Rito dell’iniziazione cri-stiana degli adulti - Tempo e riti della pu-rificazione e dell’illuminazione - n. 159).

La struttura degli scrutini è identicaper le tre celebrazioni. Dopo l’omelia, glieletti si pongono, accompagnati dai pa-drini e dai catechisti, davanti al celebran-te, che invita l’assemblea a pregare perchiedere per loro la comprensione delsenso del peccato, il dono dello spirito dipenitenza e la vera libertà dei figli di Dio.Poi gli eletti sono invitati a inchinarsi o in-ginocchiarsi per pregare in silenzio, ac-compagnati da tutta l’assemblea. Al ter-mine della preghiera silenziosa gli eletti sialzano e si continua a pregare per loro,per i catechisti e i padrini, mentre questiultimi tengono la mano destra sulla spalladegli eletti. A queste orazioni seguonopoi le intenzioni previste dalle rubriche delMessale Romano. Alla preghiera per glieletti segue l’esorcismo. Dopo un’orazio-ne a mani giunte, il celebrante impone lamano su ciascun eletto; poi, stendendo lemani su di loro, pronuncia l’esorcismo.Terminato quest’ultimo, l’eletto vienecongedato dall’assemblea e invitato a tor-nare - nel caso del primo e del secondoscrutino - per la successiva celebrazionedello stesso. Mentre l’assemblea prose-gue la celebrazione della Messa con la li-turgia eucaristica, gli eletti si recano in unluogo a parte per una catechesi di tagliomistagogico sul rito appena celebrato.

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Nel primo scrutino - durante il quale,se non già avvenuta, può essere fatta laconsegna del Simbolo - le preghiere diesorcismo sottolineano il profondo desi-derio degli eletti di essere segnati conl’acqua viva, la stessa che la donna sama-ritana riceve in dono dal Signore Gesù, ilmaestro del quale anche loro sono in ar-dente ricerca. L’ascolto della parola poirende i candidati consapevoli del propriopeccato e della necessità della misericor-dia divina. Il lavacro dell’acqua unito allaparola trasformerà dunque gli eletti increature nuove, consacrate nel bagnobattesimale e rese capaci di una rinnova-ta esistenza scandita dalle esortazioni edagli impegni che provengono dallaScrittura. E proprio la Parola diviene per icatecumeni strumento che rivela la fragi-lità della propria condizione e la necessitàdi riporre nel Padre fiducia piena per es-sere custoditi dalle insidie del tentatore.Sarà allora possibile aprire il cuore alla di-vina misericordia per scoprire le piaghenascoste dello spirito ed essere riempitidall’amore che salva. Camminando confede su questa via gli eletti - sostenuti daldono dello Spirito Santo – imparerannoad adorare il Padre in spirito e verità.

Nel secondo scrutino le orazioni cheaccompagnano l’esorcismo introducono icatecumeni nel mistero del Regno, delquale si diviene cittadini non per apparte-nenza etnica o per prerogative religiose,ma per la fede in Cristo. Sull’esempio delcieco nato al quale il Signore - luce verache illumina ogni uomo - dona la capa-cità di vedere, anche per gli eletti è chie-

sta la liberazione dalle tenebre del male edalla cecità del peccato e la vittoria sulleinsidie del padre della menzogna. Nei sa-cramenti pasquali gli eletti diverranno il-luminati, figli della luce senza tramonto,per risplendere come lampada sul monte,con l’augurio di essere luminosi in santitàe grazia e divenire fermi e sicuri testimonidella gioia della fede nel Risorto.

Nel terzo scrutino - durante il quale,se non già avvenuta, può essere fatta laconsegna della preghiera del Signore, ilPadre Nostro - le preghiere di esorcismopongono l’accento sul dono della vitache proviene dall’unico creatore, il Pa-dre della vita senza fine. Egli è il Dio deivivi e tutto ama di ciò che ha chiamatoall’esistenza. Nella pienezza dei tempiha inviato come messaggero di vita il Fi-glio che, richiamando l’amico Lazzarodal sepolcro, ha rivelato di aver assuntola carne dell’uomo perché questi avessevita in abbondanza. Come vero Dio ecome vero uomo, il Signore Gesù vinceil peccato e pronuncia la definitiva vit-toria sul male e sulla morte, facendopartecipe ogni creatura della vita eter-na. Anche per gli eletti dunque è chie-sta la liberazione dal male e il dono bat-tesimale della vita nuova e la forza diesserne annunciatori in ogni opera eoccasione dell’esistenza quotidiana.Nell’attesa di celebrare i sacramenti pa-squali, si domanda per i catecumeniche lo Spirito datore di vita aumenti laloro fede, accresca la loro speranza e lirenda forti nell’amore, per sconfiggeree allontanare lo spirito dell’avversario,

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vivendo in unitàcon la Trinità nel-l’attesa di esserecon lei ricongiuntanel giorno senzafine.

Per quanto ri-guarda l’esperienzadella Diocesi di Ro-ma relativamente alcatecumenato degliadulti, compren-dendo in questa ac-cezione coloro chehanno superato iquattordici anni dietà, tutti coloro chenella Pasqua deb-bono essere iniziaticelebrano il primo - con la relativa conse-gna della professione di fede - e il secon-do scrutinio nella parrocchia di apparte-nenza mentre il terzo - con la consegnadel Padre Nostro - viene celebrato in ma-niera comunitaria al Battistero della Cat-tedrale di San Giovanni in Laterano sottola presidenza di uno dei vescovi ausiliaridella Chiesa di Roma. È un momento al-tamente significativo nel cammino imme-diato degli eletti verso il battesimo, chesottolinea il loro legame con la Diocesi -che segue con amorevole cura sin dallasua nascita l’itinerario di fede in prepara-zione alla celebrazione dei sacramentidell’iniziazione cristiana - ed è l’ultimomomento di incontro fra tutti gli elettiprima delle solennità pasquali durante lequali avverrà la loro rinascita a figli.

In diverse par-rocchie poi - e il fe-nomeno sta cre-scendo negli ultimianni con numerimolto importanti -si verifica la richie-sta del battesimoda parte delle fami-glie dei fanciulli dasette a quattordicianni, in genere le-gata alla contempo-ranea richiesta dicatechesi in prepa-razione alla primacomunione da par-te dei loro amici ecoetanei. Anche per

loro, in prossimità della Pasqua nella qua-le saranno battezzati, debbono essere ce-lebrati gli scrutini e - se non ancora avve-nute - le relative consegne. Se celebratinelle domeniche di Quaresima nella mes-sa alla quale, durante la sua formazione,il catecumeno ha partecipato, gli scrutinisono una grande occasione di catechesiper tutta l’assemblea e in modo particola-re per il gruppo nel quale il fanciullo hacamminato nella fede, un’opportunità peri più piccoli ma soprattutto per gli adultiper ritornare alle radici della fede e farememoria del proprio battesimo. L’elettoinoltre avrà occasione di sperimentare inmaniera palpabile l’amore, l’affetto e lapreghiera della comunità che, in manierasilenziosa ma concreta, deve accompa-gnare il suo catecumenato.

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l titolo - Lettera ai cercatori di Dio –è molto eloquente: il breve testopreparato dalla Commissione Epi-

scopale per la dottrina della fede, l’annun-cio e la catechesi della Conferenza Episco-pale Italiana, si rivolge infatti a tutti coloroche «sono alla ricerca del volto del Dio vi-vente». Siano essi credenti, che quindi cre-scono nella conoscenza della fede, o, purnon credendo, avvertono la profondità degliinterrogativi su Dio e sulle cose ultime. Co-me scrive l’Arcivescovo di Chieti-Vasto,Mons. Bruno Forte, Presidente della Com-missione Episcopale, nell’introduzione allaLettera, «il testo parte da alcune domandeche ci sembrano diffuse nel vissuto di molti,per poi proporre l’annuncio cristiano e ri-spondere alla richiesta: dove e come incon-trare il Dio di Gesù Cristo? Ovviamente, laLettera non intende dire tutto: essa vuolepiuttosto suggerire, evocare, attrarre a unsuccessivo approfondimento, per il quale sirimanda a strumenti più adatti e completi,fra cui spiccano il Catechismo della ChiesaCattolica e i Catechismi della ConferenzaEpiscopale Italiana».

Questa Lettera quindi viene offerta achiunque voglia farne oggetto di letturapersonale, oltre che come punto di parten-za per dialoghi destinati al primo annunciodella fede in Gesù Cristo, all’interno di un

itinerario che introduca all’esperienza dellavita cristiana nella Chiesa. «Vogliamo pro-porre una strada per incontrare Gesù, il Cri-sto, il Figlio del Dio vivente venuto fra noi,colui che sovverte i nostri schemi e le nostreattese, ma è anche il solo che riteniamopossa darci l’acqua che disseta per la vitaeterna» afferma ancora Mons. Forte.

Nella prima parte si prendono in consi-derazione gli interrogativi comuni dell’uomocontemporaneo. «Constatiamo così la pre-senza di una diffusa attesa di qualcosa – odi Qualcuno – cui si possa affidare il propriodesiderio di felicità e di futuro, e che sia ingrado di dischiuderci un senso, tale da ren-dere la nostra vita buona e degna di esserevissuta… Si tratta delle domande che ri-guardano la nostra esistenza, il nostro desti-no e il senso di ciò che siamo e facciamo,oltre che di tutto ciò che ci circonda. Sonointerrogativi che, per essere veramente af-frontati, richiedono il coraggio della ricercadella verità e la libertà del cuore e dellamente». Ci si interroga quindi sulla felicità esulla sofferenza, sull’amore e sui fallimenti,sul lavoro e sulla festa, sulla giustizia e sullapace, sulla sfida di Dio.

«Qualcuno ha accusato la tradizionecristiana di opporsi alla voglia di felicità,di guardare eccessivamente al futuro di-menticando il presente. Qualche volta è

Lettera ai cercatori di DioStefano Lodigiani

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stato contestato ai credenti in Cristol’eccessivo prezzo da pagare per assicu-rare la felicità, o si sono loro rimprovera-ti i modelli dal sapore rinunciatario, per-sino un poco masochista, presentati co-me condizione per raggiungere la feli-

cità. Qualcuno è arrivato alla decisionedi dover liberare l’uomo da Dio per re-stituirgli il diritto alla felicità. Le provo-cazioni ci sfidano e ci aiutano a pensare,facendoci riscoprire alla radice dell’espe-rienza cristiana la figura di Gesù, che ci

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ha offerto il volto di un Dio amante del-la vita e della felicità dell’uomo».

La seconda parte della Lettera si rivolge«a tanti uomini e donne che sono alla ricercadi una speranza per il loro cammino» raccon-tando l’esperienza che abbiamo fatto e fac-ciamo di Gesù, l’unico “nome” che a noi dàsperanza e vita. «Per tutti i suoi testimoni Ge-sù è una persona che ha vissuto, nella carnedella sua umanità, le incertezze e le inquietu-dini che scopriamo in noi, prendendosi curacon coraggio della gente che ha incontrato».In questa parte quindi ci si interroga sull’in-contro con Gesù, sulla novità portata da Ge-sù, sulla sua condanna a morte. Quindi, nelcapitolo dedicato al Cristo, ecco l’incontrocon il Risorto e con la comunità dei discepoliche lo seguirono durante la predicazione ter-rena. «Dio Padre, Figlio e Spirito» è il temadel capitolo seguente. «Dalle parole di Gesù,conservate e trasmesse nei Vangeli, si intuisceche egli vive un rapporto profondo e unicocon Dio, il Padre, al punto che può presentar-si come ‘il Figlio’. Quando parla dello SpiritoSanto, Gesù riconosce che viene da Dio, il Pa-dre, come lui stesso è stato mandato dal Pa-dre. Su questa esperienza di Gesù si innestala fede in Dio Padre, Figlio e Spirito dei primidiscepoli e delle comunità cristiane». Seguequindi il capitolo dedicato alla Chiesa di Dio,comunità di fratelli, inviata in missione, ed in-fine «La vita secondo lo Spirito», con l’ultimaparte dedicata a Maria madre della speranza.«Come umile serva del Signore, Maria, la ‘fi-glia di Sion’, si colloca nella storia del suo po-polo, Israele, che, a partire dall’esodo e dalcammino nel deserto, fa esperienza dell’agire

potente di Dio. Il Magnificat, sintesi della sto-ria della salvezza, è un canto di speranza, dicui Maria si fa voce».

L’ultima parte della Lettera è l’apprododell’itinerario: «Come incontrare il Dio diGesù Cristo». «Abbiamo cercato di testi-moniare la speranza che è in noi. Abbiamopresentato Gesù, la sua vita, morte e risur-rezione. Abbiamo parlato del volto del Pa-dre suo e del dono del suo Spirito. Per noicristiani, Gesù non è una dottrina astratta.È via, è vita, è verità che illumina il nostrocuore, anticipo e promessa della vita eter-na. Seguendo Lui, il più umano degli uo-mini, il Figlio eterno venuto in mezzo a noi,ci sentiamo aiutati ad affrontare la vita e lesue sfide come figli di Dio, fratelli e sorelletra di noi. La terza parte della nostra “Let-tera” cerca di aiutare il “cercatore di Dio”a pensare, progettare e vivere esperienzeconcrete per giungere all’incontro con ilDio vivente, così come Gesù lo ha reso anoi possibile». Ecco quindi la mappa trac-ciata per incontrare il Signore: la preghiera,l’ascolto della Parola di Dio, i Sacramenti, ilservizio, la vita eterna.

La speranza è la “buona notizia” cheil Vangelo ci consegna. «La prospettivache illumina la vita, anche nel duro con-fronto con la morte, è appunto la spe-ranza dischiusa dalla resurrezione di Cri-sto. Nell’esperienza cristiana, la speranzaè una dimensione irrinunciabile, fondatanell’incontro stesso col Signore Gesù: èlui risorto da morte a illuminare il presen-te e ad aprire il nostro sguardo verso unfuturo affidabile e bello».

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Prima lettura: Es 16,2-4.12-15Salmo responsoriale: dal Sal 77 (78)Seconda lettura: Ef 4,17.20-24Vangelo: Gv 6,24-35

Il Sal 77, il più lungo di tutto il Salteriodopo il 118, è una sorta di meditazione cheripercorre tutta la storia della salvezza. Il to-no del testo è, però, più quello della lode chenon quello della narrazione storica. Infattiquesta storia, se da una parte è la descrizio-ne della ribellione, ostinazione e infedeltàdel popolo d’Israele, d’altra parte è ancheuna storia in cui si manifesta l’inesauribilevolontà di perdono del Signore e la sua for-midabile potenza salvifica. La liturgia odier-na riprende i pochi versetti del salmo chefanno riferimento al tema della prima lettura,tratta dal libro dell’Esodo.

Noi credenti siamo talvolta tentati di trat-tare Dio come colui che può e magari deve ri-solvere i nostri piccoli o grandi problemi quo-tidiani. E’ ciò che è capitato ad Israele neldeserto. La prima lettura ci racconta un mo-mento di tensione vissuto dal popolo d’Israeledopo la liberazione dall’Egitto. Inoltrati neldeserto, gli israeliti devono affrontare l’incer-tezza del sostentamento quotidiano. E’ inqualche modo naturale che in una tale circo-stanza sorga il rimpianto della situazione pre-cedente che se non offriva la libertà, garanti-va almeno un cibo sicuro, un’esistenza inqualche modo tranquilla. Dio viene incontroal suo popolo con il nutrimento misteriosodella manna. Si tratta di un cibo però che èdato giorno per giorno e quindi non garanti-sce il domani. Israele resta nella provviso-rietà e nell’incertezza, non è dispensato delquotidiano impegno per la sopravvivenza.

Nel vangelo d’oggi Gesù si rivolge allafolla che lo seguiva perché aveva visto il mi-racolo della moltiplicazione dei pani e deipesci. A questa folla il Signore rimprovera dinon aver capito il significato del gesto da luicompiuto: “voi mi cercate non perché avetevisto dei segni, ma perché avete mangiato diquei pani e vi siete saziati”. Anche questa

DDOOMMEENNIICCAA XXVVIIIIII DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO (( BB ))22 AAggoossttoo 22000099Donaci, Signore, il pane del cielo

La parola di Dio celebratap. Matias Augé, cmf

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possiamo conservare e rinvigorire la vita cheegli ci ha donato. Il salmo è adatto a questadomenica in cui proseguiamo la lettura del ca-pitolo 6 di san Giovanni sul pane della vita.

La prima lettura ci racconta la disperata fu-ga del profeta Elia attraverso il deserto, perse-guitato a morte dalla crudele e onnipotente re-gina fenicia, Gezabele, che dominava in Israe-le. Stanco e sfinito al punto da desiderare lamorte come suprema liberazione, l’angelo diDio interviene ed il profeta viene rinvigorito daun cibo miracolosamente preparato davanti a

DDOOMMEENNIICCAA XXIIXX DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO (( BB )) 99 AAggoossttoo 22000099Gustate e vedete com’è buono il Signore

gente ha la tentazione di confondere la reli-gione con un modo comodo di risolvere i pro-blemi quotidiani. Gesù cerca di indirizzare isuoi ascoltatori verso un cibo che “rimaneper la vita eterna”. E lo fa contrapponendoalla manna che gli israeliti hanno mangiatonel deserto il vero cibo che dà la vita al mon-do: “Io sono il pane della vita; chi viene ame non avrà fame e chi crede in me non avràsete mai!”. Ecco quindi che il Signore spostal’attenzione dei suoi ascoltatori dal panequotidiano alla sua persona, alla sua parola,al suo insegnamento. Come disse Egli stessoal tentatore: “Non di solo pane vive l’uomo,ma di ogni parola che esce dalla bocca diDio” (canto al vangelo, Mt 4,4b). Il cibo chealimenta la vita del corpo finisce con la mor-te ed è quindi precario e di poco conto.Quello vero “rimane”, perché nutre in noi ivalori eterni dello spirito. In altre parole, ciò

che dobbiamo cercare in Gesù non è la solu-zione dei problemi quotidiani, ma la forzaper affrontare questi problemi e per costruireuna vita che non perisca. Gesù si rivela co-me il dono di Dio che soddisfa in modo pie-no e definitivo le esigenze vitali dell’essereumano rappresentate dal mangiare e bere.

San Paolo, nella seconda lettura, offre uninsegnamento simile quando rivolgendosi aicristiani di Efeso li invita a rinunciare a uncomportamento da pagani, a una vita vana,che prescinde dal riferimento e dalle certez-ze provenienti da Cristo: “secondo la veritàche è in Gesù”. Dobbiamo sforzarci di pro-gredire, giorno dopo giorno, sulla strada cheil Cristo ha aperto, ma il cui itinerario non èfissato a priori. In questo cammino ci nutrel’eucaristia, “il pane del cielo” (orazione do-po la comunione).

Il Sal 33 è un messaggio di gioia e di spe-ranza che un povero indirizza ad altri poveri.Ad essi egli racconta la sua meravigliosa espe-rienza di Dio: “Gustate e vedete com’è buonoil Signore, beato l’uomo che in lui si rifugia”.“Poveri” di Dio sono quelli che lo amano epongono in lui la loro fiducia. Il Signore nondelude le loro aspettative! Questo salmo è ilcanto tradizionale della comunione eucaristi-ca. Con esso lodiamo il Signore e gustiamo ladolcezza dell’unione con lui: il Signore corri-sponde al nostro amore, mostrandoci come

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lui. Il racconto conclude con queste parole:“Con la forza di quel cibo camminò per qua-ranta giorni e quaranta notti fino al monte diDio, l’Oreb”, luogo natale del popolo ebraico.Anche noi nel nostro pellegrinare per il desertodella vita, specie nei momenti di stanchezza odi scoraggiamento, ci rendiamo conto che nonabbiamo le forze per continuare, non ce la fac-ciamo più, non ci basta il nutrimento terreno,abbiamo bisogno di qualcosa di più consisten-te, un nutrimento che ci rinvigorisca dentro.

La pagina evangelica che leggiamo oggi cipresenta, per la seconda domenica consecuti-va, un brano del grande discorso di Gesù dopoil miracolo dei pani. Gesù si proclama “panedisceso dal cielo”, dato agli uomini perché “chine mangia non muoia” ma viva in eterno. Que-sto pane, se mangiato e assimilato, è sorgentein noi di una vita perenne che non teme la mor-

te. Se Gesù si identifica con il pane della vitadato da Dio, allora vuol dire che “mangiare” si-gnifica anche “credere”. Solo così viene supe-rata la morte. In altre parole, la vita piena e de-finitiva si ottiene solo mediante la fede in Cri-sto, anzi mediante la condivisione del destinodi colui che è il pane vivo disceso dal cielo. Ilbrano evangelico esalta la forza trasformatricee “divinizzante” del pane di vita, germe dellanostra risurrezione. Mangiando questo paneinizia in noi la risurrezione, inizia un processodi crescita che sarà più forte di ogni deserto.Non invocheremo più il Signore perché ci fac-cia morire, come aveva fatto Elia; sapremo vi-vere la nostra morte secondo quanto insegna ilmistero racchiuso in quel pane della vita..

Nella seconda lettura, san Paolo ci spiegache Gesù è diventato salvezza dell’uomo per-ché “ha dato se stesso per noi”. Gesù è “il pa-

ne della vita” perché è la rivelazionedi Dio a noi e, più in particolare, per-ché ha dato tutto se stesso per la libe-razione dell’uomo dal male e dal pec-cato. L’incarnazione storica del Figliodi Dio in Gesù Cristo, culminantenella croce con la donazione dellasua vita per la nostra salvezza, si pro-lunga nel segno sacramentale del pa-ne eucaristico. L’Apostolo aggiungeancora: “camminate nella carità, nelmodo in cui anche Cristo ci ha ama-to”. E’ un invito a diventare noi stessi“eucaristia”, dono per gli altri. Nellasolidarietà reciproca, nell’impegnoper gli altri, nella fede e nella speran-za nonostante ogni scacco, si esperi-menta e si esprime la vitale presenzadi Cristo tra noi.

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Prima lettura: 1Cr 15,3-4.15-16; 16,1-2Salmo responsoriale: dal Sal 131 (132)Seconda lettura: 1Cor 15,54b-57Vangelo: Lc 11,27-28

I due versetti del Vangelo di Luca chevengono proposti come lettura evangelica diquesta messa vespertina nella vigilia della so-lennità dell’Assunzione di Maria contengonola lode che una donna della folla mentre par-lava Gesù rivolge a Maria, dichiarandola bea-ta perché Madre di Gesù secondo la carne.Notiamo che l’orazione colletta della messamette in rapporto l’innalzamento di Maria allasublime dignità di madre del Figlio di Dio eil mistero della sua assunzione in cui è stata“coronata di gloria incomparabile”. Gesù nel-l’intervento che fa seguito alle parole dell’ano-nima donna di cui parla Luca, non la contrad-dice. Infatti, quanto Egli dice non suona comeopposizione a quanto quella donna ha dettoprima. Anzi, Gesù raddoppia la lode e affermache Maria è beata in un senso ancora più ec-celso in quanto assidua ascoltatrice della pa-rola di Dio e ad essa fedele.

Per meglio capire le parole di Gesù, biso-gna aver presente anzitutto che il testo lucanoè talvolta tradotto e inteso in un senso avver-sativo (“beati piuttosto…”), che non ha nel-l’originale greco. Renderebbe meglio il sensodel testo originale la traduzione: “Ancor piùbeati…”. In secondo luogo, occorre interpre-tare il tutto nel contesto generale del Vangelo

di san Luca. Nei capitoli anteriori, l’evangeli-sta ha parlato più volte di Maria e l’ha pre-sentata come colei che ascolta, accoglie, cu-stodisce, medita e vive la Parola di Dio. Ma-ria infatti ha accolto con un generoso “sì”l’annuncio dell’angelo Gabriele e ha fatto suaquella Parola che, per opera dello SpiritoSanto, si è fatta carne nel suo grembo (Lc1,26-38). Per cinque volte si è poi detto cheMaria ha osservato “la legge del Signore” (Lc2,22.23.24.27.39) e che ha accolto la paroladi Gesù dodicenne e l’ha custodita nel suocuore (Lc 2,51), cioè ne ha fatto nutrimentoper la sua vita. Notiamo che col termine “leg-ge” nella terminologia biblica è indicata laBibbia, in particolare i primi cinque libri del-l’Antico Testamento, ossia il Pentateuco.

Le parole di Gesù: “Beati coloro cheascoltano la parola di Dio e la osservano”valgono in primo luogo per Maria sua Madre,ma sono dette anche per tutti coloro cheascoltano e accolgono la Parola. Qualche ca-pitolo prima (cf. Lc 8,21), l’evangelista ciracconta che Gesù, avvertito che sua madree i suo fratelli desideravano vederlo, rispon-de: “Mia madre e i miei fratelli sono questi:coloro che ascoltano la parola di Dio e lamettono in pratica”. Gesù rimanda in ambe-due i casi all’ascolto della Parola come se-gno dell’autentica nuova parentela con Lui.

La Chiesa, noi tutti siamo chiamati ad es-sere sempre discepoli della Parola che por-

AASSSSUUNNZZIIOONNEE DDEELLLLAA BB.. VV.. MMAARRIIAA 1144 AAggoossttoo 22000099 -- MMeessssaa vveessppeerrttiinnaa nneellllaa vviiggiilliiaaSorgi, Signore, tu e l’arca della tua potenza

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tiamo nel nostro grembo e che porgiamo al-l’umanità con l’evangelizzazione. Per questoabbiamo bisogno, ad imitazione di Maria, diun profondo atteggiamento di contemplazio-ne, di preghiera, di meditazione sapienzialedella Parola.

In Maria, che ha portato nel suo grembo ilFiglio dell’eterno Padre (cf. antifona alla co-

munione) e ha ascoltato e messo in pratica laParola (cf. lettura evangelica), Dio ha operatograndi cose che hanno trovato pieno compi-mento nel mistero della sua assunzione in cor-po e anima alla gloria del cielo (cf. antifonad’ingresso). La Madre di Gesù, come in cielo,glorificata ormai nel corpo e nell’anima, è im-magine e inizio della Chiesa in cammino ver-so il traguardo del giorno del Signore.

Prima lettura: Ap 11,19a; 12,1-6a.10aSalmo responsoriale: dal Sal 44 (45)Seconda lettura: 1Cor 15,20-27aVangelo: Lc 1,39-56

La solennità dell’Assunzione della Madon-na ci invita a celebrare il transito di Maria allaluce del testo evangelico che la canta quale di-mora di Dio, Arca dell’alleanza recante insé, nel proprio corpo, la presenza diDio, e che con il Magnificat famemoria del passaggio di Dionella vita della sua umileserva.

Maria come l’Arca del-l’alleanza è la vera abitazio-ne di Dio sulla terra. SanLuca, presentando Maria incammino verso la montagna,non può non ricordare ilcammino dell’Arca ai tempidi Davide. Un giorno il re

decise di trasportarla da Baalà di Giuda a Ge-rusalemme. Durante il cammino Uzzà stese lamano verso l’Arca e la sostenne, perché i buoivacillavano, e restò fulminato sul posto. Spa-ventato, il re disse: “Come potrà venire da mel’arca del Signore?” (2Sam 6,9). Nel branoevangelico odierno ascoltiamo Elisabetta chedice: “A che cosa devo che la madre del mio

Signore venga da me?” La somiglianzadelle due frasi è evidente. Vediamo

poi che Davide non volle trasfe-rire l’Arca presso di sé, ma lafece dirottare in casa diObed-Edom, dove rimasetre mesi e, aggiunge il testo:“Il Signore benedisse Obed-Edom e tutta la sua casa”(1Sam 6,11). Anche qui tro-viamo un parallelismo conl’evento narrato da Luca:Maria portò Gesù e “rimasecirca tre mesi” e così fu be-nedetta la casa di Zaccaria.

AASSSSUUNNZZIIOONNEE DDEELLLLAA BB.. VV.. MMAARRIIAA 1155 AAggoossttoo 22000099 -- MMeessssaa ddeell ggiioorrnnooRisplende la Regina, Signore, alla tua destra

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Elisabetta, la sterile, e Maria, la vergine, siabbracciano nello stupore del Dio che opera ciòche umanamente è impossibile. Elisabetta ave-va lodato Maria. Maria, invece, riconosce chetutto è opera di Dio e come Maria, la profetessa,sorella di Mosè, dopo il passaggio del Mar Ros-so (Es 15,21), come Anna, dopo il dono dellamaternità (1Sam 2,1-10), anche la Madre di Ge-sù innalza la sua lode all’Altissimo. Il Magnifi-cat è una bellissima sintesi della storia dellasalvezza. Maria si colloca come punto di arrivodi tutto il cammino del popolo di Dio e comepunto di partenza del nuovo popolo. Nel Magni-ficat si denuncia la menzogna e l’illusione dicoloro che si credono signori della storia e arbi-tri del loro destino e si va incontro a chi, comeMaria, ha il cuore carico di amore e l’anima di-staccata e libera. Il Dio che si rivela nel Magni-ficat è il Dio degli umili, dei poveri, degli affa-mati, degli ultimi, tra i quali Maria si ricono-sce: “ha guardato l’umiltà della sua serva”.

“D’ora in poi tutte le generazioni michiameranno beata. Grandi cose ha fatto in

Prima lettura: Prov 9,1-6Salmo responsoriale: dal Sal 33 (34)Seconda lettura: Ef 5,15-20Vangelo: Gv 6,51-58

Anche in questa domenica, in cui pro-seguiamo la lettura del capitolo 6 di sanGiovanni sul pane della vita, ci vengono

riproposti alcuni versetti del Sal 33. Comodicevamo sopra, questo salmo è un mes-saggio di gioia e di speranza che un poveroindirizza ad altri poveri. Ad essi egli rac-conta la sua meravigliosa esperienza diDio. Il testo odierno riprende la parte cen-trale del salmo, in cui esso assume un tonodidattico.

me l’Onnipotente”. Maria non esalta se stes-sa, ma il Signore che l’ha eletta a strumentodel suo amore. Questa è la più grande “vit-toria” di Maria: essersi lasciata possederetutta da Dio, perché egli manifestasse in lei“la potenza del suo braccio”. La grandezzadi Maria appare nel suo celebrare e ricono-scere che Dio ha fatto tutto in lei, mentre leisi è limitata a credere. Maria ha osato cre-dere allo sguardo di amore di Dio su di lei.

Celebrando l’Assunzione di Maria dob-biamo collocare questo evento nella “tota-lità” del mistero di Maria. Allora potremopercepire che in essa ci sono i destini del-l’umanità. Quello che in lei è ormai unarealtà pienamente posseduta, lo sarà ungiorno anche per noi. Maria assunta diventaicona escatologica della Chiesa. In Maria èanticipato il destino di gloria riservato atutti i credenti. Paolo nella seconda letturaci ricorda che Cristo è la primizia di questodestino. Maria è la prima di quella catenadi creature che Dio vuole recuperare a sé.

DDOOMMEENNIICCAA XXXX DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO (( BB )) 1166 AAggoossttoo 22000099Gustate e vedete com’è buono il Signore

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Il tema centrale d’oggi è l’eucaristia,che in questa domenica viene proposta co-me comunione. Le letture bibliche ci aiuta-no quindi ad approfondire il significato delcomunicarsi.

Con un’immagine poetica la prima let-tura presenta la sapienza di Dio come unapersona che prepara un sontuoso convito difesta per tutti gli uomini disposti ad abban-donare ogni stoltezza. L’immagine del ban-chetto per esprimere la relazione vitale delpopolo eletto con Dio attraversa tutta laBibbia e acquista il suo pieno significatoalla luce del banchetto eucaristico che ra-duna tutti coloro che amano Dio e la suagiustizia.

Nel brano evangelico ritroviamo la te-matica del “pane vivo, disceso dal cielo”,presente già domenica scorsa e oggi ripro-posta nel suo pieno senso eucaristico. Leparole di Gesù fanno reagire i giudei che simettono a discutere tra di loro dicendo:“come può costui darci la sua carne damangiare?”. Gesù però non risponde più,ma insiste sul fatto che per avere la vita bi-sogna mangiare la sua carne e bere il suosangue. Al tempo stesso però egli spiegache il rapporto di comunione vitale tra lui equanti mangiano la sua carne è del medesi-mo tipo di quello che lega reciprocamentelui e il Padre: “come il Padre, che ha la vi-ta, ha mandato me e io vivo per il Padre,così anche colui che mangia me vivrà perme”. Quindi, partecipare sacramentalmen-te all’eucaristia vuol dire mettersi in condi-zione di riprodurre tra noi e Cristo lo stessotipo di rapporto che caratterizza la sua

unione col Padre. In questo contesto, pos-siamo capire meglio l’affermazione di Ge-sù: “Chi mangia la mia carne e beve il miosangue ha la vita eterna”. Non si tratta diuna vita qualsiasi, ma della vita eterna, chenel vocabolario di san Giovanni indica unarealtà che appartiene al mondo di Dio eche, tuttavia, viene data anche a noi. Sitratta di una vita che può dirsi divina nonsolo perché viene da Dio come un dono, maperché è una partecipazione alla sua stessavita. Noi, in altri termini, siamo introdottinel dialogo di conoscenza e di amore cheunisce il Padre e il Figlio e che costituiscela vita della Trinità. E non è solo una realtàfutura (“lo risusciterò nell’ultimo giorno”),ma una realtà già presente, sia pure allostato germinale: “rimane in me e io in lui”.Rimanere o dimorare con Dio è già possibi-le ora se ci apriamo alla Parola di Cristo eci sediamo con lui alla mensa eucaristica.La futura vita eterna altro non sarà se nonla comunione totale nell’incontro definitivocon Dio, di cui la comunione eucaristica èanticipazione e garanzia.

La comunione non è una specie di di-stributore automatico di “vita eterna”. Nonbasta comunicarsi materialmente. La co-munione eucaristica è un gesto di fede; èvita nella misura in cui si è disponibili alasciarsi trasformare dalla vita stessa diCristo. Dire che Cristo è il nostro cibo si-gnifica fare di lui il fondamento della no-stra vita. La seconda lettura, riprendendo illinguaggio della prima, illustra come con-servare la vita nuova che ci viene donatanella partecipazione all’eucaristia: “com-portandovi non da stolti, ma da saggi”.

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Prima lettura: Gs 24,1-2a.15-17.18bSalmo responsoriale: dal Sal 33 (34)Seconda lettura: Ef 5,21-32Vangelo: Gv 6,60-69

Per la terza domenica consecutiva, il sal-mo responsoriale è tratto dal Sal 33, che ci haaccompagnati nella lettura del capitolo 6 di sanGiovanni sul pane della vita, di cui oggi leggia-mo l’ultimo brano. La liturgia odierna proponel’ultima parte del salmo, il cui testo si esprimecon toni di fiduciosa certezza nella bontà delSignore, che “è vicino a chi ha il cuore spezza-to”. Il Signore è a fianco a quanti lottano peressere fedeli alla sua alleanza. Egli è il nostroamico, colui che ci comprende, ci libera dallepaure, non delude mai le nostre aspettative.

Come dicevamo domenica scorsa, e ci ripeteoggi il brano evangelico, i giudei trovano il di-scorso eucaristico di Gesù “duro” da “ascolta-re”. Ecco quindi che “molti dei suoi discepolitornarono indietro e non andavano più con lui”,abbandonarono il Signore. Il punto maggior-mente duro del discorso è quello della Croce,che l’espressione “carne” e “sangue” suggeri-scono. E’ la prova di Gesù ed è la prova di ognisuo discepolo. Senza dubbio anche a noi, comeai primi discepoli, il linguaggio e le esigenzedel vangelo sembrano talvolta dure e difficili daintendere, e soprattutto da mettere in pratica.La vita dell’uomo è una scelta continua: tra be-ne e male, tra speranza e disperazione, tra fedee incredulità. Bisogna avere il coraggio di faredelle scelte. Le letture bibliche di questa dome-

nica ci invitano a rinnovare la nostra scelta fon-damentale per il vangelo di Gesù.

Così la prima lettura ci parla della sceltache ha dovuto fare Israele appena arrivato allaterra promessa. Giosuè raduna il popolo e loinvita a scegliere: “Sceglietevi oggi chi servi-re”: se “gli dèi che i vostri padri hanno servitooltre il Fiume” o gli “dèi” del nuovo paese. E’una domanda provocatoria che ha lo scopo disuscitare nel popolo d’Israele una scelta fonda-mentale verso il “servizio” del Signore. Ed ec-co che Israele dichiara solennemente di esserepronto a servire il Signore, “poiché il Signore,nostro Dio, ha fatto uscire noi e i nostri padridal paese d’Egitto…”. Si tratta del rinnovopubblico del patto. Come ci insegna la storiasuccessiva d’Israele, la scelta fatta va comun-que rinnovata giorno dopo giorno, va rivisitatae vissuta secondo le nuove situazioni. La sceltafondamentale non è un atto formale, posto unavolta per sempre, è invece un impegno da rea-lizzare. La vita è fatta da scelte, non si può vi-vere sempre nell’incertezza, nell’ambiguità, emeno ancora nella contraddizione. Possiamoleggere la seconda lettura alla luce di queste ri-flessioni: san Paolo parla del matrimonio, e af-ferma che il suo valore fondamentale è l’amoree il servizio reciproco. Chi ha fatto questa scel-ta, è invitato a restarvi fedeli, “come Cristo haamato la Chiesa e ha dato se stesso per lei”.

Come gli israeliti dopo l’ingresso in Pale-stina, anche noi oggi siamo entrati in una

DDOOMMEENNIICCAA XXXXII DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO (( BB ))2233 AAggoossttoo 22000099 Gustate e vedete com’è buono il Signore

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nuova fase della storia, abbiamo incontratonuovi idoli (il benessere a portata di tutti, unatecnica sempre più raffinata, ecc.). Come idiscepoli del vangelo, ci troviamo di fronte aun Gesù che non corrisponde sempre aglischemi ereditati. Gesù, vedendo che molti loabbandonavano, si rivolse ai dodici Apostolicon queste parole: “Volete andarvene anche

voi?”. A nome dell’intero gruppo Pietro ri-sponde con parole che esprimono la fede diogni discepolo, e quindi anche la nostra: “Si-gnore, da chi andremo? Tu hai parole di vitaeterna”. Ogni volta che ci avviciniamo allacomunione eucaristica affermiamo con questogesto la nostra scelta decisiva in favore diCristo e del suo vangelo.

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Prima lettura: Dt 4,1-2.6-8Salmo responsoriale: dal Sal 14 (15)Seconda lettura: Gc 1,17-18.21b-22.27Vangelo: Mc 7,1-8.14-15.21-23

Gli antichi rabbini vedevano nel breve Sal14 un compendio dell’intera legge data da Dioal popolo mentre saliva dal deserto verso la ter-ra promessa. Il ritornello del salmo responso-riale dà al testo il suo indirizzo specificamentecristiano: soltanto un cuore retto e trasparente,che non trama inganni verso il prossimo è ingrado di accogliere con generosa semplicità lalegge del Signore ed essere pertanto degno diabitare nella sua casa per sempre.

Nel brano del vangelo di Giovanni letto do-menica scorsa, abbiamo ascoltato le parole diGesù: “E’ lo Spirito che dà la vita, la carne nongiova a nulla” (Gv 6,63). Ed ecco che i testi diquesta domenica trattano del modo autentico incui il credente deve comprendere e vivere lafede espressa dalla condotta e dalle pratichereligiose. Nella nostra relazione con Dio siamo

tentati talvolta di aggrapparci a facili sicurezze,a una religiosità fondata su regole chiare e pre-cise che dispensino da una più profonda re-sponsabilità personale. Alla tentazione del le-galismo e del formalismo, le letture biblicheodierne rispondono invitandoci ad un rapportocon Dio fondato su scelte maturate consapevol-mente nel profondo della nostra coscienza, delnostro cuore, e attuate con piena responsabi-lità.

Nella prima lettura vediamo che Mosè, allafine del pellegrinaggio attraverso il deserto ver-so la terra promessa, invita il popolo d’Israelead “ascoltare” e a mettere “in pratica” le leggie le norme che egli stesso ha trasmesso a nomedel Signore: “perché viviate ed entriate in pos-sesso della terra che il Signore, Dio dei vostripadri, sta per darvi”. La legge di Dio viene an-zitutto ascoltata, recepita, personalizzata affin-ché la sua osservanza sia veramente sorgentedi vita. Il carattere immutabile della legge, cheGesù è venuto non ad abolire, ma a portare acompimento, è il fondamento dell’alleanza eter-na. Questa perennità non conduce al fonda-

DDOOMMEENNIICCAA XXXXIIII DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO (( BB )) 3300 AAggoossttoo 22000099Chi teme il Signore abiterà nella sua tenda

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Prima lettura: Is 35,4-7aSalmo responsoriale: dal Sal 145 (146)Seconda lettura: Gc 2,1-5Vangelo: Mc 7,31-37

Il Sal 145 è un inno di gioia e di lode inonore del Dio fedele e liberatore. Con pochepennellate concise il salmista esalta con cre-scente afflato lirico le opere compiute dal Si-gnore in favore dell’uomo. La fedeltà di Dioha assunto un viso e un corpo in Gesù di Na-zaret. In lui la misericordia e la mansuetudi-ne divina sono diventate “segni” della vita

che da Gesù risorto si diffonde su tutti noi.Con questo salmo la Chiesa ringrazia il Pa-dre e Gesù Cristo, perché hanno portato aipoveri la buona novella e hanno messo l’on-nipotenza divina a servizio degli umili e de-gli oppressi.

Il messaggio racchiuso nelle letture bibli-che odierne può essere riassunto con le paro-le della lettera di san Giacomo, ascoltate allafine della seconda lettura: “Dio non ha forsescelto i poveri agli occhi del mondo, che so-no ricchi nella fede ed eredi del Regno, pro-messo a quelli che lo amano?”.

mentalismo, poiché si tratta di una legge viva,affidata ad un popolo responsabile di questodono. Essa instaura tra Dio e gli uomini una re-lazione di amicizia fiduciosa, la cui osservanzarende testimonianza “agli occhi dei popoli”. Daparte sua, san Giacomo nella seconda lettura,ci insegna che si tratta di accogliere “con doci-lità” la parola di Dio, che è stata piantata innoi, e di metterla in pratica.

Il brano evangelico aggiunge alcuni ulterio-ri elementi che hanno come valore centrale ilrichiamo all’essenziale, cioè alla dimensionedel cuore, sede delle decisioni umane. Gesùpolemizza contro le tradizioni dei farisei, cheappesantiscono la legge, svuotandola del suocontenuto autentico e, riprendendo parole delprofeta Isaia, egli afferma: “Questo popolo mionora con le labbra, ma il suo cuore è lontano

da me”. Dio ci chiede il cuore! Chi ha il cuorepuro, cioè semplice, cerca sinceramente Dio, lasua volontà, il suo amore; e cerca sinceramenteil prossimo, perché persona amata da Dio. Chiinvece ha il cuore impuro, cioè cerca se stessoal di sopra di tutto, allora questo tale pur osser-vando esternamente le leggi è un ipocrita per-ché dà a Dio non se stesso ma solo qualcosa dise, il suo cuore è lontano dal Signore. Per Gesùl’essenziale nella vita etica non è l’osservanzadella norma, ma il “cuore”, cioè la consapevo-lezza e l’amore con cui si osserva la norma. Co-me dice il Catechismo della Chiesa Cattolica, ilcuore “è il luogo della decisione, che sta nelpiù profondo delle nostre facoltà psichiche. E’il luogo della verità, là dove scegliamo la vita ola morte. E’ il luogo dell’incontro, poiché, adimmagine di Dio, viviamo in relazione: è il luo-go dell’Alleanza” (n. 2563).

DDOOMMEENNIICCAA XXXXIIIIII DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO (( BB )) 66 SSeetttteemmbbrree 22000099Loda il Signore anima mia

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In un momento in cui i figli d’Israele in esi-lio si sentivano dimenticati da Dio, oppressidal potere straniero e abbandonati alla lorosfortuna, Isaia (cf. prima lettura) rivolge ad essiparole di speranza: “Coraggio, non temete! Ec-co il vostro Dio […] viene a salvarvi”. E tra leopere meravigliose di Dio che viene a salvare,il profeta include: “si schiuderanno gli orecchidei sordi”. Queste promesse di salvezza si com-piranno pienamente solo con l’avvento di GesùCristo. Egli stesso si è riferito a questo passag-gio di Is 35 per spiegare la sua missione ai di-scepoli inviati da Giovanni Battista (cf. Mt11,4-6). La guarigione del sordomuto, di cuiparla il brano evangelico odierno è uno dei se-gni con i quali Gesù si manifesta alle folle co-me colui che adempie gli annunci di Isaia edegli altri profeti. Notiamo i dettagli del rac-conto: Gesù prende il sordomuto in disparte,gli pone le dita negli orecchi e con la saliva glitocca la lingua; poi, teso verso il cielo, emetteun sospiro e dice: “Effatà”, cioè “Apriti”. I ge-sti compiuti da Gesù assumono qui un ruolosacramentale, indicano e vogliono produrrequella salvezza che è dono del cielo, è annun-cio di quanto avverrà ai discepoli, sui qualiverrà pronunciata quella parola “Effatà”. Mar-co si premura subito di tradurla per farci capireche Gesù non è un mago che pronuncia parole

strane, ma è portatore di salvezza. L’evangelistaconclude il racconto della guarigione del sor-domuto con queste parole: “…pieni di stupore,dicevano: ‘Ha fatto bene ogni cosa: fa udire isordi e fa parlare i muti’!”. Di fronte al gesto diGesù la folla non può trattenersi dal ricono-scervi i segni dell’azione di Dio. Nelle opere enelle parole di Gesù si manifesta la pienezzadell’amore salvifico di Dio.

Nel mondo attuale, nonostante il moltipli-carsi del benessere, c’è gente stanca, sfiducia-ta, disorientata, gente in cerca di felicità, genteche ha smarrito il senso della vita. Nessunopuò vivere senza speranza. Tutti abbiamo biso-gno di un ideale che dia senso alla nostra vita.Ognuno di noi attende dal futuro qualcosa chesia migliore del presente. Come Israele nel mo-mento duro della prova, come il sordomuto dicui parla il vangelo, anche noi siamo chiamatia rivolgere lo sguardo a Dio che manda all’uo-mo un messaggio di speranza. Nonostante leapparenze contrarie e l’apparente trionfo dellaprepotenza, Dio rende giustizia agli oppressi(cf. salmo responsoriale). Questo messaggio diottimismo ci invita a superare tutto ciò che sadi rassegnazione a quanto mortifica e opprimel’uomo, e ad essere protagonisti di questa spe-ranza nell’ambiente in cui viviamo: in famiglia,nel lavoro, nella società.

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DDOOMMEENNIICCAA XXXXIIVV DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO (( BB ))1133 SSeetttteemmbbrree 22000099Camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi

Dopo l’evocazione, nei primi versetti, diun incubo di morte da cui il Signore lo ha li-berato, l’autore del Sal 114 in un soliloquiocanta la sua totale fiducia nell’amore divino

Prima lettura: Is 50,5-9aSalmo responsoriale: dal Sal 114 (116)Seconda lettura: Gc 2,14-18Vangelo: Mc 8,27-35

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di Dio”, incrollabilmente fedele alla sua vo-cazione e alla sua missione nonostante le per-secuzioni e gli oltraggi, figura profetica cheannuncia Gesù. Questo personaggio, oggettodi persecuzione e umiliazione, risponde conla fermezza e la sicurezza di chi è sicuro del-la vittoria: “Il Signore Dio mi assiste, perquesto non resto svergognato”. I criteri concui noi misuriamo la riuscita di una vita de-vono cedere di fronte al criterio primo e asso-luto: il misterioso disegno di Dio su di noi. E’quello che Gesù ricorda a san Pietro: “tu nonpensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”.

In modo simile, nella seconda lettura l’a-postolo Giacomo parlando di una fede ope-rosa ci ricorda che il regno di Dio non giun-ge nel clamore, nel trionfalismo, ma nel sa-crificio, nella dedizione, nella fedeltà quoti-diana ai propri doveri, nella disponibilità adonare la propria vita per gli altri. E quantoinsegna Gesù, rivolgendosi a tutti coloro chevogliono far strada con lui: “Se qualcunovuol venire dietro a me, rinneghi se stesso,prenda la sua croce e mi segua”. Ma poi egliaggiunge: “chi perderà la propria vita percausa mia e del Vangelo, la salverà”. Paroleche, nella loro paradossalità, hanno un si-gnificato assai netto: chi vuole essere real-mente discepolo di Gesù deve smettere diconsiderare se stesso come misura di ognicosa; deve rinunciare a difendersi e accetta-re di portare lo strumento della propria con-danna a morte; deve uscire dai meccanismidi autogiustificazione e abbandonarsi total-mente al Signore. Se accettiamo di condivi-dere la scelta di fedeltà estrema del nostroMaestro e Signore parteciperemo anche allasua vittoria finale sulla morte.

anche quando l’infelicità occupa l’orizzontedella vita. Scongiurato il pericolo, resta nelcuore un sentimento di profonda riconoscen-za a Dio e il desiderio di ritrovare la serenitàdi spirito, per riprendere il cammino della vi-ta alla presenza del Signore. Il nostro salmo èun cantico di riconoscenza al Signore, che èfedele e benedice colui che gli è fedele. Lapreghiera e la salvezza del singolo divengonopreghiera e salvezza del popolo di Israele,per trasformarsi in preghiera e salvezza diogni redento.

Il messaggio di questa domenica lo pos-siamo riassumere con le parole di san Paolo,riproposte dal canto al Vangelo: “Quanto ame non ci sia altro vanto che nella croce delSignore, per mezzo della quale il mondo perme è stato crocifisso, come io per il mondo”(cf. Gal 6,14). Ciò che per l’apostolo Paolo èun motivo di vanto e di gloria, è stato un tem-po per san Pietro motivo di scandalo. Infatti,nel brano evangelico odierno vediamo comedinanzi alle parole di Gesù che annuncia ildestino di sofferenza e di morte che lo atten-de, Pietro non accetta che questa sia la sortedel Messia e cerca in ogni modo di dissua-derlo dall’abbracciare questo cammino dicroce. Quante volte anche noi siamo dallaparte di Pietro con i nostri criteri e con le no-stre valutazioni! Infatti siamo inclini a pensa-re che il successo escluda la sofferenza. Gesùinvece propone una visione dell’esistenzamolto diversa, anzi sconcertante, in cui mortee vita, sconfitta e vittoria vanno misteriosa-mente insieme.

Anche la prima lettura propone lo scon-certante cammino della croce. Il profeta Isaiaparla di un misterioso personaggio, il “Servo

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EESSAALLTTAAZZIIOONNEE DDEELLLLAA SSAANNTTAA CCRROOCCEE1144 SSeetttteemmbbrree 22000099Non dimenticate le opere del Signore!

Prima lettura: Nm 21,4b-9 Salmo responsoriale: dal Sal 77 (78)Seconda lettura: Fil 2,6-11Vangelo: Gv 3,13-17

La Croce sulla quale Cristo subì la morte èstata considerata in un primo momento solo lostrumento materiale della sua esecuzione. Magià all’epoca apostolica essa è diventata il sim-bolo della morte sacrificale di Gesù, anzi, sim-bolo dello stesso Cristo e della fede cristiana ingenerale. Così san Paolo parla della forza dellacroce di Cristo (1Cor 1,17-18) e dice che la pa-rola della Croce è stoltezza per quelli che siperdono e si comportano “da nemici della cro-ce di Cristo” (Fil 3,18). La festa dell’esaltazio-ne della santa Croce nelle sue origini fa riferi-mento alla cosiddetta “Cronaca Alessandri-na”, secondo cui l’imperatrice Elena avrebberiscoperto il 14 di settembre dell’anno 320 lacroce del Signore. Oggi la festività celebra ilmistero della Croce come evento di salvezza,come dice già all’inizio l’antifona d’ingresso:“Di null’altro mai ci glorieremo se non dellacroce di Gesù Cristo, nostro Signore: egli è lanostra salvezza, vita e risurrezione. Per mezzodi lui siamo stati salvati e liberati” (cf. Gal6,14). La Croce non è più una ignominia, mauna esigenza e un titolo di gloria, in primo luo-go per Cristo, poi per i cristiani.

La lettura evangelica è costituita da unbrano del dialogo di Gesù con Nicodemo. E’la parte centrale del discorso in cui Gesù fa

una riflessione sull’episodio del serpente neldeserto che abbiamo ascoltato nella primalettura. Il parallelismo è esplicito: al serpentedi bronzo innalzato da Mosè sopra un’asta neldeserto corrisponde il Figlio dell’uomo chesarà innalzato sulla croce nel Golgota; alla vi-ta ottenuta con lo sguardo della fede nel se-gno del serpente corrisponde “la vita eterna”che il Cristo elevato in croce dona a “chiun-que crede in lui”. L’esaltazione di Cristo incroce, cioè la sua Pasqua, è la radice dellasalvezza e la manifestazione dell’amore diDio per noi: Gesù è l’unico salvatore che Dio,nel suo amore infinito, ci dona per comuni-carci la sua stessa vita. Nel pensiero di sanGiovanni la Croce è già la gloria di Dio anti-cipata, Gesù trionfa già in essa. Riprenden-do, per designarla, il termine che fino alloraindicava la esaltazione di Gesù al cielo, eglivi mostra il momento in cui il Figlio dell’uo-mo è innalzato come segno di salvezza. Nelsuo racconto della passione si direbbe cheGesù muove verso di essa con maestà. Vi saletrionfalmente, perché in essa egli fonda lasua Chiesa lasciando fluire dal suo costato ilsangue, segno del valore redentore del suosacrificio, e l’acqua, segno del dono delloSpirito e della vita che di quel sacrificio sonoil frutto (Gv 19, 30.34). Gesù conclude la suaopera in un atto di serena consapevolezza enell’atteggiamento che gli è stato abitualelungo tutta la vita: il dono.

La seconda lettura propone un celebre te-sto paolino, costituito da un inno in cui sono

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segnate le diverse tappe del mistero di Cristo:la preesistenza divina, l’abbassamento del-l’incarnazione, l’abbassamento ulteriore dellamorte, la glorificazione celeste, l’adorazionedell’universo, il titolo nuovo di Cristo. Il nu-cleo centrale dell’inno è nel contrasto abbas-samento-esaltazione. La Croce è l’abisso del-l’abbassamento, ma è anche l’apice dellaesaltazione nella gloria pasquale. Nella crocedi Cristo non solo si scioglie l’opposizione tra

mondo terreno e mondo divino, tra uomo eDio, ma anche l’opposizione tra morte e vita.

La Chiesa nell’eucaristia esalta il misterodella morte di Cristo e ne proclama il valore sal-vifico che rimane sempre immutato nel tempocon tutta la sua potenza di vita ogni volta che lacelebriamo: il sacrificio di Cristo che sull’altaredella Croce espiò il peccato del mondo, ci puri-fica da ogni colpa (cf. preghiera sulle offerte).

Prima lettura: Sap 2,12.17-20Salmo responsoriale: dal Sal 53 (54)Seconda lettura: Gc 3,16-4,3Vangelo: Mc 9,30-37

Nella sua limpida semplicità questa brevecomposizione del Sal 53, proposto come salmoresponsoriale, è considerata dagli esegeti qua-si il modello ideale della preghiera di suppli-ca. In una trama essenziale e in pochi dati so-bri ed elementari vengono espressi tutti i sen-timenti di una persona sofferente, perseguitatama sempre fiduciosa. Il profondo senso di fi-ducia in Dio culmina, nel finale del testo, nel-la certezza dell’intervento liberatore del Signo-re. Il salmo è chiamato a suscitare in noi il de-siderio di Dio, la fiducia in lui, nostro aiuto enostro sostegno, e a disporci al suo servizio.

Tra la via della croce, tema della domeni-ca scorsa, e la via del servizio che ci viene

proposta oggi dalla parola di Dio c’è unaprofonda affinità. Dopo la rivelazione del mi-stero di sofferenza verso cui si incammina,Gesù formula il codice dell’autorità cristianacome servizio e dono di sé per gli altri. Cosìcomprendiamo quale senso Egli dà alla suapassione: è un servizio, un donare la vita pergli altri.

Le tre letture bibliche parlano di una se-rie di comportamenti inaccettabili da coluiche intende vivere da uomo giusto. Consta-tiamo infatti che non è la giustizia ciò che ilpiù delle volte interessa agli uomini, ma ilprestigio, la grandezza, la carriera (cf. letturaevangelica), il possesso (cf. seconda lettura).Per ottenerli si litiga, si ricorre all’insulto,magari all’omicidio e alla guerra (cf. secondae anche prima lettura). Infatti, l’avidità, l’in-tolleranza, la gelosia, l’asservimento agliistinti umani del possesso e del dominio

DDOOMMEENNIICCAA XXXXVV DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO (( BB )) 2200 SSeetttteemmbbrree 22000099Il Signore sostiene la mia vita

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Prima lettura: Nm 11,25-29Salmo responsoriale: dal Sal 18 (19)Seconda lettura: Gc 5,1-6Vangelo: Mc 9,38-43.45.47-48

La prima parte del Sal 18 canta le mera-viglie del creato; la seconda celebra quelledella legge del Signore che lo governa. L’o-

dierna liturgia ci propone la seconda partedel salmo. Nell’Antico Testamento, il termi-ne più largamente usato per designare lalegge divina è “parola”. A chi cerca il per-ché del mondo, della vita, Dio offre la suaParola. Essa è viva e sicura, indirizzo per lanostra esistenza, consolazione e confortoper le ore del dubbio. Parola chiara divenu-

hanno sempre generato guerre e conflitti lar-vati o dichiarati anche talvolta nelle comu-nità cristiane e nella Chiesa. Prendendo co-me punto di riferimento principale il branoevangelico, vediamo che domenica scorsasan Pietro cercava di dissuadere Gesù dalpercorrere il cammino della croce; oggi men-tre Gesù annuncia che sta per essere conse-gnato nelle mani degli uomini che lo uccide-ranno, tutto il gruppo dei discepoli sta discu-tendo su questioni di prestigio, su a chi spet-tano i primi posti. Insomma, sembra che Ge-sù e i suoi discepoli parlano linguaggi diver-si, sono mossi da interessi contrastanti, nonriescono a comunicare tra loro. I pensieri diGesù sono in aperta contraddizione con ipensieri dei discepoli. Comprendere la paro-la di Gesù implica un coinvolgimento spiri-tuale che essi al momento non hanno rag-giunto.

Pazientemente il Signore, arrivati a casa -dice il testo - cerca di spiegare quali devonoessere i rapporti in seno alla comunità di co-

loro che intendono seguirlo e diventare di-scepoli: “Se uno vuol essere il primo, sial’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. Gesùaggiunge alle sue parole il tenero gesto del-l’abbraccio ad un bambino. Nel contesto, ilgesto intende essere un pressante appello al-la totale disponibilità, all’abbandono senzacalcoli, doppiezze e interessi.

Il servizio è il segno del vero discepolo diCristo, è il frutto di un amore dimentico di sé,e - ad esempio di Cristo - ha la sua massimaespressione nel dono della vita per gli uomi-ni. Il servizio cristiano non è passivo, ma atti-vo. Servire non significa sottomettersi achiunque, ma mettere le nostre risorse spiri-tuali e materiali, noi stessi a disposizionedella promozione dei nostri fratelli e sorelle.San Giacomo, nella seconda lettura, parladella “sapienza che viene dall’alto”. La sag-gezza cristiana procede per vie pacifiche, conla persuasione, cerca di evitare dissidi e con-trasti, limita la polemica, evita la maldicenza;si pone invece al servizio della giustizia.

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DDOOMMEENNIICCAA XXXXVVII DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO (( BB ))2277 SSeetttteemmbbrree 22000099I precetti del Signore fanno gioire il cuore

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ta persona in Gesù, “potenza di Dio e sa-pienza di Dio” (1Cor 1,24). E’ proprio in luiche la testimonianza del Signore è verace, èpiù preziosa dell’oro, rende saggio il sem-plice e fa gioire il cuore.

Oggi la parola di Dio ci invita a rifuggiredalle chiusure, dagli esclusivismi di grup-po, e a guardare oltre i nostri confini. Il te-ma viene illustrato con due episodi. Il pri-mo episodio è raccontato dalla prima letturaed è accaduto nell’accampamento d’Israelenel deserto: due uomini, che non apparten-gono alla cerchia dei 70 anziani consiglieridei Mosè, si mettono improvvisamente aprofetizzare. Allora Giosuè mosso dalla ge-losia si rivolge a Mosè perché li impediscadi profetizzare. Mosè però si mostra tolle-rante, anzi gioioso del fatto, a tal punto cheaugura che tutti possano essere profeti nelpopolo del Signore e ricevere il suo spirito.Il secondo episodio è riportato dalla letturaevangelica: gli apostoli hanno visto uno chescaccia i demoni nel nome di Gesù e glielohanno vietato perché non apparteneva algruppo dei discepoli. Contestando la gret-tezza del gruppo dei dodici apostoli, Gesùfa capire che il regno di Dio si esprime an-che altrove e mediante altri strumenti; piùprecisamente, ovunque si agisce come lui emediante tutti coloro che si ispirano al suomessaggio. Gesù non ha bisogno di mono-polizzare il suo potere; gli basta che la ve-rità venga riconosciuta. Il Signore ci invitaad una fede libera e matura, capace di ap-prezzare il bene ovunque esso si trovi. L’a-zione di Dio che opera mediante il suo Spi-rito non può essere circoscritta dentro iconfini di una comunità definita solo in ba-

se ai criteri di appartenenza. Chiunqueesercita la carità e la misericordia avrà lasua ricompensa. Sia Gesù sia Mosè, davantiad una impostazione del ministero dellasalvezza come dominio e privilegio, rispon-dono celebrando lo splendore della libertà edella generosità di Dio.

Ciò non significa però perdita della pro-pria identità o mancanza di coerenza con ipropri principi. Ce lo ricorda la secondaparte del vangelo d’oggi, dove san Marcoraccoglie una serie di affermazioni a dir po-co sconcertanti di Gesù: “Se la tua mano tiè motivo di scandalo, tagliala; Se il tuo pie-de ti è motivo di scandalo, taglialo; Se il tuoocchio ti è motivo di scandalo, gettalo via”(cfr Mc 9/43,45,47). Si tratta evidentementedi immagini o modi di dire. Anzitutto Gesùadoperando queste immagini invita i suoidiscepoli a controllare con cura e a sondareil loro comportamento sociale (piede e ma-no) e personale (occhio) per evitare che,nell’orgoglio della propria serena sicurezza,divenga radice di male per i fratelli che an-cora stanno cercando Dio. Gesù, poi, siesprime con immagini concrete ed eloquen-ti per far capire che chi vuol essere suo di-scepolo deve fare una scelta chiara, radica-le e definitiva, deve essere quindi dispostoa sacrificare ogni cosa di sé se lo esige lafedeltà alla propria scelta di fede. L’impor-tanza della coerenza è richiamata anche dasan Giacomo nella seconda lettura a propo-sito dell’uso delle ricchezze: colui che lepossiede, se non fa attenzione, questo pos-sesso può mettere in pericolo la sua appar-tenenza al Signore e il suo stesso avvenireeterno.

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Cari fratelli e sorelle,

queste parole che Gesù pronunciò nell’Ultima Cena, vengono ripetute ognivolta che si rinnova il Sacrificio eucaristico. Le abbiamo ascoltate poco fa nelVangelo di Marco e risuonano con singolare potenza evocativa quest’oggi, so-lennità del Corpus Domini. Esse ci conducono idealmente nel Cenacolo, cifanno rivivere il clima spirituale di quella notte quando, celebrando la Pasquacon i suoi, il Signore nel mistero anticipò il sacrificio che si sarebbe consumatoil giorno dopo sulla croce. L’istituzione dell’Eucaristia ci appare così come anti-cipazione e accettazione da parte di Gesù della sua morte. Scrive in propositosant’Efrem Siro: Durante la cena Gesù immolò se stesso; sulla croce Egli fu im-molato dagli altri (cfr Inno sulla crocifissione 3, 1).

“Questo è il mio sangue”. Chiaro è qui il riferimento al linguaggio sacrifi-cale di Israele. Gesù presenta se stesso come il vero e definitivo sacrificio, nelquale si realizza l’espiazione dei peccati che, nei riti dell’Antico Testamento,non era mai stata totalmente compiuta. A questa espressione ne seguono al-tre due molto significative. Innanzitutto, Gesù Cristo dice che il suo sangue “èversato per molti” con un comprensibile riferimento ai canti del Servo di Dio,che si trovano nel libro di Isaia (cfr cap. 53). Con l’aggiunta - “sangue dell’al-leanza” -, Gesù rende inoltre manifesto che, grazie alla sua morte, si realizzala profezia della nuova alleanza fondata sulla fedeltà e sull’amore infinito delFiglio fattosi uomo, un’alleanza perciò più forte di tutti i peccati dell’umanità.L’antica alleanza era stata sancita sul Sinai con un rito sacrificale di animali,come abbiamo ascoltato nella prima lettura, e il popolo eletto, liberato dallaschiavitù dell’Egitto, aveva promesso di eseguire tutti i comandamenti dati dalSignore (cfr Es 24, 3).

In verità, Israele sin da subito, con la costruzione del vitello d’oro, si mostròincapace di mantenersi fedele a questa promessa e così al patto intervenuto,che anzi in seguito trasgredì molto spesso, adattando al suo cuore di pietra laLegge che avrebbe dovuto insegnargli la via della vita. Il Signore però non

“Questo è il mio corpo,questo è il mio sangue ”.

Papa Benedetto XVI1

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venne meno alla sua promessa e, attraverso i profeti, si preoccupò dirichiamare la dimensione interiore dell’alleanza, ed annunciò che neavrebbe scritta una nuova nei cuori dei suoi fedeli (cfr Ger 31,33), trasforman-doli con il dono dello Spirito (cfr Ez 36, 25-27). E fu durante l’Ultima Cenache strinse con i discepoli e con l’umanità questa nuova alleanza, conferman-dola non con sacrifici di animali come avveniva in passato, bensì con il suosangue, divenuto “sangue della nuova alleanza”. La fondò quindi sulla pro-pria obbedienza, più forte, come ho detto, di tutti i nostri peccati.

Questo viene ben evidenziato nella seconda lettura, tratta dalla Lettera agliEbrei, dove l’autore sacro dichiara che Gesù è “mediatore di una alleanzanuova” (9,15). Lo è diventato gra–zie al suo sangue o, più esattamente, gra-zie al dono di se stesso, che dà pieno valore allo spargimento del suo sangue.Sulla croce, Gesù è al tempo stesso vittima e sacerdote: vittima degna di Dioperché senza macchia, e sommo sacerdote che offre se stesso, sotto l’impulsodello Spirito Santo, ed intercede per l’intera umanità. La Croce è pertanto mi-stero di amore e di salvezza, che ci purifica – come dice la Lettera agli Ebrei -dalle “opere morte”, cioè dai peccati, e ci santifica scolpendo l’alleanza nuo-va nel nostro cuore; l’Eucaristia, rendendo presente il sacrificio della Croce, cirende capaci di vivere fedelmente la comunione con Dio.

Cari fratelli e sorelle, come il popolo eletto riunito nell’assemblea del Sinai,anche noi questa sera vogliamo ribadire la nostra fedeltà al Signore. Qualchegiorno fa, aprendo l’annuale convegno diocesano, ho richiamato l’importanzadi restare, come Chiesa, in ascolto della Parola di Dio nella preghiera e scrutan-do le Scritture, specialmente con la pratica della lectio divina, cioè della letturameditata e adorante della Bibbia. So che tante iniziative sono state promosse alriguardo nelle parrocchie, nei seminari, nelle comunità religiose, all’interno delleconfraternite, delle associazioni e dei movimenti apostolici, che arricchiscono lanostra comunità diocesana. La vostra numerosa presenza a questa celebrazione,cari amici, pone in luce che la nostra comunità, caratterizzata da una pluralità diculture e di esperienze diverse, Dio la plasma come “suo” popolo, come l’unicoCorpo di Cristo, grazie alla nostra sincera partecipazione alla duplice mensa del-la Parola e dell’Eucaristia. Nutriti di Cristo, noi, suoi discepoli, riceviamo la mis-sione di essere “l’anima” di questa nostra città (cfr Lettera a Diogneto, 6: ed.Funk, I, p. 400; vedi anche LG 38) fermento di rinnovamento, pane “spezzato”per tutti, soprattutto per coloro che versano in situazioni di disagio, di povertà edi sofferenza fisica e spirituale. Diventiamo testimoni del suo amore.

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Mi rivolgo particolarmente a voi, cari sacerdoti, che Cristo ha scel-to perché insieme a Lui possiate vivere la vostra vita quale sacrificio di

lode per la salvezza del mondo. Solo dall’unione con Gesù potete trarrequella fecondità spirituale che è generatrice di speranza nel vostro ministeropastorale. Ricorda san Leone Magno che “la nostra partecipazione al corpo eal sangue di Cristo non tende a nient’altro che a diventare ciò che ricevia-mo” (Sermo 12, De Passione 3,7, PL 54). Se questo è vero per ogni cristiano,lo è a maggior ragione per noi sacerdoti. Divenire Eucaristia! Sia proprio que-sto il nostro costante desiderio e impegno, perché all’offerta del corpo e delsangue del Signore che facciamo sull’altare, si accompagni il sacrificio dellanostra esistenza. Ogni giorno, attingiamo dal Corpo e Sangue del Signorequell’amore libero e puro che ci rende degni ministri del Cristo e testimonidella sua gioia. E’ ciò che i fedeli attendono dal sacerdote: l’esempio cioè diuna autentica devozione per l’Eucaristia; amano vederlo trascorrere lunghepause di silenzio e di adorazione dinanzi a Gesù come faceva il santo Curatod’Ars, che ricorderemo in modo particolare durante l’ormai imminente AnnoSacerdotale.

San Giovanni Maria Vianney amava dire ai suoi parrocchiani: “Venite allacomunione…E’ vero che non ne siete degni, ma ne avete bisogno” (BernardNodet, Le curé d’Ars. Sa pensée - Son coeur, éd. Xavier Mappus, Paris 1995,p. 119). Con la consapevolezza di essere inadeguati a causa dei peccati, mabisognosi di nutrirci dell’amore che il Signore ci offre nel sacramento eucari-stico, rinnoviamo questa sera la nostra fede nella reale presenza di Cristonell’Eucaristia. Non bisogna dare per scontata questa fede! C’è oggi il rischiodi una secolarizzazione strisciante anche all’interno della Chiesa, che puòtradursi in un culto eucaristico formale e vuoto, in celebrazioni prive di quellapartecipazione del cuore che si esprime in venerazione e rispetto per la litur-gia. E’ sempre forte la tentazione di ridurre la preghiera a momenti superfi-ciali e frettolosi, lasciandosi sopraffare dalle attività e dalle preoccupazioniterrene. Quando tra poco ripeteremo il Padre Nostro, la preghiera per eccel-lenza, diremo: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”, pensando natural-mente al pane d’ogni giorno per noi e per tutti gli uomini. Questa domanda,però, contiene qualcosa di più profondo. Il termine greco epioúsios, che tra-duciamo con “quotidiano”, potrebbe alludere anche al pane “sopra-sostan-ziale”, al pane “del mondo a venire”. Alcuni Padri della Chiesa hanno vistoqui un riferimento all’Eucaristia, il pane della vita eterna, del nuovo mondo,che ci è dato già oggi nella Santa Messa, affinché sin da ora il mondo futuro

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abbia in iz io in noi .Con l’Eucaristia dun-que il cielo viene sulla terra, ildomani di Dio si cala nel pre-sente e il tempo è come ab-bracciato dall’eternità divina.

Cari fratelli e sorelle, comeogni anno, al termine dellaSanta Messa, si snoderà latradizionale processione eu-caristica ed eleveremo, con lepreghiere e i canti, una cora-le implorazione al Signorepresente nell’ostia consacra-ta. Gli diremo a nome dell’in-tera Città: Resta con noi Ge-sù, facci dono di te e dacci ilpane che ci nutre per la vitaeterna! Libera questo mondodal veleno del male, della vio-lenza e dell’odio che inquinale coscienze, purificalo con lapotenza del tuo amore mise-ricordioso. E tu, Maria, chesei stata donna “eucaristica”in tutta la tua vita, aiutaci acamminare uniti verso la me-ta celeste, nutriti dal Corpo edal Sangue di Cristo, pane divita eterna e farmaco dell’im-mortalità divina. Amen!

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Omelia, Solennità del SS. Corpo

e Sangue di Cristo, 11 giugno 2009,

Sagrata Basilica S. Giov. in Laterano

© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana

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Graham, a far solo un caso, aveva tro-vato in Robert Cohan (New York,1925), suo partner e co-direttore dellacompagnia per diverso tempo, fonda-tore del London Contemporary DanceTheatre, un elemento capace di esserea propria volta un caposcuola. Lo Sta-bat Mater di costui (1975, musica di Vi-valdi) rimanda alla purezza metafisicad’un Pier della Francesca, pur giungen-do – attraverso il ductus nervoso, tor-mentato di braccia, gambe, corpi fattilinea vibratilissima – a stagliare un“planctus” di commosso, tenero liri-smo. Eppure senza un reale seguito:che non sia il fine, ma impersonale Ro-berth North (1945), autore fra l’altro di

arebbe giusto chiedere, giuntialla fine di questo viaggio at-traverso tremila anni di fede e

danza, quali siano e la realtà odierna ele prospettive future per ciò che attieneuna produzione coreografica ispirata aigrandi temi del sacro e della religione.La creatività anche in questo camponon vive oggi i suoi “grands jours”. Edopo il formidabile slancio di feconditàdegli anni tra il dopoguerra e il penulti-mo lustro del secolo, se non un’avan-zata desertificante, almeno larghechiazze d’aridità, sono una presa d’attoche non può essere né impugnata, nésottovalutata. Tuttavia le generazionipiù giovani, le scuole più innovativenon hanno mancato di rivolgersi allenostre tematiche con esiti certo più ra-ri, certo più episodici, ma (talora) néminori, né trascurabili. Ci sembra man-care comunque un “passaggio di testi-mone” fra gli intelletti maggiori e inuovi talenti, come fosse intercorsauna soluzione di continuità o forse undesiderio, tutt’altro che segreto, d’alte-rità. La lezione fondamentale di Martha

Danzava con tutte le forze davanti al Signore... 2 Sam 6, 14

Tremila anni di fede e danzaParte quinta: i nostri giorni

don Maurizio Modugno

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Robert Cohan: Stabat Mater

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un David and Goliath (1975) e di Theannunciation (1979). Senza profondastabilità d’impianto s’è inverato ancheun pugno di semente gettato nella Po-lonia degli anni Settanta: molto infattiera lecito attendersi dagli esperimentidi danza sacra proposti da BernhardWosien (1908-1986) e da sua figlia Ga-briele, rimasti poi confinati in ambitipoco più che dilettanteschi. Ancor piùsperavamo da un coreografo comeConrad Drzewiecki (1926-2007), di for-mazione classica ma non privo d’atten-zione al “modern”, a lungo direttoredel balletto di Poznan. Il suo StabatMater, del 1976 su una partitura percoro a cappella tratta dalla Passione se-condo S. Luca di Krysztof Penderecki,ha mostrato a quali esiti di bellezza e dipathos possa giungere la sinergia frasuono e gesto, fra una musica intrisa difede e una coreografia che ne è la stu-penda risonanza visiva. Una propostaforse giunta troppo presto e senza al-cun seguito: anche, crediamo, per queldifetto di committenza che (segnata-mente per l’area polacca) rimane unadelle grandi omissioni del sacro in mu-sica e in danza. Un’eco pure limitatahanno avuto i lavori dell’ungherese Su-sanna Egri Erbstein (1926), allieva diVera Volkova, Mary Wigman e KurtJooss e dunque aperta alle prospettivedel classico, del moderno e dell’espres-sionista: attiva a Torino dal 1947, hamostrato speciale attenzione ai temimistico-religiosi e di lei vanno ricordatealmeno le Tre parabole evangeliche e iNegro spirituals.

La generazione nata dopo il1940 esibisce al proprio attivopersonalità e soprattutto esiti di piùforte e largo impatto. Pensiamo subitoallo svizzero Heinz Spoerli, nato all’ini-zio del decennio e vero pilastro dellascuola elvetica. Prima a Basilea, poi aDüsseldorf, ora a Zurigo, Spoerli ha fir-

mato pagine ragguardevoli quali Le roiDavid (del 1981, su musica di Honneg-ger); ancora uno Stabat Mater, ma sumusica di Arvo Pärt; una Josephlegen-de (1992, sul balletto di RichardStrauss) che forse è la più interessantelettura coreografica del libro di Giusep-pe. Vorremmo però citare di lui anche esoprattutto le Cello Suites-In Den Win-den Im Nichts: non esplicitamente d’ar-gomento sacro, ma l’altissima spiritua-lità delle tre Suites per violoncello solodi Bach invade e permea fino in fondoquesto mirabile balletto astratto. Pocopiù grande di lui è il franco-americanoJoseph Russillo (1938), che ha studiatocon Matt Mattox e ha danzato in varieformazioni prima di creare a Parigi unasua compagnia. Nelle sue opere coreo-grafiche hanno echeggiato ed echeg-

Angelin Preljocaj: Annonciation

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giano temi e argomenti di ca-rattere spirituale ed esistenzia-

le: come in Requiem maledictions et lu-mière (1977, musiche di Fauré, Verdi eSciortino), denso di rinvii a Béjart e aRoland Petit nel proporre quadri biblici,dalla creazione alla crocifissione, nonprivi di effetto. Noi gli preferiamo il piùessenziale Le prophète, tratto dall’omo-nimo poema di Khalil Gibran. Su unversante diametralmente opposto ope-ra da tempo una delle muse dell’avan-guardia statunitense: Meredith Monk(1942). I suoi lavori teatrali hanno so-vente un taglio ritualistico, basandosisu immagini fortemente evocative, sullatrasformazione del linguaggio in suonivocalizzati, su una gestualità minimali-sta, ma coinvolgente: da ricordare Ves-sel (1971), ispirato a Giovanna d’Arco eil recente Song of Ascension. Le puòagevolmente essere accostata, seppurcon un contrassegno di ben altra pu-

rezza stilistica, la geniale Carolyn Carl-son (Oakland, USA, 1943, ma di originifinlandesi), che ha inciso con la suapresenza il percorso della danza con-temporanea europea degli ultimitrent’anni. È stata spesso paragonata aIsadora Duncan per la libertà dell’e-

spressione e per la forza improvvisativi,oltre che per la componente poetica espirituale che anima le sue danze. Noncrediamo che il misticismo ch’ella riferi-sce abbia radici più cristiane che buddi-ste, né viceversa: “C’è qualcosa di divi-no ogniqualvolta un coreografo fa apri-re il cuore alle persone”, afferma leistessa. E la sua Commedia, ispirata alpoema dantesco, inizia con una scon-volgente improvvisazione sul rituale fu-nebre, ma poi – “credo fermamenteche la morte non segni una fine, ma l’i-nizio di un nuovo cielo” dice la Carlson– si apre a “riveder le stelle”. AncheDes vices et des vertus, presentato alfestival romano “Divinamente” nel2009, ha mostrato questo frastagliato“progress” dell’anima dalle tenebre allaluce; e, mentre scriviamo, è imminentela presentazione a Mantova d’una suaperformance, Le orazioni/Giotto, che il-lustra in quattordici quadri gli affreschidegli Scrovegni. Terza figura femminiledel nostro tempo ad aver riflettuto sulle“ragioni del cuore e dello spirito” è lafrancese Maguy Marin (1951), quasisolo con Leçons de ténèbres (1987, sumusica di Couperin). Come in altri suoilavori, anche qui il tema centrale èquello dell’ innocenza perduta. Lavo-rando in profondità sul testo delle La-mentazioni di Geremia, la Marin netrae una grande metafora danzata: unadonna avvolta in vesti orientali è sedutasu un trono a simboleggiare Gerusa-lemme; la sua caduta, la sua spoliazio-ne, il suo essere crudelmente calpesta-ta, il progressivo spegnersi delle quat-

Nacho Duato: O Domina nostra

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tordici candele poste sul fondo sino aportare la scena quasi al buio, vanno acomporre un quadro di sofferenzadrammaticamente tradotta in liturgia emistero. Crediamo tuttavia che le parole più si-gnificative in tema di danza ispirata alsacro siano venute nell’ultimo decennioda tre coreografi nati alla fine degli an-ni Cinquanta: Angelin Preljocaj, NachoDuato e Uwe Scholz. Francese, ma d’o-rigine albanese ilprimo (1957) ha alsuo attivo unacreazione che haavuto uno straordi-nario successo intutto il mondo: An-nonciation (1996).E’ un duo femmini-le (l’angelo e Ma-ria), nel quale l’au-tore mutua dall’ar-te figurativa nullapiù che il classicoraggio di luce checolpisce la fanciullaassisa su una pan-ca; il resto infrangeogni canone con-sueto per rappre-sentare quasi fisicamente vuoi l’ansiadell’angelo, che cerca di dare trepidantispiegazioni, vuoi il concepimento comeevento pneumatico e corporeo insie-me. Se non può negarvisi il modello diun film come Je vous salue Marie, diJean-Luc Godard (1984), è anche veroche non poche sequenze del balletto

sono assolutamente indimenti-cabili: fra tutte quella assai am-pia in cui le due danzatrici ballano al-l’unisono, con l’angelo che indica coldito verso l’alto, generando un mo-mento di attonito silenzio fra il Magni-ficat di Vivaldi e il brano elettronico diStefane Roy. Preljocaj conAnnonciation, è stato giustamentescritto, non vuole infrangere il simbolo- l’icona devota dell’Annunciazione –

ma arricchirlo delladimensione fonda-mentale dei senti-menti umani…e daquesto mélange diestasi e di dolorenon si esce indenni.Nacho Duato(1957), già ballerinodi punta di Jiri Ky-lian, ha rilevato ap-pena trentenne ladirezione dellaCompañia Nacionalde Danza española,imponendosi sinoad oggi per forza,serietà e passione.Due i lavori da luifirmati che toccano

il nostro ambito: Arcangelo (2000), unariflessione su inferno e paradiso pog-giata sui Concerti grossi di Corelli e, nelfinale, su un’aria da Il primo omicidio diScarlatti, in un cammino danzato attra-verso la morte come via d’accesso a uncielo ove ogni uomo sarà libero. Moltoapprezzato è anche O Domina nostra

Anna Cuocolo: Crepuscolo e risurre-zione

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(2008), su musica di HenrykGorecki e dedicato alla Vergine

nera di Jasnagora: un lavoro dinamico,vitale, aggressivo forse, in cui l’immagi-ne della Madonna è umana, terrestre,mediterranea nel suo gettarsi quasi inuna danza da tarantolata, ma anche vi-brante d’amore purissimo nell’abbrac-ciare, nel “prendere su di sé” il Figliocrocifisso. La breve parabola creativa di UweScholz (1958-2004) ha dato vita ad al-cuni balletti che riteniamo fondamen-tali in questo panorama: Die Schöp-fung (La creazione), sull’oratorio omo-nimo di Haydn; il dittico bachiano com-posto dalle cantate “Jauchzet Gott inallen Landen” e “Ich hatte viel Beküm-mernis”; Grosse Messe, sulla Messa indo di Mozart, ma integrata da musichedello stesso Mozart, di Pärt e di Kurtag,e Missa h-moll, Kyrie und Gloria da Ba-ch, rispettivamente del 1985, del 1996,del 1998 e del 2001. L’arte di Scholz hale sue radici profonde nella musica. Lestupende partiture ch’egli fa sue sem-brano animarsi in corpi e in gesti, lepolifonie, le armonie, le melodie, sifanno architetture coreografiche, con-catenazioni danzate, mirabile coralitàdegli ensembles, linee e movimento disovrana eleganza e di delicatissimo pal-pito nei duetti e negli assoli. E l’afflatoreligioso della pagina scritta si trasmutain sentimento motorio d’incantata con-templatività. Impossibile riferire l’interodi lavori tanto ampi. Alcuni frammentid’esempio: in La creazione il vasto cer-chio disegnato dal corpo di ballo nel

buio del Caos iniziale e la dolcezza pu-dica del passo a due di Adamo ed Evasu “Holde Gattin” o la scultorea morbi-dezza del solo dell’Arcangelo; in Gros-se Messe l’impareggiabile realizzazionedell’ Ave verum, ove basti dire che lasublimità della musica (ben la sottoli-nea sovente il nostro Pontefice) si spec-chia in quella della coreografia.Il rimanente quadro internazionale èassai contradditorio, soprattutto perquanto concerne l’Italia. Non possiamonon confessare che ci saremmo attesiassai di più, quanto ad una sottolinea-tura del binomio fede-danza, da LilianaCosi. Non ne è certo in discussione laluminosa vicenda umana, che l’ha por-tata da étoile della Scala a consacratalaica e alla fondazione di una sua com-pagnia e d’una sua scuola. Proprio daun tal crogiuolo avrebbero potuto venirfuori momenti di creatività di importan-te staglio: il riferimento ad un unico co-reografo (Marinel Stefanescu) e la pre-dilezione per il repertorio strettamenteclassico, hanno fatto sì che i soli titoli diqualche rilievo siano stati Anafura eAve Maria. Più di Mario Bigonzetti(1960) - autore di una Comoedia(1999) di matrice dantesca e di un Ve-spro (2003) – più di Daniela Capacci -cui si deve l’imponente Sogno di unanotte d’estate, rappresentazione dan-zata della vita di Celestino V (1988)agita davanti alla rimpianta Basilica diS. Maria di Collemaggio – più di DinoVerga – il suo Kjara entra nel mondodelle clarisse – seguiamo da tempo il si-gnificativo percorso di Anna Cuocolo

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(1958), per la quale la spiritualità èsempre stata quasi un segno genetico.A partire dal suo formidabile SecondoGiovanni, (1992, su musica di Bach) unterzetto di palpitante plasticità non im-memore di José Limon, e da In nominePatris (1994, su musiche popolari), de-finito da Marco Frisina “una ricerca del-le fondamenta dell’anima”; proseguen-do con le coreografie di Paradiso, Para-diso, un oratorio dello stesso Frisinaeseguito alla Sala Nervi nel 1995 da-vanti a Giovanni Paolo II e con i diversilavori dedicati al tema degli angeli, fracui abbiamo qual prediletto Passioni,sangue ed anima (1998), avvincenteparabola sulla discesa d’un angelo nellanostra umanità e della sua ansiosa,drammatica risalita al cielo. La Cuoco-lo, oltre che su un linguaggio coreogra-fico fatto di energia e dinamismo, lavo-ra sovente su evocazioni pittoriche pre-valentemente mutuate dall’arte baroc-ca, sì da non negarsi talora al fascinosuggestivo del “tableau vivant à la Ca-ravaggio”. All’estero non riusciamo a scorgere piùdi qualche scintilla d’interesse. Lo spa-gnolo Jean-Charles Gil (1959), formatosicon Roland Petit ed ora titolare del Bal-let d’Europe, ha mostrato di saper lavo-rare bene (un po’ alla Béjart) sul Re-quiem (2007) di Mozart; partitura usataanche da Emmanuel Gat (1969) per unballetto, K626 (2008), un po’ troppomuscolare. Senz’altro di maggior origi-nalità il possente assolo femminile di Ro-berto Zappalà (1961) Instrument 2 “Lasofferenza del corpo” (2008), ispirato al

martirio di Sant’Agata e nelquale, “evocando la figura dellabambina-donna, martire-santa, la danzaagisce sulla disarticolazione e sul doloredel corpo femminile, spezzato, lacerato,martirizzato”. Il coreografo e tap dancerSavion Glover (1973) ha presentato nel2006 Visions of a Bible, a suo modo ac-cattivante, ma non poco confuso dalpunto di vista stilistico. Più rigoroso eforse personalità tra le più emblemati-che d’oggi è, infine, il belga Alain Platel(1959). Ne conosciamo sia Vsprs (sul Ve-spro della Beata Vergine di Monteverdi),certo assai urtante, ma riflessivo, allar-mante nel presentare la religiosità comeunica, accorata speranza d’una civiltà inputrefazione; sia il singolare Pitié, che siserve d’una rielaborazione dellaMatthäus Passion curata da FabrizioCassol e ben definita come “un manife-sto della compassione, della sofferenzasublimata nel suo stesso grido di impo-tenza”: dalle parole dell’inizio, “e il Ver-bo si fece carne”, a quelle del finale“Dio mio perché mi hai abbandonato”,una danza disarmonica, convulsa, forsesgradevole, afferma che il dolore è in-comprensibile senza la pietà.Si dice che il nostro è tempo di materia-lismo, di secolarizzazione, di negazionedello spirito. Un mondo tanto (apparen-temente) alieno da quello pastorale co-me la danza, come il teatro, come il pal-coscenico, ci ha forse rivelato, forse con-fermato, che nessuna arte, e men chemai quella di Tersicore, vive senza i valorie le aspirazioni più alte dell’uomo. Sen-za i semi di Dio…

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a Libreria Editrice Vaticana do-po aver pubblicato nel 2007 ilvolume “L’ Eucaristia, pane di

vita eterna”, all’inizio di quest’anno haeditato un nuovo libro sul sacramentodella Penitenza. Si tratta di due testi catechistici scrittida mons. Raffaello Martinelli con l’in-tenzione di aiutare l’approfondimentodel mistero dei due sacramenti, met-tendo in risalto anche la bellezza e laricchezza dello stesso rito liturgico incui si celebrano.Come afferma lo stesso autore nellapresentazione, tale progetto è statoattuato non solo attraverso il testo, maanche tramite le numerose immagini(da me realizzate), concepite in mododa illuminare e illustrare molto di piùdella stessa parola e dello stesso scrit-to. Appare ben appropriato al riguardoquanto Benedetto XVI ebbe a dire re-centemente: “L’approccio alla veritàcristiana, mediato attraverso l’espres-sione artistica o storico-culturale, hauna chance in più per parlare all’intelli-genza e alla sensibilità di persone chenon appartengono alla Chiesa Cattoli-ca e talvolta possono nutrire verso diessa pregiudizi e diffidenza” (Discorsoai dirigenti e ai dipendenti dei MuseiVaticani, 23 novembre 2006).

Auspicando che questo volume, comeil precedente sull’ Eucaristia, possa es-sere un valido strumento per aiutaresoprattutto i giovani a conoscere e ap-prezzare meglio l’infinita bontà miseri-cordiosa di Dio, desidero condividerealcune riflessioni che mi hanno accom-pagnato in questo interessante proget-to editoriale, guidandomi in particolarmodo nella realizzazione dell’icona dicopertina in cui ho raffigurato la para-bola del figliol prodigo, o meglio del‘Padre buono’.Se è vero, come si dice, che l’amore di

un padre è sempre più grande deglierrori di un figlio, quanto questo è piùvero nei confronti di Dio, la cui miseri-cordia ha le dimensioni non della miamiseria- che per quanto immensa esconfinata è sempre limitata- ma delsuo amore infinito.Dio con la sua misericordia è sempre inattesa di porre la mia miseria nel suocuore per trasfigurarla nella gioia delperdono. Se trova il pentimento, que-sta misericordia opera un grande mira-colo in me: non solo risana la mia po-vertà spirituale, ma riempie la vita digrazia, “che vale infinitamente più del-la vita” (Sal 63,4).Nella parabola in esame, raffigurata ap-punto in questa icona, il padre non solo

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Abbi pietà di mesecondo la tua misericordia

Roberta Boesso

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non ha punito il figlio per aver sperperatotutti i suoi averi vivendo da dissoluto, nonsolo non l’ha trattato da servo, ma gli hariservato un’accoglienza e una festa datrionfatore.“Hai mutato il mio lamento in danza,la mia veste di sacco in abito di gioia!”(Sal 30,12) si legge nel cartiglio: il per-dono trasforma la tristezza nella gioiadi un banchetto nuziale rallegrato dallamusica e dalla danza, di cui sono se-gno le due fanciulle. La misericordia di-vina è simboleggiata al centro dellacomposizione da Gesù che con il suomanto, il cui colore rosso richiama il sa-crificio d’amore da lui sofferto e offertosulla croce per ognu-no di noi, avvolge ilfiglio, la pecorellaperduta e ora ritrova-ta: la veste di sacco,sporca e stracciata la-scia il posto all’abitopiù bello, l’abito nu-ziale della Gioia a cuialludono la vestebianca portata dalservitore di sinistra el’anello nuziale porta-to da quello di destra.“Bisogna far festa!” efesteggiare con unpranzo da nozze de-gna del figlio di un re,con la carne migliore:viene scelto il vitellopiù grasso. Mangia-mo! Ordina il Padre,con una voce che

esprime tutta l’urgenza della fe-sta. Presto! Il Padre ha fretta difare festa con gli amici e i vicini, chiamatia condividere la gioia per la pecorella ri-trovata: “Rallegratevi con me! Ero smar-rita, perduta, lontana, sola; ora sono acasa, al sicuro, insieme con voi!”. La fe-sta è di tutto il gregge, la festa cominciasu questa terra e continua nell’eternità. La domenica II di Pasqua celebriamoanche la festa della Divina Misericor-dia: insieme ringraziamo il Signore per-ché, nella gioia del perdono, la nostravita diventa, oggi, bella come il paradi-so terrestre, fresca e gioiosa come ilmattino di Pasqua.

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un valido intercessore presso la divi-nità; si pensi, per rimanere nell’ambi-to della nostra religiosità, alle figuredi Abramo, di Mosè, di Elia. L’idea disantità si trova presente in tutte lereligioni, anche se con accentuazionie prospettive diverse. Nel mondo se-mitico, in quello cananeo, la santitàesprime anzitutto la nozione di unamisteriosa potenza che è connessa

Il valore della santità

Sono ormai tantissime volte cheattraverso queste pagine ci ritrovia-mo a parlare di uomini e donne chelungo il tempo si sono distinte pervirtù, meriti, grazie particolari. Vivia-mo in un’epoca storica che sembranon debba più offrire spazi per ali-mentare il valore della santità tant’èche c i s i domanda in unmondo secolarizzato e mate-rialista: «È possibile essersanti oggi?» e se sì: «Qual èla forma di santità possibilenel nostro tempo?». Ungrande teologo, GiovanniVannucci, a tale propositoscrive: “Comincio col preci-sare il concetto di santità edi santo, seguendo, natural-mente, quello che l’esperien-za vissuta del Mistero divinopuò dirci. In tutti i tempi si èsempre ritenuto che Dio po-tesse compiacersi di qualchemortale, colmarlo di doni efavori speciali, così da sepa-rarlo dai suoi simili e da por-lo in una situazione più vici-na a Lui stesso. Anzi, si finìper ritenere il prescelto come

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Beata Vittoria RasoamanarivoVedova e principessa del Madagascar 21 agosto

suor Clara Caforio, ef

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con il mondo divino ed è anche ine-rente a particolari persone, istituzio-ni ed oggetti. La santità inoltre, ap-pare come un valore estremamentecomplesso che implica le nozioni di“sacro” e di “purità” e si trova con-nesso con il mondo del culto. Occor-re assai più oggi che non ieri persantificarsi. Se ieri visitare i poveri,gli infermi, i carcerati era un gestomeritorio, oggi la società, con l’assi-stenza sociale e sanitaria, ne ha fattoaddirittura una professione. Se ieri illavoro dell’operaio era affidato allacoscienza del datore di lavoro, oggi,in ogni nazione civile, un contrattonazionale tenta di salvare, per tutti, ilimiti di una dignità umana e impe-dirne gli abusi. Se ieri masse umanevenivano tenute nella soggezione enell’ignoranza, oggi ad esse viene,più o meno bene, spezzato il panedella conoscenza, mentre scompaio-no i tuguri e la società affronta i ri-cettacoli del vizio”.1

Tuttavia, oggi come ieri i terminisanto, santità, santificare che deriva-no dalla radice qds, sono divenuti trai più caratteristici e significativi dellarivelazione biblica. L’etimologia diqds non è sicura, però fin dalle origi-ni questa voce ha sempre avuto unostretto rapporto con il culto, tuttociò che è in positiva relazione con es-so: Dio, uomo, cose, spazio tempo,rientra nella sfera del qds. Nella Ge-nesi, dove il culto ha spesso rilievo,

questa parola non ricorre,mentre è abbastanza fre-quente nella storia di Mosè, dove ades. nella teofania del Sinai la fontejahvista usa il termine qodes (cfr Es3,5). Lo spazio intorno al roveto èterra di santità, così come lo sono al-tri luoghi, la collina del tempio e tut-to quanto ad esso appartiene. Piùvario del sostantivo qodes è l’agget-tivo qadòs, esso oltre che al luogo eal tempo del culto, può essere riferi-to anche alle persone addette al cul-to. Tanto Dio che l’uomo nel mo-mento del culto possono essere defi-niti qadòs;riguardo a Dio il lemmaassume il significato di divino e di-venta un attributo costante di Iavhè(cfr Is 5,16; 6,3; Os 11,9). Anche inriferimento all’uomo qadòs acquistaun nuovo significato, nell’uomo in-fatti ciò che è santo confina con ciòche è moralità, senza tuttavia identi-ficarsi con esso.

Riferito a Dio e all’uomo questavoce assume una dimensione storicache manca all’impersonale qodes2.

Vediamo ancora come nella lucedella santità divina, partecipata pergrazia a Israele, emergono in modospeciale alcuni segni permanenti daiquali il popolo dell’AT è orientato al-la fede nel Dio santo. Tra questi, nel-l’ambito delle persone, figurano inprimo luogo il sacerdote, segno dellasantità del Signore, che santifica tut-

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to il popolo e lo chiama albanchetto sacrificale della

piena comunione (cfr Lv 21,6-8). An-che il nazireo che si impegnava convoto a un tenore rigoroso di vita eraun dono di Jhwh nel quale rifulgevala potenza della santità divina a fa-vore del suo popolo (cfr Gen 49,26;Dt 33,16; Gd 13,5-7 ecc.).

Nell’ambiente neotestamentarioraramente Dio viene definito santo(cfr Gv 17,11; 1Pt 1,15 s; Ap 4,8;6,10) e Cristo soltanto una volta (cfrAp 3,7; 1Gv 2,20). Determinante perla concezione di santità è piuttostolo Spirito Santo; ne consegue che nelNT il sacro non è più nelle cose, inluoghi determinati o nei vari riti, es-so è nelle manifestazioni prodottedallo Spirito3. Difatti è lo Spirito cheabilita il battezzato a testimoniare lasantità di Dio mediante la carità e idiversi carismi che egli distribuisceper l’utilità comune (cfr 1Cor 12, 4-11). I cristiani pertanto non sono ha-ghioi per natura, ma per la chiamatadi Dio. Essi ricevono il privilegio diessere membri della comunità santa;come haghioi appartengono a unacomunità cultica fondata sul sacrifi-cio di Cristo e sono stati eletti da Dioa farne parte4. La santità, dunque,vista sotto questi aspetti non cono-sce né confini, né limiti, né razza, néculture… Essa può raggiungere qua-lunque creatura che fa spazio all’A-scolto e all’Amore! Spostiamoci allo-

ra nella grande Isola del Madagascar,a Tananarive, dove Vittoria Rasoama-narivo, nacque nel 1848; apparte-nente ad una delle più potenti fami-glie degli Hovas; suo nonno mater-no, fu primo ministro per oltre ventianni della regina Ranavalona (1832-1852) e lei era sorella di Rainilaiari-vony, il quale ricoprì la stessa caricaper più di 30 anni dal 1864 al 1895.Secondo le usanze del paese, fuadottata dal fratello maggiore delpadre, del quale si sa ben poco; lozio Rainimaharavo fu comandantegenerale dell’esercito malgascio.

Rasoamanarivo crebbe ricevendo,specie dalla madre, una ottima edu-cazione morale e seguì in gioventù lareligione idolatrica dei suoi antenati.Ma quando nel Madagascar giunseroalcuni missionari gesuiti francesi, chesi stabilirono a Tananarive, seguiti inbreve dalle Suore della Congregazio-ne di S. Giuseppe di Cluny, Rasoa-manarivo fu tra le prime ragazze adessere iscritta nella loro scuola, aper-ta dalla Missione. La giovane rimasecolpita presto dalla vita che condu-cevano i padri della missione e lesuore; una vita fatta di dedizione,d’impegni a favore dei poveri e diquanti erano costretti a subire umi-liazioni e prove di ogni genere. La te-stimonianza dei missionari aprì ilsuo cuore indicandole il desiderio diuna Sorgente che non si esauriscemai. Dovette comprenderlo bene,

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abituata com’era alla calura e ai de-serti africani: l’acqua è un valore ine-stimabile! Cosa non è poi la sete, mac’è una sete che nessun uomo puòsoddisfare: la sete di Dio! Sebbenetredicenne, la ragazza chiese di esse-re ricevuta nella Chiesa; venne bat-tezzata il 1 novembre 1863 con ilnome di Vittoria, quasi a presagiodelle dure lotte che avrebbe dovutosostenere. Il Madagascar a quell’e-poca subiva l’influenza coloniale del-la Francia, questo provocò scontentoe tumulti, quando il re Radama II, ri-tenuto troppo amico della Francia,venne allontanato, si scatenò unapersecuzione più o meno apertacontro la Missione cattolica, che acausa della nazionalità francese deimissionari, fu ritenuta affine agli in-teressi coloniali della Francia. Vitto-ria dovette subire le insistenze delsuo padre adottivo, che cercò di con-vincerla a lasciare la fede cattolica eritornare agli dei pagani, o per lomeno di abbracciare la fede anglica-na, che a quel tempo era ben radica-ta nel Madagascar.

Ma lei non volle aderirvi né con leminacce, né con le sofferenze inflit-tale, finché i familiari ritennero inuti-le insistere. I missionari, di fronte aquesta situazione, cercarono in tutti imodi di dissuadere Vittoria nel suodesiderio di consacrarsi interamentea Dio, ritenendo meglio per lei checontinuasse a svolgere il suo aposto-

lato nella propria famiglia e acorte reale. Secondo le usan-ze allora vigenti nel Madagascar, Vit-toria fu data in sposa ad un giovanealto ufficiale dell’esercito e figlio delprimo ministro, il suo nome era Ra-driaka. Il 13 maggio 1864 volle spo-sarsi alla presenza di un sacerdotecattolico. Il matrimonio non fu felice;il marito era spesso dedito all’alcol ealle passioni. I suoi stessi genitoriconsigliarono a Vittoria di divorziare;ma lei conscia dell’indissolubilità esantità del matrimonio e certa delloscandalo che ne sarebbe derivatonell’opinione pubblica, decise di sop-portare tutto rimanendogli fedele fi-no alla morte avvenuta nel 1887.

Col tempo, acquistò agli occhidella corte e di tutto il popolo, unagrande stima; venne ammirata per lacoerenza della fede e per le sue virtùmorali e cristiane.

Amabile e accogliente con tuttidivenne punto di riferimento sicurodella Chiesa Cattolica in Madaga-scar, quando il 25 maggio 1883scoppiò una nuova persecuzione,dopo che erano stati espulsi tutti imissionari francesi, e i fedeli cattolicivennero accusati come traditori delleusanze dell’Isola e quindi della loropatria. Vittoria continuò a professa-re la sua fede apertamente, si feceprotettrice della Chiesa difendendolacontinuamente presso la regina e il

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potente Primo Ministro, insi-s tendo che le ch iese e le

scuole cattoliche, rimanessero aper-te; incoraggiò i cattolici in ogni mo-do e spesso recandosi personalmen-te nei villaggi vicini.

Divenne secondo l’espressionemalgascia: “Padre e Madre” dei fe-deli e la colonna della Chiesa, cheera privata in quel tempo dei suoipastori; così quando nel 1886 i mis-sionari poterono ritornare, non tro-varono rovine, ma una comunità cat-tolica fiorente e vigorosa, tutto persuo merito. Si realizzò in lei quelloche a distanza di molti anni dirà ilConcilio Vaticano II a proposito dellacrescita della santità della chiesa adopera di molte uomini e donne dibuona volontà:

Sanctitas Ecclesiae

Ci sembra sostanziale ribadire cheil cammino scelto da Dio Padre, perdare agli uomini una partecipazionealla propria santità, è la filiazione di-vina (cfr Ef 1,5), il cui esemplare èl’Unigenito e la cui immagine devo-no riprodurre i figli della Chiesa (cfrRom 6,28). Il Vaticano II ha afferma-to energicamente il carattere ontolo-gico della santità cristiana. “InfattiCristo, Figlio di Dio, il quale col Pa-dre e lo Spirito è proclamato il soloSanto, amò la Chiesa come sua Spo-

sa e diede se stesso per essa al finedi santificarla (cfr Ef 5,25-26), l’haunita a sé come suo corpo e l’hariempita del dono dello Spirito Santoper la gloria di Dio”5.

Il riconoscimento della dimensio-ne ontologica della santità è affer-mato nel corso di tutta la dottrinaconciliare6. Il Padre che santificò Cri-sto (cfr Gv 10,36) non volle santifica-re gli uomini individualmente mavolle costituirli in un unico popolo(cfr LG 2; 9,1; AG 2,2).

Cristo l’autore e il perfezionatoredella santità del popolo di Dio, in-staurò il regno della santità (cfr LG36,1) e si offrì alla morte per santifi-care la Chiesa; santificò gli apostoliper mezzo dello Spirito Santo, per-ché essi a loro volta santificassero glialtri uomini. Lo Spirito Santo è statoinviato dal Padre e dal Figlio persantificare continuamente la Chie-sa... ut Ecclesiam iugiter sanctifica-ret ... (LG 4,1).

Vittoria contribuì molto alla santi-ficazione della Chiesa in Madaga-scar; ella riuscì a diffondere il Mes-saggio evangelico grazie anche allasua alta posizione sociale oltre chealla sua intensa vita di preghiera e diamore verso i poveri nei confrontidei quali ebbe una grande passionedi madre. La preghiera divenne il suopane quotidiano, pane di cui si nutri-va con ardore; trascorreva in chiesa

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anche sei o sette ore al giorno, a vol-te fino a notte inoltrata. Una intensavita di orazione non poteva nonspingerla continuamente verso lerealtà più emarginate: si dedicò adinnumerevoli opere di carità in favo-re di poveri, prigionieri, abbandona-ti, lebbrosi.

Ebbe a soffrire di varie malattie,sopportate con grande pazienza;morì il 21 agosto 1894 a 46 anni, tralo sconforto generale del popolomalgascio.

La beatificazione

Pur non avendolo desiderato, ellafu trionfalmente sepolta nel mauso-leo dei suoi antenati a Tananarive.

La causa per la sua beatificazione,iniziò solo il 14 gennaio 1932, percircostanze indipendenti dall’interavicenda. Venne beatificata da PapaGiovanni Paolo II il 29 aprile 1989, adAntananarivo in Madagascar. Inquella lietissima circostanza di lei dis-se: “Nel corso di un periodo criticodella giovane Chiesa del Madagascar,Vittoria è apparsa in tutta la sua sta-tura di laica attivamente impegnatanella vita della comunità e nel suoapostolato. Quegli anni di servizio al-la comunità ecclesiale hanno lasciatoun ricordo ancora vivissimo. Ed anchese ora le circostanze sono del tuttodiverse, una grande luce emana daVittoria, dopo che più di un secolo è

passato. La beatif icazioneconferma che essa è un mo-dello per i fedeli laici di oggi. Cristia-na nella sua casa, cristiana nell’am-biente della corte di cui faceva parte,attiva nel movimento delle Figlie diMaria, Vittoria si trovava pronta adassumere delle responsabilità ecce-zionali. Aveva la fiducia di tutti; ven-ne incaricata di animare e proteggerel’“Union catholique” che dovevaconservare viva la comunità privatadei suoi sacerdoti. Durante il difficileperiodo, in cui i sacerdoti erano statiallontanati, la comunità non perdetteil suo dinamismo apostolico: alcunicatecumeni venivano istruiti e prepa-rati al Battesimo. Questo bene corri-spondeva alla passione che Vittoriaebbe in tutta la sua vita, quella di farconoscere Gesù Cristo, di comunicarela buona Novella che la riempiva disperanza e di gioia. Fu una vera mis-sionaria. Per lei, non c’era felicità piùgrande che vedere i suoi accedere al-la fede e ricevere il Battesimo. Quan-do contempliamo la figura di Vittoriaall’interno della giovane Chiesa diquesto Paese, capiamo ancora me-glio il ruolo insostituibile dei fedelilaici, così fortemente evidenziato dalConcilio Vaticano II e recentementedall’assemblea del Sinodo dei Vesco-vi. In una esortazione apostolica, hoaffermato la grandezza della vocazio-ne e della missione dei laici nellaChiesa e nel mondo. Sono felice diaver potuto venire presso di voi per

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celebrare la beatificazione diuna figlia del vostro nobile

popolo malgascio, che è stata “co-lonna e fondamento” per i suoi fra-telli e sorelle. D’ora innanzi lo saràancora di più. Vittoria mostra in par-ticolare il posto che spetta alle donnenella Chiesa. Donna laica, essa ricor-da presso di voi le donne del Vange-lo, o meglio quelle di cui san Paoloha conservato il ricordo: Lidia, cheebbe un ruolo importante nella gio-vane comunità della città di Filippi(cf. At 16, 14-15), Damaris che accol-se il Vangelo ad Atene quando benpochi lo ascoltavano, Loide ed Euniceche trasmisero la loro fede a Timoteo(cf. 2 Tm 1, 5). Con le sue belle dotidi donna, Vittoria, a sua volta, ha as-sunto le missioni di evangelizzazione,di santificazione e di animazione. Hasaputo dispiegare una intensa attivitàin buona armonia con tutti i membridella Chiesa, sia uomini che donne,

sacerdoti o laici. Voi riconoscete nellavostra prima beata le qualità tradizio-nali del vostro popolo. Molti testimo-ni ne hanno descritto la pazienza,non una rassegnazione o una fuga difronte alle difficoltà, ma un atteggia-mento profondamente pacato davan-ti a quello che rattrista o ferisce, per-sino davanti al male che si condanna.La sua instancabile pazienza rafforza-va il suo convincimento cristiano perrimanere fedele al legame indissolu-bile del Matrimonio, nonostante leumiliazioni e le sofferenze che dove-va sopportare. Impressionava coloroche l’avvicinavano per la gioia inte-riore da cui era pervasa. Conservavauna fiducia ottimista, anche nei mo-menti più inquietanti. Non si staccòmai dai legami ancestrali di solida-rietà che nel suo popolo unisconoogni persona a tutta la società; face-va fiorire in se stessa la spiritualitànaturale dei Malgasci”.

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Giovanni Vannucci, «La santità oggi» 1° novembre - Festa di tutti i santi - Anno A; in Risveglio della

coscienza, 3a ed. ervitium, Sotto il Monte.2 Cfr O. PROCKSCH, Haghios, in GLNT I, 237-240.3

Cfr H. SEEBASS, Santo-sacro, o. c. 1656.4

Cfr O. PROCKSCH, Haghios, in GLNT I, o.c. 284-285. 5

Cfr LG 39; PO 5,1, 12,2.6

Cfr N. D. SILANES SANZ, Santità, in DTVC o.c. 1575-1576. I Padri e i Dottori della chiesa, esaltano con

eloquenza la santità della Sposa di Cristo, soprattutto S. Cipriano nel De Unitate Ecclesiae, c.6: PL 4,

502: “Adulterari non potest Sponsa Christi...” e Sant’Agostino in un Sermone così scrive: “Sanctam

Ecclesiam, Matre vestram honorate, diligite, praedicate” Serm. 214, 11: PL 38, 1071.

Bibliografia:

www.santiebeati.it/

www.vatican.va

it.wikipedia.org

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La liturgia non appartiene a noi: è il te-soro della Chiesa. Lo abbiamo sentito dalSanto Padre Benedetto XVI nell’Omeliaconclusiva per il 49° Congresso Eucaristi-co Internazionale di Québec (Canada), il22 Giugno 2008. Nell’Esortazione Apo-stolica Postsinodale “Sacramentum Cari-tatis” del 27 febbraio 2007, al n. 35 silegge: «La bellezza della liturgia non èmero estetismo ma modalità con cui laverità dell’amore di Dio, ci affascina e cirapisce»; è importante che la «celebrazio-ne eucaristica manifesti, comunichi, attra-verso i segni sacramentali, la vita divina eriveli agli uomini e alle donne di questacittà il vero volto della Chiesa» (BenedettoXVI, Discorso in apertura del ConvegnoDiocesano di Roma, 26 maggio 2009).

Il Santo Padre in ordine alla formazio-ne, dava poi alcune preziose indicazioni:«È necessario migliorare l’impostazionepastorale, così che, nel rispetto delle vo-cazioni e dei ruoli dei consacrati e dei lai-ci, si promuova gradualmente la corre-sponsabilità dell’insieme di tutti i membridel popolo di Dio. Ciò esige un cambia-mento di mentalità riguardante i laici,passando dal considerarli “collaboratori”del clero a riconoscerli realmente “corre-sponsabili” dell’essere e dell’agire dellaChiesa, favorendo il consolidarsi di un

laicato maturo e impegnativo. Tocca aiParroci promuovere la crescita spiritualee apostolica di quanti sono già assidui eimpegnati nelle Parrocchie: essi sono ilnucleo della comunità che farà da fer-mento per gli altri» (ibid.). Le parole delVescovo di Roma si applicano perfetta-mente anche all’ambito liturgico

Un Corso di Liturgia per la Pastoraleche esplora quasi tutto l’universo liturgi-co è stato aperto nel 1975, dall’UfficioLiturgico della Diocesi di Roma, avvalen-dosi della qualificata collaborazione deiDocenti del Pontificio Istituto Liturgico.

Il Corso, ciclico-triennale, richiamagli insegnamenti del Vaticano II sul con-cetto di liturgia, delinea gli aspetti più sa-lienti (storico – biblico – teologico – litur-gico – pastorale) delle celebrazioni, pre-senta le linee maestre che valorizzano gliorientamenti spirituali della riforma litur-gica. In modo non derogabile, è richiestaagli iscritti la frequenza, con esami, perla preparazione formativa ai ministeri isti-tuiti. (cf. Inter Oecumenici, 11).

Dal 1975 al giugno 2009 hanno fre-quentato il Corso 2181 alunni di cui 1492in qualità di Uditori e 689, dopo i regola-ri esami, hanno conseguito l’attestato diOperatore di Liturgia per la Pastorale.

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Dominicae Cenae, in AAS 72.

Per scoprire le ricchezze che contienela liturgia è necessaria una educazione

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CORSO DI LITURGIA PER LA PASTORALEAnno 2009 – 2010

LITURGIA E TEMPO

200922 ott. Introduzione al Corso – Consegna dei diplomi Preside del PIL29 ott. L’esperienza liturgica dell’Antico e del Nuovo Testamento R.P. Mons. Renato De Zan05 nov. Storia della liturgia I: Dagli inizi al Concilio di Trento R.P. Ephrem Carr12 nov. Storia della liturgia II: Dal Movimento liturgico al Vaticano II R.P. Ephrem Carr19 nov. Visione globale delle liturgie orientali R.P. Ephrem Carr26 nov. Culto e santificazione R.P. Ildebrando Scicolone3 dic. Celebrazione, segni e simboli R.P. Ildebrando Scicolone

10 dic. Assemblea e partecipazione R.P. Ildebrando Scicolone

201014 gen. L’anno liturgico: storia della sua formazione R.P. Ephrem Carr21 gen. Il Calendario liturgico: principi e norme R.P. Ildebrando Scicolone28 gen. La domenica: Pasqua settimanale R.P. Juan Javier Flores04 feb. La Pasqua annuale: il Triduo pasquale R.P. Juan Javier Flores11 feb. Il Tempo pasquale o Pentecoste R.P. Juan Javier Flores18 feb. Vacanza Ateneo 25 feb. La Quaresima R.P. Ephrem Carr4 mar. Il Tempo della manifestazione R.P. Juan Javier Flores11 mar. Tempo “per annum” e feste del Signore R.P. Juan Javier Flores18 mar. La Madre di Dio nella celebrazione del mistero di Cristo R.P. Ildebrando Scicolone25 mar. I Santi nella celebrazione del mistero di Cristo R.P. Juan Javier Flores15 apr. La preghiera e i salmi nell’A.T. e N.T. R.P. Mons. Renato De Zan22 apr. L’Ufficio Divino: origine e sviluppo storico R.P. Pierangelo Muroni29 apr. La Liturgia delle Ore del Vaticano II (Caratteristiche, natura ed elementi della Liturgia delle Ore)

R.P. Pierangelo Muroni06 mag. Natura e spirito delle singole Ore R.P. Pierangelo Muroni13 mag. Spiritualità e pastorale della Liturgia delle Ore R.P. Pierangelo Muroni20 mag. Celebrazione conclusiva e incontro di fraternità Preside del PIL

27 mag. ESAME ANNUALE (I ANNO)03 giu. Corpus Domini10 giu. ESAME ANNUALE (II e III ANNO)17 giu. ESAME “DE UNIVERSA”

ORARIO LEZIONI: 18.00 – 19.30

SEDE: Pontificio Istituto Liturgico; piazza Cavalieri di Malta, 5 - Roma

N.B. Al Corso sono ammessi soltanto gli alunni regolarmente iscritti.

ISCRIZIONI: Ufficio Liturgico del Vicariato di Roma, piazza San Giovanni in Laterano, 6/a,dal lunedì al venerdì ore 9,00 – 12,00. Tel. 06 698.86233 a partire dal 22 Giugno al 31 Luglio. Soltanto se vi sa-ranno ancora posti disponibili: dal 2 Settembre al 12 Ottobre 2009.