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1 CONOSCERE IL BALDO – GARDA II° CORSO DI FORMAZIONE PER ANIMATORI TURISTICI AMBIENTALI 1° INCONTRO: GIOVEDI’ 03 MARZO 2016 “CONOSCERE IL PERCORSO DEL NORDIC WALKING PARK DI BRENZONE” RELATORE: PROF. MAURIZIO DELIBORI Brenzone tra Lago e Baldo, valori ambientali e storici. Questa sera facciamo la prima carrellata perché effettivamente, come ogni territorio ma in particolare il vostro territorio di Brenzone è, da questo punto di vista, abbastanza fortunato perché ha una serie di ambienti diversi e mette insieme lago e montagna, perché partendo dal lago, a 65 metri a livello marino fino a 2200 metri di Cima Telegrafo, è un po’ tutto un excursus di zone, di fasce vegetali, che vedremo nella prossima lezione, ma anche di paesaggi e di contrade, di territori veramente diversi e in un certo senso unici, perché pochi comuni possono vantare un territorio così ampio, non tanto come ampiezza di superficie ma di caratterizzazioni diverse, di paesaggi diversi. Già solo il fatto di dire partiamo dal lago e in giornata, per buoni camminatori, si può arrivare fin sulle creste, è una caratteristica che in pochi altri comuni è presente. Questo territorio, estremamente vario, estremamente ricco, ha appunto una serie di valori, naturalistici prima di tutto, che cercheremo di vedere questa sera dal punto di vista “aspetti geologici, geografici, ecc.” e poi vedremo anche quelli antropici * che riguardano tutta la fascia degli insediamenti, che è soprattutto quella medio-bassa e quindi fino a circa 1000 metri, tenendo però presente che anche sopra questa quota c’è la fascia delle malghe, che sono poche però ci sono, e quindi tutto il territorio è stato antropizzato. Qualcuno potrebbe dire che forse le creste un po’ meno, in realtà anche queste sono state antropizzate: se pensiamo 100 anni fa, durante la Prima Guerra Mondiale, della quale stiamo celebrando il Centenario appunto, erano proprio frequentatissime, addirittura la mulattiera di cresta e le strade che salgono verso il Rifugio Telegrafo, che peraltro non hanno mai raggiunto, per fortuna, perché si sono fermate nella Val delle Nogare, erano strade militari che a quel tempo stavano pensando di costruire per arrivare addirittura fino al Telegrafo. Quindi tutta la montagna era stata “antropizzata” e quindi cercheremo di vedere anche questi aspetti storici che ci sono su questo territorio. La prima cosa che si fa, e voi che fate pratica di escursionismo, veloce o meno veloce non ha importanza, è quello proprio di “vedere” i territori, perché è la prima percezione che noi abbiamo quando andiamo in un qualsiasi territorio e il vostro è particolarmente evidente, non dico bello, ma * L'antropizzazione (dal greco ànthrōpos uomo) in geografia ed ecologia è l'insieme degli interventi dell'uomo sull'ambiente naturale, con lo scopo di trasformarlo o adattarlo, o anche alterarlo.

Conoscere il percorso del Nordic Walking Park di Brenzone sul Garda

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CONOSCERE IL BALDO – GARDA

II° CORSO DI FORMAZIONE PER ANIMATORI TURISTICI

AMBIENTALI

1° INCONTRO: GIOVEDI’ 03 MARZO 2016

“CONOSCERE IL PERCORSO DEL NORDIC WALKING PARK DI

BRENZONE”

RELATORE: PROF. MAURIZIO DELIBORI

Brenzone tra Lago e Baldo, valori ambientali e storici.

Questa sera facciamo la prima carrellata perché effettivamente, come ogni territorio ma in particolare

il vostro territorio di Brenzone è, da questo punto di vista, abbastanza fortunato perché ha una serie di

ambienti diversi e mette insieme lago e montagna, perché partendo dal lago, a 65 metri a livello marino

fino a 2200 metri di Cima Telegrafo, è un po’ tutto un excursus di zone, di fasce vegetali, che vedremo

nella prossima lezione, ma anche di paesaggi e di contrade, di territori veramente diversi e in un certo

senso unici, perché pochi comuni possono vantare un territorio così ampio, non tanto come ampiezza di

superficie ma di caratterizzazioni diverse, di paesaggi diversi. Già solo il fatto di dire partiamo dal lago

e in giornata, per buoni camminatori, si può arrivare fin sulle creste, è una caratteristica che in pochi

altri comuni è presente. Questo territorio, estremamente vario, estremamente ricco, ha appunto una

serie di valori, naturalistici prima di tutto, che cercheremo di vedere questa sera dal punto di vista

“aspetti geologici, geografici, ecc.” e poi vedremo anche quelli antropici * che riguardano tutta la fascia

degli insediamenti, che è soprattutto quella medio-bassa e quindi fino a circa 1000 metri, tenendo però

presente che anche sopra questa quota c’è la fascia delle malghe, che sono poche però ci sono, e quindi

tutto il territorio è stato antropizzato. Qualcuno potrebbe dire che forse le creste un po’ meno, in

realtà anche queste sono state antropizzate: se pensiamo 100 anni fa, durante la Prima Guerra

Mondiale, della quale stiamo celebrando il Centenario appunto, erano proprio frequentatissime,

addirittura la mulattiera di cresta e le strade che salgono verso il Rifugio Telegrafo, che peraltro non

hanno mai raggiunto, per fortuna, perché si sono fermate nella Val delle Nogare, erano strade militari

che a quel tempo stavano pensando di costruire per arrivare addirittura fino al Telegrafo. Quindi tutta

la montagna era stata “antropizzata” e quindi cercheremo di vedere anche questi aspetti storici che ci

sono su questo territorio.

La prima cosa che si fa, e voi che fate pratica di escursionismo, veloce o meno veloce non ha

importanza, è quello proprio di “vedere” i territori, perché è la prima percezione che noi abbiamo

quando andiamo in un qualsiasi territorio e il vostro è particolarmente evidente, non dico bello, ma

* L'antropizzazione (dal greco ànthrōpos uomo) in geografia ed ecologia è l'insieme degli

interventi dell'uomo sull'ambiente naturale, con lo scopo di trasformarlo o adattarlo, o anche

alterarlo.

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particolarmente evidente perché mettendo insieme una vasta quantità di acqua come quella del lago,

i rilievi che ha alle spalle con il Monte Baldo e anche quelli di fronte che comunque creano scenografia, creano paesaggio, ed elementi antropici che emergono, il geografo Eugenio Turri (SCHEDA 1) li

chiamava “iconemi*” cioè le immagini della memoria che una persona si ricorda, per esempio un campanile

si ricorda sempre perché è un punto evidente, alto, emerge; allo stesso modo potrebbe essere la torre

come la Torre Colombara di Biaza, il campanile di Sant’Antonio o altri posti nei vari centri, e direi di più: addirittura noi ci ricordiamo certi colori. Pensiamo alla fascia dell’oliveto con quel colore caratteristico,

unico, che ha l’oliveto, è un inserimento antropico in quanto non è sempre esistito ma c’è dall’epoca Romana. E’ un inserimento che fa parte di questo tipo di paesaggio che non troviamo in altri contesti, è

una rarità, un qualche cosa di specifico che crea una identità. Quindi gli icomeni, queste immagini della

memoria, sono quindi le immagini della nostra identità ed è quello che noi dovremmo percepire subito, in

un territorio. Cercare quindi, anche automaticamente, di vedere ma non solo con gli occhi, capire cosa c’è dietro l’immagine di questi emblemi che ci sono sul territorio.

Il territorio di Brenzone è veramente vasto; va dalle sponde del lago, e qua ci sarebbe da dire le sponde

attuali del lago, quelle che vediamo adesso, che non erano così trent’anni fa e non erano così

cinquant’anni fa, e ci sarebbe tutto un discorso da fare sulla trasformazione del paesaggio, che c’entra

nel discorso nel momento in cui noi vogliamo vedere un territorio in modo intelligente, e questo significa

che a volte bisognerebbe prendere la fotografia di cento anni fa e cominciare a confrontare cosa è

successo in questi cento anni, vedere le trasformazioni, non per dire che questo lo buttiamo via, ma per

capire come si è trasformato il territorio. Perché la realtà è che il territorio si è trasformato. Capiamo

in che tempi ciò è avvenuto. Si potrà vedere che le trasformazioni principali non sono quelle di

50/60/70 anni fa, ma sono avvenute negli ultimi 30/40 anni, anzi, più verso i 30. Quindi, capire anche

come si è velocizzata questa trasformazione, al di là del bello o del brutto, che possa piacere o meno, ci

fa porre una domanda: possiamo velocizzare sempre di più queste trasformazioni o dobbiamo

rallentare? Questo è un ragionamento che può venir fatto.

Altra cosa, il paesaggio noi dobbiamo vederlo non solo dal di dentro ma anche spostandoci al di fuori,

quindi andare qualche volta anche nell’altra sponda del lago perchè così ci rendiamo conto di come

effettivamente è il nostro territorio. Vediamo questa asperità, con la montagna che sale brutalmente

quasi, per 2000 metri alle spalle del lago e, nello stesso tempo, in questi giorni la possiamo vedere metà

imbiancata e metà no. Questo ovviamente dipende da un fattore climatico che vedremo la prossima

volta, che sta cambiando, perché adesso la vediamo così ma se l’avessimo vista 30 anni fa la neve si

sarebbe potuta trovare fino addirittura sulle sponde del lago. Questo dipende da circa un mezzo grado

e anche un grado di temperatura in più che è un discorso globale e non specificatamente di questo

luogo, e la prima che ne risente è proprio la neve: basta un grado, se invece di aver zero gradi ce n’è uno

non nevica ma piove.

Un altro paesaggio che troviamo è Campo, raggiungibile attraverso mulattiere, altro iconema del

paesaggio, le mulattiere tradizionali che risalgono verso la zona di Prada. A parte il carico di significati

che è stato dato a questo borgo, perché disabitato, non raggiunto da strade percorribili, perché si

vuole tentare di mantenerlo, con fatica perché il fatto di mantenere un centro che è raggiungibile quasi

*ICONEMA: Con il termine iconema si definiscono quelle unità elementari di percezione, quei

quadri particolari di riferimento sui quali costruiamo la nostra immagine di un paese.

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esclusivamente a piedi non è facile e non è facile poi recuperare tutti gli insediamenti che ci sono,

pensiamo all’ex castello di Campo che si dovrà arrivare a sistemarlo.

Altre osservazioni che si possono fare:

siamo al limite dell’oliveto, che termina con Campo, poi con lo scalino superiore comincia la vegetazione

dell’orno ostrieto dove vedremo che anche lì c’è un cambiamento abbastanza interessante.

Se però noi andiamo a vedere all’interno dei territori, andiamo per esempio nella Chiesetta di San

Pietro, ci troviamo altre immagini che sicuramente abbiamo visto, cioè il circolo delle pitture che ci sono

all’interno, che sono bellissime e al di là di bellissime, sono molto importanti dal punto di vista anche

storico-artistico perché ci danno un’idea di come questo territorio, nel 1400 – 1500 fosse frequentato,

utilizzato, era importante per le popolazioni di allora che si potevano permettere anche una decorazione

così ricca all’interno di una chiesetta.

Comunque se parliamo di questi centri che sono ormai posti all’altezza di Campo, quindi siamo tra i 200 e

i 300 metri di quota: i vecchi borghi. Biaza, Fasor, Campo e andiamo avanti fino a Sommavilla, sempre

comunque non sul lago ma un po’ più in alto, ma perché questo? Perché erano i centri più antichi che, in

modo intelligente, sono stati costruiti non direttamente sul lago ma un po’ sopra perché esisteva

un’economia mista, che faceva leva sicuramente sulla fascia dell’uliveto che era presente, ma che nello

stesso tempo permetteva di scendere velocemente fino al lago ai pescatori (un po’ tutti i contadini

facevano anche i pescatori) ma nello stesso tempo permetteva di salire nella montagna, i Mont non a

caso si chiamano così, fino in Prada ma anche sopra per l’utilizzo del bosco, per l’utilizzo del castagno,

per l’utilizzo dei pascoli, quindi una sistemazione intermedia che, tra l’altro, era anche più difendibile,

dove passava l’antica, unica, mulattiera di costa, che da S. Vigilio a Garda, attraverso i Castèi, Crero,

Pai, continua fino ad arrivare a Malcesine restando sempre in quota. Il lago non aveva la strada, è stata

portata tardi, negli anni Venti del secolo scorso in certi tratti, addirittura tra Malcesine e Riva negli

anni Trenta, quindi molto tardi; lo stesso vale per l’altro versante. Questo perché allora il modo più

importante di spostarsi era via lago, con le imbarcazioni. Allora ci viene un’altra domanda: perché le

nostre popolazioni parlano un dialetto che prende molto, come vocaboli, come termini, dal Bresciano,

come lo stesso quelli dell’altra parte prendono da questa? Perché c’è stata una comunicazione molto

veloce, trasversale, via imbarcazioni. Ma c’era un legame economico, si può dire anche socio-economico.

Quando c’era bisogno di manodopera, da una parte o dall’altra, si andava a prenderla, quindi lo scambio

era molto maggiore in questo senso. Se oggi dovessimo guardare i traghetti o le comunicazioni che

abbiamo, effettivamente è molto modesto rispetto a quello che era una volta. In barca, in qualche ora si

arrivava dall’altra parte senza nessun problema.

Quindi si vede quanti elementi da lettura del paesaggio possiamo ricavare.

Il territorio di Brenzone, come sappiamo, non era un unico centro, tra l’altro Brenzone non esiste,

sappiamo che è un policentro, ossia un centro composto da tanti borghi con nomi diversi, dove il centro

comunale è Magugnano. Brenzone quindi indica come terminologia un territorio ma non un paese. Quindi

c’è anche questa polifunzionalità policentrica, e il fatto stesso che Castelletto sia stato effettivamente

Comune autonomo, fino a non tantissimo tempo fa, circa un secolo, quando è stato poi assorbito dal

territorio e inserito in quello che diventerà Brenzone, ma era comunità autonoma e quasi tutti i centri

di Brenzone sono stati, soprattutto in epoca Veneta, delle piccole comunità autonome. Qua ci sarebbe

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tutto un discorso da fare sulla fine dell’800 che è stata importantissima: i Santi che noi abbiamo a

Castelletto, dove abbiamo avuto la fortuna che si sia creata in questo centro, una particolare religiosità

che ha portato poi alla Congregazione e a questi Santi che qui sono vissuti, negli ultimi decenni dell’800

appunto e che hanno creato quella che poi diventerà la Comunità religiosa che vediamo adesso.

Se noi ci spostiamo da Castelletto verso Sud arriviamo a San Zeno de l’Oselet, altro iconema: il

campanile di San Zeno de l’Oselet si può vedere da qualunque posizione si sia, anche da quasi 1800 metri

di altezza, se andate all’inizio di alcuni cicli glaciali, per esempio quello delle Buse, da lì si vede il

campanile della chiesetta. Il nome San Zeno de l’Oselet deriva dalla tradizione popolare, appunto

perché l’Oselet era visibile da ogni posto, non a caso gli scavi che hanno portato alla scoperta, intorno

agli anni 200, di questa villa romana, ci dicono che, proprio perché era un luogo importante anche dal

punto di vista strategico, era abitato e frequentato già in epoca romana e quindi la persistenza della

chiesa si somma ad una precedente.

Spostandoci un po’ più a Nord, Porto sembra quasi una punta con il Baldo alle spalle, visto dal lago si

osserva tutto il territorio di Brenzone, partendo dal lago fin sulla cresta. Si notano anche le diversità

di colore delle fasce altimetriche. Vediamo però come la fascia dell’uliveto, che è la prima, sia stata

molto antropizzata, si vedono le nuove costruzioni inserite all’interno. Queste cose dobbiamo essere in

grado di osservarle nel momento che andiamo a vedere un territorio.

Altri iconemi tradizionali: strutture spesso in legno che erano attaccate alle case, aggiunte in un certo

senso, le strutture stesse delle abitazioni, alcune corti o corticelle fortificate all’interno dei paesini, la

caratteristica di avere le abitazioni in buona parte con un porticato al piano terra, a volta o anche con

la cantina a volto, l’abitazione al primo piano con la scala esterna, sono tutti motivi ricorrenti

tradizionali che noi ritroviamo nelle costruzioni tipiche di tutto il territorio di Brenzone, e questi

dobbiamo saperli riconoscere, così come riconosciamo chiaramente le chiesette, i campanili che si

vedono in quanto collocate in punti dove era non soltanto importante vederli ma anche sentirli; una cosa

che purtroppo stiamo perdendo è l’udito, una volta le campane segnavano la giornata e quindi era

importante sentirle, era importante quindi collocare i campanili, e quindi le chiese a loro vicine, in posti

che potessero rimandare il suono, che era importante sentire perché era proprio l’orologio che scandiva

la giornata, ma non solo, scandiva anche la vita del paese: quando nasceva un bambino o moriva una

persona, c’erano dei suoni di campana che erano come dei messaggi, la gente, anche a un chilometro di

distanza, sapeva che era successo qualcosa. Questo l’abbiamo perso completamente, oggi non è più come

allora, c’è ancora il suono delle campane ma non ha più questa motivazione.

Terminiamo con Assenza dove c’è un’altra chiesetta che è un gioiello proprio per il ciclo di pitture che

sono all’interno, che fra l’altro sono probabilmente le più antiche come tipologia di affreschi che sono

stati fatti nel territorio di Brenzone.

Quante altre forme di religiosità abbiamo sul nostro territorio?

Tutti i capitelli che segnano i punti importanti di incrocio, perché era lì che bisognava fare i capitelli,

non lungo la strada, dove venivano fatti se succedeva qualche disgrazia o per ex voto, ma se non c’erano

queste motivazioni impellenti, il capitello andava posizionato dove la gente era costretta a passare e

quindi venivano creati proprio negli incroci, nei punti di maggior passaggio. Ce ne sono tanti nel

territorio di Brenzone proprio sulle direttrici che vanno verso l’alto, nelle vie trasversali, e va ricordato

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anche tutto il lavoro che è stato fatto, anche dal CTG, di recupero e di restauro di questi capitelli, che

sono una testimonianza, una memoria che non deve essere dimenticata.

La pietra di Castelletto è una delle memorie più antiche che abbiamo nel nostro territorio e andrebbe

valorizzata ancora di più.

Riusciamo a risalire all’Età del Bronzo con le incisioni più antiche che ci sono su questa pietra, che poi

sono state modificate anche da altre perché le pietre incise, che ci sono un po’ su tutto il territorio da

San Vigilio a Malcesine, sono state a volte proprio ripercorse dalle persone che le frequentavano che

quindi continuavano ad incidere anche perché trovavano già la forma incisa precedentemente e la

modificavano. Però le più antiche le troviamo, per esempio le armi, questi grandi spadoni, queste asce

che sono fra l’Età del Bronzo e l’Età del Ferro, queste sono importantissime. Anche le piccole figure

umane stilizzate sono una testimonianza. Sarebbe da fare una testimonianza anche con le pitture che

abbiamo detto prima che sono risalenti al 1100 al 1200 al 1300 e che danno un’idea della raffigurazione

umana nel corso di millenni e noi abbiamo la fortuna di averla in questo territorio. Quindi qua parliamo

non soltanto più di immagini della memoria ma di immagini simbolo, di simbologie che ci sono nel nostro

territorio e che noi dovremmo cercare di riconoscere e collocarle in modo intelligente nel territorio nei

loro significati originari.

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In seguito c’è tutta la architettura popolare. Quando noi vediamo una calchèra, che oggi non è più

utilizzata ma che una volta erano di fondamentale importanza, soprattutto in quella fascia tra i 200 e i

300 metri, se una famiglia decideva di costruirsi una casa, se non aveva la calce, se non aveva la

possibilità di avere a disposizione queste calchère, difficilmente riusciva a farsela.

Abbiamo fatto alcuni flash per dire come il territorio di Brenzone sia ricco di simbologie, è ricco di

testimonianze che noi, nel momento che lo percorriamo a piedi, che è poi lo scopo che ci poniamo,

dobbiamo saper riconoscere, prima di tutto per noi ma anche per poterle presentare alle persone che

vengono con noi, in quanto il compito degli animatori è quello di farsi da tramite fra quello che si

conosce e le persone che si avvicinano a questo territorio.

In modo sistematico sono circa 50 chilometri quadrati di territorio, quindi è un bel territorio. 2500

abitanti, non sono tantissimi per questo territorio ma … in estate quanti sono gli abitanti? Rendiamoci

conto di questo: 50 kmq di territorio per 2500 persone sono più che sufficienti anzi la densità non è

elevatissima ma teniamo presente del “fattore turismo” che è fondamentale. E’ la fonte del clima di

benessere di questo territorio, non bisogna nasconderlo, è stata ed è la fonte prima di benessere. Però

il turismo va governato, non dico regolamentato, perché altrimenti rischia di prenderci la mano e di

diventare ingovernabile, nel senso che se noi non lo programmiamo rischiamo veramente di avere un

sovraffollamento che può arrivare a distruggerci il bene del nostro territorio. Si tratta quindi di

essere intelligenti e di dire che il territorio lo programmiamo, non serve chiudere niente, bisogna solo

programmare il territorio nel tempo; questo significa programmarlo perché lo possiamo usufruire noi,

ma anche i nostri figli e anche le generazioni successive, perché anche loro avranno diritto e dovere di

utilizzare questo territorio.

Detto questo, si può vedere che c’è un confine netto con Malcesine. Il confine è la Valle del Torrente,

che è una valle perpendicolare al lago e che sale praticamente fino al Telegrafo. E’ una valle netta che

separa il territorio di Brenzone da quello di Malcesine. A Sud arriviamo praticamente verso Pai con il

territorio di Torri. Nella fascia intermedia abbiamo sempre Torri in parte ma soprattutto abbiamo san

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Zeno di Montagna che fa da confine Sud Orientale. In questa larga fascia c’è una costa abbastanza

lunga che comprende quelli che una volta erano i due comuni, quello di Castelletto e Magugnano,

Marniga, Porto messi insieme, che erano un’altra comunità e che alla fine fondendosi insieme hanno

creato il Comune di Brenzone. Al di là di questo noi dobbiamo tener presente che questa zona è

innanzitutto una zona con una pendenza moto accentuata e che viene suddivisa come si vede in questa

immagine ….. fatta dalla Pro loco con vista dall’altra sponda dove ci si rende conto di come sono fatte le

vallate e che cosa c’è dietro ai centri della costa: intanto la fascia fino ai 200 – 300 metri e queste

profonde valli di cui la Valle del Torrente è quella a Nord, poi c’è la Val Mazzana, la Valle delle Nogare,

molto profonda che va su fino al Telegrafo, ma in mezzo ci sono queste punte, queste grandi pale e qui

vedremo perché ci sono. Poi si vede che a un certo punto, intorno ai 1000 metri, c’è come un ripiano,

cessa la pendenza, e quel ripiano è stato fondamentale per lo sviluppo antropico e l’utilizzo della

montagna da parte degli abitanti di Brenzone perché in questo modo, lì potevano fermarsi ed è nata

quella che sarà Prada, da lì e in parte anche più sopra sono nate le malghe che ci sono ancora adesso nel

territorio di Brenzone. Quindi è un territorio molto segnato da delle forme ben evidenti e, tra l’altro, di

difficile percorso, perché trasversalmente, a parte la mulattiera che è alla base, peraltro è un sentiero

del CAI, non ci sono sentieri. Dalla Valle del Torrente c’è un unico sentiero che è da recuperare, che,

dall’Eremo dei Santi Benigno e Caro, scende nella Valle del Torrente appunto e risale a Malga Brione.

Diciamo che c’era perché adesso è quasi impraticabile. Ma era l’unica strada che attraversava, a una

quota di circa 800 – 900 metri, in quota. Altrimenti non ci sono attraversamenti, se non sopra le creste

o sotto. Questo perché ci sono questi valloni che chiudono la possibilità di un attraversamento. Tra

l’altro sono valloni terribili, ogni tanto qualche turista si perde, magari da una pala vedono il lago,

scendono nella valle sottostante e diventa molto pericoloso, perché ci sono dei salti rocciosi che magari

all’inizio sono facili da fare ma se succede qualcosa poi si rimane là, come è successo più di una volta.

Non si riesce più a risalire e nemmeno a scendere. Sono dei limiti invalicabili del nostro territorio e

bisogna tener conto anche di quello. Ma la nostra gente, in passato, lo sapeva. Lì non ci sono sentieri,

non ci sono possibilità di attraversamento e loro lo avevano capito.

Più sopra si arriva al Telegrafo, alla sommità della Valle delle Nogare si ha un Circolo Glaciale, nella

parte più alta infatti abbiamo i Circoli glaciali oltre che alle Pale, quindi una morfologia che è veramente

unica.

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A questo punto però inseriamo il nostro territorio, lo inseriamo in un contesto che guarda sia il Lago di

Garda che il Monte Baldo. Noi facciamo parte di tutti e due gli ambienti. Guardando da una grande

distanza si può vedere che il nostro territorio non è verticale, ma diagonale: Nord-Est Sud-Ovest.

Tutto il Lago di Garda, il Monte Baldo, ma anche tutta la Val d’Adige sono in diagonale, questa non è una

cosa normale. Infatti questo è dovuto alla compressione che il cuneo della Lessinia che, nel momento in

cui il nostro territorio si stava sollevando, si è venuta a incastrare e ha cominciato a spingere; per cui la

dorsale del Monte Baldo e il Lago di Garda, che inizialmente erano in verticale, sotto questa spinta si

sono inclinati, e questa spinta continua ancora adesso e la faglia che c’è nel Lago di Garda in realtà c’è

sempre stata, è una faglia molto profonda e molto antica ed è una fessurazione in cui ancora adesso

presenta degli scorrimenti fra gli strati rocciosi, da qui i piccoli terremoti che noi abbiamo, non c’entra

il Monte Baldo/vulcano, non è un vulcano e non lo è mai stato, non ha rocce di natura vulcanica, se non un

3 – 4%. E’ invece soggetto a queste continue spinte, a dieci, quindici chilometri di profondità, che

muovono anche di due, tre millimetri gli strati rocciosi della faglia e quindi provocano il terremoto in

superficie. Si spera che siano modesti, ma abbiamo avuto anche dei terremoti disastrosi anche in

epoche recenti: 1700, fine ‘800, appunto perché in questa zona c’è questa faglia e questa continua

spinta.

Il Lago di Garda ha due forme: una stretta e allungata dove siamo noi, ma poi si distende nella parte

meridionale in un golfo. Anche questo si può vedere fisicamente se andiamo verso le creste vediamo il

Lago di Garda con queste due forme. Verso Riva è come un fiordo e nella parte meridionale invece si

allarga formando un golfo tra le colline.

Il nostro territorio in realtà è a metà strada tra l’Adriatico e il Piemonte, a siamo su una via di

comunicazione che taglia le Alpi, attraverso il Brennero e il Passo di Resia c’è il taglio delle catene

alpine. Prima ancora dell’uomo che poi ha scoperto queste valli e ha fatto strade in epoca Romana e

autostrade adesso. Pensate che le piante e la microfauna avevano già scoperto questa via, le

colonizzazioni più antiche che noi abbiamo di queste piante sul Monte Baldo, tra l’altro sono anche le più

rare, sono piante che vengono o dal Nord, o dal Sud o addirittura dall’Est e dall’Ovest e qui sul Monte

Baldo, quando sono arrivate, hanno trovato delle condizioni climatiche che hanno permesso loro di

rimanere. Ni siamo al centro di una situazione molto particolare, tra la pianura, quindi tra una zona

mediterranea e una zona centro europea più fresca che è quella alpina, ma siamo anche tra l’Est, tra i

Balcani e l’Ovest, addirittura abbiamo delle specie che vengono dalla Spagna così come dai Balcani. Non

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solo nei tempi antichi, per esempio c’è lo Sciacallo dorato che viene qui da noi, che non c’è mai stato sul

Monte Baldo ed è una specie che viene dai Balcani ed è stato trovato sul Monte Baldo appunto una

decina di anni fa. I lupi che sono arrivati in Lessinia arriveranno anche sul Baldo prima o poi, in parte

arrivano dalla Slovenia, uno arriva anche dall’arco alpino perché ha fatto il giro, i lupi camminano molto.

Gli orsi che ogni tanto vengono sul Monte Baldo, vengono dal Trentino. Da qui si vede come il nostro

territorio sia una via di comunicazione, anche se sembra modesto è molto importante, e la natura lo

aveva capito molto tempo prima dell’uomo. Pensiamo poi l’Autostrada del Brennero o la Serenissima ai

piedi del nostro lago. Sono posizioni importanti per capire la collocazione del nostro territorio e come

esso si sia evoluto, perché è così ricco di specie e di endemismi che sono di una e dell’altra parte,

appunto perché qua sono riuscite a trovare le condizioni ideali.

Come dicevo è importante vedere il nostro territorio da distante. Se noi andiamo nella parte bassa del

lago dall’altra sponda, e guardiamo verso questa in una bella giornata, si vede nitidamente come il Monte

Baldo viene su “di brutto” rispetto al lago e anche alla Val d’Adige. Si pensi che questa visione, che

avevano soprattutto gli abitanti della Pianura Padana, che vedevano spesso il Monte Baldo così

incappucciato, coperto di nubi, e pensavano appunto che fosse un vulcano, al contrario il “cappuccio di

nubi” è dovuto all’evaporazione dell’acqua del lago. D’estate, fino alle 9 circa del mattino è bello limpido

poi cominciano ad arrivare le prime nuvolette perché l’acqua evapora e si condensa; quando sono le 5 e

mezza – sei del pomeriggio si dissolve e le sere sono di nuovo belle ed è normale. Però per chi lo vedeva

dalla pianura non era normale, vedevano sempre quel “cappello” e si diceva “El Monte Baldo el gà el

capèl, o che piove o che fa bèl” e voleva dire che tutti ci indovinavano. Vedendo questo cappello,

soprattutto per il fatto che c’erano anche questi frequenti terremoti, lo consideravano un vulcano, da lì

la tradizione che lo sia, in realtà no. Salendo in alto si vede bene il fiordo. Se siete stati nei fiordi

norvegesi, noterete una diversità, non solo della forma, ma anche dei colori, noi abbiamo colori verdi,

azzurri tenui, in Norvegia verde scuro, blu intenso, a parte che è mare e non lago, quindi completamente

diverso anche se le forme potrebbero essere similari in molti casi, per cui, quando era arrivato Goethe

alla fine del 1700 si era innamorato di questo azzurro del nostro lago, un azzurro tenue che non aveva

trovato in altre parti. E’ una caratteristica unica, il Lago di Garda si differenzia dal Lago Maggiore, dal

Lago di Como, questa trasparenza, questo azzurro delle acque è dovuta al fatto che abbiamo un bacino

idrografico poco esteso, non abbiamo un grande territorio che riversa le sue acque nel lago ma piccolo.

Questo vuol dire che le acque per ricambiarsi nel Lago di Garda impiegano circa 27 anni, significa che i

sedimenti tendono ad andare sul fondo, a differenza del Lago Maggiore o del Lago di Como dove le

acque sono più torbide, più blu scure, meno trasparenti, raggiungiamo anche i 20-25 metri di

trasparenza con acqua calma, è uno dei laghi con le acque più trasparenti. Purtroppo adesso si cerca di

rovinarlo il più possibile, è giusto che ce ne rendiamo conto, siamo arrivati, nel giro di quarant’anni, al

terzo impianto di depurazione, vuol dire che i primi impianti non funzionavano e probabilmente nemmeno

questo perché si sta già pensando ad un quarto, dopo i milioni spesi per fare questi impianti di

collettamento, la depurazione si fa a Salionze, sembra che ora si faccia più di un depuratore, comunque

si sono accorti che tutti i lavori sono stati fatti male. Abbiamo la fortuna che non c’è nessuna industria

chimica intorno al nostro lago, a differenza di quello che c’è in altri laghi. Abbiamo però un grande

carico umano perché quando parliamo solo di turismo parliamo di oltre 20 milioni di presenze stabili da

alcuni anni sommando tutte e tre le sponde. Quando l collettore non funziona gli scarichi finiscono nel

lago che è grande, riesce a diluire ma non del tutto. Dobbiamo quindi renderci conto che è un bene di

tutti noi e lo dobbiamo preservare in modo intelligente cercando di non distruggerlo. Vediamo già che il

lago è cambiato anche a livello di pesci, per esempio le àgole non ci sono più, non è solo questione di

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inquinamento ma anche di temperatura, ma non ci sono più così come il carpione, invece troviamo dei

molluschi che vengono da altre parti, che non c’erano e che si stanno diffondendo. Troviamo il granchio

che è americano invece del nostro. Queste cose incidono su un bene che dobbiamo preservare anche per

il futuro.

CARTOGRAFIE

Il nostro territorio, il territorio di Brenzone, è stato rappresentato per la prima volta in una carta che

è nell’Archivio di Stato di Brescia, siamo intorno alla fine del 1300.

Ci sono i paesetti, con il castelletto dove c’era, la chiesetta. Cinquant’anni dopo, nella la carta di

Almagià, comincia ad esserci una certa fisionomia delle montagne anche se si è ancora molto imprecisi,

Sirmione è enorme rispetto a tutto il Lago di Garda, ma cominciamo ad avere qualche tratto più

particolare, tra l’altro in questa carta c’è anche il passaggio delle galee veneziane nella Valle del Loppio,

che è stata un’impresa avvenuta nel 1437-1439.

Nelle carte poi del 1500 comincia ad essere migliore la qualità, i paesini sono sempre con il campanile,

che identificava il centro, e c’è già il confine tra la Repubblica di Venezia, sotto, e il territorio dei

Vescovi Conti di Trento che hanno tutta la parte superiore che poi diventerà confine tra Austria e

Venezia e ora tra il Trentino e il Veneto con la Provincia di Verona. Nello stesso tempo, in questo

periodo, siamo nel 1500, nasce anche un mito sul Monte Baldo che diventa “Hortus Europae”. Questo

avviene perché un noto personaggio, Calzolari, farmacista di Verona, uno speziale come si chiamavano

allora i farmacisti che facevano le medicine, prendendo le erbe e mettendone insieme i principi attivi,

erano solo quelle le medicine del tempo perché ovviamente non c’erano quelle chimiche, ha fatto una

descrizione del Monte Baldo e soprattutto delle piante di cui si serviva per costruire le proprie

medicine e questo viaggio “da Verona al Monte Baldo” ha fatto il giro d’Europa, tutti i botanici si sono

impossessati di questo diario e sono venuti di persona, da Rovereto andavano sul Baldo a prendere le

erbe sul posto dove lui diceva che esistevano ed esistono ancora salvo alcune, e se le portavano per

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utilizzarle. Da lì nasce questo mito di Giardino d’Europa che nel 1600 viene ingigantito da Pona con il suo

libro “Monte Baldo”, siamo nel 1617, e poi praticamente fino ai nostri giorni.

L’ingegner Turra è stato uno degli ultimi ma potremmo dire che l’ultimo “cantore” in un certo senso è

Filippo Prosser che è un botanico di Rovereto, il quale ha fatto il censimento delle piante che ci sono sul

Monte Baldo. Ne aveva censite quasi 1950, in realtà adesso sono già 2000, perché in questi ultimi dieci

anni, ogni anno se ne scoprono sempre di nuove. Questo perché in pochi vanno dentro nei valloni glaciali

e là ci sono delle specie endemiche che non troviamo in altre parti. Ma anche in zone più basse a volte,

non solo nelle parti più elevate, Da lì è quindi nata questa nomea di “Giardino d’Europa”; in effetti è

veramente consistente perché se si pensa a 2000 specie botaniche significa un terzo delle specie che ci

sono in Italia, solo sul Monte Baldo. Questo perché si va dal Lago fino ai 2000 metri, nella stessa

montagna, ce ne sono poche che hanno questa caratteristica, cioè quella di avere un territorio non solo

esteso, ma anche climaticamente diversificato, dal Mediterraneo alla zona alpina praticamente.

Il nome Benàco: se fosse vero quello che ci dicono gli studiosi, cioè che deriva da bennaccus che a sua

volta derivava da un termine celtico bennac e che vorrebbe dire cornuto, cioè fatto a corni,

guardandolo dal satellite effettivamente vediamo che ha golfi, rientranze che somigliano a corni ma

2500 anni fa non esistevano i satelliti per cui difficilmente hanno potuto vederlo in questo modo e se

quindi l termine bennac sia proprio l’origine di questo nome. Quello che è sicuro è che nell’ottavo/nono

secolo comincia ad essere usato il termine Garda, perché non tanto il paese di Garda ma la Rocca di

Garda, che era fortificata, assume una grande importanza dal punto di vista amministrativo: diritti di

pesca soprattutto, diritti di decima in tutta la parte meridionale del lago passano per Garda e quindi il

lago comincia ad essere “di Garda”. Alla fine Benàco è rimasto solo in alcune terminologie ma quello

sarebbe il nome antico.

Il Monte Baldo da “Wald”. Wald era un “bosco fiscale” probabilmente un termine Longobardo

addirittura. In effetti era molto boscoso come lo è ancora adesso, se guardate qualche immagine di un

centinaio di anni fa di certe zone del Monte Baldo era pelato, adesso sta ritornando il bosco, anche

troppo. Soprattutto in territorio di Brenzone il suolo dove sta ritornando il bosco è troppo modesto.

Significa che a volte c’è mezzo metro, non di più di terreno, perché sotto ci sono le rocce e quindi non si

è riusciti a formare un suolo, che si muove perché con queste pendenze basta una pioggia disastrosa e

tutto viene portato in basso. Qui da noi quindi i boschi sono nell’abbandono più assoluto, la Forestale,

anche per motivi economici non segue più i boschi così spesso, per cui ci troviamo con un patrimonio che

va riconsiderato e rivisto.

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Facciamo ora una piccola panoramica relativamente alle sponde, partendo da Riva con il piccolo

anfiteatro del Monte Brione, tra Riva e Torbole, dove c’è la foce del Sarca che è l’immissario del Lago

di Garda, poi si scende dalla sponda veronese verso Malcesine. Guardando Malcesine dall’alto si ha l’idea

di dove siano nati gli insediamenti sul lago, sono delle “conoidi” e questo significa che quando l’ultima

glaciazione si è ritirata, i torrenti che scendevano hanno portato dei materiali che hanno riempito,

hanno formato come dei coni e lì sono nati i paesi, perché lì avevano terreno a disposizione, altrimenti

spesso c’era un terreno roccioso e non c’era la possibilità di costruire. Dalla parte bresciana sono

infatti molto più svantaggiati da quel punto di vista rispetto a noi. Campione che è di fronte a

Malcesine, per esempio, ha un fazzolettino di terra dove c’è la spaccatura e c’è il torrente che scende

dalla zona di Tremosine e che ha formato questa piccola conoide dove è stato possibile ma dalle altre

parti il terreno è talmente ripido che nelle zone di costa non c’è la possibilità di costruire.

Limone, posizione incantevole, è anche una conoide, è riparata dai venti, soleggiata, non a caso è stata la

culla della produzione degli agrumi del territorio gardesano. Agrumi la cui produzione è cessata nella

prima metà dell’800, una delle cause è stato lo sviluppo delle ferrovie in quanto arrivavano gli agrumi

dalla Sicilia che erano economicamente molto più competitivi rispetto ai nostri e quindi le limonaie, di

cui la sponda bresciana è piena, sono state eliminate. Dalla parte veronese ce ne sono meno, la più

famosa è quella del museo di Torri dove c’è il castello.

Sempre dalle immagini prese dall’alto si può vedere come il nostro territorio sia strutturato con questi

lastroni, queste pale che dividono il territorio più elevato della nostra zona. Tra l’altro si può notare

come sia visibile la strada che porta da Borago a Zovèl e a Prada, è una strada militare costruita

proprio cento anni fa, caratterizzata da pendenze regolari anche se accentuate, doveva infatti

superare un dislivello di 1000 metri, arriva fino a Val Trovaj, nell’ultima curva salendo dopo Zovello dove

comincia il tratto piano che porta appunto a Val Trovaj la strada continua fino a Valoare (Valle delle

Nogare). Sono riusciti a costruirla fino a lì, a 1300 metri, l’intenzione era di proseguire, c’è un sentiero

che sale ai Forcellini e prosegue per il Telegrafo, c’era l’intenzione appunto di portarla fino al Telegrafo

ma si sono fermati perché nel 1916 per fortuna il fronte era molto distante e non avevano uomini da

destinare a queste costruzioni, altrimenti avremmo una strada fino al Telegrafo.

La parte più bassa del nostro lago è caratterizzata da queste forme dolci, tra l’altro adesso piene di

insediamenti, se si va da Maderno e si fa tutto il giro fino a Garda non si trova uno spazio libero lungo le

sponde che sono ormai completamente antropizzate, tutto questo negli ultimi trent’anni, anche i villaggi

che ci sono tra Desenzano e Salò risalgono agli ultimi 20/25 anni, prima non c’erano. Questo è il

risultato che può portare l’insediamento umano. Nel nostro territorio questo non è avvenuto perché è

molto più pendente, più aspro, e si è un po’ rallentato l’insediamento, però anche qua, se pensiamo alle

ville che ci sono nell’entroterra tra Torri e Albisano, ma anche nella stessa Malcesine, si vede che c’è

stato un notevole sviluppo.

San Vigilio è uno dei luoghi più singolari e suggestivi del Lago di Garda.

Il bacino idrografico è circa sei volte la superficie del Lago di Garda, è quindi piccolo, quindi abbiamo un

lento ricambio delle acque. Quindi la trasparenza delle acque del Lago di Garda dipende da questo

fattore, dal lento ricambio delle acque. E’ una trasparenza a volte veramente significativa, in alcuni casi

arriva fino a 25 metri. Il nostro lago ha anche la caratteristica dei venti, ci sono ovviamente delle onde

che sono mosse da questi venti. A parte avere dei movimenti regolari che si chiamano “sesse” che non

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sono maree, ma sono comunque degli innalzamenti ed abbassamenti, che se vengono ad associarsi al lago

in tempesta, provocano le cosiddette “lagheggiate” che sono veramente distruttive. Quando Catullo

diceva che da Sirmione il lago a volte assomiglia al mare, aveva ragione perché in quei giorni è meglio

stare distanti dalle rive.

Il Lago di Garda è alimentato da 27 torrenti che vi versano le proprie acque, tutti modesti, a parte

naturalmente il Sarca che è un fiume, e a parte l’Aril che viene considerato un altro fiume comunque

modestissimo. Il Mincio invece porta fuori le acque, ne porta fuori una quantità superiore di quelle che

immette il Sarca e, facendo la somma con gli altri torrenti, non saremmo in equilibrio, eppure il nostro

lago c’è ancora, questo vuol dire che ci sono sorgenti sub-lacuali, non le vediamo ma ci accorgiamo che ci

sono quando sentiamo le correnti fredde che ci sono spesso all’interno del lago che sono appunto anche

di derivazione di queste sorgenti. Abbiamo visto che c’è anche questa spaccatura di cui abbiamo

parlato, ma si sapeva che c’erano delle spaccature e questo non vuol dire che l’acqua del lago scende

come se si levasse un tappo, l’acqua non va da nessuna parte. Si pensi che in 12000 anni il livello del lago

si è abbassato di circa una quindicina di metri, perché subito dopo la glaciazione il livello delle acque era

un po’ più alto. Questo in 12000 anni non è significativo, si può dire che sostanzialmente è in equilibrio.

Un lago effettivamente è un contenitore di acque in equilibrio, in entrata e in uscita e fin che c’è questo

equilibrio il lago rimane. Sappiamo che è regolato dalla diga di Salionze quindi è un equilibrio in parte

deciso e destinato dall’uomo.

Poi abbiamo i venti, molto importanti, ce ne sono due in particolare, quelli più di lungo corso. C’è l’òra che

viene da Sud e spira da mezzogiorno fino al pomeriggio inoltrato e poi c’è il baliv o pelèr come volete

chiamarlo che da Nord scende verso Sud tra la notte e il mattino. Oltre a questi c’è tutta una serie di

venti locali che si vengono a creare perché il riscaldamento solare di questa grande massa d’acqua crea

degli scompensi di temperatura, il vento nasce proprio a seguito di scompensi di temperatura infatti, da

zone più fredde a zone più calde. In più abbiamo la montagna, il Monte Baldo, che ulteriormente

raffredda l’aria, quindi tutte queste varianti sommate insieme creano una serie di venti che è anche

abbastanza costante, infatti sono riportati nelle carte nautiche in quanto fondamentali anche per la

navigazione, una volta erano molto più conosciuti di quanto li conosciamo noi adesso.

Torniamo al nostro Monte Baldo e parliamo delle rocce che lo costituiscono, cosa sono e perché ci sono,

queste rocce particolari con una forma slanciata verso l’alto?

Queste forme che noi possiamo vedere nel territorio di Brenzone, che si chiamano Pale o Mitre, sono

dei triangoli rocciosi, come delle sbucciature di quello che è il nucleo della montagna, che si sono

separate dal corpo centrale, sono quasi verticali, in alcuni casi, e sono instabili. Queste sono l’origine dei

micro terremoti, non dei terremoti di cui parlavamo prima che derivano dalla nostra zona sismica che

avvengono per compressione di zolle, ma i circa 300 micro terremoti all’anno che noi abbiamo e che

vengono registrati solo dagli strumenti, non ce ne accorgiamo nemmeno. Questi sono dovuti appunto alle

Pale che ogni tanto si spostano verso il basso creando appunto dei piccoli terremoti. I rumori che ogni

tanto si sentono, il fatto che l’Aril versi o non versi acqua, tutto si rifà a queste pale in quanto la zona è

carsica, sotto ci sono delle cavità e questi movimenti delle Pale provocano alterazioni all’interno,

alterazioni nelle acque e possono provocare dei rumori in certe condizioni come è spesso successo. Non

c’entra niente il vulcanesimo: i vulcani non hanno niente a che fare con il Monte Baldo. Se andiamo sopra

la punta delle Pale e un sentiero impegnativo ma molto bello è quello che da Malcesine porta a Cima

Valdritta e si può fare al contrario scendendo, porta proprio sulla cima delle Pale, si vedono le punte

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delle Pale che si immergono ed è molto suggestivo. Queste Pale in realtà si stanno staccando. La Pala di

San Zeno è quella dell’Eremo di San Benigno e Caro, sopra Cassone, loro avevano scelto un posto

eccezionale all’epoca, si parla del IX Secolo, questa è una delle Pale più grandi e si sta staccando, siamo

nel Comune di Malcesine, subito dopo il confine segnato dalla Valle del Torrente. Tra una Pala e l’altra ci

sono queste valli. In tutte queste valli si trovano delle “Marmitte dei Giganti” che sono segni di

escavazione provocati dall’acqua in quota, non in basso, sulle pareti, come per esempio nella Val Trovaj.

Quando si sono sciolte le glaciazioni, la quantità di acqua che scendeva era talmente enorme che faceva

ruotare questi ciottoli che con il tempo hanno creato queste specie di vasche, queste “marmitte”. Il

Balòc tacà via probabilmente è una di quelle situazioni di una frana all’interno delle pareti molto

verticali e strette dove dei massi si sono incastrati e lì sono rimasti, tra l’altro creando uno spettacolo

davvero bello.

Nella parte sopra i 1800 metri abbiamo i “circhi glaciali” che sono altre caratteristiche del Monte

Baldo, si vede quindi che diversità abbiamo su questa montagna. Dai 1800 ai 2200 metri abbiamo 7

circhi glaciali, sono 7 scodelle che erano riempite di ghiaccio durante l’ultima glaciazione, poi i ghiacci si

sono sciolti e ora c’è qualche nevaio che difficilmente supera l’estate. Sono delle semi scodelle, perché

sono tagliate verso il lago dove c’era una lingua che scendeva verso il basso. Nel territorio di Brenzone

abbiamo quella della Val delle Nogare e quella del Telegrafo e Valle delle Buse, praticamente sono due

circoli glaciali, il circolo del Telegrafo è doppio quindi ci sono tre circhi glaciali a Brenzone, gli altri sono

soprattutto in quello di Malcesine e in quello di Brentonico, sull’altro versante che è molto diverso dal

nostro che si affaccia sul lago, è un versante “a imbuti” detti “imbuti nivali” dove ogni tanto si accumula

la neve e possono provocare delle slavine.

Per tornare a noi, nella parte più occidentale, cosa ha formato il Monte Baldo e in che periodo? Negli

ultimo 200 milioni di anni, siamo nell’Era Secondaria. In origine il Monte Baldo non era emerso dal mare,

c’era un grande bacino, la Piattaforma di Trento, sommersa, e in questo territorio sommerso si

riversavano sedimenti da grandi fiumi e acque di mare che cominciavano a far sedimentare le rocce e le

rocce più antiche che abbiamo dono rocce di Dolomia. Siamo intorno a 190 – 200 milioni di anni fa, sono

le rocce più antiche che adesso troviamo sulle creste più alte, qualcosa abbiamo anche nel territorio di

Brenzone, dove c’era la fabbrica di Magnesia in loc. Vàs, lì c’è una “lente” di rocce di tipo dolomitico che

venivano sfruttate perché le rocce dolomitiche sono carbonati di calcio e di magnesio e venivano

impiegate per ricavare la magnesia. Nel nostro territorio del Baldo abbiamo solo una 3-4% di rocce

vulcaniche, quelle nere, si trovano soprattutto nella parte settentrionale, in territorio trentino. Se

fosse stato un vulcano avremmo un 60-70% di rocce di tipo vulcanico, quindi non lo è mai stato. Questi

basalti, tra l’altro, sono rocce che hanno dai 40 ai 50 milioni di anni, mentre la Dolomia l’avevamo molto

prima. La gran parte delle pale e della struttura del Monte Baldo sono rocce di calcari grigi che si hanno

dai 190 ai 170 milioni di anni fa e calcari olitici e arriviamo a circa 150 milioni di anni fa. Sempre nell’Era

secondaria e sempre sotto il livello marino. Si cominciavano a sedimentare, insieme con le rocce, anche

animali, soprattutto molluschi, cefalopodi che potevano essere le ammoniti e quelle le troviamo nei

fossili che poi spesso rinveniamo nel nostro territorio, tra l’altro anche molto belli; le ammoniti sono dei

molluschi che adesso non esistono più perché alla fine dell’Era Secondaria sono scomparse. Troviamo

anche delle rocce metamorfiche, sono le Selci, di vario colore sono dei silicati, contengono silicio che è

una roccia che per le temperature e le pressioni enormi a cui è stata assoggettata si è modificata nella

sua costituzione diventando appunto un silicato, roccia vetrosa e metamorfica.

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Alla fine dell’Era Secondaria, intorno a 70 milioni di anni fa, probabilmente l’impatto di un grande

meteorite, (la Terra ne ha subiti diversi anche in epoche precedenti), ha spostato l’asse terrestre

improvvisamente, ha fatto scomparire migliaia di specie fra cui i grandi dinosauri che non sono stati in

grado di adattarsi al repentino cambiamento di temperatura, essendo a sangue freddo, e ha spostato

anche il movimento della crosta terrestre e da allora è iniziato questo movimento della Zolla Africana

verso quella Europea che è ancora in corso. Per alcuni milioni di anni è stato un movimento veloce e

quindi ha inciso maggiormente e intorno a 30 milioni di anni fa abbiamo avuto la gran parte

dell’emersione del Monte Baldo appunto sotto questa spinta, così come la gran parte delle Alpi, si pensi

che in questi periodi, 30-40 milioni di anni fa probabilmente il Monte Baldo era molto più alto di quello

che è ora, secondo i geologi arrivava anche ai 3000 metri, poi a causa dell’erosione ha raggiunto

l’altezza attuale, addirittura in alcuni casi le rocce si sono ripiegate nella zona Orientale. Questo

perché il Monte Baldo è nato per compressione tra la Zolla Sud Africana che si inseriva attraverso la

Lessinia da Oriente e la controspinta che veniva dalle Prealpi Bresciane, si trovava in mezzo, queste

spinte hanno provocato l’innalzamento e il ripiegamento, la piega però ogni tanto si spezza quindi nel

nostro versante esistono le pale mentre dall’altra parte c’è stato il rovesciamento, che si può vedere

nella zona di Ferrara di Monte Baldo. Ogni tanto avvengono delle rotture, faglie, una a livello dle pale,

una a livello di Ferrara di Monte Baldo e ce n’è una terza che è a metà del lago, quella è ancora più

profonda, è denominata Faglia di Ballino, va da Salò fino a Ballino, una diramazione sotterranea più

profonda va verso Verona, quella è la zona che si muove maggiormente, la sismicità degli ultimi 200 anni

è lungo questo tratto, perché c’è questa compressione e si libera energia dove c’è già la rottura.

Guardando il Monte Baldo dall’alto si vedono gli strati ripiegati e ogni tanto c’è una fessura perché lì si

spaccano e nascono le pale che poi scendono sul versante. Sopra i 1800 metri ci sono queste mezze

scodelle che sono i circhi glaciali che sono una rarità e una caratteristica, pensate ai microclimi che si

vengono a creare, ci sono le pareti a Nord, in cui non batte mai il sole che hanno degli endemismi sia

floreali che di animali che se facciamo 200 metri di distanza non li troviamo più, sono circoscritti a quel

piccolo luogo. Ci sono delle farfalle che vivono solo in due circhi glaciali, ci sono dei coleotteri che vivono

solo in un circo glaciale. Quindi abbiamo delle rarità dovute alle condizioni climatiche e dovute

soprattutto alle ultime glaciazioni, che sono state quelle che hanno modificato in gran parte il nostro

territorio, dal punto di vista dall’ultima grande erosione ed invasione anche fredda, però il Monte Baldo

ha avuto la fortuna di emergere dal ghiacciaio che arrivava a circa 800 metri a Malcesine, nella zona di

Brenzone arrivava sotto Prada, quindi sui 700 metri poi a San Zeno di Montagna quindi si abbassava sui

500 metri e poi arrivava sui 300 metri nella zona di San Vigilio e verso Peschiera era solo 150 metri di

spessore. Tutta la parte del Monte Baldo che era libera prima dei piccoli ghiacciai di cresta era una

parte dove le specie hanno potuto sopravvivere per circa 50-60 mila anni, la durata dell’ultima

glaciazione, questo vuol dire creare nuove specie. La speciazione in natura ci impiega 35-40 mila anni

per creare una nuova specie. Il fatto poi che non hanno potuto entrare in contatto con altre piante o

animali simili appunto perché c’era il ghiacciaio intorno, si sono adattate e hanno creato delle modifiche

che entrano geneticamente nelle discendenze e si creano nuove specie. Adesso in laboratorio bastano

dei giorni per creare delle specie. Quindi nel Monte Baldo, nell’ultima glaciazione, abbiamo avuto delle

speciazioni nuove.

Anche qui troviamo una parte morenica, tutti i suoli che ci sono nel territorio di Brenzone sono suoli

morenici, lasciati dal ghiacciaio sotto la zona di Prada, appunto perché sopra Prada non arrivavano, ma il

ghiacciaio ha lisciato gli strati rocciosi. Quando si è ritirato i materiali incoerenti sono scesi ma poco

materiale si è fissato sotto queste pietre, se guardiamo gli uliveti che abbiamo fino ai 200 300 metri

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vediamo che c’è una modesta quantità di suolo. L’uomo quindi ha cercato in tutti i modi di coltivare,

creando terrazzamenti per fermare il suolo che scendeva, quindi un lavoro immane in 1000 – 1500 anni

per cercare di fermare il suolo, quando ci sono le frane a causa di allagamenti si vede che dalle valli

scende di tutto, è sempre successo e quindi bisognava fermare il terreno. Quindi grande lavoro per

conquistarsi fazzolettini di terreno che rimane modesto, in molti casi si arriva a 20 – 30 centimetri di

terra e quindi è anche faticoso coltivare in queste condizioni.

Relativamente alla fascia vegetazionale, abbiamo cinque settori dove costruiamo il paesaggio vegetale

che completa dal punto di vista naturalistico questo nostro grande valore che diamo al nostro territorio.

C’è tutto l’aspetto antropico e ne parleremo nel prossimo incontro.

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SCHEDA 1

Eugenio Turri Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Eugenio Turri (Grezzana, 1927 – Verona, 2005) è stato un geografo, scrittore e viaggiatore italiano.

È noto per essere stato uno dei maggiori esperti del paesaggio italiano[1] e per averne documentato i

cambiamenti nel periodo del Miracolo economico italiano degli anni sessanta.

Biografia

Eugenio Turri è nato nel 1927 a Grezzana in provincia di Verona e trascorse la giovinezza a Villa

Arvedi dove il padre lavorava come castaldo (amministratore economico). Fu proprio il padre a

trasmettergli l'amore per la Valpantena e in generale per il paesaggio, che diventerà il tema principale

della sua futura attività.

A Milano ha vissuto per tutta la vita lavorando come geografo per l'Istituto Geografico De Agostini e

scrivendo numerosi libri e saggi sul paesaggio, tra cui Antropologia del paesaggio (1974, 1981,

2008), Semiologia del paesaggio italiano (1979, 1990), Il paesaggio come teatro (1998), La megalopoli

padana (2000) e Il paesaggio e il silenzio (2004).

Ha viaggiato in tutto il mondo, approfondendo soprattutto le aree desertiche dell'Asia centrale,

il Sahara e il Sahel. Ha dedicato una particolare attenzione ai temi del nomadismo,

della desertificazione e alle problematiche tra Nord e Sud del mondo, ma anche alla storia del

paesaggio italiano e alla pianificazione territoriale. Dei suoi viaggi è rimasta memoria in un cospicuo

archivio fotografico. È stato docente di Geografia del Paesaggio al Politecnico di Milano e consulente

alla Pianificazione paesistica della Regione Lombardia. Fu membro effettivo dell'Accademia di

Agricoltura Scienze e Lettere di Verona.

Bibliografia

La presente è una selezione di opere e non rappresenta l'intero corpus dell'opera di Turri, consultabile

nel libro L'occhio del geografo sulla montagna a cura della figlia Lucia Turri.

• Viaggio all'isola Maurizio, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1962

• Viaggio a Samarcanda, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1963

• Il diario del geologo, Rebellato, Padova 1967

• La Lessinia. La natura e l'uomo nel paesaggio, Edizioni di Vita Veronese, Verona 1969

• Il Monte Baldo, Corev, Verona 1971

• Antropologia del paesaggio, Edizioni di Comunità, Milano 1974; riedizione nel 1981, terza edizione

per Marsilio 2008

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• Villa Veneta. Conte sior paron castaldo fittavolo contadin. Agonia del mondo mezzadrile e

messaggio neotecnico, Bertani, Verona 1977

• Nomadi. Gli uomini dei grandi spazi, Fabbri, Milano 1978

• Semiologia del paesaggio italiano, Longanesi, Milano 1979; riedizione nel 1990; terza edizione per

Marsilio 2014.

• L'italia ieri e oggi, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1981

• Dentro il paesaggio. Caprino e il Monte Baldo. Ricerche su un territorio comunale, Bertani, Verona

1982

• Gli uomini delle tende. I pastori nomadi tra ecologia e storia, tra deserto e bidonville, Edizioni di

Comunità, Milano 1983

• La Via della Seta, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1983

• Il Bangher. La montagna e l'utopia, Bertani, Verona 1988

• L'Italia vista dal cielo, A. Vallardi Editore, Milano 1988

• Weekend nel Mesozoico, Cierre Edizioni, Verona 1992

• Miracolo economico. Dalla villa veneta al capannone industriale, Cierre Edizioni, Verona 1995

• Il paesaggio come teatro, Marsilio, Venezia 1998; riedizioni nel 2003 e 2006

• Il Monte Baldo, Cierre Edizioni, Verona 1999

• La megalopoli padana, Marsilio, Venezia 2000; riedizione nel 2004

• La conoscenza del territorio. Metodologia per un'analisi storico-geografica, Marsilio, Venezia 2002

• Villa Veneta. Agonia di una civiltà, Cierre Edizioni, Verona 2002

• Gli uomini delle tende. Dalla Mongolia alla Mauritania, Bruno Mondadori, Milano 2003

• Il paesaggio degli uomini. La natura, la cultura, la storia, Zanichelli, Bologna 2003

• Il paesaggio e il silenzio, Marsilio, Venezia 2004

• Il viaggio di Abdu. Dall'Oriente all'Occidente, Edizioni Diabasis, Reggio Emilia 2004

• Viaggio a Samarcanda, Edizioni Diabasis, Reggio Emilia 2004

• Taklimakan. Il deserto da cui non si torna indietro, Tararà, Ginevra 2005

Note

1. ^ Eugenio Turri, Semiologia del paesaggio italiano, Milano, Longanesi, 1990, ISBN 978-88-304-0960-6.