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SISMAGAZINE Dicembre 2015

Sismagazine dicembre 2015

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SISMAGAZINE

Dicembre 2015

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INDICe

pg. 5.................................. AOSP

pg. 9.................................. DURA LEX, SED LEX (II)

pg. 12................................. FROZEN

pg. 14................................ DE OCCULTA INIQUITAS

pg. 18................................ COP21

pg. 22................................ LETTERA A MAHAL

pg. 24............................... CAFFE' LETTERARIO

pg. 27............................... KRAFTWERK 3D

pg. 29.............................. NATALE, DOLCE NATALE

pg. 31............................... OROSCOPO

pg. 33............................... SUDOKU

pg. 34............................... COS'È IL SISM

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Eh sì, a novembre abbiamo saltato un giro. Gli impegni hanno vinto la buona volontà della redazione e ci hanno forzato ad un mese sabbatico. Spero che abbiate avuto troppi pensieri (positivi) per la testa per accorgervene!Ma ora, con il trittico luminarie-nebbia-freddo umido a fornirci una bastevole atmosfera natalizia, vogliamo approfittarne per farvi una sorpresa (anticipando di una settimana il simpatico grassone con la barba bianca e la sindrome metabolica):

IL SISMAGAZINE HA UN NUOVO FORMATO!

Sì, beh, immagino che lo abbiate notato. L'idea era spuntata fuori già l'anno scorso, ma non era mai stata abbracciata fino in fondo. Personalmente, può darsi che il totale cambiamento nell'impaginazione che ciò avrebbe comportato mi abbia indotto al conservatorismo editoriale. All'ultima riunione redazionale però la proposta si è fatta strada di nuovo e...che dire: sembrava proprio il momento giusto.Dunque ecco l'abito natalizio del giornalino: più pratico, più tascabile, più...imboscabile. Se sarà di vostro gradimento, potrà diventare il modello su cui impostare le prossime uscite. Altrimenti questo numero sarà ricordato semplicemente come un unicum in edizione speciale pre-natalizia!

Altre parole le spendo volentieri per la copertina. Dopo l'interruzione del rapporto con il nostro precedente ed applaudito copertinista per sua felice laurea e direzionamento a ben più alti lidi, torniamo ad avere sulla prima pagina del SISMagazine l'opera di uno studente di Medicina dell'Alma Mater. Dove prima avevamo disegni, ora abbiamo una foto. Da dove nasce? Cosa rappresenta? La risposta ve la fornirà il fotografo stesso nelle pagine successive.Buona lettura!

Roberto Perissinotto

Lettera Della Redazione

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AOSPMesi fa (mi pare fosse giugno) uscendo dal chiostro del Malpighi mi sono voltato e ho guardato in alto. Sono rimasto impressionato da un’immagine: il riflesso di una strana struttura metallica, di incomprensibile funzione, nitida su una vetrata, stagliato su un cielo terso. Avevo con me la macchina fotografica, ho scattato d’istinto. Guardandola poi a casa, con calma, su un monitor più grande, cresceva ancora di più la fascinazione per questa inusuale figura, per la sua ambiguità non necessariamente immediata: l’apparente leggerezza dei riflessi chiari contro la grevità post-industriale del metallo; il groviglio vertiginoso dei tubi e sbarre contro la geometria anale (direbbe un freudiano / anglofono) della cornice (che palesa la regola dei terzi) e della composizione; l’impressione di guardare da dentro a fuori, tradita in seconda battuta dalla distorsione che il vetro arreca (e che dialoga per contrasto con la simmetria), svelando il trucco e, se possibile, strappando un sorriso.Tempo dopo (ad ottobre) ho visitato Foto/Industria, seconda biennale promossa e organizzatdalla Fondazione MAST: quattordici mostre dedicate alla fotografia industriale, al lavoro e all’impresa, ospitate in vari palazzi del centro storico di Bologna. In particolare, mi ha colpito l’opera di un chirurgo sud-coreano, Jason Sangik Noh, “Biografia del cancro”.Dice l’autore: «Nel 2008 circa otto milioni di persone sono morte di cancro in tutto il mondo. Partendo dalla riflessione su questi numeri mi sono dedicato al lavoro Biografia del Cancro, che tratta di una delle più complesse malattie con cui l’uomo si sia mai trovato a dover convivere. Parla dell’incontro con il cancro, di cure e trattamenti drammatici, successi euforici, tragici fallimenti, di morti e della battaglia incessante combattuta da medici, ricercatori, pazienti e da chi sta loro accanto. È anche una meditazione sulla malattia, sull’etica della scienza medica e sulle vite complesse e tra loro intrecciate delle persone coinvolte». Mi ha colpito non solo la qualità estetica e comunicativa delle immagini in sé, ma piuttosto come attraverso la fotografia si potesse raccontare e approfondire in maniera non documentaristica e didascalica un tema, per quanto attuale, distante dal panorama dell’arte (soprattutto figurativa), e come si potesse far dialogare un mondo asettico (in tutti i sensi) come la medicina con quello più espressivo e vivace della cultura umanistica.

Essendo io un giovane medico (cit. Bulgakov), la mostra mi ha rigettato in pieno nella dicotomia dovere/passione. In particolare, ha fatto riecheggiare in me un articolo su Sebastiao Salgado (celeberrimo fotografo ed economista brasiliano – per approfondimenti consiglio la sua TedTalk “Il dramma silenzioso della fotografia” e il film “Il sale della terra” di Wim Wenders), che partendo da una sua citazione arrivava a dire che un modo proficuo ed intelligente di coltivare un hobby è non viverlo come una via di fuga dal proprio lavoro o dalla propria quotidianità, ma far sì che questi due aspetti si arricchiscano reciprocamente. Il fotografo sul suo percorso: «L’economia mi ha insegnato a guardare, contestualizzare, comprendere e sintetizzare. Se non avessi avuto la formazione da economista, non so se mi sarei interessato allo stesso modo agli uomini e al mondo del lavoro. Insomma, anche se non appare

diVincenzo Capriotti

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{Mr.Tak’s 2nd Operation, 100x150cm, C-Print, 2008, 5 editions}

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sempre direttamente, gli studi di economia continuano ad agire dentro di me e a orientare il mio lavoro fotografico.»

Nello stesso periodo ho scoperto “Le parole necessarie”, un progetto nato in collaborazione tra il policlinico Sant’Orsola - Malpighi e il Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna, «per provare a dire quello che si fa fatica a dire, per provare a dare voce al vissuto che la malattia porta con sé, sia in chi si ammala che in chi sta a fianco di chi si ammala; che ci stia a fianco come medico, come familiare, come volontario, a prescindere» (Stefano Vezzani, responsabile della comunicazione del Sant’Orsola, nell’intervista pubblicata sul SISMagazine di ottobre). Da questi incontri casuali è maturata in me l’idea che non solo spirito artistico e discorso medico possono interagire, ma possono anche influenzarsi positivamente l’un l’altro: se uno sguardo scientifico può dare risvolti inusuali ad un’opera (penso a Primo Levi, chimico, o Carlo Emilio Gadda, ingegnere; ma anche Bulgakov, Conan Doyle, o lo stesso Salgado), l’arte può contribuire alla medicina in vari modi (dall’emergere di nuove forme terapeutiche al modo di vivere la professione, allo sviluppo di un pensiero laterale che, soprattutto in ricerca, non fa mai male). Mi sono chiesto: in che modo posso far dialogare la fotografia (in particolare quella industriale, che mi appassiona) e la medicina? Cos’hanno in comune medicina e industria, che possa risultare interessante come soggetto fotografico?

Di questa domanda, AOSP è la risposta. A.OSP., come Azienda OSPedaliera. Il tema del progetto fotografico è infatti la struttura dell’ospedale, come azienda che produce salute.Inizialmente voleva essere l’ennesimo episodio del discorso trito e ritrito sulla minaccia dell’efficientismo fordista: l’attività medica svuotata di umanità, i dottori come ingranaggi di una fabbrica, i ritmi di lavoro insostenibili, l’estetica fredda. Ma una frase dell’intervista di cui sopra mi ha fatto riconsiderare il modus operandi, e soprattutto il messaggio: «A me quello che dispiace e colpisce di più non è tanto l’ingiustizia dei tempi, perché sono bui, e anche superficiali, ma è che chi intuisce che potrebbe essere diverso e vorrebbe fosse diverso spreca un sacco di tempo a lamentarsi dei tempi e non a cambiarli, e invece credo che ognuno di noi, nel suo piccolo, possa agire.» La sfida stava quindi nel cercare quanto di buono, positivo e da rivalutare ci fosse nell’aziendalizzazione di un ospedale. E, a guardare senza pregiudizi, c’è molto.

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{Finger prints, saliva and something, C-print, 2008, 5 editions}

{This is the glass window of animal experiment demonstration chamber. Doctors,researchers, scientists and visitors approached window and left their finger prints, saliva, and greasy

something.}

Anzitutto, il principio che sta alla base dell’industrializzazione: quello di garantire un’organizzazione tale da massimizzare l’efficienza, ridurre costi e sprechi, massimizzare i profitti. In altri termini, offrire un servizio di qualità migliore, in termini di esperienza e guadagno, per chi lo riceve e chi lo eroga. Certe parole potrebbero far sussultare qualcuno, rievocando spauracchi turbocapitalistici – almeno di primo acchito è l’effetto che fanno a chi come me ha avuto una formazione socialdemocratica. Ma quel che si vuole cercare di portare agli occhi è la ricerca di strategie funzionali, lo sforzo di chi ha dovuto concepire e organizzare spazi ed edifici che ospitassero fluidamente processi routinari, una struttura che non facesse neanche avvertire la struttura. Partendo da questo presupposto, l’aspetto economico può essere visto non come finalità arrivistica ma come mezzo di verifica, libero di stingersi di connotati apocalittici e diventare una cartina tornasole della qualità dell’operato. Dice Emil Otto Hoppé, uno dei padri della fotografia industriale: «Se nell’industria può esserci idealismo può esserci anche poesia […] può esserci bellezza e fascino persino in una fabbrica, il fascino del potere della mente umana sulla materia, il fascino di prodezze scientifiche e ingegneristiche, il fascino di un’organizzazione imponente e agile» (da Country Life, 6/4/1929).

Questo lavoro fotografico vuole (o, quantomeno, può) essere una scoperta di, e un omaggio a, quei demiurgi (etimologicamente “lavoratori pubblici”, gnosticamente “ordinatori del mondo”), che hanno inventato, inventano e continueranno a inventare soluzioni fisiche e organizzative perché l’ospedale possa servire al meglio, in un’idea di lavoro come espressione del genio umano.Perché ciò avvenga, è necessario scomporre il corpo dell’azienda – il corpo fisico, riquadrare gli elementi fondanti dell’organismo, privarli del loro ruolo per poi ricontestualizzarli risarciti

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della loro identità individuale: bisogna, in qualche modo, fare come l’anatomista che apre il cadavere per studiare il singolo organo, capire la sua fisiologia, quindi riconsiderarlo all’interno di un apparato e infine dell’intera persona. Bisogna guardare, per vederli, gli ingranaggi che non conosciamo e quelli che lo sguardo distratto della quotidianità ci ha fatto scordare, per carpire la bellezza non immediata dell’azienda.

Il mezzo più consono a incarnare questo processo mi è parso quello fotografico, perché consente di inquadrare, isolare, dare nuova dignità a questi elementi, e per l’insito rapporto tra l’istantaneità dello sguardo e l’eternità dell’immagine. “Istantaneità”, nella sua polisemia: il guardare è un’esperienza che si esplicita in frazioni di secondo, arriva velocissima, ma anche fugge con la stessa facilità (battendo le ciglia, voltando la testa, girando una pagina). Istantanei siamo poi noi, con la nostra transitorietà, temporale e spaziale, tutta umana: noi, utenti che camminiamo per i vialetti in cerca del padiglione e per i corridoi durante il ricovero o la visita al malato; noi, studenti che per 6 anni riempiamo aule e reparti, biblioteche nelle sessioni d’esame, prati nei pranzi primaverili; noi, medici che percorriamo le stesse strade verso lo studio, entriamo nelle stesse stanze nel giro-visite mattutino, sappiamo le vie che deve prendere una richiesta interna e le scorciatoie quando ci chiamano in consulenza.Poi l’eternità dell’immagine (“eterna” in quanto assoluta rispetto al tempo) riflette la solidità, la durevolezza della struttura, che può mutare, migliorarsi, ampliarsi, ma che sempre ci sarà, perché la struttura è necessaria per il processo di cura – se non fondamentale: basti pensare, ad esempio, che una miglioria infrastrutturale come un adeguato sistema fognario ha avuto un impatto sulla prevenzione antinfettiva molto maggiore rispetto alla comparsa dei vaccini. Ma “struttura” non è solo, banalmente, un edificio, un magazzino, o un’organizzazione interna; una struttura, perché possa essere efficace e (potenzialmente) eterna, deve avere un’identità, identità alla quale tutti noi (utenti, studenti, pazienti) possiamo fare riferimento. È' infatti necessario un carico simbolico perché un’organizzazione (quale un ospedale è) funzioni.

È quello che Lacan chiama “grande Altro”, che può essere definito come “quell’agire impersonale, culturalmente costruito, il cui sguardo cerchiamo da un lato di impressionare con il nostro comportamento e dall’altro di assumere come parametro in base al quale misurarci; detto altrimenti: la regola non scritta che governa la società, il costante riferimento a un Altro virtuale ma sempre presente e pronto a sincerarsi che lo svolgersi delle nostre azioni sia conforme alle sue aspettative” (Mauro Carbone, Introduzione a Leggere Lacan, di Slavoj Žižek). Se Dio è morto e gli immaginari nazionalisti crollati con i totalitarismi novecenteschi, il grande Altro oggi è, secondo Žižek, la burocrazia; allo stesso modo può esserlo l’azienda ospedaliera: un (baglionesco) piccolo grande Altro, di cui non temere un controllo paranoicorwelliano, ma a cui ascrivere gli ideali più profondi che devono animare la pratica medica, che resista nel tempo, solido, cristallino, alla transitorietà di chi vi pratica o di chi vi si cura, alle ambizioni e gli interessi speculativi, agli errori e le venialità.

AOSP è un lavoro che, con tutta l’umiltà amatoriale, vuole inserirsi nella corrente di riscoperta culturale di cui esperienze come “Le parole necessarie”, la Medicina Narrativa o il Centro Studi Medical Humanities sono testimoni, (ri)portando al centro della pratica medica l’umano, a volte adombrato dalla tecnica. L’immagine che vedete in copertina è così la prima della serie. Il bianco e nero, necessità di stampa, contribuisce a dare un’indeterminatezza temporale e geografica: affinché sì, è il Sant’Orsola nel 2015, ma possa essere qualsiasi altro posto in un qualsiasi altro momento, per qualsiasi altro utente, altro studente, altro medico. Possa essere Altro, Oltre le Strutture Portanti.

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DURISSIMA LEX

SED LEX (II)

Il Consiglio di Stato, in camera di consiglio del 27 agosto 2015, ha affrontato una serie di ricorsi presentati da medici specializzandi. I giudici della sesta sezione hanno confermato i provvedimenti del Tar Lazio che negavano la richiesta di annullamento del test nazionale e la iscrizione in sovrannumero. I giudici della sezione VI del Consiglio di Stato hanno dunque respinto le richieste degli specializzandi, salvo che nel caso della permanenza in graduatoria in attesa degli scorrimenti (sulla base del principio che "la comminata decadenza dalla scuola indicata come prima opzione derivante dalla priorità della iscrizione in altra scuola non risultata da ragionevole

giustificazione”, Cons. St., VI, ordinanza cautelare 8 luglio 2015, n. 3015). I Giudici del Consiglio di Stato, nelle cause discusse il 27 agosto, hanno negato la sospensiva affermando: "...il Collegio ritiene di aderire al prevalente e più recente indirizzo seguito dalla Sezione in sede cautelare su analoghe controversie secondo cui le esigenze dei ricorrenti possono essere adeguatamente soddisfatte attraverso una sollecita definizione del merito davanti al TAR ai sensi dell’art. 55, comma 10, cod. proc. amm. (cfr. Cons. St., Sez. VI, 24 giugno 2015, n. 2767, 17 giugno 2015, n. 2677, 22 aprile 2015, n. 1712), senza che nelle mora possa disporsi l’ammissione con riserva (non essendovi correlazione con tale esito e la richiesta principale posta con il ricorso relativa alla caducazione integrale della procedura)" (tra le molte, Cons. St., VI,

ordinanza cautelare 31 agosto 2015, n. 3949). Si tratta ovviamente di misure cautelari, come tali non definitive perché destinate ad essere "superate" da una sentenza del Tar Lazio, ma non ci aspettiamo grandi sorprese. Perché l'orientamento del Tar Lazio sembra ormai consolidato (rigetto delle iscrizioni in sovrannumero) e perché - se veramente il Consiglio di Stato avesse ritenuto fondata la tesi degli appellanti - non si sarebbe limitato al rinvio ex art. 55, comma 10, del

c.p.a., ma avrebbe dichiarato l'ammissione in sovrannumero.

Il 2014 si è chiuso con migliaia di iscrizioni in sovrannumero nei corsi di laurea di Medicina e Odontoiatria (oltre 5.000 studenti ammessi dai Tar e dal Consiglio di Stato), dovute in buona parte alla manomissione di un plico destinato all’Università di Bari, nonché ad altre irregolarità di cui hanno beneficiato anche tanti studenti,

diIacopo Romandini

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DURISSIMA LEX

SED LEX (II)

oggi ammessi a frequentare i due corsi di laurea. Perché questo non è avvenuto anche per il concorso delle scuole di specializzazione? Il fatto che vi siano state alcune irregolarità non significa automaticamente che il ricorrente abbia diritto a chiedere l’iscrizione in sovrannumero, come avvenuto a Medicina nei mesi passati. Per spiegare questa differenza è necessaria una riflessione sulla prova di resistenza. Il Consiglio di Stato, in materia di ammissione ai corsi di laurea a “numero chiuso”, nel 2012 ha ammesso una studentessa con questa motivazione: “in base alla prospettazione difensiva della ricorrente si desume che per effetto dello scorrimento della graduatoria sono stati ammessi al corso soggetti (...) che hanno ottenuto un solo punto in più rispetto alla odierna appellante (che ha ottenuto punti 40,75), ai fini della cosiddetta prova della resistenza è sufficiente dimostrare la illegittima formulazione di un solo quiz (la cui risposta esatta dava diritto ad un punto). Non par dubbio, infatti, che la sua corretta formulazione avrebbe potuto suggellare fin da subito un esito della prova favorevole per l’appellante, che così avrebbe potuto conseguire pleno iure l’ammissione al corso di laurea” (Consiglio di Stato, VI, sentenza 26 ottobre 2012, n. 5485, punto n. 3). Ebbene, superare la prova di resistenza significa dimostrare ai Giudici che i motivi di ricorso sono tali da fare ottenere il “bene della vita” a cui si aspira (superamento del concorso, aggiudicazione della gara d’appalto, ottenimento della concessione edilizia…). Il ricorrente al Tar deve superare questa prova. Questo avviene di norma per candidati rimasti fuori per pochissimi punti che riescono a dimostrare che alcune loro risposte – considerate errate dai compilatori del test – in realtà erano esatte e che l’attribuzione del punteggio in più li avrebbe collocati in graduatoria.

Gli eventi perturbativi verificatisi durante i test per l’ammissione alle specializzazioni a mio avviso sono stati gravi ma non sono tali da comportare di per sé l’iscrizione in sovrannumero, a meno che non si dimostri che senza di essi il ricorrente sarebbe stato probabilmente ammesso, dimostrazione forse possibile per i candidati classificati vicinissimi all’ultimo degli ammessi, ma assai difficile per tutti gli altri. Il fatto che alcuni candidati erano nelle condizioni di usare il cellulare o che alcuni Pc teoricamente potevano essere utilizzati per navigare a internet, non è abbastanza per l’accoglimento di un ricorso al Tar in cui si è chiesta l'iscrizione in sovrannumero. La mera esistenza di vizi inoltre non comporta di per sé il diritto a chiedere la ripetizione

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DURISSIMA LEX

SED LEX (II)

dell’intero concorso, dando luogo più facilmente al diritto al risarcimento del danno da “perdita di chance”, che in alcuni casi potrebbe essere modesto, perché il concorso per l’ammissione alla scuole di specializzazione è annuale, per cui il candidato ingiustamente bocciato nel 2014 ha teoricamente la possibilità di “rifarsi” nel 2015. Eppure quest’anno molti medici con punteggi di 10-15-20 punti sotto l’ultimo degli ammessi hanno presentato ricorsi individuali o collettivi, pagando a volte cifre notevoli. Qualcuno potrebbe obiettare che il Tar Lazio nel 2014 ha ammesso migliaia di studenti a Medicina per violazioni di regole procedurali, con punteggi a volte molto bassi, ma le due situazioni sono diverse. La situazione dei corsi di laurea a “numero chiuso” non è paragonabile a quella delle specializzazioni, perché lo studente di Medicina non viene pagato dallo Stato per studiare, mentre lo specializzando sì (almeno 25.000,00 lordi l’anno). Ecco perché il Giudice amministrativo, che in passato è stato molto “largo” nel concedere le iscrizioni in sovrannumero ai corsi di laurea a “numero chiuso”, non ha accolto le richieste dei medici.

Insomma, nel bilanciamento dei contrapposti interessi e nel “dubbio” che la procedura per l'ammissione al primo anno di Medicina si fosse svolta in maniera irregolare, il Giudice ha preferito disporre le iscrizioni in sovrannumero degli studenti, misura che è avvenuta “a costo zero” per lo Stato. Inoltre è anche vero che spesso i ricorrenti hanno sostenuto con interessanti argomentazioni che l’Università aveva le risorse per accogliere un maggior numero di studenti al primo anno. Le iscrizioni in sovrannumero per le specializzazioni, a differenza che per quelle di medicina, sono state invece molto problematiche perché non avvengono a “costo zero”. Esse interferirebbero con il potere della Pubblica Amministrazione di decidere come spendere le risorse dei cittadini, costringendo a destinare nuove risorse per la formazione di specializzandi. Ma il SSN è in grado di formare adeguatamente questi specializzandi? E' in grado, dopo la specializzazione, di assorbirli? Che interesse ha lo Stato a formare specialisti in sovrannumero costretti a fuggire all’estero dopo la specializzazione per trovare lavoro? Eppure, se tutti i 12.000 aspiranti specializzandi fossero stati ammessi alle scuole (come utopisticamente chiesto dal comitato “12.000Borse”), si sarebbe esattamente verificata questa situazione.

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FROZEN

Gentilissimo Ufficio Corsi di Studio,

Scrivo dalla leggendaria aula Giacinto Viola, in cui, sotto gli occhi dei gloriosi padri della scienza medica i cui busti ci guardano certamente vegliando attenti sulla nostra formazione, così fondamentale per il mondo e per la nostra Nazione, e sotto gli occhi sofferenti, quindi decisamente più appropriati, del Cristo che vi ostinate ad appendere in croce anche nelle pubbliche latrine, sto assistendo alla lezione del Corso Integrato di Malattie dell'Apparato Locomotore, confortato dal gentile abbraccio della polvere e dei calcinacci che sono dispersi nell'aere e dalle familiari voci di due operai, che siano benedetti, che stanno, a quanto sembra, sostituendo termosifoni in tempo reale, con una maestria, una rapidità e, a tratti, un frastuono che possono essere osservati solo nel corso delle competizioni delle migliori categorie di corse automobilistiche.

In questa sfortunata quanto formativa e corroborante situazione, si fa strada nella mente il sospetto che voi, tutto sommato, vi stiate divertendo. Non me lo so spiegare nella gabbia confortante ma talora stretta della razionalità, ma la mia fantasia, sia lode all'Altissimo, si libra libera sopra a queste tetre e pesanti nubi di realtà e vi vedo, nel vostro ufficio, che preparate mail che ci comunicano che le lezioni saranno in un'aula a caso della Nostra Signora Alma Mater Studiorum, poi vi immagino raccogliere il denaro delle scommesse:

diPietro Quadalti

N.D.R. - Il seguente scritto è il testo di una mail inviata da uno studente del IV anno canale B. L'antefatto che l'ha ispirata si palesa nel mancato funzionamento dell'impianto di riscaldamento in Aula Viola, nella quale probabilmente ognuno di voi ha, avrà o ha avuto lezione. In palese contrasto con i termosifoni iperfunzionanti dell'aula magna di Anatomia (che anche ad aprile vomitavano calore senza soluzione di continuità), in questo caso gli studenti hanno potuto sperimentare giornalmente la termogenesi da brivido grazie ai caloriferi perennemente spenti nonostante la piena stagione autunnale. Dopo multiple segnalazioni sono iniziati i lavori di riparazione e gli studenti sono stati dirottati in altre aule, con modalità discutibili: mail che segnalavano l'aula sostitutiva in cui recarsi prontamente smentite da altre mail successive, le quali non disdegnavano neppure di essere consegnate poche ore prima delle lezioni in oggetto. Quando finalmente è stato designato il ritorno nella famigerata Aula Viola, lo scenario era

quello mirabilmente descritto qui sotto.

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dove andranno gli studenti oggi? In quale aula si presenterà il professore? Venghino signori, venghino, l'aula Murri paga 2 volte la posta! Venghino! Quante martellate risuoneranno prima della fine della lezione? Funzionerà il riscaldamento? Quale animale selvatico avrà costruito la sua tana all'interno del proiettore? Venghino signori, la nutria paga 4 volte la posta! Si accenderà il martello pneumatico? Sarà aperta la porta dell'aula all'orario in cui dovrebbe svolgersi la lezione? Quante mail arriveranno nei prossimi venticinque minuti? E vi vedo, alla finestra, guardare spostarci da un'aula all'altra, chi di corsa, chi, ormai spente le speranze e i sogni della gioventù, di passo lento, guardando i sampietrini della strada davanti a sé. Chi di loro arriverà per primo? Venghino signori, la ragazza con il cappotto rosso paga due volte e mezza la quota!

In preda all'inizio di insufficienza respiratoria da silice, vi auguro una buona serata.

In sincera stima e ammirazione, Pietro Quadalti

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De Occulta Iniquitate

diEl FrancoTirador

Ovvero, sulla violenza passata per diritto e altre oppugnabili farneticazioni

Inizierò col dire che ho sempre odiato le Giornate mondiali contro qualcosa o a favore di qualcos’altro. Mi hanno sempre lasciato quell’amaro in bocca, un misto di ipocrisia e cocktail fatti male o qualsiasi altra bevanda si usi servire in tali occasioni per attirare un pubblico che altrimenti avrebbe partecipato lo stesso, ma con meno gioia. E, sorseggiando la bevanda del caso, ogni volta mi accorgo di come agli incontri per le varie giornate mondiali ci sia una metà abbondante di partecipanti in veste di organizzatori e strenui combattenti per la causa di turno e l’altra metà del bicchiere, quella mezza vuota, di amici trascinati con maggiore o minore difficoltà a presenziare all’evento in qualità di annoiati bevitori e virtuosi esponenti della sempre attuale corrente musicale: il brusio di sottofondo. Ma al di là di questa prima farneticazione, facilmente impugnabile da un avvocato neolaureato o da chi abbia letto almeno un racconto su Sherlock Holmes, mi concentrerò su un tema senza farfugliare su altro: la violenza sulla donna. Come tutti ben sappiamo, e per tutti intendo il 5% scarso della popolazione italiana, il 25 Novembre scorso c’è stata la Giornata Mondiale contro la violenza sulle Donne.

Vi chiederete dov’è il problema, è una causa nobile, tratta di temi forti ed attuali che, nella maggior parte dei casi, sono misconosciuti o quantomeno poco compresi dal grande pubblico. Il problema si trova in tutti i giorni precedenti il 24 novembre e successivi al 26, estremi inclusi. È questo l’ingrediente

principale dell’ipocrisia, ed è questa la forma di violenza più squallida. I restanti giorni dell’anno non si parla di violenza sulla donna, i restanti giorni dell’anno ci sono le giornate mondiali su qualcos’altro, in alcuni casi ci sono anche due giornate mondiali al giorno, per buona pace di Hermione Granger e dei suoi amichetti. In

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questa maniera un tema importante viene trattato al pari di un argomento di nicchia, come la giornata mondiale della poesia o la giornata mondiale della televisione (sì, esiste anche questa, e non si parla dei danni che fa). Un problema così importante viene liquidato con una giornata eppure, non so se ve ne siete accorti, la metà della popolazione umana è costituita da donne. Pensate che l’UNESCO dedica allo spazio una settimana mondiale, lotteria inclusa, e i vincitori portano a casa un biglietto sola andata per Marte, un sasso dalla Luna e il telescopio di Paperon de’ Paperoni in uscita con l’ultimo numero di Topolino.

Questa è una delle tante violenze nascoste che continuano a perpetuarsi sulle donne. Sarebbe meglio parlarne a scuola oltre che alle giornate mondiali, magari al posto dell’ora di religione, di tutte le religioni, dato che non credo siano di buon esempio. Bisognerebbe sensibilizzare le masse in età scolare a cosa è la violenza, non serve a nulla fare incontri frequentati da gente che raramente è incline a fare violenza. Ora che i religiosi non vedono l’ora di abbracciarmi, passo alle femministe o meglio alla loro ideologia, peraltro giustissima, la cui strumentalizzazione però è alla base della violenza più subdola, quella del pensiero comune.

L’Homo Sapiens e l’Homo Erectus (ancora presente sotto mentite spoglie), per loro indole primitiva, tendono sempre a soddisfare le proprie esigenze sfruttando il mezzo più comodo, altrimenti verrebbero chiamati mulo da soma o bestia da traino. Cosa c’è di meglio di un movimento femminista da strumentalizzare per ottenere facili consensi continuando a bistrattare la donna? I grandi geni del crimine (incluse alcune donne) partoriscono pertanto la più grande trovata maschilista della storia: le quote rosa (insieme ad altre mille cose).

Purtroppo i suddetti sono grandi oratori e fanno passare questa genialata come un diritto imprescindibile e doveroso nei confronti dell’altra metà della nostra popolazione. Il grosso problema è che questi geni del crimine non si possono sconfiggere con il Bat-Segnale, sebbene sia un dovere civico averne uno sul tetto di casa. Vi prego però, prima di strappare il giornalino in seguito a questa dichiarazione e utilizzarlo come coriandoli al prossimo carnevale di Venezia, di leggere le mie argomentazioni, sebbene io non sia un campione della chiarezza. Le quote rosa sembrano a primo acchito una grande conquista, ma il contesto è uno dei più sbagliati.

Viviamo in un mondo in cui la donna è pagata mediamente meno dell’uomo, in cui donne validissime non possono lavorare se hanno intenzione di rimanere incinte, in cui sono costrette a subire discriminazioni di fronte a curriculum impeccabili. Ebbene, in un mondo come questo, le quote rosa sono solo il contentino che si fornisce all’oppresso, il miele sul bordo del bicchiere contenente l’amaro assenzio. Le donne in politica e nei ruoli di pubblica amministrazione dovrebbero essere presenti senza una legge che lo obblighi (fortunatamente ancora non c’è, anche se è uso comune dei partiti il “tutelare le quote rosa”); a mio modo di vedere questo

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comportamento non è altro che una discriminazione, un trattare la donna come una minoranza a cui dare le stesse tutele che si danno alle minoranze, cioè privilegi irrisori a fronte di ingiustizie sociali. Fino a quando il pensiero collettivo, purtroppo non solo maschile, vedrà le donne come una minoranza e non come una collettività di capacità pari all’uomo, continuerà a perdurare questa violenza tacita, occulta, subdola: la violenza del pregiudizio. Perché questa violenza velata si può ritrovare ovunque, basta accendere una televisione.

La donna viene usata come oggetto, tanto che con una certa costanza i programmi televisivi si fregiano delle veline, ultimo ritrovato in materia di oggetti viventi dopo gli ebrei ad Auschwitz. Queste importantissime figure professionali vengono selezionate non di certo per spiccate doti intellettuali, quanto per altre spiccate qualità o prominenze. L’essere umano medio associa pertanto una bella ragazza alla stupidità o alla facilità di costumi, contribuendo alla proliferazione di vacui e maliziosi luoghi comuni sulle donne intelligenti, belle e di sani principi che hanno fatto carriera. Anche questa è violenza. Una bella donna, magari giovane, magari ministro della Repubblica, viene pertanto bollata come una sgualdrina e associata a pratiche di mercimonio, della propria onestà intellettuale per i signori benpensanti o del proprio corpo per i più audaci maliziosi.

E qui ritorna l’importanza dell’educazione durante l’età scolare. Se un tempo si cresceva a “pane, amore e fantasia” o per i più fortunati, a “pane, vino e San Daniele”, oggi si cresce a “pangoccioli, smartphone e televisione”. Un bambino o una bambina tartassata da immagini ed esempi di certo non ortodossi formerà una sconcertante malizia nei confronti del prossimo, una continua ricerca dell’ideale propinato dai mezzi di comunicazione e porrà in essere azioni, spesso anche illecite, per raggiungere gli oggetti materiali e immateriali che vengono percepiti come status symbol. Tutto ciò porta ad una denaturalizzazione della propria singolarità per appartenere ad una massa, e spinge il bambino a non rispettare la bambina e la bambina a non rispettare se stessa. La prostituzione giovanile è un fenomeno in costante ascesa. E anche questa, signori miei, è violenza, anche se non ha sembianze di schiaffo, pugno o insulto.

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È la violenza di un intero sistema bacato che spinge sempre di più la donna a vendere il proprio corpo perché delle proprie capacità non importa a nessuno. Ci sono ragazze di 14 anni che si vendono per una borsa firmata o per un telefono all’ultimo grido e non ci sono ore di educazione civica, psicologica e sociale nelle scuole. Sarò discordante dal pensiero comune, ma io credo che la donna non abbia più diritti rispetto a cento anni fa, anzi, viene ancor più mercificata. Se non altro cento anni fa vivevamo in una società matriarcale in famiglia e patriarcale fuori casa. Oggi viviamo in una società patriarcale, o meglio maschilista, sia fuori che dentro casa, con una donna avvilita in tutte le sue azioni.

Non serve fare i buoni per un giorno o regalare contentini perlopiù mediatici o propagandistici, quando le donne sono oggetto di mille violenze nascoste. Non serve continuare a trattare la donna come un essere indifeso e inferiore. Serve che si inizi ad apprezzare le qualità delle donne, dar loro i riconoscimenti che meritano e il diritto di raggiungerli! Non servono parole scritte sui giornali o incontri per una platea di cento o mille persone, sono solo cose che lasciano il tempo che trovano disperse fra i mille impegni giornalieri e i mille articoli vuoti letti di corsa.

Serve un cambio di mentalità. I neri, negli stati uniti, hanno gli stessi diritti dei bianchi perché un giorno una persona ha iniziato a sognare e a cambiare la mentalità dei bianchi. Perciò, Donne e Uomini, iniziamo a sognare! O per onorare un altro grande pensatore moderno, Imagine!

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COP 21tempo di cambiare

Il problema dei mutamenti globali del clima esiste da anni… ma quanti minuti del vostro tempo avete impiegato per saperne qualcosa di più? Corriamo oggi il pericolo di vedere le temperature aumentare di svariati gradi, il livello dei mari alzarsi di un metro e il risvoltino ai pantaloni di altri 5 centimetri. Occorre fare qualcosa, ora.Mettetevi comodi, e leggetevi con calma questo articolo.

Con “cambiamento climatico” s’intende non soltanto il riscaldamento globale, ma anche il raffreddamento e la modifica dei regimi di precipitazione, nonché della distribuzione delle acque. Si sa che l’aumento di temperatura è causato principalmente dalle attività umane – in particolare la combustione di carbone, gas e petrolio – e che conseguenze quali alluvioni, inondazioni, siccità, ondate di calore opprimente si stiano intensificando in diverse parti del mondo e in maniera irregolare. Ma non disperiamo: una soluzione forse esiste… e potrebbe essere là dove tutti stanno puntando gli occhi ora: alla Cop21 di Parigi.

COP21: DI COSA SI TRATTA?

Definizione - Cop21 è l’acronimo di “Conference of the parties”, quella del 2015 è stata la ventunesima conferenza sui cambiamenti climatici e si è tenuta dal 30 novembre all’11 dicembre a Le Bourget, vicino Parigi.

Azione - La Cop è un incontro di portata mondiale: viene organizzato ogni anno, e stabilisce gli obiettivi da raggiungere nella lotta ai cambiamenti climatici. Le decisioni possono essere prese solo all’unanimità o per consenso. La Cop21 è stata in pratica una revisione della Cop del 1997, terminata con l'adozione del protocollo di Kyoto. In tale documento si stabiliva la necessità di ridurre di almeno il 5 per cento l'emissione di alcuni gas serra tra il 2008 e il 2012 – ma purtroppo non tutti i paesi firmatari hanno rispettato l'accordo. Il protocollo scadrà nel 2020, e la redazione di un nuovo

diArinna Pescaresi

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testo è stata al centro della conferenza di quest'anno.

Partecipazione – Hanno partecipato non solo le delegazioni dei 195 stati membri, ma anche rappresentanti della società civile quali aziende, organizzazioni non governative, istituzioni scientifiche, sindacati; non hanno potuto mancare ovviamente mezzi d’informazione di tutto il mondo. È ben chiaro quanto sia stato difficile coordinare e gestire un così alto numero di partecipanti, e i recenti attentati del 13 novembre hanno reso ancora più problematico il tutto.

Obiettivi - Concludere un accordo universale e vincolante, applicabile a partire dal 2020 ai 195 paesi della convenzione, è stato il principale obiettivo della Cop21. Lo scopo di tale accordo è ridurre le emissioni dei partecipanti, in modo da rallentare un ulteriore riscaldamento globale, oltre che accelerare la transizione verso un uso sempre minore di combustibili fossili. L'ideale sarebbe limitare l'aumento delle temperature a due gradi centigradi rispetto all'epoca preindustriale. Ovviamente tutto ciò presuppone l’impiego di finanziamenti, e dovrebbero essere previsti anche sostegni ai paesi più poveri per permettere un’adeguata riduzione delle loro emissioni oltre che un adattamento ai cambiamenti climatici già in corso.

Ostacoli – Il principale problema è stato l’attribuzione della responsabilità storica.

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Chi è che ha ridotto così il nostro pianeta? Chi dovrebbe avere l’obbligo di risolvere la situazione? Ovviamente i paesi emergenti si rifiutano di avere gli stessi impegni e vincoli di quelli già industrializzati; bisognerebbe limitare la produzione di sostanze inquinanti senza impedire la possibilità di sviluppo di queste nazioni. Un altro argomento delicato è stato la capacità di controllare e misurare gli sforzi effettivamente compiuti da ognuno: come tenere tutto sotto controllo nel lungo termine? C’è chi ha proposto di stipulare un accordo rivedibile a intervalli regolari e adattabile agli eventuali cambiamenti climatici ed economici del globo. Solo il tempo ci potrà dire se sarà effettivamente realizzata una collaborazione a livello mondiale o meno; di sicuro questo vertice sarà fondamentale per consentire l’inizio di una futura cooperazione.

Combattere per il clima tra le altre guerre

La maggior parte delle guerre vengono fatte per il petrolio, ed è noto che il petrolio è una delle cause del cambiamento climatico. Ma il caos climatico rende ancora più esasperate e sanguinose le guerre… che pertanto si ritrovano in necessità di maggiori quantità di petrolio. È un mostro che si morde la coda. Non solo: se il clima continuerà a variare incontrollato, provocherà una riduzione drammatica delle risorse naturali. Terre coltivabili, acqua potabile, fonti di energia e tutto quanto è necessario alla sopravvivenza umana potrebbero diventare motivo di migrazioni di massa e guerre civili per il loro controllo. Secondo uno studio pubblicato da Nature Climate Change a novembre 2015, entro la fine del secolo alcune aree nella zona araba (quali Yemen, Kuwait, Arabia Saudita, Iran e Iraq) potrebbero raggiungere temperature inaccettabili per la vita umana se non verranno limitate le escursioni termiche causate dall’inquinamento. E questa notizia non è solo pessima per la salute del pianeta, ma anche per la pace di tutto il mondo - visto che quelle aree sono già al momento “calde”. Se le energie impiegate nei raid militari degli ultimi anni fossero state utilizzate per migliorare la qualità del nostro clima, molto probabilmente staremmo tutti un po’ meglio. Peccato che sia molto più semplice avviare un massiccio bombardamento che un massivo impiego di energia pulita.

L’atmosfera a Parigi

Per motivi di sicurezza sono state cancellate nella capitale francese le due grandi manifestazioni che si sarebbero dovute tenere il 29 novembre e il 12 dicembre, volte alla protesta contro gli affari legati al clima. Tuttavia il Governo parigino non ha annullato eventi sportivi, mercati natalizi e altri simili eventi pubblici. Spunta il dubbio che gli attentati del mese scorso e l’ondata di paura che hanno generato, al di là dell'innegabile tragedia, siano stati abilmente impiegati per evitare il palesarsi del malcontento pubblico! Eppure l’ultima domenica di novembre Place de la Republique si è ritrovata “occupata” da centinaia e centinaia di paia di scarpe, sotto lo striscione "Parigi in marcia per il clima". A promuovere l’iniziativa è stata la ONG Avaaz: “Non

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potremo manifestare in carne e ossa, ma questa azione altamente simbolica sarà in grado di trasmettere il messaggio che siamo uniti per difendere tutto ciò che amiamo. È il nostro modo di dire che la paura e il terrore non potranno mai ridurre al silenzio il nostro sogno collettivo per un futuro pulito al cento per cento, unito al cento per cento”.

Cambiamenti climatici e compagnie assicurative: un alleato inaspettato

Chi risolleva dal punto di vista economico i paesi colpiti da calamità non sono solo i loro fondi o le donazioni date dalle altre nazioni. Da tempo le più grandi compagnie assicurative si occupano di stabilire polizze per danni causati da catastrofi: viene sancito un premio, ossia una certa somma da pagare, e un determinato risarcimento per un certo tipo di danno. Per fare in modo che i premi siano sufficienti a coprire i danni causati dai disastri naturali, le varie aziende raccolgono geologi, geografi, idrologi e altri scienziati con il compito di studiare gli eventi passati e creare previsioni affidabili per il futuro. Un territorio sconnesso e instabile sarà più facilmente soggetto a frane e terremoti; è più probabile un uragano negli USA piuttosto che in Svezia.

Con questi “buoni propositi”, le compagnie assicurative cercano di bilanciare le entrate generate dai premi con le perdite dovute ai risarcimenti, in modo da avere sempre un bilancio in positivo. Tuttavia se entro il 2050 non verranno drasticamente ridotte le emissioni inquinanti

ambientali, potrebbe essere più difficile stipulare polizze assicurative di questo tipo, perché i cambiamenti diventerebbero più bruschi ed imprevedibili, sia su piccola che su grande scala. In poche parole le alterazioni climatiche potrebbero essere una minaccia per i profitti di questo settore, che con l'ambiente in realtà non dovrebbe avere nulla a che fare. Al momento le compagnie assicurative stanno già reagendo al problema facendo pressione sulle politiche globali affinché vengano prese misure più rigide ed a lungo termine per ridurre le

emissioni dannose. Certo, lo stanno facendo per motivi di interesse, ma che importanza ha se la situazione del nostro pianeta può solo trarne vantaggio?

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LETTERA A MAHAL

diMartha Caziero

Mosul è distrutta e io non mi sento diverso. Oggi c’è un’aria strana, non è poi così caldo, e Hassan sta ancora dormendo su quella brandina che abbiamo rimediato al deposito di una vecchia fabbrica, a 5 km da qui. Non ricordo una fatica simile dai tempi in cui ci dilettavamo con l’atletica, immemori tempi di risa davanti a un boccale di birra, e baci rubati dietro l’angolo di casa tua: tuo padre mi avrebbe seviziato e poi ucciso brutalmente se solo avesse sospettato. Le tre del pomeriggio sono il momento in cui la temperatura arriva a 47 gradi, ed è l’unico momento in cui possiamo permetterci di spostarci più o meno tranquillamente, se tranquillamente vuol dire che c’è un rischio minore di esalare l’ultimo respiro e cadere sulla sabbia come un cinghiale cacciato per diletto.

C’è un’aria strana Mahal, l’aria di chi non ha più progetti, l’aria di chi non crede che domani andrà meglio, l’aria di chi non spera di svegliarsi da un incubo. Mamma è sempre uguale: rimane a letto tutto il giorno. A volte penso sia un’egoista. Cosa crede, che noi invece stiamo bene ad essere rinchiusi come topi in gabbia, col terrore costante che un’ispezione di quei pervertiti ci costi la potenzialità di una vita intera?! Ma poi mi pento, mi rivolgo a Dio e gli chiedo di darmi la forza, di combattere contro la fame, contro la miseria disgraziata che affligge questo “villaggio”, termine che volutamente uso per illudermi di non vivere in una baracca di fortuna, dove muffa, ratti e funghi creano un unico, miserabile ecosistema. Li invidio: non temono nulla.Oggi non ce la faccio Mahal, oggi più che mai avrei bisogno di te, di una carezza e di un caffè, di annoiarmi, di progettare una vita insieme, ma c’è un rumore assordante. Vorrei una birra davanti al Check point, vorrei prendere a calci Hassan per tutti i poker che mi ha negato per studiare, vorrei prendere a calci me stesso per non essere andato a mettere un fiore sulla sua tomba. Com’è miserevole questa condizione Mahal. Queste colline piangono: mai avrebbero pensato di accogliere degli esuli infelici come noi.

Vorrei un thè caldo, parlare di politica, incazzarmi con mia madre per la sua assurda fissazione di cenare al tramonto, ma c’è un rumore assordante. Non riesco a concentrarmi, ho appena visto Alie, la figlia della vicina “di appartamento” con un braccio ingessato alla bell’e meglio, piangere perché hanno seviziato suo padre davanti ai suoi occhi, quegli esausti. Maledetti.Non ce la faccio Mahal, questa guerra è prima di tutto una guerra con i miei stati d’animo. Oggi abbiamo vinto noi, il dottore ci rassicura da Erban, ma è facile incoraggiare da lì. È

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facile per tutti voi. Scusami, non è giusto che coinvolga anche te nelle mie critiche da disperato, nelle mie critiche da visionario, ma ho paura Mahal, questa guerra non finirà e la paura mi tormenta, di giorno, di notte. Le stelle non mi rasserenano più, mi fanno solo rimpiangere di essere così lontano da loro, dalla morte, se lì si trova.Hassan è ogni notte nei miei incubi: giochiamo alla playstation quando ad un certo punto mi guarda e i suoi occhi iniziano a sanguinare mentre mi fissano, immobili, e lui scompare senza che io possa fare qualcosa. Mi sta tormentando. Vorrei distrarmi, continuare a scrivere quel misero progetto che non realizzerò mai per illudermi che questa vita abbia ancora un senso, per giustificare la mia vigliaccheria nel non avere il coraggio di scendere in città in pieno bombardamento e mettere fine a quest’angoscia. È un vortice, che ti dà i brividi, che ti dà la nausea, ma che non ti fa morire. Vorrei aiutare Mamma, ma non ho la forza, e Kalil piange a ogni rumore che sente: dice che le ricorda la triste sorte di papà. Come biasimarla? Cerco di fare il possibile, cerco di raccontarle storie di draghi e fate, di bambini che dopo essere stati in moschea vanno a giocare a nascondino, ma c’è un rumore assordante, anche quando c’è silenzio, il rumore assordante della tua assenza, della mia inettitudine, della mia angoscia e della mia vigliaccheria.

Inerme, aspetto che tutto questo mi prosciughi, e che un giorno, delirante, possa rivedere il tuo volto per l’ultima volta.

Sono sempre stata convinta che un evento storico si comprenda davvero solo quando lo si sente sotto la propria pelle, conoscendo la storia di chi lo vive. Questa lettera dunque, irreale ma verosimile, vuole essere un umile omaggio all'attuale situazione mediorientale. (M.C.)

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CAFFè LETTERARIO

diGiovanni Mastropasqua

Le ragazze arrivano in una locanda dove gli uomini sono armati. Successivamente fanno l'amore con tutti. Dalla boscaglia

guardano il fiume e dei tronchi malamente legati. Pajarito Gomez è il barcaiolo,

almeno tutti lo chiamano così, ma non si muove dal tavolo. Ha le carte migliori. [...]Mentre gli uomini si ammalano le ragazze

scrivono come ossesse i loro diari. Pittogrammi disperati. Si sovrappongono

le immagini del fiume e le immagini di un'orgia che non finisce mai. Il finale è

prevedibile.

Roberto Bolaño - Puttane Assassine

I tredici racconti che compongono questa raccolta tracciano l'immediato pessimismo proprio dello scrittore cileno. I lineamenti della desolazione che emerge da questa produzione sono stralci della vita di B, un contenitore narrativo che

raccorda ricordi verosimili a personaggi ed avvenimenti fittizi.Ricca come sempre di riferimenti letterari, l'opera probabilmente non raggiunge la grandezza contenutistica ed espositiva de I Detectives, ma ri-scaraventa nuovamente nei bordelli e negli immondezzai del Messico, fra la freddezza assassina di alcuni ed il trasposto lirico di altri.E concludendo suggerisco: Elvis Costello - Watching the Detectives.

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Mariasole oggi sta pigliata dai diavoli. Urla, non tiene pazienza con niente,

manco con Antonio, non la voglio sentire. Io lo so. Lo so di cosa sono capaci, l'ho

fatto anch'io. L'onore, l'onore della famiglia Simonetti, l'onore di Mariasole,

l'onore dei Farnesini. Lo so che tengono in testa, tutti quanti.

Luigi Romolo Carrino - Acqua Storta

È il primo libro di Carrino che leggo e l'impatto conclusivo, terminata l'opera, è stato ottimo. Il complesso di pagine è esiguo, si legge in poche ore, pazientando se non si ha praticità con il lessico napoletano che è l'humus della prosa.Il plot del romanzo non presenta una particolare artificiosità, racchiude gli accadimenti di qualche giorno e brevi - e carnali - reminiscenze. Giovanni è il figlio di Don Antonio, un

camorrista di spicco, dotato di un violento potere autoritario e preso da un'articolata e controversa passione per Salvatore. Mariasole, la moglie del protagonista, nel frattempo, osserva, soffre e agisce. Il punto di forza è indubbiamente l'elemento stilistico della narrazione che riavvolge la feroce emotività di Giovanni e ritrae la drastica sentenza della società che contorna la relazione dei due uomini.

CAFFè LETTERARIO

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CAFFè LETTERARIO

Le tre persone dormivano sognando, mentre fuori la luna cresceva e sembrava muoversi nel cielo finché fu al largo sopra l'oceano, sempre più piccola e pallida. Nel

sogno di Myers qualcuno gli offre un bicchiere di scotch, ma proprio mentre sta

per accettarlo, seppure con riluttanza, si sveglia di colpo sudato, con il cuore a

mille.Sol sogna di cambiare una gomma a un

camion e di poter usare entrambe le braccia.

Bonnie sogna che sta portando due, anzi tre, bambini ai giardinetti. Sa perfino

come si chiamano. Il nome glielo ha dato lei stessa prima di uscire. Millicent,

Dionne e Randy.

Raymond Carver - Se Hai Bisogno, Chiama.

Non un minimalista, ma un artista - disse di lui David Foster Wallace. Come dargli

torto? Come attribuirgli un epiteto differente? Carver in questa raccolta di opere inedite si avvale di personaggi ordinari e ritagli di uno scorrere di vite solito - come, del resto, sempre è suo stile - fondendoli in un'emotività romanzata ed asciutta, in un'analisi di turbamenti che ne fa legna per storie.I cinque racconti, frutto degli ultimi mesi di vita dello scrittore, esprimono un senso comune di priorità verso l'essere umano, verso le proprie sofferenze, le proprie irrisolutezze. Sono cinque fotografie. Sono cinque piccole sospensioni. Stupendo il racconto intitolato "Vandali".Da leggere, rileggere, ririleggere.

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KRAFTWERK 3Ddi

Arinna Pescaresi

È piuttosto evidente che se i Kraftwerk non fossero mai esistiti, i Daft Punk indosserebbero caschi solo per andare in moto e Giorgio Moroder sarebbe ancora a suonare la chitarra a Ortisei. Probabilmente non esisterebbe nemmeno tutta quella EDM che vi fa scuotere i visceri in discoteca il sabato sera.

Per chi non li conoscesse: i Kraftwerk (“Centrale elettrica”) suonano musica elettronica dal lontano 1970, e possiamo considerarli i pionieri di questo genere. Dal conservatorio di Düsseldorf sono usciti i due fondatori Ralf Hütter e Florian Schneider; il gruppo si è allargato poi negli anni, alternando allontanamenti e nuove leve, fino ad arrivare ai quattro membri attuali. I primi album erano ancora caratterizzati dalle sonorità sperimentali del Krautrock, un genere molto in voga nella Germania degli anni ‘70. In quel periodo USA e Inghilterra facevano i conti con la musica psichedelica e progressiva; i tedeschi invece saggiavano brani lunghi, articolati, visionari, con le prime sperimentazioni di musica sintetica.

Il vero e proprio spirito elettronico nei Kraftwerk inizia a farsi presente a partire dal terzo album, ma la vera svolta è nel 1974 con l’uscita di Autobahn: viene così sancito definitivamente quel genere di musica che contraddistingue il gruppo. È dell’anno successivo Radio-Activity, concept-album dedicato alla radio e al nucleare; vengono poi Trans Europe Express, dedicato ai treni e all'Europa, e The Man-Machine, che ha come temi lo spazio e i robot. A questo punto il gruppo può vantare brani che hanno letteralmente fatto epoca: “Trans Europe Express”, “The Robots", "The Model" e "The Man Machine" sono oramai capolavori indiscussi.

Essenziali nella stesura dei testi così come nelle architetture dei brani, i Kraftwerk hanno inoltre spesso giocato con l’alternarsi delle lingue: non solamente tedesco e inglese, ma anche francese, giapponese, italiano. Canzoni universali quindi, così come il loro successo. Artisti poliedrici, mai banali e sempre eccentrici, i simbionti di Düsseldorf hanno lasciato un segno profondo nella storia della musica, influenzando stili quanto mai diversi - dalla new wave alla disco, dall'elettronica alla techno. Tanto che Derrick May, uno dei maestri di quest’ultimo genere, negli anni ’90 disse che "La techno sono George Clinton e i Kraftwerk chiusi insieme in ascensore, con solo un sequencer a tenergli compagnia".

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IL CONCERTO: 16 novembre 2015, Firenze

Lo show Kraftwerk 3D si è presentato da subito come un’emozione unica. All’ingresso sono stati consegnati occhialini 3D dal design essenziale, permettendo di trasformare il concerto in un'installazione di videoarte. Il set è più o meno lo stesso di tutti i tour: i quattro Kraftwerk sono disposti in riga con le loro tutine attillate con tanto di led incorporati, in piedi di fronte ad una console minimalista. Casse e bassi potenti hanno fatto vibrare cuori e poltrone del comodissimo Teatro dell’Opera fiorentino.

Ogni brano è stato accompagnato da un’esecuzione video a puntino: con “Numbers” ci siamo calati in una realtà simil-Matrix anni ‘70, in “Autobahn” siamo saliti a bordo di auto Mercedes-Benz (meglio lasciar perdere le classiche Volkswagen, per ora), con “The Robots” i musicisti sono stati tradizionalmente sostituiti da robot a figura intera, che hanno intrattenuto il pubblico con le loro mossette sincopate. Da segnalare le tracce tratte da Tour de France, dove le immagini bianco e nero delle corse in bicicletta, arricchite da flash e luci rosse e blu, hanno trascinato il pubblico al ritmo delle pedalate nel suono techno e marziale dei brani; al termine il silenzio prolungato è stato interpretato da molti come un omaggio ai recenti eventi parigini. Vedere all’uscita dal teatro i sorrisi soddisfatti degli spettatori (età media 40-45 anni) ha confermato ancora una volta l’unicità di questo gruppo. Indimenticabili!

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Natale dolce natale

Dopo aver addobbato l'albero di Natale ed essere impazziti dietro ai regali, è ora di pensare alla gola. Ecco a voi due dolci ricette per qualcosa di semplice e buono!

Biscotti alla cannella

q 1 bicchiere di farina 00q ½ bicchiere di zucchero a velo q 3 cucchiai di burroq 1 uovoq 1 cucchiaino di cannellaq 2 cucchiai di mandorle tritateq 1 cucchiaio di zucchero di canna grosso

Unite la farina setacciata, il tuorlo, il burro, lo zucchero a velo e la cannella. Lavorate tutti gli ingredienti velocemente fino ad ottenere una palla omogenea. Avvolgete la massa con l'alluminio o con un canovaccio e lasciatela riposare in frigo per una mezz'ora.Successivamente stendete la massa con il mattarello formando una sfoglia spessa 3-4 mm e ritagliate le forme. Spennellate i biscotti con l'albume sbattuto e cospargeteli con lo zucchero di canna mischiato con le mandole. Cuoceteli nel forno a 180°C fino a che non diventino dorati.

po

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diPaulina Szczepanska

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Biscotti all'arancia e cioccolato

Per i biscotti:

q 175gr. di farina 00q 120gr. di burro q 75gr. di fecola di patateq 120gr. di zucchero semolatoq 100gr. di cioccolato fondente grattugiatoq 1 cucchiaino di lievito per dolciq la buccia grattugiata di un'aranciaq 1 uovoq un pizzico di sale

Per la glassa all'arancia:q 100gr. di zucchero a veloq 2 cucchiai di succo di arancia

Mettete insieme la farina e il burro tagliato a pezzettini, cominciate a sbriciolarlo e aggiungete via via tutti gli ingredienti. Formate una palla omogenea e lasciatela riposare in frigo per una mezz'ora.Successivamente stendete la massa con il mattarello formando una sfoglia spessa 0,5 cm e ritagliate i biscotti. Cuoceteli in forno a 200°C per circa 15 minuti, lasciateli raffreddare e spennellateli con la glassa che avrete preparato nel frattempo, mescolando insieme lo zucchero a velo e il succo di arancia.

po

Buon appetito

e buon Natale

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H

F

C

D

ARIETESoldi - Sei stufo di essere povero? Vorresti diventare incredibilmente ricco? Problemi tuoi: questo è un

oroscopo, mica svendiamo miracoli.

Amore - È finalmente arrivato il momento di scaricare il partner! Cerca

un buon file torrent per essere più veloce, evita il wifi dell'Almamater.

Fama - Ai tuoi nuovi amici Erasmus ti presenti simpatico, sincero, sagace

e solidale. Seriamente? Sei meno credibile del ponte sullo stretto.

Futuro - Tentando di prevedere il tuo prossimo mese, un astro è imploso ed

è diventato un buco nero. Cerca un nuovo centro di gravità permanente.

Pericolo - Tutte le maggiori capitali europee sono a rischio attentato, ma tu sei originario di un minuscolo paesino dimenticato da tutti. Tornatene a casa!

Studio - Nel 2016 Mercurio vorrebbe esserti favorevole, ma dopo aver letto i tuoi appunti di anatomia patologica ci

ha ripensato. Fatti una vita.

OROSCOPO

TORO

E GEMELLI

CANCRO

G LEONE

VERGINE

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K

L

B

Salute - La pancia gonfia ti preoccupa? Il medico di Gianni Morandi, in

allineamento con mia nonna, consiglia di finire quel piatto di lasagne.

Esami - Lo stress da studio ti ha fatto venire una brutta acidità di stomaco ed eritemi esagonali sotto l'ascella sinistra.

Prossimi esami: del sangue.

Alimentazione - Vorresti una bella cenetta a base di funghi, ma sei

incapace a cucinare? Intanto raccoglili in piscina comunale, lì sono gratis.

Fashion - Nei prossimi giorni le lune di Giove ti concederanno un aspetto

fantastico, ma nessuno se ne accorgerà. Keep calm and mannaggia.

Buona sorte - Martedì alle 13:10 la Luna, Plutone e un Boeing 707 saranno in radice quadrata. Non succedeva da

millenni! È il tuo momento.

Bellezza - Tutti si convinceranno che subisci ripetute violenze in famiglia: meglio non seguire più i tutorial di

ClioMakeUp per truccarti.

SCORPIONE

BILANCIA

SAGITTARIO

CAPRICORNO

ACQUARIO

PESCI

J

I

A

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S U D O K U

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L’IFMSA (International Federation of Medical students’ association) è la federazione nazionale delle associazioni di studenti di medicina a cui il SISM appartiene quale full member.A livello nazionale il SISM è composto da tre cariche elettive che per la sede locale corrispondono a:

INCARICATO LOCALEAMMININISTATORE LOCALESEGRETARIO LOCALE

Che regolano e promuovono le attività di 4 grandi aree

tematiche che sono date da:

SCOMECommissione stabile sulla pedagogia medica; corrisponde alla LOME locale

SCOPH Commissione stabile sulla salute pubblica; corrisponde alla LPO locale

SCORPCommissione stabile sui diritti umani e pace; corrisponde alla LORP locale

SCORA Commissione stabile su salute riproduttiva ed AIDS; corrisponde alla LORA locale

-clerkship italiane -ospedale dei pupazzi -clown therapy -corso prelievi -corso suture - famulus nursing

-giornate di sensibilizzazione e prevenzione -conferenze su temi inerenti donazione degli organi,midollo osseo

-Calcutta Village project -Wolisso project

-world AIDS day -giornata internazionale per la donna

A questi 4 comitati permanenti si affiancano i 2 comitati:

SCOPE Professional Exchange

Promuove l’internazionalità e la collaborazione tra studenti attraverso l’espletamento di un tirocinio che si inserisce in un sistema sanitario diverso da quello italiano. A livello locale i Professional Exchange sono gestiti dai LEO (Local Exchange Officer).

SCORE Research Exchange

Area che permette agli studenti di recarsi presso una Università straniera e frequentare un dipartimento che conduce un dato progetto di ricerca. A livello locale i Research Exchange sono gestiti dai LORE (Local Officer on Research Exchange).

COS'È IL SISM

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COS'È IL SISM

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kkkkkkk kk kk kk kk kk kk kkkkkkk

Copertina - Vincenzo CapriottiOroscopo - Arianna Pesaresi

Impaginazione - Roberto PerissinottoCaporedattore - Roberto Perissinotto

SISMagazine non ha valore periodico

Stampato con il contributo dell'Alma Mater studiorum,

Universita' di Bologna

Contatti:

mail: [email protected] facebook: SISMagazinereferente: Roberto Perissinotto

Un ringraziamento a tutti i collaboratori.