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PADRE ALESSANDRO MAZZUCCO MONTAGNA, SCIENZA E DIDATTICA NEGLI ANNI OTTANTA DEL NOVECENTO ATTI DEL CONVEGNO DI VARALLO 12 OTTOBRE 2012 contributi di Mauro Agarla Marisa Bressa Roberto Cairo Edoardo Dellarole Roberto Fantoni Mauro Festa Larel Ferruccio Frigiolini Piera Micheletti Elvira Poletti Giorgio Salina Renato Zacquini

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Padre Mazzucco, un insegnante, un prete, uno scienziato. Atti del Convegno tenutosi all'Istituto Superiore d'Adda sulla sua figura.

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PADRE ALESSANDRO MAZZUCCO MONTAGNA, SCIENZA E DIDATTICA NEGLI ANNI OTTANTA DEL NOVECENTO

ATTI DEL CONVEGNO DI VARALLO 12 OTTOBRE 2012

contributi di Mauro Agarla Marisa Bressa Roberto Cairo

Edoardo Dellarole Roberto Fantoni

Mauro Festa Larel Ferruccio Frigiolini

Piera Micheletti Elvira Poletti

Giorgio Salina Renato Zacquini

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In copertina: Padre Alessandro Mazzucco sul Ghiacciao delle Loccie, 4 agosto 1969 contributi di Mauro Agarla, Marisa Bressa, Roberto Cairo, Edoardo Dellarole, Roberto Fantoni, Mauro Festa Larel, Ferruccio Frigiolini, Piera Micheletti, Elvira Poletti, Giorgio Salina e Renato Zacquini © Istituto Superiore D’Adda Varallo ottobre 2012 È consentita la riproduzione e la diffusione dei testi, previa autorizzazione degli Autori, purché non abbia scopi commerciali e siano correttamente citate le fonti.

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INDICE

Presentazioni 8 Mauro Agarla Renato Zacquini Edoardo Dellarole Padre Alessandro Mazzucco. Montagna, scienza e didattica negli anni Ottanta del Novecento 13 Giorgio Salina Da Pietro Calderini a Padre Mazzucco. Montagna, Scienza e didattica tra Ottocento e Novecento 15 Roberto Fantoni PADRE ALESSANDRO MAZZUCCO Ricordo di Padre Alessandro Mazzucco 23 Giorgio Salina I Padri Dottrinari (Congregatio Patrum Doctrinae Christianae) e Padre Alessandro Mazzucco 27 Marisa Bressa L'insegnante 33 Mauro Festa Larel L'escursionista 35 Ferruccio Frigiolini I SUOI STUDI Montagne di carta 41 Roberto Cairo Dagli appunti del Padre Prof. Alessandro Mazzucco sulle origini delle “coppelle” osservate in Valsesia. “Gutta cavat lapidem non vi, sed saepe cadendo” 43 Piera Micheletti I coni di ghiaccio 47 Alessandro Mazzucco La toponomastica valsesiana 53 Elvira Poletti La stazione meteorologica 57 Roberto Cairo Ringraziamenti 63

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PRESENTAZIONI Mauro Agarla preside dell'Istituto Superiore D’Adda di Varallo

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La Congregazione dei Padri Dottrinari è particolarmente grata a quanti hanno voluto ricordare la vita operosa e sacerdotale del Prof. Mazzucco Padre Alessandro che per tanti anni ha svolto la sua missione di Docente di Scienze Naturali presso gli Istituti Superiori di Varallo. La sua vita di insegnante, ricercatore e Sacerdote si unisce a quella di altri Dottrinari che hanno svolto la loro missione di “glorificare Dio”, secondo lo spirito della Congregazione, animati dal desiderio di preparare alla vita diverse generazioni di giovani del secolo scorso nell’ambito della cultura e della formazione umana e cristiana. La bellezza e la perfezione del creato ha animato Padre Mazzucco ad approfondire, con spirito di ricercatore la natura, in modo particolare della Valsesia e del Monte Rosa, per leggerne le meraviglie nascoste e divulgarne la conoscenza. Ci sentiamo in dovere di ringraziare quanti hanno voluto raccogliere i suoi studi e le sue ricerche, non solo come opera divulgativa, ma anche come coronamento del ricordo storico di tanti altri Sacerdoti che nei secoli scorsi hanno dato il contributo di una vita alla diffusione di una cultura storica, scientifica, artistica e religiosa della Valsesia. A quanti hanno collaborato al buon esito del Convegno, l’augurio che il loro impegno serva a celebrare e ricordare quanti hanno dedicato la vita all’amore del creato, e tramite il linguaggio muto ma comunicativo e incisivo del creato, alla scoperta del Creatore, che Gesù ha insegnato a chiamare Padre. In questo cammino di ricerca, Padre Mazzucco, per i famigliari e confratelli, per tante persone che lo hanno conosciuto, ma soprattutto per allievi e colleghi che lo hanno frequentato quotidianamente, è stato un silenzioso, umile ma efficace accompagnatore.

Padre Zacquini Renato

Congregazione dei Preti della Dottrina Cristiana Casa S. Antonio, Varallo

Renato Zacquini

rettore della Congregazione di Varallo dei Padri Dottrinari

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Edoardo Dellarole

presidente della Commissione scientifica della sezione CAI di Varallo

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PADRE ALESSANDRO MAZZUCCO. MONTAGNA, SCIENZA E DIDATTICA NEGLI ANNI OTTANTA DEL NOVECENTO

Giorgio Salina

In occasione del 40° anniversario della sua morte, alcuni varallesi hanno deciso di proporre un convegno dedicato a una figura dimentica del clero valsesiano del secondo dopoguerra: Padre Alessandro Mazzuccco. Il convegno, organizzato da Istituto Superiore D'Adda (Varallo), Congregrazione dei Padri Dottrinari (Varallo) e dalla Commissione scientifica della sezione CAI di Varallo, si svolge presso l’Istituto Superiore d’Adda di Varallo sabato 12 ottobre 2012. La figura di Padre Mazzucco viene delineata, a livello pubblico e privato, nella prima sessione del convegno, dai contributi di suoi colleghi, studenti e amici (Giorgio Salina, Marisa Bressa, Mauro Festa Larel e Ferruccio Frigiolini. Quasi tutti i suoi studi sono rimasti inediti, con la sola eccezione di un lavoro sui Coni di ghiaccio,

pubblicato postumo nel 1993 sul Notiziario C.A.I. Varallo. Il lavoro viene ripresentato nel convegno e ripubblicato negli Atti. Tra gli appunti, affidati a montagne di carta, sono stati identificati due temi principali di ricerca, le coppelle e la toponomastica valsesiana, trattati rispettivamemte da Piera Micheletti ed Elvira Poletti. Viene inoltre descritta, da Roberto Cairo, la stazione meteorologica allestita da Padre Mazzucco nell’Istituto D’Adda. In questo volume sono raccolti i riassunti delle comunicazioni presentate al convegno, preceduti da un articolo di Roberto Fantoni dedicato a Montagna, scienza e didattica tra Ottocento e Novecento.

PROGRAMMA DEL CONVEGNO Sabato 12 ottobre 2012 Varallo, Istituo Superiore D’Adda 9.15 Apertura lavori e saluti dei rappresentanti degli enti organizzatori Mauro Agarla (Preside dell'Istituto Superiore D’Adda di Varallo Padre Renato Zacquini (Rettore della Congregazione di Varallo dei Padri Dottrinari) Edoardo Dellarole (Presidente della Commissione scientifica della sezione CAI di Varallo) 9.30 Padre Mazzucco Marisa Bressa: I Padri Dottrinari (Congregatio Patrum Doctrinae Christianae) e Padre Alessandro Mazzucco Giorgio Salina: Padre Alessandro Mazzucco Mauro Festa Larel: L'insegnante Ferruccio Frigiolini: L'escursionista 11.00 I suoi studi Roberto Cairo: Montagne di carta Piera Micheletti: Dagli appunti del Padre Prof. Alessandro Mazzucco sulle origini delle “coppelle” osservate in Valsesia. “Gutta cavat lapidem non vi, sed saepe cadendo” Mauro Festa Larel: I coni di ghiaccio Elvira Poletti: La toponomastica valsesiana Roberto Cairo: La stazione meteorologica

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DA DON PIETRO CALDERINI A PADRE ALESSANDRO MAZZUCCO MONTAGNA, SCIENZA E DIDATTICA TRA OTTOCENTO E NOVECENTO

Roberto Fantoni

In Valsesia, come in altre zone del settore centro-occidentali delle Alpi, nei decenni centrali dell’Ottocento i preti furono i principali artefici della scoperta della montagna (Fantoni, 2011). Giovanni Gnifetti, dopo aver ottenuto il sacerdozio, prese possesso della parrocchia in cui era nato il 3 settembre 1834 e rimase parroco di Alagna per 33 anni, sino alla morte, avvenuta nel 1867. Ai piedi del Monte Rosa veniva a conoscenza delle imprese alpinistiche sostenute nelle altre valli alpine e per spirito di emulazione desiderava replicarne le imprese. Aveva come unico obiettivo la conquista di una montagna, della montagna che per chi vive ad Alagna è la montagna per eccellenza, il Monte Rosa. Nel 1842, al quarto tentativo, raggiunse la vetta della Signal Kuppe, su cui lasciò un drappo rosso. Gnifetti coniugò la montagna alla patria; ma nel momento in cui raggiunse la vetta la patria era solo la piccola patria alagnese, in cui era nato e vissuto.

Fig. 1 – Giuseppe Gnifetti Con Gnifetti salì sulla Signal Kuppe un giovane alagnese, Giuseppe Farinetti (1821-1896). Il Farinetti non fu solo un alpinista; nel 1878 pubblicò sul Bollettino del CAI uno studio sulla

origine delle popolazioni tedesche a sud del Monte Rosa. Il teologo Farinetti coniugò la montagna con una piccola patria di cui scoprì l’identità etnica. Ma la montagna, dalla seconda metà dell’Ottocento, non rimase solo il luogo di imprese alpinistiche o di vette su cui issare bandiere.

Fig. 2 – Giuseppe Farinetti MONTAGNA, SCIENZA E DIDATTICA NELLA

SECONDA METÀ DELL’OTTOCENTO: PIETRO

CALDERINI Nella seconda metà dell’Ottocento la montagna si aprì, fisicamente e culturalmente, alla ricerca scientifica. Meteorologia e geologia furono i campi di studio più frequentati durante questa scoperta scientifica della montagna. In quegli anni Pietro Calderini (1824-1906) gestiva l’apertura di osservatori meteorologici a Varallo e al Colle di Valdobbia e si dedicò con particolare competenza agli studi geologici (Fantoni et alii, 2005, Fantoni, 2005). A Varallo, dove insegnava alle Scuole Tecniche, fu artefice, nel 1867, della fondazione della succursale di Varallo del Club Alpino (Fantoni et

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alii, in stampa) e della fondazione del Museo di Storia Naturale (Dellarole, 2005).

Fig. 3 – Pietro Calderini nelle sale del Museo di Storia Naturale di Varallo Per Calderini l’alpinista non era solo colui che “ascende le ardue cime de’ monti solo per deliziare gli sguardi in un vasto e magnifico orizzonte […] nell’unico scopo di rafforzarsi le membra, o di rinfrancare la salute, o di respirare una boccata di purissima aria”, ma anche chi osservava con attenzione la natura per allargare il suo sapere, chi intraprendeva faticosi viaggi “per studiare le epoche dei terreni che percorre, la natura delle rocce che incontra, le erbe e i fiori che gli si parano davanti, i rettili che strisciano sotto i piedi e gli uccelli che gli svolazzano intorno” (Calderini, 1867). Calderini coniugava in modo esemplare la montagna alla scienza e alla didattica. Negli stessi anni si distinse in Valsesia anche l’abate Carestia (1825-1908), insigne botanico e storico dimenticato, che lasciò una montagna di carte inedite (Fantoni, in stampa).

Fig. 4 – L’abate Antonio Carestia A fine secolo ci concluse il percorso risorgimentale e declinò la parabola positivista. La montagna sciolse il suo connubio con patria e scienza. La nazione era fatta, tutte le cime erano state conquistate. Quando stava per chiudersi questo ciclo si affacciò sui monti valsesiani un altro prete valsesiano: don Luigi Ravelli (1879-1963). Non aveva predilezioni e non aveva obiettivi particolari. Don Ravelli non scelse una montagna, ma percorse tutte le valli e raggiunse tutte le cime. Il risultato di questo lavoro fu la stesura della guida Valsesia e Monte Rosa. Questo tipo di guida, che si differenziava nettamente dalle guide selettive redatte dai viaggiatori dell’Ottocento, proponendo un taglio quasi enciclopedico, diverrà lo standard delle guide dei monti d’Italia CAI-TCI. L’atteggiamento di Ravelli, che saliva e descriveva ogni montagna, indicava che la montagna post-risorgimentrale e post-alpinistica era divenuta democratica: tutti, per censo e per capacità fisica, potevano andare su tutte le montagne (Fantoni, 2011).

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Fig. 5 – Don Ravelli MONTAGNA E CULTURA DEL TERRITORIO Nella seconda metà del Novecento l’attenzione per la montagna dalle discipline scientifiche si estese a quelle umanistiche. Una nuova generazione di preti era pronta in Valsesia ad accogliere questo nuovo compito. Questa attenzione per il territorio è esemplificata alla scala parrocchiale da don Pietro Ferri (1958-1981), parroco di Boccioleto (Cagna, 2004). Fu autore di numerosi articoli e curò per trent’anni la pubblicazione di un bollettino parrocchiale ricchissimo di notizie di carattere storico e artistico sul territorio di Boccioleto (Minonzio, 2004). Don Ferri promosse inoltre la raccolta in un oratorio del centro parrocchiale delle opere d’arte provenienti da cappelle e oratori frazionali. Il suo esempio fu seguito da don PierCesare De Vecchi a Campertogno (Ballarè, 2004).

Fig. 6 – Don Pietro Ferri

Alla scala valsesiana padre Eugenio Manni raccolse in otto volumi appunti storici ed artistici su tutte le parrocchie del territorio (Manni, 1973-1986). L’ARRIVO DEI PADRI DOTTRINARI: LA

DIDATTICA IN MONTAGNA Nel secondo dopoguerra i Padri Dottrinari, che avevano aperto una casa a Varallo nel 1937 ed una a Borgosesia nel 1947, raggiunsero posizioni di dirigenza nell’ambito delle scuole valsesiane, in cui esercitavano anche l’insegnamento (Avondo, 1981a, 1981b; Bressa, questo volume, pp. 27-31). Padre Battaglino fu preside del Liceo Scientifico di Borgoseia dal 1947 al 1957 e dell’Istituo Tecnico Commerciale B. Caimi dal 1960 al 1971. Successore di Padre Battaglino fu Enrico Allovio, preside al Liceo Scientifico nel biennio 1957-58 e poi preside della Scuole medie di Varallo dal 1964 al 1984. Nell’ambito di questa scuola nacque l’idea di estendere il percorso formativo dei ragazzi dai banchi di scuola alle montagne valsesiane. Artefice di questo progetto fu Padre Giovanni Gallino. Padre Giovanni Gallino Giovanni Gallino (1921-1986), di origini astigiane, giunse per la prima volta in Valseia per compiere gli studi filosofici, terminati nel 1941; in questo periodo prestò anche assistenza agli studenti del Collegio D’Adda. Nel 1955 ritornò in Valsesia come rettore dello stesso Collegio D’Adda. Dal 1972 al 1983 insegnò Lettere alle scuole medie di Varallo1. In questa scuola, su iniziativa dei professori Carlo Beccaria e Giovanni Gallino, con il sostegno del preside Padre Allovio, fu fondato, nel 1971, il GRIM (Gruppo Ragazzi in Montagna). L’associazione, costituitasi formalmente nel 1971, con la partecipazione dei soci CAI Giuseppe Tosi, Italo Grassi e Roberto Regis, condusse la prima escursione alla Res di Fobello il 16 maggio 1971, con la partecipazione di 60 ragazzi (Fontana, 1990). Dal GRIM nacque, l’8 aprile 1972, la Commissione Alpisnismo Giovanile della sezione CAI di Varallo, che si amplierà con la nascita dei gruppi ESCAI di Borgosesia e Grignasco2. 1 Padre Gallino fu anche Autore di due libri dedicati a figli e figlie dell'arte, in cui descrisse l’attività artigianale di uomini e donne della Valsesia (Gallino, 1980). 2 La Commissione Centrale di Alpinismo Giovanile, con delibera del 18 giugno 1988, deciderà di attribuire alla memoria di padre Giovanni Gallino la qualifica di “Accompagnatore Nazionale di Alpinismo Giovanile Emerito” (ANAGE). A Padre Gallino è stata recentemente dedicato un sentiero nei dintorni di

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Fig. 7 – Padre Gallino MONTAGNA, SCIENZA E DIDATTICA NELLA

SECONDA METÀ DELL’OTTOCENTO: PADRE

ALESSANDRO MAZZUCCO Nel secondo dopoguerra nelle scuole varallesi giungeva anche un altro padre dottrinario: Alessandro Mazzucco (1921-1992; Salina, questo volume, pp. 23-25). La sua attenzione per la Valsesia risaliva agli anni in cui frequentava il corso di Laurea in Scienze Naturali all’Università degli Studi di Torino, dove si laureò nel 1954 con una tesi su “Diatomee e licheni della Valsesia” e una tesina su “Faune plioceniche presso Borgosesia”. Dopo il conseguimento della laurea insegno per un breve periodo presso il Liceo Classico di Varallo. Nel 1956 si trasferì alla sede staccata di Varallo dell’Istituto Tecnico Commerciale Cavour di Vercelli, che dal 1960, divenne sede autonoma. In queste scuole insegno sino al suo pensionamento, avvenuto nel 1989, Scienze Naturali, Chimica, Merceologia e Geografia (Bressa, questo volume,

Varallo. Una lapide lo ricorda alla Bocchetta di Campello (31.10.1921 25.5.86 / 27.9.87 / OGNI VETTA

VALSESIANA / È UN ALTARE / SUL QUALE / PADRE

GIOVANNI GALLINO / DOTTRINARIO / GIOVANE CON I

GIOVANI / SPEZZÒ / IL PANE DELLA FRATERNITÀ / UMANA

/ ED OFFRÌ / IL VINO DELLA FATICA / DEL MONTANARO / NELL’ANNIVERSARIO DELLA MORTE).

pp. 27-31). A scuola riusciva a coinvolgere tutti gli allievi; su quelli meno interessati sapeva esercitare, oltre alla sua competenza, la sua autorevolezza. Nella scuola varallese utilizzò il nuovo laboratorio di scienze, istituito nel 1969, in modo esemplare, e ancora oggi armadi e cassettiere sono piene di campioni, di materiali di studio, di strumenti per organizzare delle lezioni pratiche di Padre Mazzucco (Festa Larel, questo volume, p. 33).

Fig. 8 – Padre Mazzucco alla Bocchetta delle Pisse Nella scuola il padre allestì anche una stazione metereologica, di cui fu osservatore dal 1962 al 1992 (Cairo, questo volume, pp. 57-61). Nel tempo libero dagli impegni scolastici frequentava in modo assiduo le montagne valsesiane (Frigiolini, questo volume, pp. 35-37). Le montagne valsesiane divennero il suo laboratorio. Nei suoi appunti, di ritorno da un’escursione nel Vallone del Maccagno, il 21 agosto 1985, scriveva: “… sogno una gita scolastica in questi luoghi, un libro vivo di geomorfologia glaciale, che dicono in un istante ciò che mille “lezioni” s’illudono di insegnare”3. I suoi interessi culturali, seppur molto differenziati, furono coltivati con metodo e competenza. In questo ambito Padre Mazzucco si rivela come una persona dagli interessi poliedrici, capace di coniugare, come cent’anni prima Pietro Calderini, montagna, scienza e insegnamento. Era però una persona riservata che, come fece cent’anni prima l’abate Carestia, lasciò una mole impressionante di

3 “Appunti sulle origini delle coppelle” con osservazioni raccolte nel corso di escursioni in Valsesia, raccolte in un quaderno e fogli con scrittura a mano, trascritte su supporto informatico computer dagli studenti dell’Istituto Superiore D’Adda di Varallo negli anni scolastici 2007-2008 e 2008-2009. La frase è citata anche in Cavagnino (2010) e Frigiolini (questo volume).

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appunti non finalizzati (Cairo, questo volume, p. 41). L’unica su pubblicazione è costituita da un’interessante memoria sui “coni di ghiaccio” del Monte Rosa, stampata postuma sul Notiziario della sezione di Varallo nel 1993 (Mazzucco, 1993; questo volume pp. 47-51). Negli anni in cui cresceva l’attenzione per le incisioni sui massi o su roccia, caratterizzate in Valsesia dalla netta prevalenza di coppelle (Manini Calderini, 1975, 1978, 1990; Visconti, 1987), seppe distinguere quelle naturali da quelle antropiche, e ne produsse un censimemento (Micheletti, questo volume, pp. 43-45). Si dedicò inoltre con grande impegno agli studi toponomastici, affrontati, cosa assai rara nell’ambito dell’erudizione locale, analizzando anche la toponomastica storica (Poletti, questo volume, pp. 52-54).

Fig. 9 - Padre Mazzucco alla Capanna Valsesia BIBLIOGRAFIA Avondo (1981) – P. Alfredo Battaglino. In Del Signore G. Avondo, Manni E., “Belle Figure del Clero Valsesiano”, p. II, pp. 195-196. Avondo (1981) – P. Enrico Allovio. In Del Signore G. Avondo, Manni E., “Belle Figure del Clero Valsesiano”, p. II, pp. 192-193. Ballarè E. (2002) – SN Giacomo maggiore Campertogno. Inventario del Museo. Museo di Campertogno, pp. 144. Cagna M.G. (2004) – Don Pietro Ferri, uomo di cultura. In Minonzio D. (a cura di), “All’Ombra della torre, Il bollettino di don Ferri”, Borgosesia, pp. 9-14. Calderini P. (1867) - Per l'inaugurazione d'un Museo di Storia Naturale e d'una sede di soccorso al Club Alpino Italiano fattasi a Varallo nei giorni 28 e 29 settembre 1867. Discorso del Prof. Calderini Pietro Direttore della Scuola Tecnica Varallo, Colleoni, pp. 23.

Cavagnino G. (2010) – Le coppelle glaciali. Notiziario C.A.I. Varallo, a. 24, pp. 57-58. Dellarole E. (2005) - Il Museo di Storia Naturale “Prof. Don P. Calderini”. In Fantoni R., Cerri R. e Dellarole E (a cura di), D’acqua e di pietra. Il Monte Fenera e le sue collezioni museali, pp. 53-58. Fantoni R., Cerri R., Dellarole E., Cagna M.G., Bonola M. e Mazzone P. (2005) - Pietro Calderini. Biografia e Bibliografia In Fantoni R., Cerri R. e Dellarole E (a cura di), D’acqua e di pietra. Il Monte Fenera e le sue collezioni museali, pp. 30-40. Fantoni R. (2005) - Gli studi di Pietro Calderini sulla geologia del Monte Fenera. Il contributo scientifico dei ricercatori locali nell’Ottocento valsesiano. Fantoni R., Cerri R. e Dellarole E (a cura di), D’acqua e di pietra. Il Monte Fenera e le sue collezioni museali, pp. 44-52. Fantoni R. (2011) - Preti valsesiani sui monti della Valsesia. In Cerri (a cura di), “Patria, scienza e montagna negli anni risorgimentali. una prospettiva valsesiana”. Zeisciu, Magenta, pp. 133-145. Fantoni R. (in stampa) – L’abate Antonio Carestia. Archivi e sentieri di montagna. In “Alle origini del Club Alpino, Un progetto integrato di politica, progresso, scienza e montagna”. Fantoni R., Cerri R. e Vercellino A. (in stampa) – Pietro Calderini, Carlo Montanaro e Carlo Regaldi. Un progetto integrato di progresso, scienza e montagna. In “Alle origini del Club Alpino, Un progetto integrato di politica, progresso, scienza e montagna”. Farinetti G. (1878) - Ultimi studi sulla origine delle popolazioni tedesche a sud del Monte Rosa. Boll. CAI, v. XII, n. 35, pp. 319-327. Fontana E. (1990) – G.R.I.M. 20 anni. Notiziario C.A.I. Varallo, a. 4, n. 2, pp. 7-10. Gallino G. (1980) – Album Valsesiano 1979. I Figli dell’Arte. Edizioni Corradini, Borgosesia, s.i.p. Gallino G. (1981) – Le figlie dell’arte. Manini Calderini O. (1975) – Note preliminari ad una tipologia delle incisioni sui massi della Valsesia. Boll. St. Prov. Novara, a. LXVI, n. 2, pp. 39-55. Manini Calderini O. (1978) - Incisioni sui massi in Valsesia (Monte Fenera e Valduggia). Bull. Etudes Prehist. Alpines, v. X, pp. 85-94. Manini Calderini O. (1990) - Petroglifi: segni dell’uomo sulla pietra. de Valle Sicida, n. 1, pp. 17-40. Manni E. (1973-1986) – I Campanili della Valsesia, Note di storia locale - ff. VIII, pp. 191, 249, 289, 309, 203, 282, 170, 165.

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Massacessi L. (2006) - Uno zaino per la vita. In cammino con il GRIM di Padre Giovanni Gallino. Mazzucco A. (1954) – Faune plioceniche della Valsesia. Università degli Studi di Torino. Mazzucco A. (1954) – Diatomee e licheni della Valsesia. Università degli Studi di Torino. Mazzucco A. (1993) – “Coni di ghiaccio” sul Monte Rosa. Notiziario C.A.I. Varallo, a. 7, n. 2, pp. 37-42. Minonzio D. (2004) - All’Ombra della torre, Il bollettino di don Ferri. Borgosesia. P.M. (1981) – Cav. Don Luigi Ravelli (1879-1968) Parroco di Foresto. In Del Signore G.

Avondo, Manni E., “Belle Figure del Clero Valsesiano”, p. II, pp. 281-286. Ravelli L. (1924) - Valsesia e Monte Rosa. Novara; rist. anast. Arnaldo Forni editore, Sala Bolognese, 1980, vv. 2, pp. 280 e 364. Salina G. (1993) – Prof. Padre Alessandro Mazzucco (1921-1992). Notiziario C.A.I. Varallo, a. 7, n. 2, pp. 35-36. Visconti A. (1987) – Segni dell’arcaico passato della Valle Sesia - Corriere valsesiano, a. 92, nn. 42, 48 del 6 novembre e 18 dicembre 1987.

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PADRE ALESSANDRO MAZZUCCO

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RICORDO DI PADRE ALESSANDRO MAZZUCCO

Giorgio Salina

Testo tratto dall’articolo pubblicato sui settimamali Il Corriere Valsesiano e Il Monte Rosa (settembre 1992).

Fig. 1 - Padre Alessandro Mazzucco sul Ghiacciaio delle Loccie (agosto 1969) La mattina del 15 settembre, giorno dedicato alla Vergine Addolorata di cui era molto devoto, Padre Alessandro Mazzucco, della Congregazione dei Padri Dottrinari di Varallo, concludeva improvvisamente la sua vita terrena all’età di 71 anni. Con lui scompare un’altra di quelle belle figure di Sacerdoti-Insegnanti che nell’arco di mezzo secolo hanno caratterizzato l’ambiente scolastico e culturale, oltre che religioso, di Varallo e della Valsesia, lasciando un’impronta indelebile nella formazione delle giovani generazioni.

Egli si affianca ora, nella pace eterna e nel nostro ricordo, ai confratelli che lo hanno preceduto, da Padre Allovio a Padre Battaglino a Padre Gallino ed altri ancora, la cui immagine ed il cui esempio rimangono vivi nella memoria delle nostre comunità per quanto seppero trasfondere in termini di cultura e di principi di vita ai giovani che ebbero la fortunata opportunità di sedere sui banchi delle scuole in cui essi operarono. Il Padre Professor Alessandro Mazzucco fu, fra loro, uno di quelli che annoveravano la più lunga e costante presenza nelle scuole varallesi, in particolare presso l’Istituto Tecnico per Ragionieri “B. Caimi” ove insegnò ininterrottamente dal 1955 al 1989 le materie scientifiche (Scienze Naturali, Chimica, Geografia, Merceologia).

Fig. 2 – La discesa dal Ghiacciaio delle Loccie (agosto 1969)

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Laureatosi brillantemente in Scienze Naturali all’Università di Torino, dopo aver conseguito i voti sacerdotali, Padre Mazzucco dedicò con passione tutta la sua esistenza alla Scuola, nella quale trovava la piena realizzazione di quei sentimenti e di quelle aspirazioni che ne avevano determinato le scelte di vita: il trasmettere agli altri le conoscenze – che possedeva vaste e profonde come raramente è dato d’incontrare – della natura nelle sue varie forme e manifestazioni, sempre però quale espressione della grandezza e della bontà di Dio, che ne ha consentito il nascere ed il godimento da parte dell’uomo.

Fig. 3 – La discesa dal Ghiacciaio delle Loccie (agosto 1969) Infatti, il conoscere in rigorosi termini scientifici le leggi che governano l’universo, ma proprio per questo, anche la consapevolezza dei limiti che la nostra natura umana pone ad un loro pieno possesso, costituivano per l’uomo-scienziato l’ulteriore conferma di quelle convinzioni di ordine soprannaturale che avevano formato l’uomo-religioso. E questa simbiosi era così perfetta e spontanea nella personalità di Padre Mazzucco da farne l’immagine viva di come una verità superiore possa essere dimostrata e resa palpabile attraverso la scoperta dei fenomeni naturali terreni. Il suo carattere mite e schivo, ma per nulla introverso, come trovava felice momento di espressione durante le lezioni scolastiche e nel diretto contatto con l’allievo, si arricchiva di spunti umani profondi e di vere manifestazioni di gioia quando aveva l’opportunità di confrontarsi direttamente con l’ambiente naturale, trovandovi quei riscontri alle nozioni scientifiche possedute. Chi ha avuto il privilegio di conoscerlo e frequentarlo anche al di fuori dell’ambito scolastico sa quanto ciò sia vero.

A contatto della natura, e soprattutto delle montagne che tanto amava, Padre Mazzucco si animava di quell’ardore, di quella sete di conoscere e di contemplare, che sono sì proprie del ricercatore, ma che in lui risentivano anche della sua grande sensibilità d’animo per tutte le bellezze del creato e si traducevano in un inno al loro Creatore. Ed è proprio sotto tale profilo che Padre Mazzucco ha avuto modo di farsi conoscere ed apprezzare anche in ambienti esterni a quelli usuali della professione scolastica e religiosa. Per quanto rade e sempre caratterizzate dall’innata riservatezza, le sue apparizioni fra la gente e gli appassionati della montagna non mancavano di suscitare sentimenti di reverente ammirazione. Quel sacerdote minuto, dal passo svelto e lieve, dal sorriso quasi angelico negli occhi azzurri al pari del cielo e dei laghetti alpini, perennemente vestito con l’abito talare che spiccava inusitato sul verde dei pascoli e sul bianco dei ghiacciai, era per tutti il simbolo di un ideale vissuto, un esempio di coerenza di vita da prendere a riferimento, indipendentemente dalle personali convinzioni religiose o filosofiche. Oggi Padre Alessandro Mazzucco non è più fra noi. Ne sentono il distacco i confratelli, fra i quali visse – come si ebbe a dire nell’omelia di suffragio – quasi “in punta di piedi”, timoroso di essere di peso o di disturbo per il sopravvenire dei mali dell’età (ed in ciò Dio non mancò di esaudirlo!); gli ex allievi; i colleghi ed il personale della scuola, fra i quali amava quotidianamente intrattenersi anche dopo il pensionamento, continuando a prestare la sua preziosa collaborazione nelle attività collaterali alla didattica, come, in particolare, la piccola stazione meteorologica dell’Istituto Caimi di Varallo, che fu una realizzazione da lui voluta e seguita fino agli ultimi giorni con appassionata dedizione; gli amici delle escursioni alpine, ed in particolare della Sezione varallese del CAI, cui non mancò di offrire la sua collaborazione e testimonianza sacerdotale in più manifestazioni, ultima delle quali l’inagurazione del rifugio all’Alpe Salei in Val Gronda, con la celebrazione della S.Messa, poco più di due mesi prima della sua morte; i valsesiani e tutti coloro che ebbero modo di conoscerlo ed apprezzarlo come figlio illustre di questa Terra, che tanto amava, e la cui opera scientifica condotta sui monti della Valsesia richiama quella di altri sacerdoti-scienziati, alpinisti, filantropi, scrittori, che lo precedettero ed ai quali viene oggi spontaneo accomunarlo: dall’Abate Antonio Carestia al

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Canonico Nicolao Sottile, da Don Luigi Ravelli al suo stesso confratello Padre Giovanni Gallino.

Fig. 4 – Davanti alla parete valsesiana del Monte Rosa (agosto 1969)

Padre Alessandro Mazzucco è passato fra noi sì “in punta di piedi”, com’era nella sua natura, ma la traccia che ha lasciato, se non ha l’evidenza immediata della pennellata ad olio, ha quella non meno nitida ed indelebile del tratto a china, e tale rimarrà nel nostro ricordo e nei nostri cuori.

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I PADRI DOTTRINARI (CONGREGATIO PATRUM DOCTRINAE CHRISTIANAE) E PADRE ALESSANDRO MAZZUCCO

Marisa Bressa

I PADRI DOTTRINARI I Padri Dottrinari sono stati fondati da César de Bus (1544-1607) il quale, dopo aver letto il Catechismo fatto pubblicare dai Padri del Concilio di Trento, ebbe “l’idea di formare una compagnia di insegnanti per dare una formazione religiosa ai bambini, ai poveri e agli ignoranti”. Si unirono a lui alcuni sacerdoti che il 29 settembre 1592 radunò a L’isle-sur-la Sorgue, dove diede inizio alla Congregazione. I Dottrinari vennero approvati da Papa Clemente VIII con il breve del 23 dicembre 1597. Papa Paolo V con il breve del 9 aprile 1616 li unì ai Somaschi, trasformandoli in religiosi di voti solenni. Papa Innocenzo X li ristrutturò in congregazione autonoma e preti secolari con breve del 30 luglio 1647. Alessandro VII con breve del 19 aprile 1658 confermò ai Dottrinari “il diritto di aprire scuole e insegnare grammatica, retorica, filosofia” e nel 1660 esentò loro e i loro allievi dalla giurisdizione vescovile. Papa Benedetto XIII con breve del 28 settembre 1725 unì ai Dottrinari di de Bus quelli dell'omonima Congregazione di Napoli (fondata a Laurito il 2 dicembre 1617) e nel 1726 affidò loro la Chiesa di S. Maria in Monticelli a Roma (http://it.wikipedia.org/wiki/Dottrinari). I DOTTRINARI IN VALSESIA Nel 1840 veniva eretta la Provincia dei Dottrinari in Piemonte che comprendeva le case di Sospello, dell'Annunziata e di S. Agostino in Ivrea. Dal 1852 al 1867 i Dottrinari diressero il Collegio di S. Benigno Canavese e nel 1857 istituirono un nuovo Collegio a Cortemilia. Dopo il 1867 i Dottrinari di S. Benigno e di Cortemilia si trasferirono a Torino, ove aprirono un Ginnasio con convitto. Con le offerte dei fedeli eressero la Chiesa parrocchiale di Gesù Nazareno che aprirono al pubblico nel 1913. A S. Damiano d'Asti ebbe sede la Casa Provinciale e il Noviziato. In Valsesia i Dottrinari aprirono la Casa di Varallo nel 1935 e la Casa di Borgosesia nel 1947.

I Dottrinari al Ginnasio-Liceo e al Collegio D’Adda di Varallo In Valsesia la Congregazione è legata al Collegio D'Adda di Varallo, che vanta origini antiche risalendo al “Seminarium Pauperum” (21 settembre 1573). Questa istituzione annoverò tra i suoi insegnanti e i suoi allievi personalità importanti che valorizzarono la Valsesia nei più diversi settori. Purtroppo il Collegio e le scuole di Varallo vissero tempi floridi a cui si alternarono tempi difficili tanto che nel 1926 il Regio Ginnasio D'Adda veniva soppresso con la conseguente chiusura del Collegio. Le autorità civili però tenevano molto alla sua sopravvivenza: infatti due anni dopo il podestà, Cavalier De Marchi , ne otteneva la riapertura affidando la direzione del Collegio e del Ginnasio privato a due sacerdoti, il Teologo Aurelio Belletti e il Canonico Francesco Raspino. Fu per interessamento di quest'ultimo che il 30 settembre 1935 il primo Padre Dottrinario, Padre Enrico Allovio, raggiungeva il Collegio D'Adda. Se ne aggiunsero altri la cui opera educativa e didattica, affrontata con coraggio ed entusiasmo, fu tanto proficua che nel 1937 il Ginnasio riottenne la parificazione alle Scuole Regie. Nello stesso anno i Padri assunsero la gestione e la direzione del Collegio e del Ginnasio. Nel giugno 1939 Padre Allovio, in qualità di Preside, al fine di completare il corso ginnasiale con quello liceale, presentò al Ministero la richiesta di autorizzazione per l'apertura delle prime due classi del Liceo che veniva concessa dopo pochi mesi, mentre per il riconoscimento legale o parificazione si dovette attendere il Decreto del 5 aprile 1940. Per l'ultima classe del Liceo l’iter fu più difficoltoso: autorizzata l'apertura con Decreto Ministerale del 25 luglio 1940, per il riconoscimento legale si dovette attendere il Decreto del Ministro Bottai del 3 agosto 1942. Durante gli anni della guerra i Padri furono esempio di coerenza, di integrità e di testimonianza della verità; la Scuola e il Collegio furono palestra di libertà e democrazia.

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I Dottrinari nelle Scuole di Borgosesia Terminata la guerra, una lettera dei Padri Dottrinari di Varallo datata 3 luglio 1947 comunicava al Sindaco di Borgosesia l’intenzione di aprire una Scuola Media e un Collegio a Borgosesia. Le trattative avvennero tra Dottrinari, Comune e Associazione industriali che, risorta nel 1945, aveva creato nel 1947 il Comitato scolastico Valsesia-Valsessera. Con la convenzione dell'agosto 1947 il Comune cedette alla Congregazione la gestione della Scuola Media parificata “Guglielmo Marconi” esistente in Borgosesia; come corrispettivo i Padri s'impegnarono a istituire a loro carico una classe (1947-48) e una quinta classe (1948-49) Ginnasio quale sezione staccata di Varallo. L'Associazione Industriali con diplomazia, ma con decisione, ottenne dal Comune di chiedere ai Dottrinari di convertire la IV e V Ginnasio nelle prime due classi del Liceo Scientifico. La Scuola Media di Borgosesia venne diretta dai Padri fino alla statizzazione del 1951. Il Liceo Scientifico venne autorizzato con Decreto Ministeriale del 16 ottobre 1947, mentre la parificazione avvenne con decreti annuali, classe per classe (dal 1949 al 1954). Padre Alfredo Battaglino Incaricato della presidenza del Liceo Scientifico dal 1947 al 1957 fu il Padre dottrinario, prof. Alfredo Battaglino. Cappellano militare della Julia, era reduce dalla campagna di Russia, dalla prigionia in Germania e insignito della medaglia d'argento al valor militare. Anche dal racconto di Nuto Revelli emerge il suo carattere volitivo, determinato e combattivo; nonostante la sofferenza si preoccupa di adempiere ai propri doveri di sacerdote nel confortare e confessare un ferito grave. “Il suo viso è disfatto, le mani avvolte in stracci, i piedi fasciati, cammina a stento, curvo, quasi trascinandosi ( …) chiede se il ferito è credente (…) vorrebbe confessare Grandi (…) acconsente Il cappellano si avvicina, si piega in due per parlare meglio e cammina, cammina a lungo trascinandosi nella neve con uno sforzo immenso. Non si appoggia, non tocca la slitta. A tratti sbanda, come se dovesse restare indietro, poi si fa forza, si riprende, si alza infine affranto dalla stanchezza. Mi ringrazia” (Revelli, 1962, p. 35). Inoltre è un buon organizzatore, aperto alle innovazioni, possiede una carica umana coinvolgente, dote che facilita i rapporti interpersonali e rende efficace il lavoro con docenti e studenti. Nel 1957 Padre Battaglino lascia il Liceo Scientifico essendo nominato in ruolo per

l'insegnamento d'Italiano e Storia all’Istituto Tecnico Commerciale (ITC) di Vigevano. Nel 1959 chiede l'assegnazione all’ITC di Varallo, sorto nell'anno scolastico 1955-56 come sezione staccata dell’ITC Cavour di Vercelli4. Padre Battaglino, docente di Lettere e fiduciario della sezione staccata dell’ITC Cavour di Vercelli, ottenutane l'autonomia con DPR 1935 del 22 maggio 1960, assunse la presidenza dell’ITC poi intitolato a padre Bernardino Caimi. Andò in pensione il 1° ottobre 1971 e si dedicò con la consueta umanità all'apostolato a servizio degli anziani (Casa Serena) e della Parrocchia fino alla morte, improvvisa e prematura, sopraggiunta il 7 novembre 1978. Padre Enrico Allovio Padre Allovio subentrò a Padre Battaglino assumendosi anche la Presidenza del Liceo Scientifico (dal 1957-58 al 1958-59). Con la statalizzazione dei licei (1959) continuò la sua funzione direttiva al Liceo Classico e alla Scuola Media di Varallo di cui assunse la Presidenza dal 1964 fino alla morte (12 dicembre 1980). Ne mettono in luce aspetti significativi il prof. Alberto Bossi: “(...) uomo di cultura, uomo della lotta per la libertà e per la verità, grande pedagogista, alfiere del giornalismo cattolico, vigoroso propugnatore di impegno politico” (Bossi, 1985) e il dott. Luciano Castaldi, già Direttore didattico a Borgosesia: “(...) mosso da profonda sensibilità educativa, e ricco di inventiva organizzativa (...)” (Castaldi, 2009, p. 25), come dimostrato nella soluzione dei problemi della Scuola di Rimella creando un “unicum a livello nazionale”. Ha dedicato tutta la sua vita alla scuola, ha istruito e formato generazioni di Varallesi e Valsesiani, preoccupandosi di garantire il diritto allo studio nelle zone più svantaggiate anche organizzando reti di trasporto e di assistenza a vantaggio della divulgazione, dell'istruzione e della cultura in Valsesia. Lo conferma anche l'Avvocato Enzo Barbano: “Fu senza dubbio l'artefice della scuola valsesiana ed a lui, più che ad ogni altro, si deve se la Valsesia è oggi un centro di studi”. (Barbano, 1980). Nel 1970 si meritò a ragion veduta il “Premio della Rinascita Valsesiana”, la Medaglia d'Oro di

4 Va ricordato che Padre Allovio, che nel 1952 aveva aperto la Scuola Tecnica Commerciale, statizzata nel 1954 e poi annessa all'Istituto Alberghiero, aveva suggerito nel 1955 l'apertura dell'Istituto Tecnico Commerciale Statale.

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Benemerito della Pubblica Istruzione e l'onorificenza di Cavaliere della Repubblica. Altri Dottrinari Oltre ai Padri Allovio, Battaglino e Mazzucco, di cui dirò in seguito, molti sono i Dottrinari che si avvicendarono nelle nostre scuole, parificate e statali svolgendo attività d'insegnamento di Religione e di altre Discipline secondo le personali specializzazioni, attività di assistenza durante la refezione scolastica, le ore libere dalle lezioni, la ricreazione, il viaggio sulle corriere, tutto a vantaggio dell’educazione e della formazione umana oltre che culturale dei giovani. Tento di produrne un elenco che con tutta probabilità non sarà esaustivo: Felice Morero, Giovanni Albera, Silvio Bagna, Mario Bagna, Raimondo Bollati, Renato Bonaveri, Elia Tonin, Giovanni Gallino, Renato Canta, Renato Zacquini, Giuseppe Sticca, Modesto Emanuelli, Luciano Mascarin. Alcuni si diressero in altre Case (S. Damiano, Saluzzo, Mondovì, Sanremo, Roma), altri in Brasile ove avevano fondato la Missione, aprendo nuovi orizzonti, via via sempre più ampi (Burundi, India). Nel 1989 i Padri si trasferirono nell'ex Convento dei Frati Francescani e istituirono la Casa S. Antonio dei Padri Dottrinari, ove ancora oggi Padre Tonin e Padre Zacquini, aiutati dal Padre Arun Ekka, si dedicano con generosa disponibilità ed efficace impegno all'apostolato, collaborando con la Parrocchia di Varallo al servizio della collettività. Nel maggio del 2007 l’Amministrazione comunale di Varallo, interpretando i doverosi sentimenti di riconoscenza della popolazione, ha dedicato il piazzale antistante la Chiesa di S. Antonio (ex “Campo di calcio dei Frati”) ai Padri Dottrinari. PADRE ALESSANDRO MAZZUCCO E’ nel contesto varallese dei Padri Dottrinari che si inserisce Padre Alessandro Mazzucco fin dal 1945 come insegnante di Religione al Ginnasio. Nato a Ticineto (Al) il 16 ottobre 1921, entrato postulante nella Casa di S. Damiano, il 23 dicembre 1944 si recò a piedi ad Asti per essere ordinato sacerdote. Si laureò in Scienze Naturali il 2 luglio 1954 presso l'Università degli Studi di Torino con 110/110 e “dignità di stampa” della tesi su “Diatomee e licheni della Valsesia”. Conseguì l'abilitazione all'insegnamento in “Scienze fisiche e naturali, patologia vegetale, elementi di chimica e industrie agrarie” nel novembre 1956 e in “Scienze

naturali, chimica,merceologia, geografia generale ed economica” nel febbraio1957. Insegnò a Varallo prima presso il Liceo Classico e la Scuola Tecnica e poi presso la sezione staccata di Varallo dell’Istituto Tecnico Commerciale Cavour di Vercelli (1956-1960) che, trasformatisi in ITC B. Caimi con l'autonomia, lo annovera tra i propri docenti dal 1° ottobre 1960 e in ruolo dal 1° ottobre 1967 fino al pensionamento (1° settembre 1989) per l'insegnamento di Scienze naturali, chimica, merceologia e geografia nelle prime tre classi dell'Istituto. Il collega Sono stata collega di Padre Mazzucco dal 1971 al 1989 e ho potuto constatarne quotidianamente la competenza, l'amore per la ricerca, la contemplazione del Creato, sia per le discipline oggetto del suo insegnamento sia per la glorificazione di Dio, il Creatore, insieme agli studenti, ai colleghi e alle persone vicine, perfettamente in linea con la regola dei Dottrinari “In doctrinis glorificate Dominum”. Aveva un aspetto che definirei angelicato: lo sguardo cristallino come la sua anima, gli occhi azzurri come il cielo; con il suo abito talare, mai abbandonato, sembrava quasi volare ... e comunque si porgeva agli altri sempre “in punta di piedi”, quasi timoroso d'imporsi. Per contro era sempre fermo e deciso nel trattare con alunni e colleghi tematiche di attualità a sfondo etico che dibatteva sventolando “L’Ossevatore Romano “. Il collega Emilio (Lello) Barbano si rammaricava che Padre Alessandro fosse restio a pubblicizzare le sue ricerche, avendone proprio valutata l'opportunità in tal senso con il CAI. Ebbene ora è giunto il momento di valorizzare la “sua grande e nascosta cultura”, come giustamente la definì il prof. Alberto Bossi. Il conferimento del Diploma di benemerenza Noi colleghi, per rispetto alla sua riservatezza non osavamo spingerlo ad aprire lo “scrigno”, ma ci facilitò il compito un evento esterno. Nell'anno scolastico 1985-86 fu nominato Preside di ruolo l'Ing. Prof. Roberto Cresta, proveniente da Alessandria, che ebbe modo di conoscerlo a fondo nei pomeriggi liberi da impegni scolastici, che entrambi dedicavano all'Informatica a cui si erano appassionati. Con nota n. 562 del 23 maggio 1986 il Preside istruì la pratica per il conferimento del Diploma di benemerenza di I Classe con consegna di medaglia d'oro, allegando un’ampia relazione che evidenziava in modo dettagliato i vari aspetti della personalità e dell'attività svolta dal prof. Mazzucco e in cui si sottolineava:

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- l'efficacia dell'azione didattica improntata all'interazione tra insegnamento teorico e sperimentale preparando personalmente le prove ed esercitazioni di laboratorio, che contribuì ad attrezzare e arricchire fornendo materiali reperiti nei boschi e in montagna; utilizzando una metodologia originale ed efficace, accattivante per gli allievi; precorrendo i tempi dell'interdisciplinarità spaziando dalle scienze naturali, alla chimica e alla merceologia; costituendo una biblioteca di classe delle scienze costantemente aggiornata con manuali e riviste specializzate; - la passione per la ricerca e la competenza scientifica applicandosi efficacemente alla Meteorologia e all'Informatica e divenendo Responsabile del Centro di raccolta dei dati meteorologici, attrezzato con apparecchiature qualificate e professionali ad opera dell'Amministrazione provinciale di Vercelli; analizzando i dati meteorologici che lo indussero ad approfondire le conoscenze in Informatica e a veicolarle con corsi integrativi che teneva in orario extrascolastico, contribuendo all'innovazione e all'aggiornamento di docenti e studenti e introducendo l'Informatica per scopi gestionali essendo, l'Istituto a indirizzo amministrativo; - l’utilità sociale e territoriale dell'informativa dei dati raccolti fornita a vari Enti - Comune, Provincia, Comunità Montana, Corpo delle Guardie forestali - i quali sulla base delle tendenze meteorologiche in ordine alle precipitazioni piovose e nevose,mensili e annuali, potevano costruire modelli statistici previsionali; viene rilevato che un'attività di tale significativa portata è stata condotta a titolo gratuito senza oneri per l'Amministrazione; - l'impegno culturale profuso generosamente nella scuola e sostenuto dall'alto senso morale derivante dalla missione sacerdotale, l'atteggiamento rispettoso dell'ambiente sociale e istituzionale sempre costruttivo, la riconosciuta competenza scientifica conquistano la stima di colleghi, alunni e genitori, sensibili all'attenzione che il professore dedica ai giovani in fase di formazione e crescita come si legge nel suo piano di lavoro: “Cercherò di far capire agli alunni che non devono studiare solo per il voto o per il diploma, ma perché il loro lavoro sia base di vita vissuta e motivo di approfondimento della loro sensibilità per contribuire al miglioramento proprio e della società che chi più chi meno, in un modo o nell'altro, saranno, forse poi chiamati a dirigere”. Il Preside Cresta si trasferì a Ovada nell'anno scolastico 1986-87 e io gli subentrai come preside incaricata. Dandomi le consegne mi raccomandò

vivamente di seguire la pratica, sottolineando quanto Padre Mazzucco fosse “una persona e un docente non comune”. Riconoscente al Preside Cresta per aver aperto lo “scrigno” e valorizzato le sue doti, mi adoperai per seguire l’iter prima presso il Provveditorato (con nota del 18 ottobre 1986) e poi presso il Ministero. Per questo mi venne in aiuto il Cav. Ottavio Regaldi, a quel tempo Sindaco di Cervatto. Ero ormai in servizio all'Istituto Motta di Mosso S. Maria quando mi venne trasmesso un appunto che il Ministero della Pubblica Istruzione aveva inviato al Segretario particolare del Presidente della Repubblica, On. Oscar Luigi Scalfaro, attestante l’inserimento del nominativo del Prof. Mazzucco fra le proposte della Direzione Generale dell'Istruzione Tecnica per l'anno 1993. Nel frattempo la pratica era stata debitamente integrata dalla Preside dell’epoca, prof. Flora Valenti, con nota del 7 dicembre 1992. Inoltre il Consiglio d'Istituto nella seduta del 12 marzo 1993 aveva deliberato: a) d’intitolare la Sala Insegnanti al prof. Battaglino Alfredo il quale “oltre ad essere stato il primo Preside dell'ITC “Caimi” ed averlo diretto sino al momento dell'andata in quiescenza (1 ottobre 1971), è considerato con buona ragione anche il suo 'fondatore' tenuto conto dell'intenso impegno profuso sia per la sua istituzione che per il suo consolidamento”; b) d’intitolare l’Aula di Scienze e relativo Laboratorio alla memoria del prof. Mazzucco padre Alessandro il quale “ha contribuito col suo incessante impegno a costituire un Laboratorio Scientifico di prim'ordine, dedicandosi con costante interesse all'educazione e istruzione degli alunni lasciando nell'ambito scolastico varallese una particolare e positiva impronta, unanimemente riconosciuta ed apprezzata. Inoltre è pure stato l'ideatore, promotore e responsabile della Stazione Meteorologica, installata presso l'Istituto, a partire dal 1969 e fino al sett. '92 (momento del suo decesso) continuando anche durante la quiescenza a dare la sua fattiva e preziosa collaborazione alla Presidenza per il buon funzionamento dell'Istituto” (proposta confermata dal Decreto del Provveditore agli Studi di Vercelli del 22 novembre 1994). Finalmente il 23 settembre 1994 il Ministero della Pubblica Istruzione (Direzione Generale per l'Istruzione Tecnica, Divisione III) trasmise al Provveditore agli Studi di Vercelli il “Diploma di I classe di benemerito della Scuola, della Cultura e dell'Arte”, conferito con DPR 22 aprile 1994 al Prof. Mazzucco Don Alessandro” e il 22 ottobre 1994 inviò la relativa medaglia d'oro.

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Pertanto, solo alla fine del 1994, purtroppo post mortem, ha avuto luogo la consegna del Diploma alla memoria e della medaglia agli eredi con doppia cerimonia a Vercelli presso il Provveditorato agli Studi e a Varallo presso l’Istituto Caimi per esprimere riconoscenza e gratitudine a un docente non comune e di grande valore. BIBLIOGRAFIA Allovio E. (1950) - Il civico Collegio “D'Adda” e i Padri Dottrinari. Scuola Tipografica, Varallo, pp. 80. Revelli N. (1962)- La guerra dei poveri. Torino, Einaudi, ed. 2005, pp. X, 420. Essepi (1975) - Padre Cesare De Bus e ... un ex allievo dei Dottrinari. Il Monte Rosa, 3 maggio 1975. Zanfa R. (1980) - La scomparsa di Padre Allovio. Corriere Valsesiano, 22 dicembre 1980.

Barbano E. (1980) – In doctrinis glorificate Dominum. Corriere Valsesiano, 22 dicembre 1980. Bossi A. (1985) - Il Collegio d'Adda ed i padri dottrinari. Il Monte Rosa, 6 aprile 1985. Barsi S. (1990, a cura di) - 30 anni di scuola e di vita. Liceo Scientifico Statale G. Ferrari Borgosesia. Tipolitografia di Borgosesia, pp. 131 Castaldi L. (2009) - La Scuola Media a Rimella e Padre Enrico Allovio. Remmalju, a. XX, pp. 24-26. Piazzale F. e Garavaglia G. (2011) - Maiores Nostri. Contributi alla storia del Liceo Classico d'Adda di Varallo. Tipolitografia di Borgosesia, pp. 61 http://it.wikipedia.org/wiki/Dottrinari. Fonti archivistiche Archivio Istituto Superiore D’Adda (Varallo)

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L’INSEGNANTE

Mauro Festa Larel

Non è facile descrivere e presentare una figura così complessa e preziosa come quella del professor Alessandro Mazzucco, ma cercherò di fare del mio meglio in base ai miei ricordi indelebili e alle sensazioni che ancora oggi provo mentre penso alle sue lezioni all’Istituto Tecnico Commerciale “B. Caimi” di Varallo. Già a quel tempo ero appassionato alle Scienze Naturali e non vedevo l'ora che arrivassero le lezioni di Padre Mazzucco, così ricche di esempi e di stimoli su qualsiasi tema venisse trattato. Durante quel triennio grazie a lui i miei interessi per queste discipline aumentarono notevolmente5. In quegli anni padre Mazzucco fu l'unico insegnante che ci introdusse le sue discipline iniziando a spiegarci come si doveva studiare e come affrontare un nuovo libro. Era profondamente convinto che vedere subito l'indice e farsi un’idea dell'intero contenuto di un libro di testo risultasse di primaria importanza per orientarsi durante le lezioni e nel corso dell'intero anno. Spesso ci assegnava il compito di fare delle sintesi e inizialmente pretendeva che copiassimo sul quaderno di lavoro l'intero indice in modo da averlo sempre ben presente. Di questo tipo di approccio ai libri e alla disciplina mi sono impadronito in quel periodo e non l'ho più abbandonato. Riusciva a coinvolgere tutti gli allievi; su quelli meno interessati sapeva esercitare, oltre alla sua competenza, la sua autorevolezza. Spesso procedeva con proverbi, a volte popolari a volte in lingua latina, che ben colpivano l'immaginazione e l'interpretazione della realtà. Nel mio caso specifico fu proprio lui ad indirizzarmi alla scelta universitaria con competenza e convincimento anche se poi decisi di intraprendere un corso di Laurea in Biologia e non in Scienze Naturali, che secondo lui risultava più

5 All’inizio degli anni Settanta le scienze naturali venivano insegnate nel primo biennio e si concludevano con lo studio della Merceologia nel terzo anno del corso di Ragioneria.

completo trattando anche argomenti specifici di Scienze della Terra. Tornai a trovarlo parecchie volte anche nel periodo universitario, anche per avere consigli sul piano di studi da intraprendere e lo trovavo sempre a scuola, anche nei pomeriggi fino a sera, a preparare le esercitazioni per i giorni successivi e a inserire i dati della sua stazione meteorologica nei primi computer di cui la scuola si era munita. A questo proposito lui era all'avanguardia: intuì subito quale era il grande aiuto di queste nuove macchine per stilare elenchi6 e per l'elaborazione dei dati numerici provenienti dagli strumenti. Il laboratorio di Scienze in quegli anni (1969) era stato completamente messo a nuovo grazie alla nuova ala dell'edificio interamente dedicata all'Istituto Tecnico Commerciale “B. Caimi”. Penso che anche grazie a lui quell'aula e quel gabinetto di preparazione dei materiali siano ancora oggi ricchi di campioni, di materiali di studio, di strumenti per organizzare delle lezioni pratiche. In effetti in qualsiasi cassetto o armadio si vada a curiosare si trovano tabelle, appunti e manuali scritti con la sua calligrafia oltre ad una grande quantità di reperti raccolti in Valsesia, ed una collezione di licheni di cui era appassionato7. Una figura che ha entusiasmato una grande quantità di studenti che sono passati negli anni nell'Istituto per Ragionieri di Varallo. Molti di questi hanno imparato tramite lui ad avere un piacere nel saper le cose, tutti lo hanno stimato.

6 Per il suo utilizzo nell’ambiro del censimento toponomastico si rimamda a Poletti (questo volume, pp. 45-48). 7 La passione eper i licheni era iniziata con la preprazione della Tesi di Laurea svolta presso l’Istituto di Botanica dell’Università degli Studi di Torino con il Prof. Arturo Ceruti.

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L’ESCURSIONISTA

Ferruccio Frigiolini

Osservando tutte le caratteristiche fisiche del luogo (il greto largo e piatto, la ripa tagliata a gradino, la valanga residua) il viandante osserva e trascrive: “…Sogno una gita scolastica in questi luoghi, un libro vivo di geomorfologia glaciale, che dicono in un istante ciò che mille “lezioni” s’illudono di insegnare. Peccato che le gite scolastiche si svolgano sempre a Roma, Firenze, Venezia, Parigi e altre grandi città! Credo che questi luoghi (la montagna) lascino un’impronta indelebile nella memoria e mostrino la grandezza della natura e la piccolezza dell’uomo, mentre le grandi città, artistiche, industriali, centri di studi, di traffici, piene di vita esaltano la grandezza dell’uomo e nascondano la natura. I luoghi montani lasciano un’impronta perché costringono a guardare dentro se stessi e verso l’alto e in questa contemplazione, nel silenzio e nella solitudine, offrono il loro dono più bello: una sensazione indicibile di pace” (Vallone del Maccagno, 21 agosto 1985). Commento poetico ed accorato del solito viandante. “Finalmente eccoti qua! Quanto dovevi essere bella! Esposta al sole dal mattino alla sera! Con le tue baite bianchissime di gneiss minuti, in mezzo ai fiori dei tuoi pascoli e ai dossi montonati delle tue rocce, i tuoi numerosi e facili sentieri, gli abbeveratoi e la fontana e il bianco lastricato dinanzi alle baite. Ora sei morta! Quanta desolazione! E quante tracce del tuo splendore passato! Le tue rovine, il tuo silenzio, la tua solitudine, il tuo abbandono, quanto contrastano con la tua vita che immagino in tempi lontani, pur sempre colma di fatiche e di stenti” (Alpe Grafen Boden, 25 agosto 1986). “In un acquitrino mi si leva dinanzi, a due metri di distanza, un volo di pernici bianche (la madre e cinque piccoli) che scompaiono dietro un masso. Le seguo e mi imbatto in un altro piccolo….ritardatario che si alza in un volo stentato; non riesco ad afferrarlo, si nasconde tra i massi. L’ho cercato senza risultato. Ha vinto lui quella corsa ad ostacoli! Mi sarebbe tanto piaciuto osservare da vicino, tenendolo in mano, quel batuffolo grigio, con le ali sfrangiate e ancora incapace di una lunga autonomia di volo (Discesa

dal Passo Tignaga verso le Pisse Belle, 23 agosto 1988)!”8 Il viandante è Padre Alessandro Mazzucco. Le sue parole mettono a fuoco il personaggio che siamo qui a ricordare. C’è tutto: il Religioso, l’appassionato docente di scienze, l’escursionista che cammina col CUORE (acronimo coniato nell’ambito del progetto Camminitalia: camminare –udire – osservare – riflettere - emozionarsi). Non ricordo esattamente quando conobbi P. Mazzucco; l’impatto fu tiepido nei confronti di quel mostro sacro schivo, defilato, sempre di corsa a preparare i momenti didattici. Non passò però molto tempo perché nascessero un’intesa ed un’amicizia importanti abbinate alla scoperta di aspetti sorprendenti.

Fig. 1 – Al Colle del Termo LO SCIATORE Negli anni ’80 organizzavo all’ITC B. Caimi uscite sciistiche pomeridiane a Mera. Ai primi giorni di ogni anno scolastico arrivava la puntuale raccomandazione di P. Mazzucco a rinnovare

8 “Appunti sulle origini delle coppelle” con osservazioni raccolte nel corso di escursioni in Valsesia, raccolte in un quaderno e fogli con scrittura a mano, trascritte su supporto informatico computer dagli studenti dell’Istituto Superiore D’Adda di Varallo negli anni scolastici 2007-2008 e 2008-2009. La prima frase è citata anche in Cavagnino G. (2010) – Le coppelle glaciali. Notiziario C.A.I. Varallo, a. 24, pp. 57-58.

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l’iniziativa. Alle mie obiezioni (“non siamo metereologi”) la sua candida ottimistica e risoluta previsione: “stai tranquillo, nevicherà!” E subito nelle sue classi partiva l’operazione di propaganda-reclutamento che ci portava spesso a riempire di allievi scivolanti un bus con 40-50 persone. Due anni fa, all’Istituto d’Adda, fu sufficiente un pulmino da 9 posti.

Fig. 2 – Con gli sci a Meggiana (gennaio 1977) Indren La colonnina di mercurio scende rapidamente molto al di sotto della doppia cifra ; fuggi fuggi generale al caldo del rifugio. Due soli indomiti (meglio,uno) a resistere. Il Padre sembra non accorgersene e lo sento esclamare, ripetutamente, rivolto verso le nevi eterne: “che meraviglia!” (Ghiacciaio d’Indren, febbraio/marzo primi anni ’80). Alagna Il padre a pomeriggio inoltrato non vuole abbandonare le piste. Alle mie allarmate preoccupazioni sulla chiusura degli impianti replica, parole testuali, “non preoccuparti, ci aspettano sicuramente!” Arriviamo alla stazione di Zar Oltu ove ci attende solo un grande silenzio. Il Padre, indomito e per nulla preoccupato, mi rassicura: “Che fortuna , scieremo sino ad Alagna, guarda quanta neve c’è ancora!” Una cinquantina di metri innevati e alla prima curva solo pietraia. Via a piedi, coi pesanti scarponi a farci da zavorra. Arriviamo in paese sul tardi, stanchi e sciancati, offrendo un momento di ilarità ad alcuni valligiani ironicamente incuriositi (Alagna, 16 aprile 1985). In funivia Durante le salite in funivia al Monte Rosa erano frequenti le domande, sempre molto rispettose, dei viaggiatori sulla funzionalità dell’abito talare e degli sci assai datati.

Questo era P. Mazzucco: nella scuola figura severa, autorevole, esigente ma fuori, nell’ambiente naturale, emergeva il fanciullino di pascoliana memoria. L’età anagrafica lasciava il posto ad un’età biologica-emotiva giovanile cui mi dovevo allineare con adesioni volontariamente obbligatorie. L’ESCURSIONISTA9. Padre Mazzucco effettuò, dal 1968 al 1992, numerose escursioni con Giorgio Salina Non ci fu continuità temporale nelle uscite, ma la loro intesa non si interruppe mai. Dalle annotazioni delle 14 uscite riferisco quella del 19-20 agosto 1969 alla Capanna Resegotti, con la silenziosa recita serale del Rosario. Il 14 agosto 1971 ascensione alla Capanna Valsesia (ora fratelli Gugliermina). L’escursione presentò notevoli difficoltà (si scatenò anche un forte temporale) specie nel superare, al ritorno, l’impetuoso Sesia, con il Padre che guadò il torrente, imprecando (udite, udite!) per le approssimative tracce del sentiero. Alcune escursioni duravano anche anche tre giorni (il 17-18-19 agosto 1989 in Val Sorba, Rifugio Rivetti, Colle del Loo, Alpe Prato, Alpe Artorto). Nel periodo invernale alle escursioni si alternavano percorsi di sci alpinismo a Meggiana, Pizzo Tracciora, Monte Capio.

Fig. 3 – Alla Capanna Resegotti (agosto 1969) Spesso partecipò ad escursioni organizzate celebrando la S.Messa. Il 30 agosto 1980 officiò con Padre Gallino, Don Carlo Elgo e altri tre religiosi la cerimonia di inaugurazione della Capanna Margherita.

9 Fonte d’informazione per questo paragrafo sono stati P. Renato Zacquini, Giorgio Salina e Carlo Beccaria.

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Nel 1983, in occasione del XX anniversario della morte di Don Luigi Ravelli, celebrò, al bivacco dedicato al sacerdote valsesiano, la S. Messa soffermandosi sull’azione pastorale da lui condotta attraverso la pratica della montagna.

Fig. 4 - In val Sorba (agosto 1989) Il 28 giugno1992 salì all’Alpe Salei, in Val Gronda, per l’inaugurazione del punto d’appoggio della sezione CAI di Varallo. Dopo la funzione, nonostante la giornata nebbiosa, decise di salire al Lago della Seja (un’ora e più di cammino),con Ivo Selene, ma a pochi minuti dalla meta il Padre si arrese; non era assolutamente più in grado di proseguire. Fu una giornata molto impegnativa; con difficoltà e molte soste anche durante il ritorno a Rassa.

Fig. 5 – L’inaugurazione del punto di appoggio all’alpe Salej (giugno 1992) Anche da Carlo Beccaria ho avuto conferma di loro ascensioni al Corno Bianco e sulla parete nord del Tagliaferro. Da Carlo appresi che il padre, ammaliato dal demone della montagna, si

avventurò da solo sui ghiacciai cadendo in un crepaccio dal quale sarebbe uscito da solo. Le mie escursioni col Padre (una dozzina), anche se meno significative delle precedenti, furono sempre confortate da sintonia e condivisione di valori. Ricordo nitidamente l’ultima mia gita effettuata col Padre al Lago Nero, il 16 luglio 1991, in una bellissima giornata che ci vide assai renitenti a prendere la via del ritorno. Rammento ancora: - le contrattazioni accanite circa l’orario di partenza mattutino, siglate poi da un salomonico compromesso; - il mio ritorno alla condizione di studente, quando il Padre-professore tracciato sul terreno un quadrato di cm 50, parlava dottamente per moltissimi minuti, riferendomi quanto c’era in quel fazzoletto di montagna. Annuivo, ma….. - le sparizioni momentanee del Padre alla ricerca, tra l’altro, dell coppelle glaciali. L’ultima escursione di Padre Mazzucco, risale al settembre 1992, con meta il rifugio Zamboni-Zappa sopra Macugnaga. Il Padre spirò il 15 settembre. Un rimpianto: solo in questo ultimi due decenni, trasferitomi scolasticamente a Varallo, ho potuto organizzare all’Istituto D’Adda escursioni pomeridiane feriali con la “Compagnia del Buon cammino”10. Tutto molto bello, mancava però il nostro amatissimo Padre.

10 Una quarantina; tra queste il Bo di Valsesia, la Madonna del Balmone, l’Alpe Campello, l’Ometto, Pianmisura,: l’ultima è stata la ciaspolata del 9 marzo 2010 da Cervarolo verso la Massa.

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I SUOI STUDI

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MONTAGNE DI CARTA

Roberto Cairo

Il titolo di questa breve relazione mi è subito parso azzeccato perché sintetizza in maniera efficace la mole di materiale che mi sono trovato ad affrontare esaminando le relazioni, le foto, gli appunti, il laboratorio di Padre Mazzucco nell’Istituto Caimi, ora parte dell’Istituto Superiore D’Adda: non ho trovato solo “tanta carta” ma il resoconto di tutta una serie di osservazioni, di tentativi, di pensieri, raccolti pazientemente, in maniera precisa e meticolosa.

Fig. 1 – Montagne di carta Dei lavori effettuati durante il conseguimento della Laurea in Scienze Naturali, conseguita presso l’Università di Torino nel 1954, è conservata a Varallo la tesina del 1954 sulle “Faune plioceniche presso Borgosesia”. La tesi, dedicata a “Diatomee e licheni della Valsesia”, non è disponbile in ambito valsesiano. La mole maggiore di dati e relativa alla toponomastica valsesiana, costituita da appunti manoscritti e da 5 edizioni a stampa da supporto informatico (Poletti, questo volume, pp. 50-54). Un altro patrimonio consistente è costituito da appunti e fotografie sulle coppelle in Valsesia (Micheletti, questo volume, pp. 40-42), recentemente trascritti su supporto informatico dagli studenti dell’Istituto Superiore D’Adda. Come risultato di un’opera di schedatura su supporto informatico, sono conservate le stampe di

elenchi di quote e coordinate geografiche di località valsesiane disposte per ordine alfabetico od ordinate per altimetria. Ci sono, ancora, i lavori sulla glaciologia, sulle valanghe, le relazioni su alcune località valsesiane e sulle escursioni di particolare interesse Una di queste relazioni, dedicata ai coni di ghiaccio del Monte Rosa, è stata pubblicata postuma nel 1993 sul Notiziario C.A.I. Varallo (a. 7, n. 2, pp. 37-42); il dattiloscritto originale è conservato presso la Biblioteca della sezione CAI Varallo. Sono inoltre conservati i dati della stazione meteorologica allestita da Padre Mazzuco presso l’Istituto Caimi di Varallo, raccolti dal 1958 in poi, ordinati e rielaborati in tabelle e grafici (Cairo, questo volume, pp. 46-50). Un discorso a sé meritano gli esperimenti effettuati per realizzare la visualizzazione di immagini tridimensionali, a quei tempi sicuramente pionieristici e ora di attualità; in fogli fitti di appunti sono minuziosamente riportati le esperienze, i dubbi, i fallimenti, i successi, almeno parziali, ottenuti in anni di sperimentazioni con lenti, filtri colorati, pellicole: un lavoro che personalmente ho trovato di difficile comprensione sia per la lettura della grafia sia per l’argomento stesso. Credo che al lettore interessino più le emozioni che non i risultati di questi studi, ormai superati, e presenterò, perciò, con i commenti originali gli appunti scoraggiati sul costo della stampa delle foto, del giorno in cui riuscì a ottenere nette la sensazione del rilievo, e, infine, del giorno in cui riuscì a strappare un commento positivo anche al Prof. Bondioli! Questa breve relazione, con i suoi limiti, ha voluto essere solo una breve carrellata su alcuni aspetti degli studi di Padre Mazzucco una visione a volo d’uccello sull’enorme mole di lavoro continuo e meticoloso di uno sperimentatore preciso, di un insegnante per cui è stata fondamentale l’attività di laboratorio, di un appassionato della montagna e della Valsesia.

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DAGLI APPUNTI DEL PADRE PROF. ALESSANDRO MAZZUCCO SULLE ORIGINI DELLE

“COPPELLE” OSSERVATE IN VALSESIA “GUTTA CAVAT LAPIDEM NON VI, SED SAEPE CADENDO”

Piera Micheletti

Delle escursioni in Valsesia nel periodo 1985-1990, Padre Alessandro Mazzucco ha lasciato appunti che confermano l’eccezionale preparazione e competenza con cui egli considerò e studiò i vari aspetti naturalistici della montagna. Attento a tutti i fenomeni, dai più vistosi ai meno appariscenti, in quel periodo rivolse un particolare interesse alle curiose incisioni di forma pressochè circolare, poco profonde, che in numero più o meno abbondante si presentano talora sulle rocce levigate dai ghiacciai, incisioni a forma di scodella, piccole coppe, ossia “coppelle” come quelle che, scolpite dall’uomo preistorico, figurano nei disegni rupestri di alcuni siti archeologici, ad esempio in Val Camonica, o sui massi erratici di alcune località alpine, ad esempio nell’anfiteatro morenico di Rivoli. Le coppelle dei siti archeologici e dei massi erratici sono manufatti, variamente interpretati (fra i più accreditati il significato religioso-rituale). Per quelle studiate da Padre Mazzucco, si possono distingure quelle trovate presso gli insediamtmi da quelle ubicate nei circhi glaciali. LE COPPELLE TROVATE VICINO AD

INSEDIAMEMTI PERMANENTI O STAGIONALI Le coppelle dei Ronchi e del Seccio (Boccioleto), dell’alpe Vallé Inferiore (Rima), dell’alpe Ciletto (Carcoforo) sono presumibilmente incise dall’uomo in tempi non eccessivamente lontani, modellate poi dagli agenti esogeni fino ad assumere l’aspetto attuale. Mai trovate su roccia in posto, si presentano su massi o lastroni di gneiss. Hanno contorno circolare o quadrangolare, pareti inclinate e fondo piatto, asse perpendicolare ai piani di scistosità. In alcuni casi l’aspetto è sorprendente: al Vallé Inferiore, su un grande masso di gneiss ghiandolare, vicino all’ultima baita, le coppelle sono raggruppate in forme del tutto simili all’impronta del piede di un ragazzo; a Vorco (Rima), scolpite in numero di sei sullo scalino di una baita, sembrano disegnare l’Orsa Maggiore.

Fig. 1 – Le incisioni all’alpe Valle inferiore (Rima)

Fig. 2 – Coppelle al Seccio LE COPPELLE DEI CIRCHI GLACIALI Queste sono “sculture” naturali, sui cui Padre Mazzucco, nelle lunghe camminate in montagna, raccoglie una gran quantità di osservazioni e dati. Le zone perlustrate sono ubicate nei comuni di Alagna, Riva Valdobbia, Rassa, Rima, Carcoforo, Boccioleto e Vocca. Alagna a) fronte ghiacciaio Locce – Alpe Vigne Superiore; b) Punta Indren - Colle delle Pisse – Stolemberg – Passo Salati – Istituto Scientifico Mosso – Col d’Olen;

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c) Acqua Bianca – Alpe Von Bitz – Alpe Mittlentail – Alpe Faller – Alpe Testanera – Circo glaciale Flua – Alpe Vigne Superiore. d) Acqua Bianca – Alpe Grafenboden – Colle del Turlo. Riva Valdobbia e) Alpe Camino – Alpe Maccagno – Lago Nero (Val Vogna); Rassa f) Alpe Dosso – Alpe Massucco – Lago Lamaccia (Val Sorba); Rima g) Alagna – Colle Mud – Rima h) Rima – Alpe Vallé di Sopra – Cresta per Pizzo Montevecchio. Carcoforo i) Alpe Busacca del Passone – Pizzo Moriana; l) Alpe Piovale – Pizzo Tignaga – Alpe Pisse Belle – Alpe Pian delle Rose – Alpe Giaset – Pizzo Moriana; m) Alpe Massero – Colle della Bottiggia. Boccioleto n) Val Cavaione. Vocca o) Sassiglioni Come si può dedurre sia dall’osservazione diretta sia dall’osservazione delle carte topografiche IGM scala 1:25000, sono tutte aree di morfologia glaciale: evidenti le conche dei circhi, scavate dal bacino collettore, limitate da una cresta e aperte, attraverso la soglia, verso la valle glaciale (o fluvio-glaciale); numerosi i laghetti di circo (laghi del Turlo, laghi dell’alta Val Vogna); frequenti, a testimoniare il passaggio della lingua glaciale, i depositi morenici, i massi erratici, i dossi montonati e striati, le soglie vallive. Poiché in tutte le sopraelencate zone si sono trovate coppelle, è ragionevole pensare che siano anch’esse effetti del modellamento glaciale. In dettaglio, le principali località di ritrovamento sono: - Fronte del ghiacciaio delle Locce, quota m 2852 (percorso a) - Passo dei Salati, scendendo verso l’Istituto Scientifico Mosso (percorso b) - Colle delle Pisse, nei pressi del laghetto (percorso b) - Alpe Testanera e Alpe Vigne Superiore, poco sotto la sommità della morena, quota m 2600 (percorso c) - Alpe Grafenboden, lungo la mulattiera per i laghi del Turlo (percorso d) - Alpe Camino (percorso e) - Alpe Dosso (percorso f)

- Alpe Vallé di Sopra (percorso h) - Salita al Pizzo Moriana (percorso i) - Alpe Massero, vallone del colle della Bottiggia (percorso m) - Pianoro di Sassiglioni (percorso o) Padre Mazzucco segnala come più “belle” e significative le coppelle del Passo dei Salati, quelle del Colle Superiore delle Pisse (vicino all’ometto) e quelle dell’Alpe Massero. Per ogni località di ritrovamento, i dati raccolti riguardano il numero (ora isolate, ora a migliaia), la forma (ora perfettamente circolari, ora ellittiche, ora irregolari, ora fuse ad assumere aspetto petaloide), le dimensioni (da pochi cm. ad un massimo di 10 cm di diametro), la morfologia delle rocce di ubicazione (quasi sempre rocce montonate) e il litotipo (sempre rocce scistose: o gneiss minuti o gneiss ghiandolari. Unica eccezione: al pianoro di Sassiglioni le coppelle sono “su roccia non scistosa ma con molte fessure”).

Fig. 3 – Coppelle nelle vicinanze del Passo dei Salati Sono, inoltre, indicative ed utili all’interpretazione del fenomeno le seguenti osservazioni: - le coppelle si trovano sempre in zone di morfologia glaciale: abbondanti nei circhi e nei fondi vallivi, mancano in cresta; - sono generalmente su rocce in posto, spesso montonate e striate, raramente su massi e lastroni (merita di essere segnalato un masso coppellato con dimensioni di 5 x 2 x 1 m, probabilmente staccatosi da crestina sovrastante, tra il Col d’Olen e l’Istituto Mosso); - generalmente a gruppi disordinati, sono talora allineate in file rettilinee o formanti archi; - spesso contengono pietruzze, sabbia, e presentano rilievi centrali; - sono, a volte, comunicanti tramite canaletti;

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- le più “belle”, più regolari e circolari, sembrano essere quelle con asse perpendicolare alla superficie di scistosità; - mancano sulle rocce molto inclinate, dove ci sono cascatelle o acqua corrente; - dove la morfologia è a gradoni pianeggianti (circo glaciale del Turlo), sono numerosissime, non comunicanti, allineate in due o più file parallele e vicine.

Fig. 4 – Coppelle “naturali” presso il Colle degli Strienghi

Alcune osservazioni rimangono senza spiegazione: le coppelle sono assenti in alcuni litotipi, anche laddove la morfologia testimonia le condizioni glaciali più adatte alla loro formazione. E’ il caso delle ofioliti che affiorano allo Stolemberg o delle rocce dioritiche che, lungo il percorso dalla Bocchetta di Vocca all’alpe Bertoli, si presentano in bellissimi dossi levigati e striati dall’antico ghiacciaio. CONCLUSIONI Padre Mazzucco è molto cauto nel formulare ipotesi e asserire certezze; tuttavia, includendo le coppelle dei circhi fra gli effetti dell’esarazione, ritiene molto probabile che esse siano forme di erosione praticata da stillicidi, entro crepacci, di acqua di ablazione (spesso carichi di detrito sabbioso) sulle rocce del letto glaciale, sia del circo che del solco vallivo. Le zone di più facile formazione sarebbero quelle interessate dalla presenza di seracchi o da crepacci trasversali, e quindi specialmente le zone di soglia o quelle in cui la lingua glaciale supera una rottura di pendenza. L’azione erosiva sarebbe, inoltre, accresciuta da fenomeni di gelo e disgelo, massimamente intensi sui larghi gradini che precedono e seguono i forti dislivelli, dove minore è la velocità del ghiacciaio e maggiore la pressione. Ringraziamenti Si rivolge un sentito ringraziamento agli alunni dell’Istituto Superiore D’Adda di Varallo che, per interessamento della Preside prof. Marisa Bressa, hanno svolto il paziente lavoro di trascrizione al computer degli appunti manoscritti di Padre Mazzucco.

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I “CONI DI GHIACCIO” SUL MONTE ROSA

Alessandro Mazzucco

Durante il XV Congresso Nazionale di Geografia, svoltosi a Torino nel 1950, in una relazione del 14 aprile, la prof.a G. Aliverti rivolgeva agli appassionati del ghiacciaio, un invito perché includessero, nel loro programma di osservazione, anche due fenomeni "che meritano un po' di attenzione e uno studio particolareggiato e che devono essere segnalati e studiati: i coni di ghiaccio e l'emergenza in superficie delle stratificazioni del ghiaccio"11. Negli anni tra il 1955 e il 1975 ho visto, sul Monte Rosa, dei coni di ghiaccio, ma poiché gli Atti del Congresso, nei quali avevo letto la relazione, non riportavano le fotografie dei coni di ghiaccio del plateau del ghiacciaio del Lys che la prof.a Aliverti aveva proiettato durante la relazione, non ho potuto accertare che fossero quegli stessi dei quali veniva proposto uno studio organizzato. In seguito, sempre sul Monte Rosa, ho potuto osservare e fotografare da vicino, diversi coni di ghiaccio, ma essendomi sembrato facile riconoscerne l'origine, quell'incertezza è rimasta, e, con essa, anche il dubbio che la loro segnalazione potesse avere qualche importanza. Solo oggi, rivedendone le fotografie, poiché alcune di quelle forme appaiono quasi perfettamente coniche, ricordando !'invito della prof.a Aliverti (che avevo avuto docente di Fisica Terrestre all'Università di Torino), ne do documentazione fotografica, e una breve descrizione con le mie impressioni riguardo alla loro origine, siano, esse, o no i coni dei quali la prof.a Aliverti raccomanda la segnalazione e lo studio, sperando di contribuire "ad un’interpretazione sicura, completa e definitiva del modo di formazione dei coni di ghiaccio". Nel settembre del 1982 ho osservato "coni di ghiaccio" nella parte alta del ghiacciaio del Grenz, sul Monte Rosa, a quota 4400 m circa, poco sotto il colle tra la Punta Zumstein e la Punta Gnifetti (Colle Gnifetti), poco oltre il pianoro sotto il colle tra la Punta Gnifetti e la Punta Parrot (Colle Sesia), molto più in alto, quindi, del plateau del Lys, dove coni di ghiaccio erano stati fotografati dal prof. So-migliana e, su incarico della prof.a Aliverti, dal sig.

11 Articolo pubblicato nel 1993 sul Notiziario C.A.I. Varallo (a. 7, n. 2, pp. 37-42). Il dattiloscritto originale è conservato presso la Biblioteca della sezione CAI Varallo.

Romano Gorret. I coni, sette o otto, emergevano dal nevato bianchissimo sulla sinistra della pista per la Capanna Regina Margherita, isolati o a gruppi di due o tre; ma si potrebbe forse dire che, benché distribuiti su di una superficie relativamente grande, appartenevano ad un unico gruppo. Credo che nessun cono raggiungesse il metro di altezza; qualcuno non raggiungeva il mezzo metro, altri erano molto piccoli.

Fig. 1 - Cono di ghiaccio, versante occidentale della Punta Gnifetti (Ghiacciaio Grenz, 11 settembre 1982). I coni, visti dalla pista, terminavano a punta, più o meno arrotondata e presentavano, specialmente i più alti, anche degli spigoli più o meno smussati e molte alveolature. Tutt'intorno ad uno dei tre coni più vicini alla pista, alto circa 60 cm, vi era una fossetta, più profonda verso valle: un altro cono, un po' più alto, aveva dinnanzi, a valle, una fossetta che si colmava gradualmente a lato, mentre a monte aveva la base ricoperta dalla neve; intorno alla base, relativamente larga, di un altro cono, molto basso e con la punta arrotondata, non v'era traccia di fossetta. Forse si trattava di impronte d'ostacolo formate anteriormente e ai lati del cono dai vortici del vento, e rispettivamente, di accumulo di neve

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formatosi dietro al cono in seguito al rallentamento della velocità della tormenta in corrispondenza del cono; o forse quelle fossette potevano essere residui di solchi più larghi, in via di riempimento, creatisi all'impatto del blocco con la spessa coltre di neve.

Fig. 2 – Coni di ghiaccio (Ghiacciao d’Indren, 5 ottobre 1986) L'aspetto del ghiaccio dei coni faceva escludere che potesse trattarsi di rilievi residui di nevato del ghiacciaio, risparmiato, in quei punti, da11'ablazione. Nei coni si vedeva una netta alternanza di vari strati, alcuni meno bianchi per fine detrito incluso. Nessuno era formato da ghiaccio vivo e trasparente, ma solo da ghiaccio opaco, forse minutamente granulare e assai più compatto di quello sul quale emergevano. Nei due coni più alti, gli strati (messi in maggiore risalto da11'ablazione) avevano direzione Nord-Sud, erano molto inclinati ed immersi verso Ovest; nel cono piccolo avevano direzione assai diversa, circa Est-Ovest ed erano quasi verticali, con immersione verso Sud. La parte dei coni rivolta a Sud era meno inclinata di quella rivolta a Nord: nel cono più appuntito l'inclinazione era quasi uguale. A destra della pista, sul ripidissimo versante ovest della Punta Gnifetti, coperto di ghiaccio, si notava

una piccola parete rocciosa sulla quale sporgeva, crepacciata e tagliata verticalmente, una spessa coltre di nevato stratificato. Poco distante e a Nord un'altra parete di ghiaccio stratificato ed un lungo blocco di ghiaccio emergente dal ghiacciaio appena sot¬to la parete stessa, come un’enorme fetta in¬clinata, staccatasi da essa. Pure a Nord, poco distante dal gruppo di coni, un lungo e largo crepaccio trasversale con il bordo a valle molto più basso di quello a monte. La posizione topografica dei coni, la loro distribuzione sul pendio e la diversa direzione, immersione, pendenza e spessore degli strati facevano pensare che doveva trattarsi di blocchi di nevato molto compatto caduti dalla sovrastante cornice, rotolati e più o meno sprofondati in neve soffice primaverile nella parte meno inclinata del pendio, riemersi, o emersi maggiormente, per assestamento e trasformazione in nevato della neve circostante, e, per ablazione ed azione del vento, modellati a forma più o meno conica. Purtroppo non ho ricercato eventuali tracce di rotolamento sul pendio. L'assenza di detriti sui coni e su11'accecante ghiacciaio faceva escludere l'ipotesi di Mon¬terin che attribuisce la formazione dei coni a sacche di detriti, e quella di Clebelsberg che l'attribuisce all'azione protettiva di sabbia e polvere; l'assenza poi di acque correnti sul ghiacciaio faceva escludere l'ipotesi di altri Autori che la mettono in relazione con i pozzi glaciali. Data la piccola altezza dei coni e lo spessore non eccessivo della cornice di ghiaccio, si poteva pensare che la loro formazione fosse avvenuta in quello stesso anno, e che la loro durata dovesse essere breve sia per l'ablazione e l'azione del vento, sia per ricoprimento, completo e definitivo, da parte delle nevicate, bufere e valanghe durante il lungo periodo freddo ormai iniziato. Alcune fotografie sembrano rilevare nella stessa zona, un po' più in alto, la presenza di piccoli rilievi piramidali o conici emergenti dal ghiacciaio con una base molto larga che potrebbe far supporre che si tratti di grandi blocchi di ghiaccio caduti qualche anno prima e, ormai, quasi scomparsi sotto le nevi delle diverse annate. I coni che ho visto sul ghiacciaio del Grenz non erano allineati con la direzione di discesa della massa ghiacciata, ma disposti come i blocchi di una frana sul pendio della montagna. Ritengo che simili coni di ghiaccio si formino ogni anno e che la posizione topografica sia sempre la stessa per l'insieme dei coni, ma che per ogni cono sia casuale, come anche il loro numero e le loro dimensioni, mentre le caratteristiche fisiche dei diversi strati di ghiaccio sono in relazione con le condizioni meteorologiche delle annate precedenti, ed il loro aspetto con l'età

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e con l'epoca dell'anno nella quale vengono osservati: le nevicate invernali e primaverili cancellano spigoli e asperità, almeno nei blocchi non molto grandi, e, se il blocco ha una opportuna giacitura, creano una forma conica certamente enigmatica, non potendosi osservare differenze rispetto alla neve circostante, non accidentata, del ghiacciaio. Nei mesi estivi, quando l'ablazione mette allo scoperto il blocco di ghiaccio compatto, osservandone gli strati, si può riconoscere l'origine degli enigmatici coni. Coni di ghiaccio analoghi a quelli del ghiacciaio del Grenz avevo osservato e fotografato, purtroppo da lontano, qualche anno prima, sotto la seraccata più al¬ta del ghiacciaio di lndren, circa a quota 3700 m: nella fotografia si vedono distintamente, benché molto piccoli. Negli anni 1985 e 1986 (agosto-ottobre) ho visto e fotografato altri coni di ghiaccio, sulla parte occidentale del ghiacciaio di lndren, al di sotto dei 3400 m circa, in zona pianeggiante crepacciata e interessata da forte ruscellamento superficiale. I coni emergevano da ghiaccio vivo di colore verde-azzurro, qua e là ricoperto di terriccio e sfasciume di roccia o da un sottile strato di ghiaccio granulare, bianco, poco compatto. Erano molto numerosi e di varia altezza, generalmente di circa mezzo metro o inferiore: solo alcuni si avvicinavano all'altezza di un metro o la superavano di poco. Quasi tutti terminavano a punta, ma qualcuno più che di un cono aveva l'aspetto di una colonnina che terminava con una superficie piatta inclinata verso Sud: altri erano ancora ricoperti da una lastra di pietra o da un masso più o meno grossi. Nessun cono aveva spigoli (evidenti, invece, nei coni del ghiacciaio del Grenz); molti, specialmente quelli più alti, erano formati da strati più o meno bianchi di ghiaccio granulare opaco.

Fig. 3 - Colonne di ghiaccio di "Tavole dei ghiacciai" (Ghiacciaio Indren, 5 ottobre 1986)

Nell'ottobre e novembre del 1986 ho osservato e fotografato, specialmente sul ramo orientale del ghiacciaio di lndren, non crepacciato e sottoposto ad un’eccezionale ablazione nei mesi estivi, molti coni, generalmente più alti di quelli fotografati nel 1985 sul ramo occidentale, formati da ghiaccio assai compatto e di colore bianco o, più raramente, verdeazzurro, almeno alla base. Sia nel 1985 che nel 1986 ho osservato, dinnanzi ad ogni cono, a valle, a sud, e a breve distanza, una pietra di varia grandezza. Era evidente che ogni cono era stato prima un "Fungo", o una "Tavola dei ghiacciai", dai quali era caduta la pietra che li difendeva dall'ablazione, lasciando scoperta una colonna di ghiaccio dapprima non perfettamente conica, ma successivamente modellata a forma di cono dagli agenti atmosferici. Analoghi "coni di ghiaccio" ho osservato e fotografato nel novembre del 1971 e del 1986 sul ghiacciaio di Bors, nei pressi della morena destra e della fronte del ghiacciaio. Non mi è mai accaduto, passando sul Piateau del Lys, di osservare la "morena mediana galleggiante destra", né quindi dei coni di ghiaccio formatisi su di essa, come quelli dei quali parla la relazione della prof.a Aliverti, fotografati dal prof. Somigliana. Forse, sono assimilabili ad essi quei coni con base di ghiaccio vivo verde-azzurro, assai compatto, coperti in parte di terriccio e le colonne di ghiaccio che lo scorso autunno '86 ho fotografato tra "Funghi" e "Tavole dei ghiacciai", nella parte alta del ramo orientale del ghiacciaio di Indren, quasi completamente coperta da mo¬rena (grossi blocchi e lastroni, frantumi di roccia e terriccio), poco sotto la cresta che dalla stazione della funivia di Punta Indren va alla Forcella di Bors. Le colonne di ghiaccio compatto di "Tavole e Funghi", di varia grandezza e variamente terminate a seconda della grandezza e della forma della pietra che le aveva ricoperte, sepolte sotto la neve invernale e primaverile, nell'estate successiva possono riemergere per ablazione differenziata, sul nevato granulare e bianco e tra il detrito morenico circostante, ed assumere la forma di un cono che nasconde la sua storia a chi non ha potuto seguirne l'evoluzione.

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Fig. 4 - Funghi di ghiacciai dopo la caduta del cappello. (Ghiacciaio Indren, 5 ottobre 1986) Le "sacche piene di detriti formate dall'azione delle acque correnti, d'estate, sulla lingua glaciale", e la "sabbia e polvere" alle quali il prof. Monterin e, rispettivamente, Clebelsberg attribuiscono la formazione dei coni, fanno pensare a dei detriti fini facilmente asportabili dall'acqua di fusione del ghiaccio che li cementava, i quali, forse, potrebbero spiegare solo la formazione di coni piuttosto piccoli ricoperti dal detrito stesso che ne faciliterebbe la fusione, simili a quelli che ho osservato sul ghiacciaio di lndren nell'autunno del 1986: piccoli, ricoperti quasi completamente di fan¬ghiglia che si andava accumulando alla base del cono. Se, invece, il materiale delle "sacche nere piene di detriti" fossero anche grossi blocchi e lastre potrebbero formarsi "Tavole e Funghi" che, dopo la caduta della pietra, darebbero origine a colonne di ghiaccio alte fin anche un metro e, finalmente, coni di ghiaccio, come quelli osservati sui ghiacciai di lndren e Bors. I coni che ho fotografato su questi ghiacciai potrebbero forse essere assimilabili a quelli "emergenti da ghiaccio vivo" fotografati dalla dott.ssa Vialli dell'Università di Pavia, sul ghiacciaio di Careser nel gruppo Ortles-Cevedale, nell'agosto del 1947 e nel luglio 1949, ricordati nella relazione della prof.a Aliverti. Dopo le osservazioni fatte sui ghiacciai del Grenz, di lndren e di Bors, ritengo che i "coni di ghiaccio" si formino: a) nelle parti più alte del ghiacciaio (nel bacino collettore), da blocchi caduti nella neve soffice da cornici di ghiaccio modellati a forma più o meno conica dall'ablazione. Potrebbero, forse, aversi anche delle forme a collinetta se inizialmente la parte alta del blocco di ghiaccio invece che un vertice fosse uno spigolo specialmente se allungato e 'vivissimo", che, attaccato dall'ablazione in corrispondenza di strati di ghiaccio meno compatto

o più ric¬co di detrito potrebbe assumere l'aspetto della "collinetta piramidale costituita da una serie di coni successivi con i loro vertici ravvicinati", della quale parla la prof.a Aliverti. b) Sulla lingua glaciale, specialmente intorno al limite delle nevi persistenti, dove uno spesso strato di neve invernale e primaverile, contenente eventualmente blocchi e lastre di pietra, caduti dalle pareti e creste circostanti, fondendo durante l'estate, lascia scoperto qua e là il ghiaccio vivo sul quale emergono "Funghi" e "Tavole dei ghiacciai" con piedistallo, di ghiaccio vivo e di nevato, che verrà modellato a forma di cono dopo la caduta della pietra che l'aveva difeso dall'ablazione. c) Nelle zone seraccate, di ghiaccio vivo, specialmente verso la fronte del ghiacciaio, ove "coni di ghiaccio" si trovano fra altre forme, di prismi, piramidi, guglie ... molto numerose e vicine tra di loro.

Fig. 5 - Seracchi (Fronte del ghiacciaio Sesia, estate 1983)

Ringraziamenti Ho potuto raggiungere i ghiacciai e studiare i "coni di ghiaccio" ed altri aspetti del Monte Rosa per la gentile e generosa ospitalità del sig. rag. Luciano Ferro, amministratore delegato delle Funivie Monrosa di Alagna, al quale esprimo il mio più vivo ringraziamento.

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Appendice Fotografie di coni di ghiaccio conservate nell’archivio fotografico di Padre Alessandro Mazzuco (Padri Dottrinari, Varallo).

Fig. 6 – Coni di ghiaccio (Ghiacciaio di Bors, 2 novembre 1971)

Fig. 7 – Cono di ghiaccio (Ghiacciaio di Bors, 2 novembre 1971)

Fig. 8 – Cono di ghiaccio verso la Punta Zumstein (11 settembre 1982)

Fig. 9 – Cono di ghiaccio (Ghiacciaio d’Inden, 5 ottobre 1986)

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LA TOPONOMASTICA VALSESIANA

Elvira Poletti

GLI APPUNTI DI TOPONOMASTICA VALSESIANA Gli “Appunti di toponomastica valsesiana” di Padre Mazzucco sono una raccolta di voci (nomi, prefissi, suffissi geografici, toponimi italiani), con la spiegazione della loro origine e significato, seguite da nomi di località valsesiane che hanno o potrebbero avere la stessa origine e medesimo significato. L’autore affermava che gli appunti, raccolti tra il 1970 e il 1988, non avevano alcuna pretesa scientifica e didattica, ma erano solo il risultato di esercitazioni di informatica nelle quali, per curiosità e diletto personale, aveva preferito elaborare dati riguardanti la Valsesia invece di altri. In realtà il materiale di preparazione manoscritto e le cinque edizioni stampate da supporti informatici rivelano ampiamente che lo spirito e la competenza dello scienziato e del maestro, insieme al suo amore per la Valsesia, non si smentiscono mai, al di là della congenita modestia. Già la motivazione è esemplare, perché quella che lui chiama curiosità è autentico interesse, passione, quasi un “furore” che lo spinge a scrivere e scrivere a ritmo serrato in qualsiasi momento della giornata (appuntando data e ora), su tutto ciò che gli capita sottomano: frammenti di carta da pacchi, buste di varie dimensioni, foglietti di notes, fogli protocollo riciclati, retro di circolari scolastiche, di locandine teatrali, di manifesti pubblicitari, di fotocopie, di calendari. IL METODO DI LAVORO Si preoccupa di dare dei suggerimenti di metodologia (24 dicembre 1984): “La ricerca etimologica, osserva, deve essere affidata a specialisti e perciò si consiglia a chi volesse rendersi conto del significato originario di un toponimo di accertare innanzi tutto se il problema è già stato risolto dagli studiosi, tenendo presente che molti toponimi sono comuni a più e talvolta a molte e moltissime località”. Stila una ricca bibliografia che comprende dizionari, volumi di filologia, carte topografiche,

atlanti, riviste, opere di toponomastica delle varie aree, atti notarili. Trascrive intere pagine di testi consultati, li analizza, li pone a confronto con la realtà valsesiana. “Il tesoro toponomastico nazionale”, afferma, “non fu ancora inventariato e nemmeno censito, e quello valsesiano?” si chiede, e altrove: “La percentuale maggiore dei toponimi riguarda la parola Ca’, e in Valsesia?” Sarebbe curioso contare quante volte ha scritto a mano la parola Valsesia. Riferisce informazioni acquisite sul campo, annota intuizioni, impressioni. Quando sperimenta che la soluzione di un problema non è quella proposta, scrive in stampatello: “SBAGLIANDO S’IMPARA”. Formula ipotesi suggestive che potrebbero sembrare azzardate, ma sempre suffragate dalle sue conoscenze e sempre col beneficio del dubbio. Ad esempio si chiede se Fobello, oltre il significato che tutti conosciamo, potrebbe essere il diminutivo di foiba con cui sono indicate le cavità carsiche e persino crateri vulcanici (e quindi anche conche glaciali). A proposito del toponimo Nonaj osserva: ”La toponomastica sacra non abbraccia solo nomi di santi, ma tutto quello che ha attinenza con la religione. Pensiamo a Diavolo, Inferno o alle ore canoniche di Terza, Sesta, Nona, cioè le ore di preghiera che le montagne stesse vengono a segnare in relazione alla posizione del sole o con le loro ombre”. LE CATEGORIE TOPONOMASTICHE Compila specchietti riassuntivi, come un elenco di 65 vocaboli greci che potrebbero avere affinità con toponimi locali. Nello schema A del 24 novembre 1984 riporta una trentina di chiavi di lettura desunte da varie fonti che talora evidenzia esplicitamente nella stesura computerizzata con matite colorate. Ad esempio nella terza edizione segnala con cerchietti verdi i nomi di luoghi valsesiani che si riferiscono alla vegetazione: Arniaccia (dalla voce greca arneion che significa piantaggine), Balmadasa (dal greco asi che sono i frutti legnosi delle conifere), Boccioleto (dal latino buxus, bosso), Colora (pianta del nocciolo), Folecchio, Frasso, Gatte

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(pioppo bianco), Grassura (da gras, voce tedesca che indica erba o anche stalla con prato ingrassato), Lampone, Lanciole (piantaggine), Larecchio, Nasso (nome volgare della Taxus Baccata), Peccia, Ratei, Vertighe (dove cresce il luppolo) e tanti altri. E con puntini rossi sono indicati i nomi inerenti alla fauna e alla pastorizia: Boco (da bucos, pastore, ma anche campagna unita a selva), Dorca, Dorcia, Dorcie, Dorchetta (dal greco dorkas, capriolo), Grega (gregge), Micciolo (asinello), Ghiaccio o Gias o Giacet (prato presso le capanne dove si chiude il gregge ed è messo in relazione col latino medioevale Jaccio, dimora pastorale). Nella seconda edizione, invece, i puntini rossi denotano gli aspetti geomorfologici e quelli blu i vegetali o attività agricolo-forestali e industrie derivate. Vengono così suggeriti per analogia innumerevoli filoni di indagine, quali: - la configurazione del territorio: Costa, Piana, Montata, Sella, Riva, Ronco (luogo dissodato o terreno di riporto dal latino runcare), Rusa (terreno franato reso stabile dalla coltivazione), Res o Reale (voce che ritorna nel nome di pascoli magri su pendi erti e ghiaiosi), Fornale, Furnai (marmitte dei giganti o forni per la forma di erosione), Cengie, Cengioroni; - le molteplici sagome (Pizzo, Picco, Corno, Torre, Becco, Castello, Rocco) e composizione (Giavina, Giare, Lavaggi, Sasso, Piode); - la posizione: Solivo, Ordovago, Belvedere, Buzzo, con l’indicazione specifica di sopra, di mezzo, di sotto, di qua, di là, vicino o lontano (ad esempio Villa Superiore o Inferiore, Ormezzano, Otra, Mittlentail, Vittine; - la presenza d’acqua (Varvadum o Varadum, Pisse, Lamaccia, Mollia, Malosso); - le attività umane: Morca (dal greco amorghe, pannelli di spremitura dell’olio di noce), Molino, Nosuggio, Le Folle, Ferrate; - i nomi dei proprietari: Farinetti, Cravagliana (da Caprilius); - la storia della colonizzazione walser o di qualche personaggio (ad esempio Campo Dolcino). - serie di nomi alterati (vezzeggiativi, dispregiativi, diminutivi, accrescitivi): Rivetto, Rivone, Pianello, Giavinelle, Roncaccio, Vallaccia, Balmone, … I cinque volumi computerizzati confermano ancora una volta lo spirito da certosino del ricercatore, rigoroso fino allo scrupolo, umile, paziente che non dà mai niente per scontato o definitivo. Sono cinque edizioni dello stesso lavoro costellate di punti interrogativi, cancellature, correzioni, aggiunte, asterischi, patetici richiami: ”attenzione!,

controllare!”, progressivamente rivedute, ordinate, ampliate. IL CENSIMENTO TOPONOMASTICO La stesura finale risulta infatti formata da 1086 vocaboli, rispetto alla prima di 534, ed è organicamente strutturata. Accanto a ogni voce il numero tra parentesi rotonda rimanda a quello dell’Autore nella bibliografia. Le voci delle diverse fonti sono state raggruppate in modo che di ciascuna riesca più facile ed immediata la comparazione col toponimo valsesiano. A titolo d’esempio, trovo Roj riferibile a dieci vocaboli con significati e origini differenti: pruno da siepi, roggia, rovere, corso d’acqua, specie di quercia, luogo pieno di rovi, rosacea. Così Oro con le varianti Orello, Orelli, Orlino, Orlivo, Oraccio, è riconducibile a dieci fonti col significato di orlo, terrazzo, bufera, vento con pioggia, spigolo, poggio, confine, limite, ciglio del burrone, lembo, altura. Lo stesso per Tetti; da dieci fonti derivano molteplici significati: piccole costruzioni, bagnato, stalla, cascina, capanna, ricovero per bestiame, tetto, copertura, riparo temporaneo, dimora di mezza stagione. Per Meula i vocaboli di confronto sono sette ed indicano sì la falce fienaia, ma anche erba dei pascoli d’alta montagna (meum mutellina), oppure prato magro dalla voce dialettale myal. Per Priami le voci sono sei con i curiosi significati di prendo in affitto, sono calvo, catena di monti a sega, che fiorisce per tempo, vertice, roccia, colle. Come si vede la gamma delle probabilità è vasta e l’interpretazione a volte personale; lo sottolinea lo stesso padre Mazzucco ammonendo di ricordare sempre le parole di S. Agostino: “ut somniorum interpretatio, ita verborum origo pro cuiusque ingenio iudicatur”, cioè, come avviene per l’interpretazione dei sogni così ognuno spiega l’origine dei vocaboli secondo la propria intuizione. Per evidenziare eventuali variazioni grafiche e fonetiche e proporre quindi una ricerca più approfondita, al fascicolo di 1086 vocaboli è aggiunto un ulteriore elenco di 477 nomi comprendente, oltre a toponimi, cognomi, seguiti dall’anno del documento nel quale compaiono per la prima volta, tratti dalle “Carte valsesiane” pubblicate da Carlo Guido Mor nel 1933, confrontati coi toponimi attuali dell’Alta Valsesia. Il risultato finale ci sembra un monumento alla Valsesia, un mosaico gigantesco dove ogni tessera apre uno spiraglio su uno scorcio di paesaggio

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montano, con il fascino unico della sua storia c della sua vita, ma anche una miniera di tesori che devono ancora essere scoperti. “Chi più sa più vive” ripeteva “ ma chi ama la montagna vive due volte”. Per una richiesta di autorizzazione ad una gita di istruzione a Punta Indren, il 18 ottobre 1986 scriveva al preside: “Ho proposto questa escursione, con la convinzione che il suo riflesso educativo sarà notevole, profondo e duraturo, non solo per gli alunni, ma pure per me che da

cinquant’anni vedo nel Monte Rosa una meta sempre nuova e meravigliosa”. Per il suo amore per la nostra Valle oggi certamente rivive per un attimo nel ricordo di quanti l’hanno conosciuto, ma ci piacerebbe tanto che la traccia di questo poderoso lavoro fosse seguita da qualche giovane, magari per una tesi di laurea. Sarebbe come prolungare nel tempo un frammento della Sua scienza e della Sua stupefatta meraviglia.

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LA STAZIONE METEOROLOGICA

Roberto Cairo

Non ho avuto la fortuna di conoscere personalmente Padre Mazzucco e proprio per questo sono entrato in punta di piedi nel suo laboratorio e nelle sue carte, con uno sguardo forse meno condizionato dai ricordi. Quando si entra in un laboratorio utilizzato per anni, bisogna anzitutto cercare di capire: pur essendo un fisico di formazione, per me non è stato facile capire lo scopo e la logica di tutte le apparecchiature presenti. LA STAZIONE METEOROLOGICA DELL’ISTITUTO

CAIMI DI VARALLO Una considerazione mi viene spontanea, avendo la possibilità di conoscere la dotazione sia del laboratorio di Padre Mazzucco sia dei laboratori di fisica e chimica del liceo, ora unificati, sia delle biblioteche: sono strutture nate e cresciute in anni in cui era riconosciuta più di adesso l’importanza delle attività scientifiche, con una ben diversa considerazione sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista dei tempi e dell’impegno. Alcune pseudo-esperienze o, peggio ancora, le simulazioni al computer che sono contrabbandate nella scuola attuale come esperimenti, sembrano giochi di bambini in confronto a un’esperienza di laboratorio reale e significativa. Nel laboratorio dell’Istituto Caimi (ora Istituto Superiore D’Adda) ho ritrovato gli strumenti che hanno permesso la raccolta dei dati metereologici, alcuni quasi sicuramente sconosciuti ai non addetti ai lavori: per questo ne allego una brevissima descrizione e alcune foto, anche perché alcuni sono veramente belli da vedere (fig. 1) . Descrivo inoltre gli elaboratori utilizzati da Padre Mazzucco per la rielaborazione dei dati meteo e degli esperimenti, con un lavoro da vero pioniere dell’informatica all’interno della scuola: di questi apparecchi presento le foto e una brevissima descrizione perché sono veramente pezzi di archeologia informatica, di cui ancora sono conservati alcuni esemplari nella nostra scuola.

Fig. 1 – La stazione meteorologica attiva presso l’Istituto Caimi (ora parte dell’Istituto D’Adda) di Varallo LA STRUMENTAZIONE La strumentazione per le rilevazioni meteorologiche, riportata in un elenco del 1986 e ancora conservata presso l’Istituto superiore D’Adda, era costituita da un anemometro, un pluviografo, un termoigrografo, alcuni barometri anereoidi e un barometro Fortin, un eliografo, un piranografo, un evaporigrafo, uno psicrometro, un catatermometro e alcuni termometri a massima e a minima (figg. 2 – 11).

Fig. 2– Anemografo. L'anemometro è uno strumento utilizzato per misurare la velocità del vento. Nelle foto si vedono l’anemometro a forma di aereo e la stazione di raccolta dei dati su velocità e direzione del vento.

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Fig. 3 – Pluviografo. Il pluviometro o pluviografo è lo strumento utilizzato per misurare la quantità di pioggia caduta.

Fig. 4 – Termoigrografo. Il termoigrografo è uno strumento che registra la temperatura e l'umidità relativa della massa d'aria circostante.Nella foto il termoigrografo nel cortile dell’Istituto.

Fig. 5 - Barometri Sono presenti in laboratorio sia barometri aneroidi sia il barometro Fortin. Il barometro Fortin è un barometro a mercurio di precisione per la misura della pressione atmosferica; è usato in tutte le stazioni meteorologiche e può essere usato per tarare altri barometri. È quindi

uno strumento di riferimento essenziale e serve a dare il QNH (quota di riferimento sul livello del mare).

Fig. 6 - Barometro aneroide

Fig. 76 – Eliofanografo. L'eliofanografo è uno strumento utilizzato in meteorologia per misurare la durata dell'illuminazione solare, cioè le ore e le frazioni di ora durante le quali il Sole è presente sopra l’orizzonte libero da nubi, ed è costituito da una sfera di vetro ottico sostenuta ai poli da due supporti posti alle estremità di un arco meridiano graduato, che permette di disporre l’asse della sfera con un’inclinazione uguale ai gradi di latitudine del sito in cui è posta. Sul piano equatoriale della sfera è situata una superficie sferica cava e solidale con il sostegno graduato. Questa superficie è dotata di una serie di scanalature longitudinali nelle quali vengono poste delle strisce di carta diagrammata per la registrazione dei dati. La carta speciale fotosensibile viene bruciata dai raggi del Sole concentrati dalla sfera e dalla posizione e lunghezza delle bruciature è possibile risalire all’orario ed alla durata dell’insolazione.

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Fig. 8 – Piranografo. Strumento per la misurazione dell’intensità della radiazione solare globale, cioè della radiazione solare diretta più quella diffusa dalla volta celeste; è costituito essenzialmente da un ricevitore integrale di energia raggiante (bolometro: di solito una lamina metallica annerita o una termopila), collegato a un opportuno dispositivo di misurazione e protetto da una piccola campana emisferica di vetro d’ottica, per eliminare l’influenza delle radiazioni dovute all’irraggiamento termico del suolo e dell’aria.

Fig. 9 - Evaporigrafo. L’evaporimetro è uno strumento per misurare l’evapotraspirazione. La quantità d’acqua persa per evapotraspirazione si valuta in millimetri, attraverso l’applicazione di formule matematiche che tengono conto dei principali parametri atmosferici che influiscono sul fenomeno fisico. Esso consiste in una vasca a sponde verticali piena d’acqua: dalla misura del livello dell’acqua, effettuata tutti i giorni, si ricava il calo dell’acqua nell’evaporimetro (la misura è in millimetri d’acqua persa al giorno mm/giorno).

Fig. 10 – Psicrometro. Lo psicrometro è uno strumento per misurare l'umidità dell'aria, che si avvale della differenza di temperatura tra un termometro asciutto e uno bagnato. È costituito da due termometri affiancati, di cui uno è chiamato bulbo secco e misura la temperatura dell'aria, mentre l'altro, avvolto in una garza di cotone imbevuta d'acqua distillata, è chiamato bulbo umido e misura la temperatura dell'acqua a contatto con l'aria (ovvero la temperatura di bulbo umido): l'evaporazione dell'acqua sottrae calore abbassandone la temperatura in misura inversamente proporzionale all'umidità dell'aria. La lettura dei due termometri permette di conoscere con tabelle o diagrammi l'umidità relativa e assoluta dell'aria. L’ELABORAZIONE DEI DATI La stazione meteorologica ha funzionato dal 1969 al 1990.

Fig. 11- Il frontespizio della raccolta dei dati sulle precipitazioni (1966-1990)

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I dati rilevati sono stati archiviati ed elaborati con macchine calcolatrici (Olivetti MC-24) ed elaboratori (Olivetti Programma 101, Olivetti Programma 203, IBM 5120; figg. 12-15). Anche questi strumenti sono riportati in un elenco del 1986 e sono ancora conservati presso l’Istituto superiore D’Adda. I dati rilevati sono conservati in forma cartacea. Sono inltre disponibili tabelle e grafici elaborati da Padre Mazzucco.

Fig. 12- Olivetti MC-24. La sigla MC-24 indica una serie di macchine da calcolo elettriche, automatiche, con stampa integrata e registro di memoria dinamica, prodotte dalla Olivetti, e comprendeva 3 modelli base: la Multisumma-24 (somma, sottrazione e moltiplicazione), la Divisumma-24 (anche divisione) e la Tetractys. La Divisumma, grazie al buon rapporto prezzo-prestazioni, fu il modello maggiormente venduto: il suo prezzo era di poco inferiore a quello di una Fiat 500. L'Olivetti rivendeva queste macchine a dieci volte il costo di produzione, pur restando molto concorrenziale. Nel 1967, fu prodotto il milionesimo esemplare. È stata definita “la gallina dalle uova d'oro”.

Fig. 13 - Olivetti Programma 101. L’'Olivetti Programma 101 o P101 è un calcolatore da scrivania, con stampante integrata, sviluppato dalla ditta italiana Olivetti negli anni tra il 1962 e il 1964. La P101, con la sua innovativa concezione e il design avveniristico per l'epoca, può essere considerato il primo personal computer. Ebbe un buon successo di vendita grazie

anche al suo costo relativamente limitato, 3.200 dollari, e alla sua programmabilità senza l'intervento di tecnici. Dei circa 44.000 modelli venduti ne esistono soltanto otto ancora funzionanti. La Programma 101 era in grado di fare le 4 operazioni oltre alla radice quadrata.

Fig. 14 - Olivetti Programma 203. Dopo il successo della Programma 101, l’Olivetti prosegue nello sviluppo degli elaboratori personali e presenta, nel 1967, la P203. E' un calcolatore dedicato principalmente ad applicazioni commerciali, area in cui Olivetti è storicamente presente con le sue macchine contabili a tecnologia meccanica o mista meccanica/elettronica. Nella P203 è presente l'integrazione di due distinti prodotti: un elaboratore derivato dalla Programma 101 ed una macchina per scrivere elettrica Tekne 3. Il punto di forza della macchina era proprio la possibilità di realizzare direttamente i documenti con i dati risultanti dall'elaborazione, senza necessità di una loro trascrizione. La macchina si prestava particolarmente alle applicazioni amministrative (fatturazione, paghe, provvigioni) ma era proposta anche per calcoli finanziari, statistici, e tecnico-scientifici.

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Fig. 15 - IBM 5120. Il sistema IBM modello include al suo interno due floppy disk drive da 8" con 1.2 MB di capacità ed un monitor da 9". Annunciato nel febbraio del 1980, è dotato del linguaggio di programmazione BASIC. Al momento del lancio il modello 5120 era il computer IBM con il prezzo più basso. L'IBM 5120 era composto da tre pezzi: il Modello 3 5110, l'unità a dischi 5114 e la stampante ad aghi 5103. Costava una bella cifra, allora, nonostante fosse il prezzo più basso per IBM: 9.340 dollari. La sua caratteristica più imbarazzante era il peso, ben 48 kg!

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Ringraziamenti Gli organizzatori ringraziano: Padre Renato Zacquini, per la disponibilità mostrata in tutte lo svolgimento del progetto; Ermete Cravanzola e Carlo Beccaria, per le informazioni fornite agli Autori dei riassunti. I testi relativi alle coppelle della Valsesia, consultati per la preparazione dell’articolo di Piera Micheletti, sono stati trascritti da studenti dell’Istituto Superiore D’Adda (___) nell’anno scolastico ___. La riedizione dell’articolo di Alessandro Mazzucco sui coni di ghiaccio, pubblicato sul Notiziario CAI Varallo nel 1983, è stata eseguita da Mauro Festa Larel. Le fotografie di padre Mazzucco in copertina, nelle pp. 18-19, 50, provengono dall’archivio dei Padri Dottrinari; dallo stesso archivio provengono anche le fotografie nella pp. 23-25, 50, scansionate da padre Renato Zacquini e Antonio Bondioli Mauro Festa Larel e Roberto Cairo. Le fotografie nelle pp. 35-37 sono di Giorgio Salina; nelle pp. 41, 43-45, 56-59 di Roberto Cairo. La redazione del volume è stata curata da Roberrto Fantoni.

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ottobre 2012

Istituto Superiore D’Adda

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