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Dolore oncologico: una gestione da migliorare GLI SPECIALI di Speciale_oncologia_albi.indd 1 23/11/12 10.29

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Una gestione da migliorare

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Dolore oncologico: una gestione da migliorare

GLI SPECIALIdi

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EDITORIALE––

Nel 1996 l’OMS presentava un paper dal titolo chiaro e preoccupato: Pain: under-recognized and undertreated? Gli osservatori e gli analisti dell’Organizzazione mondiale – che già nell’87 avevano pubblicato una ricerca territoriale sul tema Cancer pain relief, sottolineando per la prima volta in modo sistematico l’importanza dell’uso degli oppiacei e di conseguenza la necessità coraggiosa di una loro accessibilità – mettevano in luce un dato mondiale significativo, che oltrepassava i confini nazionali e le differenti radici culturali, per richiamare l’attenzione dei responsabili delle politiche, delle strutture sanitarie e dei clinici sulla sottovalutazione del “dolore” come “malattia” ad altissima incidenza sulla qualità della vita della persona. Sono trascorsi oltre quindici anni ed è forse inutile dire che “tanta acqua è passata sotto i ponti”. Mentre la comunità scientifica e le organizzazioni internazionali facevano la loro parte, l’Italia faceva un passo da gigante con la legge 38/2010, Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore. In questo speciale di AboutPharma and Medical Devices che fa parte della serie Ri-Do, Rifiuta il Dolore, realizzata con il contributo non condizionato di Mundipharma, l’attenzione viene posta sul grado di attuazione e penetrazione culturale dei valori legislativi, a partire però dalla ricerca internazionale European Pain in Cancer, uno studio dove il dolore viene analizzato dal punto di vista del paziente nelle sue relazioni con i clinici, con il trattamento farmacologico, con le strutture, con il suo vissuto. La ricerca rivela, ma forse non è una novità assoluta, la mancata percezione della gravità che il dolore ha nel vissuto del paziente oncologico: spesso esiste una reticenza professionale, altre volte non ci sono conoscenze e competenze adeguate da parte del curante e del suo staff, altre volte si registra una dicotomia tra assistenza territoriale e assistenza specialistica.Giustamente viene osservato da uno degli esperti che intervengono in questo Speciale: “i medici curano le

Walter Gatti AboutPharma and Medical Devices

malattie e il dolore è considerato un sintomo e non, come dovrebbe, una malattia”. Questo è un dato da considerare e un campanello d’allarme: se da un lato il paziente è il portatore del bisogno, dall’altro c’è il medico, che non sempre è portatore delle sensibilità e delle conoscenze adeguate per ascoltare e rispondere, se è vero che (come riportato a pag. 9) in Italia il 43% dei medici ha conoscenze insufficienti o nulle del dispositivo di legge, una percentuale su cui si riflette anche una sottile contrapposizione tra oncologi e medici di medicina generale. E dunque? Qualcosa si potrebbe fare, da subito: la formazione accademica dovrebbe in un qualche modo adeguarsi alla necessità di gestire il dolore, seguendo ad esempio le indicazioni chiare dell’art. 8 della legge 38/2010, dove si individuano “specifici percorsi formativi in materia di cure palliative e di terapia del dolore connesso alle malattie neoplastiche e a patologie croniche e degenerative. Con i medesimi decreti sono individuati i criteri per l’istituzione di master in cure palliative e nella terapia del dolore”. Sintonizzarsi con la nostra stessa legge ci permetterebbe di non perdere il vantaggio acquisito, visto che la nostra legge è stata d’assoluta avanguardia, ma che nel frattempo la comunità internazionale si è messa a correre: nelle più recenti linee guida dell’OMS per la gestione del dolore (Normative Guidelines on Pain Management Report of a Delphi Study; OMS, July 2007) si esprime la necessità di differenti approcci, di differenti metodologie, di diverse valutazioni per le categorie rilevanti nelle quali viene differenziato il dolore, Acute pain, Chronic malignant pain e Chronic non-malignant pain, dove il dolore oncologico fa parte della seconda area. Per tutte le tre categorie l’OMS auspica l’attivazione di una formazione specifica, adeguata, differenziata. Insomma: puntare su un accurato e specifico training medico è un obbiettivo immediato e prioritario. Affinché il paziente possa non-più soffrire: è un suo diritto.

DoloreoncologicoIn sintonia con la legge 38/2010:

empowerment, terapia e formazione

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2 SpEcIALE cOLLAnA RI-DO RIfIuTA IL DOLORE

EditoreHPS srlVia Piccinni 2, 20131 Milanotel. 02.2772991 fax. 02.29526823www.aboutpharma.com [email protected]: 1935962

Direzione, Redazione, Amministrazione, PubblicitàHPS srlVia Piccinni 2, 20131 Milanotel. 02.2772991 fax. 02.29526823www.aboutpharma.com [email protected]

Direttore ResponsabileWalter [email protected]

Direttore CommercialeDomenico Mancini [email protected] In redazioneMaddalena [email protected] [email protected] [email protected] [email protected]

Ha collaboratoChiara Finotti

Sono intervenutiElena BartolucciOncologia, Azienda Ospedaliera del Mugello- Firenze-ASL 10Stefania BelliniAnestesia e Rianimazione, Ospedale “San Giuseppe” nuovo-Empoli- ASL 11Francesca CiappiMaster Cure Palliative, Nuovo Ospedale San Giovanni di Dio- Firenze- ASL 10Laura DoniOncologia, A.O.U.C. Policlinico Careggi -Firenze- ASL 10Maurizio MannocciPsichiatria- Master cure Palliative, Azienda Ospedaliera del Mugello- Firenze-ASL 10Piero MorinoAnestesia e Rianimazione, Hospice “Le Oblate” -Firenze- ASL 10Bruno NeriOncologia, A.O.U.C. Policlinico Careggi- Firenze- ASL 10Paolo ScarsellaAnestesia e Rianimazione, Istituto Ortopedico Toscano -Firenze- ASL 10Renato VellucciAnestesia e Rianimazione, A.O.U.C. Policlinico Careggi- Firenze-ASL 10Sonia ZoccaliMaster Cure Palliative, Ospedale Santa Maria Annunziata loc. Antella -Firernze- ASL 10

Progetto grafico e impaginazioneStudio Priori & CIn collaborazione conBarbara Borgonovo

Illustrazione di copertinaCristina Del Buono per Dissociate

StampaHH GLOBAL S.r.l. – Bergamo

AutorizzazioneTribunale di Milano n. 451 del 20/09/2002

© AboutPharma and Medical DevicesÈ vietata la riproduzione anche parziale di testi e immagini presenti su tutta la rivista.

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sommario

01 EDITORIALE

In sintonia con la legge 38/2010: empowerment, terapia e formazione

04 ScIEnTIfIc ARTIcLE

Trattamento del dolore oncologico in Europa e Italia

07 cLInIcAL pRAcTIcE

10 L’esperienza di oncologi e terapisti del dolore a confronto Strategie per migliorare la gestione del dolore oncologico13 Gli ostacoli alla prescrizione di oppiacei16 Cosa sappiamo della Legge 38/201019 Medici e specialisti nella prescrizione di oppiacei22 Approccio mulitidisciplinare al paziente

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Trattamento del dolore oncologico in Europa e in italia

La gestione del dolore oncologico è regolata da linee guida promulgate più di 20 anni fa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e da successivi documenti sviluppati a livello nazionale o internazionale. Nell’indagine EPIC sono stati presi in esame tutti i trattamenti farmacologici finalizzati al controllo del dolore oncologico, con un’attenzione particolare verso la prescrizione degli oppiacei deboli e forti.

Secondo una ricerca europea pubblicata nel 2009, il trattamento del dolore oncologico rappresenta un problema troppe volte sottovalutato. La ricerca, indicata con l’acronimo EPIC (European Pain in Cancer) e realizzata in 11 Paesi europei più Israele, è stata condotta negli anni 2006-2007 secondo una precisa prospettiva: esaminare l’esperienza del dolore oncologico secondo il punto di vista del paziente. La ricerca ha coinvolto i seguenti Paesi: Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Irlanda, Italia, Norvegia, Romania, Svezia, Svizzera, Regno Unito e Israele.I ricercatori si sono posti l’obiettivo di aumentare le conoscenze sul dolore oncologico nei suoi vari aspetti, in modo da poterne migliorare il trattamento; a questo scopo hanno preso in esame la frequenza e l’intensità del dolore percepito dal paziente considerando tutti i tipi di neoplasie tranne quelle cutanee, e tutti gli stadi di malattia, la terapia antalgica e i suoi esiti.

Disegno dello studioLa ricerca è stata condotta in due fasi: una I fase di screening finalizzata a reclutare pazienti oncologici e una II fase durante la quale sono state realizzate interviste telefoniche. Le interviste sono state condotte da intervistatori esperti, capaci di dialogare con pazienti affetti da patologia tumorale.Per superare la I fase di screening e accedere alla II fase dell’indagine, i soggetti coinvolti nello studio dovevano presentare i seguenti requisiti: età minima di 18 anni, aver percepito dolore nell’ultimo mese, con una frequenza di più volte alla settimana e con un’intensità pari o superiore a 5 sulla scala numerica di valutazione del dolore (Numerical Rating Scale, NRS = 0-10), dove il valore 0 indica nessun dolore e 10 il peggiore dolore possibile. È stato scelto questo metodo di valutazione perché, essendo stato utilizzato anche in lavori precedenti svolti con analoghi obiettivi, permetteva di confrontare i risultati delle varie ricerche fra loro. Sono stati esclusi i soggetti coinvolti in studi clinici mirati a testare l’efficacia di farmaci antidolorifici.

Sono stati contattati 5084 soggetti per essere sottoposti alla I fase di screening. Nell’ambito di questo campione, i ricercatori sono riusciti a raccogliere i dati demografici di 5049 soggetti: la fascia di età più rappresentata era quella compresa fra 50 e 59 anni; il 40% erano uomini e il 59% donne. I tipi di neoplasie più frequenti erano il tumore della mammella (28%), della prostata (12%), dell’intestino e del colonretto (9%), del polmone (8%). La prevalenza del dolore era sostanzialmente diversa tra i vari tipi di neoplasia: i pazienti con prevalenza massima di dolore (> 85%) erano quelli affetti da tumore di pancreas, ossa e cervello, da linfoma, da tumore del polmone e della testa-collo; la prevalenza più bassa (< 75%) era riferita dai pazienti con tumore alla prostata e con leucemia. Dai dati raccolti è emerso che il 23% dei pazienti che riferiva intensità di dolore pari o superiore a 5 nella scala numerica di valutazione del dolore non riceveva alcun trattamento analgesico.

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Dei 5084 pazienti costituenti il campione iniziale, il 56%, ovvero 2864 pazienti, soddisfaceva i criteri di eleggibilità per poter accedere alla II fase dell’indagine; di questi 2864, sono stati selezionati in maniera casuale 573 pazienti (poco più di 50 per Paese).In questo campione il 27% era affetto da tumore della mammella, l’11% dell’intestino e colonretto, il 9% da tumore di tipo ginecologico, l’8% da tumore del polmone, il 6% della prostata e il 5% da carcinoma a cellule squamose della testa-collo. Tutti i pazienti del campione hanno riferito dolore di intensità da moderata a severa; l’11% dei pazienti (67 su 573) non riceveva alcun trattamento analgesico. Il 50% di questo campione riteneva che la qualità di vita non fosse un aspetto importante del piano terapeutico globale agli occhi dei medici curanti; inoltre, per il 12% dei pazienti (72 su 573) il dolore non veniva percepito come un problema da parte del medico. Il 33% dei pazienti (191 su 573) ha dichiarato che il proprio medico non aveva tempo per approfondire il tema del dolore durante la visita e il 26% (150 su 573) pensava che il proprio medico non disponesse delle conoscenze necessarie per attuare un buon trattamento del dolore da moderato a severo.

Trattamento farmacologicoRisposte chiare al questionario dell’indagine sono state ottenute da 437 pazienti dei 441 che riportavano di utilizzare farmaci prescritti a scopo antalgico. Di questi 437, 196 riferivano un dolore da moderato a severo (NRS 5-6) e 241 un dolore severo (NRS 7-10). Dei 437 soggetti, solo il 40% era trattato con oppiacei forti (vedi figura 1). Considerando poi il campione di pazienti che riferiva un’intensità di dolore classificata severa (241), di questi solo il 42% riceveva un trattamento con oppiacei forti.

Efficacia del trattamento farmacologicoL’84% dei pazienti che assumevano farmaci per il trattamento del dolore (371 su 441) classificava la terapia come abbastanza efficace o molto efficace. Il 63% dei pazienti trattati riferiva un ulteriore peggioramento del dolore. Solo un terzo dei pazienti che lamentavano un mancato sollievo dal dolore (33%, 93 su 281) veniva trattato con farmaci analgesici addizionali, soprattutto oppiacei forti.

Effetti collaterali del trattamento farmacologicoIl più comune effetto collaterale riportato dai 266 pazienti trattati con oppiacei era la stipsi (37%, 100 su 266). Di questi 100, a un quarto non venivano prescritti lassativi e solo una piccola minoranza ricorreva a prodotti da banco per curarla. Nausea e vomito (33%, 89 su 266) e sedazione (20%, 55 su 266) erano gli altri effetti collaterali riportati. Il 26% (71 su 266) non riferiva alcun effetto avverso.

Qualità della vitaPer quanto riguarda la qualità della vita, il 48% (280 su 573) dei 573 pazienti scelti in maniera casuale all’interno della popolazione che aveva superato la prima fase di screening, dichiarava una buona qualità di vita. Riguardo al dolore, il 51% dei pazienti (291 su 573) ha raccontato di provare un dolore talmente forte da non riuscire a pensare e a concentrarsi su nulla. Il 69% (396 su 573) ha dichiarato che il dolore gli impediva di compiere le normali attività quotidiane. Il 43% (251 su 573) si considerava, a causa del dolore, un “peso crescente” nella vita delle persone vicine. Dei 136 pazienti ancora impegnati in attività lavorative, il 52% (72 su 136) ha raccontato il pesante impatto che il dolore oncologico

ScIEnTIfIc ARTIcLE––

Bibliografia

Breivik H, Cherny N, Collett B, de Conno F, Filbet M, Foubert AJ, Cohen R, Dow L. Cancer-related pain: a pan-European survey of prevalence, treatment, and patient attitudes. Annals of Oncology 2009; 20:1420-1433. Published online 24 February 2009.

Il dolore da cancro in Italia – Report indagine Oncologi e Pazienti. Ricerca commissionata da Centro Studi Mundipharma e realizzata da Demoskopea

figura 1. utilizzo di oppiacei in monoterapia o in combinazione con altri farmaci

100

80

60

40

20

0

Utiliz

zo di

oppi

acei

(%)

10

90

70

50

30

Oppiacei forti Oppiacei deboli Non oppiacei Terapia non determinata

40%

25% 26%30%

Fonte: Breivik H, et al., 2009

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esercita sulla capacità lavorativa. Il dolore associato al cancro è stato descritto come angosciante dal 67% dei pazienti, come un aspetto intollerabile della malattia dal 36% e il 32% dei pazienti ha riferito di sentirsi talmente male da desiderare la morte.

ConclusioniComprendere l’impatto del dolore oncologico nella vita dei pazienti, valutare l’efficacia delle terapie antidolorifiche adottate nei Paesi coinvolti nell’indagine, questi gli obiettivi della ricerca europea EPIC. I risultati emersi delineano un quadro di una gestione carente del dolore oncologico.La valutazione del dolore appare spesso superficiale e i risultati delle terapie spesso subottimali. Secondo quanto riportato dai pazienti, il trattamento del dolore sembra essere, agli occhi del medico curante, un aspetto marginale nell’ambito del protocollo terapeutico della malattia tumorale. Troppo poco tempo viene dedicato a questo aspetto durante la visita e molte volte non viene fatta una valutazione del dolore. Inoltre, molti pazienti ritengono che la qualità della vita non sia considerata un parametro importante agli occhi dei medici. Dalla ricerca è emerso che molti pazienti con dolore da moderato a severo (NRS 5-6) non ricevevano alcun trattamento analgesico. Inoltre, fra i pazienti con doloresevero (NRS 7-10), solo il 42% era trattato con oppiacei forti.Una carente gestione del dolore oncologico può essere dovuta a più fattori: scarsa percezione da parte dei medici dell’impatto del dolore sulla vita dei pazienti, scarsa competenza, timore degli effetti collaterali legati all’uso degli oppiacei forti, barriere di tipo regolatorio nella prescrizione e nella dispensazione degli oppiacei. Gli effetti collaterali legati all’uso degli oppiacei, quali nausea e stipsi, rappresentano un problema significativo per i pazienti. Secondo quanto emerso dalla ricerca EPIC, solo una minoranza dei pazienti riceveva una terapia lassativa concomitante secondo le linee guida pubblicate, e una ancora più ridotta minoranza ricorreva a farmaci da banco per curare la stipsi.Il dolore unitamente agli effetti collaterali dei farmaci utilizzati nella terapia antalgica esercitano un pesante effetto sulla qualità di vita dei pazienti: essi influenzano la capacità di lavorare e di mantenere una normale vita di relazione.

Sicuramente, una maggiore consapevolezza da parte dei medici circa l’influenza del dolore e degli effetti collaterali dei farmaci nella vita dei loro assistiti potrebbe migliorare la gestione del dolore oncologico.

Punti di debolezza dello studioÈ importante sottolineare che la ricerca ha coinvolto solo soggetti che riferivano un dolore almeno pari a 5 nella scala numerica di valutazione del dolore. Ciò significa che si trattava di pazienti con dolore almeno moderato, al quale spesso si associano sintomi quali ansia e depressione. Se presenti, questi sintomi potrebbero avere alterato la capacità dei soggetti coinvolti nello studio di valutare la loro esperienza dolorosa. In ogni caso, stando a quanto emerso dalla ricerca EPIC, è evidente l’importanza di una visione del dolore oncologico come parametro rilevante, di cui si dovrebbe tenere conto a più livelli della società, dai governanti ai clinici.

Cosa accade in italiaPer quanto riguarda la situazione italiana, una ricerca commissionata dal Centro Studi Mundipharma e condotta da Demoskopea fotografa lo scenario attuale del trattamento del dolore oncologico in Italia. Si tratta di un’indagine svolta a livello nazionale, nel periodo maggio-giugno 2012, su un campione di 200 oncologi e 200 pazienti oncologici (60% donne, età media 44 anni). Lo scopo della ricerca era quello di verificare le modalità di gestione del dolore da cancro, ma anche le problematiche e i bisogni evidenziati dagli specialisti e dai pazienti. Confrontando i punti di vista dei due campioni presi in esame, il quadro che ne deriva appare piuttosto controverso. Infatti, quanto dichiarato dagli oncologi sembra far emergere comportamenti in linea con quanto previsto dalle linee guida emanate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità in tema di controllo del dolore oncologico, unitamente a una forte attenzione al paziente e alla sua percezione del dolore. Al contrario, quanto dichiarato dai pazienti sembra delineare un quadro decisamente più eterogeneo e meno sotto controllo.In tema di dolore oncologico, il principale referente per i pazienti è nella maggior parte dei casi l’oncologo, seguito dal medico di famiglia e, in misura decisamente più marginale, dal chirurgo.

Per quanto riguarda la misurazione del dolore, fra gli oncologi, 8 su 10 dichiarano di

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figura 2. percentuali di misurazione del dolore secondo l’opinione dei pazienti

Domanda: Il suo medico le misura l’intensità del dolore?

31% pazienti secondo cui la misurazione del dolore è

eseguita sempre

33% pazienti secondo cui la misurazione del dolore non

è eseguita

36% pazienti secondo cui la misurazione del dolore è

eseguita qualche volta

Base: Totale campione (n=200) – Valori %

misurare sempre il dolore, utilizzando come strumento preferenziale la scala numerica di valutazione del dolore che va da 0 a 10 (NRS). In realtà, questa informazione non coincide con quanto emerso nelle interviste realizzate ai pazienti: il 67% dichiara che la misurazione è effettuata (31% sempre, il 36% qualche volta) e secondo il 33% il dolore non viene misurato (vedi figura 2). Secondo i pazienti, inoltre, le modalità di misurazione del dolore si distribuiscono in egual misura tra la spiegazione verbale o le domande di screening e l’utilizzo della scala NRS. Per quanto riguarda la prescrizione dei farmaci, secondo quanto dichiarato dagli oncologi, nel caso di dolore cronico moderato gli oppiacei vengono impiegati in monoterapia dal 26%, mentre il 54% li somministra in associazione a farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS).Cambia la situazione prescrittiva quando si deve gestire il dolore severo: in questo caso, in accordo con le linee guida internazionali, nell’83% dei casi la terapia di prima linea è costituita quasi esclusivamente da oppiacei forti, mentre è marginale (11%) la loro associazione con i FANS. Quanto dichiarato dai pazienti sembra delineare un quadro diverso: vi è un elevato ricorso

agli antinfiammatori (45%, da soli o in associazione agli oppiacei), prescritti soprattutto dal medico di famiglia, contro il 34% di oppiacei (da soli o in associazione ai FANS), il cui impiego è diffuso in particolare tra coloro che per gestire il dolore si affidano allo specialista.

Per quanto riguarda il giudizio sull’efficacia degli oppiacei, gli oncologi si dichiarano soddisfatti della loro efficacia, in particolare di quelli forti, mentre un parere decisamente meno positivo emerge circa l’efficacia dei FANS. Nel caso in cui si ottenga un effetto analgesico non ottimale, fino al 63% di chi prescrive oppiacei forti tende ad aumentarne il dosaggio piuttosto che passare a un’altra classe farmacologica; al contrario, nel caso dei FANS si registra uno switch terapeutico che raggiunge il 63% dei casi. Insoddisfatto degli antinfiammatori anche il 39% dei pazienti, mentre un 85% conferma l’efficacia degli oppiacei. Per quanto riguarda l’impatto del dolore sulla qualità della vita, i pazienti ritengono che l’impatto sia sottostimato dai medici. La metà dei pazienti intervistati dichiara che il dolore, soprattutto se di intensità severa o moderata,

31% 36%

33%

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condiziona fortemente la qualità della vita ostacolando molte attività della vita quotidiane, mentre il suo impatto è meno rilevante per i pazienti che soffrono di dolore lieve.Per quanto concerne gli effetti indesiderati legati all’uso degli oppiacei, i disturbi gastrici, la stipsi e la sonnolenza sono quelli principali segnalati dai pazienti.Il 48% degli oncologi intervistati esprime l’esigenza di poter prescrivere oppiacei con dosaggi superiori rispetto a quelli ad oggi disponibili. Il 54% dello stesso campione ritiene che un migliore controllo del dolore potrebbe essere ottenuto ricorrendo a farmaci meno “invasivi”. Anche i pazienti intervistati hanno sottolineato la necessità di poter disporre di farmaci con minori effetti collaterali, unitamente a terapie più efficaci e a un maggiore supporto da parte dei clinici e delle autorità sanitarie.

Per quanto riguarda il livello di informazione circa gli oppiacei, il 64% degli oncologi ritiene che in Italia manchi un’adeguata conoscenza di questi farmaci, il 62% ritiene che ne vengano prescritti troppo pochi a favore dei FANS, o che vengano prescritti oppiacei deboli anche nel trattamento del

dolore severo. Inoltre, l’87% degli oncologi segnala di aver incontrato resistenze alla prescrizione (spesso per il 33%, qualche volta per il 54%) presso i medici di medicina generale (vedi figura 3).Questo scenario è confermato anche dalle risposte dei pazienti: quasi la metà, infatti, ignora che cosa siano gli oppiacei e il 46% conferma la scarsa propensione di alcuni medici a consigliarli nel trattamento del dolore.

A due anni dall’approvazione della Legge 38 che rende più accessibile l’utilizzo dei farmaci oppiacei, tale Legge non risulta ancora sufficientemente conosciuta. Infatti, il 27% degli oncologi dichiara di conoscerla solo in parte, il 16% di non conoscerla affatto e solo il 57% degli oncologi dichiara di conoscerla bene (vedi figura 4). Tra i principali vantaggi apportati dalla normativa, il 49% degli specialisti e il 35% degli assistiti indicano la maggiore facilità di prescrizione della terapia a base di oppiacei.

Come riportato sopra, sia secondo gli oncologi che secondo i pazienti emerge una certa resistenza esercitata dal medico di famiglia a prescrivere farmaci oppiacei o a fornire ai

figura 3. Resistenza alla prescrizione di oppiacei da parte dei medici di medicina generale, secondo l’opinione degli oncologi

Domanda: Lei incontra qualche resistenza da parte dei medici

di medicina generale nel prescrivere analgesici oppiacei

per il trattamento del dolore cronico?

33% Sì, spesso

54% Sì, qualche volta

13% No, mai o quasi mai

Base: Totale campione (n=200) – Valori %

13%

54%

33%

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figura 4. Grado di conoscenza della Legge 38 sulla terapia del dolore da parte degli oncologi

Domanda: Lei è a conoscenza della Legge 38?

57% buona conoscenza della Legge 38

27% conoscenza parziale della Legge 38

16% nessuna conoscenza della Legge 38

Base: Totale campione (n=200) – Valori %

16%

57%27%

pazienti un adeguato bagaglio di informazioni circa questa classe di farmaci. La stessa resistenza viene riscontrata quando si tratta di promuovere un atteggiamento di maggiore informazione e sostegno al malato rispetto al tema dolore.

In conclusione, la fotografia che si evince da questa indagine italiana sul trattamento del dolore oncologico mostra una situazione in parte controversa. Se, da un lato, gli specialisti

dichiarano una forte attenzione al malato e un comportamento che nel complesso segue le linee guida, i pazienti rivelano un quadro più eterogeneo e meno favorevole, soprattutto in termini di misurazione costante del dolore, farmaci prescritti e impatto reale del dolore sulla qualità della vita. Su un aspetto, però, entrambi i campioni concordano: la reticenza dei medici, e in particolare dei medici di famiglia, a fornire un’adeguata informazione sugli oppiacei e a prescriverli.

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Strategie per migliorare la gestione del dolore oncologico

Il problema del trattamento non adeguato del dolore oncologico appare confermato anche da altri dati in letteratura, pubblicati comunque prima della Legge 38/2010. “Il dato, anche se non recentissimo, è da considerarsi attendibile e confermato da lavori italiani che dimostrano come quasi in un paziente su due il dolore sia sotto-trattato. Il miglior performance status delle persone ammalate, come conferma lo studio, le renderebbe a rischio di ricevere un trattamento algologico inferiore a quello riservato ai malati più compromessi” afferma il dott. Renato Vellucci. “Premesso che il lavoro citato, anche se autorevole, è tuttavia precedente alla pubblicazione della Legge 38/2010 e che in quattro anni possono cambiare anche in meglio molte cose, ritengo che la percezione del 50% degli intervistati, riguardo la scarsa considerazione da parte del medico della qualità della vita come indicatore della gestione della malattia, sia falsata da difficoltà di comunicazione tra medico e paziente in situazioni obiettivamente difficili” sostiene il dott. Paolo Scarsella.

Il dolore rappresenta una delle principali caratteristiche cliniche in circa la metà dei pazienti oncologici e, come tale, dovrebbe essere trattato con elevata priorità dal clinico. La sua insorgenza può essere acuta o cronica, e dipendere sia dalle conseguenze patologiche del tumore, sia dalle terapie, sia dalle indagini diagnostiche. L’approccio al dolore oncologico è di tipo sostanzialmente farmacologico, anche se non bisogna ignorare i fondamentali bisogni psichici del paziente. “L’oncologo deve dare una priorità agli aspetti della malattia da trattare per primi. Rassicurare il paziente, poter proporre un trattamento curativo della patologia di base può già in parte iniziare a ridurre anche il problema dolore. A volte invece, come nelle patologie con peculiare interessamento osseo, è proprio dall’approccio al dolore che si ottiene la fiducia del paziente, l’adesione alla terapia e la possibilità di arrivare al trattamento causale della patologia. In altri termini: 1) se il dolore rappresenta il principale sintomo della malattia, questo dovrà essere affrontato per primo, perché poi il paziente possa essere in grado di sopportare anche il carico psicologico della restante diagnostica e terapia oncologica; 2) se il quadro invece è dominato da altri segni/sintomi (gastroenterici, anemia-astenia, insonnia, angoscia), può essere che il dolore non venga riferito o valutato appieno al primo colloquio. La presenza del dolore rende infatti meno disponibile il paziente alla diagnostica e alla terapia e quindi alla possibilità di un trattamento causale. Occorre quindi trattare il dolore con analgesici oppiacei e/o

Dalla ricerca EPIC (European Pain in Cancer) pubblicata nel 2009 e condotta in 11 Paesi europei e in Israele è emersa una gestione non ottimale del dolore oncologico. Basti pensare che su un campione di 573 pazienti oncologici con dolore da moderato a severo (NRS 5-6/10), l’11% non riceveva alcun trattamento analgesico. Inoltre, il 50% dei pazienti intervistati riteneva che la qualità della vita non fosse considerata, agli occhi del medico curante, un parametro importante nella gestione globale della malattia. Cosa ne pensa? Quali le potenziali strategie per migliorare la gestione del dolore oncologico?

circa la metà dei

pazienti oncologici

soffre di dolore

acuto o cronico

L’esperienza di oncologi e terapisti del dolore a confronto

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FANS secondo gli schemi noti, ma anche parlare con il paziente, spiegando gli effetti dei farmaci e perché assumere i farmaci analgesici ad orari prefissati e non al bisogno. Inoltre, è necessario incoraggiare a segnalare sia la non efficacia che l’efficacia, spiegare la diversa sensibilità soggettiva ai vari farmaci e quindi la necessità di trovare farmaco e dosaggio adeguati” sostiene la dott.ssa Elena Bartalucci.

Tuttavia, è necessario ricordare che l’aspetto del dolore del malato oncologico è difficilmente quantificabile, e che generalmente l’attenzione del medico è più focalizzata sulla patologia che sul dolore da essa provocato. “Troppo spesso il medico considera il dolore indotto dai trattamenti e da manovre diagnostiche come un prezzo da pagare per la guarigione. Al contrario, è proprio in questo contesto che non dobbiamo accettare un sotto-trattamento del dolore, perché prevedibile e indotto in modo iatrogeno” ribadisce il dott. Vellucci. “Infatti, mentre ad esempio la temperatura corporea è oggettivabile, misurabile in maniera riproducibile in un determinato momento, il dolore non può essere misurato con uno strumento: viene valutato su base soggettiva, basandosi su quanto riferisce il paziente. Ciò genera problemi, perché mentre il comportamento di qualunque medico sarà quello di allarmarsi di fronte a una temperatura corporea pari a 41°C, la reazione di fronte a un dolore riferito alla scala NRS = 8 sarà profondamente diversa da medico a medico, risentendo enormemente della cultura del medico stesso e anche del rapporto stabilito con il paziente” afferma la dott.ssa Laura Doni. “È impressionante scoprire come spesso il sintomo dolore sia sottostimato proprio da chi deve instaurare una terapia adeguata, e quindi trattato in maniera insufficiente, o non trattato addirittura, forse per ignoranza, falsi pregiudizi o paura di effetti collaterali, lasciando nel paziente con dolore l’impressione di essere curato soltanto a metà. La strategia per migliorare questo aspetto consiste nell’informarsi, ascoltare chi dice di avere dolore, misurare il dolore e monitorare i risultati ottenuti, trattare con farmaci adeguati, collaborare infine con le figure mediche e infermieristiche che ruotano attorno al paziente oncologico” sostiene la dott.ssa Stefania Bellini. “La rilevazione del dolore in ambito oncologico è molto importante per non

rischiare di sottovalutarne l’entità. Per migliorare la gestione del dolore oncologico è fondamentale chiedere al paziente di descrivere il suo sintomo per comprenderlo e trovare la giusta terapia, al fine di garantire in tutte le fasi di malattia una buona qualità di vita. Nei pazienti che sono in fase di terapia attiva, il sintomo, se non trattato, può precludere la prosecuzione di chemio e/o radioterapia, e ridurre la performance del paziente. Sempre di più si parla di presa in carico globale del paziente per una migliore gestione della malattia e per garantire una qualità della vita ottimale. Questo approccio globale alla malattia risulta molto importante per il paziente, che si sente ascoltato e compreso nella sua situazione clinica e come persona, tenendo in considerazione anche il contesto familiare in cui vive” afferma la dott.ssa Francesca Ciappi.

È quindi necessario che il problema della gestione del dolore sia opportunamente affrontato già nella formazione medico-psicologica impartita dall’Università, sia nella formazione del personale altamente specializzato, sia in quella devoluta agli assistenti al letto del paziente. Ciò permetterà di modificare nel tempo la mentalità del personale medico e di supporto nei confronti del dolore oncologico e della sua terapia farmacologica. “La gestione del dolore rappresenta non solo una sfida, ma anche l’opportunità per il medico moderno di riappropriarsi di una professione che è stata svuotata del suo aspetto umanistico” sostiene la dott.ssa Doni. “Purtroppo la formazione dei medici insegna a curare le malattie, e il dolore è considerato un sintomo e non, come dovrebbe, una malattia. La conseguenza è quindi una scarsa attenzione alla qualità della vita delle persone malate: un precoce inserimento dei principi delle Cure Palliative in ambito oncologico è raccomandabile” afferma il dott. Piero Morino. “Difficile è tutto ciò che non siamo addestrati a fare, e le strategie di comunicazione in condizioni estreme come quelle dei pazienti ricoverati in Terapia Intensiva o nella fase terminale della vita vengono poco insegnate nei corsi universitari o di specializzazione post-laurea. Ritengo pertanto che le strategie di cambiamento consistano principalmente nella presa di coscienza che curare è importante anche quando non si può guarire e che la diffusione delle conoscenze sui trattamenti farmacologici, ma anche non farmacologici, del dolore non può che essere

Il dolore

oncologico non

è adeguatamente

trattato

L’oncologo

indaga più

spesso

la patologia

invece

del dolore

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utile” afferma il dott. Scarsella. “Bisogna riorientare i contenuti dei corsi di educazione e formazione per il personale sanitario con materiali ad hoc per ogni tipologia, non tralasciando la formazione degli infermieri, che sono fondamentali per rinforzare la comunicazione con il paziente e che anche in ambito oncologico passano molto più tempo dei medici insieme al sofferente. Bisogna suscitare un cambio di mentalità per poter indurre un cambio di comportamenti e attitudini, dimostrando che controllare il dolore anche con gli oppiacei ha molti più vantaggi ed effetti positivi che effetti collaterali. La premessa fondamentale è che il dolore è inutile, anzi dannoso, già durante le chemioterapie o radioterapie” afferma il dott. Maurizio Mannocci. “L’oncologo è più attento a indagare il dolore e a trattarlo con i farmaci più adatti, anche con oppiacei forti quando necessario; quando il caso è difficile, chiede aiuto al medico palliativista. In effetti, i colleghi sono generalmente giovani e cresciuti culturalmente in un ambiente che non lascia spazio agli antichi pregiudizi sugli oppiacei e si fanno promotori di spiegarlo anche ai pazienti qualora fossero loro ad averne, o ad avere paura. Il contatto continuo con i professionisti delle cure palliative ha facilitato questo percorso negli ultimi anni, e credo sia questa la strada da seguire per migliorare ulteriormente il servizio reso ai pazienti. Ritengo che la formazione di base sulla terapia del dolore e sui farmaci oppiacei, prevista e promossa peraltro anche dalla Legge 38, sia fondamentale per tutti i medici che non sono specialisti in cure palliative o Terapia del dolore, e debba essere diffusa in modo trasversale e capillare per minimizzare i disagi ai pazienti e ottimizzare la compliance alle terapie” afferma la dott.ssa Sonia Zoccali.

Un altro aspetto non secondario nella gestione del dolore del paziente oncologico è quello relativo alla qualità della vita, sulla quale il trattamento del dolore, soprattutto se precoce, ha un impatto notevole. “Il controllo del dolore è fondamentale per la qualità della vita, è l’ortografia per realizzare la comunicazione dei bisogni, per partecipare attivamente nella relazione terapeutica. Migliorare il prima possibile la qualità della vita è terapia essa stessa. Il dolore peggiora la performance quotidiana, l’autonomia e quindi la dignità del sofferente” sostiene il dott. Mannocci. “La qualità della vita rappresenta

l’obiettivo primario da perseguire, combattendo accanto ai malati; questo parametro, tuttavia, deve essere definito dall’ammalato stesso e non dai clinici. Per migliorare la gestione del dolore oncologico dobbiamo formare sempre meglio le nuove generazioni di medici e infermieri, perché siano in grado di trattarlo guidati dalla sua intensità e non dalla prognosi del paziente. A questo scopo è fondamentale divulgare i temi della Legge 38 del 2010, monitorandone l’applicazione e sanzionando le inadempienze” commenta il dott. Vellucci. “Come medico palliativista ho iniziato il mio percorso all’interno di una ONLUS offrendo assistenza domiciliare gratuita ai malati oncologici alla fine del 2004. Durante gli anni ho potuto osservare chiaramente la difficoltà che i pazienti oncologici incontrano nell’essere ascoltati nei loro bisogni psicofisici globali, in particolare per quanto riguarda il dolore e la qualità di vita. Ciò deriva dalla generale noncuranza del sintomo dolore, frequente soprattutto in passato e da parte di medici di una certa formazione. Conseguentemente, il dolore viene indagato in maniera insufficiente o sottostimato e a volte qualcuno pensa debba essere risolto con la sola chemioterapia, non considerando l’impatto che un dolore medio-severo ha sulla vita quotidiana di una persona. Col passare degli anni l’attenzione nei confronti della qualità della vita e del dolore inutile è andata crescendo e oggi sono gli stessi pazienti a esigere di essere trattati meglio” ribadisce la dott.ssa Zoccali.

Il medico curante è spesso più preoccupato per la prognosi della patologia che per l’intensità del dolore, causando sconforto e sfiducia nel paziente. “Lo studio citato mostra che solo il 48% dei pazienti riferiva una buona qualità della vita, confermando che il dolore va trattato da subito, anche se lieve. La non accoglienza da parte del medico del bisogno del paziente di controllare adeguatamente il dolore fa sentire il paziente disempowered, non compreso, creando solitudine e diminuendo la fiducia nel medico, oppure rinforzando l’inutile e negativa convinzione che “devo soffrire per vincere la lotta”. Lo studio ci mostra infine, che in molte occasioni le molecole scelte per la terapia non sembrano appropriate rispetto alle caratteristiche del dolore” afferma il dott. Mannocci.

Il controllo

del dolore

migliora la

qualità della vita

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Gli ostacoli alla prescrizione di oppiacei

La maggiore barriera alla prescrizione di oppiacei forti in monoterapia nel trattamento del dolore nel malato oncologico sembra essere la scarsa preparazione del medico sul meccanismo d’azione di questi farmaci e sulle loro possibilità di utilizzo, unita a volte alla mancanza di verifica dell’efficacia della terapia. Per tale motivo, sono spesso prescritti in prima linea i FANS, in associazione o meno a oppiacei deboli. Ciò non è più accettabile, soprattutto in considerazione del fatto che la Legge 38 del 2010 ha molto semplificato le possibilità di utilizzo terapeutico degli oppiacei forti. “Da una parte c’è un’inappropriata comprensione da parte del medico dell’entità del dolore così come viene riferita dal paziente; dall’altra c’è una scarsa conoscenza di tutte le possibili opzioni terapeutiche. Infatti, attualmente abbiamo a disposizione oppiacei forti che differiscono non soltanto sotto il profilo del meccanismo d’azione, ma anche sotto quello della tossicità. Se una volta era disponibile solo la morfina e il suo impiego poteva risultare complesso in certe tipologie di pazienti (ad esempio quelli con occlusione intestinale), oggi il medico può scegliere altri oppiacei (ad es. l’ossicodone in monoterapia o in associazione a naloxone), che coniugano una maggiore efficacia analgesica a una miglior tollerabilità e minori effetti collaterali (vedi figura 5) afferma la dott.ssa Laura Doni. “Il problema è la scarsa conoscenza dei farmaci, della loro titolazione e gestione ottimale. Inoltre, vi è scarsa attenzione alla prevenzione e gestione degli effetti collaterali degli oppiacei forti, che infatti vengono riferiti molto impattanti sui pazienti anche dall’indagine di Demoskopea citata. Da sottolineare inoltre, la scarsa verifica dell’efficacia della terapia impostata, peraltro prevista dalla Legge 38: l’oncologo rileva più o meno correttamente

Dalla stessa indagine EPIC (European Pain in Cancer) del 2009 emerge che su un campione di 241 pazienti oncologici che riferivano dolore di intensità severa (NRS 7-10/10), solo al 24% venivano prescritti oppiacei forti in monoterapia e prevaleva invece il ricorso ad oppiacei deboli. Quali, secondo lei, sono i principali ostacoli nella tendenza a prescrivere questi farmaci?

I medici sono poco

preparati sull’uso

degli oppiacei

figura 5. Severità della disfunzione intestinale (a sinistra) ed utilizzo di lassativi (a destra) in pazienti trattati con ossicodone (OX) e con l’associazione ossicodone-naloxone (OXn)

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36,5%

Fonte: Loewenstein O, Leyendecker P, Lux EA, et al. Efficacy and safety of combined prolonged-release oxycodone and naloxone in the management of moderate/severe chronic non-malignant pain: results of a prospectively designed pooled analysis of two randomised, double-blind clinical trials. BMC Clin Pharmacol. 2010;10:12

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il dolore, imposta una terapia, ma spesso non ne verifica l’efficacia, rischiando che il paziente interrompa da sé la terapia perché non efficace. Sarebbe molto utile in questo frangente una stretta collaborazione con gli specialisti della terapia del dolore, al fine di condividere le opportunità terapeutiche e fare la scelta migliore per il paziente. E quindi torniamo all’importanza della formazione” ribadisce la dott.ssa Sonia Zoccali. “Siamo di fronte a una contraddizione nella gestione del malato oncologico da parte dei medici, che sembrano non attribuire la giusta importanza al sintomo dolore: pertanto si ricorre troppo spesso a una posologia “al bisogno”, che predilige i FANS o gli oppiacei deboli, convinti che siano più sicuri per il paziente e comunque più che sufficienti a trattare un sintomo ritenuto marginale rispetto alle cure chirurgiche, le indagini invasive o i trattamenti radio e chemioterapici (ognuno dei quali genera a sua volta dolore che si aggiunge a quello della malattia primitiva)” sostiene la dott.ssa Stefania Bellini. “Ora che l’articolo 10 della Legge 38/2010 prevede la semplificazione delle procedure di accesso ai medicinali impiegati nella terapia del dolore, cioè rende la prescrizione di una ricetta di un oppiaceo forte in monoterapia uguale a quella di tutti gli altri farmaci, il principale ostacolo al loro utilizzo è rappresentato dalla scarsa esperienza che i medici hanno potuto fare con questi farmaci fino ad oggi. Certamente la conoscenza teorica del meccanismo d’azione, delle indicazioni, degli effetti collaterali e della loro prevenzione è fondamentale, ma è senz’altro vero che ognuno usa quello che conosce meglio” dichiara il dott. Paolo Scarsella. “A ostacolare ulteriormente l’uso degli oppiacei è la scarsa preparazione di alcuni medici e una generalizzata oppiofobia dei sanitari, degli ammalati e dei parenti che ritengono questi farmaci propri del fine vita o adatti solo alla cura di una malattia inguaribile o comunque molto grave” commenta il dott. Renato Vellucci.

Inoltre, è da segnalare che vi è spesso nel medico la percezione che gli oppiacei forti siano anche più pericolosi. Ciò crea nel curante delle barriere psicologiche al loro utilizzo, rinforzando il concetto che un dolore debole debba essere trattato con un oppiaceo debole. “Innanzi tutto il nostro obiettivo non deve essere la monoterapia, in quanto ciò impedisce la personalizzazione del trattamento e la definizione di una terapia

tailored. Aggettivi come forte e debole sono inoltre pericolosi, poiché il medico curante tende a interpretare l’entità dell’effetto antalgico anche in termini di rischio per la vita, creando un blocco mentale all’uso degli oppiacei forti perché considerati più pericolosi. Le barriere non sono cambiate: falsi miti (rischio di depressione respiratoria, dipendenza etc.), timore e scarsa capacità nel gestire gli effetti collaterali, insufficiente informazione sui farmaci” afferma il dott. Maurizio Mannocci. “L’oppiofobia è purtroppo ancora frequente nei pazienti e nei loro familiari, ma questa non può essere la causa principale della mancanza di trattamento, anche se può creare difficoltà al medico nell’introdurre oppiacei forti in terapia: è certo che molti medici, anche specialisti, ritengono che gli oppiacei deboli siano “meno pericolosi” di quelli forti e abbiano minori effetti collaterali oltre che per carenza di formazione, anche per l’esistenza di pregiudizi ingiustificabili” ribadisce il dott. Piero Morino.

Oltre alla preoccupazione del medico curante per l’utilizzo dei farmaci oppiacei, anche nei pazienti si può assistere a una certa resistenza al loro utilizzo per la terapia del dolore oncologico. “Alcune barriere per i pazienti e i familiari sono rappresentate dalla concezione del valore espiatorio del dolore (il prezzo da pagare per guarire), dal timore di distrarre l’attenzione del curante e dal concetto che dolore fa rima con tumore. A volte, quindi, il paziente vuole provare comunque dolore per capire se sta peggiorando, o per timore di dipendenza e dello sviluppo di effetti collaterali” sostiene il dott. Mannocci.

Oltre alla scarsa conoscenza del meccanismo d’azione dei farmaci oppiacei forti, un’altra delle barriere più comuni al loro utilizzo risiede anche nel timore degli effetti collaterali e nell’idea che il paziente in trattamento non sia più in grado di svolgere efficacemente i compiti della normale vita di relazione. Ritorna qui l’importanza del controllo della qualità della vita. “È ovvio che alleviare o, meglio, abolire il dolore è il primo impegno del medico. Non vi sarebbe alcun ostacolo alla prescrizione di farmaci con questo intento se non vi fossero effetti collaterali. La preoccupazione maggiore del paziente e dei suoi parenti è che all’utilizzo di oppiacei forti possa seguire una incapacità di svolgere le normali attività quotidiane per l’insorgenza di sonnolenza, mancanza di

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Anche i pazienti

presentano

spesso

resistenze al

trattamento

con oppiacei

concentrazione etc. In altre parole, quando si somministrano oppiacei forti occorre tener presente anche la qualità della vita e la risposta individuale, così da riuscire a ottenere una soddisfacente analgesia senza alterare i ritmi delle attività quotidiane. In fondo, nella reticenza alla prescrizione di oppiacei ad azione maggiore, c’è sempre la speranza di poter procrastinare il momento della progressione della patologia neoplastica, sia nel paziente che nel medico” afferma la dott.ssa Elena Bartalucci. “Relativamente al problema dell’inadeguato trattamento del dolore di intensità severa, riconducibile al non comune e/o corretto utilizzo degli oppiacei, si può ritenere che al di fuori delle strutture oncologiche e dei centri di terapia del dolore vi sia una notevole reticenza alla prescrizione di farmaci a base oppiaceo, soprattutto in relazione all’inadeguata conoscenza della gestione degli effetti collaterali” afferma il dott. Bruno Neri. “Nonostante le minori restrizioni alla prescrizione e la disponibilità in commercio di svariate formulazioni che consentono di scegliere la via di somministrazione più adatta al singolo paziente, gli oppiacei forti sono ancora poco utilizzati a causa della scarsa conoscenza delle loro caratteristiche e dell’eccessivo timore dei

possibili effetti collaterali. Una conoscenza più approfondita degli oppiacei e della gestione degli effetti collaterali ne favorirà un maggior utilizzo” ribadisce la dott.ssa Francesca Ciappi.

Infine, bisogna segnalare che la legislazione italiana ha dato un appoggio legislativo al trattamento con oppiacei solo di recente, in quanto negli ultimi due decenni il ricorso all’utilizzo di oppiacei a scopo terapeutico non era contemplato dalla legge, ponendo il medico in una posizione ambigua. “In Italia il problema ha origini non lontane, legate alla legislazione. Basti pensare al D.P.R. n. 309 del 9 ottobre 1990, improntato solamente alla prevenzione dell’uso degli oppiacei a scopo illecito. La figura del malato non veniva contemplata, a scapito della possibilità di alleviare le sue sofferenze. Il medico prescrittore veniva collocato in un contesto ambiguo, al limite dell’illecito: un pusher. Solo la Legge dell’8 febbraio 2001 n. 12 – Norme per agevolare l’impiego dei farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore – ha permesso di curare la persona affetta da dolore degenerativo e oncologico con farmaci oppiacei, riconoscendo il ruolo terapeutico di questi farmaci” afferma il dott. Vellucci.

Gli oppiacei

forti sono

considerati

anche più

pericolosi

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Cosa sappiamo della Legge 38/2010

La Legge 38/2010 ha semplificato l’utilizzo degli oppiacei, favorendo la continuità assistenziale del paziente oncologico con dolore anche in ambito extra-ospedaliero. Con questa legge, le figure di riferimento della terapia diventano, oltre al palliativista, l’oncologo e il medico di medicina generale. Ciò ha portato a una vera e propria rivoluzione culturale nel campo della terapia del dolore. “La Legge 38 rappresenta una grande opportunità per favorire l’uso di terapie adeguate per il controllo del dolore e della sofferenza in genere nei malati oncologici. Se è stato necessario emanare una legge per consentire l’accesso a cure adeguate di questo tipo di malati, è evidente quanto poco diffuso sia ancora il sistema delle cure palliative e della terapia del dolore in Italia” sostiene il dott. Piero Morino. “Penso che la Legge 38/2010 sia stata fondamentale per innescare una vera e propria rivoluzione culturale nel campo della terapia del dolore e delle cure palliative, e che continuerà a provocare effetti positivi sulla qualità delle cure dei pazienti oncologici e non.” ribadisce il dott. Paolo Scarsella. “L’aspetto più importante della Legge 38/2010 è la possibilità di prescrizione dei farmaci oppiacei, sia personalmente da parte dell’oncologo, sia attraverso indicazione ad altri medici, in particolare ai medici di famiglia; ciò permette di poter realizzare una vera continuità assistenziale. Il problema della gestione del dolore sta ormai diventando parte integrante della cura del paziente oncologico, sia a domicilio sia in ambito ospedaliero. Sempre più, accanto a queste due figure professionali, si allinea il medico palliativista dotato di maggiori e specifiche competenze” afferma la dott.ssa Elena Bartalucci. “La Legge 38 ha rappresentato un grande passo avanti per la lotta al dolore: facilitando la prescrizione di molti farmaci oppiacei forti, riconosce il diritto del malato a non soffrire. Permane tuttavia una reticenza alla prescrizione della morfina in fiale, anche se il ricettario era già stato modificato e in qualche modo semplificato in precedenza. La legge si occupa anche della rilevazione del dolore e dell’annotazione dei parametri nella cartella clinica, definisce l’accesso alle cure palliative e si occupa di formazione medica e infermieristica” afferma la dott.ssa Stefania Bellini. “Questa legge ha portato alla ribalta il problema dolore, la necessità di valutarlo e verificare l’efficacia della terapia, il diritto di ogni paziente di essere trattato con farmaci adatti e facilmente prescrivibili, il diritto di accedere a un servizio di cure palliative, l’importanza della formazione continua dei medici e dell’informazione della popolazione generale. Il problema sarà l’attuabilità di questi propositi, tenendo conto anche delle risorse disponibili. Quanto previsto dalla legge non cambia sostanzialmente il lavoro dello specialista, ma dovrebbe risolvere il problema spesso evidente dell’inadeguatezza formativa di molti colleghi medici e del personale infermieristico. Nella mia realtà clinica gli sforzi si vedono e il dolore viene monitorato a partire dal triage infermieristico non appena il paziente arriva in day hospital oncologico. L’oncologo successivamente lo

Secondo la ricerca italiana “Il dolore da cancro in Italia”, realizzata da Demoskopea e commissionata dal Centro Studi Mundipharma, i cui risultati sono stati resi noti lo scorso luglio, a due anni dall’approvazione della Legge 38, che rende più accessibile l’utilizzo dei farmaci oppiacei, tale legge non risulta ancora sufficientemente conosciuta. Su un campione di 200 oncologi italiani, il 57% dichiara di conoscerla, il 27% di conoscerla solo in parte e il 16% dichiara di non saperne nulla. Quale è la sua esperienza al riguardo?

La terapia

antalgica

ancora marginale

per l’oncologo

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indaga meglio e prescrive la terapia, oppure segnala il caso al palliativista. Più attenzione andrà posta, a mio giudizio, alla verifica dell’efficacia della terapia” afferma la dott.ssa Sonia Zoccali.

La Legge 38/2010 è tuttavia ancora poco conosciuta, sia tra i medici che tra i pazienti. Essa viene comunque divulgata da diverse associazioni di pazienti, ed è oggetto di varie giornate di studio organizzate con i medici di famiglia. Lo scenario si avvia quindi a cambiare rapidamente. “In effetti, la Legge 38 è ancora poco conosciuta non soltanto tra gli oncologi ma anche tra i pazienti. Stiamo tuttavia assistendo al fiorire di numerose associazioni di pazienti che promuovono la conoscenza dei contenuti della legge e che porteranno i malati a una sempre maggior consapevolezza dei propri diritti e dei doveri dei medici, delineando nuovi profili di responsabilità” sostiene la dott.ssa Laura Doni. “Sono d’accordo con Demoskopea: effettivamente gli oncologi sono più life-save oriented e concepiscono la terapia antalgica più come terapia marginale, senza effetti sulla prognosi. Pertanto, la proposta di terapie palliative viene spesso vissuta dall’oncologo come un fallimento, come un tentativo di lenire anziché curare” afferma il dott. Maurizio Mannocci. “Si può ritenere che la Legge 38/2010 non sia ad oggi ancora sufficientemente conosciuta, anche in relazione a significative differenze fra le varie regioni (maggiore conoscenza nel Centro-Nord) e per fasce di età (maggiore conoscenza fra i giovani oncologi)” commenta il dott. Bruno Neri. “La carenza maggiore riguarda la modalità di applicazione della legge stessa e i percorsi che il cittadino deve seguire per accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore. Stiamo organizzando, anche con i medici di medicina generale interessati ad approfondire l’argomento, delle giornate di incontro durante le quali definire i percorsi più idonei per il paziente. Da questi incontri scaturisce la necessità di conoscere meglio le terapie per il controllo del dolore, sia oncologico che cronico, per garantire al paziente un percorso assistenziale che non lo abbandoni, indirizzandolo al servizio di terapia del dolore e/o di cure palliative in base alla fase di malattia in cui si trova” aggiunge la dott.ssa Francesca Ciappi. “Raramente incontro colleghi per i quali i principi della legge sono oscuri o ignorati. Almeno nell’Azienda Sanitaria dove lavoro

credo che l’attenzione al sintomo dolore sia alta e che nella quasi totalità delle cartelle cliniche, sia mediche che infermieristiche, la rilevazione del dolore sia effettuata e riportata. Questo risultato non è casuale. Occorre ricordare infatti che già nel Piano Sanitario Regionale 2005-2007 della regione Toscana era presente il Progetto speciale n. 3 Controllo e cura del dolore, in cui si sottolineava l’importanza sia della valutazione del dolore ma anche della formazione” ribadisce il dott. Scarsella.

Al contempo, appaiono poco conosciute anche le conseguenze medico-legali della scarsa conoscenza e della mancata applicazione della Legge 38/2010, che possono configurare l’ipotesi di una grave inadempienza medica. “Le ripercussioni della Legge 38/2010 in ambito medico-legale non sono ancora adeguatamente documentate, ma è certo che essa ha gettato le premesse per futuri possibili addebiti di responsabilità professionale, ad esempio di tipo omissivo, in tutti i casi in cui non venga fatto ricorso a oppiacei forti in presenza di un dolore di grado severo” afferma la dott.ssa Doni.“La mancata registrazione del dolore e dei trattamenti finalizzati ad alleviarlo è una grave inadempienza, che ci espone a seri rischi professionali. La legge segna un cambiamento epocale, precisando la distinzione tra terapia del dolore e cure palliative e ribadendo la centralità del paziente nel percorso delle cure; ignorarla significa rischiare gravi inadempienze che penalizzano la qualità della vita di persone malate. Oggi ritengo sia inaccettabile che un medico dichiari di non conoscere la Legge 38 del 2010, che ha radicalmente cambiato il nostro modo di gestire il dolore. Se è grave che un sanitario ignori il contenuto della Legge 38, ancora più grave è l’ignoranza di molti amministratori regionali, che latitano nell’applicazione di quanto in essa enunciato e delle linee guida per la promozione, lo sviluppo e il coordinamento degli interventi che riguardano la terapia del dolore” commenta il dott. Renato Vellucci.

È molto importante, a questo riguardo, che il dolore venga oggettivato, cioè misurato con adeguate scale e segnalato nella cartella clinica. “Sempre di più viene quindi effettuato il rilievo del grado di dolore, anche se con modalità diverse a seconda delle diverse possibilità di registrazione. La rilevazione del dolore deve essere

conoscere

meglio le terapie

per il controllo

del dolore

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obbligatoriamente riportata in cartella clinica e devono essere favorite iniziative che comportino la compresenza di oncologo e palliativista nella gestione del paziente con dolore” afferma la dott.ssa Bartalucci. “Bisogna tuttavia distinguere gli ambiti di cura. In un paziente ricoverato, il dolore viene più facilmente monitorato, spesso anche diverse volte al giorno, e viene riportato nella cartella clinica. Per il paziente ambulatoriale o che pratica trattamenti in regime di day hospital, il monitoraggio può essere meno puntuale specie per quanto concerne il breakthrough pain. Per migliorare questo aspetto non è sufficiente agire sull’informazione, ma occorre anche un’analisi dettagliata degli eventuali ostacoli organizzativi, cui segua la programmazione di adeguate strategie di miglioramento” sostiene la dott.ssa Doni. “Sempre di più nei reparti si presta attenzione alla misurazione del dolore attraverso le scale di rilevazione presenti nella cartella clinica. Questa pratica è collaudata e ben definisce l’intensità del dolore indicata dal paziente, che viene riportata in cartella. Alla misurazione segue l’intervento medico per stabilire la terapia del dolore. Sempre più frequenti sono le consulenze che vengono richieste al palliativista per una corretta gestione del dolore, specialmente per dosaggi di oppiacei elevati e per la cosiddetta “terapia al bisogno”, ovvero formulazioni di oppiacei da utilizzare nei momenti di riacutizzazione del dolore” afferma la dott.ssa Ciappi. “Tutte le Aziende Sanitarie dovranno adottare uno strumento per la misurazione del dolore che sarà integrato nella cartella clinica. In ospedale la misurazione sarà eseguita tre volte al giorno. Saranno stabilite specifiche intese con il sistema universitario affinché fin dalla formazione di base i futuri medici e infermieri vengano preparati anche sul tema del dolore, che sarà presente anche nei programmi di formazione continua obbligatoria aziendale. A prendere in carico il malato con dolore sarà un’équipe multiprofessionale composta sia da medici che da infermieri” aggiunge il dott. Scarsella.

Tuttavia, ad oggi, la registrazione del dolore nella cartella clinica e il suo monitoraggio non sono ancora entrati completamente nella pratica clinica corrente, anche se questa procedura inizia a diventare frequente in diversi ambiti terapeutici. È importante

che anche l’infermiere contribuisca a tale procedura. “Non solo il dolore spesso non viene registrato, ma spesso si aspetta che venga dichiarato spontaneamente dal paziente. Il paziente deve essere, al contrario, aiutato nel monitoraggio del dolore, in modo da prescrivere da subito una terapia di base, insieme a una terapia aggiuntiva al bisogno. Spesso sia i medici sia i pazienti non percepiscono il circolo vizioso che dal dolore, attraverso la depressione e l’ansia, porta alla fatica e alla diminuzione di performance del paziente. Il controllo del dolore può trasformarlo in un circolo virtuoso, con molteplici benefici che vanno al di là del semplice non percepire dolore fisico” afferma il dott. Mannocci. “Con notevoli differenze fra i vari Centri Oncologici, credo che ancor oggi il sintomo “dolore” non venga monitorato adeguatamente e spesso neanche riportato sulla scheda-paziente o sulla cartella clinica. Soprattutto, non viene considerato il fatto che una precisa e precoce segnalazione delle caratteristiche e dell’entità del dolore ne facilita il trattamento futuro nella maniera più adeguata” asserisce il dott. Neri. “Sono convinto che le realtà dove il dolore non viene monitorato esistano, ma siano in continua diminuzione. Ovviamente, monitorare il dolore non esaurisce il nostro compito, perché il monitoraggio deve fare parte di una procedura il cui obiettivo è la riduzione del dolore e delle sofferenze. Misurare il dolore è il mezzo per decidere di intraprendere terapie finalizzate a controllarlo e valutarne l’efficacia. Ciò richiede un presupposto fondamentale: credere a quello che i nostri malati ci riferiscono, sgombrando il campo dai pregiudizi” sostiene il dott. Vellucci. “Ormai tuttavia, la misurazione del dolore è abbastanza frequente in ogni setting assistenziale: attualmente, bisognerebbe monitorare come viene trattato il dolore quando è rilevato e, soprattutto, con quale risultato” aggiunge il dott. Morino. “Nelle sezioni mediche e infermieristiche della cartella clinica vengono riportati l’intensità del dolore, la terapia antalgica e i farmaci utilizzati con i relativi dosaggi e i risultati ottenuti. Le cartelle cliniche infermieristiche sono talvolta più precise nella compilazione rispetto a quelle mediche, confermando l’interesse infermieristico per la gestione dei sintomi del paziente” sostiene la dott.ssa Bellini.

pazienti e medici

non percepiscono

il circolo vizioso

innescato dal

dolore

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Medici e specialisti nella prescrizione di oppiacei

La maggior parte dei clinici intervistati ritiene che il livello di conoscenza degli oppiacei da parte dell’oncologo sia adeguato; al contrario, viene segnalata la permanenza di un atteggiamento di tipo “oppiofobico” in diversi medici di famiglia, soprattutto appartenenti alle generazioni passate. Tale atteggiamento appare tuttavia in rapido miglioramento, in una prospettiva collaborativa che favorirà sempre di più la continuità assistenziale. “Ritengo che gli oncologi medici abbiano avuto la necessità di occuparsi del trattamento del dolore e quindi abbiano ormai dimestichezza con la gestione dei farmaci oppiacei, così come si occupano del trattamento di altre terapie di supporto necessarie al paziente oncologico (emesi, tromboembolismo, reazioni cutanee, depressione etc.). Nella mia esperienza con i medici di famiglia non ricordo di aver incontrato ostacoli alla prescrizione di farmaci analgesici, anzi almeno in un paio di occasioni ho visto entrare nella pratica comune farmaci di nuovo impiego, proprio nell’ottica della collaborazione e della continuità assistenziale” sostiene la dott.ssa Elena Bartalucci. “Nella pratica clinica ho riscontrato una buona conoscenza degli oppiacei da parte degli oncologi, un corretto utilizzo e una buona capacità di gestione degli effetti collaterali. Quotidianamente siamo a fianco dell’oncologo per una corretta gestione del dolore e per le variazioni della terapia nelle diverse fasi della malattia. Con i medici di medicina generale da anni lavoriamo insieme per gestire al meglio il dolore dei loro pazienti. Il servizio di cure palliative domiciliari prende in carico il paziente nelle fasi avanzate di malattia con il medico di medicina generale, creando attorno al paziente un’equipe curante che si occupa della gestione dei sintomi nelle fasi finali di malattia. Attraverso una collaborazione così stretta e la condivisione delle terapie, è cresciuta l’esperienza dei medici di medicina generale nell’uso di tali farmaci” afferma la dott.ssa Francesca Ciappi. “L’atteggiamento dei medici italiani riguardo agli oppiacei è stato definito da alcuni autori come “oppiofobia”. Negli ultimi anni è stato fatto molto per migliorare la conoscenza di questi farmaci soprattutto sul fronte dei temuti eventi avversi. Oggi si incontrano meno resistenze rispetto al passato nella loro prescrizione, in particolare da parte dei medici di medicina generale che, grazie alla Legge 38, sono stati identificati come primo riferimento nell’ambito della rete territoriale delle strutture sanitarie coinvolte nella gestione dei cittadini con dolore” afferma la dott.ssa Laura Doni. “Non deve essere richiesto ai medici di base di divenire specialisti, ma di essere in grado di identificare il sintomo dolore e prima di tutto di considerarlo un sintomo come un altro, che va trattato da subito anche se lieve, e di cui va impostata una prevenzione farmacologica. Nella maggioranza dei casi, il dolore è sotto-trattato perché la sua importanza per il benessere e per la guarigione del paziente viene sotto-stimata (in realtà il controllo del dolore anticipa la possibile guarigione). Purtroppo inoltre, i medici di base spesso non cambiano la terapia del medico precedente, specie se

Nella ricerca “Il dolore da cancro in Italia”, il 64% degli oncologi ritiene che in Italia manchi un’adeguata conoscenza degli oppiacei, il 62% giudica il loro impiego sottodimensionato a favore dei FANS e un complessivo 87% segnala di aver incontrato resistenze presso i medici di medicina generale nel prescriverli. Sulla base della sua esperienza, come valuta la conoscenza che gli oncologi italiani hanno di questa categoria di farmaci e quale tipo di atteggiamento verso gli oppiacei ha riscontrato nei medici di medicina generale?

Stretta

collaborazione

specialista

Mmg migliora

il trattamento

del dolore

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ospedaliero o specialista, anche se il quadro clinico è visibilmente mutato dall’ultima visita in ospedale” sostiene il dott. Maurizio Mannocci.

A volte è la stessa terapia del dolore a essere sottovalutata dai clinici. “Fonti autorevoli riferiscono che secondo uno studio condotto dallo Share Zedek Medical Center di Gerusalemme, tra dicembre 2010 e luglio 2012, pochissimi Paesi hanno fornito tutti e sette gli oppiacei considerati essenziali per combattere i dolori del cancro, così come stabilito dall’Associazione internazionale per le cure palliative (International Association for Hospice and Palliative Care). Anche in Italia morfina orale a rilascio immediato e lento, codeina, ossicodone, metadone e fentanyl transdermico sono a disposizione dei pazienti, ma la terapia del dolore resta sottoutilizzata. Abbiamo la Legge 38 del 2010 che obbliga i medici a valutare il dolore e a precisarne l’entità nella cartella clinica, ma quello che ancora manca è l’adeguata attenzione e preparazione dei medici” – ha dichiarato Carla Ripamonti dell’IRCCS di Milano –” riporta il dott. Paolo Scarsella.

La conoscenza dell’uso degli oppiacei tra i clinici appare peraltro non uniformemente distribuita nel territorio nazionale: nei grandi centri di riferimento tale conoscenza è ovviamente adeguata, ma in periferia rimangono ancora molte lacune nel livello di informazione degli operatori. “La realtà del territorio è quanto mai variegata e richiama l’attenzione sulla necessità di continue iniziative didattico-formative” afferma la dott.ssa Doni. “La conoscenza di questi farmaci è distribuita a macchia di leopardo tra i colleghi medici, in relazione alla loro formazione ed esperienza. Nel corso degli anni col ricambio generazionale dei colleghi più tradizionalisti si è accresciuta la conoscenza sia in ambito oncologico che in quello della medicina generale. È in qualche modo passato il concetto che il dolore vada trattato, e più spesso i colleghi ci contattano per avere consigli sulle terapie o per affidarci pazienti. Sempre meno si incontrano quei colleghi che vedevano gli oppiacei come terapia destinata ai soli pazienti terminali e associata al rischio di sviluppare dipendenza” dichiara la dott.ssa Sonia Zoccali. “Nonostante la disponibilità e la pronta pubblicazione di semplici ed efficaci linee guida sul dolore, medici e infermieri frequentemente difettano nella

comprensione degli aspetti chiave della gestione del dolore, tra cui la valutazione della sua entità, il dosaggio dei vari farmaci antalgici, la tolleranza e la dipendenza. Purtroppo, ancora oggi molti operatori sanitari non sanno che l’eliminazione del dolore è possibile nella maggior parte dei casi, opportunità che dovrebbe essere offerta a tutti i pazienti oncologici e non oncologici” ribadisce il dott. Bruno Neri.

Ancora una volta il problema può essere risolto ricorrendo a un approccio multidisciplinare, che permetta una stretta collaborazione tra medici del territorio, oncologi e palliativisti. Questa collaborazione fornisce anche al paziente la sensazione di essere trattato nel migliore dei modi. “Ogni anno in Italia si registrano 365mila nuovi casi di tumore, con 500 decessi al giorno; la quasi totalità dei malati oncologici vive un’esperienza di dolore durante l’iter della malattia. Questo pone l’oncologo di fronte alla frequente necessità di affermare l’impossibilità di incrementare la sopravvivenza del malato, di comunicare una valutazione prognostica definitivamente negativa, di accettare il “fallimento” delle terapie specifiche. Molto spesso la chemioterapia diventa il “mezzo” con cui il paziente e l’oncologo mantengono un reciproco sistema di comunicazione. Uscire in maniera vincente da queste problematiche è possibile potenziando un approccio pluridisciplinare, nel quale il malato oncologico avverte figure come il palliativista, il terapista del dolore e l’oncologo come appartenenti a un unico team, senza percepire traumatici passaggi di mano nelle diverse fasi di malattia. In questo contesto è più facile lo sviluppo di un metodo di lavoro condiviso, che porti ad una crescita di tutti gli attori dell’equipe” sostiene il dott. Renato Vellucci.

Infine, ancora una volta occorre ribadire l’importanza di una corretta formazione degli operatori di medicina del dolore, peraltro prevista dalla stessa Legge 38/2010. “Ritengo essenziale la formazione prevista dalla Legge 38/2010 per il trattamento del dolore nel paziente oncologico, per accrescere l’esperienza e migliorare i risultati; comunque ritengo che da parte dei medici di medicina generale siano in aumento le prescrizioni di oppiacei forti grazie anche alla facilitazione nelle prescrizioni previste dalla legge e a una maggiore consapevolezza nei riguardi del

favorire

l’approccio

multidisciplinare

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dolore” afferma la dott.ssa Stefania Bellini. “Il medico di medicina generale utilizza sempre di più questa classe di farmaci, a volte ci contatta anche soltanto per avere

una consulenza telefonica. Solo i più anziani sono più riluttanti alla prescrizione di oppiacei forti” commenta il dott. Scarsella.

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Approccio multidisciplinare al paziente

Benché sia necessario premettere che i principi di terapia del dolore debbano far parte del normale bagaglio culturale dell’oncologo, pressoché tutti i clinici intervistati concordano nel sostenere che un approccio multidisciplinare al problema del dolore oncologico sia essenziale, anche allo scopo di favorire la continuità assistenziale tra centri specializzati e medicina del territorio. “La possibilità di seguire il paziente fin dall’inizio del suo trattamento oncologico insieme allo specialista del dolore/palliativista assicura, tramite la condivisione delle conoscenze farmacologiche e terapeutiche, la gestione contemporanea sia della patologia sia di tutti i sintomi connessi (dolore nelle sue varie forme, insonnia, anoressia etc.), offrendo al paziente la possibilità di interfacciarsi con più medici di riferimento e di connettersi, attraverso il medico palliativista, alle strutture sanitarie del territorio (medici di medicina generale, infermieri del territorio). Con il progredire della patologia neoplastica, la figura di riferimento passerà senza traumi dalla prevalenza del binomio oncologo-palliativista al rapporto palliativista/generalista. La contemporanea presenza di più figure sanitarie (infermieri del reparto oncologico e dell’equipe di palliazione) consente inoltre di migliorare l’approccio al paziente oncologico, valutandone con più attenzione i bisogni” afferma la dott.ssa Elena Bartalucci. “L’approccio multidisciplinare mi sembra l’unica strada da percorrere per allargare le conoscenze, crescere culturalmente come specialisti e garantire una migliore cura dei pazienti. Attualmente mi occupo proprio di un progetto di simultaneous care all’interno dell’Oncologia dell’Azienda Sanitaria di Firenze. Con grande soddisfazione vivo questa integrazione quotidianamente non senza difficoltà, ma con risultati evidenti per i pazienti” dichiara la dott.ssa Sonia Zoccali. “L’approccio integrato è fondamentale: i medici non devono diventare specialisti del dolore, ma devono cambiare mentalità. L’approccio multidisciplinare che già sta diventando frequente nei reparti di oncologia si deve basare anche sulla condivisione con terapisti del dolore/palliativisti e non solo con chirurghi, urologi etc.” sostiene il dott. Maurizio Mannocci. “Nella maggioranza dei casi di approccio al problema dolore nel paziente oncologico, ritengo che l’esperienza e le conoscenze del medico specialista oncologo siano da sole sufficienti per la gestione del problema e che solo in particolari situazioni (< 20% dei casi) sia auspicabile un approccio multidisciplinare, integrando le conoscenze dell’oncologo con quelle del terapista del dolore e del palliativista” sostiene il dott. Bruno Neri. “L’approccio multidisciplinare è parte integrante delle cure palliative, permette la gestione di problemi spesso complessi e consente di soddisfare i bisogni dei pazienti oncologici affetti da dolore e contribuire a un miglioramento della qualità della vita” commenta la dott.ssa Stefania Bellini. “Credo che questo approccio sia fondamentale per più motivi: l’approccio multidisciplinare, ma anche multiprofessionale, permette innanzitutto una visione globale

Quanto ritiene importante favorire l’approccio multidisciplinare al paziente con dolore oncologico, in un’ottica di integrazione delle competenze tra oncologo e terapista del dolore?

Approccio

integrato: positivi

risvolti psichici

per il paziente

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del paziente che rispecchia la complessità dei quadri clinici di cui stiamo parlando, per cui certamente le cure saranno più efficaci; inoltre, se prendiamo in considerazione che non tutti i pazienti, specialmente nelle fasi precoci, possono essere presi in carico da equipe specialistiche dedicate al controllo dei sintomi, l’approccio multidisciplinare consente una “contaminazione virtuosa” di conoscenze e competenze diverse che porta alla crescita professionale dei singoli professionisti coinvolti. Nella nostra esperienza, la presenza strutturata di un medico palliativista nei day hospital oncologici ha migliorato la continuità assistenziale garantendo un passaggio, senza soluzione di continuità, dalle cure attive a quelle palliative, evitando il senso di fallimento e di abbandono che altrimenti colpisce il malato, la famiglia ma spesso anche i professionisti coinvolti nell’assistenza” afferma il dott. Piero Morino.

È importante anche eseguire una valutazione diagnostica accurata del dolore e delle sue cause, in modo da assistere l’oncologo nel caso in cui la genesi di tale dolore sia complessa. “Per curare al meglio il dolore occorre una valutazione diagnostica accurata, che consenta di identificarne le cause e i meccanismi patogenetici. Spesso l’oncologo si trova di fronte a sindromi dolorose difficili da inquadrare e da trattare, che richiedono un approccio terapeutico complesso. In questi casi è sicuramente fondamentale il confronto con il terapista del dolore, con il quale concertare una gestione integrata, senza dimenticare però che il paziente ha sempre e comunque come riferimento principale l’oncologo” afferma la dott.ssa Laura Doni.

L’approccio multidisciplinare al dolore oncologico ha infine dei fondamentali risvolti positivi sulla psiche del paziente, facendolo sentire trattato nel migliore dei modi possibili. Inoltre, esso migliora il rientro del paziente nella medicina territoriale, favorendo il coinvolgimento dei medici di famiglia nella terapia del dolore. “Nei centri oncologici italiani più culturalmente evoluti l’approccio multidisciplinare al dolore oncologico rappresenta la prassi. In contesti di questo genere la figura dell’oncologo è più completa, con migliori competenze tecniche nella gestione dei farmaci oppiacei. Nonostante gli sforzi delle Società scientifiche, in periferia la situazione può essere molto diversa e in questi ambiti

vanno concentrati sforzi formativi e di monitoraggio per garantire l’applicazione della Legge 38. Spesso fermandomi a parlare con le persone ammalate e i loro parenti, ho chiesto quale fosse l’aspetto che più positivamente li colpisse nei centri oncologici di fama nazionale ed Europei. La risposta è stata sempre la stessa “la collaborazione di un gruppo di specialisti di diversa estrazione mi faceva sentire curato meglio” dichiara il dott. Renato Vellucci. “Il paziente con dolore oncologico necessita di un approccio multidisciplinare e, quando la situazione clinica lo richieda, di una presa in carico congiunta fra oncologo e palliativista. Da circa sei mesi mi occupo del progetto “Oltre il Ponte”, un progetto della Fondazione Italiana LEniterpia che garantisce la continuità assistenziale per il paziente oncologico. Questo progetto prevede la presenza di un medico palliativista quotidianamente nei day hospital oncologici, per garantire continuità assistenziale nelle situazioni che prevedono l’affidamento alle cure palliative e un’adeguata terapia del dolore e controllo dei sintomi che accompagnano la malattia. La presa in carico di pazienti oncologici a prognosi infausta da parte dell’oncologo e del palliativista favorisce l’integrazione fra ospedale e territorio e assicura l’integrazione con i medici di medicina generale nel passaggio fra terapie attive e cure palliative. Durante la visita viene definita la terapia del dolore adeguata per il paziente, condivisa con il medico di medicina generale attraverso una relazione consegnata al paziente per fare in modo che il medico sia a conoscenza dei farmaci prescritti e possa a sua volta prescriverli garantendo la continuità terapeutica” afferma la dott.ssa Francesca Ciappi.

Infine, ma non meno importante, è da ricordare che l’approccio multidisciplinare al dolore oncologico può trovare nelle alleanze terapeutiche delle varie figure coinvolte anche un metodo per evitare sovraccarichi anche alla vita degli operatori sanitari. “È impensabile poter gestire al meglio pazienti complessi in prima persona. L’approccio multidisciplinare, seppure con le difficoltà organizzative che ogni cambiamento inizialmente provoca, non può che assicurare una migliore qualità di vita al paziente con dolore. La rete prevista nel modello organizzativo della Legge 38 può e deve essere attiva anche tra le competenze specialistiche (oncologo, terapista del dolore,

L’approccio

multidisciplinare

facilita anche il

lavoro degli

operatori sanitari

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palliativista). Inoltre, il lavoro di gruppo permette di incrementare lo scambio di conoscenze teoriche e pratiche tra i vari componenti del team, migliorando così la qualità delle cure ma anche la qualità di vita dell’operatore e la prevenzione

della sindrome da burn-out. Semmai si potrebbe obiettare che alla presa di coscienza della necessità di curare il dolore non ha corrisposto un adeguato incremento di personale dedicato” sostiene il dott. Paolo Scarsella.

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Edito da

Con il contributo incondizionato di

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