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el cuore dell’Anno Liturgico il ritor- no annuale della Quaresima e della Pasqua fa vibrare spiritualmente la Chiesa, scuotendola nel profondo, richia- mandola fortemente al centro della sua fe- de. È il richiamo potente alla conversione e alla redenzione che sgorga sempre nuovo dal ritmo celebrativo dell’anno, facendo del Triduo pasquale il cardine intorno al quale ruotano tutte le celebrazioni in una danza meravigliosa fatta di attese e compimenti, di preparazioni e di feste, capaci di tenere sem- pre vivo e palpitante l’effetto della grazia di Cristo, Redentore del mondo. Nel nostro cammino alla scoperta del- l’Anno Liturgico dobbiamo partire proprio da qui, dalla Pasqua, perché essa rappresen- ta l’inizio e l’archetipo di ogni celebrazione. Dalla sua luce abbagliante ogni cosa acqui- sta senso e dignità, dallo splendore del Ri- sorto tutta la creazione risplende illuminan- do nell’intimo ogni cuore, trasformando dal di dentro ogni creatura che, pur inconsape- volmente, viene redenta dall’amore che trionfa sulla morte, dalla grazia che schiaccia il peccato, dalla vita che tutto fa risorgere con sé. Il giorno dell’Epifania la Chiesa canta il dispiegarsi delle celebrazioni annuali an- nunciando per prima la celebrazione della Pasqua. Questo annuncio è come l’accensio- ne di una grande luce capace di illuminare l’intero anno, la manifestazione della reden- zione, celebrata nell’Epifania, punta il dito sulla luce sfolgorante della Pasqua che già risplende come la meta a cui tutti dobbiamo tendere, come il traguardo da raggiungere e da cui ripartire per vivificare ogni giorno del tempo, ogni tempo della storia. Dalla Pasqua tutto scaturisce: la Quaresi- ma, tempo di preparazione e di penitenza, di ritorno in se stessi e di semplificazione. Diventare poveri per accogliere la grazia in pienezza, svuotarsi per essere più capienti per ricevere l’infinita ricchezza del Risorto. I quaranta giorni divengono quindi come una grande veglia nell’attesa del giorno che sta per venire, un giorno senza tramonti. È co- me rivivere l’inizio della creazione, quell’alba lunghissima che precedette il “sia la luce” della voce di Dio con cui iniziò il “primo giorno”, la “prima dies” della storia. Ma il peccato oscurò, come una nube minacciosa, quel giorno stupendo che Dio aveva creato per la sua e la nostra gioia. Il cielo divenne tenebroso e l’uomo si assopì in un sonno pesante e triste da cui non poteva destarsi con le sue forze. Cristo venne a immergersi in quelle tenebre, affrontò senza paura il buio e la notte, ne fu come oppresso ma “le tenebre non riuscirono a soffocare la luce” e questa distrusse le tenebre. Ma la luce che splendette non fu solamente il chiarore del sole o della luna, non fu semplicemente un altro giorno che nasceva nel tempo, fu il “nuovo tempo”, la “nuova storia” che sor- geva come giorno senza tramonto, come un’eterna luce capace di rischiarare per sempre la creazione. Un momento eterno 1 Formazione Liturgica Culmine e Fonte 1-2006 Cristo, Redentore del Mondo mons. Marco Frisina N

Riv. Culmine e Fonte 2006-1

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http://www.ufficioliturgicoroma.it/default.asp?iId=LDJMKIl sussidio bimestrale "Culmine e fonte" edito dall'Ufficio Liturgico della Diocesi di Roma ha come obiettivo primario l'approfondimento delle tematiche liturgiche nel contesto pastorale. Non è una rivista rivolta solo agli "esperti", ma è pensata per tutti coloro che si accostano alle Celebrazioni della Chiesa con l'intento di pregare, comprendere, partecipare attivamente, secondo i propri doni, carismi e ministeri. E' uno strumento di formazione e spiritualità liturgica dedicato a Sacerdoti, diaconi, Lettori, Accoliti e Ministri straordinari della Comunione. Rivolgendosi anche a tutti i cultori di Liturgia ed a tutti coloro che riconoscono la necessità di approfondire le tematiche liturgiche si usa un linguaggio semplice ed un approccio prevalentemente pastorale. I contenuti rimangono altamente scientifici: i contributi sono affidati ad esperti del settore, che propongono riflessioni documentate sulle varie problematiche ed aprono la strada a successivi approfondimenti personali.

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el cuore dell’Anno Liturgico il ritor-no annuale della Quaresima e dellaPasqua fa vibrare spiritualmente la

Chiesa, scuotendola nel profondo, richia-mandola fortemente al centro della sua fe-de. È il richiamo potente alla conversione ealla redenzione che sgorga sempre nuovodal ritmo celebrativo dell’anno, facendo delTriduo pasquale il cardine intorno al qualeruotano tutte le celebrazioni in una danzameravigliosa fatta di attese e compimenti, dipreparazioni e di feste, capaci di tenere sem-pre vivo e palpitante l’effetto della grazia diCristo, Redentore del mondo.

Nel nostro cammino alla scoperta del-l’Anno Liturgico dobbiamo partire proprioda qui, dalla Pasqua, perché essa rappresen-ta l’inizio e l’archetipo di ogni celebrazione.Dalla sua luce abbagliante ogni cosa acqui-sta senso e dignità, dallo splendore del Ri-sorto tutta la creazione risplende illuminan-do nell’intimo ogni cuore, trasformando daldi dentro ogni creatura che, pur inconsape-volmente, viene redenta dall’amore chetrionfa sulla morte, dalla grazia che schiacciail peccato, dalla vita che tutto fa risorgerecon sé. Il giorno dell’Epifania la Chiesa cantail dispiegarsi delle celebrazioni annuali an-nunciando per prima la celebrazione dellaPasqua. Questo annuncio è come l’accensio-ne di una grande luce capace di illuminarel’intero anno, la manifestazione della reden-zione, celebrata nell’Epifania, punta il ditosulla luce sfolgorante della Pasqua che già

risplende come la meta a cui tutti dobbiamotendere, come il traguardo da raggiungere eda cui ripartire per vivificare ogni giorno deltempo, ogni tempo della storia.

Dalla Pasqua tutto scaturisce: la Quaresi-ma, tempo di preparazione e di penitenza,di ritorno in se stessi e di semplificazione.Diventare poveri per accogliere la grazia inpienezza, svuotarsi per essere più capientiper ricevere l’infinita ricchezza del Risorto. Iquaranta giorni divengono quindi come unagrande veglia nell’attesa del giorno che staper venire, un giorno senza tramonti. È co-me rivivere l’inizio della creazione, quell’albalunghissima che precedette il “sia la luce”della voce di Dio con cui iniziò il “primogiorno”, la “prima dies” della storia. Ma ilpeccato oscurò, come una nube minacciosa,quel giorno stupendo che Dio aveva creatoper la sua e la nostra gioia. Il cielo divennetenebroso e l’uomo si assopì in un sonnopesante e triste da cui non poteva destarsicon le sue forze. Cristo venne a immergersiin quelle tenebre, affrontò senza paura ilbuio e la notte, ne fu come oppresso ma “letenebre non riuscirono a soffocare la luce”e questa distrusse le tenebre. Ma la luce chesplendette non fu solamente il chiarore delsole o della luna, non fu semplicemente unaltro giorno che nasceva nel tempo, fu il“nuovo tempo”, la “nuova storia” che sor-geva come giorno senza tramonto, comeun’eterna luce capace di rischiarare persempre la creazione. Un momento eterno

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Cristo, Redentore del Mondomons. Marco Frisina

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non più legato all’avvicendarsi della notte edel giorno, al divenire degli eventi, al susse-guirsi del dolore e della gioia. La Pasqua ri-splende come un giorno nuovo, nuovo per-ché ricreato, perché appartenente a unanuova economia di salvezza, un tempo chebandisce il peccato e il dolore perché svelaciò che si nasconde nell’intimo del tempo:l’eternità.

Nella Pasqua Dio rivela il suo volto lumi-noso e dà senso alla storia mostrando la po-vertà delle cose, crocifiggendo l’uomo vec-chio e la vecchia creazione, facendo risorge-re un uomo nuovo, una nuova realtà chenon si consuma semplicemente nel susse-guirsi degli eventi ma che è ancorata nell’e-ternità infinita di Dio.

Il tempo dunque si apre, si squaderna ri-velando ciò che nascondeva.Al di là delle apparenzesgorga la sorgente nuovadella vita senza fine che rive-la ogni cosa nella nuova lucedi Cristo. Non c’è più nullache possa oscurare il mon-do, non c’è più nulla chepossa uccidere la speranzaperché nel profondo dellastoria la potenza di Dio hafatto risorgere la vita senzafine e ogni cosa che si con-suma nutre la certa speran-za di non morire più se illu-minata e vivificata da quelbagliore infinito che risplen-de sul volto del Risorto.

Rimettiamoci dunque incammino verso la Pasqua,prepariamoci con tutte leforze a quest’incontro conCristo, dilatiamo il cuore peraccogliere quella luce, libe-riamolo da ogni scoria e in-tralcio per poter dar postoalla grazia. La nostra po-vertà diverrà ricchezza e ilnostro vuoto sarà colmatod’infinito.Discesa agli inferi. Roma, chiesa SS. Fabiano e Venanzio.

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a celebrazione della Pasqua del Si-gnore è il centro, il fulcro, la radicedi tutto l’anno liturgico. Non è solo

una festa, è la festa per eccellenza. Non èsolo un mistero della vita di Gesù, è il miste-ro stesso di Gesù, quello definitivo e perma-nente. Senza la Pasqua del Signore non esi-sterebbe nemmeno l’anno liturgico. Anzi,dobbiamo dire che dopo la Pasqua settima-nale, che appare giù negli scritti apostolici,la Pasqua annuale è come la radice di unanno del Signore che si sviluppa nella Chie-sa a partire dal secolo II, prima come pro-lungamento e preparazione della Pasqua,nei tempi di Pentecoste e di Quaresima, epoi attorno al ciclo natalizio, che a Romaviene celebrato, specialmente nella teologialiturgica di Leone Magno, come l’inizio delmistero pasquale. La stessa attesa messiani-ca che oggi si celebra nell’Avvento era con-tenuta nella veglia pasquale dei primi secoli,come momento del possibile ritorno del Si-gnore in mezzo ai suoi. La SC n. 102 pre-senta tutto il senso dell’Anno liturgico inquesta prospettiva unitaria che parte dallacelebrazione del mistero della Pasqua setti-manale e annuale.

Molte sono le ragioni che ci aiutano acomprendere questa centralità del misteropasquale celebrato annualmente nel Triduosacro o pasquale. Alcune di carattere bibli-co, altre di carattere liturgico.

Nella luce delle narrazioni evan-geliche

Sono tre soprattutto le considerazioni dicarattere biblico che ci aiutano a cogliere ilsenso profondo di questa centralità.

La prima è, senza dubbio, la simmetriache il mistero pasquale predicato ha con ilmistero pasquale celebrato. Sappiamo cheal centro della predicazione degli apostoliabbiamo il “Kerigma”, cioè la predicazioneapostolica prima e fondamentale, riferita aCristo che è morto ed è risorto. La prima ra-dice delle narrazioni evangeliche la trovia-mo quindi nell’evento della morte e risurre-zione del Signore, nella narrazione partico-lareggiata della passione e dei racconti dellarisurrezione. Da questo nucleo si procedeindietro fino a ricomporre tutta la vita, lapredicazione e la missione di Gesù, per arri-vare in Matteo e Luca anche ai Vangeli del-l’infanzia. Dalla Pasqua viene la luce di tuttoil mistero di Cristo.

La seconda considerazione, che emanadalla prima, è la consapevolezza che ha Ge-sù e dimostra la comunità apostolica, chela Pasqua è il momento verso cui tende tut-ta la vita del Figlio di Dio, l’evento che rica-pitola tutta la sua esistenza, il mistero cherimane eternamente presente nella gloria.

È l’ora di Gesù. Giovanni mette in lucequesta dimensione pasquale con il solenneprologo della passione che sono le parole

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La Pasqua,centro dell’Anno Liturgico

p. Jesús Castellano Cervera, ocd

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del cap. 13 del Vangelo, quando inizia “illibro della gloria”.1 Sono le parole che la Li-turgia della Parola proclama nel Vangelodella Messa in Coena Domini. Il Catechismodella Chiesa Cattolica ha evidenziato nellaforma più solenne il senso di questo miste-ro pasquale celebrato da Gesù con la suaPassione, morte e risurrezione, mistero chericapitola tutto e rimane sempre: “Nella Li-turgia della Chiesa, Cristo significa e realiz-za principalmente il suo Mistero pasquale.Durante la sua vita terrena, Gesù annunzia-va con il suo insegnamento e anticipavacon le sue azioni il suo Mistero pasquale.Venuta la sua Ora, egli vive l’unico avveni-mento della storia che non passa: Gesùmuore, è sepolto, risuscita dai morti e siedealla destra del Padre, “una volta per tutte”(Rm 6,10; Eb 7,27; 9,12). È un evento rea-le, accaduto nella nostra storia ma è unico:tutti gli altri avvenimenti della storia acca-dono una volta, poi passano, inghiottiti nelpassato. Il Mistero pasquale di Cristo, inve-ce, non può rimanere soltanto nel passato,dal momento che con la sua morte egli hadistrutto la morte, e tutto ciò che Cristo è,tutto ciò che ha compiuto e sofferto pertutti gli uomini partecipa dell’eternità divi-na e perciò abbraccia tutti i tempi e in essiè reso presente. L’evento della croce e dellarisurrezione rimane e attira tutto verso laVita.”2

Il testo del catechismo suppone un veroapprofondimento teologico della realtà delmistero pasquale come momento plenario,definitivo, permanente. In esso tutto quelloche Cristo ha fatto e detto rimane presente,ed è capace di rendersi attuale nel tempo enello spazio, ovunque e in ogni tempo.

È anche il momento escatologico che at-tira tutto verso la sua pienezza in Cristo,nella Chiesa e nel mondo.

Una conferma e una illustrazione di que-sto principio di grande valore teologico sullaliturgia come presenza del mistero pasqua-le, viene da una terza considerazione di ca-rattere biblico, ispirata alla narrazione delleapparizioni del Risorto. Nel Vangelo di Gio-vanni e di Luca, nelle apparizioni del Risortoai suoi discepoli, uomini e donne, Gesù simanifesta in quella pienezza di vita che nelsuo corpo ha come la sintesi di tutti i suoimisteri. È il Verbo incarnato – nella prospet-tiva giovannea -; è il Cristo che ha soffertosulla Croce e porta nel suo corpo - nellemani, nei piedi e nel costato - i segni deichiodi e della lancia; è il Risorto nella pie-nezza di gloria della sua umanità. Non è unfantasma. Il Cristo della Pasqua è la sintesi ela ricapitolazione di tutti i suoi misteri.

La primitiva liturgia pasqualeI testi liturgici più antichi che ci hanno

conservato il sapore della Pasqua, celebratain una veglia protratta, come l’Omelia diMelitone di Sardi, mettono in luce in unamaniera splendida quest’unità del misterocelebrato. Siamo ancora in uno stadio pri-mitivo nel quale il mistero pasquale vienereso presente in una unica celebrazione checomprende la memoria del Signore. Per laprima volta quanto viene celebrato è defini-to come “il mistero della Pasqua”, “la Pa-squa della nostra salvezza”.3 Nel corso del-l’omelia che commemora i misteri celebratisi ricorda la nascita di Cristo, l’Agnello “par-torito da Maria, la buona Agnella”. Si famenzione costante della passione del Si-

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gnore, come immolazione dell’Agnello pa-squale, e della Risurrezione.4 L’Epilogo del-l’Omelia, nella splendida autopresentazionedel Risorto in mezzo all’assemblea mediantele martellanti espressioni ripetute di quel“Io sono...”che sostengono le sue azioni ele sue qualità, costituisce l’apoteosi del Re-dentore Risorto vivente presso il Padre pre-sente nella Chiesa, nella sintesi dei suoi mi-steri.5

Forse ancora in una maniera più elabora-ta, l’Omelia coeva dell’Anonimo quartodeci-mano, fa la sintesi della celebrazione mista-gogica della Pasqua. Specialmente nella se-conda parte che canta l’economia di Cristocome compimento della Pasqua giudaica,celebra nel memoriale della parola l’incarna-zione del Figlio di Dio, la Cena con l’istitu-zione dell’Eucaristia, l’agone cosmico nellapassione sull’albero glorioso della Croce, lasepoltura, la risurrezione, l’ascensione al cie-lo, per concludere in una apoteosi del Risor-to, invocato direttamente dall’assemblea co-me presente in mezzo ai fedeli che celebra-no il memoriale della sua Pasqua.6 Le parolededicate in questa Omelia alla memoria del-la Cena pasquale e all’istituzione dell’Eucari-stia, con le parole stesse di Gesù sul pane esul calice, sono di grande valore espressivo edi profonda teologia per il legame che stabi-lisce fra il celebrare la Pasqua, “mangiare” laPasqua e “patire” la Pasqua.7

La Pasqua non è qualcosa, è Qualcuno.“Io sono la Pasqua della vostra salvezza”esclama il Cristo nell’Omelia di Melitone diSardi con un testo che prova pur nel suo sti-le retorico la consapevolezza della presenzadi Cristo Risorto in mezzo all’assemblea.8 Inmodo simile l’Omelia dell’Anonimo quarto-

decimano rivolge a Cristo-Pasqua e lo invo-ca come Pasqua divina, gioia dell’universo.9

Questi due testi sono la testimonianzaviva di una unità celebrativa originale dellaPasqua che fa memoria dell’insieme del mi-stero pasquale, come compimento del dise-gno del Padre, dell’attesa del popolo ebrai-co, del mistero dell’Incarnazione, e special-mente di quanto avviene, con la cena pa-squale, nella prospettiva della morte e dellaRisurrezione.

La celebrazione del Triduo sacroo pasquale

Il triduo pasquale, con il suo solenne ini-zio nella Messa nella Cena del Signore, ce-lebra questo mistero della Pasqua del Si-gnore in tutta la sua compiutezza. Da talecompiutezza, anche se le formule di Agosti-no parlano del Triduo di “Cristo morto, se-polto e risorto”, non si può assolutamentestaccare la celebrazione dell’ultima Cena;essa è il momento in cui formalmente Gesùentra nella sua passione, anticipa sacramen-talmente la sua morte gloriosa con i gesti,le parole, le preghiere e gli elementi dellanuova Pasqua, e annuncia, ancora una vol-ta, la sua prossima risurrezione.

Anche la celebrazione eucaristica, nucleofondamentale del memoriale del Signoremorto e risorto, Pasqua quotidiana dellaChiesa e Pasqua settimanale del giorno delSignore, rende presenti i tre momenti suc-cessivi della Pasqua del Signore: la memoriadella Cena, l’evento della passione e mortedel Signore, la presenza del Risorto. Quelloche avviene in ogni celebrazione del memo-riale del Signore è celebrato progressiva-mente, nella sua continuità ed unità, nei tre

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momenti del Triduo pasquale: la Pasqua delCenacolo, la Pasqua del Calvario, la Pasquadel Risorto.

Solo in questa visione unitaria si può ca-pire l’unità del mistero pasquale nel suorealizzarsi, a partire proprio dalla ritualità diuna Cena pasquale, del realismo tragico esimbolico insieme dell’immolazione dell’A-gnello, dell’Esodo pasquale dalla morte allavita che fissa per sempre nell’eternità e neltempo Cristo come Crocifisso Risorto.

Nella ricchezza delle celebrazioni delTriduo pasquale, delle parole, dei gesti edei riti, specialmente quelli della Veglia pa-squale, come la grande liturgia della Parolache culmina con l’annunzio della Risurre-zione, troviamo i semi fecondi dell’Anno li-turgico, come uno sviluppo o meglio comeun dipanarsi, con precise celebrazioni neltempo, del mistero di Gesù, giunto al suoculmine nella pienezza del suo camminodal Padre verso il Padre nello Spirito. E, perquesto, reso presente eternamente nel cie-lo e sacramentalmente nella liturgia dellaChiesa.

La dimensione pasquale dell’An-no liturgico

Alla luce di queste considerazioni nonsolo la Pasqua è centro dell’anno liturgico,ma possiamo affermare allo stesso modoche la luce del “kerigma” della Risurrezioneillumina di senso tutti i misteri della carne diCristo; in modo analogo la celebrazione delmistero pasquale contamina della grazia delmistero della morte-risurrezione tutti gli altritempi e misteri del Signore nell’Anno litur-gico, a partire dalla Domenica che è la Pa-squa settimanale della Chiesa.

Il Natale è illuminato con gli splendoridella risurrezione, anche nelle stesse narra-zioni di Luca. Il Battesimo e la Trasfigurazio-ne sono anticipazioni parziali della Pasqua.La Quaresima è il cammino di Gesù verso larealizzazione del mistero pasquale. La Pen-tecoste o cinquantina pasquale è la celebra-zione della presenza, delle promesse e dellarealizzazione del dono dello Spirito Santoalla sua Chiesa. Il tempo di Avvento è pro-fezia di colui che doveva venire e attesa diColui che, Risorto dai morti, sta venendo

Icona, Cristo sofferente, Monte Athos.

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1 “Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo cheera giunta la sua ora di passare da questo mon-do al Padre, avendo amato i suoi che erano nelmondo li amò sino alla fine” (Gv 13,1).

2 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1085.

3 I più antichi testi pasquali della Chiesa. Le ome-lie di Melitone di Sardi e dell’Anonimo quarto-decimano e altri testi del II secolo. Introduzione,traduzioni e commento di Raniero Cantalames-sa, Edizioni Liturgiche, 1972; Omelia di Melitonedi Sardi: nn. 11.65.69.103.

4 Ibid. nn. 66-71;95-98; 99.

5 Ibid. nn. 100-105.

6 Omelia dell’Anonimo quartodecimano, nn. 75 ess. Incarnazione; n.92 la cena e l’istituzione del-

l’Eucaristia; nn. 94 e ss. la croce e l’agone co-smico; nn. 104 e ss., e in particolare nn. 111-112 la risurrezione; nn. 114-116 l’Ascensione.

7 Ibid. n. 92.

8 Omelia di Melitone di Sardi, nn. 100-110.

9 Omelia dell’Anonimo quartodecimano, nn. 117-121.

10 Leone Magno, Sermone 63,7:PL 357 C. Il testocompleto, parzialmente citato in LG n. 26 reci-ta così: “La nostra partecipazione al corpo e alsangue di Cristo non tende ad altro che a tra-sformarci in quello che riceviamo (ut in hocquod sumimus transeamus), a farci rivestire intutto, nel corpo e nello spirito, di colui nel qua-le siamo morti, siamo stati sepolti e siamo risu-scitati”.

continuamente incontro alla sua Chiesa.Nella celebrazione della veglia pasquale deiprimi secoli l’attesa della venuta del Signo-re, che secondo le tradizioni verrà nel tem-po di Pasqua, era già un’anticipazione delsenso escatologico del nostro tardivo Av-vento romano.

Anche le feste di Maria e le memoriedei santi hanno un rapporto vivo con ilmistero centrale della nostra fede. E dellacelebrazione dei santi afferma la SC n.104 : “Nel giorno natalizio dei santi, laChiesa predica il mistero pasquale nei san-ti che hanno sofferto con Cristo e con luisono glorificati”.

Tutto è proiezione e presenza del miste-ro pasquale del Signore: la parola che ha

nel Risorto la chiave di comprensione, lapreghiera, che si rivolge al Padre per mezzodi Cristo, sempre vivo presso il Padre per in-tercedere per noi, i sacramenti che sono co-me fiumi di vita che fuoriescono dal costa-to di Cristo e azioni del Risorto, e in modotutto speciale, come abbiamo ricordato, èmemoria viva del Cenacolo, della Croce edella Risurrezione.

La centralità del mistero pasquale cele-brato richiama la grazia stessa della vita incomunione con Cristo nel suo mistero pa-squale vissuto, che consiste nel partecipare,mediante i sacramenti pasquali e in modospeciale l’Eucaristia, della vita stessa di co-lui nel quale “siamo morti, siamo stati se-polti e siamo risuscitati”. 10

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1. In principio non fu cosìolte volte diamo per scontato chetutto sia così come noi lo vediamoora. Specialmente nei nostri tempi,

quando la memoria tende ad accorciarsi,non riusciamo più ad immaginare la situa-zione attuale come il frutto di una lenta evo-luzione, scandita da passaggi intermedistrettamente legati tra loro.

Anche nella liturgia, questo lento e gra-duale cambiamento caratterizza la nascita,lo sviluppo e l’assestamento di alcune grandicelebrazioni.

Scopo di questo breve intervento è unaprima, sommaria riflessione sul processoevolutivo che ha portato dalla Veglia al Tri-duo pasquale. Cercheremo di dare solo deicenni, rimandando gli approfondimenti astudi più qualificati. 1

2. Origini della Veglia pasqualeIl primo a parlare di Triduum sacrum fu

sant’Ambrogio, intendendo qualificare letappe storiche del mistero pasquale di Pas-sione, Morte e Resurrezione del Signore.2

Poco più tardi, anche sant’Agostinoavrebbe parlato, in termini più o meno simi-li,3 ma dobbiamo attendere il 1930 per sen-tir parlare, per la prima volta, di Triduum pa-schale, così come avviene ai giorni nostri4.

Ma prima di parlare del Triduo, occorreesaminare le motivazioni che diedero originealla Veglia pasquale.

Com’è noto, i primi cristiani celebravanola Resurrezione del Signore durante l’Eucari-stia domenicale. Dunque, prima del II secolonon esiste una Domenica riservata alla me-moria “storica” dell’evento fondante dellafede cristiana. Alcuni studiosi suppongonoche il racconto della Passione di Giovanni ri-senta della prassi liturgica delle Chiese dell’A-sia Minore, che celebravano la Pasqua il 14 dinisan. 5 La Didascalia Apostolorum, docu-mento siriano del III secolo, ci offre delle noteinteressanti sul digiuno: da qui si evince unaprima, germinale impostazione di un triduosacro, diverso dal periodo previo di prepazio-ne, ovvero la nostra Quaresima. Accanto aqueste indicazioni, ritroviamo i SacramentariGregorianum, Gelasianum vetus e, molto piùtardi, Gelasianum VIII sec. che elencano leletture della Veglia: le stesse rimaste in usocon il Messale di San Pio V (1570)!

Nello stesso periodo, con lo scopo di stac-carsi definitivamente dalla tradizione giudaica,le Chiese legate alla tradizione occidentale, edunque a Roma, iniziano a celebrare la Pa-squa nella domenica successiva al 14 di nisan,creando però non poche difficoltà nel dialogocon le Chiese sorelle d’Oriente. Ancora oggi,la Chiesa cattolica celebra la Pasqua nella do-menica successiva al plenilunio di primavera.

I primi a offrire una descrizione dettagliatadella Veglia pasquale sono Tertulliano, per leChiese d’Africa, e Ippolito, per la Chiesa di Ro-ma. Pur con alcune differenze, si nota che la

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Dalla Veglia pasquale al triduo.Storia e lineamenti teologici

don Fabio Corona

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celebrazione ruota tutta intorno alla celebra-zione del Battesimo, e dunque dell’Iniziazionecristiana. Intorno al IV secolo questa strutturacomincerà ad avere una sua solidità, testimo-niata anche dalla stesura delle prime catechesie dalla conseguente prassi mistagogica. Tre glielementi portanti: l’ascolto della Parola di Dio,la celebrazione del Battesimo (e Cresima) e ilculmine, l’Eucaristia.

Accanto a questi punti focali, si aggiungo-no man mano altri segni, come la benedizionedel fuoco e quella del cero, inizialmente dovu-ta a questioni pratiche, come il far luce in am-bienti sostanzialmente bui e rischiarare la stra-da ai fedeli che giungevano in città, provenen-do dalle campagne. Ben presto, tutte le partidella messa vengono arricchite dal canto cora-le, a sottolineare la solennità dell’uno o dell’al-tro momento. Le tradizioni in proposito sonosvariate.

3. Verso una completezza del Triduo“Il Triduo pasquale della Passione e della

Resurrezione del Signore ha inizio dalla Messain Coena Domini, ha il suo fulcro nella Vegliapasquale, e termina con i Vespri della Domeni-ca di Resurrezione”.6 Così recitano le Normedel Messale Romano, che in sintesi ci offronouna chiara visione dell’ampio panorama delTriduo pasquale.

Solo nel VII secolo troviamo l’inserimentodi una celebrazione al Giovedì Santo, o me-glio, tre celebrazioni: una al mattino per la ri-conciliazione dei penitenti, una a mezzogior-no per la benedizione degli olii sacri e una al-la sera, senza Liturgia della Parola, a comme-morazione dell’Ultima Cena di Gesù. La rifor-ma del Concilio Vaticano II ha inteso ristabilirel’unità del Triduo: “Mentre il Triduo ci presen-ta la realtà nella sua dimensione storica, ilGiovedì santo ce lo trasmette nella sua di-

mensione rituale”.7 Il tono festivo della cele-brazione vespertina ben si fonde con le lettu-re, che orientano lo spirito al servizio e allacarità fraterna intesa come condivisione dellaPassione di Gesù. In quest’ottica bisogna in-terpretare il nuovo inserimento della Lavandadei piedi, già citata da sant’Agostino e fino al1955 riservato alla sola Chiesa cattedrale, e laprocessione con il Santissimo fino all’Altaredella Reposizione dove rimane fino al giornoseguente per la preghiera dei fedeli.

Il Venerdì Santo, giorno di digiuno per ec-cellenza, la Chiesa non ha mai celebrato l’Eu-caristia. Ancora oggi si ritrova a orario conve-niente per fare memoria della Passione e Mor-te del Signore. L’adorazione della Croce, chesostituisce la Liturgia eucaristica, ha origine aGerusalemme nel IV secolo, come attestanoSan Cirillo, vescovo, ed il famoso Itinerariumdella pellegrina Egeria.

Il filo conduttore di questa Celebrazioneè l’amorosa contemplazione del Sacrificiocruento di Gesù, secondo il tracciato delVangelo secondo Giovanni. Tutti i testi, bibli-ci ed eucologici, sono intrisi della teologiadella Croce salvifica.

Una nota riguardante il digiuno: la suastretta osservanza in questo giorno è parteci-pazione attiva al sacrificio di Cristo, nel mo-mento in cui, dice il vangelo di Luca, “lo Spo-so è tolto” (Lc 5,33-35).

Già dai tempi della discussione sulla datadella Pasqua, il digiuno sembrava influenza-re il giorno del Sabato Santo, rendendoloperciò un giorno “aliturgico”. Raccolti soloper pregare con la Liturgia delle Ore, i fedeliattendono la grande Veglia della notte. Essapuò avere un’antipode nel caso in cui si ce-lebrassero al mattino del Sabato l’ultimoesorcismo e la Redditio Symboli per il Batte-simo degli adulti.

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Uno dei motivi principali di discussione nel-la Commissione che revisionò le celebrazionidel Triduo pasquale è rappresentato dall’unità,ancora messa fortemente in crisi dalle celebra-zioni dei singoli giorni senza un vero legametra loro. Ancora oggi, alcune Comunità cele-brano con maggiore solennità l’uno o l’altrogiorno, rispettando usanze che si perdononella notte dei tempi. Così come è facile anco-ra oggi sentir parlare di “sepolcro”, confon-dendo il tabernacolo provvisorio del GiovedìSanto con la tomba del Signore, senza peral-tro trovare un nesso dal punto di vista storico-liturgico. In Occidente infatti, a differenza del-l’Oriente, non esiste una Celebrazione dellaSepoltura di Gesù. Sarebbe ipotizzabile?

4. La celebrazione della Veglia oggiCoraggioso e competente è l’intervento

radicale avviato nel 1951, sotto la spinta di PioXII, che vuole riportare, seppure ad experi-mentum, la Veglia alle usanze più antiche.

Nel corso dei secoli, infatti, la Veglia edunque l’intero Triduo, subisce una continuamanomissione. Motivo principale: il digiunoin preparazione alla Comunione. Essendo ifedeli tenuti al digiuno dalla mezzanotte delgiorno precedente, tutte le celebrazioni su-biscono un arretramento di orario, fino adanticipare la Veglia al mattino del SabatoSanto. Le campane sciolte a mezzogiornodel Sabato restano ancora un felice ricordoper molti ma, di fatto, risulterebbero crono-logicamente troppo in anticipo!

La riduzione del digiuno a tre ore antece-denti la Messa consente la Celebrazione inorario conveniente, più vicino al misterostesso di cui si fa memoria.

Dopo un’esperienza di oltre dieci anni,l’Ordo per la Veglia pasquale subisce un ri-tocco e un definitivo assestamento, per ar-

rivare così com’è ai giorni nostri. Anche sesemplificata e ricondotta agli schemi piùantichi, liberata da tutti gli orpelli di originebarocca, la Veglia pasquale resta il cuore ditutto l’anno liturgico, “la Madre di tutte leveglie”, come amava definirla Sant’Agosti-no.8 Per questo motivo richiede una prepa-razione attenta e scrupolosa, lasciando chesiano i segni stessi a parlare. Ovviamente,non è richiesta alcuna aggiunta alla simbo-logia, di per sé già abbondante e ricca di si-gnificato.

La Veglia si apre con la benedizione delfuoco, fuori dalla Chiesa, in luogo facilmen-te accessibile per i fedeli. Al fuoco benedet-to, segno della nuova vita, si accende il Ceropasquale, luce di Cristo che irrompe nellanotte del mondo. A questa luce tutti i fedeliaccenderanno la propria luce, memoria delBattesimo e impegno di testimonianza, perportare la luce di Cristo in tutti gli ambientidi vita. Anche se criticato da più parti, il can-to dell’Exultet sfocia con naturalezza tral’accensione delle luci e la proclamazionedella Parola di Dio. Soppressi i vari Flectamusgenua e dismesso l’abito penitenziale, la Pa-rola di Dio gode oggi di un carattere tipica-mente vigiliare, intervallata com’è dal cantodei salmi e dalle orazioni presidenziali, fino agiungere al Gloria, vera e propria esplosionedi gioia. Brevemente la Liturgia della Parolaindugia con l’Epistola e poi con il Canto alle-luiatico, fino ad arrivare alla proclamazionedel Vangelo e alla sua spiegazione.

Qui si inserisce la seconda parte, quellapiù propriamente battesimale, con l’opportu-nità o meno di benedire il fonte in occasionedi un Battesimo. Questa sarebbe davvero l’oc-casione straordinariamente efficace per viverei sacramenti dell’Iniziazione cristiana, special-mente oggi, quando sono sempre più nume-

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——————1 A. Nocent, Il triduo pasquale e la settimana san-

ta, in Anamnesis, vol. VI, pp. 93-123, Marietti,Genova 1989. A. Bergamini, Triduo pasquale, inD. Sartore e Coll. (a cura di), Liturgia, pp. 2028-2037, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 2001.

2 Ambrogio di Milano, Epistulae, 23,12-13: PL 16,1030.

3 Agostino d’Ippona, Epistulae, 55,24: PL 33,215.

4 P. Jounel, Il Triduo pasquale, in A.-G. Martimort(ed.), La Chiesa in preghiera, vol. IV, Brescia1984, 65, n. 28.

5 R. Cantalamessa, La Pasqua della nostra salvez-za, Marietti, Torino 1971, pp. 110-111.

6 Messale Romano, p. LV.

7 S. Marsili, Il triduo sacro e il giovedì santo, in“Rivista Liturgica” 55, (1968), 37.

8 Agostino d’Ippona, Sermo 219, PL 38, 1088.

9 A. Bergamini, art. cit. p. 2032.

10 Cfr “Rivista Liturgica”, 5 (1989) e 1 (1990); cfrinoltre AA.VV. Celebrare l’unità del Mistero pa-squale, 3 voll., LDC, Torino – Leumann, 1994 –1996.

rosi giovani e adulti a chiederla. Un’occasionespeciale per i battezzandi ma anche per la co-munità intera.

La liturgia prosegue come di consueto,con particolare solennità, com’è giusto chesia. Si tratta infatti del Banchetto pasquale, incui Cristo rinnova efficacemente la sua pre-senza in mezzo al popolo di Dio.

5. Spunti per una discussioneScopo principale della riforma della Ve-

glia e del Triduo pasquale è quello di far par-lare nuovamente i segni, a cominciare dallacollocazione cronologica in piena notte,quando tutt’intorno è davvero buio. Nonsembrano aver recepito tale messaggioquelle comunità che ancora oggi si ostinanoad anticipare la celebrazione della Veglia alpomeriggio o alla prima sera. Così come, adistanza di cinquant’anni, altre Comunitàcomprendono la Veglia come un diverso or-dine delle rubriche, senza intenderne il signi-ficato più intenso, che è quello di celebrare

Cristo risorto, Signore e giudice della storia.Non è giusto neanche “appaltare” la cele-brazione ad alcuni gruppi specifici che, sep-pur in buona fede, rischiano di monopoliz-zare i riti, escludendo il gran numero dei fe-deli.

Nel suo intervento alla voce Triduo pa-squale del Nuovo Dizionario di Liturgia,9 A.Bergamini fa notare l’obiezione posta da al-cune Comunità, le quali suggeriscono la pos-sibilità di offrire più schemi celebrativi sia per isingoli, sia per i tre giorni nel loro comples-so.10 Ciò al fine di salvaguardare l’interesse dipiccole comunità che, pur non avendo mezzio persone sufficienti, godono il diritto di ave-re la loro celebrazione.

Tali critiche si fondano su motivi storici, bi-blico – teologici e pastorali e richiedonoun’attenta valutazione. Al fine di evitare i poliopposti, astrazione o pragmatismo, si richie-dono una cura sapiente e una discreta capa-cità comunicativa per far sì che siano i segnistessi a parlare.

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e premesse all’iniziazione cristianaspiegano che per mezzo dei sacra-menti dell’iniziazione cristiana, gli

uomini uniti con Cristo nella sua morte, nel-la sepoltura e risurrezione, vengono liberatidal potere delle tenebre, ricevono lo Spiritodi adozione a figli e celebrano con tutto ilpopolo di Dio il memoriale della morte e ri-surrezione del Signore.1

Parlando poi della dignità del battesimo,sacramento della fede come risposta all’an-nunzio del vangelo fatto dalla Chiesa – cheincorpora gli uomini alla Chiesa popolo diDio, corpo di Cristo e tempio dello Spirito,purifica dal peccato originale e da quelli per-sonali e fa rinascere come figli di Dio – affer-ma che il battesimo opera questi effetti inforza del mistero della morte e risurrezionedel Signore, che il rito significa, attua e a cuifa partecipare. Da ciò si deduce l’opportu-nità di celebrarlo nella veglia pasquale o al-meno di domenica, giorno del Signore,2 cu-rando in ogni caso che la celebrazione mani-festi sempre la sua indole pasquale ed espri-ma la gioia della risurrezione.3

La cosa è esplicitamente affermata perl’iniziazione cristiana degli adulti: “poiché l’i-niziazione cristiana non è altro che la primapartecipazione sacramentale alla morte e ri-surrezione di Cristo… tutta l’iniziazione cri-stiana deve rivelare chiaramente il suo carat-tere pasquale. Perciò la quaresima sia effica-cemente indirizzata a una più intensa prepa-razione degli eletti, e la stessa veglia pa-

squale sia considerata il tempo più conve-niente per il conferimento dei sacramentidell’iniziazione”.4

Perciò raccomanda: “I pastori disponga-no, di norma, il rito dell’iniziazione in modoche i sacramenti siano celebrati nella vegliapasquale”.5 Ancora più tassativo è il n. 55del RICA: “I sacramenti dell’iniziazione degliadulti si celebrino nella veglia pasquale”.

La stessa raccomandazione viene dataper il battesimo dei bambini: “Per meglioporre in luce il carattere pasquale del batte-simo, si raccomanda di celebrarlo durante laveglia pasquale, o in domenica, giorno incui la Chiesa commemora la risurrezione delSignore”.6

La testimonianza della tradizioneLa prima attestazione del battesimo a pa-

squa risale a Tertulliano: nel suo trattato sulbattesimo egli pur ammettendo che ognitempo è buono per celebrarlo, indica cometempo ideale per la sua celebrazione la festadi Pasqua o il tempo di pentecoste, perchécon il battesimo veniamo immersi nella pas-sione del Signore.7 In termini simili si espri-me Ippolito di Roma nel suo commento al li-bro di Daniele.8 Ma solamente nel secolo IVla notte di pasqua diventa la notte del batte-simo, e nella Chiesa romana tale rimarrà si-no al secolo XIII.

La testimonianza esplicita più antica èquella di Asterio di Amasea nella sua omeliasul salmo 5 pronunziata tra il 337 e il 341,

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Il Battesimo nella Veglia Pasqualep. Pietro Sorci, ofm

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dove egli parla della veglia come “notte‘ninfagoga’ della Chiesa, e madre dei neoil-luminati”: “O notte più splendente del gior-no, o notte più luminosa del sole, o nottepiù bianca della neve, o notte più brillantedella saetta, o notte più lucente delle fiacco-le, o notte più deliziosa del paradiso, o nottelibera dalle tenebre, o notte piena di luce, onotte che scacci il sonno, o notte che inse-gni a vegliare con gli angeli, o notte terribileai demoni. O notte desiderio dell’anno, onotte ninfagoga della Chiesa, o notte madredei neoilluminati, o notte in cui il diavolodormiente è spogliato, o notte in cui l’eredeha introdotto l’ereditiera nell’eredità, fino al-la fine per colei che ha ereditato”.9

Informazioni più circostanziate ci vengo-no da Gerusalemme per la testimonianzacongiunta delle catechesi di Cirillo di Geru-salemme e del Diario di Egeria tra il 381-384. Essi ci informano delle catechesi pre-paratorie al battesimo durante la quaresi-ma e degli esorcismi prebattesimali, dei ritibattesimali nella veglia con la triplice rinun-cia, la triplice professione di fede e la tripli-ce immersione come mimesi dei tre giornipassati da Cristo nel sepolcro prima di ri-sorgere, della consegna della veste bianca,dell’unzione con il santo crisma e della pri-ma partecipazione all’eucaristia, e infinedelle catechesi mistagogiche nella settima-na pasquale.10

Negli stessi anni Gregorio di Nazianzo cioffre la prima esplicita testimonianza del-l’impiego della luce nei riti battesimali.11

Le dodici catechesi battesimali di Giovan-ni Crisostomo giunte sino a noi risalgonoagli anni 387-390, al periodo cioè in cui egliera ancora presbitero ad Antiochia, e furono

tenute sei prima del battesimo e sei nellasettimana pasquale. Particolarmente prezio-sa è la quarta, pronunziata il giovedì santodel 387. Da essa sappiamo che ad Antiochiala rinuncia a Satana e l’adesione a Cristoavevano luogo il venerdì santo all’ora nona,nella veglia i catecumeni venivano unti conl’olio in tutto il corpo, facevano la professio-ne di fede e scendevano nella piscina per ri-cevere il battesimo per le mani del vescovo,che stendeva la mano sulla testa del battez-zando pronunziando la formula battesimale:“Il tale è battezzato nel nome del Padre edel Figlio e dello Spirito Santo”, risalendo ri-cevevano il bacio di pace dei fratelli e parte-cipavano alla mensa del corpo e sangue diCristo.12

In Occidente Ambrogio testimonia dellalavanda dei piedi, che nella Chiesa di Mila-no si compiva nei confronti dei neofiti subi-to dopo il battesimo con la lettura del van-gelo di Gv 13,4-11. Ambrogio difende que-sta pratica e il diritto della Chiesa di Milanodi seguire proprie tradizioni contro coloroche vorrebbero sopprimerla per il semplicefatto che a Roma non era conosciuta.13 Etutti e due attestano che nelle loro Chiesela triplice immersione era strettamente col-legata alla triplice professione di fede, comenella Tradizione Apostolica attribuita ad Ip-polito di Roma e inoltre il canto del salmo41 nella liturgia battesimale.14 Nel 385 papaSiricio ci informa che a Roma la veglia pa-squale è la grande notte battesimale15 e loconferma verso la metà del secolo V LeoneMagno.16 In una lettera ai vescovi della Sici-lia egli riprova come abuso da estirpare im-mediatamente la consuetudine che si anda-va diffondendo in quella regione di celebra-

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re il battesimo oltre che a Pasqua anchenella solennità dell’epifania, sminuendol’importanza della ricorrenza pasquale.17 Lostesso pontefice in un’omelia all’inizio dellaquaresima parla di migliaia e migliaia di ca-tecumeni che si preparano a ricevere il bat-tesimo a pasqua.18

Le radici di questa scelta stanno nella in-terpretazione della pasqua come inizio dellavita nuova e nei testi paolini che presentanoil battesimo come nuovo e vero esodo (1Cor 10,1-11), immersione nella morte del Si-gnore e passaggio alla vita nuova (Rm 6,1-14), morire e risorgere con Cristo (Col 3,1-4); in quelli giovannei che ne parlano comerinascita a nuova vita (Gv 3,1-13) e in 1 Pt1,3-23; 2,1-10, che ne parla come rigenera-zione da un seme incorruttibile e uno strin-gersi a Cristo pietra viva rigettata da gli uo-mini, ma divenuta pietra angolare.

Del resto il battesimo dei proseliti pratica-to dalla comunità giudaica all’inizio dell’eracristiana (tebila), che presenta impressionan-ti analogie con la prassi della Chiesa antica,aveva luogo in prossimità della pasqua inmodo che il nuovo entrato, dopo aver attra-versato simbolicamente il Mar Rosso, potes-se celebrare la pasqua.

Le letture biblicheLa collocazione dell’iniziazione nella ve-

glia pasquale portò con sé l’organizzazionedi tutta la quaresima, con le letture biblicheassegnate a questo tempo, la creazione deitesti eucologici, gli scrutini, la tradizione delSimbolo e della preghiera del Signore e i ritidel sabato santo immediatamente prece-denti l’iniziazione e soprattutto la reimpo-stazione della veglia.

A parte la lettura di Es 12, attestata nellacelebrazione della veglia sin dalle omeliequartodecimane già alla metà del II secolo,le fonti che ci fanno conoscere le pericopibibliche che venivano proclamate nella ve-glia pasquale sono posteriori al quinto seco-lo, quando già l’iniziazione faceva parte del-la veglia. Esse quindi devono essere lette inchiave battesimale.

A Roma esistevano due tradizioni, quellain uso presso le chiese affidate a un presbi-tero, attestata dal sacramentario così dettoGelasiano che prevedeva 10 letture dell’AT edue del NT: Gn 1; Gn 5 (il diluvio); Gn 22 (ilsacrificio di Abramo) Es 14 (il passaggio delmare) seguito da cantico; Is 54 (la nuovaGerusalemme); Ez 37 (la visione delle ossaaride); Is 4 (gli scampati di Gerusalemme); Es12 (l’agnello pasquale); Dt 31 (il testamentodi Mosè); Dan 3 (fanciulli nella fornace) se-guito dal cantico; Col 3,1-4 (Se siete risorticon Cristo, cercate le cose di lassù); Mt28,1-7 (Non è qui, è risorto).

La seconda è la tradizione in uso nelle ce-lebrazioni presiedute dal vescovo, attestatadal sacramentario Gregoriano, che prevedesei letture: quattro dell’Antico e due del NT:Gn 1 (la creazione); Es 14 (il passaggio delmare); Is 4; Is 54 (la nuova Gerusalemme) oDt 31 (il testamento di Mosè).

Quando la liturgia romana si impose nel-la Gallia fu adottato il sistema di letture delGelasiano con l’aggiunta di Bar 3 (la sapien-za cammina in mezzo agli uomini), dopo Is54 e di Giona 3 dopo Es 12. Questo sistemacon il Messale di Pio V del 1570 sarà ripresodalla liturgia romana e arriverà al 1956,quando i riti della settimana santa sarannoriformati da Pio XII.

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La liturgia bizantina prevedeva ben 15letture dell’AT e due del NT. Quelle dell’Anti-co erano nell’ordine: Gn 1,1-13 (E Dio disse:sia la luce); Is 60,1-10 (Rivestiti di luce, Ge-rusalemme); Es 12,1-11 (l’agnello pasquale);Giona 1-4 (Rimase nel ventre del pesce tregiorni e tre notti); Gs 5,10-15 (la prima pa-squa in terra di Canaan); Es 13,20-15,19 (ilpassaggio del mare); Sof 3,8-15 (Io attesi si-no al giorno della risurrezione); 1 Re 17,8-24 (Elia risuscita il figlio della vedova di Za-repta); Is 61,10-62,5 (la gioia nuziale dellanuova Gerusalemme); Gn 22,1-18 (il sacrifi-cio di Abramo); Is 61,1-10a (la consacrazio-ne del messia re e sacerdote); 2 Re 4,8-37(Eliseo risuscita il figlio della Sunamita); Is63, 11-64,5 (il popolo ricorda il passaggiodel mare); Ger 31,31-34 (la nuova alleanza);Dan 3,1-56 (i tre fanciulli nella fornace) se-guita dal cantico di Dan 3, 57-90. Quelle delNT sono: Rm 6,3-11 (siete stati sepolti conCristo); Mt 28,1-20 (Non è qui, è risorto).

Queste letture nell’antichità costituivanouna grande catechesi mistagogica che face-va rivivere ai fedeli battezzati la loro inizia-zione, mentre nel battistero i catecumeni ve-nivano battezzati e confermati. I neofiti investe bianca e con le lucerne in mano, ac-colti gioiosamente da tutta l’assemblea, fa-cevano il loro ingresso in chiesa prima dellaliturgia eucaristica con le letture del NT.

L’iniziazione nella Veglia secondoil Messale di Paolo VI.

La riforma liturgica, anticipata per moltiaspetti da Pio XII nel 1951 e nel 1956, deli-berata dal concilio Vaticano II e attuata dalMessale di Paolo VI, ha ristrutturato la litur-gia della veglia pasquale e rinnovato, per

adeguarla alla cultura e alla sensibilità delnostro tempo, la liturgia battesimale.

Com’è noto la liturgia inizia con il lucer-nale, l’accensione del fuoco, la preparazionedel cero, la processione del lumen Christi ela solenne benedizione del cero con il cantodell’Exultet.

Segue la liturgia della parola: le letture,facendo sintesi tra la tradizione gelasiana equella gregoriana e aggiungendo qualchebrano non presente nella tradizione, presen-tano i quadri essenziali della storia della sal-vezza che trova compimento nell’iniziazionecristiana, come molto bene mettono in lucei salmi responsoriali e le orazioni, risalenti al-la più antica tradizione romana, che seguo-no a ciascuna.

Gen 1,1-2,2 (Dio vide quello che avevafatto: era cosa molto buona), seguita dal Sal103: Manda il tuo Spirito, Signore e rinnovala faccia della terra.

La creazione tratta dalle acque primordialisulle quali lo Spirito di Dio si librava, ha il suovertice nella creazione dell’uomo e della don-na a immagine e somiglianza di Dio. Ma segrande fu l’opera della creazione, ancora piùgrande è quella della redenzione nella pie-nezza dei tempi in virtù del sacrificio pasqua-le di Cristo, che per il credente si compie nel-la nuova nascita dall’acqua e dallo Spirito.

Gen 22,1-18 (Il sacrificio di Abramo no-stro padre nella fede), con il Sal 15: Proteg-gimi, o Dio, in te mi rifugio.

Nel sacramento del battesimo, con ilquale Dio moltiplica sulla terra i suoi figli diadozione, si compie la promessa fatta adAbramo di renderlo padre delle nazioni, ma

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il battesimo implica una risposta di fede si-mile a quella di Abramo.

Es 14,15-15,1 (gli Israeliti camminaronosull’asciutto in mezzo al mare), con il canticodi Es 15,1-7a.17-18: Cantiamo al Signore,stupenda è la sua vittoria.

L’esodo con i prodigi che l’accompagna-rono è letto dalla Chiesa come prefigurazio-ne dell’evento battesimale che si compie perla salvezza non più di un solo popolo ma ditutti i popoli della terra: il Mar Rosso è figuradel fonte battesimale, il popolo liberato è fi-gura del popolo cristiano. Questo non annul-la i privilegi concessi all’antico popolo dell’al-leanza, ma li estende all’intera umanità.

Is 54, 5-14 (Con affetto perenne il Signo-re tuo redentore, ha avuto pietà di te), se-guito dal Sal 29: Ti esalto, Signore, perchémi hai liberato.

L’amore che Dio ha manifestato versol’antico popolo dell’alleanza, che ha redento,purificato, reso ricco di ogni bellezza e legatoa sé con un patto nuziale intramontabile, laChiesa chiede che Dio lo manifesti ancora,moltiplicando il numero dei suoi figli, perchéla speranza dei patriarchi e il sogno degli anti-chi profeti trovi la sua piena realizzazione.

Is 55,1-11 (Venite a me e vivrete: stabiliròper voi un’alleanza eterna), seguita dal can-tico di Is 12,2.4-6.

La nuova alleanza comporta il perdonodei peccati: essa è offerta da Dio gratuita-mente a tutti, ma esige da parte degli uomi-ni il riconoscimento del proprio bisogno diDio, la ricerca, l’ascolto della sua parola el’accettazione del dono di salvezza. Il batte-

simo appare come il sacramento che ci faentrare nell’alleanza nuova ed eterna.

Bar 3,9-15.32-4,4 (Cammina allo splen-dore della luce del Signore) con il Sal 18: Si-gnore, tu hai parole di vita eterna.

La rinascita battesimale costituisce l’iniziodella vita nuova, per permettere di cammi-nare dietro a Cristo luce del mondo e sa-pienza di Dio, come figli della luce.

Ez 36,16-17a.18-28 (Vi aspergerò conacqua pura: vi darò un cuore nuovo), segui-ta dal Sal 41: Come una cerva anela ai corsid’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio.

Il bagno battesimale, per la potenza delloSpirito Santo, compie per il credente l’asper-sione con l’acqua pura annunziata dal pro-feta, il raduno dei dispersi nell’unico popolodi Dio, la purificazione dal peccato, il donodel cuore nuovo, l’ingresso nella terra pro-messa. Esso rinnova la giovinezza della Chie-sa e manifesta al mondo come ciò che eradistrutto si ricostruisce, ciò che era invec-chiato si rinnova e tutto ritorna alla sua inte-grità per mezzo di Cristo, principio e fine ditutte le cose.

Rm 6,3-11 (Cristo risuscitato dai mortinon muore più), a cui segue il salmo alleluia-tico 117: Ecco l’opera del Signore: una me-raviglia ai nostri occhi.

Il battesimo è morire con Cristo, esseresepolti con lui per risorgere con lui a vitanuova. Questo fondamentale significato cri-stologico del battesimo è manifestato me-glio quando esso viene compiuto con la tri-plice immersione, come avveniva nella Chie-sa antica e forse già in epoca apostolica.

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Mt 28,1-10; oppure, secondo gli anni,Mc 16,1-8; o Lc 24,1-12: Perché cercate tra imorti colui che è vivo?

Si tratta dell’esperienza sconvolgente deidiscepoli, il primo giorno della settimana, del-la pietra ribaltata, della tomba vuota, dell’an-nuncio della risurrezione con il ricordo di ciòche Gesù aveva detto, che sta all’origine dellaChiesa e a fondamento della fede cristiana.

Dispiace in questa organizzazione l’omis-sione del brano di Es 12 (ora assegnato allamessa in Caena Domini), presente in tutte leliturgie sin dal secondo secolo,19 e di Dan 3,parimenti presente in tutte le liturgie. Si pote-vano almeno lasciare come letture a scelta oalternative rispetto ad altre meno tradizionali.

Dopo l’omelia ha luogo la liturgia battesi-male, con la litania dei santi e la benedizionedel fonte che riprende gli eventi principalievocati dalle letture (la creazione, il diluvio, ilpassaggio del mare, il battesimo di Gesù, ilmistero pasquale e il mandato di battezzare)e per implorare che lo Spirito scenda a vivifi-care l’acqua perché in tutti coloro che riceve-ranno il battesimo si compia la pasqua dimorte e risurrezione del Cristo e l’uomo,creato a immagine e somiglianza di Dio, ri-nasca come nuova creatura. Seguono la ri-nuncia e la professione di fede e il bagnobattesimale, amministrato quando è possibi-le per immersione, e ancora la consegna del-la tunica battesimale e della luce pasquale.

Immediatamente, quando i battezzati so-no adulti o anche fanciulli, si amministra il sa-cramento della confermazione con l’imposi-zione delle mani, l’orazione epicletica e l’un-zione con il crisma, con il quale il neofita rice-ve il sigillo del dono dello Spirito che lo abilitaall’esercizio del sacerdozio regale, alla testi-

monianza profetica e alla diaconia nella Chie-sa e nel mondo. Queste prerogative vengonoimmediatamente esercitate nella partecipazio-ne piena insieme a tutti i battezzati, all’eucari-stia, vera cena pasquale, centro, fonte e cul-mine della vita della Chiesa, in cui si attua l’e-vento pasquale e si prende parte all’Agnelloimmolato che, come canta il prefazio, ha toltoi peccati del mondo, morendo ha distrutto lamorte e risorgendo ha ridato la vita.

ConclusioneTutta la liturgia della veglia, con il lucer-

nale, le letture, i riti battesimali, e la liturgiaeucaristica, mostra che, se l’eucaristia ne co-stituisce il vertice, il battesimo ne costituisceil centro: senza il battesimo tutta la celebra-zione resta monca, anzi, peggio ancora, co-me una cornice priva del quadro, al puntoche qualcuno ha ipotizzato che, nel caso incui non ci siano battesimi, si possa dare allacelebrazione un diverso carattere, con altreletture e differenti testi eucologici. La cosanon sembra facilmente realizzabile e, a mioparere, neppure auspicabile. Perché senza ilbattesimo non soltanto la veglia, ma tutta laquaresima resta impoverita. Essa infatti è na-ta e si è sviluppata come tempo di prepara-zione all’iniziazione cristiana, e di questa ori-gine porta i segni nell’organizzazione del le-zionario e nei testi eucologici. E questo ca-rattere con la riforma liturgica per volere delconcilio è stato rafforzato20 con la restaura-zione delle classiche grandi letture evangeli-che battesimali della Samaritana, del Cieconato e di Lazzaro risuscitato.21

La soluzione consiste nel convincere i fe-deli, e prima di essi i pastori, del significatopasquale del battesimo e del significato bat-

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tesimale della celebrazione pasquale, perchéla veglia ritrovi il proprio volto battesimale,superando le difficoltà, che in genere sonospia di una concezione privatistica del batte-simo, e adoperandosi in ogni modo perchéla celebrazione nella veglia costituisca il pun-to di riferimento e il modello di ogni altracelebrazione battesimale dell’anno.

La celebrazione del battesimo e di tutti etre i sacramenti dell’iniziazione, quando sene presenta l’opportunità, nella notte pa-squale, che costituisce il giorno genetliacodella Chiesa, offre a tutta la comunità lapossibilità di rivivere insieme a nuovi nati lapropria rinascita dall’acqua e dallo Spirito.

——————1 Iniziazione cristiana, Premesse, 1.2 Ib., 6.3 Ib., 6.28.4 RICA, 8.5 Ib., 8.6 Rito del Battesimo dei bambini, 8.7 Ib., 19.8 Ippolito commenta allegoricamente il testo di

Dn 13, 15, relativo al bagno di Susanna nel giar-dino: “Ella venne, come il giorno avanti e duegiorni prima, accompagnata da due sole ancel-le, e si dispose a prendere un bagno nel giardi-no, perché faceva molto caldo. Qual è il giornopropizio se non quello di pasqua? In esso un ba-gno è preparato nel giardino per coloro che so-no destinati al fuoco, e la Chiesa come Susanna,una volta passata attraverso il bagno, è presen-tata a Dio come sposa pura. E come le due an-celle che accompagnavano (Susanna), la fede ela carità che accompagnano (la Chiesa) appre-stano a coloro che ricevono il bagno l’olio e i sa-poni. Che cosa sono i saponi se non i precettidel Verbo? Che cosa è l’olio se non la potenzadello Spirito Santo con cui i credenti dopo il ba-gno vengono unti come con unguento?” (Ippo-lito, Commento a Daniele, 1,16,1-3).

9 Asterio, Commento al salmo 5,6. Questo testopuò essere considerato come un abbozzo delpreconio pasquale.

10 Cf. V. Saxer, Les rites de l’initiation chrétiennedu IIe au VIe siècle, Centro italiano di Studi sul-l’alto Medioevo, Spoleto 1988, 195-214.

11 Gregorio così si rivolge agli illuminandi: “L’at-teggiamento che assumerai dopo il battesimo èuna prefigurazione della gloria di lassù. La sal-modia con la quale sarai accolto è preludio delcanto degli angeli di lassù. Le lampade che ac-cenderai evocano il corteo delle luci di lassùcon le quali andremo incontro allo sposo, noianime lucenti e vergini con le lampade lumino-se della fede. Non addormentiamoci dunqueper indolenza, perché non ci sorprenda l’arrivoinatteso di colui che attendiamo. Non restiamosenza nutrimento, senza olio e senza provvistedi opere buone, per non essere esclusi dalla sa-la delle nozze” (Gregorio di Nazianzo, Sermone40,46 sul battesimo). Gregorio mostra che aCostantinopoli, dove tenne il sermone 40 ilgiorno dell’epifania dell’anno 380, il battesimosi amministrava oltre che a Pasqua, nelle solen-nità della Pentecoste e dell’Epifania.

12 Giovanni Crisostomo, Catechesi IV, 3-10. Gio-vanni così commenta la formula battesimale im-

Il significato pasquale del battesimo mes-so in luce dai vari elementi della veglia è mi-rabilmente riassunto nel prefazio del battesi-mo del messale italiano:

“Noi ti lodiamo (Padre santo e misericor-dioso), ti benediciamo, ti glorifichiamo, per ilsacramento della nostra rinascita. Dal cuoresquarciato del tuo Figlio hai fatto scaturire pernoi il dono nuziale del battesimo, prima pa-squa dei credenti, porta della nostra salvezza,inizio della vita in Cristo, fonte dell’umanitànuova. Dall’acqua e dallo Spirito, nel grembodella Chiesa vergine e madre, tu generi il po-polo sacerdotale e regale, radunato da tutte legenti nell’unità e nella santità del tuo amore”.

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personale passiva, rimasta invariata in tutte leChiese di Oriente, eccetto quella copta ed etiopi-ca: “Il sacerdote che battezza non dice: Io bat-tezzo il tale, ma: Il tale è battezzato nel nome delPadre e del Figlio e dello Spirito Santo, volendoindicare che non è lui che battezza, ma il Padre, ilFiglio e lo Spirito Santo, dei quali viene invocato ilnome” (ib. 3). Simile il commento che fa nellacatechesi VI, 26 (II nell’edizione di A. Wenger).

13 Ambrogio, I sacramenti, 3,4-7; I misteri 6,31-33. La lavanda dei piedi è segno della parteci-pazione al mistero dell’umiltà del Signore, edell’impegno ad “offrire anche noi, umili servil’ossequio della nostra umiltà e della nostra ob-bedienza”. Ambrogio oltre alla lavanda dei pie-di testimonia l’esistenza dell’apertura delleorecchie e delle narici, perché il neofita sia ca-pace di ascoltare le parole e odorare il profumodi Cristo (I sacramenti, 1,2; I misteri, 3,1) Sullosvolgimento del riti battesimali nella notte pa-squale sulla base dell’Esposizione del simbolo, edei due trattati sui misteri e i sacramenti, cf. V.Saxer, Le rites de l’initiation chrétienne, 341-348. La testimonianza che viene dagli scritti delvescovo di Milano deve essere integrata con lafamosa iscrizione del battistero di Milano a luiattribuita.

14 “Come il cervo anela alle fonti dell’acqua cosìanela l’anima mia a te, o Dio. È esatto pensareche si tratta della voce dei catecumeni che si af-frettano alla grazia del santo lavacro. Perciò sicanta solennemente questo salmo, affinché essidesiderino la fonte della remissione dei peccati,come il cervo anela alle fonti dell’acqua. Chesia così e che questo sentimento occupi vera-mente nella Chiesa un posto preminente”.Quindi rivolgendosi al catecumeno aggiunge:“Corri alla fonte, desidera le fonti delle acque.Presso Dio c’è la fonte della vita, una fonte ine-sauribile, nella luce di lui c’è una luce che nonsi oscurerà mai. Desidera questa luce, questafonte, una luce che i tuoi occhi non hanno maiconosciuto; vedendo questa luce l’occhio inte-riore si acutizza, bevendo a questa fonte la seteinteriore diventa più ardente; corri alla fontema non correre a casaccio, corri come un cer-vo… Non essere lento nel correre, corri veloce,anela con prontezza alla fonte” (Agostino,Esposizione sul Sal 41,1.2). Sulla celebrazione

dell’iniziazione nella veglia pasquale, quale èpossibile ricostruirla sulla base degli scritti diAgostino, cf. V. Saxer, Le rites de l’initiationchrétienne, 381-399.

15 Siricio, Ep. 1,2.16 Leone Magno, Ep. 168.17 Leone Magno, Ep. 16.18 Leone Magno, sermone 41 (2 sulla quaresi-

ma),2; Sermone 43 (5 sulla quaresima),3. AdAlessandria verso il 387 il battesimo fu trasferi-to dalla veglia al venerdì santo (H. Auf derMaur, Le celebrazioni nel ritmo del tempo, I, El-le Di Ci, Leumann 1990, 118.

19 “La caduta di questa lezione di Esodo 12 dal-l’attuale veglia pasquale di rito latino (ché di ca-duta si deve parlare, anche se è stata trasporta-ta come epistola, nella messa del giovedì san-to!) è senza dubbio il fatto più increscioso e piùabnorme prodottosi nel corso delle recentiriforme pasquali. Se non si ripara presto all’in-conveniente, queste riforme avranno diminuito,anziché accresciuto, il nostro diritto di dirci ere-di della Pasqua della primitiva Chiesa, almenosu questo punto delle letture bibliche” (R. Can-talamessa, La Pasqua della nostra salvezza,Marietti, Genova 19894, 155, nota 50).

20 “Il duplice carattere del tempo quaresimaleche, soprattutto mediante il ricordo o la prepa-razione del battesimo e mediante la penitenza,dispone i fedeli alla celebrazione del misteropasquale con l’ascolto più frequente della paro-la di Dio e con la dedizione alla preghiera, siaposto in maggiore evidenza tanto nella liturgiaquanto nella catechesi liturgica. Perciò si utiliz-zino più abbondantemente gli elementi battesi-mali propri della liturgia battesimale e, se op-portuno, se ne riprendano anche altri dall’anti-ca tradizione” (SC 109).

21 Il prefazio I della quaresima del Messale di PaoloVI dice: “Ogni anno tu doni ai tuoi fedeli di pre-pararsi con gioia, purificati nello spirito, alla cele-brazione della Pasqua, perché, assidui nella pre-ghiera e nella carità operosa, partecipino ai mi-steri della redenzione e raggiungano della pie-nezza della vita nuova in Cristo tuo Figlio”. Il te-sto latino piuttosto che di misteri della redenzio-ne parla di rigenerazione (mysteria quibus renatisunt), con evidente riferimento battesimale.

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’anno liturgico richiede un calcolodel tempo che si appoggia sui duecicli cosmici del sole e della luna,

non coincidenti tra loro: l’anno lunare dura354 giorni, 8 ore, 45 secondi, quello solare364 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi. Al-cune solennità e feste sono legate al ciclo delsole, cadono quindi ogni anno alla medesi-ma data, e sono perquesto dette festefisse. La più celebreè sicuramente il Na-tale, legata al solsti-zio d’inverno. Dalladata del 25 dicem-bre deriva quelladella solennità del-l’Annunciazione, il25 marzo (nove me-si prima: il tempodella gestazioneumana). La data del-l’Epifania del Signo-re al 6 gennaio se-gue la medesima lo-gica della data delNatale: è legata ai primi giorni di aumentodel periodo luminoso diurno dopo il minimodel solstizio d’inverno. Parimenti in data fissavengono celebrate le feste e le memorie dellaBeata Vergine Maria e dei santi, solitamente(ma non sempre) venerati nel giorno della lo-ro morte, ovvero della nascita al cielo.

La Pasqua è invece legata al ciclo lunare.Dalla data della Pasqua derivano l’inizio dellaQuaresima, l’Ascensione, la Pentecoste. La pa-

squa settimanale nel giorno del Signore è lafesta primordiale della Chiesa, attestata giànella Scrittura. Il desiderio di celebrare unaparticolare memoria annuale della Pasquaportò i cristiani a confrontarsi in modo anchemolto acceso sulla data di tale memoria: laquestione era se mantenere il legame con laPasqua ebraica al 14 Nisan, oppure privilegiare

il riferimento al“giorno dopo il sa-bato”. Perché laquestione trovasseuna soluzione si do-vette attendere chela Chiesa uscisse dal-le persecuzioni e dal-la clandestinità. Do-po che Costantinoriconobbe la liceitàdel culto cristiano, fulo stesso imperatorea presiedere il primodei grandi conciliche precisarono lafede trinitaria e lacristologia della

Chiesa. Il Concilio di Nicea (325) optò per laseconda ipotesi, senza però perdere un riferi-mento al mese di Nisan, che nel calendarioebraico è il mese in cui cade l’equinozio di pri-mavera. La Pasqua annuale si sarebbe celebra-ta la prima domenica dopo l’equinozio di pri-mavera. In pratica, la Pasqua può cadere tra il22 marzo (se il 21 marzo data dell’equinozio,è plenilunio ed è sabato) e il 25 aprile (se il 21marzo è domenica e il plenilunio è caduto nel

Quando si celebra la Pasqua?Adelindo Giuliani

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Epacta nihil aliud est quam numerus dierum quibus an-nus solaris communis dierum 365 annum communem lu-narem dierum 354 superat: ita ut epacta primi anni sit11, cum hoc numero annus solaris communis lunarem an-num communem excedat; atque adeo seguenti anno novi-lunia contingant 11 diebus prius quam anno primo. Exquo fit epactam secondi anni esse 22, cum eo anno rur-sum annus solaris lunarem annum superet 11 diebus, quiadditi ad 11 dies primi anni, efficiunt 22; ac proinde, fi-nito hoc anno, novilunia contingere 22 diebus prius quamprimo anno: epactam autem tertii anni esse 3, quia si rur-sus 11 dies ad 22 adiciantur, efficietur numerus 33, a quosi reiciantur 30 dies, qui unam lunationem embolismalemconstituunt, relinquentur 3, ita ut deinceps. Progrediun-tur enim epactae omnes per continuum augmentum 11dierum, abiectis tamen 30, quoando reici possunt.

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giorno precedente). Per stabilire la data delplenilunio si utilizzano calcoli matematici eastronomici piuttosto complicati, che non èpossibile qui presentare in modo esauriente. Insintesi: si può partire dalla conta dei giorni tra-scorsi dall’ultima luna nuova (la cosiddetta“età della luna”) al 31 dicembre dell’annoprecedente. Tale età della luna al 31 dicembreè detta epatta. Per avere l’epatta dell’annocorrente si aggiunge 11 alla cifra dell’annoprecedente (11 è la differenza tra i giorni del-l’anno solare e di quello lunare).1 Dall’epattadell’anno si può risalire ai giorni di luna piena,tra cui il primo di primavera, e quindi determi-nare la data della Pasqua. Per conoscere l’e-patta si può anche partire dal numero d’oro:un astronomo ateniese del V secolo a. C., Me-tone, scoprì che la posizione della luna in undeterminato giorno dell’anno si ripeteva conbuona approssimazione ogni 19 anni. Il nu-mero d’oro è questo numero progressivo, da1 a 19, che consente di attribuire a ogni annoil suo ciclo di lunazioni. Il numero d’oro è il re-sto della divisione tra le cifre dell’anno in cor-so aumentato di uno e 19. Avuto il numerod’oro, per avere l’epatta si prende il resto diquesto calcolo: [(num. d’oro x 11) – 12] : 30.Un altro elemento usato per il calcolo era lalettera domenicale: denominando con le lette-re dell’alfabeto i primi giorni dell’anno, la let-tera domenicale dell’anno era quella che con-trassegnava la prima domenica (dalla a alla g).

A complicare un calcolo già non semplice,che era stato elaborato a partire dal calenda-rio giuliano (di Giulio Cesare, 45 a.C.) vigentenell’impero romano del tempo, venne la rifor-ma realizzata da papa Gregorio XVI nel 1582per ovviare all’approssimazione dei calcoli

astronomici e all’eccessivo ricupero di tempoche si aveva negli anni bisestili (oltre 11 minutidi troppo). Il papa cancellò dieci giorni dal ca-lendario (dal 4 ottobre si passò al 15) e de-cretò che i futuri anni secolari sarebbero statibisestili, in deroga alla regola generale, solo semultipli di 4. Sono stati così bisestili il 1600 e il2000, non il 1700, il 1800 e il 1900. Le esi-genze del commercio e dei rapporti interna-zionali fecero sì che il nuovo calendario, deno-minato giuliano – gregoriano, venisse poiadottato praticamente in tutto il mondo. Lariforma di papa Gregorio, in un’epoca in cui ildialogo con le Chiese d’Oriente era interrotto,non fu però condivisa da queste ultime: eccoil motivo per cui ancora oggi la data della Pa-squa diverge quasi sempre tra la Chiesa latinae quelle d’Oriente, che seguono ancora il ca-lendario giuliano per stabilire i tempi liturgici.Per evitare questo doloroso segno di divisione,le comunità di rito latino, nelle nazioni in cuisono minoranza, talvolta si adattano al calen-dario seguito dalle Chiese orientali.

Una traccia della riforma è anche nell’at-tuale santorale: la memoria di santa Teresad’Avila, morta la sera del 4 ottobre del fatidico1582, fu fissata per il giorno della sua sepoltu-ra, che si svolse il giorno seguente, ovvero… il15 ottobre.

Fino alla riforma liturgica, nel capitolo in-troduttivo De anno et eius partibus (L’anno ele sue parti) il Missale Romanum riportava lemodalità di calcolo dell’epatta prima e dopo lariforma del calendario (v. un piccolo esempionel box). Dopo la riforma liturgica si è pensatobene di lasciare i calcoli agli specialisti e di in-serire nel Messale soltanto una tabella con ledate già elaborate per gli anni a venire.

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——————1 Con alcune eccezioni: se il numero ottenuto è maggiore di 30, occorre togliere 30 al risultato; per gli anni

le cui ultime due cifre danno multipli di 19 il numero da aggiungere è 12 anziché 11…

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l terzo giorno è risuscitato…”. Daquando partono i tre giorni del tri-duo? Da quando era morto. Noi ce-

lebriamo il “sacratissimo triduo di Cristo cro-cifisso (venerdì), sepolto (sabato) e risorto(domenica)”, secondo la bella espressione diSant’Agostino.

Il Venerdì Santo la Chiesa non celebra lamorte di Gesù, quasi che volesse celebrarneil funerale, perché essa sa bene che il suo Si-gnore risusciterà. Celebra l’inaugurazionedel “mistero pasquale”, cioè di quel proces-so per cui Gesù “passa” da questo mondoal Padre, attraverso la passione, la morte, lasepoltura, la risurrezione per arrivare allaglorificazione e darci il dono dello Spirito.

La colletta che apre la celebrazione ci dàsubito questa ouverture: “Ricordati, Padre,della tua misericordia; santifica e proteggisempre questa tua famiglia, per la quale Cri-sto, tuo Figlio, inaugurò nel suo sangue ilmistero pasquale”.

La celebrazione “della Passione del Si-gnore” inizia con una rubrica interessante:“In questo giorno e nel giorno seguente, laChiesa, per antichissima tradizione, non ce-lebra l’Eucaristia”. Per la verità, la rubrica,nell’edizione latina, recita diversamente:“Hoc biduo ecclesia, ex antiquissima tradi-tione, sacramenta penitus non celebrat”,cioè, “in questi due giorni la Chiesa, non ce-lebra affatto sacramenti”. I tre giorni sonoquelli nei quali “lo Sposo è tolto” (Mt 9,15),e quindi i discepoli digiunano. Quando poi

lo Sposo ritornerà (nella risurrezione) allorabanchetteranno con lui.

I sacramenti, specialmente l’eucaristia,rendono presente lo Sposo, che in questigiorni invece “è tolto”. Mancano i sacra-menti, cioè i segni, perché riviviamo, in que-sti giorni, la realtà storica degli eventi dellapassione (o meglio, della pasqua).

L’azione liturgica del Venerdì pomeriggiosi compone di tre parti: dopo la processionesilenziosa dei ministri, la prostrazione davan-ti all’altare (completamente spoglio) e la col-letta introduttiva, abbiamo:

La liturgia della ParolaLa prima lettura è tratta da Isaia 52.13-

53,12. È il quarto carme del Servo di Jahvé(i primi tre sono letti nei primi tre giornidella settimana santa). È una profezia dellapassione; il testo però non si ferma allasofferenza del servo, ma arriva anche allasua risurrezione; conclude infatti dicendo:“Quando offrirà se stesso in espiazione,vedrà una discendenza, vivrà a lungo, sicompirà per mezzo suo la volontà del Si-gnore. Dopo il suo intimo tormento, vedràla luce, e si sazierà della sua conoscenza; ilgiusto mio servo giustificherà molti…”. Iltesto ci dà il senso della morte redentricedi Cristo. Si celebra quindi il suo trionfosulla morte.

Il salmo 30 riprende il tema, nel dupliceaspetto di morte (“sono caduto in oblio co-me un morto”, e di riscatto (“fa splendere il

Venerdì Santo: inizio della Pasquap. Ildebrando Scicolone, osb

“I

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tuo volto sul tuo servo, salvami per la tuamisericordia”).

Come lettura apostolica abbiamo un pas-so della lettera agli Ebrei, che ci presenta ilgrande sommo sacerdote” che con il suosangue è entrato non nel santuario del tem-pio di Gerusalemme, ma nel santuario delcielo. Si celebra quindi il sacrificio pasqualedi Cristo, che ci consente di accostarci “conpiena fiducia al trono della grazia”.

La “Passione” secondo Giovanni è prece-duta dall’inno cristologico di Fil. 2, 8-9: “Pernoi Cristo si è fatto obbediente fino allamorte di croce. Per questo Dio l’ha esaltatoe gli ha dato un nome che è sopra ogni altronome”. Anche qui sono presenti i dueaspetti del mistero: l’umiliazione e l’esalta-zione, la morte e la risurrezione.

Il racconto giovanneo della Passione è ladescrizione dell’ “ora” di Gesù, che è l’oradella glorificazione di Dio e di Cristo, l’oracui tende tutta la vita di Cristo, anzi tutta lastoria umana. Per Giovanni, Gesù non “su-bisce” la passione, ma “gestisce” tutta la vi-cenda. Egli viene “innalzato” sulla croce,per essere poi innalzato dal sepolcro e innal-zato nel cielo. E se, nel venerdì santo, il rac-conto si interrompe al momento della sepol-tura, il testo evangelico tende alla risurrezio-ne. È Gesù che si fa avanti di fronte a chiviene a prenderlo, è lui che domanda: “Chicercate?”, e risponde “sono io”, facendolistramazzare a terra. È ancora lui che condu-ce l’interrogatorio con Pilato, e afferma diessere il re dei giudei (e non solo). È da lui,morto in croce, come il vero agnello pasqua-le, che sgorga il meraviglioso sacramentodell’intera Chiesa (simboleggiata nel sanguee nell’acqua, segno dei sacramenti del bat-

tesimo e dell’eucaristia, con cui si fa la Chie-sa, sposa del Cristo.

La liturgia della Parola si conclude con lapreghiera universale, che in questo caso si fasecondo l’antico modo romano. Il diaconoannunzia le varie intenzioni (per la Chiesa,per il Papa, per il clero e il popolo cristiano,per i catecumeni, gli ebrei, i cristiani noncattolici, i non credenti, le autorità politiche,le varie necessità). Il popolo prega in silen-zio. Quindi il sacerdote pronunzia l’orazioneper ogni singola intenzione. Per questo mo-tivo queste preghiere si sono chiamate an-che “le orazioni solenni”. In questo giorno,la Chiesa, forte dei meriti del suo salvatore,esercita la sua funzione sacerdotale, o di in-tercessione, per tutta l’umanità.

L’adorazione della croce.Da quando, secondo la leggenda, la ma-

dre dell’imperatore Costantino ha ritrovatola vera croce del Signore, scavando sul mon-te Calvario, a Gerusalemme si è aggiunta al-la liturgia della Parola l’adorazione della Cro-ce (non del Crocifisso, ma del “legno” dellaCroce). Un pezzo di questo legno è statodonato al Papa, che per essa ha fatto co-struire, a Roma, la Basilica di Santa Croce inGerusalemme. E in questa Basilica il Papacelebrava la liturgia del Venerdì Santo. Il Pa-pa e tutti i fedeli, a piedi nudi, si recavanoad “adorare”[cioè a baciare, perché, in lati-no, ad-orare significa letteralmente portarealla bocca] la croce. Leggiamo nel Diario diun viaggio della pellegrina Egeria, che, men-tre i fedeli baciavano la croce, due diaconiosservavano attentamente che non la mor-dessero, per portarsene un pezzetto comereliquia.

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Oggi il rito comincia con la presentazionedel legno della Croce, che può venire portatascoperta o velata. Il sacerdote canta Ecce li-gnum crucis = Ecco il legno della Croce, alquale fu appeso il Cristo, Salvatore del mondo.

Durante l’adorazione si canta l’antifonaAdoriamo la tua Croce, Signore, lodiamo eglorifichiamo la tua risurrezione. Dal legnodella Croce è venuta la gioia in tutto il mon-do. (Altro che funerale!) Poi si cantano gliImproperia, ossia i Lamenti del Signore. Sitratta di una meditazione sulla nostra condi-zione e sulla misericordia che Dio ha avutoper noi. Iniziano così: Popolo mio che maleti ho fatto? In che ti ho provocato? Dammirisposta. Io ti ho guidato fuori dall’Egitto, etu hai preparato la croce al tuo Salvatore. Esi canta quindi il Trishagion (= Tre volte San-to), in greco e in latino (segno di antichità):Hagios o theòs, hagios Hyskiròs, Hagiosathanatos, eleison himas (Santo Dio, SantoForte, Santo immortale, abbia pietà di noi).E così per tutte le nove strofe. È previstocantare l’inno alla croce composto a Poitiersnel 567 da Venanzio Fortunato che ha comeritornello la strofa Crux fidelis: O Croce dinostra salvezza, / albero tanto glorioso, / unaltro non v’è nella selva, / di rami e di frondea te uguale. / Per noi dolce legno, che porti /appeso il Signore del mondo [la traduzioneè del Messale italiano]. La croce è chiamataalbero, e risulta il capovolgimento dell’albe-ro del paradiso terrestre. Da quello ci è ve-nuta la morte, da questo ci viene la vita.Una strofa dice: D’Adamo comprese l’ingan-no / e ne ebbe il Signore pietà, / quando eglidel frutto proibito/ gustò e la morte lo col-se./ Un albero scelse, rimedio / al male del-l’albero antico.

Cantiamo alla croce, come al segno dellanostra vittoria, adoriamo la croce in quantostrumento della nostra salvezza. Contrastacon questo gesto il fatto che noi ci lamentia-mo delle nostre croci, e le sfuggiamo! SanGiuseppe Tomasi piangeva dicendo: “Que-sta croce mi crucia, che mi crucia la croce”.

Santa Comunione Dopo quanto abbiamo detto circa il di-

giuno di questi due giorni, perché lo Sposoè tolto, non ci dovrebbe essere la comunio-ne eucaristica. Per la verità, la comunionedel venerdì santo ha una storia complessa.Basti ricordare che, nella stessa città di Ro-ma, mentre il Papa non si comunicava, nellealtre chiese i fedeli “adorano la croce e sicomunicano”. Nel Medioevo si ha la situa-zione inversa: solo il sacerdote si comunica, ifedeli no. E così è stato fino alla riforma dicinquant’anni fa (1955). Da questa data,tutti i fedeli si comunicano. E dato che nonsi celebra l’eucaristia, questa comunione,con il pane consacrato il giorno prima, sichiama “Liturgia dei pre-santificati”. Perquesto motivo, la sera del giovedì si conser-va l’eucaristia per il giorno dopo e i fedelisono invitati ad adorare il Ss. Sacramento,almeno fino alla mezzanotte.

La comunione eucaristica – si è pensatonel 1955 – è il miglior modo per “prendereparte” al sacrificio di Cristo in croce.

La preghiera dopo la comunione e l’ora-zione (di benedizione) sul popolo ricordanoesplicitamente non solo la morte, ma anchela risurrezione del Signore. Ecco il testo dellabenedizione: Scenda, o Padre, la tua benedi-zione su questo popolo, che ha commemo-rato la morte del tuo Figlio nella speranza di

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risorgere con lui; venga il perdono e la con-solazione, si accresca la fede, si rafforzi lacertezza della redenzione eterna.

E in silenzio, come si era entrati, si esce,dopo aver fatto la genuflessione alla Croce.

Tutti i testi parlano di Croce, e di legno,non del Crocifisso. Di fatto noi adoriamouna Croce con il Crocifisso, che rimane sullacroce, fino all’inizio della Veglia pasquale.Non c’è un rito della deposizione della cro-ce, né un sepolcro. La devozione popolare

ha voluto l’una (e in molte parti si fa, segui-ta dalla processione del Cristo morto) e l’al-tro, cioè il sepolcro. E siccome, nel rito ro-mano, non c’è, il popolo ha chiamato erro-neamente “sepolcro” il tabernacolo [unavolta era un’urna d’oro o d’argento, chia-mato monumentum] della reposizione del-l’eucaristia, la sera del giovedì santo. Manon può essere sepolcro, se il Cristo vi è de-posto il giorno prima di morire, e viene toltoil venerdì, quando logicamente vi si dovreb-be deporre.

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Manuele Lambardos, Compianto di Cristo, Atene, Museo Bizantino, sec. XVI

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a Chiesa vive dell’Eucaristia. Que-sta verità non esprime soltantoun’esperienza quotidiana di fede,

ma racchiude in sintesi il nucleo del misterodella Chiesa. Con gioia essa sperimenta inmolteplici forme il continuo avverarsi dellapromessa: “Ecco, io sono con voi tutti i gior-ni, fino alla fine del mondo“ (Mt 28,20); manella sacra Eucaristia, per la conversione delpane e del vino nel corpo e nel sangue delSignore, essa gioisce di questa presenza conun’intensità unica. Da quando, con la Pente-coste, la Chiesa, Popolo della Nuova Allean-za, ha cominciato il suo cammino pellegri-nante verso la patria celeste, il Divin Sacra-mento ha continuato a scandire le sue gior-nate, riempiendole di fiduciosa speranza.

Giustamente il Concilio Vaticano II ha pro-clamato che il Sacrificio eucaristico è “fonte eapice di tutta la vita cristiana“.1 “Infatti, nellasantissima Eucaristia è racchiuso tutto il benespirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo,nostra Pasqua e pane vivo che, mediante lasua carne vivificata dallo Spirito Santo e vivi-ficante, dà vita agli uomini“.2 Perciò lo sguar-do della Chiesa è continuamente rivolto alsuo Signore, presente nel Sacramento del-l’Altare, nel quale essa scopre la piena mani-festazione del suo immenso amore.”3

Con tali puntuali affermazioni si apre lalettera enciclica che il compianto ponteficeGiovanni Paolo II ha inviato alla Chiesa peruna profonda e appassionata riflessione sul-l’Eucaristia.

Fate questo in memoria di me (Lc 22,19– 1Cor 11, 23-25). Con queste parole il Si-gnore consegnò agli apostoli il suo testa-mento di amore, il suo dono più prezioso, lasicurezza che sarebbe stato con loro fino allafine dei tempi.

Quando gli apostoli, i discepoli e tutti co-loro che avevano creduto in Cristo iniziaronoa ritrovarsi insieme nel giorno della Risurre-zione per ripetere ciò che il Signore avevacompiuto quella sera, rimasta indelebile nel-la loro memoria e nel loro cuore, fu solo l’i-nizio di un cammino di fede che nella ripeti-zione delle parole e delle azioni di Gesù sa-rebbe stato sempre rinnovato fino alla finedel mondo.

Fate: l’imperativo di tale verbo di azioneè un pressante invito a compiere, quindi a ri-vivere, quell’evento.

questo: tutto quello che avevano visto,udito e vissuto quella sera indimenticabileper il profondo dono dell’amore di Gesù che“avendo amato i suoi… li amò sino allafine” (Gv 13, 1).

La Pasqua rituale:l’Eucaristia nella Cena

del Signore il giovedì santomons. Cosma Capomaccio

“L

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in memoria: non semplicemente perricordare, ma per rivivere nella partecipazio-ne e nella condivisione.

di me: proprio di Lui, il Risorto, il Signo-re, il Cristo, il Figlio del Dio vivente, che èsempre presente nella celebrazione dal mo-mento in cui ha detto “Questo è il mio cor-po…questo calice è la nuova alleanza nelmio sangue” (Lc 22, 19-20).

“Gli Apostoli che presero parte all’Ulti-ma Cena capirono il significato delle paroleuscite dalle labbra di Cristo? Forse no.Quelle parole si sarebbero chiarite piena-mente soltanto al termine del Triduum sa-crum, del periodo cioè che va dalla sera delGiovedì fino alla mattina della Domenica.In quei giorni si inscrive il mysterium pa-schale; in essi si inscrive anche il mysteriumeucharisticum.”4

Durante i secoli successivi le comunitàcristiane sparse in ogni angolo della terracontinuarono a celebrare l’evento della Ri-surrezione mettendo in atto con assiduo ecostante impegno le parole del Signore: “Fa-te questo in memoria di me”.

Gli Apostoli, accogliendo nel Cenacolol’invito di Gesù: “Prendete e mangiate... Be-vetene tutti...“ (Mt 26,26-27), sono entrati,per la prima volta, in comunione sacramen-tale con Lui. Da quel momento, sino alla fi-ne dei secoli, la Chiesa si edifica me-diante la comunione sacramentalecol Figlio di Dio immolato per noi:“Fate questo in memoria di me... Fate que-sto, ogni volta che ne bevete, in memoria dime “ (1Cor 11,24-25; cfr Lc 22,19).5

Quando, poi, nell’evolversi della dimen-sione celebrativa, si volle ampliare l’efficacia

della Pasqua, si aggiunsero altri giorni checonservavano in sé altri eventi riconducibilisempre ad essa.

Il triduo pasquale fu il più immediato epregnante capitolo di quella celebrazioneche attualizza l’evento e lo rende aperto allapossibilità di riviverlo sempre nell’oggi di-vino della storia.

Il primo giorno del triduo pasquale è ilgiovedì santo, il giorno dell’istituzionedell’Eucaristia, giorno ineffabile del donodell’Amore, giorno senza tramonto che siesaurirà soltanto quando alla fine dei tempigli uomini lasceranno la terra per il Regnodei cieli.

“L’Eucaristia è il sacramento del Signoreglorificato che dà se stesso, in forza dellasua morte sulla croce e della sua risurrezio-ne, come Corpo e Sangue, in cibo e in ado-razione alla sua Chiesa”.6

Nella primavera dell’anno 55 l’apostoloPaolo scrive una lettera alla Chiesa di Corin-to (1Cor 11, 20-23), da lui fondata, per rim-proverare gli abusi presenti nella celebrazio-ne della cena del Signore: è la comparsa del-le prime difficoltà nel funzionamento di unrito già ben radicato nella pratica di quelgruppo di persone e le raccomandazioni diPaolo hanno lo scopo di precisare il significa-to di ciò che la prima comunità di Corintocelebrava.

E perciò essa si riferisce all’avvenimentofondante, a ciò che è stato ricevuto dal Signo-re e trasmesso: è la più antica relazione che ciè pervenuta dell’istituzione dell’Eucaristia.

Nessuno si aspetti di trovare nelle testi-monianze degli scrittori cristiani del tempol’espressione triduo pasquale, di recente co-niazione, perché nei documenti dei primi se-

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coli il termine triduo stava ad indicare i gior-ni della passione del Signore più che quellidella liturgia della Chiesa, come affermaAgostino di Ippona: “Considera dunque at-tentamente il sacratissimo triduo: della croci-fissione, della sepoltura e della risurrezionedel Signore”, ma si ritrova, invece, la formu-la Grande settimana, settimana santa, pa-squale, maggiore, autentica, penale, muta(perché erano proibite le cause forensi) cheingloba nella sua scansione anche il suddet-to triduo pasquale: numero simbolico concontenuto reale.

Come si è modellato questo triduo attra-verso i secoli è chiaro se si pensa all’itinera-rio storico della formazione rituale della ce-lebrazione fondante: la Pasqua.

La storia delle origini della celebrazionedella Pasqua cristiana è complessa; essa ciporta come in un itinerario alle sorgenti, adun tempo in cui tutto è contenuto in un uni-co momento celebrativo, il seme di quelgrande albero che sarà posteriormente l’an-no liturgico e immediatamente il triduo pa-squale.

In una prima fase il nucleo primitivo è lagrande veglia pasquale, preparata dal digiu-no (uno o due giorni): in questa veglia not-turna si dava spazio alle letture bibliche, allepreghiere comuni concluse dalla celebrazio-ne eucaristica; la totalità del mistero pasqua-le, paschale sacramentum, trova espressionenei simboli di tradizione giudaica dell’accen-sione della lampada al calar del sole (lucer-nario) e del digiuno, che aveva carattere cul-tuale e non ascetico, perché attualizzava ilrichiamo evangelico del digiuno “Verrannoperò i giorni quando lo sposo sarà lorotolto” (Mt 9,15).

I l senso del transito (cf. Gv 13,1) èespresso dal passaggio dalle tenebre alla lu-ce con l’accensione del cero, simbolo dellarisurrezione di Cristo-luce che splende nelletenebre, e dal cambiamento dall’austeritàdel digiuno alla letizia del pasto fraterno,rappresentato dalla mensa eucaristica.

Nella seconda fase, secoli III e IV, si trovagià generalizzata la celebrazione del battesi-mo unita alla crismazione prima dell’eucari-stia della veglia: l’iniziazione cristiana.

Fino al IV secolo nella liturgia romana nonv’è traccia di una commemorazione della Ce-na, perché l’unica liturgia eucaristica dei tregiorni era quella della veglia pasquale.

Per computare bene il tempo dei tregiorni è necessario ricordare che i primi cri-stiani continuarono a determinare il giornosecondo la consuetudine ebraica: dalla seraalla sera successiva. Ecco perché il giovedìsanto fa parte del triduo pasquale: perchéla Cena del Signore, celebrata di sera, dàinizio al triduo.

Inizia nel VII secolo una diversa valorizza-zione di questo giorno nel quale si celebra-no tre messe: una al mattino per la riconci-liazione dei penitenti, una verso mezzogior-no per la consacrazione degli oli e una a se-ra, quasi sempre senza la liturgia della Paro-la, per commemorare la Cena.

Una terza fase vede la celebrazione ar-ricchirsi di altri rituali, che vanno oltre i nu-clei biblico –sacramentali perché si tende arappresentare gli episodi storici dell’eventopasquale, come si soleva già fare a Gerusa-lemme con celebrazioni nei luoghi e nelleore corrispondenti agli avvenimenti rievocati.La Peregrinatio Egeriae ci offre una testimo-nianza preziosa per cogliere in quale forma

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a Gerusalemme ormai la Settimana Santa èritualizzata con una grande ed intensa vitaliturgica che si svolge nei luoghi dove sonoavvenuti i misteri di Cristo.

Così al giovedì santo si celebra l’eucari-stia che fa la memoria anniversaria dell’ulti-ma Cena con il mandatum cioè il comandodi operare ciò che il Signore ha compiuto:poi si esegue la consacrazione degli oli santinecessari per le unzioni sacramentali.

L’ultima fase evolutiva, che si potrebbedefinire medievale, dopo il precedente svi-luppo già sorto in epoca patristica, incre-menta le forme devozionali che accompa-gnano la processione eucaristica della repo-sizione dell’Eucaristia, consacrata nella cele-brazione della Cena del Signore, con visite apiù chiese e con preghiere indulgenziate (neicosìdetti sepolcri). La reposizione del SS. Sa-cramento, per influsso di una controversiaantiberengeriana sulla reale presenza di Cri-sto nell’Eucaristia, diventa, a partire dal se-colo XI, una specie di monumentum (con laspecifica connotazione del sepolcro). Anchese l’azione sacra è contro ogni logica cele-brativa e rituale, viene vista come il sepolcrodell’Eucaristia che vi rimane fino alla Risurre-zione, senza pensare che di mezzo c’è anco-ra il venerdì santo; per tale motivazione at-torno all’altare della reposizione (il sepolcro)si mettevano soldati e pie donne.

La reposizione del SS. Sacramento per lacomunione del venerdì santo acquista unsenso solenne come affermazione della pre-senza reale nel medioevo, e la strana inter-pretazione della sepoltura di tre giorni si de-ve ad Amalario.

In principio il giovedì santo è un giornoaliturgico, fine della Quaresima, giorno della

riconciliazione dei penitenti e dei riti prepa-ratori al battesimo.

A partire dal secolo V, a Roma, il giovedìsanto appare carico di celebrazioni con for-mulari attestati dal Sacramentario Gelasia-no: messa per la riconciliazione dei peniten-ti, messa per la consacrazione del crisma edegli oli, messa memoriale dell’istituzionedell’Eucaristia: natalis calicis.

In Africa e in Oriente si celebrano duemesse delle quali una al pomeriggio; inOriente il Patriarca consacra con un rito bel-lo e complesso il santo myron, il crisma.

Riguardo alla lavanda dei piedi per man-dato del Signore, Agostino già ne ricordaval’usanza, aveva luogo la ripetizione dell’attosimbolico di lavare i piedi a dodici uomini. Inalcuni luoghi la lavanda si sposta perché nonvenga confusa con il battesimo (Agostino,Ep. 55 a Gennaro, 18), si eseguiva fuori del-la messa anticamente, come ancora oggi nelrito ambrosiano. Si cantava il bel canto Ubicharitas et amor con una melodia antica e iltesto che dovrebbe essere stato compostoda Paolino d’Aquileia, del secolo IX.

Queste brevissime e sintetiche notiziestoriche ci permettono di comprendere co-me attraverso i secoli si sia formata laprofonda ritualità che ci offre la splendidacelebrazione della Cena del Signore.

Dopo la riforma prodotta dalla Costitu-zione Apostolica Sacrosanctum Conciliumdel Concilio Ecumenico Vaticano II la cele-brazione della Cena del Signore si rivelaquale splendido castone nel quale rifulge intutto il suo splendore l’istituzione dell’Euca-ristia.

Ancora le parole di Giovanni Paolo II ren-dono più comprensibile il profondo significa-

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to di quell’evento che è l’inizio della nostrastoria di cristiani.

“Dal mistero pasquale nasce la Chiesa.Proprio per questo l’Eucaristia, che del mi-stero pasquale è il sacramento per eccellen-za, si pone al centro della vita ecclesiale. Losi vede fin dalle prime immagini della Chie-sa, che ci offrono gli Atti degli Apostoli:“Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamentodegli Apostoli e nell’unione fraterna, nellafrazione del pane e nelle preghiere” (2,42).Nella “frazione del pane” è evocata l’Eucari-stia. Dopo duemila anni continuiamo a rea-lizzare quell’immagine primigenia dellaChiesa. E mentre lo facciamo nella Celebra-zione eucaristica, gli occhi dell’anima sonoricondotti al Triduo pasquale: a ciò che sisvolse la sera del Giovedì Santo, durantel’Ultima Cena, e dopo di essa. L’istituzionedell’Eucaristia infatti anticipava sacramental-mente gli eventi che di lì a poco si sarebberorealizzati, a partire dall’agonia del Getsema-ni. Rivediamo Gesù che esce dal Cenacolo,scende con i discepoli per attraversare il tor-rente Cedron e giungere all’Orto degli Ulivi.In quell’Orto vi sono ancor oggi alcuni alberidi ulivo molto antichi. Forse furono testimo-ni di quanto avvenne alla loro ombra quellasera, quando Cristo in preghiera provòun’angoscia mortale “ e il suo sudore di-ventò come gocce di sangue che cadevanoa terra “ (Lc 22,44). Il sangue, che aveva po-co prima consegnato alla Chiesa come be-vanda di salvezza nel Sacramento eucaristi-co, cominciava ad essere versato; la sua ef-fusione si sarebbe poi compiuta sul Golgota,divenendo lo strumento della nostra reden-zione: “ Cristo [...] venuto come sommo sa-cerdote dei beni futuri, [...] entrò una volta

per sempre nel santuario non con sangue dicapri e di vitelli, ma con il proprio sangue,dopo averci ottenuto una redenzione eter-na“ (Eb 9,11- 12).”7

Le indicazioni che dal Concilio EcumenicoVaticano II in poi hanno cercato di rinnovarela liturgia sono sempre partite da questo da-to di fede immutabile che la celebrazionedell’Eucaristia è la celebrazione del misteropasquale: “Quest’opera della redenzioneumana e della perfetta glorificazione di Dio(la liturgia, infatti, è essenzialmente una glo-rificazione di Dio e una santificazione del-l’uomo), che ha il suo preludio nelle mirabiligesta divine operate nel popolo dell’AnticoTestamento, è stata compiuta da Cristo Si-gnore, specialmente per mezzo del misteropasquale della sua beata Passione, Risurre-zione da morte e gloriosa Ascensione, mi-stero col quale ‘morendo ha distrutto lamorte e risorgendo ha ridato a noi la vita’(Prefazio pasquale I)” (SC 5).

L’Eucaristia, pertanto, è l’annuncio dellamorte del Signore fino al suo ritorno:“…ogni volta che essi mangiano la Cena delSignore ne proclamano la morte fino aquando egli verrà (cf. 1Cor 11,26)”… Da al-lora la Chiesa mai tralasciò di riunirsi in as-semblea per celebrare il mistero pasquale,mediante la lettura di quanto ‘nella Scritturalo riguardava’ (Lc 4,27), mediante la celebra-zione dell’Eucaristia, ‘nella quale vengonoripresentati la vittoria e il trionfo della suamorte’, e mediante l’azione di grazie ‘a Dioper il suo dono ineffabile’ (2Cor 9,15) nelCristo Gesù, ‘a lode della sua gloria’ (Ef1,12) per virtù dello Spirito Santo” (SC 6).

Per le motivazioni su descritte e ampia-mente documentate: “La celebrazione della

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messa, in quanto azione di Cristo e del po-polo di Dio gerarchicamente ordinato, costi-tuisce il centro di tutta la vita cristiana per laChiesa universale, per quella locale e per isingoli fedeli” (PNMR 1). Il ripetersi delle ce-lebrazioni, infatti, non opera altro che met-tere in contatto e canalizzare nel tempo leinesauribili ricchezze di Cristo per cui è veroche qui si ha il centro, il culmine e la fonteda cui deriva ogni altra grazia nella Chiesa.

L’Eucaristia è totalizzante e finalizzantesia rispetto al complesso dei sacramenti, siarispetto all’intera celebrazione liturgica dellaChiesa nella sua dimensione più vasta. È undato universalmente noto e accettato che lanostra Eucaristia abbia il suo inizio e derivi lesue linee essenziali dal gesto che Gesù hacompiuto nell’ultima Cena con i suoi disce-poli e di cui ci sono pervenute le narrazionievangeliche.

Anche dopo il cambiamento delle formulee dei testi dell’Eucaristia avvenuto con il Con-cilio Ecumenico Vaticano II, la rinnovata litur-gia della messa è rimasta una testimonianzaautentica della fede immutabile della Chiesa.Il mistero pasquale è la base della fede cri-stiana; tutta la vita della Chiesa, la predica-zione e la stessa fede si fondano su di esso.

I primi cristiani erano consapevoli che ilmistero pasquale fosse il centro della fede el’Eucaristia domenicale è stata sempre consi-derata l’attualizzazione settimanale del mi-stero pasquale.

A questo punto sembrerebbe scontata ladomanda: per quale motivo la celebrazionesettimanale non avvenne nel giorno stessodell’istituzione dell’Eucaristia, il giovedì, main quel giorno “l’ottavo giorno”, la domeni-ca? Perché la Chiesa primitiva, le prime co-

munità cristiane sentivano e vivevano congrande vigore il giorno della Risurrezione, ilprimo giorno della nuova creazione. Questoè il motivo fondamentale per cui solo nei se-coli IV e V, come è stato descritto, si celebrònel giovedì, poi chiamato santo perché inse-rito nella santa, grande settimana, l’eventoanniversario dell’istituzione dell’Eucaristia.

Tutta la struttura celebrativa della Cenadel Signore il giovedì santo è finalizzata eorientata alla esaltazione dell’ineffabile attod’amore che compie Gesù mentre, insiemecon i suoi apostoli, celebra la pasqua ritualeebraica.

La riforma del Messale e dell’Anno litur-gico voluta dal Concilio Ecumenico VaticanoII ha posto la messa della Cena del Signorecome apertura del triduo pasquale, ristabi-lendo in tal modo l’unità della celebrazionedell’unica Pasqua della risurrezione.

La celebrazione della messa della Cenadel Signore oggi viene effettuata la sera delgiovedì santo e ha tono festivo e gioioso. Itesti eucologici e biblici pongono in risaltoche Cristo ci ha dato la sua pasqua nel ritodella cena che esige da parte della Chiesa illegame inscindibile, sul piano della vita, delservizio e della carità fraterna, come condivi-sione del mistero della passione del Signore.

In questo contesto va visto il rito della la-vanda dei piedi, praticata come già detto daitempi di sant’Agostino, poi riservata per se-coli alle sole chiese cattedrali e infine, con lariforma di Pio XII del 1955, permessa in tut-te le chiese.

Al termine della celebrazione eucaristicale sacre specie vengono solennemente por-tate in un luogo debitamente preparato per-ché siano adorate fino alla mezzanotte e

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conservate per la comunione nell’azione li-turgica del venerdì santo. In tal modo vienesignificato tutto il culto che si deve al miste-ro eucaristico nella messa e fuori della mes-sa. Non si tratta quindi di un sepolcro, bensìdi una solenne ostensione del tabernacoloche contiene le sacre specie.

Del resto nei testi eucologici è specifi-cato con intensa e costante asserzione ilprofondo legame tra la Cena del Signore ela Pasqua.

La prima orazione, infatti, non solo ci im-mette immediatamente nell’atmosferagioiosa della Cena, ma ci propone le validemotivazioni per celebrarla: “O Dio, che ci hairiuniti per celebrare la santa Cena nella qualeil tuo unico Figlio, prima di consegnarsi allamorte, affidò alla Chiesa il nuovo ed eternosacrificio, convito nuziale del suo amore, fa’che dalla partecipazione a così grande miste-ro attingiamo pienezza di carità e di vita”.

Per ribadire che l’ultima Cena non è un’a-zione a sé stante si deve ricordare che è in-comprensibile se si prescinde dalla passione,dalla morte e dalla risurrezione del Signore,dal momento che le azioni compiute da Ge-sù durante quel pasto rituale erano un’antici-pazione in parole e in opere del mistero pa-squale iniziato appunto con quella Cena.

Nella preghiera sulle offerte si ribadisce,dunque, che ogni volta, non solo il giovedìsanto, che celebriamo l’Eucaristia si realizzal’azione salvifica: “Concedi a noi tuoi fedeliSignore, di partecipare degnamente ai santimisteri, perché ogni volta che celebriamoquesto memoriale del sacrificio del Signore,si compie l’opera della nostra redenzione”.

Nella preghiera dopo la comunione siconferma che la Cena sulla terra è preludio

al banchetto celeste: “Padre onnipotente,che nella vita terrena ci nutri alla Cena deltuo Figlio, accoglici come tuoi commensalial banchetto glorioso del cielo”.

I testi biblici, come sempre, sono chia-ramente esplicativi del mistero che si cele-bra.

La prima lettura è tratta dal libro dell’Eso-do ed è la narrazione del comando di Dio aMosè e Aronne perché predisponessero chetutte le famiglie delle varie tribù del popolodi Israele preparassero e mangiassero unagnello: “…senza difetto, maschio, natonell’anno…lo immolerete al tramonto… Pre-so un po’ del suo sangue, lo porranno suidue stipiti e sull’architrave delle case, in cuilo dovranno mangiare… È la Pasqua del Si-gnore!” (Es 12, 1-6. 11-14)

Nella prima lettera di san Paolo apostoloai Corinzi, Paolo narra il momento culminedi quella cena: “Il Signore Gesù, nella nottein cui veniva tradito, prese del pane e, dopoaver reso grazie, lo spezzò e disse: ‘Questo èil mio corpo, che è per voi; fate questo inmemoria di me’.

Allo stesso modo, dopo aver cenato,prese anche il calice, dicendo: ‘Questo cali-ce è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fa-te questo, ogni volta che ne bevete, in me-moria di me’ ”.

Un secondo elemento essenziale della ce-lebrazione eucaristica del giovedì santo è co-stituito dal cosiddetto mandatum, che vienedescritto da Giovanni nel suo Vangelo: Gesùsi alza da tavola, si cinge alla vita un asciu-gatoio e dopo aver versato dell’acqua in uncatino, lava i piedi ai suoi discepoli dicendo:“Vi ho dato infatti l’esempio, perché comeho fatto io, facciate anche voi”.

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Queste parole di Gesù sono estremamen-te chiare per manifestare il suo desiderio chela celebrazione eucaristica, con il dono d’a-more del suo corpo e del suo sangue, nonrimanga una pura e semplice azione rituale,ma divenga condivisione sostanziale di unavita che sia, nel cammino di fede quotidia-no, risposta all’amore che l’Amore increatoci ha indicato: “Vi do un comandamentonuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come iovi ho amato, così amatevi anche voi gli unigli altri” (Gv 13,34).

Al termine della proclamazione della pe-ricope evangelica, infatti, il celebrante chepresiede la celebrazione liturgica ripete il ge-sto che Gesù ha compiuto nell’ultima Cenail giovedì santo, le antifone che si cantano osi proclamano sono tutte tratte dal capitolo13 del Vangelo secondo Giovanni e descri-vono con ricchezza di particolari questo ge-sto di grande amore che l’Amore increatocompie per l’uomo e che affida ai suoi apo-stoli, discepoli e seguaci.

Il dono di amore del suo corpo e del suosangue, eucaristia, è il motivo dominante,anzi specificamente unico di tutta la celebra-zione eucaristica, Eucaristia, della Cena delSignore del giovedì santo. Gesù non parlasolo di amore, ma dimostra il suo infinitoamore per l’uomo con la sua passione e lasua morte, ratificando il suo sacrificio con lasua risurrezione e invitando i suoi seguaci arivivere nell’oggi della loro storia e della sto-ria del mondo per mezzo dell’Eucaristia cele-brata: “Sacerdote vero ed eterno, egli istituìil rito del sacrificio perenne; a te per primo sioffrì vittima di salvezza, e comandò a noi diperpetuare l’offerta in sua memoria, il suocorpo per noi immolato è nostro cibo e ci dà

forza, il suo sangue per noi versato è la be-vanda che ci redime da ogni colpa”. (Prefa-zio della Santissima Eucaristia, 1)

Il terzo momento forte della celebrazioneeucaristica della Cena del Signore il giovedìsanto è costituito dalla processione con laquale si portano le sacre specie, l’Eucaristia,all’altare della reposizione, debitamente pre-parato, per l’adorazione dei fedeli fino amezzanotte e per la comunione del giornoseguente, il venerdì santo. Tutti i presenti so-no invitati a cantare le strofe dell’inno Pan-ge, lingua, inno scritto per i vespri dell’uffi-cio divino per la festa del Corpus Domini dasan Tommaso d’Aquino, anche se l’inizio diquesto inno è di Venanzio Fortunato (sec.VI) nel suo canto alla Croce.

Riteniamo che, per concludere, siano co-me sempre efficaci le affermazioni del SantoPadre Giovanni Paolo II nella citata Letteraenciclica sull’Eucaristia:

“Il Concilio Vaticano II ha ricordato chela Celebrazione eucaristica è al centro delprocesso di crescita della Chiesa. Infatti, do-po aver detto che “la Chiesa, ossia il regnodi Cristo già presente in mistero, per la po-tenza di Dio cresce visibilmente nel mon-do”(LG 3), quasi volendo rispondere alla do-manda: “Come cresce?”, aggiunge: “Ognivolta che il sacrificio della Croce “col qualeCristo, nostro agnello pasquale, è stato im-molato” (1 Cor 5,7) viene celebrato sull’al-tare, si effettua l’opera della nostra reden-zione. E insieme, col sacramento del paneeucaristico, viene rappresentata e prodottal’unità dei fedeli, che costituiscono un solocorpo in Cristo (cfr 1 Cor 10,17) “.8

Senza alcun dubbio siamo invitati a riflet-tere e poi a credere ed infine a vivere con

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passione e convinzione che: “C’è un influssocausale dell’Eucaristia, alle origini stesse del-la Chiesa. Gli evangelisti precisano che sonostati i Dodici, gli Apostoli, a riunirsi con Gesùnell’Ultima Cena (cfr Mt 26,20; Mc 14,17;Lc 22,14). È un particolare di notevole rile-vanza, perché gli Apostoli “furono ad untempo il seme del nuovo Israele e l’originedella sacra gerarchia”(AG 5). Offrendo lorocome cibo il suo corpo e il suo sangue, Cri-sto li coinvolgeva misteriosamente nel sacri-ficio che si sarebbe consumato di lì a pocheore sul Calvario. In analogia con l’Alleanzadel Sinai, suggellata dal sacrificio e dall’a-spersione col sangue, i gesti e le parole diGesù nell’Ultima Cena gettavano le fonda-menta della nuova comunità messianica, ilPopolo della nuova Alleanza”.

“L’incorporazione a Cristo, realizzata at-traverso il Battesimo, si rinnova e si conso-lida continuamente con la partecipazioneal Sacrificio eucaristico, soprattutto con lapiena partecipazione ad esso che si ha nel-la comunione sacramentale. Possiamo direche non soltanto ciascuno di noi riceve Cri-sto, ma che anche Cristo riceve ciascuno di

noi. Egli stringe la sua amicizia con noi: “Voi siete miei amici “ (Gv 15,14). Noi, anzi,viviamo grazie a Lui: “ Colui che mangia dime vivrà per me “ (Gv 6,57). Nella comu-nione eucaristica si realizza in modo subli-me il “dimorare“ l’uno nell’altro di Cristo edel discepolo: “Rimanete in me e io in voi“(Gv 15,4). “Ogni cristiano deve ricordareche: Unendosi a Cristo, il Popolo della nuo-va Alleanza, lungi dal chiudersi in se stes-so, diventa “sacramento” per l’umanità (LG1), segno e strumento della salvezza opera-ta da Cristo, luce del mondo e sale dellaterra (cfr Mt 5,13-16) per la redenzione ditutti (LG 9). La missione della Chiesa è incontinuità con quella di Cristo: “ Come ilPadre ha mandato me, anch’io mando voi“ (Gv 20,21). Perciò dalla perpetuazionenell’Eucaristia del sacrificio della Croce edalla comunione col corpo e con il sanguedi Cristo la Chiesa trae la necessaria forzaspirituale per compiere la sua missione.Così l’Eucaristia si pone come fonte e insie-me come culmine di tutta l’evangelizzazio-ne, poiché il suo fine è la comunione degliuomini con Cristo e in Lui col Padre e conlo Spirito Santo.10

——————1 Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lu-

men Gentium, 11.2 Conc. Ecum. Vat. II, Decreto sul ministero e la vita

dei presbiteri Presbuterorum ordinis, 5.3 Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, introdu-

zione, n. 1.4 Ibid n. 2

5 Ibid n. 216 Ibid n. 27 Ibid n. 38 Ibid n. 219 Ibid n. 2110 Ibid n. 22

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olti battezzati non sanno che nelcontesto delle celebrazioni pasqualiesiste anche la Messa del Crisma,

presieduta dal vescovo, circondato da tutti isuoi preti, nella chiesa cattedrale di ogni dio-cesi. D’altra parte dal secolo XIII fino al 1955questa messa per la benedizione degli oli (l’o-lio degli infermi, l’olio dei catecumeni e il san-to crisma) si era fusa nelle cattedrali con lamessa del Giovedì santo nella memoria an-nuale dell’ultima cena del Signore, perdendocosì la sua originaria particolarità. Tuttavia,ancor prima della riforma del Concilio Vatica-no II, il papa Pio XII nel 1955 riporta la cele-brazione del Triduo pasquale nelle ore vesper-tine ridando così alla Messa del Crisma la pos-sibilità di ritrovare la sua originaria identità eautonomia, ponendola al mattino del Giovedìsanto.

Con la riforma liturgica del Vaticano II lenorme prevedono che tale messa, per ragionipastorali, possa essere anticipata in altro gior-no, purché vicino alla Pasqua (Pontificale Ro-mano 10; CE 275). Una possibilità che vienesempre più presa in considerazioni dalle dio-cesi in quanto non soltanto il Giovedì santo ègià sufficientemente qualificato e impegnatodalla messa vespertina, ma soprattutto perpermettere a tutti i fedeli di potervi prendereparte.

Infatti, tale messa, veramente unica nelcorso dell’anno liturgico, celebra in qualchemodo tutta la sacramentalità della Chiesa,cioè tutti i segni sacramentali attraverso i qua-

li, per mezzo della Chiesa, giunge a noi oggila salvezza sgorgata dal mistero pasquale.

Non è quindi una celebrazione secondariariservata ai preti e ad alcune categorie privile-giate. Si tratta di una vera assemblea liturgicadiocesana, anzi, per la verità si tratta dell’uni-ca assemblea liturgica diocesana e dell’unicaconcelebrazione di tutti i preti con il loro ve-scovo prevista dal Messale nella struttura stes-sa dell’anno liturgico. Tutte le altre assembleeliturgiche diocesane con la concelebrazionesono occasionali e facoltative.

Ma andiamo per ordine cercando di capirequalcosa in più a riguardo di questa messa at-traverso le origini storiche.

Brevi cenni storiciIl Giovedì Santo tradisce una genesi com-

plessa che ha fatto convergere in un sologiorno almeno tre oggetti diversi di celebra-zione: la riconciliazione dei penitenti; la con-sacrazione degli oli; la commemorazione dellacena del Signore.

A Roma, prima del VII secolo, sembra cheil Giovedì Santo fosse soltanto il giorno dellariconciliazione a conclusione della penitenzaquaresimale. Tuttavia nel corso di quellostesso secolo, come attesta il SacramentarioGelasiano (n. 391), vi si trovano addiritturatre messe: una per la riconciliazione dei pe-nitenti; un’altra per la consacrazione deglioli; una terza per commemorare la cena.Questo accumulo di celebrazioni è dovutoall’incontro nella stessa città di due diverse

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La Messa del Crisma1

don Francesco Giuliani

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liturgie: quella papale del Laterano, da doveproviene la consacrazione degli oli, e quelladelle chiese titolari.

La Messa Crismale, quindi, strettamente le-gata alla Pasqua, nel corso della storia si è le-gata accidentalmente al Giovedì santo. Infatti,dai più antichi documenti liturgici risulta che aRoma la mattina del Giovedì santo si celebra-va l’ultima messa di Quaresima, quindi l’ulti-ma messa durante la quale era possibile bene-dire gli oli necessari per i riti dell’iniziazione cri-stiana, previsti durante la Veglia pasquale.

Sembra che nella Gallia, sino alla fine delsettimo secolo, la benedizione degli Oli santisi facesse nel corso della Quaresima e non ilgiovedì santo.

L’origine della benedizione degli Oli santi edel Crisma al Giovedì santo è però romana,nonostante l’evidente impronta gallicana. Se,dal punto di vista teologico, si deve collegarela benedizione degli Oli santi e la consacrazio-ne del Crisma all’eucaristia, non si può attri-buire a questa teologia interessante, che dal-l’eucaristia fa dipendere tutti i sacramenti, ilmotivo determinante di tale rito fissato al gio-vedì santo. Sembra piuttosto che si tratti diuna determinazione semplicemente utilitari-stica: del Crisma e degli Oli santi si aveva biso-gno per il battesimo e la cresima nella Vegliapasquale: occorreva dunque una funzione du-rante la quale fossero consacrati.

Le origini delle sue parti diverse però nonsono molto chiare. Secondo alcuni2 esse nonpossono essere romane; secondo altri potreb-bero esserlo3. La messa del Crisma non avevala liturgia della Parola: il motivo di questamancanza è ignoto. Forse la liturgia dellaRiconciliazione aveva luogo prima della cele-brazione eucaristica e sostituiva la liturgia del-

la Parola. Oppure abbiamo qui le tracce del-l’antica disciplina secondo la quale non vi erané la liturgia della Parola, né la liturgia Eucari-stica il giovedì santo. Quando si è celebrata laliturgia Eucaristica il giovedì santo, forse si èsemplicemente istituita la celebrazione Eucari-stica senza pensare di farla precedere dalla li-turgia della Parola.

Quando tra il secolo XII e il XIII, per rispon-dere a particolari esigenze pastorali di quell’e-poca (non ultima quella che riguardava il di-giuno invalso fin dalla mezzanotte per poterfare la comunione), le celebrazioni dell’Eucari-stia furono anticipate al mattino, nelle catte-drali le due celebrazioni del Giovedì santo sitrovarono inevitabilmente fuse, dando poi ori-gine a qualche malinteso. Si finì, ad esempio,con l’identificare la messa degli oli con la me-moria dell’istituzione del ministero sacerdota-le, che resta invece legata alla messa vesperti-na del Giovedì santo, quando si fa memoriadell’istituzione dell’Eucaristia.

Sotto l’influsso di questa tradizione e so-prattutto condizionati dalla prassi che dal1955 vedeva a questa messa, posta al matti-no di un giorno lavorativo, quasi unicamentela presenza di preti, la riforma del Messale Ro-mano (1970) ha rielaborato i nuovi testi dan-do particolare attenzione al ministero ordina-to (vescovi, preti e diaconi).

In realtà, nel suo significato originario que-sta messa resta fondamentalmente celebra-zione di tutto il sacerdozio cristiano, compre-so quello comune di ogni battezzato, comesottolinea la stessa antifona d’ingresso di que-sta messa desunta dall’Apocalisse: «Gesù Cri-sto ha fatto di noi un regno e ci ha costituitosacerdoti per il suo Dio e Padre: a lui gloria epotenza nei secoli dei secoli. Amen».

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Per queste ragioni nel contesto della Setti-mana santa, la messa del crisma deve diven-tare sempre più l’assemblea pasquale diocesa-na per celebrare la Chiesa particolare: qualeespressione sacramentale della salvezza, attra-verso i vari sacramenti e ministeri ordinati, isti-tuiti e di fatto. Affinché questa celebrazionediventi tutto ciò, la scelta del giorno e dell’oranon sono secondari.

La concelebrazioneLa messa del crisma, nella sua struttura

fondamentale, è come tutte le altre. Ha peròalcune caratteristiche e alcuni momenti deltutto particolari. È infatti unica nel corso del-l’anno, unica per tutta la diocesi, semprepresieduta dal vescovo nella chiesa cattedralee sempre concelebrata, cioè celebrata da tut-ti i preti della diocesi con il loro vescovo. Co-me si è già accennato, può anche accadereche altre messe, in occasioni di solennità oanche semplicemente di matrimoni o funera-li, siano concelebrate da più sacerdoti. Manella messa del crisma la concelebrazionenon è un fatto occasionale: essa è costitutivadi questa messa e pertanto assume qui lasua identità più vera, senza ambiguità: è la«manifestazione della comunione dei presbi-teri con il proprio vescovo nell’unico e mede-simo sacerdozio e ministero di Cristo». È ve-ramente una celebrazione unica nel corsodell’anno e per questo le norme si preoccu-pano che tale messa sia un’autentica manife-stazione di Chiesa, di comunione: «Si invitinocon insistenza anche i fedeli a partecipare aquesta messa e a ricevere il sacramento del-l’Eucaristia durante la sua celebrazione»4.

Per queste ragioni, nelle diverse diocesisi cerca di porre la messa del crisma in gior-

ni della Settimana santa e in orari che per-mettano la partecipazione del maggior nu-mero possibile di fedeli. È la celebrazionenel corso della quale, dal vescovo fino al-l’ultimo dei battezzati, tutti siamo chiamatia riscoprire il Battesimo e tutti gli altri sa-cramenti come strumenti di salvezza sol-tanto nella misura in cui si manifestano co-me servizio, offerta di sé, sulle orme di quelGesù che non è venuto a farsi servire maper essere servo di tutti.

La Liturgia della Parola annuncia questomessaggio attraverso la prima lettura, nellaquale il profeta Isaia riassume la sua missio-ne che consiste nel portare il lieto annunzioai poveri, nel fasciare le piaghe dei cuorispezzati, nel proclamare la libertà per glischiavi, nel consolare tutti gli afflitti. Sono lestesse parole che Gesù, nella pagina evan-gelica proclamata in questa messa, applica asé nella sinagoga di Nazaret per affermareche in lui si compie in pienezza questa mis-sione adombrata in tutti i profeti: «Oggi si èadempiuta questa scrittura che voi aveteudita con i vostri orecchi» (Lc 4,21). È ap-punto in questo servizio di annuncio e di ca-rità che si manifesta la missione sacerdotaledella Chiesa, sull’esempio di colui che haversato il suo sangue diventando così il pri-mogenito dei morti e il principe dei re dellaterra, come proclama la seconda lettura pre-sa dall’Apocalisse.

La rinnovazione delle promessesacerdotali

È nel contesto di questa celebrazione cheproclama il servizio, la ministerialità come notacaratteristica di tutta la Chiesa e quindi di ognicristiano, che dal 1969 il papa Paolo VI ha vo-

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luto che, dopo l’omelia del vescovo, davanti alpopolo di Dio, i sacerdoti rinnovino il loro im-pegno a servizio della comunità cristiana.

La benedizione degli oliDopo l’omelia, che ovviamente tiene conto

di tutta l’ampiezza della ministerialità, e nonsoltanto del ministero ordinato, e dopo la rin-novazione delle promesse sacerdotali, non sirecita il Credo e si omette la preghiera univer-sale. Ha subito luogo la processione con i doni.

Vengono portate all’altare le tre ampolleper la benedizione dell’olio degli infermi, dell’o-lio dei catecumeni e dell’olio mescolato con so-stanze profumate per la confezione del crisma.Seguono alcuni fedeli che recano il pane, il vi-no e l’acqua per la celebrazione dell’Eucaristia.

L’antica tradizione latina prevedeva la be-nedizione dell’olio degli infermi prima dellaconclusione della preghiera eucaristica, insie-me con i frutti della terra che poi ognuno por-tava a casa come segni concreti della benedi-zione di Dio, del suo amore, che dal sacrificiodi Cristo si diffonde nel tessuto della vita quo-tidiana. È importante sottolineare questaprassi perché mette in evidenza come l’anticacomunità cristiana fosse consapevole del fattoche ogni benedizione emana dall’unica gran-de benedizione che è la preghiera eucaristica,per mezzo della quale Dio dona ancora sestesso in Cristo e l’uomo benedice Dio perquesto dono che riassume tutti gli altri doni.

L’olio dei catecumeni e il crisma venivanobenedetti dopo la comunione. Questa prassiè ancora possibile oggi ma, per ragioni pa-storali e in conformità alla norma attualeche prevede quasi tutte le celebrazioni sa-cramentali poste come cerniera tra la Litur-gia della Parola e la Liturgia Eucaristica, si

preferisce quasi ovunque fare così anche perla benedizione di tutti gli oli.

Il crismaL’uso di quest’olio, misto a profumo e

chiamato Crisma, è testimoniato nei riti del-l’iniziazione cristiana fin dagli inizi del secoloIII. Si tratta dell’olio che ancora oggi il vesco-vo usa per la Cresima o Confermazione, co-me pure per le ordinazioni presbiterali edepiscopali e che usa anche ogni sacerdoteper l’unzione che si fa subito dopo il Battesi-mo sul capo dei bambini.

Nell’evolversi della prassi liturgica il cri-sma è entrato anche nel rito della dedicazio-ne della chiesa per ungere sia l’altare, sim-bolo di Cristo, sia pure le pareti dell’edificiodi culto, simbolo della Chiesa costituita daicristiani. Per l’importanza simbolica che ilcrisma assume nelle celebrazioni sacramen-tali della Chiesa, la sua benedizione è riser-vata al vescovo, mentre per gli altri due oli,in casi particolari, la benedizione può esserecompiuta anche dal semplice sacerdote.

Sempre per il suo particolare legame con isacramenti che imprimono il «carattere», cioèun rapporto indelebile con Cristo, come ap-punto sono il Battesimo, la Cresima e l’Ordi-ne, la benedizione del crisma assume unaparticolare solennità. Il vescovo, infatti, intro-duce la preghiera di benedizione con una mo-nizione e invita tutti a pregare in silenzio perqualche istante. Durante la preghiera, se il ve-scovo lo ritiene opportuno e simbolicamentevalido, alita sull’ampolla del crisma. Questogesto, che oggi risulta di difficile comprensio-ne, richiama in fondo il Gesto primordiale diDio per dare vita all’uomo (“Il Signore Dio pla-smò l’uomo con polvere del suolo e soffiò

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nelle sue narici un alito di vita e l’uomo diven-ne un essere vivente”, Gen 2,7), come pure ilgesto di Gesù per comunicare lo Spirito Santoai suoi discepoli (“Dopo aver detto questo,alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito San-to”, Gv 20,22). Con questo eventuale gestodel vescovo si intende infatti esprimere l’azio-ne dello Spirito santo che, attraverso la Chie-sa, viene solennemente invocato sul crisma,mentre tutti i sacerdoti concelebranti parte-cipano alla benedizione stendendo versol’ampolla dell’olio la mano destra.

Dopo questa benedizione, la messa conti-nua nel modo consueto. Al termine della mes-sa gli oli benedetti vengono portati processio-nalmente in sacrestia, preceduti dalla croce eseguiti da tutti i preti concelebranti e dal ve-scovo. Questa processione che conclude lamessa del crisma si ricollega idealmente allaprocessione d’ingresso nella messa vespertinadel Giovedì santo, durante la quale le normeconsigliano di portare gli oli perché siano pre-sentati e accolti in ogni singola comunità par-rocchiale come segni della salvezza pasquale edella piena comunione con il vescovo e con laChiesa universale che egli rappresenta inquanto garante della successione apostolica.

In conclusione, la riforma della settimanasanta nel 1955 mirava a far della messa cri-smale un rito per meglio esprimere la Chiesalocale unita attorno al suo presbiterio. Inrealtà questa messa celebrata il Giovedì San-to mattina è una celebrazione alla quale ilpopolo di Dio trova non poche difficoltà perpartecipare attivamente. Chi può permetter-si, infatti, il lusso di partecipare ad una cele-brazione che ha luogo nel bel mezzo delmattino di un giorno lavorativo? E anche sela gente potesse, sarebbe opportuno impe-gnare i fedeli in due grosse celebrazioni inuno stesso giorno? Inoltre sarebbe bello po-ter far partecipare alla messa crismale anchei prossimi o recenti cresimati, che possonofinalmente vedere il Sacro Crisma con cui sa-ranno o sono stati cresimati. Ogni parroc-chia potrebbe essere rappresentata da ungruppo significativo guidato dal proprio pa-store e i diversi ministeri ecclesiali dovrebbe-ro essere rappresentati in questa celebrazio-ne diventando così segno visibile di unaChiesa tutta sacerdotale (1 Pt 2,9), gerarchi-camente ordinata. La Messa Crismale diven-terà così più visibilmente festa di tutto il po-polo di Dio e del sacerdozio cristiano.

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1 Per la realizzazione di questo contributo mi sonoservito dei seguenti testi: A. NOCENT, CelebrareGesù Cristo, l’anno liturgico, vol. 3, Assisi 1996;S. SIRBONI, La grande Settimana, Milano 1996;Congregazione per il culto divino, Preparazione ecelebrazione delle feste pasquali, 1988.

2 Per esempio H. SCHMIDT, Hebdomada Sancta,Herder 1956-57, vol. II, pp. 738 e 734-736.

3 Per esempio A. CHAVASSE, A Rome le jeudisaint au VII siècle secondo un antico Ordo Ro-mano in “Revue Hist. Eccl.” 50, 1955, pp. 21-

35; Le Sacramentaire Gélasien, pp. 126-137. Ledue tesi opposte sono in rapporto con la posi-zione assunta a proposito della origine delSacramentario Gelasiano e del suo uso. A. Cha-vasse lo ritiene un libro composto a Roma ai finidei titoli presbiterali; H. Schmidt lo ritiene unacompilazione di «libelli» romani giunti nella Gal-lia nel sesto secolo, ai quali si sono aggiunti for-mulari gallicani e altri formulari propri.

4 Congregazione per il culto divino, Preparazionee celebrazione delle feste pasquali, 1988, 35.

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a celebrazione della Messa, inquanto azione di Cristo e del po-polo di Dio gerarchicamente ordi-

nato, costituisce il centro di tutta la vita cri-stiana per la Chiesa universale, per quellalocale, e per i singoli fedeli. Nella Messa,infatti, si ha il culmine sia dell’azione concui Dio santifica il mondo in Cristo, sia delculto che gli uomini rendono al Padre, ado-randolo per mezzo di Cristo Figlio di Dionello Spirito Santo. In essa inoltre la Chiesa commemora, nelcorso dell’anno, i misteri della redenzione,in modo da renderli in certo modo presen-ti. Tutte le altre azioni sacre e ogni attivitàdella vita cristiana sono in stretta relazionecon la Messa, da essa derivano e ad essasono ordinate.” Con questo paragrafo, il n.16, si apre il pri-mo capitolo dell’Ordinamento Generale delMessale Romano, intitolato “Importanza edignità della celebrazione eucaristica”. Vie-ne qui sottolineata la centralità e l’unicitàdella Santa Messa nella vita del cristiano enella vita della Chiesa, da cui deriva ognialtra azione sacra.

Questo primo capitolo è molto breve, ar-ticolato in 11 paragrafi, ma costituisce ilfondamento su cui si costruisce poi tuttol’Ordinamento. Si ribadisce infatti come sia“di somma importanza” il fatto che la cele-brazione della Messa sia ordinata in modo

tale che i sacri ministri e i fedeli, “tragganoabbondanza di quei frutti, per il consegui-mento dei quali Cristo Signore ha istituito ilsacrificio eucaristico del suo Corpo e del suoSangue e lo ha affidato, come memorialedella sua passione e risurrezione, alla Chie-sa, sua dilettissima sposa.”

Per ottenere questo risultato, sarà ne-cessario ordinare l’intera celebrazione “inmodo tale da portare i fedeli a una parteci-pazione consapevole, attiva e piena, este-riore e interiore, ardente di fede, speranzae carità”. Tale partecipazione non è co-munque opzionale, in quanto “vivamentedesiderata dalla Chiesa e richiesta dalla na-tura stessa della celebrazione, e alla quale ilpopolo cristiano ha diritto e dovere in forzadel battesimo”.

Anche se non sempre si può avere la pre-senza e l’attiva partecipazione dei fedeli, lacelebrazione eucaristica ha sempre “l’effica-cia e la dignità che le sono proprie, in quan-to è azione di Cristo e della Chiesa, nellaquale il sacerdote compie il suo ministerospecifico e agisce sempre per la salvezza delpopolo”. Per questo motivo viene racco-mandato al sacerdote di celebrare il sacrifi-cio eucaristico “anche ogni giorno, avendo-ne la possibilità”.

Viene poi sottolineata l’importanza dei“segni sensibili”, attraverso i quali si compiela celebrazione dell’Eucaristia e tutta la Litur-

Testi e Documenti

Ordinamento generaledel Messale Romano – 2

Stefano Lodigiani

“L

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gia, ed inoltre “la fede si alimenta, s’irrobu-stisce e si esprime”. Quindi “si deve avere lamassima cura nello scegliere e nel disporrequelle forme e quegli elementi che la Chiesapropone, e che, considerate le circostanze dipersone e di luoghi, possono favorire più in-tensamente la partecipazione attiva e piena,e rispondere più adeguatamente al benespirituale dei fedeli”.

Nella Chiesa particolare, la celebrazionedell’Eucaristia “è l’atto più importante” poi-ché il Vescovo diocesano, “primo dispensa-tore dei misteri di Dio nella Chiesa partico-lare a lui affidata, è la guida, il promotore eil custode di tutta la vita liturgica”. Nelle ce-lebrazioni presiedute dal Vescovo, soprat-tutto nella celebrazione eucaristica, a cuipartecipano il presbiterio, i diaconi ed il po-polo, “si manifesta il mistero della Chiesa”.Perciò questa celebrazione deve essere“modello per tutta la diocesi”.

L’ordinamento richiama quindi il doveredel Vescovo di fare in modo che “i presbite-ri, i diaconi e i fedeli comprendano semprepiù il senso autentico dei riti e dei testi litur-gici e così siano condotti ad una attiva efruttuosa celebrazione dell’Eucaristia”.Compete al Vescovo anche prestare la do-vuta attenzione perché cresca la dignità diqueste celebrazioni, e per raggiungere que-sto obiettivo è di grande importanza “pro-muovere la cura per la bellezza del luogosacro, della musica e dell’arte.”

Il primo capitolo si chiude ricordandoche nell’Ordinamento generale e nel Ritodella Messa verranno indicate le scelte e gliadattamenti possibili da applicare alla cele-brazione liturgica, “che per lo più consisto-no nella scelta di alcuni riti o testi, cioè di

canti, letture, orazioni, monizioni e gestiche siano più rispondenti alle necessità, allapreparazione e alla capacità di comprensio-ne dei partecipanti”, sottolineando che essicomunque “spettano al sacerdote celebran-te”, il quale deve ricordare “di essere il ser-vitore della sacra Liturgia e che nella cele-brazione della Messa a lui non è consentitoaggiungere, togliere o mutare nulla a pro-prio piacimento”.

(continua)

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Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 1-2006 Testi e Documenti

Icona, Cristo Pantocratore, Monte Athos.

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Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 1-2006

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regorio Palamas ha un ruolo moltoimportante nell’ambito della spiri-tualità orientale, poiché ha ap-

profondito i temi più importanti dell’orto-dossia.

Seguendo l’indicazione della Chiesa checi invita a riscoprire “le immense ricchezzeche le nostre Chiese conservano nei forzieridelle loro tradizioni” (Orientale lumen, n.4),presentiamo un testo sul tema della diviniz-zazione, centrale nel cristianesimo orientale,così da mostrare come i padri scrivono fa-cendo una parafrasi della S. Scrittura, secon-do un percorso che ne illumina il vero signi-ficato.

Coloro che vengono divinizzati non sonosemplicemente migliorati nella loro natura,ma ricevono inoltre lo Spirito Santo stesso.

Secondo Basilio il Grande, “quando in-tendiamo la dignità sua propria, lo contem-pliamo col Padre e col Figlio, mentre quandoci riferiamo alla grazia attuata, per coloroche ne partecipano, diciamo che è in noi”.Ma se è così per i santi come lo è per tuttele creature, ossia se Dio creasse la santità neisanti nello stesso modo con il quale crea ne-gli altri esseri le qualità a loro convenienti,quale bisogno ci sarebbe allora di Cristo edella sua venuta sulla terra? Quale bisognodel battesimo secondo il suo ordine, e quale

bisogno del potere e della capacità che nerisultano per noi?

Quale bisogno dello Spirito soffiato,mandato e stabilito in noi sua dimora già dalprincipio?

Infatti, sarebbe stato presente in noi, co-me pure nell’universo e Dio sarebbe a causadi ciò nello stesso modo creatore e divinizza-tore. Tuttavia il grande Basilio ha detto chia-ramente “Se Dio allo stesso modo crea e ge-nera, allo stesso modo il Cristo è il nostrocreatore e padre; essendo egli Dio, non c’èbisogno dell’adozione filiale per mezzo delloSpirito Santo”.

Egli ci ha fatto rivivere con Cristo dicel’Apostolo, e ci ha fatto sedere insieme neiluoghi celesti, in Gesù Cristo (Ef 2,5).

Perché per grazia infatti siete stati salvati,mediante la fede (Ef 2.5).

E ciò non viene da voi, ma è dono di Dio;né viene dalle opere, perché nessuno possavantarsene (Ef 2,8-9).

Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo,non gli appartiene (Rm 8,9) e il suo Spiritoabita in noi (Rm 8,11).

Tutti ci siamo abbeverati ad un solo Spiri-to (1Cor 12,13).

Chi si unisce al Signore forma con lui unsolo spirito (1Cor 6,17).

Cristo abita nei cuori dei credenti permezzo dello Spirito (cfr Ef 3,16).

In dialogo

Un autore dell’Oriente cristiano:Gregorio Palamas

don Giovanni Biallo

G

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Dopo aver ascoltato la parola della verità(Ef 1,13),

abbiamo ricevuto il suggello dello SpiritoSanto che era stato promesso, il quale è ca-parra della nostra eredità (Ef 1,13-14).

Da questo si conosce che noi rimaniamoin lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono delsuo Spirito (1Gv 4,13).

Non avete ricevuto uno spirito da schiavi,ma uno spirito da figli (Rm 8,15).

Il Signore tuo Dio è l’unico Signore (Dt6,4), conosciuto nel Padre e nel Figlio e nelloSpirito Santo. Nel padre ingenerato; nel Fi-glio generato, lui il Verbo senza principio,senza tempo e impassibilmente, lui il Verbo,il quale avendo unto ed assunto la nostracarne è chiamato Cristo; e nello Spirito San-to, anch’esso proveniente dal Padre, nonper generazione ma per processione. Que-sto è l’unico Dio.

Questo è il Dio vero: l’unico signore nellaTrinità delle Ipostasi, indiviso nella sua natu-ra, nella sua volontà, nella sua gloria, nellasua potenza, nella sua energia e in tutte leproprietà della sua Divinità.

Lui solo amerai e a lui solo presterai cul-to, con tutta la tua mente, con tutto il tuocuore, con tutta la tua forza (Dt 6,5).

Le sue parole e i suoi ordini saranno nel tuocuore, affinché tu li metta in pratica, li mediti,li pronunci, quando siedi e quando cammini,quando ti corichi e quando ti rialzi (Dt 6,7).

Ricordati incessantemente del SignoreDio tuo (cfr. Dt 8,18) e temi lui solo (cfr. Dt6,13).

Non dimenticarti di lui né dei suoi co-mandi perché così egli stesso ti darà la forzadi fare la sua volontà (cfr. 6,12).

Infatti non richiede nient’altro da te senon che tu lo tema e lo ami e cammini intutte le sue vie (Dt 10,12).

Egli è l’oggetto della tua lode, Egli è iltuo Dio (Dt 10,21).

Dunque solo lui, il Maestro e Creatore ditutto, glorificherai come il tuo Dio, e alui so-lo aderirai con amore, e davanti a lui ti pen-tirai notte e giorno per le colpe volontarie einvolontarie. Egli è infatti buono e pietoso,lento all’ira e grande nell’amore (Sal 103,8).

Concludiamo con una preghiera trattadall’Ufficio liturgico bizantino della secondadomenica di Quaresima, in cui si fa memoriadi san Gregorio Palamas.

Quanti si occupano, o Gregorio, dei tuoidiscorsi e dei tuoi scritti, vengono iniziati allascienza di Dio, vengono ricolmati di sapien-za spirituale e trattano da teologi della gra-zia increata e dell’energia di Dio.

Sei divenuto specchio di Dio, o Gregorio.Hai infatti custodito senza macchia l’imma-gine di Dio in te e, collocando coraggiosa-mente l’intelletto a guida delle passioni car-nali, hai ottenuto la somiglianza con lui. Seicosì divenuto fulgida dimora della santa Tri-nità.

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Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 1-2006 In dialogo

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PRIMA LETTURADal libro del profeta Malachia (3,1-4)Dopo il ritorno dall’esilio il popolo è ri-

caduto in una profonda indifferenza religio-sa, intorno al 460 il profeta Malachia spronai suoi correligionari ad un serio rinnovamen-to della vita spirituale. La rilassatezza infattiè generale. Volgendosi verso l’avvenire egliintravede l’arrivo di un messaggero che pre-parerà il cammino davanti a Dio. Questo“angelo dell’alleanza” agirà come un lavan-daio e come un fonditore, senza rispetto pernessuno ripulirà il popolo dai suoi peccati.A cominciare proprio da quanti sono più vi-cini al Signore e al suo altare: i figli di Levi,cioè i sacerdoti del tempio di Gerusalemme.Questa venuta purificatrice di Dio nel suotempio è letta dalla liturgia odierna comeuna profezia della venuta di Gesù bambinoal tempio.

SECONDA LETTURADalla lettera agli Ebrei (2,14-18)Il messia era atteso, nella mentalità giu-

daica corrente del tempo di Gesù, come unpersonaggio grandioso. Il messaggero che Dioinvia è invece un piccolo bambino debole eindifeso, come poi sarà un innocente condan-nato e crocefisso. Eppure proprio in un taleuomo Dio opera la salvezza. Offrendosi peramore, egli introduce i fratelli, nel vero rap-porto d’amore con Dio.

VANGELODal vangelo secondo Luca (2,22-40)Il Signore visita il suo tempio. Egli non vie-

ne per giudicare un popolo che non osserva la

legge divina, ma per sottomettersi come uomoall’obbedienza al Padre al quale gli uominihanno disobbedito. Viene a pagare il debitodell’uomo ponendosi come esempio positivo.Dio non esige il sacrificio dell’uomo alla pro-pria maestà (questa è la menzogna di Adamo edi tutte le perversioni religiose), ma chiedeche lo riconosciamo con gratitudine come lasorgente da cui anche la nostra vita sgorga.Presentandosi a Dio, offrendosi a lui in spiritodi gratitudine, l’uomo viene restituito a se stes-so. Riconoscendo che la vita dell’uomo è datada Dio, scopriamo l’altissimo dono della vita.

PRESENTAZIONE DEL SIGNORE2 febbraio 2006I miei occhi hanno visto la tua salvezza.

La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 1-2006

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La parola di Dio celebratadon Nazzareno Marconi

Icona, Presentazione di Gesù al tempio,San Pietroburgo, sec. XV.

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Simeone significa “Dio ha ascoltato”.Questo vecchio saggio rappresenta l’uomoche grato per l’ascolto che Dio ogni giornogli offre impara ad ascoltare anche lui la vo-ce dello Spirito Santo. Solo gli uomini illumi-nati dallo Spirito sanno spiegare esattamentela Scrittura e giudicare gli eventi della sal-vezza. Le braccia del vecchio Simeone rap-presentano le braccia bimillenarie d’Israeleche ricevono il fiore della nuova vita, la pro-messa di Dio.

Il Cantico di Simeone si pone sulla lineadella grande tradizione del Servo di Jahvé:“Io ti renderò luce delle nazioni perché tuporti la mia salvezza fino all’estremità dellaterra” (Is 49,6). Ora si compie quanto erastato predetto: “Alzati, rivestiti di luce, lagloria del Signore brilla su di te. Poiché, ec-co, le tenebre ricoprono la terra, nebbia fittaavvolge le nazioni; ma su di te risplende ilSignore, la sua gloria appare in te. Cammi-neranno i popoli alla tua luce, i re allosplendore del tuo sorgere” (Is 60,1-3). Solochi vede Gesù salvatore può vivere e morirein pace. Solo l’incontro con Dio può sanarela vita dal veleno della paura della morte eguarire l’uomo dalla falsa immagine di Dio.Dietro la porta della morte non ci attende unabisso di tenebre, ma la sala illuminata delbanchetto della vita eterna. Alla salvezza ealla pace, già presenti nel Cantico di Zacca-ria, qui si aggiunge la luce con una chiaraconnotazione di universalismo: la salvezza èper tutti i popoli. Simeone, che mosso dalloSpirito, ha riconosciuto Gesù; ora predice a

PRIMA LETTURADal libro di Giobbe (7,1-4.6-7)Il mistero del male ha sempre provocato il

cuore e la mente dei credenti. Come spiegare

la presenza del male, e in particolare del do-lore innocente, in un mondo in cui dovrebberegnare un Dio di Amore? Il pensiero giudai-co aveva dapprima tentato di spiegare il male

Maria il destino del figlio. La persona di Ge-sù è spiegata ancora oggi a noi dall’AnticoTestamento. Gesù sarà insieme causa di ca-duta e di risurrezione per le moltitudini d’I-sraele, perché porta una salvezza “scandalo-sa” che nessuno è in grado di accettare. Ge-sù contraddice ogni pensiero dell’uomo. Èscandalo e follia.

Ma alla parola dura di condanna, di con-traddizione e di spada, subentra il conforto eil sostegno. Il nome della profetessa e quellidei suoi avi significano salvezza e benedizio-ne. Anna infatti vuol dire: Dio fa grazia; Fa-nuele: Dio è luce; Aser: felicità.

I nomi non sono privi di significato. E quiil loro significato illumina e immerge tuttonello splendore della gioia, della grazia e del-la misericordia. Il tempo messianico è tempodi luce piena.

Anna è tratteggiata come luminoso esem-pio delle vedove cristiane. “Colei che è vera-mente vedova ed è rimasta sola, ha messo lasperanza in Dio e si consacra all’orazione e al-la preghiera giorno e notte” (1Tm 5,5).

Illuminata dallo Spirito Santo, Anna rico-nosce il Messia nel bambino che Maria portaal tempio. Facendo seguito a Simeone, lodaDio e parla continuamente di Gesù a tuttiquelli che aspettano “la redenzione di Geru-salemme” (v.38).

Nel tempio di Gerusalemme si svelanodue aspetti: la contraddizione nei confrontidi Gesù e l’accoglienza nella fede, la con-danna e la salvezza, la caduta e la risurre-zione.

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La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 1-2006

V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO B5 febbraio 2006Guarì molti che erano afflitti da varie malattie.

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come una punizione del peccato. Ma l’autoredi Giobbe mostra la vanità di questo discorsoteologico. Attraverso la storia di Giobbe, ilgiusto innocente colpito dall’infelicità e dallamalattia, denuncia il carattere ingannevoledei tentativi umani di rispondere con facilità echiarezza immediate. Il male rimane senzauna giustificazione razionale possibile. AGiobbe resta solo da ammettere i limiti dellasua comprensione di questa misteriosa realtàe affermare però, nonostante tutto, la sua fidu-cia in Dio.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostolo

ai Corinzi (9,16-19.22-23)Paolo, dopo la sua conversione a Cristo e

al primato della grazia, intuisce con chiarezzail carattere troppo umano del mondo religiosoa cui apparteneva. Solo ora che ha scopertol’amore misericordioso di Dio, è consapevoledi vivere in pienezza. Può perciò sentirsi vici-no alla miseria degli uomini, esserne ferito,senza per questo venirne distrutto. Al contra-rio, è in grado di comunicare ad altri la libertàche gli permette di entrare in una nuova esi-stenza, che riconosce perenne.

VANGELODal vangelo secondo Marco (1,29-39)Dopo l’incontro con l’aspetto pubblico di

Gesù, narrato da Marco nelle prima partedella giornata di Cafarnao, appare un po’ del

suo “privato”. Accompagnato dai quattro di-scepoli, ospitato nella loro casa, Gesù vive,almeno in apparenza, un momento di relax.Per un predicatore di professione sarebbe unmomento in cui “non è in servizio”. Ma quisi fa strada la novità ulteriore: l’impegno diGesù, la sua azione di taumaturgo e di mae-stro sono una missione senza orari, non unlavoro part-time. È qualcosa che prende tuttoil suo essere e che traspare, al punto da sug-gerire con estrema naturalezza ai suoi com-pagni, che è bene “parlargli subito di lei”,cioè della suocera di Pietro che è malata. Di-mostrano con certezza di sapere che non sitratta di un “importunare” il maestro. E se laguarigione è immediata e sicura, è tanta an-che la naturalezza con cui viene compiuta,che nessuno dà in escandescenze, ma si pro-segue nel programma: un pranzo casalingoservito con amore dalla ex-malata. Nulla dimagico, di miracolistico, di culto invasatodella personalità. Questo stile dimesso, quo-tidiano, feriale, con cui si affronta “una inte-ra città” riunita di fronte alla sua porta, mo-stra senza lungaggini la grandezza di Gesù.Chi è Gesù ? Non è certo un fenomeno dabaraccone in cerca di pubblicità, né il suomistero può essere spiegato con le formulesbrigative con cui i demoni si illudono di co-noscerlo, e quindi di racchiudere in una de-finizione il suo segreto.

Chi è Gesù? La domanda deve per ora re-stare sospesa, uno stimolo all’attenzione e al-la riflessione, a puntare lo sguardo e a goderedella gioia sincera di questa gente, per cuiGesù è soprattutto l’occasione di una espe-rienza di salvezza straordinariamente ricca edesaltante.

La strada per cui Marco ci guida a scopri-re il mistero di Gesù, passa per l’intimo dellapersona e traspare dalla preoccupazione del-l’incontro con il Padre. Stare vicino al Padreè indubitabilmente il primo pensiero di Ge-sù. Quando è ancora buio, da solo a solo, inpreghiera. Se qualcuno vuol veramente sape-re chi è Gesù, più che farsi abbagliare daimiracoli, deve cominciare a notare questispaccati sul mistero della Sua persona, un

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La guarigione della suocera di Pietro,min. greca (Athos), sec XIII

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PRIMA LETTURADal libro del Levìtico (13,1-2.45-46)Nella Bibbia la lebbra è ritenuta il male

distruttore per eccellenza. Per questo la so-cietà escludeva chi ne era colpito. Ma taleesclusione non era soltanto fisica. Tenden-zialmente essa è morale. Il lebbroso è perce-pito come “malvagio”. La malattia fisica ac-quista così un aspetto morale e religioso, di-venta impurità che impedisce ogni parteci-pazione alla comunità del culto, proprio per-ché Dio è il Dio della vita e ciò che ricordala morte allontana da lui. Le conseguenzepsicologiche sul malato attuate da questa le-gislazione, come si può ben comprendere,erano tremende.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostolo

ai Corinzi (10,31-11,1)Nei mercati delle città greche si vende-

vano a buon prezzo carni di animali immola-ti agli idoli. Paolo aveva appena risposto ai

suoi corrispondenti che siccome gli idolinon sono nulla, non possono contaminare lacarne rendendola malvagia. Essa è carne co-me l’altra. Però prendendola bisogna stare

mistero che è dialogo solitario, intenso e for-temente desiderato con il Padre. Non solo. Sitratta del nucleo stesso del suo agire, è inquesta intimità che prende chiara coscienzadel perché di ogni sua scelta. Di fronte ai di-scepoli potrà poi dire con chiarezza “sono ve-nuto per predicare”, non per cercare un effi-mero successo garantito dai miracoli e nonsolo a Cafarnao. Non è certo il timore dellafolla che lo cerca, a farlo decidere per la par-tenza, è invece la coscienza di una missioneche lo spinge verso una folla molto più gran-de. Una missione diretta da là da dove Gesùè venuto, da quel luogo con il quale ha certocomunicazione continua, ma soprattutto pri-vilegiata nei momenti della preghiera perso-nale e solitaria.

Marco sottolinea un passaggio chiave:“per questo infatti sono venuto!”. Certo “è ve-nuto” (alla lettera “è uscito”) da Cafarnao, ese ci accontentiamo di questo senso piano eprosaico la frase non ha bisogno di spiega-zioni, ma per chi lo ha visto alzarsi nella not-te e pregare in solitudine, il “luogo” da cui èuscito è molto più lontano del villaggio dellaGalilea. Da quella distanza proviene, conevidenza, la sua facoltà di scacciare i demo-ni, e in modo più oscuro, ma non meno intui-bile, il contenuto della sua predicazione iti-nerante.

“Chi ha orecchi per intendere intenda”sembra dire Marco al suo lettore : Gesù non èsemplicemente “uscito, venuto” da Cafarnao,ma è venuto da Dio.

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO B12 febbraio 2006La lebbra scomparve ed egli guarì.

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La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 1-2006

Guarigione del lebbroso, Cor 5, cod MLVI C. 65r

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attenti di non scandalizzare coloro che vedo-no e non comprendono il senso di questo ge-sto. La regola fondamentale, a cui Paolo contanto buon senso si attiene è che: bisognafare ciò che aiuta gli uomini a dirigersi ver-so Dio, rispettando il loro punto di partenza.Ciò che conta di più è quello che edifica lacomunità.

VANGELODal vangelo secondo Marco (1,40-45)A Gesù si accosta un lebbroso… un ap-

pestato, un malato di AIDS. Parole che sem-brano un rintocco funebre, che appaionocontagiose al solo pronunciarle. La lebbra,ogni tipo di lebbra… è “morte che cammi-na”. Ed ecco che questa morte totale, defini-tiva e ingiusta, si inginocchia ai piedi di Ge-sù con tutto il suo carico di ribrezzo.

Eppure da quest’uomo praticamente mor-to nel corpo, già quasi diventato cadavere,sale un atto di speranza che è fede piena.Un fiotto di vita che è pura luce spirituale:“se vuoi puoi guarirmi”. Il morto che cam-mina ha compreso che Gesù non è uno stru-mento invasato e incosciente di una potenzache lo usa, è “il Signore dello Spirito”, è luiche può e vuole sanare e salvare, e basta lasua volontà perché la sanità sia a portata dimano.

Ma c’è di più, nel sanarlo Gesù ripete ilgesto fatto con la suocera di Pietro, stendela mano a toccare il malato. È un gestoidentico, ma il significato è questa voltaenorme. Gesù infrange il limite, supera labarriera, tocca un intoccabile, un contami-nato e lo sana. Prima di restituirgli la sanitàgli restituisce con questo gesto, con la fi-nezza discreta di chi sa amare, con una veracompassione: l’umanità. Lo accoglie in quelmondo di uomini e di credenti che lo avevaespulso come infetto e impuro. “Mosso acompassione” dice Marco. La compassionedel Cristo non è pesante ed umiliante, è ilfarsi vicino, attento, e disponibile a farsicarico del peso dell’altro.

In questo gesto di Cristo c’è tutta la diffe-renza tra una beneficenza fatta per apparire

e la vera carità. Gesù non si concentra suquello che sta facendo, su come gli altri loguardano, su quello che in bene o in malepotrebbero pensare.

La sua unica preoccupazione è la soffe-renza umana che ha di fronte. La scandagliasenza giudicare, con una intensa disposizio-ne di ascolto e scopre la richiesta che il leb-broso non ha saputo o potuto neppure formu-lare: “fammi sentire che per te sono un uo-mo, un vicino, un fratello!”. Questa è la ri-chiesta più profonda e più vera, il miracolonon sarà poi che una conferma. E Gesù sten-de la mano e lo tocca, come un amico, comela pacca sulla spalla data per incoraggiareun fratello.

È stato un gesto grande: una infrazionedelle barriere e addirittura della legge reli-giosa. Non però fatta con sufficienza e perdisprezzo della stessa legge, ma per esalta-zione dell’uomo.

Gesù, che ha tutta l’autorità del legislato-re divino, supera la legge. Non è venuto peròper annullarla o per scandalizzare, per que-sto dà al lebbroso la consegna del silenzio el’impegno di rispettare le norme legali per laconstatazione della guarigione. Il comandodelle legge di Mosè va rispettato “a testimo-nianza per loro”, perché non si scandalizzi-no, perché comprendano il vero senso del ge-sto di Gesù.

Chi ha incontrato la luce non può peròtacere. Il lebbroso comincia a proclamare ildono che ha ricevuto ed è comprensibileche la pubblicità non richiesta, fatta da unpubblicitario radicalmente convinto, portiad un enorme successo. Gesù non cercaperò il successo, non entra nel bagno di fol-la delle città, si ritira in luoghi deserti, si faaddirittura ricercare, è un uomo che vuolerisultati, non uno che insegue il successo.Anche in questo la sua testimonianza è con-tro-corrente.

In un mondo che idolatra solo chi appare,in una esistenza televisiva dove si è vivi solose ci si fa vedere, se ci si mette in mostra aqualsiasi costo, Gesù è l’eroe del giorno, ep-pure si nasconde.

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PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaia (43,18-19.21-

22.24-25)Al tempo di Isaia (VIII sec AC) il popolo

eletto era in piena decadenza. Si era diviso indue stati rivali: il regno del nord e quello delsud. Di fronte alla minaccia di invasori gli in-trighi si moltiplicano. La decadenza morale ereligiosa si diffonde a tutti gli strati della po-polazione. Il profeta denuncia tutti questi mali,ma annuncia anche un avvenire nel quale ilSignore verrà a ricreare il suo popolo, perchéegli è un Dio di amore che perdona sempre.

SECONDA LETTURADalla seconda lettera di san Paolo apostolo

ai Corinzi (1,18-22)A Corinto alcuni intriganti accusano Paolo

di lasciarsi guidare da interessi e considera-zioni completamente umane. L’apostolo si di-fende con forza. La sua strada è chiaramentetracciata da Dio ed egli l’ha seguita fedelmen-te. È la stessa strada seguita da Gesù, che nonsi è mai fatto deviare dagli ostacoli. Il Signoreha compiuto fino alla fine la volontà del Pa-dre, incurante di tutte le opposizioni umane.

VANGELODal vangelo secondo Marco (2,1-12)La storia del lebbroso sanato narrata da

Marco nel suo primo capitolo apre il raccontodel “successo” di Gesù. La prima parte delvangelo è la storia di questa crescente atten-zione popolare verso di lui. Tutti lo seguono,almeno finché le sue parole non disturberan-no troppo, non chiederanno con eccessivachiarezza di prendere la propria croce per se-guirlo. Il successo di pubblico è dunque soli-do. Basta che Gesù rientri in città e subito èfolla, molto più di prima. Ora non c’è più spa-zio neanche davanti alla porta. Non li attiranotanto i miracoli: non se ne parla, è la Sua pa-

rola che catalizza l’attenzione. Non è solo ilpopolino che cerca il meraviglioso, si sta in-vece formando un’ampia cerchia di ascoltato-ri attenti. Il quadretto della guarigione delparalitico è divertente e movimentato. La tro-vata geniale di scoperchiare il tetto dimostrauna fede che coinvolge tutto l’uomo, se vo-gliamo anche il suo senso dell’umorismo. Ilcrescendo musicale della narrazione si inter-rompe però su un acuto che lascia interdettoil lettore. Al vedere la fede di chi gli vienepresentato Gesù non proclama la frase delmiracolo: “sei sanato”; ma annuncia il perdo-no dei peccati.

Il lettore, suo malgrado, e forse questa èun’ironica educazione all’umiltà che Marcovuole impartirci, si trova a condividere la per-plessità degli scribi, che scopriamo inaspetta-tamente seduti tra la folla. Cosa c’entra la re-missione dei peccati con un povero paralitico?Anche riconoscendo a Gesù il diritto di per-donare, in quanto figlio di Dio, perché non siaffretta innanzi tutto a sanarlo?

Lo sconcerto degli scribi è ancora più com-prensibile del nostro, loro non hanno letto il ti-tolo del vangelo di Marco: “Vangelo di GesùCristo Figlio di Dio” (Mc 1,1). Gli scribi nonsanno con chi hanno a che fare e per loro comeper noi la frase di Gesù funziona come uncampanello di allarme. Perché la lezione restiben impressa Gesù dona due prove contempo-ranee della profondità del mistero della suapersona. Certo solo Dio può rimettere i pecca-ti, ed è proprio perché Gesù ha un legame uni-co con Dio, in quanto “figlio dell’uomo” (non èun caso che questo termine tecnico per defini-re il mistero di Gesù inizi a comparire proprioqui) che può a sua volta rimetterli, così comepuò dire al paralitico “alzati e cammina”.

Ma inoltre su tutto questo, come “en pas-sant”, con la noncuranza ironica di chi sa be-ne ciò che sta dicendo, Marco mostra un Gesù

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SETTIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO B19 febbraio 2006Il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati.

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che scruta i cuori, che può subito conoscerenel suo spirito ciò che passa nel cuore degliuomini. “Ma Gesù, avendo subito conosciutonel suo spirito che così pensavano tra sé, disseloro: “Perché pensate così nei vostri cuori?”.“Tu solo conosci il cuore di tutti i figli dell’uo-mo” (1Re 8,39) dice la Bibbia di Dio. La co-noscenza dei cuori è una prerogativa divina.Che Gesù mostra di avere in proprio, di pos-sedere come un dono del proprio spirito alquale liberamente può attingere. Gesù ha inproprio un dono squisitamente divino, ci dice

PRIMA LETTURADal libro del profeta Osèa (2,16.17.21-22)Il profeta Osea viene inviato nel Regno di

Israele verso la metà dell’VIII secolo. È untempo di prosperità del paese, prima che ven-ga travolto dall’invasione Assira. La religioneha un posto molto importante nella vita delpiccolo stato. Ma di fatto si è ridotta a esseresoltanto formalismo rassicurante, che coprel’aridità del cuore e l’ingiustizia generalizzata.Affermando che Dio ricondurrà nel desertoIsraele, la sua sposa infedele, Osea rievocal’Esodo, di cui molti credenti si ricordano connostalgia. Era il tempo in cui il popolo scopri-va il suo Dio, nella semplicità del culto e nel-l’entusiasmo del cuore.

SECONDA LETTURADalla seconda lettera di san Paolo apostolo

ai Corinzi (3,1-6)I Corinzi, sobillati dai nemici di Paolo,

intriganti e gelosi, mettono sotto giudizio l’at-tività dell’Apostolo, facendo capire che nonha alcun mandato per fare ciò che fa. Ma loSpirito spazza via queste false insinuazioni.Chi ha dallo Spirito il dono della forza e del-la libertà stessa di Dio, come Paolo, può su-perare tutti i formalismi e gli esami pedanti.

È Dio stesso che opera in lui e giustifica lasua azione.

VANGELODal vangelo secondo Marco (2,18-22)I versetti che precedono il vangelo di

questa domenica narrano la conversione diLevi il pubblicano e sono importanti percomprendere il messaggio del nostro testo.Infatti tra le persone che seguono Gesù, sipuò trovare di tutto, anche pubblicani e pec-catori, anzi questi Gesù va addirittura a cer-carli in casa. Se le folle debbono correrglidietro, per non perdere le sue tracce, daipeccatori Gesù si mostra attratto in modoparticolare, li va a cercare. Egli non è venutoper i sani, ma per i peccatori, chi è malato èsempre il primo nella sua attenzione, e que-sto è vero anche quando i malati di invidia edi cattivo giudizio sono proprio loro: i farisei.Veramente l’essere in pericolo, sottoposto al-la tentazione del peccato, è un aspetto affa-scinante che attrae subito l’attenzione del“dottore delle anime”.

In questo contesto sorge la domanda delvangelo di oggi: Gesù è un predicatore spe-cializzato in casi difficili, si circonda perquesto di gente problematica, ma il suo meto-

Marco, c’è di che cominciare a riflettere seria-mente sul mistero della sua persona!

E dietro al paralitico sanato, che se ne vacol suo lettuccio sulle spalle, il lettore, quasivergognandosi del suo momento di smarri-mento, si unisce volentieri alla folla che lodaDio, perché non ha mai visto nulla di simile.È chiaro che dietro a tutto questo, Dio è all’o-pera in modo evidente, perciò è un fatto nor-male che sia lui il destinatario della lode dicoloro che hanno assistito al miracolo, cosìcome della nostra.

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OTTAVA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO B26 febbraio 2006Lo sposo è con loro.

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do funziona? Può dare garanzie sul realecambiamento che sta operando nei discepoli?I discepoli di Giovanni e quelli dei farisei in-fatti mostrano il loro progresso ascetico attra-verso il digiuno, ma i discepoli di Gesù? Ge-sù è un vero educatore, o un amante dellacompagnia che si è circondato di una allegrabrigata?

Gesù non si sente un maestro di ascesi; sesi è riconosciuto nell’immagine del medico,ciò che lo attira maggiormente non è provocaredolore con l’intervento chirurgico, ma portarela gioia della sanità.

Gesù è piuttosto un portatore di buone noti-zie, uno sposo che invita gli amici alla festa dinozze. Egli sana donando nuovamente la pos-sibilità di gioire, perché dona agli invitati lapossibilità di una amicizia con lui che è amici-zia con Dio. Certo in questa amicizia ci saran-no i momenti della prova, ma solo dopo chequesto legame si sarà rafforzato nella gioia del-l’incontro. La prova sarà soprattutto la distanza

dello “Sposo”, la mancanza di questa via faci-litata di accesso a Dio. Sarà il momento nelquale crollando l’entusiasmo e l’attaccamentoumano, l’amore diverrà puro e totalmente vero.

La proposta di Gesù non è quella di un cie-lo conquistato a colpi di martello, con una sca-lata alla santità fatta di impegno umano. Gesùpropone una festa di nozze, un incontro conDio liberante, che conquisti il cuore ad unaamicizia, ad un amore vero. Un vino nuovo chespezza gli otri del formalismo, che distruggedall’interno l’uomo vecchio. In questa novità cisarà anche spazio per l’impegno umano, macome bisogno di esprimere concretamente l’a-more, non come una merce di scambio percomperare la salvezza.

Ogni gesto, ogni azione, anche se vecchia,prende nuovo senso dall’interno, diventa nuo-va a motivo dell’amore che contiene, e che ri-chiede per la sua forza e novità nuovi modi diespressione o nuove forme per estrinsecarsinei vecchi modi.

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La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 1-2006

Il mistero pasquale è troppo ricco per perce-pirne ogni domenica tutte le dimensioni. Comein un ritiro spirituale, si può riprenderlo e poimeditarlo più particolarmente durante la Quare-sima, la Settimana santa e il Tempo di Pasqua.

Il tempo che raggruppa la Quaresima, Pa-squa e la Pentecoste è nettamente più lungo diquello dell’Avvento e di Natale. Comincia ilmercoledì delle Ceneri, quaranta giorni primadi Pasqua, (le domeniche non sono contate) esi conclude con la Pentecoste, dura perciò piùdi tre mesi. Questa lunghezza è pienamentegiustificata: la festa di Pasqua è il centro e ilculmine della fede e della vita cristiana.

È il Concilio di Nicea (325) che per primoparla dell’esistenza di questo tempo di prepa-razione alle feste pasquali: la Quaresima. Ma,a quell’epoca, questo tempo di preparazione e

di penitenza era soprattutto destinato ai cate-cumeni che si preparavano a ricevere il batte-simo durante la notte di Pasqua.

Fin dal terzo secolo, difatti, era in uso, aRoma, di celebrare una volta all’anno, durantela notte pasquale, il battesimo di quelli chedesideravano ricevere questo sacramento.Molto presto la chiesa prese ad impiegare conprofitto il tempo della quaresima per assicura-re la preparazione immediata di questi catecu-meni, preparazione che fissò a quaranta giorniper ricordare i quaranta anni passati nel de-serto dagli ebrei, dopo la loro uscita dall’Egit-to, prima di entrare in Terra promessa, e i qua-ranta giorni passati da Gesù nel deserto, primadi iniziare la sua vita pubblica.

Poi, la chiesa associò anche tutti gli altrifedeli a questa preparazione.

QUARESIMA

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Durante questo tempo di preparazione, lapreghiera diventa più intensa, e la penitenzaè ancor più accentuata. Questa si accompa-gna con un’ascesi nella quale il digiuno èuna delle forme predilette, ma non l’unica.Infatti, come dice la liturgia, è tanto impor-tante digiunare dai peccati che digiunare dalcibo.

La quaresima primitiva aveva un caratterecomunitario molto accentuato. Ogni giorno oquasi, una liturgia riuniva tutta la comunitàdei fedeli preoccupati di accompagnare albattesimo i catecumeni, di sostenerli con lapreghiera e di prepararsi, con la penitenza, aessere più degni di accogliere i nuovi “santi”la mattina di Pasqua. A Roma, a partire dalVII° secolo, il papa celebrava tutti i giornipersonalmente in queste assemblee diventatequotidiane, che si tenevano in una delle basi-liche o delle chiese della città, come per pre-sentare i catecumeni a tutti i santi padronidella chiesa.

La liturgia della quaresima è stata larga-mente influenzata dalla disciplina del catecu-menato e dal rituale della penitenza pubblica.Perciò l’insistenza sui temi della purificazio-ne, della morte al peccato e della lotta controil demonio, così caratteristici della spiritualitàdella quaresima.

Oggi giorno, se l’aspetto molto rigorosodelle penitenze è stato addolcito considerevol-mente, la chiesa chiede tuttavia ancora ai suoifedeli di approfittare di questo tempo di con-versione per riconciliarsi con Dio. Chiede lorodi essere più assidui alla preghiera; consigliavivamente di approfittare del tempo di quare-

PRIMA LETTURADal libro del profeta Gioele (2,12-18)Gioele, probabilmente un levita che ser-

ve nel tempio di Gerusalemme prima dell’e-silio assiste ad una invasione di locuste chedevasta il piccolo regno di Giuda.

sima per ridare vigore, per esempio, all’anticapratica dell’elemosina, sotto forma, di doni al-la Caritas e alle iniziative assistenziali e be-nefiche della chiesa.

Questo tempo di ritorno a Dio, di conver-sione e di apertura agli altri è anche, in un ti-po di tensione paradossale, un tempo di pace,di felicità e di gioia, perché è illuminato giàdalla luce di Pasqua.

La Risurrezione del Cristo è già presentenella penitenza della quaresima, che aiuta ilcristiano a morire a sé stesso e al suo egoismoper rivivere pienamente in Cristo risorto.

Per rispettare scrupolosamente i quarantagiorni effettivi di digiuno da cui erano esclusele domeniche, durante quali questo digiunoera rotto, si prese l’abitudine, a partire dalsettimo secolo, di cominciare la quaresima ilmercoledì precedente la prima domenica diquaresima, che prese il nome di “mercoledìdelle Ceneri”.

Un simbolismo molto forte è legato alla ce-nere nel vecchio Testamento. Nella Bibbia co-prirsi la testa di cenere, o di polvere, è un se-gno di lutto. Egualmente sedersi o coricarsinella cenere. Questi gesti esprimono il dolore.Ma servono anche a manifestare insieme lacoscienza e il dispiacere del peccato e la spe-ranza nella misericordia di Dio.

Per questo, durante la celebrazione delmercoledì delle Ceneri, la fronte dei membridel clero e dei fedeli è segnata di un poco dicenere mentre il celebrante ricorda loro “chesono solamente polvere” e che devono cercaresenza tregua di convertirsi per potere incon-trare Dio con un cuore purificato.

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MERCOLEDI’ DELLE CENERI1 marzo 2006Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

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Fu certo una catastrofe ecologica im-pressionante. Il profeta vi riconosce un in-vito pressante rivolto all’intero popolo diDio perchè si interroghi sulle proprie colpe.La distruzione della natura appare infatticome il castigo corrispettivo alla perversio-ne raggiunta dai cuori dei fedeli. Pentendo-si e tornando a Dio gli abitanti di Gerusa-lemme potranno sperare che i flagelli natu-rali siano eliminati e venga restaurato il rit-mo equilibrato e sereno della vita.

SECONDA LETTURADalla seconda lettera di san Paolo apostolo

ai Corinti (5,20-6,2)Gesù annuncia e sancisce al tempo stesso

la riconciliazione tra Dio e gli uomini. Uno dinoi, partecipe della nostra natura, è divenutoun polo di attrazione contrapposto al fascinodel peccato che attrae al male. È entrato nelvero rapporto con Dio, raddrizzando in questomodo l’orientamento che istintivamente dia-mo alla nostra esistenza. Ora tocca a noi cam-minare su questa via, riconoscendo che oggiDio ci invita a vivere secondo l’amore.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (6,1-6.16-18)Il vangelo ci offre indicazioni preziose per

un vero cammino di conversione. Questo devecomprendere il digiuno, la preghiera, l’elemo-sina come carità fraterna, ma tutto questo fattoe offerto agli occhi di Dio e non degli uomini.Gli uomini guardano l’esteriorità, ma Dioguarda il cuore.

La conversione che ci propone Gesù è unaconversione interiore. Si tratta, pertanto, diriaccostarsi dal distacco e dalla tristezza delpeccato che ci aveva allontanato da Dio, all’a-micizia di chi tanto ci vuole e diede la sua vi-ta per noi.

Ora è il tempo della grazia, oggi è il gior-no della salvezza! Infatti vi è una maniera didonare che non genera l’amore, ma il com-piacimento verso sé stessi. Vi è una preghie-ra che non è volta verso Dio, ma all’esalta-zione di colui che la ostenta. Vi è un digiunoche non esprime la rinuncia ai desideri trop-po umani, ma l’esacerbazione di questi desi-deri. Tutto ciò allontana da Dio invece di av-vicinarci a lui.

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La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 1-2006

PRIMA LETTURADal libro della Genesi (9,8-15)L’episodio di Caino ed Abele ci ricorda

che l’uomo continua a ribellarsi a Dio. MaDio, ancora più ostinato nel bene di quantol’uomo lo sia nel male, continua ad andarealla sua ricerca. Il nostro testo si soffermasull’alleanza tra Noè e Dio: un’alleanza traDio e la terra, una nuova creazione da inter-pretare in chiave battesimale.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Pietro apostolo

(3,18-22)

Ai credenti che vivono nelle difficoltà, iltesto ricorda la fedeltà di Dio narrando unasintesi del credo degli apostoli: Gesù è mortoper i nostri peccati, è disceso agli inferi, èstato risuscitato per condurre tutti a Dio. Lasua misericordia si è rivelata come nuova edefinitiva creazione nella morte e resurrezio-ne di Gesù.

VANGELODal vangelo secondo Marco (1,12-15)All’inizio del tempo della quaresima, un

cammino nel quale lo Spirito Santo dovreb-be essere la guida del cristiano in maniera

PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA B5 marzo 2006Gesù, tentato da satana, è servito dagli angeli.

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del tutto particolare, il Vangelo ci propone ilmodello di Gesù. Il Maestro si lascia am-maestrare dallo Spirito per indicarci unastrada di umiltà e di ascolto della quale ab-biamo estrema necessità. La scelta delloSpirito ci stupisce: non è una scelta di azio-ne immediata, Gesù rimane 40 giorni neldeserto. Non si tratta però di un tempo inu-tilmente sospeso, è tempo di preparazione edi tentazione, un’attesa che guarda al futuroe ricorda l’esperienza del popolo ebraiconell’Esodo, con i suoi connotati fondamenta-li: il deserto, la tentazione, il numero 40(giorni/anni).

Gesù si prepara alla conquista spiritualedel mondo, come Israele si era preparato neldeserto alla presa di possesso della terra pro-messa. Il deserto, sublime parabola della no-stra vita, non è il luogo della solitudine asso-luta, ci sono infatti tre tipi di presenze: lapresenza negativa del tentatore, la presenzaconfortante degli angeli che esprimono laprotezione divina e la presenza inquietante eambigua delle fiere.

In tutto l’AT l’unica occasione in cui tro-viamo queste tre presenze è il paradiso ter-restre. Lí Adamo era vicino agli angeli, allefiere e al tentatore. Gesù dunque dà un nuo-vo inizio alla storia, e questo dovrebbe daresperanza. Tuttavia l’immagine generale restainquietante. Marco, come un bravo registapresenta una breve inquadratura che mostraGesù e sullo sfondo un deserto, che non èpace e serenità, ma lotta, prova e prepara-zione.

Come per Elia (1Re 19,8) i 40 giorni sonotempo di movimento, cammino verso l’incon-tro con Dio sull’Oreb. La quaresima è il ri-cordo della possibilità di un nuovo inizio, maanche l’invito a non sottovalutare la sfida delmale.

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù sirecò nella Galilea predicando il vangelo diDio e diceva: «Il tempo è compiuto e il regnodi Dio è vicino; convertitevi e credete al van-gelo».

La fine di questo tempo coincide con l’ar-resto di Giovanni Battista. Il deserto diventa

perciò anche un tempo di attesa nel passag-gio del testimone fra l’ultimo dei profeti e ilmessia atteso. È l’ultimo tempo di attesa pri-ma che le promesse possano trovare compi-mento.

È questo compimento che Gesù annunciaa cominciare dalla Galilea, la sua terra, maanche e soprattutto la terra degli ultimi e deireietti.

L’annuncio di cui si fa portatore è caricodi speranza, indica innanzi tutto il termine diun’era, quel tempo dell’attesa che aveva con-traddistinto la vita di Israele per tutto l’AT.La fine del tempo del vecchio patto con Dio,l’Alleanza del Sinai, e l’inizio della NuovaAlleanza, che ha nella venuta del Regno diDio il suo compimento.

C’è dunque una svolta qualitativa neltempo, da ora in poi la promessa non guardapiù verso un futuro indefinito, ma verso unaconcretizzazione che appare prossima. ConGesù e lo Spirito sono ormai presenti gli at-tori fondamentali della venuta del Regno.Ciò che manca alla sua piena attuazione èsoltanto la disposizione umana di accoglier-lo, quella conversione che Gesù domanda.La richiesta di conversione che il Battistapresentava alle folle era volta ad una doman-da di perdono: bisognava passare dalla men-talità di chi si sente giusto a quella di chi sisente bisognoso di perdono. Gesù portaavanti la richiesta di conversione, doman-dando il passaggio da una mentalità da sfi-duciati, da senza speranza, ad una mentalitàdi chi crede che il Regno di Dio sia a portatadi mano.

Dopo la conversione all’umiltà e al penti-mento richiesta dal Battista, Gesù domandauna conversione alla speranza che Dio salvachi si affida a lui, una speranza che diventa,nella fede, una certezza.

Con queste parole, la proposta che Gesùfa agli uomini è già chiarita nel suo nucleo,ciò che segue è storia, cioè la storia del ri-petersi di questo vangelo (buon annuncio)nella vita di uomini concreti e la storia del-la loro concreta risposta a questa propostadi Dio.

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PRIMA LETTURADal libro della Genesi (22,1-2.9.10-13.15-18)Il sacrificio di Isacco è un racconto che,

nonostante tutte le spiegazioni resta miste-rioso. Il patriarca si confronta con il misterodi Dio che è assieme mistero esigente e pie-no di tenerezza e misericordia. Solo accet-tando di donare il suo unico figlio, Abramopotrà avere una posterità numerosa come lestelle del cielo. Dio promette ad Abramo unadiscendenza ed una terra, poste nuovamenteal servizio del progetto di Dio per far sì chela Sua benedizione, il suo amore, possanogiungere a tutti gli uomini.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Ro-

mani (8,31-34)Paolo ci offre in questo brano una stu-

penda affermazione della fedeltà di Dio allesue promesse. La pienezza di questa storiaè svelata in Gesù: fedeltà dell’uomo a Dio edi Dio all’uomo. È questa la certezza chesorregge il credente nel suo cammino versola pienezza.

VANGELODal vangelo secondo Marco (9,2-10)Il racconto della trasfigurazione, giunge

al culmine della rivelazione della identitàdel Signore Gesù, punto di arrivo di tutta laprima parte del Vangelo di Marco. Dopo chePietro lo ha riconosciuto come Messia e Ge-sù ha sottolineato la necessità della passionecome via alla gloria, suscitando lo sgomentofra i discepoli, abbiamo questo racconto del-la trasfigurazione. Il senso che in questocontesto assume il nostro brano è quello di:“rimuovere dall’animo dei discepoli lo scan-dalo della croce, perché l’umiliazione dellapassione, volontariamente accettata, nonscuotesse la loro fede, dal momento che era

stata rivelata loro la sublime grandezza delladignità nascosta del Cristo”, come dice S.Leone Magno. Ma lo stesso autore ci invita ascoprire altri messaggi che ci vengono daquesto fatto.

La presenza di Mosè, la menzione di unarivelazione su un monte, la voce dalla nube,e la strana frase di Pietro sul costruire delletende si ricollegano ad una importante festadel popolo ebraico, celebrata anche al tempodi Gesù: la festa delle tende, detta “festa deitabernacoli”.

Con delle cerimonie che prevedevano lacostruzione di tende sotto cui abitare, si ri-cordava il tempo dell’esodo e l’apparizione diDio a Mosè sul monte Sinai, con il dono dellalegge antica. Marco, ci indica come nelle sueparole San Pietro non aveva piena coscienzadi ciò che diceva, ma la sua frase è impor-tante per noi. Al tempo di Gesù, in questa fe-

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SECONDA DOMENICA DI QUARESIMA B12 marzo 2006Questi è il mio Figlio prediletto.

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sta infatti non si ricordava solo il passato, masi annunciava anche il tempo in cui Dioavrebbe nuovamente piantato la sua tendafra gli uomini, venendo ad abitare tra loro,per condurli ad una nuova salvezza, con ildono di un cuore nuovo ad ogni uomo, per ri-spettare la sua legge. Dice infatti san LeoneMagno: “Mosè ed Elia, ossia la legge e i pro-feti, apparvero intrattenendosi col Signore...rendendo così manifesto che, come affermaS. Giovanni: - La legge fu data per mezzo diMosè, ma la Grazia e la verità ci sono venuteda Gesù Cristo (Gv. 1,17) - nel quale si sonocompiute tanto le promesse delle figure pro-fetiche che il significato dei precetti dellalegge; infatti con la sua presenza Egli inse-gna la verità della profezia, e con la sua gra-zia rende possibile la pratica dei comanda-menti”.

Gesù, l’atteso dei profeti è il nuovo legi-slatore, ma qual è la legge che porta, e qualè il premio che promette?

Ci risponde ancora san Leone in un altrobrano: “Con questa trasfigurazione Egli da-va un fondamento solido alla speranza dellasanta Chiesa, perché tutto il corpo prendes-se coscienza di quale trasformazione sareb-be stato oggetto, e perché anche le membra

PRIMA LETTURADal libro dell’Esodo (20,1-17)I comandamenti sono la risposta del popolo

all’amore di Dio; non dicono che cosa l’uomodeve fare per Dio, ma indicano come vivere perattestare a tutti che il Dio di Israele è il libera-tore, il Salvatore. Diversamente essi ridurreb-bero l’agire umano a semplice moralismo.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostolo

ai Corinzi (1,22-25)

Il centro dell’annuncio cristiano non èuna ideologia, ma una storia scandalosa esalvifica allo stesso tempo. Essa pretende diindicare la strada che porta a Dio: non è uo-mo che deve immaginarsi chi è Dio, ma èDio stesso che, in Cristo Gesù, dice chi egliè e chi è l’uomo, manifestandosi in pienezzanello scandalo della crocifissione.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (2,13-25)Dei quattro evangelisti, Giovanni è sicu-

si ripromettessero la partecipazione a quel-la gloria che era brillata nel loro Capo”.

La promessa è quindi di diventare comeGesù, il corpo trasfigurato di Cristo è il cor-po che riceveremo nella resurrezione finale.Dice San Giovanni Damasceno che, dopo ilpeccato originale, dal quale era stata offu-scata in noi l’immagine di Dio, questi,“mosso a compassione ci ha comunicatouna seconda somiglianza, molto più sicuradella prima: prende parte infatti lui stesso aciò che è inferiore divinizzando l’umano,nel quale manifesta la propria bellezza”. Lalegge nuova quindi, per noi Cristiani si puòriassumere in un solo precetto: “diventa co-me Gesù trasfigurato”: agisci così che DioPadre possa dire di te - questo è il mio fi-glio prediletto e la via unica è quella dell’a-scolto e dell’imitazione di Gesù anche e so-prattutto nella sua disponibilità a soffrireper gli altri. Nella quaresima la Chiesa ciricorda che questo deve essere il punto diarrivo della nostra conversione: essere Cri-stiani sul serio, veri imitatori di Cristo; equesta trasfigurazione che deve attuarsi innoi è un dono del Padre, che ci verrà comu-nicato se, ascoltando il Figlio ci lasceremopervadere dalla sua grazia.

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TERZA DOMENICA DI QUARESIMA B19 marzo 2006Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere.

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ramente quello che ha alle spalle un più am-pio tempo di riflessione sull’esperienza e sulmistero di Cristo. Il suo vangelo per questonon narra semplicemente i fatti, ma si sforzacontinuamente di indicarne il significato.Questa lettura attenta della vita di Gesù, percomprendere il significato delle sue azioni,è fatta con una grande attenzione all’anticotestamento, il libro per eccellenza a cui Gio-vanni si ispira per ricercare richiami e pa-ralleli. Letto su questo sfondo, il primo con-fronto fra Gesù e il tempio, assume una fon-damentale importanza, proprio perché iltempio costituiva il centro vivo e fondamen-tale della fede dell’antico testamento.

Il comportamento di Gesù, il suo gestoeclatante e simbolico, richiamano con chia-rezza i gesti simbolici compiuti dai profeti,per mostrare il giudizio di Dio su alcune si-tuazioni o istituzioni in Israele. S. Agostino,in una frase detta marginalmente nel suocommento a questo brano, apre un’interes-sante via di interpretazione: “Chi sono quel-li che vendono le pecore e le colombe neltempio?... Sono quelli che non vogliono es-sere redenti, considerano ogni cosa come ro-ba d’acquisto: non vogliono essere acquista-ti, quello che vogliono è vendere”. Cosa cer-ca di dirci S. Giovanni? Gesù, che nel tem-pio agisce come un profeta, porta avanti lacritica del culto di Israele che era stata pro-pria dei profeti.

Gli animali che si vendevano nel tempioerano destinati ai sacrifici, e i cambiavaluteservivano a cambiare le somme in monetastraniera, nella moneta del tempio, l’unicacon la quale era permesso fare offerte. I pro-feti non avevano mai detto che il culto basa-to sui sacrifici di animali fosse sbagliato inse stesso, o che Dio ne fosse dispiaciuto, mache era pericolosa la mentalità che questoculto poteva far nascere: considerare ancheil rapporto con Dio e con la salvezza come“una roba da acquisto”.

Spesso per bocca dei profeti, Dio con-danna il culto fatto assieme all’ingiustizia,quasi a cercare di “corrompere” Dio, usandoi sacrifici e le offerte come una “bustarella”

da mettere davanti a Dio perché non guardi isoprusi e le ingiustizie che vengono compiu-te tra il popolo. È una critica questa, che avolte potrebbe essere fatta anche al nostromodo di essere Cristiani, alle nostre prati-che religiose, che non sempre sono accom-pagnate da un corrispondente impegno diconversione e giustizia nella vita concreta ditutti i giorni.

A questa critica profetica ripresentata daGesù con il suo gesto, i giudei oppongono unrifiuto, non accettano il suo rimprovero, con-siderandolo ingiusto e arbitrario: - quale se-gno ci mostri per poter fare queste cose?- EGesù svela la loro situazione, il loro cultosbagliato infatti non solo non li mette in co-municazione con Dio, ma li ha tanto allonta-nati da lui che non sanno riconoscere il Fi-glio venuto a salvarli, venuto ad “acquistar-li” a Dio; e lo faranno morire, convinti di po-ter contrattare personalmente con Dio la lorosalvezza.

Proprio da questa morte però verrà unanuova proposta di incontro con Dio, quelloche Gesù rivela con l’immagine di un nuovomisterioso tempio fatto risorgere in tre gior-ni; dopo la pasqua sarà disponibile per ilnuovo Israele, una nuova possibilità di in-contro con Dio, attraverso la persona di Ge-sù risorto.

Gesù instaurerà un nuovo culto, quelloche nel brano della Samaritana (Gv. 4,24)viene definito “culto in spirito e verità”, nelquale non si offre qualcosa di umano a Dio,non si “contratta” con lui la nostra salvezza,ma ci si sforza di lasciarsi “acquistare”,conquistare dal Cristo facendo entrare lacomunione con Dio in ogni aspetto della no-stra vita.

Questo tempo quaresimale costituisce unmomento privilegiato di riflessione sul no-stro culto Cristiano, sia come individui checome comunità, siamo chiamati a rifletterese viviamo realmente in conformità all’inse-gnamento di Gesù, rendendo le nostre cele-brazioni delle espressioni della fratellanza egiustizia che veramente ci sforziamo di vi-vere.

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PRIMA LETTURADal secondo libro di Samuele (7,4-5.12-14.16)La solennità di san Giuseppe quest’anno è

posticipata di un giorno per la coincidenzacon la domenica di Quaresima. Letta nel suocontesto storico, la profezia di Natan sembraricordare semplicemente la fedeltà di Dio allesue promesse e precisare che non sarà Davi-de, ma il suo successore che porterà a buon fi-ne il progetto della costruzione del tempio.Letta oggi, nella solennità di san Giuseppe enella luce della resurrezione verso la quale ciconduce la quaresima, questa profezia prendeuna dimensione ben diversa. Chi è questo di-scendente di Davide il cui regno non avrà fi-ne, se non Gesù? Cosa sarà questa casa checostruirà per la gloria di Dio, se non il suostesso corpo? Chi potrà essere chiamato figliodi Dio se non Gesù? Questo Gesù che, attra-verso Giuseppe, appartiene pienamente alladiscendenza davidica.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Ro-

mani (4,13.16-18.22)Già Abramo, prima di Giuseppe era stato

definito giusto: giusto perché aveva credutoalle promesse di Dio. La storia si ripete: giu-sti sono gli uomini che credono in Dio e no-nostante tutto gli sono fedeli.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (1,16.18-21.24)Giuseppe è l’uomo giusto e con un senso

della giustizia assai superiore a quello del-l’antica legge. Questa, infatti, riguardo all’a-dulterio di una promessa sposa ordinavaquanto segue: “la faranno uscire all’ingressodella casa del padre e la gente della sua cittàla lapiderà, così che muoia, perché ha com-messo un’infamia in Israele” (Dt 22,21). Lagiustizia di Giuseppe non era la fredda appli-

cazione di una legge stabilita in passato, pereducare il popolo d’Israele ad una primitivagiustizia retributiva. Qui abbiamo qualcosa diben diverso: il totale sacrificio di sé per il be-ne dell’altro: la legge dell’amore, il nucleodel messaggio di Gesù. Giuseppe non com-prendeva ciò che era accaduto a Maria, mapoteva leggere nei suoi occhi la sua innocen-za, e non sopportava certo di vederla oggettodegli scherni di tutta Nazaret per la sua gra-vidanza. Pensava di darle in segreto una notadi ripudio, per lasciarla libera dal vincoloche li univa, scostandosi così da quel misteroche intuiva senza comprendere, e andarsenevia. Agli occhi degli uomini, però, questa fu-ga sarebbe apparsa come un’ammissione dicolpa da parte sua, unita alla viltà di non vo-lersi assumere le proprie responsabilità. Giu-seppe, uomo straordinario, per amore stavaper essere degno padre di Gesù.

Ma il vangelo ci mostra anche la sorpren-dente umiltà di Giuseppe, visibile nella suaobbedienza. Il testo sacro ci presenta il pri-mo degli ordini che Dio dà a Giuseppe in so-gno; ne seguiranno poi altri. Uomo pratico esilenzioso, Giuseppe non risponde con le pa-role ma con i fatti, e lo fa immediatamente. Ècome quell’amministratore fedele di cui ciparla Gesù, uomo al quale il padrone può la-sciare tranquillamente la gestione di tutti isuoi averi (cf. Lc 12,42).

Perciò, al segnale inviatogli da Dio, lovedremo più tardi lasciare la sua casa e lesue certezze umane per andare in Egitto, epoi ritornare quando forse aveva appena in-cominciato a trovare lì qualche lavoro inte-ressante. Giuseppe non ha piani per sé, mavive giorno per giorno, attento alla Volontàdi Dio. Senza dire una parola, è l’umile ser-vo del Signore. Giuseppe, uomo straordina-rio, per la sua obbedienza era certo un de-gno marito di Maria.

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SAN GIUSEPPE, SPOSO DELLA B. V. MARIA20 marzo 2006Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore.

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PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaia (7,10-14)Il Signore sa bene di cosa è fatto il cuore

dell’uomo. Lo sente brontolare, contro que-sto Dio assente, che non interviene quandoc’è bisogno di lui. Acaz, re del regno diGiuda al sud è inquieto, teme la minacciadegli Assiri. Hanno appena invaso il regnodel nord, la cui capitale, Samaria, è sulpunto di cadere. Ecco allora che Dio deci-de, da solo, di dare il segno che ormai nelloro cuore tutti attendono. Non però un se-gno costituito da una vittoria miracolosa einaspettata, non un brusco cambiamentodelle condizioni a nostro favore… neppurela sanità, la fortuna o la santità. Questo se-gno sarà invece l’Emmanuele, cioè “Dio connoi”. Un Dio che condivide la nostra vita ela nostra umanità, con una verità ed unaprofondità che abbiamo difficoltà anche so-lo ad immaginare. Come continuare a recri-minare contro Dio come se fosse un estra-neo, uno straniero, dato che si è fatto ormaicosì vicino?

SECONDA LETTURADalla lettera agli Ebrei (10,4-10)Per libera decisione Dio ha scelto la stra-

da dell’incarnazione e Gesù ha aderito alprogetto del Padre, come figlio che condividelo stesso amore nello stesso Spirito Santo. Edecco la conseguenza: ha offerto la sua vita alcompimento di questa missione.

VANGELODal vangelo secondo Luca (1,26-38)Nell’annunciazione di Giovanni Battista

l’angelo Gabriele va al tempio di Gerusalem-me. Nell’annunciazione di Gesù l’angelo va aNazaret, territorio che era ritenuto pagano etrascurato da Dio, quella Galilea dalla quale“non era sorto alcun profeta” (Gv 7,52). Na-

tanaele si chiederà: “Può venire qualcosa dibuono da Nazaret?” (Gv 1,46). Dio sceglieciò che non ha appariscenza, ciò che è umilee disprezzato dagli uomini. La legge dell’in-carnazione è questa: “Gesù annientò se stes-so... umiliò se stesso” (Fil 2,7-8).

Ma a Gerusalemme, nel tempio, nel cultosolenne, nel sacerdote che presiede la cele-brazione Dio non trova la fede, cioè non tro-va amore, ubbidienza e accoglienza. A Naza-ret invece, nella Galilea dei pagani, lontanadal tempio e dal culto, trova una fanciullasconosciuta, Maria, la piena di grazia, di fe-de e di disponibilità.

Nell’Antico Testamento Dio abita neltempio, nel Nuovo elegge la sua dimora tragli uomini (Gv 1,14). Maria è il nuovo tem-pio, la nuova città santa, il popolo nuovo inmezzo al quale prende dimora Dio. Il nomedi Gesù significa: Dio salva. Il nome nuovoche Maria riceve: “Piena-di-grazia” è l’inve-stitura per una particolare missione nel pia-no di Dio, destinata a modificare la sua vitae il corso intero della storia. L’espressione “ilSignore è con te” indica la protezione e l’as-sistenza che Dio le accorda in vista del com-pito che è destinata ad assolvere.

Il turbamento di cui parla il vangelo indi-ca, come altrove nell’Antico Testamento, lapresenza di Dio e sottolinea l’origine divinadella comunicazione che Maria riceve, ed èsegno che le parole dell’angelo sono piene dimistero.

Maria cerca di capirne il significato po-nendosi delle domande ma inutilmente. Allafine deve chiederne la spiegazione all’ange-lo. L’angelo dà la spiegazione di ciò che haaffermato nel saluto iniziale. La grazia accor-data a Maria è la nascita miracolosa di un fi-glio. Dio attuerà il suo disegno intervenendocon la potenza del suo Spirito. Le perplessitàdi Maria alle parole dell’angelo riecheggiano

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ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE25 marzo 2006Ecco, concepirai e darai alla luce un figlio.

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quelle di Abramo all’annuncio della nascitadi suo figlio (Gen 18,14). La fede in Dio chepuò operare meraviglie e cose impossibili al-l’uomo, ha salvato dall’incredulità Abramo;la stessa fede salva Maria (v. 37).

“Servi di Dio” sono coloro che hanno ri-cevuto una missione particolarmente im-portante e contemporaneamente danno pro-va di disponibilità, di remissività e di fede.Sulla bocca di Maria l’espressione “servadel Signore” riassume la sua missione e ilcoraggio con cui ha accettato l’invito divinoche dà un significato nuovo e inatteso allasua vita.

PRIMA LETTURADal secondo libro delle Cronache (36,14-

16.19-23)La vicenda di Israele è ripercorsa dall’au-

tore delle Cronache per evidenziare l’infe-deltà del popolo eletto e la rinuncia alla pro-pria identità. Dio ha scelto per amore Israelee non lo abbandona nonostante il suo pecca-to. L’ultima parola è sempre il perdono diDio. Questa è la lieta notizia.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo agli

Efesini (2,4-10)Paolo insegna ai cristiani di Efeso che la

salvezza è dono di Dio. Egli ci ha risuscitatiin Cristo Gesù perchè è fedele alla suabontà. Per questo è possibile attuare le operebuone che Dio ha predisposto perché noi lepraticassimo.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (3,14-21)Fin dall’inizio del suo vangelo, Giovanni

ci trasmette preziose indicazioni per com-prendere il significato del mistero della mor-

te e resurrezione di Cristo. Il nostro branocostituisce la parte finale del discorso di Ge-sù con Nicodemo, e il contesto dice come laparola e l’insegnamento di Gesù sono degnidi fede a motivo della conoscenza profondache il Figlio ha del Padre celeste.

Solo il Figlio conosce i misteri del Padre,perché “nessuno è salito al cielo, solo lui édisceso dal cielo” (Gv. 3,13).

Qui sta, espresso in modo sintetico, ilprofondo problema che percorre tutto l’An-tico Testamento: l’uomo e Dio erano distan-ti, perché Dio è bene infinito, pienezza divita; mentre l’uomo, per la sua debolezza èpreda del male e quindi della morte. Difronte a questa distanza, a tutto l’Antico Te-stamento non restava alla fine che l’amaraconstatazione che “nessuno è riuscito a sa-lire al cielo”.

Il Figlio di Dio però è disceso dal cielo, siè fatto uomo, ha percorso la strada da Dioverso l’uomo. Affinché potessero divenirepienamente fonte di salvezza per quanti glirivolgevano lo sguardo (Num. 21,4-9) Gesùdoveva risalire al cielo, aprire la strada dal-l’uomo verso Dio. “Come il serpente, così bi-

“Serva del Signore” è il nome che ellastessa si attribuisce dopo quello datole daigenitori: Maria, e quello annunciato dall’an-gelo: Piena-di-grazia. Maria è la serva del Si-gnore perché accetta umilmente il disegno diDio, anche se non riesce a comprendernetutta la portata e tutte le conseguenze.

L’espressione conclusiva: “avvenga ame”, nel testo originale greco, è una formaverbale chiamata ottativo e contiene in sé undesiderio ardente e un entusiasmo vivo divedere attuato quanto le è stato proposto. Ilsegreto di Maria è accogliere la volontà diDio con fede ed eseguirla con gioia.

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QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA B26 marzo 2006Dio ha mandato il Figlio perché il mondo si salvi per mezzo di lui.

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sogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo”,questa parola del Signore- ci insegna Grego-rio di Nissa “indica nel simbolo del serpenteinnalzato nel deserto, il simbolo del misterodella croce”. Mistero della croce, misterodella passione morte e resurrezione di Gesù,che ha la croce al suo centro.

La croce, con i suoi assi incrociati è sim-bolo antichissimo dell’unione del mondo daisuoi quattro angoli più remoti; con il suo as-se orizzontale fissato a quello verticale è se-gno del nuovo collegamento fra la grazia diDio e il mondo dell’uomo. Il mistero dellacroce è questa possibilità di comunione fraDio e l’uomo, che ci viene riaperta da Cristocon la sua passione. Una comunione subitovivificante, perciò continua S. Gregorio:“l’uomo viene liberato dal peccato da coluiche ha preso su di sé la forma del peccato,per causa Sua la morte che consegue al mor-so viene fermata”.

Il dono di cui Cristo si fa portatore è undono di vita eterna, ma come tutti i doni deveessere accettato; il perdono che ci porta puòessere accettato solo se ci riconosciamo pec-catori bisognosi di perdono, e la vita solo seammettiamo che chiudendoci a Dio, sappia-mo procurare e procurarci solo la morte.

Eppure l’uomo pur di non ammetterequesta sua debolezza “preferisce le tenebre

alla luce, la morte alla vita” e in ciò si con-danna.

Il mistero della croce è scandalo e stol-tezza per l’uomo che crede di non aver biso-gno di Dio, e non è disposto a riconoscersipeccatore. Questo concetto di giudizio indi-cato da S. Giovani è prezioso per comprende-re un dato fondamentale della nostra fede:ognuno di noi, alla fine della propria vita, magià durante la vita stessa, viene giudicato epaga le conseguenze del male che compie,non perché Dio attui una specie di vendettao punizione nei confronti di chi fa il male,ma perché il male stesso è distruttivo.

Il male che impedisce a Dio di comuni-carci in pienezza la sua grazia, che ci allon-tana da lui che è la suprema fonte di vita, faentrare nella nostra esistenza, e nei nostrirapporti con gli altri un’influenza negativache ci avvelena.

Chi compie il male comincia sempre piùad odiare la luce di Dio che gli ricorda il suostato di peccatore, e così si allontana dalla so-la speranza di salvezza. La quaresima diventaallora un tempo veramente prezioso per ognicristiano, per prendere coscienza di cosa nonva nella nostra vita; per porci alla luce di Dio,lasciando che questa luce giudichi le nostreopere; ci faccia scoprire il nostro bisogno diessere salvati, e desiderare la salvezza.

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imeone li benedisse e parlò a Maria sua madre:Egli è qui per la rovina e la resurrezione di molti in Israele,segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori.E anche a te una spada trafiggerà l’anima (Lc 2,34-35).

Sembrava un giorno come gli altri: due genitori al tempio per dire grazie al Signore del do-no del figlio. Un rito semplice e solenne, così com’è nello stile dei poveri, cosìcom’è nello stile di Dio.Fra i tanti, c’erano anche loro, Maria, Giuseppe e il bambino, mescolati con altripoveri, con altra gente.I volti dei poveri sono quasi tutti uguali, pieni di speranza non solo per il giornodopo, ma per quell’oggi che richiede il pane di sempre, il coraggio di sempre, lafede di sempre.E il tempio poi, con tutta la sua imponenza, faceva sentire tutto il suo disagio.

Alla ricerca di un volto amico, anche Maria e Giuseppe vagavano fra le austere colonne, ri-cercando nel loro cuore lo stesso Dio che forse lì non riuscivano a vedere.Ma ecco arrivare un vecchio che sembrava stesse lì ad aspettarli; si dirige verso diloro come un vecchio amico e prende in braccio il bambino.Erano andati per offrirlo al Signore, ma presto si rendono conto che quel gestoequivaleva a metterlo nelle mani di tutti.

Forse Simeone è il primo che prende in braccio il tuo Bambino, Maria, e già avverti, nel si-lenzio del tuo cuore, quale sarebbe stata la tua missione nel progetto di Dio: do-nare il tuo Gesù.L’angelo ti aveva detto: «Non temere Maria» (Lc 1,30), ma ora quasi temi perchéquest’uomo che non conosci ha preso fra le braccia Gesù; e ciò che ti ha più tur-bato sono le sue parole che parlano di divisione, di rovina e di salvezza, e ti an-nunciano che una spada trafiggerà la tua anima.

Le parole dell’angelo sembrano completarsi in queste pronunciate dal vecchio Simeone. Èquesto il primo annuncio ufficiale del Vangelo della Passione del Figlio diletto.Come a Nazareth, ove l’angelo le annuncia la nascita del Verbo, ora a Maria vieneannunciato il fine dell’Incarnazione.Pur essendo l’Immacolata, cioè preservata dal peccato, è certo che Maria ne hasofferto le conseguenze. E proprio qui, nella casa del Signore, vive l’esperienzadella sofferenza. Le parole di Simeone penetrano come una spada che le trafig-ge l’anima.

CON MARIAFiduciosi nel tempo della prova1

Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 1-2006

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Preg

hiam

o

S

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Amore e dolore, fede e sgomento, forza e debolezza, promessa e incomprensione,vanno di pari passo nel cammino del credere.

« Beata tu che hai creduto »

erano state le parole della cugina Elisabetta, perché certamente nella vita di Mariaci sarebbero stati momenti come questo, in cui era difficile capire e impossibilesottrarsi. Quando Dio si rivela all’uomo gli dona tanta luce quanto basta per fareun passo ed iniziare il cammino.

Dio ti dice: «Vai», ma non ti dice né «dove», né il tempo che impiegherai.Tu devi camminare sulla Parola che ti viene data e che da quel momento non ti la-scerà mai più.È un grave peccato pensare che Dio si sia stancato di noi e ci abbia lasciati a metàstrada. Se credere è porre la nostra fiducia in lui, è anche vero che è lui per primoad aver avuto fiducia eterna nei nostri confronti.

Nella vita di Maria, quante zone d’ombra hanno tempestato il suo cammino?Ella ha provato l’imbarazzo di presentarsi a Giuseppe dopo l’annuncio dell’angelo,anche se lui, «uomo giusto», avrebbe fatto di tutto per non ripudiarla. Che soffe-renza provò Maria: fra loro tutto era chiarezza e rispetto, ed ora quell’interventodivino sembrava spezzare ciò che era bello.È possibile che Dio crei una situazione del genere? Mette l’uno contro l’altro, met-te dubbio in quello che fino a quel momento era un rapporto di stima e di fiducia?Quanta incomprensione e sofferenza ci sono anche in mezzo a noi, nelle nostrecase, con le persone che amiamo!

Ma Dio ad entrambi, a Maria e Giuseppe, rivolge una parola che è un invito assoluto a nondisperare: « Non temere, non aver paura ».Solo questa Parola può ricreare l’armonia e la fiducia, solo questa Parola ci mettein cammino su strade nuove, che i nostri progetti neppure immaginavano.Solo questa Parola riaccende e trasforma l’amore umano nel progetto originale di Dio.

Signore perdonaci se, di fronte alle nostre situazioni difficili, ci siamo subito disperati esentiti traditi perfino da te.Perdonaci se abbiamo dubitato perfino di quella fede che pensavamo d’averema, in quel momento così tremendo, abbiamo giudicato come cosa inutile.Maria e Giuseppe, voi che avete vissuto queste situazioni, aiutateci a credere, asperare e a liberarci dalla paura che ci impedisce di amare.

Le parole del vecchio Simeone vibrano come una spada: sono profezie di un dolore giàavvenuto e di un dolore che deve ancora accadere.

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La sorte del Figlio sarà anche l’ora della madre. L’ora nona in cui si fece buio sututta la terra sarà per lei l’ora di quella spada che la farà crocifissa senza la croce.La parola di Simeone apparve crudele per lei mamma, che avrebbe dato tuttoper il suo Bambino. Quella seconda annunciazione segna la via del dolore cheavrebbe accompagnato il mistero dell’Incarnazione.

La carne di questo Bambino sarà martoriata dal peccato dell’uomo e la profezia tocca l’a-nima della madre prima di crocifiggere il corpo del figlio. Ella non poteva essereesentata da quel dolore che il figlio avrebbe fatto suo per salvare il mondo.Questo Bambino, che ancora non parla, è già un segno di contraddizione. Que-sto Bambino, che appena vagisce è già accusato d’essere «rovina del suo popo-lo», salverà il suo popolo dai suoi peccati, ma è già preludio di ostilità.Come risuonano, nel cuore di Maria, al grido della folla «Sia crocifisso!», le pa-role profetiche di Simeone: «Questo bambino è qui per la rovina di molti inIsraele». Proprio in quel momento, quando il suo Gesù fu lasciato in mano alsuo popolo, ella comprese la drammatica portata di quelle parole.

E quando Simeone prende fra le braccia il suo bambino, lei lo vede già disteso sulla cro-ce per i peccati del mondo; lo vede già immolato come l’agnello « condottoal macello » che non apre bocca. Maria e Giuseppe, che « portarono il Bambi-no a Gerusalemme per offrirlo al Signore come è scritto nella legge del Signo-re » (Lc 2,22), non pensavano certamente a tutto il trambusto che avrebbecreato quel vecchio, il cui volto, segnato dal tempo, aveva ancora occhi «ca-paci di vedere».Erano occhi che avevano aspettato quel momento: l’avevano sperato ed oraquel desiderio e quell’attesa si realizzavano. Sarà sempre così: solo dove arri-verà lui, tutto raggiunge la sua pienezza. Solo allora si potrà dire:

«Ora lascia, Signore, che il tuo servo vada in paceperché i miei occhi hanno visto la tua salvezza» (Lc 2,29-30).

Forse, Maria, questo vecchio ti rimarrà sempre nel cuore, specialmente per quei momentioscuri, dove i tuoi occhi non vedranno altro che buio, indifferenza, sarcasmo.Ciò che Simeone «vide e credette», sarà sempre la ragione della tua vita, anchequando, sotto la croce, c’era solo da chiudere gli occhi perché era difficile «vederee capire».Solo chi ha riposto la sua vita e la sua attesa in Dio, ha occhi capaci di «vedere» lasalvezza nel corpo di questo bambino e nei legni incrociati di una croce, dove è ap-peso un uomo.Chi crede vede e non rinuncia alla follia di un’attesa impossibile nella quale spera,e sa aspettare, anche se la sua vita si sta eclissando verso la fine.

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Tu, o Maria, hai visto negli occhi di questo vecchio gli occhi di tutti coloro che san-no aspettare «colui che viene»: sanno credere, vogliono vedere quello cheancora non hanno mai visto.Tu, o Maria, hai letto nel cuore di quel vecchio tutta la trepidazione di un cuore«bambino», di un cuore che nonostante l’età è rimasto giovane perché aperto al«desiderio»: il desiderio di Dio, che fa sempre andare al di là delle circostanze.E tu, o Maria, dal giorno in cui Dio ti rivolse la sua parola, hai imparato a guardaresempre «oltre», al di là della dura realtà che spesso sembrava opporsi anche alprogetto divino.Le parole del vecchio, e il gesto con cui hai deposto il bambino fra le sue bracciadiventeranno la continuità della tua risposta al mistero dell’incarnazione.

Questo bambino ti è stato dato perché potesse, attraverso di te, essere donato, anzi depostolà dove non c’era più nulla da aspettarsi.L’ha deposto Dio nel tuo seno per dare significato alla madre e alla vergine; l’haideposto tu nel cuore di Giuseppe per santificare la famiglia; l’hai deposto sulla pa-glia della culla di Betlemme per santificare la vita; l’hai deposto fra le braccia«spente» di questo vecchio, segno dell’umanità in attesa, per riaccendere la spe-ranza; l’hai accolto nuovamente dalle braccia della croce per dare speranza allacrudeltà della morte ed essere, o Maria, l’unico amore che rimane fedele in quelmomento drammatico: «Adesso e nell’ora della nostra morte».

La tua presenza, Maria, riempie sempre il cuore dell’uomo, del tuo Gesù. Tu sei davvero coleiche è pienezza di Dio e dà la pienezza di Dio.Perdonaci se ancora non abbiamo avuto il coraggio di riempire i nostri vuoti acco-gliendo il tuo essere anche madre nostra.O Maria, davanti al tuo Gesù Eucaristia vogliamo riparare per tutte le volte che ildolore e l’incomprensione ci hanno fatto separare da lui. Vogliamo riparare pertutte le nostre paure che ci hanno fatto perfino dubitare dell’amore di Dio, dellasua presenza nei nostri momenti bui.

Fa’ o Maria che anch’io sappia mettere, nelle braccia aperte di tutti coloro che aspettano, ilmio e tuo Gesù, per riaccendere nei loro cuori la luce, la gioia e la speranza.O Maria prendi il mio cuore e mettilo fra te e Gesù, così che né la spada mi spa-venti, né la paura mi scoraggi. Perché tu sei sua e nostra Madre.

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1 Da L. OROPALLO, Davanti al Signore. Tracce per l’adorazione eucaristica, Roma 200, pp.108-111.

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a quaresima è per antichissima evenerabile tradizione della Chiesaun tempo prezioso di approfon-

dimento della vita spirituale, una sorta di“esercizi spirituali annuali” che ogni cri-stiano è chiamato a vivere per prepararsidegnamente alla celebrazione del misteropasquale. È tempo di propositi e di “fio-retti”: tra questi, oltre a qualche forma didigiuno, di norma ci si propone di intensi-ficare la preghiera. A tal fine, penso cheimparare ad apprezzare l’innodia in lingualatina possa essere un esercizio forse mo-desto, ma ricco di frutti – almeno per co-loro che già sono abituati a recitare la li-turgia delle ore. E questo non perché lafatica di accostarsi alla lingua latina costi-tuisca di per sé una penitenza, ma graziealla ricchezza dei contenuti spirituali of-

Audi, benigne Conditor,nostras preces cum fletibus,sacrata in abstinentiafusas quadragenaria.

Scrutator alme cordium,infirma tu scis virium;ad te reversis exhibe remissionis gratiam.

Multum quidem peccavimus,sed parce confitentibus,tuique laude nominisconfer medelam languidis.

Sic corpus extra conteridona per abstinentiam,ieiunet ut mens sobriaa labe prorsus criminum.

Praesta, beata Trinitas,concede simplex unitas,ut fructuosa sint tuishaec parcitatis munera. Amen.

Ascolta, o Creatore benigno,le nostre preghiere con pianti,effuse in questo santodigiuno quaresimale.

Santo scrutatore dei cuori,tu conosci la debolezza delle forze:concedi a coloro che tornano a tela grazia del perdono.

Molto abbiamo peccato,ma abbi pietà di chi confida in te,e a lode del tuo nomeconcedi la cura ai sofferenti.

Così, fa' che attraverso l'astinenzail corpo sia esternamente consumato,affinché la mente sobria si astengada ogni macchia di peccato.

Assistici, beata Trinità,concedi, semplice Unità,che siano fruttuosi per i tuoi (figli)questi impegni di sobrietà. Amen.

ferti da questi tesori della tradizione.La liturgia dei tempi “forti” è sempre

particolarmente ricca. Tra le tante possibi-lità, ho scelto di commentare i due inniprevisti per la liturgia vespertina: Audi be-nigne Conditor, prescritto per le domeni-che, e Iesu quadragenariae, per i giorniferiali. Si tratta di due testi composti a di-stanza di tre/quattrocento anni l’uno dal-l’altro: il primo è attribuito – seppur conqualche incertezza – a san Gregorio Ma-gno, il pontefice riformatore morto a Ro-ma il 12 marzo del 604; il secondo è inve-ce di autore anonimo, ascrivibile al sec. X.Li accomuna l’identico afflato penitenzia-le, che invita a vivere le pratiche ascetichenon come semplici atti di mortificazioneesteriore, ma come espressione di intimoe sincero amore per Cristo.

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L’INNODIA PER IL VESPRODELLA QUARESIMA

don Filippo Morlacchi

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L’inno domenicale, che si canta suun’austera e nota melodia nel secondomodo, si apre con l’imperativo audi,“ascolta”. L’uomo chiede sempre l’a-scolto da parte di Dio: «Ascoltaci, o Si-gnore!…» è il ritornello delle nostre pre-ghiere. Ma la richiesta di ascolto che ca-ratterizza la preghiera umana è soloun’eco della richiesta di ascolto che Dior ivolge a l l ’uomo: «Shemà, Yisrael ,Ascolta, Israele…» (Dt 6,4). Basterebbequesta sola parola a introdurci a tuttociò che la quaresima significa: tempo disilenzio, di ascolto, di deserto. «Ascolta-te oggi la sua voce…» recitiamo nel sal-mo invitatorio (Sal 95,8); e l’inno del ve-spro quaresimale ci esorta a chiederel’ascolto da parte di Dio nella consape-volezza che lui ascolta la nostra voce piùdi quanto noi ascoltiamo la sua. Egli èinfatti Conditor benignus, creatore cheama la sua creatura e se ne prende curacon affetto sapiente. A lui si indirizzanole preghiere, alle quali in questo tempopenitenziale si affiancano i pianti. Il tem-po di quaresima è infatti innanzituttotempo di richiesta di perdono; e la tona-lità della preghiera assume le sfumaturedell’implorazione. Questo pianto, i cuisinghiozzi sono ascoltati da Dio, nonesprime una tristezza disperata, quantopiuttosto uno stupore commosso. È il“dono delle lacrime”, caro soprattuttoalla tradizione patristica dell’Oriente, ilriconoscimento della propria miseria chediventa gratitudine per il perdono rice-vuto. È il pianto di chi ammette la pro-pria colpa, come san Pietro dopo il rin-negamento di Gesù (Lc 22,62), ma unpianto fecondo, rigenerante, catartico,battesimale. Tutta l’ascesi cristiana pre-

senta una dinamica radicalmentepasquale e trasformante: la pe-nitenza non è fine a se stessa, il piantonon si riduce mai ad uno sterile piagni-steo sulla propria imperfezione; al con-trario, tutto è dinamismo, proiezione alfuturo, speranza di conversione, germedi vita nuova. Il Creatore benigno, che«raccoglie le lacrime dell’uomo nel suootre e le scrive nel suo libro» (cfr Sal56,9) non lascia cadere a vuoto né lepreghiere, né i pianti del credente checerca di rinnovare la sua vita grazie al-l’abstinentia quadragenaria. Questaquaresima, se vissuta intensamente,porterà il suo frutto!

La seconda strofa chiarisce le motiva-zioni di questa fiducia. Il Creatore beni-gno è «Colui che ci scruta e ci conosce»(cfr Sal 139,1); «non v’è creatura chepossa nascondersi davanti a lui, ma tut-to è nudo e scoperto agli occhi suoi»(Eb 4,13). Tuttavia l’uomo dinanzi aquesto sguardo scrutatore non deve na-scondersi con timore, come fece Adamodopo il peccato (Gen 3,10): si tratta in-fatti di uno sguardo buono, caldo e mi-sericordioso. «Perché egli sa di che sia-mo plasmati, ricorda che noi siamo pol-vere» (Sal 103,14), conosce la debolezzadelle nostre risorse (infirma virium), nonci tratta secondo le nostre colpe (cfr Sal103,10), ma secondo la sua misericor-dia. Per questo il credente confida di po-ter trovare presso Dio la grazia del per-dono. L’unica condizione necessaria perricevere il perdono è la conversione, il ri-torno, la teshuvà: abbandonare gli idolie tornare al Dio vivente. Ecco perché co-loro che pregano con l’inno si dichiara-no reversi ad Deum, “rivolti al Signore”.

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Tornare a Dio significa con-fessare pubblicamente e senza

ipocrisie la colpa: multum peccavimus.La via di accesso alla misericordia non èdata dalla lievità del peccato commesso– tutt’altro! –, ma dall’intensità della fi-ducia riposta in colui che può perdona-re. Santa Teresa di Gesù Bambino lo haespresso con eccezionale chiarezza nelpresentare la sua “piccola via”: «Chesoave gioia il pensare che Dio è giusto,cioè che tiene conto delle nostre debo-lezze, che conosce perfettamente la fra-gilità della nostra natura. Di che temereidunque?… Ciò che offende Gesù, ciòche ferisce il suo cuore è la mancanza difiducia!… È la fiducia e solo la fiduciache deve guidarci all’amore. Sì, lo sento,anche se avessi sulla coscienza tutti ipeccati che è possibile commettere, an-drei, col cuore spezzato dal pentimento,a gettarmi tra le braccia di Gesù…» (daiManoscritti autobiografici). Questa umi-le consapevolezza della fragilità umanaaccompagnata alla fiducia senza limitinell’amore misericordioso di Dio sono idue elementi che possono restituire ilvero senso della penitenza quaresimale.Non si tratta infatti né di guadagnarsi ilperdono con severe pratiche di mortifi-cazione, né di scalare le vette della san-tità con un’ascesi troppo ambiziosa, madi creare piuttosto le condizioni perché ilcuore dell’uomo si apra alla grazia diDio che rinnova il cuore dell’uomo. Unapoftegma dei padri del deserto si espri-me così: «A cosa servono i digiuni, leveglie e le altre pratiche penitenziali?»chiesero ad abba Mose. Egli rispose: «Aridurre l’uomo all’umiltà totale. Se l’ani-ma produce questo frutto, il cuore di

Dio si commuoverà». La guarigione delcuore dell’uomo che l’inno invoca daDio (confer medelam languidis) in talmodo torna “a lode del suo nome” enon a gloria dell’uomo. «Non a noi, Si-gnore, non a noi, ma al tuo nome da’gloria!» (Sal 115,1). Anche nello sforzoascetico e penitenziale, il primato dellagrazia non va mai dimenticato.

La quarta strofa riprende un tema ti-pico della tradizione monastica: l’impe-gno affinché la disposizione interiorecorrisponda al gesto esteriore. La regoladi Benedetto raccomanda al monacoche «la mente si adegui alla voce nel re-citare i salmi»1; l’inno quaresimale mettesulle labbra dell’orante la richiesta chealla macerazione esteriore del corpo tra-mite il digiuno corrisponda l’intima con-trizione del cuore. «Corpus cònteri»: ilcorpo deve essere triturato, sminuzzato,polverizzato dalla penitenza. Ma non èquesto il vero obiettivo delle pratichequaresimali! Il participio passato di con-teri è contritum; la contrizione del cuoreè il fine a cui tutto deve tendere. Il cuo-re contrito è appunto il cuore “tritura-to”, ridotto – come diceva abba Mose –all’«umiltà totale». Allora – e solo allora– al digiuno del corpo dal cibo corri-sponderà l’astinenza del cuore dal pec-cato, alla sobrietà esteriore si aggiun-gerà la sobrietà della mente. Solo così –afferma l’ultima strofa, che contiene ladossologia al Dio unitrino – l’impegnoquaresimale per una vita più frugalesarà fruttuoso. Il frutto della penitenzadeve essere spirituale, non un meroesercizio della volontà; solo un’ascesiche nasca dalla fiducia e accresca l’amo-re divino è ascesi spirituale e feconda.

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Iesu quadragenariae dicator abstinentiaequi ob salutem mentiumpraeceperas ieiunium

Adesto nunc Ecclesiaeadesto paenitentiae,qua supplicamus cernui,peccata nostra dilui.

Tu retroacta criminatua remitte gratia,et a futuris adhibecustodiam mitissime.

Ut, expiati annuiscompunctionis actibus,tendamus ad paschaliadigne colenda gaudia.

Te rerum universitas,clemens, adoret, Trinitas,et nos novi per veniamnovum canamus canticum. Amen.

O Gesù che hai per primo hai fissatoil digiuno dei quaranta giorni,che per la salvezza delle animehai prescritto l'astinenza,

accorri ora, e sostieni la penitenza della Chiesa,per la quale supplichiamo prostratisiano assolte le nostre colpe.

Tu i peccati del passatoperdona con la tua grazia,e da quelli futuri concedidolcemente una custodia.

Affinché, purificati con le pratichedi penitenza che ogni anno (ripetiamo)ci slanciamo alla gioia pasqualeche deve essere degnamente celebrata.

L'universo intero ti adori,o clemente Trinità,e noi, resi per grazia nuova creatura,cantiamo un cantico nuovo. Amen.

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Anche l’inno per i giorni feriali insistesulla necessità di vivere correttamente ildigiuno, affinché questa pratica possa ri-sultare feconda. La preghiera si indirizzastavolta non al Padre, ma al Figlio. Gesù –ci raccontano i vangeli – fu condotto dalloSpirito per quaranta giorni nel deserto, efu tentato dal diavolo. Perciò è lui il dica-tor abstinentiae quadragenariae, coluicioè che ha inaugurato la pratica dellaquaresima, predicando il digiuno del cor-po come strumento di salvezza per l’ani-ma. È invocata la sua presenza e il suosoccorso, affinché la penitenza della Chie-sa abbia senso. «Perché digiunare, se tunon lo vedi, mortificarci, se tu non losai?» esclama il profeta (Is 58,3). A nullavale la penitenza dell’uomo se il Signorenon l’accoglie come dono d’amore. Il cri-stiano non è un encratita2, un bonzo chefa sforzi di autocontrollo per apparire su-

periore agli altri uomini, e neppure un or-goglioso che cerca di guadagnarsi il per-dono con opere di espiazione: l’astinenzaquaresimale ha senso solo se compiutadavanti a Dio, coram Deo, solo se il Signo-re è presente. Solo lui, infatti, può scio-gliere i nostri peccati come neve al sole.

La richiesta di perdono per i peccatipassati si accompagna alla richiesta di unagrazia preveniente per essere custoditi daquelli futuri. E infatti la penitenza quaresi-male è anche esercizio virtuoso che aiutaad evitare di cadere nelle solite mancanze.«Liberaci dal male»: il cristiano chiede diessere preservato dalle colpe future, ma –aggiunge questa terza strofa – l’interventoceleste sia lieve, soave, mitissimo. Il Signorenon è nel vento impetuoso, nel terremoto,nel fuoco, ma nel soffio delicato dello Spi-rito (cfr 1Re 19,10ss) che incessantementespinge l’uomo verso il bene. Sembra quasi

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un presentimento della sequenzadi Pentecoste, che invoca lo Spirito

come dulcis hospes animae, dulce refrige-rium: ospite dolce dell’anima e dolcissimosollievo.

La quarta strofa spiega con inequivo-cabile chiarezza il vero scopo della quare-sima: slanciarsi verso la gioiosa Pasqua diCristo (paschalia gaudia), che chiede diessere celebrata degnamente (digne co-lenda), «con azzimi di sincerità e di ve-rità» (1Cor 5,8). Ogni “atto di compun-zione” non deve mai perdere di vista ilsuo scopo, che è quello di condurre il cre-dente a una più autentica celebrazionedella Pasqua; ogni piccolo atto di vittoriasugli egoismi deve essere vissuto come“sacramento”3 – segno e strumento –della grande vittoria di Cristo sul male esulla morte.

La dossologia conclude l’inno presen-tando il frutto della Pasqua ben celebrata:la creatura nuova (cfr 2Cor 5,17). Il cri-stiano è rinnovato dalla grazia di Cristo(nos novi per veniam); ma la preparazione

——————

1 «Sic stemus ad psallendum ut mens nostraconcordet voci nostrae»: Regula Benedicti,XIX, 7.

2 L’encratismo è una dottrina rigorista che vie-tava di nutrirsi di cibi animali e di vino, e con-siderava immorale il matrimonio; viene con-dannata già in 1Tm 4,1-5.

3 La quaresima è chiamata anche quadragesi-male sacramentum.

4 S. AGOSTINO, Commento sui salmi, XXXII, Di-scorso I, 8: PL 36, 283. Il testo è facilmente re-peribile nell’Ufficio delle letture per la memoriadi santa Cecilia, 22 novembre. Riporto anche il

testo latino, per coloro che amassero leggere illinguaggio scarno ed espressivo dell’Ipponen-se: «Exuite vetustatem: nostis canticum no-vum. Novus homo, Novum Testamentum; no-vum canticum. Non pertinet novum canticumad homines veteres: non illud discunt nisi ho-mines novi, renovati per gratiam ex vetustate,et pertinentes iam ad Testamentum novum,quod est regnum coelorum. Ei suspirat omnisamor noster, et cantat canticum novum. Can-tet canticum novum, non lingua, sed vita». Disant’Agostino sul tema del canto nuovo, cfranche il Discorso 34,1 (Ufficio delle letture delMartedì della III sett. di Pasqua).

quaresimale aiuta a realizzare esistenzial-mente, ciascuno nella sua vita, il donoche viene offerto a tutti. E il canto nuovo,il canto pasquale per eccellenza (Ap 5,9)possono cantarlo solo gli uomini nuovi. Loha espresso meravigliosamente sant’Ago-stino: «Spogliatevi di ciò che è vecchio or-mai; avete conosciuto il canto nuovo. Unuomo nuovo, un Testamento Nuovo, uncanto nuovo. Il nuovo canto non si addicead uomini vecchi. Non lo imparano senon gli uomini nuovi, uomini rinnovati,per mezzo della grazia, da ciò che eravecchio; uomini appartenenti ormai alNuovo Testamento, che è il Regno dei cie-li. Tutto il nostro amore ad esso sospira ecanta un canto nuovo. Elevi però un can-to nuovo non con la lingua, ma con la vi-ta».4 Nella Chiesa solo chi canta con que-sta disposizione di novità pasquale – cioèdi rinnovamento interiore di vita – è vera-mente un risorto. Cantare con fede e conamore gli inni quaresimali costituisceun’ottima preparazione alla risurrezionepasquale.

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essuno meglio di voi artisti, ge-niali costruttori di bellezza, puòintuire qualcosa del pathos con

cui Dio, all’alba della creazione, guardòall’opera delle sue mani. Una vibrazionedi quel sentimento si è infinite volte rifles-sa negli sguardi con cui voi, come gli arti-sti di ogni tempo, avvinti dallo stuporeper il potere arcano dei suoni e delle pa-role, dei colori e delle forme, avete ammi-rato l’opera del vostro estro, avvertendoviquasi l’eco di quel mistero della creazionea cui Dio, solo creatore di tutte le cose,ha voluto in qualche modo associarvi”.Così scriveva Giovanni Paolo II il 4 aprile,Pasqua di Risurrezione, del 1999, nell’or-mai famosa Lettera agli artisti. Vogliamofarne ala protettiva al sentimento di “ti-more” e di “tremore” 1 che segna il no-stro debutto nella colonne di “Pregarcantando”, sinora date alle cure amorosee prestigiose di don Daniele Albanese, cuici accomunano sia un segmento di tempopercorso insieme al Seminario Romano,sia un “idem sentire de musica”, sia unastima e un’amicizia che speriamo di noncompromettere con queste nostre rifles-sioni... Che peraltro si muoveranno supercorsi e con intenti abbastanza diversidai suoi. Don Daniele infatti è un musici-sta: ossia colui dal cui “cervel sbocciano icanti” e dalle cui “dita sbocciano i fior” 2,gli “armonici concenti” di quell’ Ars Mu-sica che il Medioevo aveva posto giusta-mente nel Quadrivio come scienza e co-me attuazione di una scienza. Un creare(il comporre) e un ri-creare (l’eseguire) esi-to di genio e di tecnica acquisita. Di ciò

don Daniele ha fornito e continua a forni-re prove cospicue. “Io non sono che uncritico” diciamo come Jago ad Otello 3.Ossia colui che esercita una disciplina ovenon si crea ed ove lo strumento unico è laparola: ove l’oggetto, in via analitica, èl’osservazione e la valutazione degli ele-menti scientifici, tecnici, teorici, storici edambientali di un’opera musicale; e in viasintetica è l’ammissione (o la negazione)e la descrizione dell’artisticità, della bel-lezza di quell’opera come momento signi-ficante del cammino spirituale dell’uma-nità. Tali vie (che, al contrario d’un tempoin cui erano talora aspramente contrap-poste, noi riteniamo entrambe necessariee complementari) portano alla storia dellacultura e dell’arte musicale 4. La critica èattività normalmente praticata da esperti.Tuttavia in senso lato chiunque può, anzideve esercitare la kritiké: giusto un etimoche scaturisce dal verbo greco krinein (di-stinguere, scegliere) e si dirama in krisis(distinzione, discernimento), kriterion(giudizio), kritikòs (capace di giudicare).Ognuno – autonomamente o con un Vir-gilio che sia “lo duca suo” – può esseregiudice d’un brano musicale come d’ogniprodotto d’arte. Ma come si giunge a ungiudizio critico? Esiste un metodo per tut-ti attendibile che possa dar luce, soste-gno, certezza a una valutazione che nonsia impressione superficiale, né opinionesprovveduta? Ed esiste, per chi vive nonmarginalmente la propria fede cristiana,un “quid pluris” che consenta un approc-cio a quel “potere arcano dei suoni” talenon solo da farne apprendibile l’artisticità

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UN CAMMINO D’ASCOLTOdon Maurizio Modugno

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e la bellezza, ma da renderne av-vertibile “l’eco del mistero della

creazione”? Crediamo tutto ciò possibile.Anche se non abbiamo tavole della leggeda proclamare. Il tempo però ci ha fattoprotagonisti d’esperienze d’ascolto nume-rose e talora non cancellabili. Ed è proprioquesto il cammino su cui vi chiediamo diseguirci. L’ascolto è evento sempre più ra-refatto. Non si ascolta, non si è ascoltati:si “sente” in modo anodino, che vale peril traffico sulla tangenziale come per laMatthäus-Passion di Bach, per un risto-rante affollato come per un graduale gre-goriano. L’ascolto è altra cosa. E’ uno“shemah” che parte da una “statio” disilenzio. Non siamo lontani da sant’Ago-stino:”L’anima perfetta canta perché hameritato di conoscere il mistero del silen-zio [...] il silenzio dello stupore e del sen-so, non quello del vuoto e del nulla”5.L’ascolto che ne sortisce è attento, èprofondo, è personale e relazionale: èagapico. Senza “agape”, senza amore,non c’è conoscenza, non c’è kritiké, nonc’è quell’ “intus-ire” che ci rivela - direb-be Beethoven – il percorso “dal cuore aicuori” 6 di Dufay e di Vivaldi, di Mozart edi Schubert, di Verdi e di Mahler, di Stra-vinskij e di Penderecki. Solo così la musicapuò segnarci come la “passione impres-sa” di Dante Alighieri e rimanere in noicome il “giacimento profondo del cuore”di Marcel Proust. Se poi la musica, inquanto arte, è “associazione al mistero diDio creatore”, essa merita un ascolto che,già soggettivamente, qualifica come mo-mento dell’essere cristiani ogni esperienzacorrelata. Quasi l’attuarlo (siamo ancoracon Sant’Agostino) sia già in sé un “intel-lectus fidei” e il negarlo un far rivivere il

grido del salmista: “Il mio popolo non haascoltato la mia voce”. Perché anche dal-la musica può giungere la Parola salvifica:impossibile non pensare al santo d’Ipponae a quella cantilena infantile che fu scin-tilla esplosiva della sua conversione; o alfrancese Joris K. Huysmans (1848-1907),lo scrittore di quell’A’ rebours a ragioneconsiderato il manifesto del Decadenti-smo, avvicinatosi al satanismo con Là-bas,poi spinto a una profonda conversionedai canti ascoltati durante una liturgia inuna chiesa parigina 7, infine oblato nel-l’abbazia benedettina di Ligugé. Bene haasserito Severino Dianich che non c’è in-comunicabilità fra un linguaggio e un al-tro linguaggio e che l’opera d’arte puòprodurre nell’animo nuove esperienze dipercezione della fede e del rapporto conDio 8. Ancora Giovanni Paolo II, nel suoTrittico romano, non aveva letto gli affre-schi di Michelangelo nella Sistina comeun atteso inverarsi della Scrittura? Il “Li-bro aspettava il frutto della visione”. E lachiave della partecipazione a “questa bel-lezza” non è l’ “immagine e somiglian-za”, ossia la coscienza della compresenzanell’arte del divino e dell’umano? “In ba-se a questa chiave l’invisibile si manifestanel visibile” 9. Solo in base a questa chia-ve possiamo “guardare”, non diversa-mente dalla Sistina, il Vespro della BeataVergine di Monteverdi o la Missa solemnisdi Beethoven o la Messa da requiem diVerdi. Come ascolto del divino. Prevenia-mo subito un’obiezione: come può esseresacro l’ascolto “ex parte subiecti”, se “exparte obiecti” non c’è un “sacro”, nonc’è un Bach o un Monteverdi, ma il Woz-zeck di Alban Berg, ove si rappresenta unsoldato che convive con una donna che

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lo tradisce, la uccide e si suicida? Il pro-blema è indubbiamente complesso e in-volge sia la tematica della moralità del-l’arte, sia quella dei rapporti tra cristiane-simo ed arte. Certo dall’Illuminismo in poila divaricazione tra Vangelo e cultura si èfatta sempre più ampia, con un picco an-cora non smussato ai nostri giorni, sì chePaolo VI lo ha individuato come drammaepocale. Era proprio Papa Montini, nell’O-melia agli artisti del 1964, a stigmatizzar-ne le possibili responsabilità: “Voi ci aveteun po’ abbandonati: vi siete allontanatiper abbeverarvi ad altre sorgenti, cercan-do di esprimere altre cose, pur certo legit-time, che però non sono più le nostre [...]Voi sapete che noi percepiamo una certaferita nel cuore quando vi vediamo porta-ti verso espressioni artistiche che ci offen-dono. Noi che siamo i tutori dell’umanitàtutta intera, della definizione completadell’uomo, della sua salute morale [...] Voiseparate l’arte dalla vita [...] riconosciamoche anche noi vi abbiamo un po’ contra-riati. Vi abbiamo imposto come prima re-gola l’imitazione, a voi che siete semprestati dei creatori vivaci, dalle mille idee enovità [...] Alle volte vi abbiamo impostouna cappa di piombo, bisognerà pur dir-lo: perdonateci [...] non vi abbiamo intro-dotto presso il nucleo dove i misteri di Diofanno trasalire il cuore di gioia, di speran-za, di ebbrezza”. E tuttavia in quella stes-sa sede Paolo VI prospettava la concretapossibilità di un nuovo orizzonte: “Dob-biamo ricostituire la nostra alleanza. [...]noi dobbiamo lasciare esprimere libera-mente il canto libero e potente del qualevoi siete capaci [...] noi vi saremo ricono-scenti [...] di venire ad attingere presso dinoi il motivo, il tema [...] quel fluido se-

greto che si chiama ispirazione,grazia, carisma dell’arte” 10. Nonsappiamo dirvi se questa alleanza si siaattuata. Il problema che ora ci stringe èquello di far discernimento critico – arti-stico e cristiano – su una larghissima“tranche” di storia umana (dalla quale lamusica è tutt’altro che esclusa) doppia-mente segnata dall’abbandono e dall’im-posizione. La serena lucidità di san Tom-maso può soccorrerci, con una modernitàdi pensiero, sia nei confronti dell’artista,sia in quelli dell’opera d’arte, che indivi-dua i rapporti fra estetica ed etica con unsegno opposto, ma ben più alto di quellocrociano dell’ “arte per l’arte” senza alcu-na implicazione morale. “La perfezionedell’arte consiste non nello stesso artefi-ce, ma piuttosto nell’opera compiuta [...]nell’arte non si richiede che l’artista operisecondo il bene, ma che faccia un’operavalida” 11. “Nell’attività artistica può es-serci una duplice forma di peccato: unaconsistente nella deviazione dal fine parti-colare perseguito dall’artista; e questo èun peccato pertinente specificamente al-l’arte, come quando l’artista, dovendo fa-re un’opera ben fatta ne fa una brutta;[e] una seconda forma di peccato consi-stente nella deviazione dal fine comune,quando cioè l’artista faccia consapevol-mente un’opera per la quale altri vengafuorviato [...] Della prima forma di pecca-to si fa quindi colpa all’artefice, della se-conda all’uomo in quanto uomo” 12. Leparole (possiamo dire “il canto”?) di Gio-vanni Paolo II e della Lettera agli artistientrano qui con armonia e tempo perfet-ti: “[...] persino nelle condizioni di mag-gior distacco della cultura dalla Chiesa,proprio l’arte continua a costituire una

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sorta di ponte gettato verso l’e-sperienza religiosa. In quanto ri-

cerca del bello, frutto di un’immaginazio-ne che va al di là del quotidiano, essa è,per sua natura, una sorta di appello alMistero. Persino quando scruta le profon-dità più oscure dell’anima o gli aspetti piùsconvolgenti del male, l’artista si fa inqualche modo voce dell’universale attesadi redenzione”. Siamo ora alla stretta fi-nale e, come in una fuga, è il momentodi riepilogare soggetti e controsoggetti.Tutti possiamo, dobbiamo, esercitare fa-coltà critiche verso l’arte dei suoni, siache ci troviamo ad animare la liturgia in

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1 Salmo 2. Il senso di questo “tremore” è inrealtà “danza di gioia”. Ne riparleremo inuna prossima occasione.

2 G. Giacosa e L. Illica, La bohème, libretto perl’opera di G. Puccini.

3 A, Boito Otello, libretto per l’opera di G.Verdi.

4 Cfr. A. Della Corte La critica musicale e i criti-ci, Torino UTET 1961.

5 Enarratio in Psalmos, 462

6 L’epigrafe autografa della Missa Solemnisrecita “Dal cuore possa ancora andare aicuori”.

7 Il romanzo autobiografico En route narra adun livello letterario altissimo di questa con-versione; ed è seguito da La cathédrale, daL’oblat e da Les foules de Lourdes.

8 Ecce homo, in Vivens homo 1 (1996), cit. inArte e teologia a cura di N. Benazzi, BolognaEDB 2003.

9 Giovanni Paolo II, Trittico romano, Roma Li-breria Editrice Vaticana 2003.

10 Omelia pronunciata nella Cappella Sistina il 7maggio 1964 per la Messa degli artisti

11 Summa theologiae, I-II. q.57, a.3.4.5 cit. inArte e teologia, cit.

12 Summa theologiae, I-II, q.21., a.2 cit. in Artee teologia, cit.

una parrocchia, sia che ascoltiamo la Set-tima di Mahler diretta da Abbado: fa-coltà doppiamente affinate sia da un iterdi sensibilizzazione, sia dal nostro esserecristiani; ciò può avvenire solo partendoda un ascolto sacro, agapico, perchéquell’arte è comunque “flatus Dei”; etutto di quest’arte è sacro, salvo quantodi essa o non sia bellezza, o sia tale dafuorviare dal bene; ma crediamo con Gio-vanni Paolo II, e ve ne daremo riscontro,che il bello e il buono - il sacro - della mu-sica giungano a spaziare insieme fin dovespazia il genio che il Creatore ha donatoall’uomo.

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e sacre scritture, fin dall’anticotestamento, sono caratterizzateda una ricerca costante da parte

dell’uomo del volto di Dio, dal desideriodi contemplare ancora in cammino il ri-flesso del suo volto e cogliere la luce delsuo sguardo.

Con l’incarnazione, assumendo la natu-ra umana, Dio rivela il suo volto attraversoquello stesso di Cristo: “Chi vede me, vedeColui che mi ha mandato” (Gv 12,45).

L’incarnazione è così il fondamento ditutta l’iconografia cristiana, in cui la bel-

lezza fisica di Gesù si sottolinea comesimbolo e irraggiamento della bellezzaspirituale.

Se la tradizione occidentale identificail “vero” volto di Cristo nell’improntache egli miracolosamente, durante la sa-lita al Calvario, lasciò sul telo utilizzatodalla Veronica al fine di asciugargli le fe-rite sanguinanti, per l’Oriente cristiano ilvero Santo Volto sarebbe quello del Sal-vatore Acheropita, cioè non fatto da ma-no d’uomo. È la più antica rappresenta-zione di Cristo che riproduce, secondo la

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“IL TUO VOLTO, O SIGNORE,IO CERCO”

di Roberta Boesso

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tradizione, le reali sembianze diGesù impresse sul mandylion,

fazzoletto di lino inviato da Cristo stessoal re Abgar. La prima testimonianza diun’effigie del Santo Volto pare infattiche si trovi in una missiva del re Abgar diEdessa a Gesù. Il sovrano vittima dellalebbra, avendo sentito parlare di lui co-me di un grande taumaturgo, gli fecepervenire un messaggio in cui gli chiede-va di raggiungerlo e guarirlo. Essendo re,riteneva che bastasse un cenno per otte-nere qualsiasi cosa volesse. Gesù ovvia-mente non andò da Abgar, ma lo guarì adistanza; inoltre, mentre si asciugava ilvolto con un telo che l’emissario del reaveva in mano, vi rimase impressa la suaimmagine. Il sovrano, quindi, oltre allaguarigione, ricevette in dono anche l’im-magine di Cristo.

Nell’icona il suo volto appare gloriosoe solenne: la carnagione scura spogliatadegli splendori della carne riflette la lucedella risurrezione e una regale bellezzache è quella del Dio-uomo venuto almondo per salvare l’umanità. Tutto di-venta luce e questa luce si comunica alfedele trasformandolo. Il suo sguardo in-tenso, con gli occhi aperti in ogni direzio-ne, sottolinea principalmente il misterodell’amore sconfinato e misericordioso diDio per l’umanità.

Il volto di Cristo è raffigurato al centrodel nimbo, inscritto a sua volta nel qua-drato dell’icona. Il cerchio simboleggia ilcielo, il quadrato la terra: Cristo è insie-me il Signore, la consistenza di tutte lecose e il prototipo dell’umanità trasfigu-rata.

Il naso lungo e stretto, la bocca picco-la e chiusa indicano silenzio e forza inte-

riore. Nel nimbo cruciforme, simbolo delsacrificio pasquale di Gesù, la scritta gre-ca richiama la rivelazione divina a Mosèsul monte Sinai: “Io sono Colui che è”,esaltando così ancor più la divino-uma-nità di Cristo. Il suo volto sembra essereimmerso in un bagno di luce, la luce del-l’amore di Dio. L’oro, “colore” per eccel-lenza, incarna questa luce soprannaturaleche trasfigura tutta la realtà. Il fondo do-rato esprime così la presenza di Dio che,penetrando ogni cosa, la illumina dall’in-terno.

L’aureola, nella sua interezza e con lasola raffigurazione del volto al suo inter-no, allude simbolicamente all’ostia. Persottolineare ancora di più il riferimentoall’eucaristia ho inserito, come decorazio-ne stessa dell’aureola ai lati dei braccidella croce, tralci di vite e grappoli d’uvasui quali si innalza il monogramma di Cri-sto: Gesù è il nostro cibo per l’eternità,speranza nello sconforto delle nostre fra-gilità, luce nei momenti di oscurità, sor-gente di gioia e di pace.

L’eucarestia, memoriale della passio-ne di Cristo in cui il mistero della Pasquasi attualizza, è realtà di profonda comu-nione con Gesù e tra noi, realtà santifi-cante per tutta la Chiesa, “un solo corpoin Cristo”.

Per il periodo quaresimale l’icona delSanto Volto è un invito a tenere fissi gliocchi su Gesù perché, illuminati e fortifi-cati dalla sua grazia santificante, possia-mo far risorgere in noi l’uomo nuovo, pu-rificato nella mente, nel cuore e nei sensidallo spirito divino. Solo così potremo gu-stare i frutti dello Spirito, sentire la gioiadella presenza di Cristo in noi e annun-ziare la sua resurrezione nella nostra vita.

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er la prima volta avvicino la figu-ra di santa Margherita da Corto-na, questa giovane donna re-

denta dopo un passato travagliato; ci tro-viamo dinanzi a una storia di estremaumanità che spesso ha toccato l’abisso,quel baratro dove Gesù stesso si èsprofondato per farlo risorgere. È eviden-te: l’amore di Dio raggiunge ogni pieganascosta e non c’è peccato che non possaessere perdonato o morte che non debbarifiorire.

Il deserto si trasforma e fiorisce semprequando la grazia raggiunge le creature!La logica del Signore va oltre i nostri peri-

metri di giudizio, le sue vie non sono lenostre e molte volte i nostri ragionamentivengono messi a tacere dalle parole sem-plici ed essenziali del Vangelo: “donna,nessuno ti ha condannata…” (cf Gv8,10). Le pietre delle nostre durezze, dicerti perbenismi o le ipocrisie di esistenzemediocri sono frantumate dalla “pietraangolare” che è il Signore Gesù. Ma chiera Margherita? Qual è stato il suo vissu-to? Di lei sappiamo che nacque da unafamiglia contadina del Trasimeno nel1247 e, rimasta ben presto orfana di ma-dre, venne allevata da una matrigna gelo-sa che spesso la maltrattava. Le continue

difficoltà familiari la co-strinsero appena diciot-tenne a fuggire con ungiovane di Montepulcianoda cui, in nove anni diconvivenza, ebbe un fi-glio. La morte prematuradel compagno la costrinsead emigrare e a cercarelavoro come ostetrica inCortona, professione rite-nuta tra i mestieri più ille-citi e malvisti. Rimasta so-la con il figlio, Margheritacominciò ben presto unpercorso di conversionealla carità verso i poveri ei miserabili a cui aprì lapropria casa dedicandosiad essi senza risparmiarsiin nulla. Alla carità unì la

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SANTA MARGHERITA DA CORTONAdi suor Clara Caforio, ef

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penitenza più rigida, che l’avreb-be portata a compiere un itinera-

rio di redenzione dai Francescani del vici-no convento e presso la loro Chiesa as-sunse, nel 1277, l’abito dell’Ordine dellapenitenza, iniziando così un cammino diprofonda spiritualità.

Lei stessa andava per le vie di Cortonaa elemosinare, preparando il pranzo e ser-vendo tutti, accogliendo i più bisognosi,quelli che nessuno soccorreva. Tutto ciò cifa comprendere che più una persona è at-tratta da Dio, più forte diventa la sua at-tenzione verso i fratelli. Possiamo dire chel’amore per gli altri è l’espressione concre-ta dell’amore per Dio: è l’attuazione delvangelo! I santi sono gl’innamorati dell’E-terno, i benefattori dell’umanità, e l’innodella carità di san Paolo (cf 1Cor 13) è lapagina frequentemente incarnata nella lo-ro vita. Così fece la giovane Margherita.L’attenzione verso i poveri la rese creativae l’amore, si sa, prima o poi contagia.Coinvolte dalla sua tenerezza e sensibilità,varie persone si sentirono chiamate a dar-le una mano. Nacque così l’Ospedale di S.Maria della Misericordia. Una nobildonnaoffrì a Margherita il suo palazzo, il capita-no del popolo Uguccio Casali s’interessòdella strutturazione dell’ambiente, mentrealtri benefattori intervennero a sostenerele spese; in breve tempo venne allestitoquello che tutt’oggi è l’ospedale di Corto-na, naturalmente ampliato e trasformato,ma nato allora dal grande amore dellasanta che volle assicurare anche personalepreparato e sufficiente, fondando a talproposito la Confraternita di S. Maria del-la Misericordia.

Le donne che vi aderirono volle chia-marle “le poverelle”, nome che è tutto unprogramma. Gli uomini vennero invecechiamati “i mantellati”, dal mantello cheindossavano. L’azione di Margherita sep-pe propagarsi anche nel campo politico.Alla luce del Vangelo la politica è l’arte digovernare nella ricerca del bene comune;l’autorità è intesa come servizio verso tut-ti, privilegiando i più deboli. Alla luce del-la Parola di Dio perciò la politica deve tra-dursi in impegno operoso per costruire lapace e la giustizia, deve divenire espres-sione educativa di trasparenze e coerenzadi vita. I tempi storici di santa Margheritaerano infestati da lotte fratricide, da riva-lità e ambizioni di potere; oggi come allo-ra cambiano le forme e le modalità ma ilcuore dell’uomo insiste nel costruire bar-riere di odio. La nostra santa seppe farsiportavoce di bene presso i suoi confratelliminori perché tutti scendessero in campoper una missione di pace. In tutte le Chie-se, per le strade e per le piazze si tenneuna predicazione continuata e accorataper esortare tutti alla riconciliazione. I cor-tonesi accolsero le fervide esortazioni e siritrovarono sulla piazza del Comune, fi-nalmente pacificati. Margherita seppe es-sere dunque un abile strumento di pace,degna figlia del santo Francesco, di santaChiara e di Angela da Foligno. Due donnedi cui, probabilmente, sentì parlare comeesempi da imitare, testimonianze di spiri-tualità femminile di cui l’Umbria medieva-le è terra feconda.

La mistica di Margherita è sulla lun-ghezza d’onda delle due sante, è misticafondata sulla Parola del Signore. Nulla di

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soggettivo o di intimistico in questa gio-vane donna che pure si esprime con unlinguaggio carico di affettività e sensibi-lità, espressioni sicuramente legate allasua profonda femminilità. Il suo direttorespirituale, Giunta Bevegnati, ci riporta idialoghi di Margherita con Cristo; essi so-no Vangelo vissuto: “Udì Cristo dirle: “Iosono il pane della vita disceso dal cielo,l’agnello di Dio che toglie i peccati delmondo. Vuoi tu venire al Padre mio?” Edella: “Signore, quando sono con te, sonocon il Padre e lo Spirito Santo”. E il Si-gnore a lei: “Credi tu così? Margherita ri-spose: “Signore tu sai tutto, tu sai che iocredo”. Lo scrittore Francois Mauriac e ilfilosofo Teodorico Moretti Costanzi sonostati due fra i massimi cultori di Marghe-rita da Cortona. Il primo ha scritto un’in-teressante biografia della santa e il se-condo ha sottolineato in una sua opera,oltre alla dimensione agostiniana dellaconversione, il recupero, nella grazia, ditutta la persona, come ebbe a dire: “Ar-monizzato nella gentilezza di una femmi-nilità inconfondibilmente latina, il trava-glio spirituale di Agostino rivive nelle pas-sioni della nostra santa che sembra, conla propria redenzione, elevare a Dio l’in-tero genere umano”.

Ritornando all’esperienza iniziale diMargherita, libera dal pensiero del figlio,divenuto francescano, decise, dopo unprocesso di maturazione, di recludersi inuna cella più isolata, lontana dal centroabitato, sulla rocca di Cortona. Sepoltanel silenzio, accudita sola da una compa-gna e dalle cure approssimative di unchierico, la penitente poté dedicarsi com-

pletamente al colloquio con Dio,alternando tentazioni e visioni. Si-curamente a noi, uomini e donne dellapost-modernità, una scelta del genererende perplessi. Effettivamente il chiasso,le distrazioni, le frette metropolitane nonci fanno comprendere; spesso attutisconola nostra sete di silenzio vero, di traspa-renza. Non si capiscono certe scelte radi-cali perché si cerca sempre più di allonta-nare Dio dal proprio vissuto, ci si rifugianel relativismo, nell’effimero, nell’egoi-smo…, eppure basterebbe sintonizzarsicon la parte più essenziale di se stessi, nelcuore del cuore dove Dio è presente e faudire la sua voce leggera. Margherita sep-pe captare queste “frequenze” immer-gendosi nel silenzio e nella contemplazio-ne del Cristo in Croce. Straordinario ap-pare l’aspetto mistico della sua esistenzaterrena, accompagnato e caratterizzatoda lunghi colloqui con Cristo Signore.

Nella “Legenda della vita” che P. Beve-gnati scrisse, si trova un particolare che facomprendere tutta la partecipazione dellaSanta ai Misteri di Cristo: “Margheritaogni giorno faceva la meditazione dellaPassione ed in modo speciale ogni ve-nerdì. Un venerdì santo, nell’impeto dolo-roso per il Martire del Golgota, uscì dallasua cella e, come madre che ha smarrito ilfiglio, attraversò piangendo la strada finquando giunse alla Chiesa di S. France-sco”. È Gesù stesso a paragonarla a sanFrancesco e a santa Chiara, a definirla la“Terza Stella dell’Ordine”: “Sii bianca perinnocenza, rossa per amore, perché tu seila terza stella concessa all’Ordine del miodiletto Francesco: questi è infatti la prima

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nell’Ordine dei Frati Minori; santaChiara è la seconda nell’Ordine

delle Monache; e tu la terza nell’Ordinedei Penitenti”. “Verrà un giorno in cui michiamerete santa e verrete a visitarmi conbordoni e scarsella a tracolla, al modo dipellegrini”, disse di sé Margherita. Santalo divenne quasi subito, almeno per i suoiconterranei. Ella concluse la vita terrena il22 febbraio 1297, all’età di 50 anni.

La Chiesa invece attenderà ancoraquattro secoli e mezzo per la proclama-zione della sua santità, che avverrà nel1728 ad opera di Benedetto XIII.

Margherita è un personaggio attualis-simo; anche nella nostra società nonmancano donne dalla vita travagliata:donne sfruttate, emarginate, donne co-strette a subire, donne violentate, donnepuntate a dito, donne sole e abbandona-te. La condizione femminile in molti paesidel mondo è una questione difficile datrattare; molte volte l’ignoranza discrimi-na, giudica, ferisce.

Se pensiamo a Gesù possiamo coglie-re in lui tratti che in nessun altro uomodel suo tempo troviamo. Quante volte haavvicinato le donne! Quante volte la suamisericordia ha perdonato, risollevato, ri-sanato. Non fu una donna la prima a ve-derlo vivo, a dare l’annuncio della risurre-zione? Tutt’ora il cristianesimo in ogni

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Bibliografia: Cf www.paginecattoliche.it/SantaMargherita_Cortona.htmCf. F. Mauriac, Biografia di Santa Margherita da Cortona.

parte non fa preferenza di persona (o al-meno così dovrebbe essere), secondo lalogica del Vangelo. Santa Margherita havissuto nel suo essere più intimo il mes-saggio di Gesù, l’ha vissuto come Samari-tana, Cananea, ai suoi piedi con il profu-mo versato; l’ha celebrato ai piedi dellaCroce e nel giardino della risurrezione. Laforza dello Spirito l’ha trasformata, anzisulla sua femminilità e passionalità hacreato una creatura nuova perché è vero:“Se uno è in Cristo è una creatura nuova,le cose di prima sono passate, ne sononate di nuove”.

Il 23 maggio del 1993 Giovanni Pao-lo II si recò a Cortona, nel santuario, edella santa ebbe a dire: “Giovane di rarabellezza, divenne donna di incomparabi-le fascino interiore, grazie ai mistici donisoprannaturali di cui Cristo la rivestì.Scoprì che la sua missione era quella diriparare personalmente alla mancanzad’amore degli esseri umani verso Dio. Lofece con la preghiera e con l’azione:passando lunghe ore in contemplazionedel Crocefisso e correndo accanto agliammalati. Fu soprattutto attiva e testi-mone di carità, fondando un ospedaletuttora esistente.

Margherita invita alla conversione,sprona alla fedeltà, incoraggia a seguire ilVangelo. Rivolgiamoci a lei con fiducia”.

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