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Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna www.koreuropa.eu LA PALESTINA “STATO NON MEMBRO OSSERVATORE” ALLE NAZIONI UNITE Claudio Zanghì Professore emerito di Diritto internazionale nell’Università “Sapienzadi Roma La recente qualifica di “Stato-non membro osservatore”, per la prima volta attribuita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la Risoluzione 67/19 del 29.11.2012 ad un soggetto di diritto internazionale, nella specie la Palestina, merita qualche riflessione per essere agevolmente compresa nei suoi presupposti e nelle sue conseguenze. È appena il caso, anzitutto, di ricordare che l'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) è un ente internazionale composto da Stati e che il suo Statuto prevede unicamente la qualifica di “Stato membro” che è assunta dagli Stati invitati alla Conferenza di San Francisco, che hanno firmato e ratificato l'atto costitutivo (membri originari)e dagli Stati che sono stati progressivamente “ammessi” attraverso la procedura dell'art.4dello Statuto che prevede, fra l'altro, una raccomandazione del Consiglio di sicurezza con voto a maggioranza qualificata, ivi compreso quello dei membri permanenti. Nessun altra qualifica di “membro associato”, “osservatore” o simile è prevista nello Statuto a differenza di ciò che accade in altri enti internazionali. Ciò premesso, fin dalla sua costituzione, lONU non poteva ignorare l'esistenza di uno Stato, storicamente tale, che non poteva partecipare all’Organizzazione in ragione della sua condizione di neutralità, la Svizzera. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite “inventò” così lo status di “osservatore” attribuendo il medesimo alla Svizzera. Successivamente ad un altro soggetto di diritto internazionale- anche questo storicamente inteso - la Santa Sede- che, pur non essendo uno “Stato” svolgeva un ruolo particolarmente rilevante nelle relazioni internazionali, venne attribuito il medesimo status (da ultimo Ris.58/314 del 1 luglio 2004). In epoca successiva, quando erano già state istituite diverse organizzazioni che avevano un ruolo attivo nella vita delle relazioni internazionali, la stessa Assemblea delle Nazioni Unite, ritenendo opportuno poter dialogare con queste ultime, attribuii lo status di osservatore a taluni enti internazionali, quali, ad esempio, la Lega araba, (Ris. 477/V del 1950), l'Unione

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LA PALESTINA “STATO NON MEMBRO –

OSSERVATORE” ALLE NAZIONI UNITE

Claudio Zanghì

Professore emerito di Diritto internazionale nell’Università “Sapienza” di Roma

La recente qualifica di “Stato-non membro osservatore”, per la prima volta attribuita

dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la Risoluzione 67/19 del 29.11.2012 ad un

soggetto di diritto internazionale, nella specie la Palestina, merita qualche riflessione per

essere agevolmente compresa nei suoi presupposti e nelle sue conseguenze.

È appena il caso, anzitutto, di ricordare che l'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU)

è un ente internazionale composto da Stati e che il suo Statuto prevede unicamente la

qualifica di “Stato membro” che è assunta dagli Stati invitati alla Conferenza di San

Francisco, che hanno firmato e ratificato l'atto costitutivo (membri originari)e dagli Stati che

sono stati progressivamente “ammessi” attraverso la procedura dell'art.4dello Statuto che

prevede, fra l'altro, una raccomandazione del Consiglio di sicurezza con voto a maggioranza

qualificata, ivi compreso quello dei membri permanenti. Nessun altra qualifica di “membro

associato”, “osservatore” o simile è prevista nello Statuto a differenza di ciò che accade in

altri enti internazionali.

Ciò premesso, fin dalla sua costituzione, l’ONU non poteva ignorare l'esistenza di uno

Stato, storicamente tale, che non poteva partecipare all’Organizzazione in ragione della sua

condizione di neutralità, la Svizzera. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite “inventò”

così lo status di “osservatore” attribuendo il medesimo alla Svizzera. Successivamente ad un

altro soggetto di diritto internazionale- anche questo storicamente inteso - la Santa Sede- che,

pur non essendo uno “Stato” svolgeva un ruolo particolarmente rilevante nelle relazioni

internazionali, venne attribuito il medesimo status (da ultimo Ris.58/314 del 1 luglio 2004).

In epoca successiva, quando erano già state istituite diverse organizzazioni che avevano

un ruolo attivo nella vita delle relazioni internazionali, la stessa Assemblea delle Nazioni

Unite, ritenendo opportuno poter dialogare con queste ultime, attribuii lo status di osservatore

a taluni enti internazionali, quali, ad esempio, la Lega araba, (Ris. 477/V del 1950), l'Unione

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africana (Ris. 57/48 del 21.11.2002), l’OSCE (Ris.48/5 del 13.11.1993), il Sovrano Militare

Ordine di Malta, il Comitato internazionale della Croce Rossa, e da ultimo anche l'Unione

Europea (che ha oggi uno status “rafforzato” in base alla Ris. 65/276 del 3.5.2011, in

sostituzione di quello ordinario attribuito già con Ris.3208/XIX del 1974).

Nel contesto dei principi sull'autodeterminazione dei popoli, formulati dalla stessa

Organizzazione delle Nazioni Unite, e quindi della nascita dei Movimenti di liberazione

nazionale, l'Assemblea generale, ritenendo opportuno dialogare anche con questi ultimi, si

pose il problema di attribuire anche ai predetti movimenti lo Stato di “osservatore”. La Ris.

3280 (XXIX) del 1 dicembre 1974 ha riconosciuto tale status a tutti i movimenti riconosciuti

dall’Unione Africana, mentre la Ris. 35/167 del 15.12.1980 a tutti gli altri movimenti.

Di conseguenza, con la Risoluzione 3237 del 22.11.1975, l'Organizzazione per la

Liberazione della Palestina (OLP) ebbe riconosciuta tale qualifica1. È noto per altro che la

stessa OLP era stata riconosciuta da diversi paesi e che il suo capo storico (Arafat) era stato

ricevuto e trattato come un capo di Stato anche dalla stessa Assemblea delle Nazioni Unite.

Lo status venne reiterato con nuove facoltà di intervento in Assemblea dopo che Arafat aveva

proclamato la nascita dello Stato di Palestina (Ris. 43/160 del 9.12.1988).

Lo sviluppo delle vicende palestino-israeliane e la rilevanza del problema nel contesto

delle attività dell'Assemblea generale indusse poi quest'ultima, con Risoluzione 52/250 del

27.7.1998, ad attribuire sempre alla OLP lo status rafforzato di “osservatore speciale”.

La situazione descritta non poteva evolversi verso l’ammissione dello Stato palestinese

all’ONU, attesa la netta opposizione degli Stati Uniti che, ove necessario, avrebbero formulato

il loro veto impedendo la raccomandazione del Consiglio di sicurezza, atto di imprescindibile

per la procedura di ammissione ex art.4.

In tale contesto è intuitivo che la Palestina, pur avendo presentato una formale domanda

di adesione il 23.11.2011, non poteva insistere nell'esame della stessa da parte del Consiglio

di sicurezza per l'inevitabile insuccesso. Di conseguenza, a seguito di negoziati diplomatici

intesi a verificare l'atteggiamento favorevole della maggior parte degli Stati membri delle

1 Come è noto, la Risoluzione n.181 (II) del 29.11. 1947 aveva posto termine alla situazione determinatasi dopo il

secondo conflitto mondiale ed aveva suddiviso i territori nella prospettiva di dar vita a due Stati: Palestina ed

Israele. La soluzione venne rifiutata dalle popolazioni arabe e con la Risoluzione194 (III) del 11.5.1948 venne

istituito lo Stato di Israele, successivamente ammesso all’ONUl’ 11.5.1949.

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Nazioni Unite, la Palestina ha preferito non insistere sulla domanda di ammissione ed

accettare invece questa nuova qualifica di “Stato-non membro, osservatore”, una volta

accertato, che la maggioranza dell'Assemblea generale si sarebbe favorevolmente espressa.

Il risultato che si è realizzato con la votazione del 29 novembre ha visto approvare la

Risoluzione con 138 voti favorevoli, 9 contrari e 47 astensioni2. In tale risultato, a prescindere

dal dichiarato atteggiamento negativo di Israele, degli Stati Uniti e degli stretti alleati di questi

ultimi, sorprende il voto contrario della Repubblica Ceca che, come se non bastasse,

sottolinea ancor più la mancanza di una linea unitaria della politica estera dell’Unione

europea. Se la maggior parte degli Stati europei si erano sempre schierati per una posizione

astensionista, di equidistanza, la Francia e la Spagna, ai quali si è aggiunto nelle ultime ore

anche il nostro Paese, hanno manifestato il loro esplicito assenso alla Risoluzione

allontanandosi in tal modo dalla maggioranza astensionista dei Paesi europei.

Considerato che, a differenza delle situazioni precedentemente descritte, la Risoluzione

citata definisce la Palestina “Stato non membro”, ciò determina non poche conseguenze di

natura giuridica e politica. Sul piano del diritto, ma altrettanto della politica, è importante

sottolineare che con la suddetta delibera la Palestina viene qualificata come “Stato” ancorché

non membro delle Nazioni unite, ma pur sempre “Stato” a livello della comunità

internazionale. Ed è noto che l'esistenza o meno di uno Stato non dipende dalla pronuncia di

un ente o dal riconoscimento di un altro Stato bensì dal possesso di requisiti obiettivi; ma sul

piano politico, per altro non privo di conseguenze giuridiche come si dirà, è certo che il

riconoscimento di tale qualifica, implicito nella citata Risoluzione votata dalla maggioranza

degli Stati della comunità internazionale, corrisponde alla volontà espressa dalla stessa

maggioranza di trattare la Palestina non già come un soggetto della comunità internazionale

bensì come uno “Stato” della medesima.

Nell'ambito del conflitto arabo- israeliano, che dura ormai da oltre 60 anni, ed in

particolare nel contesto della prospettata politica “due popoli, due Stati”, il riconoscimento di

tale qualifica alla Palestina, ancorché negato da Israele, rappresenta un rilevante successo

2Il voto negativo è stato manifestato da: Canada, Rep. Ceca, Israele, Isole Marshall, Micronesia, Nauru, Palau,

Panama e Stati Uniti.

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dell’attuale leadership palestinese Abu Mazen. Sottolineo questo aspetto perché non può

ignorarsi che nell'ambito del prospettato Stato palestinese sussistono due anime: la prima,

quella ufficiale della “Autorità palestinese” di Abu Mazen, disponibile alla sussistenza di due

Stati, l'altra, quella del movimento integralista di Hamas che ha da sempre negato la

possibilità non soltanto di riconoscere lo Stato di Israele, ma ancor più di ammetterne

l'esistenza.

La Risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite è certamente un successo

politico della rappresentanza ufficiale della Palestina ma non coinvolge la rilevante

componente (circa il 40% della popolazione) del movimento di Hamas. Occorrerà verificare

se in un prossimo futuro ciò potrà rafforzare la posizione di Abu Mazen ed agevolare il

dialogo interno con il movimento integralista. Nell'ambito dei rapporti con lo Stato d'Israele

non credo che alla delibera dell'Assemblea possano conseguire concreti effetti sui negoziati

più volte intrapresi e interrotti con lo Stato d'Israele. È facile immaginare che con

l'attribuzione dello status di “Stato-non membro, osservatore” la Palestina di Abu Mazen

cercherà di portare il negoziato con Israele nell'ambito della stessa Assemblea dell’ONU, ma è

altrettanto facile immaginare, specie dopo aver sentito le dichiarazioni dell'Ambasciatore di

Israele prima del voto dell'Assemblea generale, che lo Stato di Israele rimarrà stabile nella

posizione fin oggi mantenuta dal negoziato diretto fra palestinesi ed israeliani, nell’ambito di

un rapporto bilaterale, semmai agevolato con l'intermediazione di altri paesi, quali gli Stati

Uniti o taluni Stati europei, ma certamente non condotto in ambiti multilaterali nei quali le

posizioni israeliane sarebbero certamente soccombenti.

Sotto il profilo del diritto interno delle Nazioni Unite, a prescindere dalla valenza

politica del nuovo “status”, dallo stesso non deriva alcuna conseguenza concreta. È ovvio,

infatti, che la possibilità di intervento in sede assembleare, ampiamente riconosciuta

all'autorità della Palestina dalla Risoluzione del 1998, continuerà a produrre i suoi effetti

senza alcuna rilevanza del fatto che il nuovo soggetto sia “Stato-non membro”.

Diversamente, invece, sul piano del diritto internazionale e del diritto delle

organizzazioni internazionali il riconoscimento della qualifica di “Stato” se, come è noto, la

Palestina è stata già ammessa come membro dell'Unesco (dal 23.9.2011 con soli 14 voti

contrari) è implicito che oggi, assunta la qualifica di “Stato”, la Palestina potrà più

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agevolmente chiedere l'ammissione ad altre organizzazioni internazionali, ed in particolare

alla famiglia delle Nazioni Unite, per una maggiore visibilità della propria azione nel contesto

delle relazioni internazionali. Ed, infatti, come già nel caso dell’Unesco, pur essendo

necessaria una regolare procedura di ammissione, manca in ogni caso l’ostacolo del veto, ben

noto all’ONU.

Per le altre conseguenze “giuridiche” che derivano da questo esplicito riconoscimento

della qualità di “Stato” alla Palestina, a prescindere dalle consuete relazioni internazionali bi o

plurilaterali che continueranno a svolgersi con gli Stati che hanno riconosciuto la Palestina,

occorre anzitutto riferirsi allo Statuto della Corte Internazionale di Giustizia. Quest’ultimo,

come è noto, prevede l’adesione automatica da parte degli Stati membri dell’ONU, ma non

così per gli Stati non membri. Ai sensi dell’art.93 questi possono aderire allo Statuto pur

senza essere membri delle Nazioni Unite. Occorre però una Raccomandazione del Consiglio

di Sicurezza in tal senso e la Risoluzione dell’Assemblea generale. Pur se in astratto la

Palestina, essendo stata considerata uno “Stato” ancorché non membro, potrebbe proporre la

propria adesione allo Statuto della Corte, poiché tale procedimento è subordinato alla

Raccomandazione del Consiglio di Sicurezza e quindi alla decisione dell’Assemblea generale,

è facile immaginare che si ripresenterebbe il tema del veto, almeno da parte degli Stati Uniti,

che ha impedito fin oggi l’ammissione della Palestina all’ONU. Analogamente deve

concludersi per l’art. 4 par.3 dello Statuto nel quale si prevede che gli Stati che abbiano

aderito allo Statuto, ancorché non membri dell’ONU, possono partecipare alla procedura di

elezione dei giudici della Corte sulla base di un accordo speciale concluso sempre

subordinatamente ad una Raccomandazione del Consiglio di Sicurezza e ad una decisione

dell’Assemblea generale.

Al contrario, invece, la Palestina potrebbe aderire allo Statuto della Corte Penale

Internazionale giacché l’art.125, par.3, che prevede l’adesione degli Stati, non la subordina ad

alcun preventivo parere o raccomandazione. Una volta parte contraente dello Statuto della

Corte, a seguito dell’accennata adesione, la Palestina potrebbe segnalare al Procuratore della

Corte uno o più casi di violazione di crimini previsti dallo Statuto compiuti da militari o

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autorità dello Stato di Israele o altri3. Ed anche se tutti conosciamo limiti di intervento della

Corte penale internazionale, il fatto stesso che la Palestina possa denunciare diversi casi al

Procuratore è certamente una conseguenza assai rilevante sul piano del diritto internazionale e

delle relazioni palestino-israeliane.

3Art.14 : “1. Uno Stato Parte può segnalare al Procuratore una situazione nella quale uno o più crimini di

competenza della Corte appaiono essere stati commessi, richiedendo al Procuratore di effettuare indagini su

questa situazione al fine di determinare se una o più persone particolari debbano essere accusate di tali crimini.

2. Lo Stato che sottopone il caso, indica per quanto possibile le circostanze rilevanti e presenta la

documentazione di supporto di cui dispone”.

Art. 15 “1. Il Procuratore può iniziare le indagini di propria iniziativa sulla base di informazioni relative ai

crimini di competenza della Corte”.