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EDITORIALE Area Carismatica La lode stile di vita 1. Il canto: non fine ma mezzo 2. Cantare nella liturgia 1. Cantare il Tempo Ordinario 2. Preparare la Quaresima 3. Il canto Gregoriano non è un canto..... 4. Il Papa e la musica 5. Area Tecnica Area Liturgico – Musicale Struttura dell’anno liturgico 1. Schema per l’analisi di un canto 2. 3. Impariamo a suonare un canto 407 Apri i miei occhi 394 Su lodiamo Anno 1 – Numero 5 - 6 - 7 Gennaio - Febbraio - Marzo 2013 Foglio di collegamento a cura del Servizio Diocesano Musica e Canto Diocesi di Napoli Gli strumenti musicali nella Liturgia Animazione Domenicale Poesie musicabili per i riti cristiani 1. Canti per il Tempo Liturgico 1. Al Servizio della Parola: 2. Salmodie Sulle ote dello Spirito Inserto Speciale Indice liturgico per la S. Messa LA MUSICA ARMONIA DIVINA Bisogna comprendere il canto e la musica in base alla Parola di Dio. La musica e il canto tocca la sfera emotiva. La Bibbia è piena di riferimenti alla musica e al canto e vi sono molti brani che, nella loro forma originale, venivano probabilmente cantati. A musica è un aspetto della “creatività” di Dio e che è stata data all’umanità come un dono, uno di quelli di cui “possiamo godere” (1 Tm 6,17), allora possiamo legittimamente trarre grande piacere dall’ascoltare o dal comporre musica. Dio ama fare musica ! Non è solo la fonte della musica, ma è egli stesso un “musicista”. La Bibbia si riferisce a Dio stesso che canta, dimostrando così il suo amore ed il suo compiacimento per la musica quale parte del suo creato. La musica originariamente fu “un’idea di Dio”. La prima musica nell’universo deve essere stata il canto degli angeli che inneggiavano alla creazione “Gb 38,7”.

Anno 1 - Numero 5-6-7

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Gennaio - Febbraio - Marzo 2013

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EDITORIALEArea Carismatica La lode stile di vita1. Il canto: non fine ma mezzo2.

Cantare nella liturgia1. Cantare il Tempo Ordinario2. Preparare la Quaresima3. Il canto Gregoriano non è un canto.....4. Il Papa e la musica5.

Area Tecnica

Area Liturgico – Musicale

Struttura dell’anno liturgico1. Schema per l’analisi di un canto2.

3. Impariamo a suonare un canto407 Apri i miei occhi �394 Su lodiamo �

Anno 1 – Numero 5 - 6 - 7Gennaio - Febbraio - Marzo 2013

Foglio di collegamento a cura delServizio Diocesano Musica e Canto

Diocesi di Napoli

Gli strumenti musicali nella Liturgia

Animazione Domenicale

Poesie musicabili per i riti cristiani1.

Canti per il Tempo Liturgico1. Al Servizio della Parola:2. Salmodie �

SulleotedelloSpirito

Inserto SpecialeIndice liturgico per la S. Messa

LA MUSICA ARMONIA DIVINA

Bisogna comprendere il canto e la musica in base alla Parola di Dio.

La musica e il canto tocca la sfera emotiva.La Bibbia è piena di riferimenti alla musica e al

canto e vi sono molti brani che, nella loro forma originale, venivano probabilmente cantati.

A musica è un aspetto della “creatività” di Dio e che è stata data all’umanità come un dono, uno di quelli di cui “possiamo godere” (1 Tm 6,17), allora possiamo legittimamente trarre grande piacere dall’ascoltare o dal comporre musica.

Dio ama fare musica ! Non è solo la fonte della musica, ma è egli stesso un “musicista”. La Bibbia si riferisce a Dio stesso che canta, dimostrando così il suo amore ed il suo compiacimento per la musica quale parte del suo creato.

La musica originariamente fu “un’idea di Dio”.

La prima musica nell’universo deve essere stata il canto degli angeli che inneggiavano alla creazione “Gb 38,7”.

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di Matteo Calisi, Tratto da: “Una chiesa pura per adorare” Ed. R.n.S.

LA LODE STILE DI VITA1.

Possiamo affermare che la lode non si sperimenta soltanto nell’incontro di preghiera; infatti, per molti è diventata uno stile di vita:

“Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode” (Sal 33,2).

Chi vuole entrare nel pieno possesso di questa benedizione, di questa grazia che il Signore vuole donare alla Sua Sposa, che è la Chiesa, chi vuole entrare nella gioia di questi giorni nella Chiesa, deve comprendere che la radice di questa pianta, che è la lode, sta nella nostra santità.

La radice della nostra animazione della musica e del canto è molto profonda; le radici sono nella nostra spiritualità, nelle nostre motivazioni, nella purezza delle nostre intenzioni, nella nostra santità di vita, nel nostro scegliere il Signore in modo assoluto, definitivo: una consacrazione totale a Gesù come Signore.

Queste premesse sono fondamentali per costruire quell’edificio spirituale sul quale poggiano i nostri ministeri.

Nessuno si immagini che basti andare al gruppo di preghiera e conoscere tutti i canti del libretto “Dio della mia lode”, alzare le mani, e applaudire per essere diventato un vero animatore.

Nessuno lo pensi. E se noi vi abbiamo dato l’impressione che questo fosse il modello al quale dovevate adeguarvi, vi chiediamo scusa, perché non e cosi.

L’adorazione che vogliamo dare al Signore attraverso il nostro ministero comincia nel segreto del nostro cuore, nel silenzio, nella sofferenza, nel sacrificio. L’adorazione che noi dobbiamo a Dio comincia nel segreto della nostra camera, come ci ricorda Gesù nel Vangelo.

L’adorazione comincia in mezzo alle prove e alle difficoltà, Il dove ci sono problemi, dove abbiamo difficoltà ad accettare la volontà di Dio, anche davanti a problemi di salute fisica; è necessario che sacrifici di ringraziamento e di lode salgano a Dio in totale abbandono e docilità di cuore. Allora comincia la vera adorazione che Dio si aspetta da noi.

II ministero dell’adorazione, della lode, della musica e del canto ha inizio non quando noi cominciamo a crescere, a diventare importanti, ad assumere atteggiamenti da animatore, ma quando cominciamo a morire.

Chi segue Cristo è “un uomo morto”. Quando ai tempi di Gesù si vedeva qualcuno caricato da una croce che passava fuori dalle mura di Gerusalemme, ancora vivo, con un pezzo di legno sulle spalle, tutta la popolazione pensava che era già un uomo finito: quell’uomo non aveva un domani.

Gesù, riferendosi alla croce, ai suoi discepoli, ha detto:

“Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24).

Fratelli, chi vuol seguire Gesù in questo cammino deve necessariamente morire se vuole vivere. Dobbiamo morire a noi stessi; e questo ciò che Dio gradisce.

Se il nostro cuore non è ancora spezzato, rotto, aperto, sacrificato per offrire a Dio un adorazione pura, tutto quello che offriamo, il nostro canto, le nostre musiche, i nostri strumenti musicali sono soltanto ed esclusivamente esteriorità, preghiere vuote, belle canzoni spirituali ma non vera adorazione.

Sono esecuzioni materiali! Persino la regia più perfetta di una liturgia o di un incontro di preghiera possono diventare esteriorità, ritualismo, fariseismo. La vera adorazione “profuma” e l’unico profumo che può uscire dalla nostra vita come animatori è quello della santità.

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Dobbiamo essere santi se vogliamo essere adoratori

Ma il Signore non ci dice:

“Siate santi ed… arrangiatevi”,

altrimenti diremmo, come Pietro:

“Se le cose stanno così, con tutti i peccati e le difficoltà che abbiamo, chi ci potrà salvare, Signore?”(cfr.Mt 19,25);

ma il Signore ci dice:

“Siate santi come io sono santo” (1 Pt 1,16).

Non ci crea una difficoltà, un impedimento; dice che abbiamo la possibilità di esseri santi proprio come Lui è santo!

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Cercherò di toccare alcuni aspetti fondamentali della nostra vita. Sia sotto l’aspetto spirituale che sotto l’aspetto umano. L’intento è che questo possa essere di stimolo a tutti quanti voi per creare delle domande e poi iniziare un dibattito. Io non affronterò tanto l’aspetto evangelizzatore della musica e del canto ad extra del Rinnovamento, come anche Salvatore ha accennato prima, anche se negli ultimi anni abbiamo assistito e vissuto a diversi esempi come: colonna di fuoco, concerti all’aperto per giovani, non ultime le dieci piazze, che hanno dato un taglio innovativo e molto coinvolgente dell’evangelizzazione ad extra; quanto quello ad intra, quindi nelle nostre realtà locali, cosa che ci interessa sicuramente e ci tocca più da vicino tutti quanti.

Dobbiamo essere coscienti che il primo luogo in cui si evangelizza è il nostro gruppo di preghiera. Mi rendo perfettamente conto che sto parlando ad un’assemblea che non è omogenea in quanto non composta solamente da musicisti, cantori, artisti, compositori, ma anche da fratelli e sorelle che sono membri di pastorale o anche membri di gruppo, che non svolgono specificatamente questo ministero. Però tutti quanti siamo anche consapevoli che questo aspetto musicale ci coinvolge tutti quanti perché nel gruppo tutti quanti sono chiamati a lodare attraverso il canto.

Vogliamo dare un taglio anche un pò diverso a quello che normalmente siamo abituati a sentire su questo ministero, per poter così rileggere in una prospettiva di evangelizzazione l’esperienza che noi viviamo nella quotidianità dei nostri gruppi. In altri termini, cioè in maniera molto più semplice, in maniera diretta, vogliamo chiederci se:

il canto nel nostro gruppo viene vissuto e percepito da parte nostra come uno strumento 1. di evangelizzazione?E ancora, crediamo di essere evangelizzati per primi e quindi riceviamo quella carica 2. spirituale essenziale umana e prolifica per testimoniare la gioia dell’incontro con Cristo Risorto?E quali devono essere le conseguenze nei fratelli?3.

Questi sono gli interrogativi che andremo a toccare.Oggi come non mai sentiamo sempre più parlare, e sentiamo anche in questi giorni, di nuova

evangelizzazione. Cos’è la nuova evangelizzazione? È un richiamo ad una conversione nuova di chi è già cristiano. Quindi tutti quanti noi siamo chiamati a convertirci. Tutti coloro che hanno ricevuto il sacramento del battesimo. Però nella nostra società vediamo che la maggior parte dei cristiani, che si professano cristiani, non parlano di Cristo! E ci ritroviamo davanti a un problema che è molto grosso, la trasmissione della fede da parte dei genitori ai figli. Oggi siamo fortunati ancora se riusciamo a trovare dei nonni che parlano di Cristo, di Gesù, della fede ai nipoti, ma i genitori ormai non ne parlano più. Benedetto XVI nel suo intervento di apertura al sinodo sulla nuova evangelizzazione, da poco conclusosi, ha sottolineato che il mondo ha bisogno di persone che annuncino e testimonino Cristo, perché solo lui è la strada della vera felicità e della vita vera.

Evangelizzare non deve essere un privilegio, bensì un impegno che proviene dalla fede. Bisogna allora lasciarsi plasmare dalla Grazia di Dio e rispondere docilmente all’azione dello Spirito. Ma se abbiamo sempre testimoniato e predicato il Vangelo ci chiediamo: perché questa nuova evangelizzazione? Cosa deve essere cambiato?

Il termine nuovo si adatta molto bene alla nostra spiritualità, in quanto significa testimoniare e far cogliere la profonda azione salvifica di Dio, che è data appunto dalla novità. Lo Spirito fa nuove tutte le cose. La nostra testimonianza, il nostro comportamento, quando è autentico, è

di Marco Gustini, coordinatore regionale RnS Friuli Venezia Giulia, Tratto dal Simposio: “Evangelizzare attraverso...la musica e il canto in occasione della 36ª Conferenza Nazionale Animatori.

IL CANTO: NON FINE MA MEZZO2.

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sempre qualcosa di inedito, di nuovo, di diverso, di coinvolgente, di sorprendente, perché è lo Spirito che vi opera. Molte sono le parole della Scrittura che accompagnano questa novità: nuova alleanza, creazione nuova, vita nuova, comando nuovo. Dobbiamo avere ben chiaro che tutti noi necessitiamo costantemente di una rievangelizzazione attraverso una formazione permanente, che si può esprimere non soltanto attraverso una formazione a livello diocesano o regionale, ma anche soprattutto nel proprio gruppo, con una formazione biblica permanente, con un cammino di discepolato carismatico, con l’accompagnamento fraterno e con la vita sacramentale. La Chiesa è sempre chiamata a evangelizzare, è evangelizzante, è sempre in missione per rispondere al comando di Gesù:

(Mt 28) ”Andate e ammaestrate tutte le genti”,

se manca questo mandato la Chiesa muore, e muoiono anche i nostri gruppi. Quanto ho detto ci deve far riflettere sulla nostra spiritualità carismatica, che se è veramente carismatica, cioè mossa e guidata dallo Spirito Santo, è sempre evangelizzante in quanto tocca il cuore dell’uomo nel suo intimo. Ogni nostra esperienza comunitaria e quindi anche il nostro incontro di preghiera settimanale ed ogni nostro incontro cultuale è e deve essere sempre comunicazione del Vangelo, comunicazione di quel Gesù vivente ed operante nel potere dello Spirito, dobbiamo prendere coscienza che anche nella semplicità e nella povertà dei nostri gruppi l’azione dello Spirito è sempre viva e presente se noi per primi saremo degli evangelizzati.

Quando si canta a Dio con il cuore pieno di Spirito il canto acquista un valore carismatico, diventa una grazia speciale, cioè per primi abbiamo vissuto un incontro con il Signore che ha trasformato la nostra vita. Con troppa facilità alle volte tendiamo a sottovalutare e a svilire le azioni, i segni, i canti, le preghiere che viviamo settimanalmente nei nostri incontri. Dobbiamo porre attenzione a non far diventare ordinario lo straordinario che viviamo, in quanto il nostro cuore può correre il rischio di non avere più orecchi per sentire e occhi per vedere l’opera meravigliosa e nuova del Signore. Nel Salmo 40 leggiamo:

“Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo.”

Il canto nuovo saremo in grado di cantarlo se avremo sempre “un cuore nuovo, un cuore rinnovato”, dice S. Agostino. La routine è un pericolo costante che ci fa chiudere il cuore davanti alle meraviglie di Dio. L’espressione del canto deve portare un atteggiamento di lode, gioia, festa, acclamazione, ringraziamento. Tutto questo deve essere sempre visibile anche nei momenti più bui e difficili della nostra vita, perché deve nascere dalla nostra fede. Quindi è necessario che coloro che sono chiamati in questo ministero siano sempre i primi evangelizzati. Noi abbiamo fatto un’esperienza viva e vera del Signore, lo abbiano incontrato veramente, così che dal loro cuore e dal loro atteggiamento, dalla loro gestualità, dal loro servizio con semplicità e naturalezza labenedizione, la lode gioiosa, il canto spirituale. Corriamo il rischio nei nostri gruppi di trovare fratelli e sorelle chiamati a servire in questo ministero che si sono assuefatti a questo servizio. Questo è un pericolo molto, molto grosso. Lo svolgono con routine che v anta sicurezza e preparazione. L’autosufficienza con tanta facilità può portarci a vivere questo ministero in maniera esclusivamente tecnicistica ed esibizionistica. Invece deve assumere e trasmettere in modo significativo ed efficace uno stato d’animo, un sentimento, un pensiero, un ideale, una spiritualità coinvolgente che porti tutti ala presenza del Signore per far vivere la cosa più importante l’incontro con la sua grazia. Non possono esistere incontri di serie A o di serie B, incontri di preghiera o ritiri, assemblee più o meno importanti, in quanti tutti devono essere al servizio della nuova evangelizzazione. Tutti indistintamente devono portare i partecipanti all’incontro unico e trasformante con Dio.

Il ministero musica e canto non è fine a se stesso, non dimentichiamolo. Sappiamo tutti che non

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può essere un tappa buchi o un riempitivo, ma è uno strumento privilegiato che lo Spirito usa per muovere i cuori alla lode, svolge il suo servizio nel lodare Dio in una lode armoniosa, come Lui solo merita, deve portare il cuore dell’uomo alla presenza di Dio. Questo ministero è un ministero che evangelizza perché è profetico in quanto proclama la parola di Dio. Infatti i nostri canti sono fondati principalmente sulla parola di Dio e cantandola la annunciamo, la rendiamo viva e vicina al cuore dei fratelli, la rendiamo familiare nel linguaggio. È un ministero che evangelizza perché è profetico in quanto risveglia l’ascolto della parola, perché la musica ha il compito di risvegliare l’attenzione dei fedeli sul senso profondo della scrittura parlando al nostro cuore ed alla stella delle nostre emozioni, cioè tocca il nostro cuore. Il canto provoca una risonanza interiore e ci spinge a confrontare la nostra vita con gli insegnamenti del vangelo e tutto questo provoca di conseguenza un’azione personale di cambiamento, di trasformazione in quanto come leggiamo nel libro del profeta:

“Così sarà della parola uscita dalla mia bocca, non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandato.”

È un ministero che evangelizza perché è profetico in quanto prepara l’assemblea ad un’eventuale azione del Signore. Il cuore di Dio non è insensibile alla nostra fede ed alla nostra preghiera. Se il canto è veramente mosso dallo Spirito, oltre a toccare il nostro cuore, tocca anche il cuore di Dio e lo spinge ad operare. Tanto più grande sarà la nostra fede, tanto più potente sarà l’azione di Dio.

Nell’animazione della preghiera la scelta stessa del canto non sottolinea solamente il momento di preghiera, ma anticipa ciò che lo Spirito sta preparando, quindi è profetico. Il canto evangelizza perché ha un’azione liberante. I canti di chi ha la fede possono provocare un intervento liberante di Dio, ma anche generare conversione e salvezza in chi l’ascolta. L’esempio l’abbiamo da Paolo e Sila I quali costretti in catene riescono a lodare e cantare a Dio e vengono liberati, tanto che la guardia carceraria incaricata di controllarli, sente il cuore trafitto dalla verità e si apre alla conversione (Atti 16, 25). Il canto evangelizza perché ha un’azione formativa. Se siamo convinti di quello che cantiamo la verità si imprime fortemente in noi e in chi l’ascolta. Il canto evangelizza perché ha un’azione di conversione e pentimento dei peccati, perché ammaestra chi inizia un cammino di fede e conferma quelli che già la possiedono. Con la sua melodia riesce ad intenerire i cuori anche più duri, più insensibili, che si abbandonano al pianto e si piegano al pentimento, tocca il cuore. Il canto evangelizza perché ha un’azione unificante. Le parole del salmo 149 versetto 1 “La sua lode nella Chiesa dei fedeli“ ci dimostrano che bisogna elevare l’acclamazione insieme con la sinfonia di tutti. Il nome Chiesa significa corpo e assemblea, e le parole del salmo “49 versetto 2 “Gioisca Israele del suo creatore” invita a gioire tutto il popolo con il Signore. Quindi nelle nostre assemblee, se sono veramente carismatiche, deve accadere ciò che l’apostolo Paolo scrive nella 1Cor 14,23-25:

“Quando si raduna tutta la comunità e sopraggiungesse qualche non credente o un non iniziato, verrebbe convinto del suo errore da tutti“,

ed io interpreto (rimarrebbe colpito dai vostri canti, dalla vostra preghiera, dalla vostra gestualità, dalla vostra spiritualità, della vostra profezia). E così prostrandosi a terra adorerebbe Dio, proclamando che è veramente Dio è tra noi. Questo deve accadere. Questo deve succedere nei nostri gruppi, nei nostri convegni, nelle nostre assemblee. Nella lettera apostolica Novummillennium ineunte al capitolo 23 leggiamo che “C’è bisogno di un cristianesimo che si distingua innanzitutto nell’arte della preghiera”. Ricordiamo che il canto è preghiera per eccellenza.

Tutta la vita del Rinnovamento, e quindi anche questo ministero, deve essere concepita e promossa in una logica di servizio del Rinnovamento e della Chiesa, e non rinchiusa nella piccola

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realtà locale, in quanto la grazia che trasmette deve portare un ampio respiro. Cioè oltrepassi i muri delle sale dei nostri incontri, dei nostri cenacoli delle nostre sagrestie ed attraverso i cuori edificati e trasformati dei nostri fratelli dilaghi nelle nostre famiglie, nelle parrocchie, nelle diocesi, in tutta la Chiesa, nel mondo intero, raggiungendo tutti e tutto. Alla luce di questo ci rendiamo allora conto che il ruolo dei fratelli che partecipano a questo servizio dovrà essere svolto con autentica vocazione, ed una risposta personale ed effettiva che comportino un equilibrio tra la tecnica e la purezza di cuore.

La tecnica e l’estetica, la professionalità del canto, sono tutte cose importantissime, ma dobbiamo aver chiaro che la cosa principale è rendere il nostro cuore in sintonia con quello del Signore e soprattutto che questo cuore stia alla Sua presenza, affinché il ministero diventi realmente strumento di grazia. Il nostro canto allora dovrà essere espressione di vero amore verso Dio, solo così si realizzerà quella sintonia, quel ponte tra uomo e cielo, quel “Dialogo d’amore” come lo definisce San Gregorio di Nissa, nel quale Dio si china sul cuore dell’uomo adattandosi a noi, alla nostra condizione ed intervenendo nella nostra vita.

Io, cantore o musicista, evangelizzo nel momento in cui il mio comportamento di ogni giorno, il mio atteggiamento nella mia vita, non si contraddice con il servizio che svolgo. Cioè non si divide tra una vita quotidiana e una vita spirituale. Una vita spirituale: la mia fede, l’incontro di preghiera, la santa messa. La realtà materiale, la mia vita quotidiana: il lavoro, gli amici, gli svaghi, i divertimenti. Cioè non vivo due momenti ben distinti con due comportamenti diversi. Diventa schizofrenia spirituale. Non posso vivere questa separazione perché anche il mio quotidiano, il mio vivere, deve essere permeato della presenza di Dio. La Parola di Dio ci interroga:

“Come può un olivo da”e fichi o un fico dare olive?”.

Il canto non è il fine ma è il mezzo che deve parlare a Dio. Non sarà la perfetta esecuzione di un canto a testimoniare la mia fede, la mia conversione, il mio comportamento, ma il mio sguardo, la mia gestualità, la mia gioia, la mia preghiera, il mio vivere come uomo nuovo. Tutto ciò si deve vedere e trasparire. Allora la prima cosa che il cantore, e chi opera in questo ministero, deve fare è porsi davanti a Cristo. Così inevitabilmente imparerà a conoscerLo, per vivere come Lui e non solo per adorarLo. Il Padre cerca adoratori in spirito e verità (Giov. 4,24), cioè in comunione con il Figlio, con lo Spirito e con i fratelli, perché questo essere adoratori implica anche le relazioni umane. E dobbiamo stare molto attenti perché le relazioni personali assumono un’importante rilevanza, oserei dire fondamentale. Non dimentichiamo che la stragrande maggioranza delle divisioni e dei nostri litigi derivano non tanto da problemi spirituali o da visioni diverse, ma soprattutto da problemi dei nostri rapporti umani. L’aspetto spirituale del cantore è la chiave principale per evangelizzare in quanto testimonia il vero incontro con il Signore, testimonia il suo essere evangelizzato per primo, il suo vivere permeato dalla grazia dello Spirito. Ma è anche vero che altrettanta importanza rivestono le nostre relazioni umane, in quanto testimoniano il nostro mettere in pratica il vangelo che proclamiamo, che professiamo. La crescita spirituale deve camminare di pari passo con la crescita umana altrimenti che esempio diamo? Esistono due cose nel nostro cuore umano che facilmente possono perdere l’accordatura: quella dell’umiltà e quella della comunione fraterna. In questo ministero con estrema facilità la nostra persona può cadere nel protagonismo, cioè nel voler emergere dimostrando le nostre capacità, ritenendoci superiori agli altri. Tutto questo produce vanagloria e possibile rivalità:

“Io canto meglio di te, io suono meglio di te, io sono più bravo di quello o di quell’altro”.

Tutto questo crea al ministero un forte ostacolo alla sua natura profetica ed al suo servizio di rendimento di grazia. Quindi tutti coloro che ne fanno parte devono ben guardarsi dalla tentazione

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di vanità e di rivalità. La loro umiltà dovrà sempre spingerli a considerare gli altri migliori nel suonare e nel cantare.

L’altra cosa che vi accennavo è quella della comunione e sottomissione fraterna. Se questa esiste la lode sarà armoniosa come pure i nostri cuori, i nostri canti, le nostre esecuzioni. È necessario che tanto le voci quanto gli strumenti siano in perfetto accordo e che non vi sia nulla che possa provocare dissonanze, i cuori devono risuonare in armonia. Svolgere questo ministero con amore significa che ognuno dei fratelli condivida con gli altri non solo il momento delle prove dei canti, ma anche gli altri aspetti della vita, e ciò comprende non solo i problemi, le difficoltà, ma anche la correzione fraterna, la riconciliazione, il perdono, il “Prega per me che ne ho bisogno”. Pur senza mai dimenticarci che al di sopra del dono naturale ci deve essere sempre quello soprannaturale, dobbiamo dire che una caratteristica che deve accompagnare questo ministero è il desiderio di professionalità per svolgere il servizio nel miglior modo possibile, ampliando il repertorio dei canti e migliorandone l’esecuzione. Tutto questo deve essere chiesto nella preghiera. È necessario avere un buon orecchio ed una bella voce per essere anche strumenti di grazia. Nel salmo 33 al versetto 3 leggiamo “Cantate al Signore un canto nuovo, suonate la cetra con arte e acclamate”. Salmo 47 versetto 8 “Poiché Dio è il Re di tutta la terra, cantate inni con arte”. Cantare a Dio con arte significa essere in grado di intercettare e capire l’evoluzione della musica, del canto e della cultura in genere, in quanto il popolo ha un suo linguaggio ed una cultura che si evolve. L’arte è bellezza Dostoevskij Diceva che “la bellezza salverà il mondo”, dove il termine bellezza stava ad indicare Dio. Il ”ardinal Ravasi inizia un suo intervento dicendo:

“La creazione è un evento sonoro”, la creazione è armon”a, l’armonia è espressa attraverso una forma musicale”.

La musica ed il canto hanno la capacità di unire i cuori e di elevarli a Dio. Il sommo pon“efice Benedetto XVI nel 2007 ci donava queste parole:

“Sono convinto che la musica sia veramente linguaggio universale della bellezza, capace di unire tra loro gli uomini di buona volontà su tutta la terra e di portarli a alzare lo sguardo verso l’alto e ad aprirsi al bene e al bello assoluto, che hanno la loro ultima sorgente in Dio stesso”.

Ci soffermiamo allora alcuni istanti sulla bellezza della musica. So che qui sono presenti molti fratelli e sorelle che operano nel ministero musica e canto. Alcuni di questi sono creatori, collaborano con Dio nella creazione, cioè donano se stessi, esprimono se stessi donando qualcosa che prima non esisteva. Altri sono artefici cioè fratelli e sorelle che utilizzano queste creazioni alle quali danno forma e significato con la loro esecuzione. Il beato Giovanni Paolo II nella Pasqua del 1999 ha scritto una lettera a quanti con appassionata dedizione cercano nuove epifanie della bellezza per farne dono al mondo nella creazione artistica. Come non mai l’uomo nella creazione artistica tende a rilevare l’immagine di Dio, in quanto Dio è la somma bellezza e perfezione. Queste considerazioni devono farci porre la massima attenzione e il massimo impegno in questo servizio. Quando siamo consapevoli che la bellezza è un dono di Dio il nostro cuore diventerà sempre più capace di contemplarLo e ringraziarLo elevando a Lui il suo inno di lode.

La bellezza e l’arte sono espressione visibile del bene e il vero bene è Dio. Quindi possiamo dire che l’arte e la bellezza si avvicinano a Dio. Cioè aiutano i nostri cuori agustare e avvicinarci al mistero di Dio già su questa terra. La bellezza del canto ci aiuta a vivere la fede con vivacità di gioia e di amore, ci aiuta a vivere in maniera fiduciosa l’attesa del suo intervento salvifico, in quanto possiamo dire che la bellezza per eccellenza tocca e trasforma il cuore dell’uomo. L’uomo è sicuramente l’autore dell’atre, e specificatamente nel nostro ambito dei brani musicali, ma ogni autentica ispirazione proviene sempre dallo Spirito che si incontra con la persona e la stimola,

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stimola la sua capacità creatrice. Possiamo definirli momenti di grazia perché all’essere umano attraverso di essi viene data la possibilità di fare un’esperienza che trascende, che tocca il suo cuore.

Mi avvio alla conclusione con un accenno sull’uso della musica e del canto come strumento privilegiato della nuova evangelizzazione al di fuori della missione cultuale, cioè al di fuori dei nostri incontri. Va sottolineato che anche in questo campo ci deve essere una coerenza nell’ascolto e nell’esibizione, cioè la musica che io ascolto nella mia vita quotidiana non dovrà essere in contrasto con il mio credo. Mi riferisco in modo particolare a certi tipi di musica che nulla hanno a che fare con la nostra spiritualità. La musica è uno dei linguaggi fondamentali della comunicazione, soprattutto per i giovani, ma anche alle volte ha al suo interno una dimensione di confusione e annebbiamento del pensiero. Quando diventa esasperata può rappresentare anche il dramma della gioventù di oggi e di tutti quelli che non hanno una meta da raggiungere. Nella musica possiamo trovare il bene e il male, che sono un pò l’impasto della storia dell’umanità. Sta a noi scegliere. Il patrimonio artistico e culturale dei nostri canti lo conosciamo, è vastissimo. È una ricchezza non soltanto per il Rinnovamento e per tutta la Chiesa, ma anche per chi li ascolta perché possano diventare segno di contraddizione e strumento privilegiato per la nuova evangelizzazione quando vengono esibiti nelle piazze o in altri contesti al di fuori della vita del Rinnovamento. Abbiamo vissuto nel mese di settembre l’esperienza delle 10 piazze ed abbiamo potuto notare con soddisfazione l’impatto positivo sul pubblico che hanno avuto i nostri canti. Abbiamo potuto toccare con mano l’uso e l’esecuzione fatta con atre e competenza, ma anche il messaggio inviato che ha toccato il cuore dei presenti. Non dimentichiamo che la musica è uno dei linguaggi fondamentali della comunicazione tra i giovani, sta a noi adoperarla con intelligenza per portare Cristo in mezzo a loro. Spero di essere riuscito a darvi alcuni stimoli, avervi dato alcune idee. Adesso lascio la parola a Daniele che ci darà una sua testimonianza

Discussione

Come si può fare il salto dal canto come semplice servizio, al canto come 1. testimonianza di lode e contatto con Dio?

Dobbiamo fare un percorso di vita spirituale. Noi non dobbiamo trasmettere noi stessi, noi dobbiamo trasmettere il Signore, e il Signore lo trasmettiamo se noi per primi lo abbiamo incontrato e lo viviamo. È dentro di noi. E allora trasmetterò cosa? Non me stesso ma trasmetterò la grazia di Dio. È quella che trasforma, è quella che evangelizza, è quella che tocca il cuore.

Ho sentito dire che il canto e la musica sono il mezzo più efficace che può essere 2. utilizzato per attirare i giovani.

È proprio così. È un’idea erronea ammettere i giovani in questo ministero se non hanno fatto ancora un cammino di formazione e di crescita soprattutto della conoscenza della bibbia, biblica e liturgica. In base a quello che ho detto penso che deve essere chiaro che noi non possiamo buttare il giovane, perché il giovane va nel ministero della musica e del canto. È un errore quello che facciamo. Perché altrimenti ci ritroveremo ad avere il canto come servizio e basta. Come esecuzione di un canto. Allora questo deve essere ben chiaro che quando un pastorale decide di chiedere ad un fratello o una sorella di partecipare a questo ministero deve essere ben cosciente del cammino spirituale di questa persona, altrimenti corriamo il rischio che il nostro canto sia vuoto. Cosa trasmettiamo?

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Quando nel gruppo arrivano persone che non hanno un cammino di fede ma sanno 3. suonareè opportuno, se è loro desiderio, ammetterli nel ministero?

Non esercitiamo una pastorale illuminata nei confronti del ragazzo, perché il neofita ha bisogno del suo tempo di discepolato. Se gli metti subito la chitarra in mano ovviamente gli togli un pezzo del cammino e molte volte questo crea difficoltà poi. Attenzione quindi sia dal punto di vista del ministero, che alla cura pastorale del ragazzo o non ragazzo che entra nel gruppo.

Se il cantore è bravo ma ha difficoltà nello scegliere il canto giusto cosa si deve 4. fare?

C’è l’unzione. È un carisma la scelta del canto. O c’è o non c’è. Uno sarà pure in grado di suonare o di cantare ma se non ha l’unzione di scegliere il canto Cosa significa scegliere il canto? Essere consapevoli di quello che in quel momento il Signore sta dicendo, cosa sta chiedendo, che momento si sta vivendo nel gruppo. Voglio sottolineare di ricordarci che questo è un ministero sottomesso al ministero dell’animazione della preghiera. È di supporto perché cerca di rafforzare ancora di più la preghiera. Diventa profetico nel momento in cui riesce ancora di più a render viva la preghiera, a toccare i cuori con la grazia della musica.

Il gruppo mi ha detto un carisma della musica e del canto ma non ho nessuna 5. formazione. Basta l’incontro di preghiera come formazione?

Io direi di no. Fa parte del cammino perché all’incontro di preghiera è fondamentale partecipare, però è necessario che ci sia una formazione complementare. Non soltanto nell’incontro settimanale del ministero, preghiera, lode e prove dei canti, ma nella formazione del gruppo. Questa formazione può essere anche a livello diocesano, regionale, ci sono le settimane estive. Non dimentichiamole queste cose: la formazione è basilare.

Il canto in lingue personale può ispirare brani che vengono scritti immediatamente 6. dopo?

Assolutamente si. Anzi posso dire che è un momento prevalentemente privilegiato. Vi posso dare anche testimonianza di canti, che poi di solito sono quelli più semplici, quelli più ripetitivi ma anche quelli più forti anche per il combattimento spirituale nati addirittura comunitariamente conseguenti ad un m omento di preghiera in lingue. Tanti ritornelli in minore o in stile modale sona nati proprio da momenti di preghiera contemplativi.

Ma che ruolo può avere chi non sa né cantare né comporre? Può solo essere 7. evangelizzato e non evangelizzante?

Tu puoi evangelizzare con la tua testimonianza, con il tuo dono di parola, con il dono di insegnamento, con quello che i fratelli ti riconoscono e che ti devono riconoscere come carisma personale. Ma, attento, se non hai gli strumenti di natura per svolgere il ministero del canto è inutile, mettiti l’anima in pace, non poi esercitarlo. Poi nulla toglie che il Signore faccia dei miracoli, come quando il fratello anziano, ignorante, analfabeta che ti dice una parola nell’assemblea e stende tutti gli animatori. Ma quelle sono grazie che il Signore dona. Però come criterio, mi spiace dirvelo. Vi faccio un esempio: immaginate se Salvatore quando va a fare una catechesi avesse tre parole nel suo patrimonio lessicale, alcune fossero in dialetto e sgrammaticate, sarebbe incoerente. Ma non può solo essere evangelizzato ma può evangelizzare in numerosissime altre forme, con numerosissimi altri carismi. Indaga! Indaga quello che il Signore ti chiama a fare invece di cercare quello che vuoi fare tu.

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Quali passi seguire una volta che si viene a verificare che pur non essendo esperti 8. ci si trova ad essere ispirati e si creano canzoni?

Molti dei nostri canti, forse alcuni dei più belli, non sono scritti da musicisti. Può sembrare incoerente con quello che ho detto un attimo fa. Non è vero. Perché il talento, l’intonazione, l’intuizione musicale, addirittura molte persone che non sanno nemmeno leggere il pentagramma, ma hanno un meraviglioso orecchio, un meraviglioso gusto, molte volte compongono dei canti con una semplicità, con una linearità che è molto più fruibile di tanti musicisti che vogliono fare delle cose elaborate, concettose, eccessive. Non vi nascondo che io stesso che nella vita faccio il musicista, sfrondo tantissimo quello che mi verrebbe da fare. Faccio sempre l’esempio di “Alza i tuoi occhi al cielo”: vi dico la verità per il mio gusto personale non è proprio una melodia che io avrei scelto, però deve essere fruibile per l’assemblea, per le persone più semplici e di conseguenza sfrondo molto quelli che potrebbero essere i miei desideri musicali. Quindi se tu hai questa ispirazione, se tu hai un canto che viene registralo, fai un mp3, allegalo ad una e-mail e mandalo alla gentile attenzione di Luciana Leone e di Mario Landi. Loro lo ascolteranno anche di notte.

Quando si scrive un canto come si fa a capire se è frutto del Signore e di ispirazione 9. divina oppure è solo frutti di ispirazione umana?

Io qui dico sempre: “Rilassatevi!”. Asciati trascinare da quel momento, che è un momento bello. Vi dico una cosa che non deve essere fraintesa. Anche se il momento di preghiera e di gioia ti fa venire voglia di esprimerti ed è una cosa umana, e non è destinato poi ad essere un canto ispirato per l’assemblea, per gli altri e quant’altro, ma che bello! Io metto a frutto le mie passioni, la mia gioia musicale per continuare a cantare al Signore, continuare a sperimentare. Quindi tu scrivi, tu vai avanti, poi saranno i fratelli a decidere se questo canto è unto o meno. Vorrei fare una precisazione: Mi rivolgo soprattutto ai pastorali di servizio. Dobbiamo renderci conto che se ci sono fratelli i quali sono chiamati a questo ministero, ai quali viene data una delega perché si vede in loro un dono di animazione per il ministero, devono farlo. Il pastorale poi deve permettere a questi fratelli cui ha delegato di accertare questo dono. Il pastorale non può sostituirsi al ministero musica e canto nella decisione del canto o del come deve essere eseguito trasformandolo in un jukebox, perché questo non va bene. È vero che il ministero della musica e del canto è sottomesso all’animazione della preghiera, però è anche vero che nella scelta dei canti, se c’è un ministero, se c’è un’unzione nello svolgere questo servizio, allora lasciateglielo svolgere. Sbaglierà, non importa! Lasciamo che sbagli! La prossima volta si accorgeranno e non commetteranno quell’errore. Noi non possiamo sostituirci a, se gli ho dato quella delega, quell’incarico, quell’incarico quella delega va rispettata, in tutte la maniere, anzi va coltivata, va alimentata, va aiutata.

È possibile usare nel gruppo uno o più canti scritti da un membro del gruppo anche 10. se non sono giunti al discernimento nazionale?

Certo che si. Anzi uno dei criteri di discernimento se il canto è opera del Signore è farlo prima al gruppo e vedere se porta alla preghiera. Quindi ben venga. Questi canti, anche se non sono giunti al discernimento nazionale fate in modo che ci giungano.

C’è una considerazione lunga su una sorella non vedente di un gruppo che improvvisa 11. melodie nuove belle ed ispirate che vengono trascritte

Se volete un criterio ben vengano queste manifestazioni, poi attraverso il discernimento chi deve discernere deciderà. Ma ben vengano queste manifestazioni perché il ministero della musica e del canto non è assolutamente limitato ai nostri canti, ma è qualcosa di grandissimo, di meraviglioso,

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ito multiforme, che può esprimersi in diecimila modi anche solo con una melodia, anche soltanto

con gli strumenti. E poi non sempre i canti sono destinati al futuro, può essere anche per quel momento e chiudere li. È servito in quel momento, è stato bello in quel momento, ha portato avanti la preghiera in quel momento e poi basta, ha esaurito il suo compito. Mi vengono in mente ad esempio certi canti non strutturati molto semplici, con due parole, un alleluia ripetuto, un Gesù ripetuto.

Prima le parole o prima la melodia?12.

Ognuno ha la sua maniera. Ma anche all’interno di ognuno ci sono tutti e due i modi. Tante volte il canto è nato prima come parole e poi come melodia, per esempio “Grazie”. Altre volte è nata prima la melodia, un esempio è “Roccia di fedeltà . A volte il canto è nato unitamente parole e melodia, è il caso di “Come tu mi vuoi”, è il caso di “Adoro te”, è il caso di altri. Quindi è come il Signore vi suggerisce.

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Da trent’anni ormai nelle nostre Chiese ha preso piede, accanto alle “scholae cantorum”, l’animazione dei gruppi giovanili. “Fare il punto” è fondamentale perché è la condizione necessaria per riuscire a fare passi in avanti, a migliorarsi. E in questi anni nei quali si sta parlando sempre più di ministeri, anche l’attività musicale/liturgica può e deve fare dei passi in avanti. È tempo di far diventare questa esperienza, questa prassi preziosa, e comunque bisognosa di correzioni e di miglioramenti, un servizio, un ministero.

Le riflessioni qui proposte vogliono essere una specie di sentieri tracciati, delle proposte di cammino per i cori giovanili affinché il loro servizio si qualifichi fino a diventare un autentico ministero nella Chiesa. Essendo il primo Convegno, c’è da augurarsi che a questa iniziativa ne seguano molte altre. Per questo, più che trattare in modo approfondito un singolo tema, si preferisce fare una panoramica, lanciare numerosi flashes, delle provocazioni, quasi a voler stuzzicare l’appetito in vista di successivi approfondimenti. Ecco allora la domanda di fondo: quando cantare e suonare è fare un servizio?

Il “quando” ci mette già in allarme: non basta suonare e cantare in chiesa per poter dire di fare un servizio. Anzi in certi casi (sia con i giovani che con le corali) può capitare il contrario.

Servizio a chi?1) a Dio anzitutto;2) all’Assemblea in secondo luogo;3) attraverso l’animazione di un rito (gesti, parole, azioni, canti secondo una struttura e un

significato precisi).

Servizio a Dio

Quale esperienza siamo invitati a vivere quando ci ritroviamo per celebrare? La liturgia è l’esperienza dell’incontro tra Dio e il suo popolo. Certamente ci sono anche altre esperienze di incontro con Dio (la preghiera personale, l’adorazione ecc.). Tuttavia quella della liturgia ha una importanza tutta particolare: il Signore vuole incontrarsi con noi insieme. La liturgia è l’esperienza del nostro incontro comunitario con Dio.

Se questo è il significato dell’esperienza liturgica, allora tutto ciò che in essa facciamo deve essere espressione della nostra fede: anche il nostro cantare e suonare. Ecco un primo grande salto da fare: dal cantare e suonare perché è bello, perché ci piacciono determinati canti, o perché così la Messa stanca meno, al cantare e suonare come modo di esprimere la nostra fede: la mia fede personale, la nostra fede di gruppo, ma soprattutto la nostra fede di comunità.

L’Eucaristia è l’esperienza più alta per esprimere la fede comune, il nostro essere Chiesa, la nostra appartenenza al popolo di Dio. Ricordiamo che Cristo non ci chiama mai a seguirlo da soli!

Per quanto riguarda la scelta dei canti, essi devono contenere verità di fede (soprattutto quegli aspetti che vengono celebrati in quel determinato giorno o in quella determinata celebrazione).

Che cosa esprimono i canti che noi spesso utilizziamo durante le celebrazioni? Sono la celebrazione di Dio e della nostra fede in lui, oppure sono la celebrazione di noi stessi, dei nostri gusti, delle nostre sensibilità?

Inoltre, se la liturgia è esperienza di incontro con Dio il canto liturgico non può accontentarsi di essere un canto che parla “di” Dio (è la catechesi l’esperienza in cui si parla di lui, lo si spiega, lo si conosce meglio). In liturgia si fa esperienza di “incontro con” Dio e quindi ha bisogno di canti che ci facciano parlare direttamente con Lui.

di don Pierangelo Ruaro, Ufficio liturgico diocesi di Vicenza.

CANTARE NELLA LITURGIA1.

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Quanti dei nostri canti propongono un dialogo diretto con Dio e in quanti invece, possiamo dire: «ci parliamo addosso»?

Da ultimo proprio per il carattere comunitario dell’incontro con Dio nella liturgia sono da preferire i canti “al plurale”, cioè quelli che esprimono e celebrano il nostro essere “Chiesa” davanti a Dio. Salvo eccezioni, i canti individuali trovano spazio meglio in altri momenti di preghiera di gruppo.

Servizio all’Assemblea

In liturgia sono tante le persone che fanno qualcosa: il prete che presiede, il lettore, il sacrestano, l’organista, il coro, chi prepara i fiori, ecc. Nessuno agisce a titolo privato. Tutti lavorano per l’Assemblea, per favorire, o rendere più intenso l’incontro dell’Assemblea con Dio. Tornando al canto, nella Messa non si canta (o si suona) per rendere più solenne il rito; il canto non è una decorazione; tantomeno è l’espressione dell’esibizione di un gruppo di persone; il cantare è il modo più forte di pregare dell’Assemblea. C’è uno slogan che gira nei nostri ambienti da alcuni anni: non si tratta di cantare durante le celebrazioni ma di celebrare cantando.

Il compito del coro è proprio di aiutare a celebrare, favorire il celebrare, cantando, di tutta l’Assemblea: lo può fare cantando insieme, sostenendo l’assemblea; oppure alternandosi (ritornelli all’Assemblea e strofe al coro); infine il coro può proporre all’ascolto e alla meditazione dell’Assemblea alcuni canti (comunque in tema con la celebrazione). Se voglio mettermi a servizio dell’Assemblea quando mi ritrovo a scegliere i canti di una celebrazione devo tenere in grande considerazione quali sono le capacità dell’Assemblea, le sue possibilità, le sue conoscenze. In concreto se un coro vuole animare la liturgia non può imporre i propri canti o i propri gusti. Ci saranno anche momenti in cui esso si esprimerà con il suo linguaggio più tipico, ma, soprattutto in alcuni momenti, dovrà misurare le sue scelte sulle capacità e possibilità dell’Assemblea.

Un canto troppo ritmico o eseguito troppo velocemente non potrà mai essere cantato dall’Assemblea.

Attraverso un rito

Il duplice servizio a Dio e all’Assemblea si esprime attraverso l’animazione di un rito. Da come vengono impostati certi programmi di canti per la Messa c’è l’impressione che per molti animatori la Messa sia una specie di scatolone in cui ci sono alcuni elementi fissi ma ci sia anche molto spazio vuoto rimanente, e quindi ognuno ci mette dentro quello che più gli piace. Succede, così, che le letture vanno in una direzione e i canti in un’altra. In realtà se è vero che nella vita cristiana ci sono espressioni di preghiera molto libera che permettono una grande creatività e la possibilità di scegliere i temi più diversi e i materiali più diversi, non capita così con la Messa.

La Messa è un rito dalla struttura ben definita, con una successione di elementi diversi, ognuno con un significato preciso. In questa successione di elementi il canto si colloca secondo gradi diversi di importanza.

Siccome anche in liturgia è fondamentale fare tutto “in verità” (la liturgia non è una finzione), i primi e più importanti canti sono quelli che appartengono alla struttura del rito e nascono come canti: l’alleluia, il santo, il gloria (nelle festività), le altre acclamazioni come il “mistero della fede”, il “tuo è il Regno” andrebbero per loro natura cantati. Così pure il salmo tra le letture, proprio per la sua natura poetica esigerebbe un trattamento diverso dalla semplice lettura. Il primo tipo di canti adatti alla liturgia non va cercato fuori, ma all’interno stesso del rito.

Purtroppo invece normalmente i nostri repertori sono formati quasi esclusivamente da canzoni dai più diversi contenuti (tra l’altro spesso molto generici, o addirittura dottrinalmente

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incriminabili), e solo in minima parte da proposte per cantare le diverse parti del rito. A parte qualche alleluia e santo normalmente non abbiamo altro.

Un secondo blocco di canti liturgici ha come obiettivo quello di commentare una parola risuonata nell’Assemblea (es. canto legato alle letture bibliche) o la particolare giornata o il santo del giorno, oppure accompagna un’azione (es. il canto d’inizio e il canto di comunione che accompagnano una processione). Anche questo secondo blocco quindi ha un legame diverso ma ugualmente stretto con quanto si dice e si fa nella celebrazione. Quindi non ogni canto è adatto e svolge un buon servizio alla liturgia.

Le osservazioni appena fatte girano praticamente tutte attorno alla necessità di vigilare sui testi che cantano il rito in qualche sua parte o ne rimangono comunque aderenti in quanto ne commentano il suo svolgimento. Si può dire però qualcosa anche riguardo alla struttura musicale dei canti.

Coerenza fra testo e musica

Parafrasando un famoso passo biblico, nelle nostre messe “c’è un tempo per lodare, un altro per chiedere perdono; un tempo per invocare e un altro per intercedere ... “. Ci sono sentimenti molto diversi da esprimere e la musica deve tenerne conto! Non si può cantare un testo penitenziale con una melodia festosa; così pure non si può cantare la lode con una musica in tono minore ...

Coerenza tra canto e rito (la durata)

Dato che in liturgia la musica è sempre a servizio del rito, anche la sua lunghezza deve essere calcolata. Non posso eseguire all’offertorio un canto di quattro minuti se l’offertorio stesso ne dura uno. Così come non ha senso cantare sempre tutte le strofe di un canto: è più opportuno, in fase di programmazione scegliere le strofe più adatte e far durare il canto fino alla conclusione del momento rituale. Il canto liturgico assomiglia, per certi versi, alla musica da film la quale da una parte è coerente con il tipo di azione che commenta (drammatica per una scena drammatica, serena per una scena tranquilla ... ), dall’altra dura esattamente il tempo occupato dalla scena. Un canto pensato per la liturgia dovrebbe avere tra le sue caratteristiche anche quella della “elasticità”, cioè della possibilità di essere adattato alle esigenze del rito concreto che si sta celebrando.

Di solito la reazione dei giovani di fronte a tutta questa caratterizzazione dei canti liturgici è di sorpresa: «non ce l’aveva mai detto nessuno!» è una delle risposte più frequenti. Infatti l’ingresso nelle chiese dei cori giovanili, o dei piccoli complessini (per gli anni ‘70 è il termine più giusto) è stato spontaneo senza preparazioni o competenze particolari, sia dal punto di vista musicale che liturgico: c’era solo tanto entusiasmo. Ma a distanza di qualche decennio si impone ora la disponibilità a fare qualche passo in avanti.

Quali prospettive? Investire in formazione

Se si vuole che quello del canto diventi un autentico servizio a Dio e alla comunità è necessario

inaugurare spazi adeguati di formazione. Si sono moltiplicati in questi anni, e giustamente, nella pastorale giovanile, cammini di riscoperta biblica, scuole della Parola; si sono studiate le tecniche di animazione. Bisogna avere il coraggio di affrontare anche a livello giovanile il tema della formazione liturgica. Se è vero che la liturgia non è tanto un affare che riguarda i preti, ma è l’esperienza “culmine della vita cristiana” (SC. 10) bisogna avere il coraggio di spendere più energie in questo settore. A cominciare dai cori giovanili che devono trovare, accanto ai tempi tecnici per imparare i canti, anche il tempo per riflettere sul senso di quello che fanno. Nella

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diocesi di Vicenza da qualche anno l’Ufficio per la liturgia sta proponendo una serie di incontri per i cori giovanili nei quali si spiegano loro le parti della Messa con il relativo significato e il ruolo diverso che i canti assumono a seconda di dove vengono collocati all’interno del rito. Il risultato di questo lavoro è un sussidio che è stato pubblicato dalle EDB ed è ora a disposizione di tutti: il suo titolo è “celebrare e cantare la messa”. Prendendo come riferimento la realtà di Vicenza una particolare raccomandazione va fatta anche (o soprattutto) ai movimenti e alle associazioni che vedono ruotare attorno molti giovani e grazie alla loro solida struttura organizzativa possono orientare (positivamente o negativamente) lo stile di lavoro e le scelte musicali dei giovani stessi. È necessario essere molto vigilanti sui materiali che vengono messi in circolazione (quasi sempre sono canti di gruppo, o canti sull’amicizia o sulla natura; comunque in gran parte canti dal contenuto generico): dobbiamo tener presente che quasi tutta la musica dei giovani scritta dai giovani, è nata come musica di gruppo, spesso di un gruppo ristretto; essa farà difficoltà, quindi, a diventare espressione di un’intera assemblea. La musica di gruppo funziona per il gruppo: raramente riesce a diventare espressione di un’assemblea. La liturgia, invece, e la Messa hanno bisogno per ogni loro espressione, di materiali in cui tutti si possano riconoscere, dal bambino, passando per il giovane e l’adulto, fino ad arrivare all’anziano.

Oltre il “gruppo” ... la “Chiesa”

Qui non è in gioco un tipo di repertorio, giovanile o non giovanile; è in gioco qualcosa di assai più grande, un aspetto fondamentale della spiritualità cristiana: la dimensione ecclesiale della fede. Quando un gruppo partecipa alla celebrazione domenicale compie fondamentalmente un gesto di apertura: deve ricordare a se stesso che il gruppo non è tutto; che il gruppo appartiene ad una famiglia più grande. Partecipare all’Eucaristia è riconoscere di far parte di questa famiglia più grande che è la Chiesa. E un modo di esprimere questa appartenenza è anche quello di mettere da parte i propri gusti, i propri linguaggi, per cominciare a parlare, in segno di comunione, i linguaggi degli altri.

Scuole diocesane di formazione liturgico-musicale

Per chi cerca luoghi di formazione liturgica ci sono anche altre possibilità cui approfittare. Ormai in molte Diocesi, anche a Milano, esistono Istituti di formazione liturgico-musicale, dove c’è la possibilità sia di approfondire le proprie conoscenze liturgiche sia di migliorare la tecnica musicale (sia per chi canta o dirige che per chi suona uno strumento).

Campi-Scuola estivi

Infine c’è la possibilità di partecipare ad un Campo-Scuola estivo della durata di una settimana dove tutti questi temi vengono affrontati e discussi insieme, almeno nei loro aspetti fondamentali, e dove si può fare una solida esperienza di educazione vocale e strumentale.

Per un servizio autentico

Quando il nostro cantare e suonare diventano un servizio?

1) Quando in tutto quello che si fa non si cerca tanto la propria personale soddisfazione, quanto il bene e la crescita dell’Assemblea.

2) Quando ci si ricorda che prima di essere cantori o strumentisti siamo dei cristiani convocati dal Signore per ascoltare la sua Parola, per rispondere e pregare insieme con gli altri. Quando si conclude un canto, quindi, non si deve considerare concluso il compito del coro, per cui finché si proclama il Vangelo o viene fatta l’omelia, si sfoglia

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il libretto dei canti o si parla con l’amico o l’amica. Quando termina il canto il nostro compito di cristiani continua.

La preziosità del nostro servizio passa certamente attraverso l’esecuzione precisa dei canti ma prima ancora passa attraverso la nostra testimonianza di cristiani che celebrano nella lode.

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CANTARE IL TEMPO ORIDINARIO2.

Il Tempo Ordinario è quel periodo dell’anno liturgico che copre la parte dell’anno in cui non ci sono tempi forti: inizia dopo la Domenica del Battesimo del Signore fino all’inizio della Quaresima (che inizia con il mercoledì delle Ceneri )e riprende dopo la Solennità di Pentecoste per arrivare al Tempo di Avvento.

Fra le diverse domeniche si pongono alcune grandi festività:

la solennità della SS. Trinità nella prima domenica dopo Pentecoste, la solennità del SS. Corpo e Sangue di Cristo nella seconda domenica dopo Pentecoste,la solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù,

a cui si aggiungono le grandi feste dei santi: san Giovanni Battista, santi Pietro e Paolo, san Michele e, soprattutto, Santa Maria nelle sue grandi solennità.

Questo tempo liturgico sfocia nella celebrazione della Chiesa trionfante nella festività di Tutti i Santi, della Chiesa militante nella festa della Dedicazione, si prega per la Chiesa sofferente (i morti al purgatorio) e infine si celebra quindi Cristo Re.

Il tempo Ordinario è un periodo di attesa e speranza, è il tempo in cui si scopre la bellezza del quotidiano e quindi ogni giorno è vissuto come tempo di salvezza.

Vivere e celebrare il mistero di Cristo nell’ordinario significa accettare di vivere da discepoli nella fedeltà di ogni giorno, ascoltare e incontrare il Maestro nel quotidiano e riconoscere che Dio ci salva nella concretezza di ogni nostro giorno.

È il tempo proprizio per riscoprire e valorizzare la Domenica, festa primordiale del Cristiano, anche se bisogna sottolineare che le Domeniche non sono tutte uguali in quanto ognuna di esse ha un tema dominante che mette in risalto qualche aspetto del mistero cristiano e quindi è necessario curare ogni celebrazione domenicale.

Bisogna sempre avere la convinzione che ogni celebrazione, anche la più semplice, deve essere vissuta con fede e convinzione.

Ci sono numerosi rischi che si possono correre nello scorrere del tempo Ordinario e cioè: l’abitudine e la monotonia causate spesso dalla convinzione che le celebrazioni più forti debbano essere più curate, mentre quelle dell’ordinario possono essere un pò più trascurate.

Occorre sempre scoprire e mettere a fuoco il tema prevalente che si celebra in una particolare Domenica, scegliere poi con attenzione i canti preferendo non quelli che “ci piacciono” ma quelli inerenti alla tematica emergente.

Bisogna poi proporre non solo una bella celebrazione ma una “celebrazione partecipata” in cui l’assemblea sia coinvolta e possa pregare cantando.

Bisogna avere molta cura nella scelta del repertorio, non proporre sempre canti nuovi ma valorizzare canti più conosciuti in modo che l’assemblea possa essere sempre partecipe e non assistere a un’esibizione di qualche animatore o corista.

Gran parte del Tempo Ordinario ricopre il periodo estivo e quindi si deve mettere in conto che le Parrocchie si popolano di gente che non appartiene alla propria comunità per cui si dovrebbero riprendere e proporre proprio quei canti un pò più comuni a tutte le Comunità in modo che tutta l’assemblea possa insieme dar lode al Signore.

Nella mia Parrocchia abbiamo preparato un nuovo raccoglitore dei canti in cui abbiamo catalogato per ogni Tempo Liturgico tutti i canti e questa formula ci offre la possibilità di inserire durante l’arco dell’anno i nuovi canti che si inseriscono nel repertorio. Nella scelta ho pensato di inserire tutti i canti un pò più popolari proprio pensando alle celebrazioni più semplici ed estive e quelli più nuovi che solitamente si utilizzano per le celebrazioni con i bambini e i giovani.

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In questo modo c’è una vasta gamma di scelta e quindi c’è molta possibilità di variare e attenersi alla Liturgia.

In tutta la preparazione di qualsiasi liturgia si deve tener presente sempre che il canto deve solo aiutare l’assemblea, i fedeli e noi stessi che facciamo animazione liturgica, a pregare meglio; il canto deve aiutare a creare meglio l’atmosfera di mistero che caratterizza ogni celebrazione e deve aiutare a predisporre meglio il nostro cuore all’incontro con il Signore.

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ito PREPARARE LA QUARESIMA3.

Per prepare le liturgie della quaresima vi consiglio di leggere la lettera circolare “Paschalis sollemnitatis” della Congregazione per il Culto Divino sulla preparazione e celebrazione delle feste pasquali, in quanto eccellente guida per comprendere e vivere ancora più pienamente i tempi di Quaresima e Pasqua.

Inoltre si suggerisce di leggere l’ordinamento generale del Messale romano, che aiuta ad orientarsi nella liturgia e a scegliere i canti adeguati e le monizioni.

Per il resto si ricordi che i temi della Quaresima sono:

Il tema pasquale. Poiché la Quaresima è preparazione alle celebrazioni pasquali, il tema Fmorte-vita assumono un’importanza primaria. Comincia fin dalla seconda domenica (la Trasfigurazione) e si fa più esplicito nelle ultime due settimane. Il tema battesimale. La Quaresima nella sua struttura fondamentale si formò attorno al Fsacramento del Battesimo amministrato agli adulti durante la veglia pasquale. I cristiani prendono maggior coscienza del proprio battesimo. Il tema penitenziale. Viene sviluppato soprattutto all’inizio della Quaresima (mercoledì Fdelle ceneri e il vangelo delle tentazioni di Gesù della prima domenica). Nella Quaresima la Chiesa, sposa del Cristo che soffre e muore, vive più intensamente l’aspetto penitenziale.

Sobrietà al massimo: la liturgia parla da sola e non ha bisogno di ulteriori aiuti, questa la regola generale da tenere sempre presente. Rivolgiti al tuo parroco per eventuali aiuti: è lui il celebrante e liturgo. Se invece cercavi qualcosa di pronto, dai un`occhiata sul sito Qumran, troverai sicuramente qualcosa che fa al caso tuo.

Tempo di Quaresima

L’itinerario quaresimale di quaranta giorni che ci condurrà al Triduo pasquale, memoria della passione, morte e risurrezione del Signore, è il cuore del mistero della nostra salvezza. Questo è un tempo favorevole in cui la Chiesa invita i cristiani a prendere più viva consapevolezza dell’opera redentrice di Cristo e a vivere con più profondità il proprio Battesimo. In effetti, in questo periodo liturgico il Popolo di Dio fin dai primi tempi si nutre con abbondanza della Parola di Dio per rafforzarsi nella fede, ripercorrendo l’intera storia della creazione e della redenzione. Nella sua durata di quaranta giorni, la Quaresima possiede un’indubbia forza evocativa. Essa intende infatti richiamare alcuni tra gli eventi che hanno scandito la vita e la storia dell’Antico Israele, riproponendone anche a noi il valore paradigmatico: pensiamo, ad esempio, ai quaranta giorni del diluvio universale, che sfociarono nel patto di alleanza sancito da Dio con Noè, e così con l’umanità, e ai quaranta giorni di permanenza di Mosè sul Monte Sinai, cui fece seguito il dono delle tavole della Legge. Il periodo quaresimale vuole invitarci soprattutto a rivivere con Gesù i quaranta giorni da Lui trascorsi nel deserto, pregando e digiunando, prima di intraprendere la sua missione pubblica. Anche noi intraprendiamo un cammino di riflessione e di preghiera con tutti i cristiani del mondo per dirigerci spiritualmente verso il Calvario, meditando i misteri centrali della fede. Ci prepareremo così a sperimentare, dopo il mistero della Croce, la gioia della Pasqua di risurrezione.

Si compie all’inizio della Quaresima, un gesto austero e simbolico: l’imposizione delle ceneri, e questo rito viene accompagnato da due pregnanti formule, che costituiscono un pressante 20

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oappello a riconoscersi peccatori e a ritornare a Dio. La prima formula dice: “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai” (cfr Gn 3,19). Queste parole, tratte dal libro della Genesi, evocano la condizione umana posta sotto il segno della caducità e del limite, e intendono spingerci a riporre ogni speranza soltanto in Dio. La seconda formula si rifà alle parole pronunciate da Gesù all’inizio del suo ministero itinerante: “Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15). È un invito a porre come fondamento del rinnovamento personale e comunitario l’adesione ferma e fiduciosa al Vangelo. La vita del cristiano è vita di fede, fondata sulla Parola di Dio e da essa nutrita. Nelle prove della vita e in ogni tentazione il segreto della vittoria sta nel dare ascolto alla Parola di verità e nel rifiutare con decisione la menzogna e il male. Questo è il vero e centrale programma del tempo della Quaresima: ascoltare la parola di verità, vivere, parlare e fare la verità, rifiutare la menzogna che avvelena l’umanità ed è la porta di tutti i mali. Urge pertanto riascoltare, in questi quaranta giorni, il Vangelo, la parola del Signore, parola di verità, perché in ogni cristiano, in ognuno di noi, si rafforzi la coscienza della verità a lui donata, a noi donata, perché la viva e se ne faccia testimone. La Quaresima a questo ci stimola, a lasciar penetrare la nostra vita dalla Parola di Dio e a conoscere così la verità fondamentale: chi siamo, da dove veniamo, dove dobbiamo andare, qual è la strada da prendere nella vita. E così il periodo della Quaresima ci offre un percorso ascetico e liturgico che, mentre ci aiuta ad aprire gli occhi sulla nostra debolezza, ci fa aprire il cuore all’amore misericordioso di Cristo.

Siano giorni di riflessione e di intensa preghiera, in cui ci lasciamo guidare dalla Parola di Dio, che abbondantemente la liturgia ci propone. La Quaresima sia, inoltre, un tempo di digiuno, di penitenza e di vigilanza su noi stessi, persuasi che la lotta al peccato non termina mai, poiché la tentazione è realtà d’ogni giorno e la fragilità e l’illusione sono esperienze di tutti. La Quaresima sia, infine, attraverso l’elemosina, il fare del bene agli altri, occasione di sincera condivisione dei doni ricevuti con i fratelli e di attenzione ai bisogni dei più poveri e abbandonati.

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ito IL CANTO GREGORIANO NON È UN CANTO: APPUNTI PER UN 4.

PARADOSSO

di Massimo Lattanzi

Il canto gregoriano non è gregoriano: che l’attribuzione delle melodie a Gregorio Magno sia storicamente infondata è un dato da tempo accertato ed universalmente riconosciuto. Non altrettanto evidente è che il canto gregoriano non è nemmeno, principalmente e per sua natura, canto. Il paradosso va inteso nel senso che poco o nulla a che fare ha il gregoriano con il fenomeno musicale quale oggi noi lo intendiamo. L’esigenza profonda che determina la sua creazione è innanzitutto la proclamazione solenne, durante l’azione liturgica, del testo sacro. Si tratta di una proclamazione solenne, appunto, densa di sottolineature, frutto della meditazione del testo stesso attraverso la sua incessanteruminatio e nella venerazione di ogni parola: verbum Domini.

Dunque, tra le arti, si ricorrerà all’oratoria e, prima ancora, alla retorica, non tanto alla musica, per individuare con certezza l’essenza del gregoriano. Se di canto, poi, si vuole comunque parlare, è bene avere presenti i riferimenti classici – sottolineati già da Paolo Ferretti nella sua Estetica gregoriana1 – a quel canto obscurior che Cicerone osservava nel gioco degli accenti grammaticali, o all’imago del canto musicale vero e proprio individuata da Varrone nella pronuntiatio del testo; o ancora ricordare l’affermazione di Dionigi di Alicarnasso secondo cui gli oratori potevano coprire, parlando, addirittura l’intervallo di quinta nei momenti di maggior calore. In sintesi, canto come amplificazione sonora di un testo, non semplicemente “detto”, ma “proclamato”.

Non a caso, fin dalla prima restaurazione gregoriana, la terminologia per la classificazione e l’analisi delle strutture del canto gregoriano – le formule – venne ripresa dalla filologia: si riconosceva, così, che le modificazioni subite dalle parole presentano analogie sostanziali con le modifiche cui è soggetta la formula gregoriana. Le categorie e gli strumenti di analisi del testo, in genere, danno ragione del canto gregoriano e di ciò che ne determina l’essenza più di qualsiasi analisi musicale.

In questa luce vogliamo considerare una cosiddetta formula di intonazione: essa può adattarsi a testi differenti perché non costituisce la veste musicale di un determinato testo, essendo piuttosto la prima significativa elevazione della voce nella proclamazione solenne di un testo2.

Prendiamo allora, come esempio, la nota formula iniziale di un timbro delle antifone di primo modo. Decine di antifone iniziano con questa formula*

Si tratta evidentemente della medesima formula che, come è noto, può assumere la forma spondaica o la forma dattilica: quando l’ultima parola della formula è un parossitono (es. 22

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ola: méus), l’accento porta il pes quadrato fa-la, se invece è un proparossitono (es. 1b: Dómino) l’accento è sul fa, mentre la sillaba post tonica porta il pes sol-la. A parte queste considerazioni, già tuttavia legate alla parola, bisogna considerare un fatto: in determinate antifone la comparsa della melodia che caratterizza questa formula, viene ritardata ovvero non coincide con l’inizio dell’antifona, ma compare dopo l’incipit:

Era possibile un’intonazione di questo tipo, ipotetica, conformemente al modello riportato nel’es.1:

L’intonazione del tipo appena ipotizzato sarebbe stata la più ovvia se il compositore avesse avuto presente un principio musicale generico, cioè se l’inizio dell’antifona avesse dovuto coincidere comunque con la costruzione di un arco melodico. La scelta del compositore gregoriano qui è diversa: quella che si definisce formula di intonazione viene fatta precedere da un breve recitativo su re e compare soltanto sulla parola desideratus. Se un puro criterio musicale avesse guidato il compositore, lo ripetiamo, nulla vietava di iniziare nel modo ipotizzato all’es. 3. Ma la vera natura di quella formula non è di intonazione musicale: si tratta invece, come si diceva, di quello che nella proclamazione del testo costituirebbe la prima elevazione significativa della voce, un’elevazione che non può avvenire se non su un termine che la richieda e la giustifichi quale, in questo caso, desideratus. Come avverrebbe nella proclamazioneparlata del testo, anche la proclamazione cantata inizia a voce sommessa, si eleva, appunto, sulla parola desideratusper tendersi sull’aggettivo cunctis e deporsi infine su gentibus: “Ecco verrà colui che è desiderato da tutte le genti”. Bisogna aggiungere che l’inizio dell’antifona nel modo ipotizzato all’es. 3 avrebbe potuto essere giustificato qualora si fosse voluto mettere in evidenza il termine veniet (ad esempio come accade nel testo di un communio dell’Avvento: “Ecce Dominus veniet”, GT 26,5); tuttavia in questa antifona dell’Avvento la composizione vuole sottolineare più che la venuta in sé – veniet – l’universalità dell’attesa del Redentore: desideratus cunctis gentibus. L’adozione di tecniche oratorie in canto dà modo al compositore di porre in luce di un medesimo testo ora un aspetto ora l’altro: la ripetizione di un testo o di testi analoghi in diversi canti consente così la vera ruminatio, parola per parola, del testo stesso. 23

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ito Un altro esempio di quanto abbiamo appena osservato è in questa antifona:

Il testo, sostanzialmente evangelico, si presenta assai articolato: certamente assume un’intensità particolare per la spiritualità monastica, se è vero che l’ideale del deserto e la pratica del digiuno rappresentano uno dei tratti più tipici del monachesimo e segnatamente del monachesimo medievale. I monaci sono radicali seguaci di Gesù che “lo Spirito sospinse nel deserto” dove fu “tentato da Satana” (Mc 1,12-13)3.

Anche in questo caso l’antifona non inizia nel modo consueto (ess. 1a, 1b). Come nell’esempio 2, l’avvio è un recitativo che per il canto è l’equivalente, in questo caso, di una pronuncia sommessa, ma densa di tensione; questa tensione è verso l’espressione “a Spiritu” cui la recitazione si indirizza, interrotta solo da una breve esitazione per sottolineare il termine “desertum”. Il melisma su “Spiritu” è, per dimensioni e peso melodico, insolito in un’antifona sillabica e vale ad enfatizzare l’azione dello Spirito nella chiamata di Cristo e nella vocazione dei suoi seguaci nel deserto. Dopo questa preparazione anomala, ma ben giustificata, come si è visto, dall’adeguata pronuntiatio del testo, la voce si innalza in modo simile alla nota formula di intonazione (ut tentaretur). Ma è solo in corrispondenza dell’azione del digiuno (et cum ieiunasset) che si ha la formula stessa e con essa la prima vera elevazione del tono oratorio. Questa volta il gesto retorico che abbiamo voluto individuare in quella cosiddetta formula di intonazione è il mezzo che il compositore usa per dare il massimo rilievo al digiuno di Cristo. È una vera esortazione al digiuno che viene attuata con questa sottolineatura, il cui motivo si comprende, ancora una volta, soprattutto considerando il tempo liturgico proprio di questa antifona. Si tratta di una antifona della prima domenica di Quaresima e il digiuno fu sempre considerato come la pratica caratteristica del tempo quaresimale tanto che tutte le formule liturgiche proprie di questo tempo ne fanno menzione per encomiarlo e raccomandarlo (Righetti)4. Ecco il motivo per cui solo a questo punto il compositore vuole che il testo riceva, nel canto, l’enfasi riservata solitamente all’inizio dell’antifona.24

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oUn ultimo esempio concluderà la breve indagine all’interno di questo timbro modale, cercando di mostrare ancora che se il più delle volte l’antifona inizia con una determinata formula, non è per un principio musicale astratto, ossia perché la composizione musicale deve iniziare con quell’incipit; è invece perché nella mag gioranza dei casi, il testo dell’antifona richiede subito quell’elevazione oratoria, come l’abbiamo definita, che pertanto ricorre all’inizio delle antifone stesse. Tuttavia, proprio perché non si tratta di un incipit musicale obbligato, ma della prima sottolineatura del testo, ossia della conduzione al primo accento logico, il compositore non vi assoggetta indiscriminatamente qualsiasi testo, cioè non fa ricorso a quel modulo se il testo iniziale dell’antifona non richiede quella sottolineatura.

Anche qui, dunque, l’inizio è insolito: solo conoscendo il valore della consueta formula iniziale si può valutare adeguatamente il modo in cui è stato composto il vocativo “Deus, Deus meus”.

Non è possibile, qui, in rapporto al testo, un inizio del tipo:

Ne sarebbe derivato un tono fortemente accentuativo, proprio appunto dell’elevazione oratoria che ormai è nota, un tono cioè che esula da questa fiduciosa invocazione a Dio, posta quasi separatamente da tutto quanto segue: il doppio episema che Hartker pone su meus chiude questo vocativo e lo isola dal testo seguente. La discesa melodica fa-mi-re (Deus meus) potrebbe costituire una chiusa completa e di fatto costituisce la finale dell’antifona e, in genere, di questo timbro antifonico.

A questo punto, in corrispondenza di ad te de sembra prendere avvio la nota formula, ma, in modo del tutto inatteso, la formula sfocia – su luce - in un innalzamento melodico insolito (cfr H. 138, 11; 142,9). Anche i neumi confermano che a questo punto avviene qualcosa di irregolare: il pes quadrato porta altius in corrispondenza della prima nota ad avvertire che non si tratta della 25

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consueta formula in cui il pes quadrato in Hartker porta spesso altius (o sursum) sulla seconda nota per indicare l’intervallo di terza fa-la. Dunque:

Il rilievo che deriva all’espressione “ad te de luce” (“per te fin dall’aurora”) da questo innalzamento melodico della consueta formula è evidente. La melodia degrada poi in un ampio melisma che articola la parola vigilo e con essa tutta la frase principale; anche questo melisma, tuttavia, non è “musica”, ma distensione dell’apice oratorio appena toccato e simbolo sonoro di intensa meditazione: Dio, Dio mio fin dall’aurora per te veglio.

Due coppie di esempi, tratte dai canti della Messa, mostreranno la stessa tecnica che abbiamo riconosciuto nell’uso della formula antifonale esaminata fin qui:

Questi due esempi provengono dalla stessa Messa della prima domenica di Avvento: si tratta rispettivamente dell’introito e del graduale. La formula con cui attacca l’introito Ad te levavi è la stessa che troviamo nel graduale suqui te expectant (la melodia è stata corretta). Il motivo è chiaro: il compositore mira, nel graduale, a dare due differenti sottolineature, l’una al soggetto della frase principale (Universi), l’altra al verbo della frase relativa(expectant). La parola Universi porta il peso di un melisma che solo un canto di meditazione quale è il graduale può presentare: è qui pienamente sottolineata, si direbbe, la cattolicità dell’Avvento. La formula di intonazione che si è appena udita nell’introito, serve invece a riprendere con scioltezza la proclamazione del testo conducendo la voce al primo accento logico, expectant, dopo la vera pausa di meditazione creata sulla parola Universi.

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La seconda coppia di esempi è tratta da due brani che si susseguono nella liturgia del Tempo di Natale: l’introito della Messa del giorno di Natale e il communio della Messa di santo Stefano. La nota formula di intonazione, assai ricorrente nel repertorio, specie nel Tetrardus, viene usata nel communio, ancora una volta, soltanto alquanto dopol’incipit vero e proprio per sottolineare, qui, l’accento che deve ricevere il maggior rilievo all’interno del testo del communio stesso; sono le parole di Stefano che, mentre subisce il martirio, invoca con le stesse parole di Cristo sulla croce il perdono del peccato dei suoi carnefici (Accipe spiritum meum et ne statuas illis hoc peccatum quia nesciunt quid faciunt, At 7, 60; cfr Lc 23, 34). L’invocazione può dunque ben essere espressa attraverso quella formula più spesso riservata al grande accento iniziale. Ma non è un caso – pur trattandosi, come si è detto, di una formula ricorrente nel repertorio – che Puer natus e Domine Iesu ricevano una formula pressoché identica. Nell’universo simbolico dei richiami formulari gregoriani il compositore pare sfruttare la vicinanza liturgica delle due feste per far risuonare, nelle parole di Stefano, l’invocazione al Puer natus. Con l’attenzione meticolosa del miniaturista medievale il compositore colora allo stesso modo le due espressioni in modo che anche per noi, che non possediamo più quei canti grazie alla sola memoria, come fu per i cantori dell’epoca, è impossibile cantando il communio di santo Stefano non sentire un’eco, a questo punto, della Messa di Natale celebrata il giorno precedente.

Se fino ad ora abbiamo considerato un aspetto strutturale, lasciando volutamente in ombra le grafie neumatiche, un’altra nota formula darà modo di proseguire la riflessione con riferimento diretto ai neumi stessi.

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Si tratta di un contesto tipico per passaggi sillabici fluidi, scorrevoli: lo stesso tipo formulare può trovarsi distribuito su tre sillabe (es. 10a, clivis seguita da due neumi monosonici) o su quattro sillabe (es. 10b,quattro neumi monosonici). Il senso di questa scorrevolezza è dare rilevo ad un accento, anche logico, conducendo rapidamente la voce a sottolineare l’accento stesso. Un esempio per tutti:

I sangallesi non sempre aggiungono celeriter; Laon costantemente usa il punctum per le due sillabe che seguono la clivis e che precedono immediatamente l’accento. È lecito chiedersi, nel caso che un manoscritto sangallese del valore del Cantatorium o di Einsiedeln tralasci il celeriter, se l’assenza sia intenzionale, così come all’opposto si potrebbe dubitare che Laon con l’uso costante dei punti incorra in una sistematizzazione5; ma osserviamo questo caso:

Perché due uncini in corrispondenza di “misericordiam”? Il tipo formulare, si direbbe, è chiaro: non si tratta forse del consueto passaggio sillabico scorrevole? Ma anche Einsiedeln tralascia il celeriter.

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Questo esempio suggerisce ancora una spiegazione che non ha nulla a che fare con la melodia dello schema formulare: il rivestimento sonoro del testo, anche se tratto dal tesoro formulare, rifugge da ogni schema per modellarsi solo sulle esigenze del testo stesso quali vengono rivelate dalle più antiche testimonianze manoscritte. La prima esigenza è di materiale comprensibilità: una parola composta come misericordia (se ne ricordi anche la pseudo etimologia da misere cor) richiede una accurata pronuncia delle sillabe atone poste fra l’accento secondario e l’accento principale. Un’altra esigenza più profonda viene, però, sottolineata attraverso il rilievo conferito a questa parola. L’introito da cui è tratto l’esempio è proprio della festa della Presentazione di Gesù al Tempio, antichissima commemorazione liturgica dell’episodio evangelico secondo il quale, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, Maria si presentò al Tempio al venerabile vegliardo Simeone che riconobbe nel bambino il Messia (Lc 2,22-35). La scelta del versetto del salmo 47: “Abbiamo ricevuto o Dio la tua misericordia in mezzo al tuo Tempio”, come testo dell’introito, per aprire dunque questa celebrazione, ha riferimento diretto all’episodio che la liturgia commemora. I Padri ci rendono sicuri di questa affermazione quando commentano esplicitamente: “La misericordia è il Cristo”6. La bella immagine che si trova a questo punto in molti manoscritti, ad esempio del manoscritto Angelica 123:

non è una rappresentazione devozionale generica di questa festa, un”’immaginetta”, ma è la

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ito traduzione visiva, figurativa, della comprensione cristologica che si aveva di questo versetto,

comprensione che ne determinò questo uso liturgico. Solo così si capisce perché nella festa in cui si commemora Simeone che riceve nel Tempio Gesù, l’introito canti con il salmo 47: “Abbiamo ricevuto, o Dio, la tua misericordia in mezzo al tuo Tempio”. Anche il compositore gregoriano aveva questa idea, in linea con la meditazione patristica: tutta la composizione di questa frase vuole sottolineare l’espressione misericordiam tuam. Dal punto di vita della neumatica anche il torculus di articolazione verbale sul vocativo Deus è assai eloquente, nella sua funzione riconosciuta7 di creare l’apertura espressiva per il termine seguente. Il contesto liturgico è in questo caso davvero illuminante e rivelatore degli echi che il testo sacro possedeva per chi ha posto mano a queste composizioni e per chi le ha notate con tali finezze preziose.

E in altri due casi ancora la parola misericordia riceve le stesse attenzioni:

Il contesto formulare è il medesimo. In Laon osserviamo nuovamente il rifiuto di una connessione meccanica tra la melodia e il ritmo, da una parte, e il testo dall’altra: su “misericordia” sono scritti due uncini, non due punti. Sono due versetti dell’alleluia del Tempo Pasquale: il primo, anzi, è proprio il versetto dell’alleluia della Veglia Pasquale, la ripresa di questo canto dopo il Tempo di Quaresima. Il testo è il medesimo in entrambi i casi, ossia l’inizio del salmo 117, salmo pasquale per eccellenza; nei suoi primi quattro versetti la parola “misericordia” risuona quattro volte, come un ritornello:

“Confitemini Domino, quoniam bonus, quoniam in saeculum misericordia eius.

Dicat nunc Israel quoniam bonus, quoniam in saeculum misericordia eius.

Dicat nunc domus Aaron, quoniam in saeculum misericordia eius.

Dicant nunc qui timent Dominum, quoniam in saeculum misericordia eius”.

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oLa composizione della frase intera mostra anche qui, in entrambi i casi, l’intento chiaro di conferire alla parola “misericordia” un ruolo centrale attraverso il ben noto mezzo, proprio della tecnica compositiva gregoriana, di articolare il fraseggio sulla parola immediatamente precedente il termine-chiave. Come già nell’introito Suscepimus, un indugiare carico di tensione viene qui ottenuto in entrambi i casi sulla parola precedente (“saeculum”) con un neuma di cadenza (nel secondo alleluia con uno dei neumi cadenzali per eccellenza, lo scandicus subbipunctis resupinus seguito da clivis non corsiva). Meglio sarebbe parlare di una falsa cadenza – se ancora si vuole proprio ricorrere ad un termine musicale – perché qui in nessun modo si può parlare di conclusione, ma di tranquilla apertura oratoria all’accento logico: “quoniam in saeculum misericordia eius”.

Un manoscritto sangallese non dei migliori – il 376 della Biblioteca Capitolare di San Gallo – contiene tuttavia a questo punto un particolare prezioso (nel caso del versetto dell’alleluia della Veglia Pasquale):

Il tenete conferma che la tendenza, a questo punto, sarebbe quella di un contesto proclitico: ma, in linea con la migliore tradizione manoscritta, il codice 376 vuole evitare che su questa parola tanto densa si scorra inavvertitamente. Il rifiuto di Laon di scrivere, come ci si aspetterebbe in questi casi, due punti, la voluta assenza del celeriter e, addirittura, iltenete appena osservato, sono un segno della attenzione minuziosa, o meglio della venerazione, che si portava al testo sacro, del quale nemmeno una sillaba si poteva trascurare.

A questo punto, bisogna aggiungere che anche la proclamazione solenne del testo si rivela una spiegazione non sempre adeguata dei motivi profondi che muovono l’amanuense: proprio perché essa si esaurisce nell’esecuzione, ovvero in tecniche compositive che hanno come fine la pronuntiatio del testo nel canto. Se l’intento del compositore o del neumista, che della composizione vuole offrire l’immagine fedele, fosse solo di fornire indicazioni per l’esecuzione del canto, queste indicazioni infinitesimali, sarebbero sproporzionate allo scopo.

Dalla proclamazione si deve allora risalire a ciò che conduce alla proclamazione stessa, determinandola, pur senza confondersi con questa: l’esegesi. Il canto gregoria no e la sua stesura attraverso la neumatica appaiono, così, quasi il parallelo delle glosse medievali ai testi sacri: come quelle annotazioni a margine spesso si concentrano su di un termine solo, nella fede che non di parola umana si tratta, così le grafie neumatiche esprimono un’arte che vuole illuminare ogni parte del testo sacro con adeguata luce. Non diversamente ancora dai Padri, che scrivono pagine sopra un solo versetto di un salmo, l’amanuense spesso sovraccarica una sola parola o addirittura poche sillabe di segni: neumi, lettere, indicazioni aggiuntive si affollano, nei codici migliori, in pochi millimetri di pergamena, non certo per orientare un’interpretazione musicale – l’atto dell’esecuzione di quelle sillabe svanisce in una frazione di secondo – ma quasi ad ammonire che quella è una sillaba di una parola sacra, di particolare pregnanza.

La conoscenza della patristica, della liturgia, dei paralleli dell’arte figurativa – anche questa, infatti, nasce dal testo sacro e per esso – in sintesi del mondo di cultura e di fede proprio dell’epoca nella quale, presumibilmente, i canti vennero concepiti, sviluppati e notati, stanno dando e daranno sempre maggior spessore agli studi: essi talvolta rischiano infatti di confondere il mezzo con il fine, considerando, appunto, del canto gregoriano, l’aspetto sonoro, interpretativo, ossia in una parola l’aspetto musicale come decisivo e definitivo. Non si osserva una cattedrale come si osserva 31

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ito una villa, anche se entrambe sono un prodotto della tecnica architettonica; non si esegue, non si

ascolta nè si studia il canto gregoriano come una pagina di musica. Nelle cattedrali l’architettura si fa teologia, nel canto gregoriano i suoni sono proclamazione ed esegesi del testo sacro.

NOTE

1 P. Ferretti, Estetica gregoriana, Roma 1934. pp. 13-14.2 È necessario, attraverso l’analisi del repertorio, conoscere le possibilità che astrattamente sono a disposizione

del compositore, nel tesoro formulare, per poter così apprezzare scelte differenti o la scelta di una soluzione formulare che si discosta dall’uso più consueto. A questo proposito assai utile: X. Kainzbauer, Der tractus Tetrardus, Eine centologische Untersuchung, ”Beiträge zur Gregorianik” VII (1991/11).

3 i. Gobry, Storia del monachesimo, Roma 1991,1, p. 28 ss.4 M. riGhetti, Storia liturgica, Milano 1950, p. 111. L’antifona in esame è seguita immediatamente nel codice di

Hartker da un’altra antifona in tutto simile per testo e melodia: “Iesus autem, cum ieiunasset quadraginta diebus et quadraginta noctibus, postea esuriit” (H 146,8). Questa seconda antifona è la forma breve, per così dire, della prima: di essa conserva e riprende, ribadendolo, il nucleo centrale relativo al digiuno.

5 G. JoPPich, Die rhetorische Komponente in der Notation des Codex 121 von Einsiedeln, in Codex 121 Einsiedeln, Kommentar zum Faksimile, herausgegeben von Odo Lang Weinheim 1991, pp. 146-158.

6 I Padri commentano il Salterio della Tradizione, a cura di dom J. c. nesMy, Torino 1983, pp. 214-127.7 G. JoPPich, Der torculus specialis alt Interpunktionsneume,”Beiträge zur Gregorianik” II (1986/2) pp. 74-113.* Nel presente articolo vengono usate le seguenti sigle:A - Cod. Roma, Bibl. Angeica 123, sec. XI primo terzo, Graduale tropatum (Pal. Mus. 1/18).AM - Antiphonale monasticum, Tournai 1934.GT - Graduale Triplex, Solesmes 1979.C - Cod. St. Gallen, Stiftsbibl. 359, sec. X in.; Cantatorium (Pal. Mus. II/2e) Monumenta Paleografica Gregoriana

III, Mtinsterschwarzach 1987.E - Cod. Einsiedeln, Stiftsbibl. 121, sec. X seconda metà, Graduale (Pal. Mus. I/4).H - Cod. St. Gallen, Stiftsbibl. 390-391, a. 986-1011, Antiphonale Officii, scritto dal monaco Hartker (Pal. Mus.

11/1 e Mon. Pal. Greg. IV, 1988).L - Cod. Laon, Bibl. Municipale 39, circa a. 930, Graduale (Pal. Mus. I/10).SG - Cod. St. Gallen, Stiftsbibl. 376, sec. XI, Graduale.SG - Cod. St. Gallen, Stiftsbibl. 376, sec. XI, Graduale.

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DIFRONTE AGLI ANGELI VOGLIO CANTARTI: LA TRADIZIONE 5. DI RATISBONA E LA RIFORMA LITURGICA*di J. Ratzinger (Estratto da: “Cantate al Signore un canto nuovo” - 1996 - Jaca Book)

1. Liturgia terrena e celeste: la visione del Padre

Dopo un indimenticabile volo in elicottero sui monti dell’Alto Adige nell’autunno del 1992 potei visitare il monastero di Marienberg im Vinschgau, che là in quei meravigliosi paesaggi venne fondato a lode di Dio e così alla sua maniera accoglie l’invito del canto di lode dei tre fanciulli:

«Voi monti e colline, lodate il Signore!» (Dan 3,75).

Il vero e proprio tesoro di questo monastero è la cripta, consacrata il 13 luglio 1160, con i suoi meravigliosi affreschi, che frattanto sono stati quasi completamente restaurati1. Queste immagini – come tutta l’arte medievale – non avevano un significato puramente estetico. Vogliono essere essi stessi una liturgia, una parte della grande liturgia della creazione e del mondo redento, per partecipare alla quale questo monastero venne innalzato. Il programma di immagini corrisponde perciò alla comune comprensione di fondo della liturgia, quale nella Chiesa intera (Oriente ed Occidente) era ancora viva. Rivela forti influssi bizantini, ma nel suo nucleo è semplicemente biblica, e d’altra parte è essenzialmente determinata dalla tradizione del monachesimo, più concretamente dalla Regola di san Benedetto. Il vero e proprio punto di prospettiva è perciò la «Maiestas Domini», il Signore risorto e innalzato, che però al tempo stesso è visto come colui che ritorna, che viene già adesso nell’Eucaristia. La Chiesa che celebra l’Eucaristia gli va incontro, la liturgia è proprio l’atto di questo andare incontro a Lui che viene. Nella liturgia Egli anticipa già adesso questa sua venuta che ci aveva promesso. La liturgia è parusia anticipata, è l’irrompere del «già» nel nostro «non ancora», come Giovanni lo ha rappresentato nel racconto delle nozze di Cana: l’ora del Signore non è ancora giunta, non tutto quello che deve avvenire è già adempiuto, ma alla preghiera di Maria – la Chiesa – egli ci dà già adesso il nuovo vino, ci dona già in anticipo il frutto della sua ora. Il Signore risorto non è solo. Egli viene visto nelle immagini della liturgia

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celeste donateci dall’Apocalisse: circondato dai quattro esseri viventi, circondato soprattutto da una grande schiera di angeli che cantano. Il loro canto è espressione di gioia che non sarà tolta, il risolversi dell’esistenza nel giubilo della libertà che ha trovato il suo compimento. Il monachesimo fu inteso sui dagli inizi come vita alla maniera degli angeli: la maniera degli angeli è l’adorazione. Entrare nella forma di vita degli angeli significa dare alla vita la forma di un’adorazione, nella misura in cui è possibile alla debolezza degli uomini2. Così la liturgia è il centro del monachesimo, ma il monachesimo non fa altro che mettere in luce per tutti ciò di cui si tratta nell’esistenza cristiana, anzi nell’esistenza umana in quanto tale. A guardare a questi affreschi i monaci di Marienberg hanno pensato certamente anche al capitolo diciannovesimo della Regola di san Benedetto: la disciplina del salmodiare, ove il padre del monachesimo ricorda fra l’altro il primo versetto del Salmo 137 (138):

«Di fronte agli angeli ti voglio cantare».

Benedetto prosegue:

«Riflettiamo dunque su come si debba essere e stare davanti alla divinità e agli angeli, e stiamo allora nel nostro canto in modo tale che il nostro cuore sia all’unisono con le nostre voci». «Mens nostra concordet voci nostrae».

Dunque le cose non stanno così, che l’uomo si inventa qualcosa e poi lo canta, bensì che il canto gli proviene dagli angeli, ed egli deve innalzare il suo cuore affinché stia in armonia con questa tonalità che gli giunge dall’alto. Importante è però soprattutto una cosa: la liturgia non è una cosa che fanno i monaci. Essa esiste già prima di essi. Essa è l’entrare nella liturgia celeste già da sempre in atto. La liturgia terrena è liturgia solo per il fatto che si inserisce in ciò che già c’è, in ciò che è più grande. Così diventa pienamente chiaro il senso degli affreschi. Attraverso di essi la vera e propria realtà, la liturgia celeste, getta il suo sguardo all’interno di questo nostro spazio. Essa è per così dire la finestra attraverso cui i monaci protendono lo sguardo al di fuori, verso il grande coro, cantare dentro il quale è il nucleo della loro vocazione. «Di fronte agli angeli ti voglio cantare»: questa unità di misura viene così continuamente posta loro davanti agli occhi.

2. Un riflettore acceso sulla disputa post-conciliare sulla liturgia

Discendiamo da Marienberg e dalle vedute che ci permette, scendiamo a valle nella pianura dell’odierna quotidianità liturgica. Qui il panorama è assai confuso. Harald Schützeichel ha descritto la situazione di oggi come un «già e non ancora», ove certo non ci si vuol riferire più al concetto escatologico concernente il Cristo veniente in un mondo ancora contrassegnato dalla morte e

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dalle sue pene, ma dove il nuovo, invece, che è «già» presente è ora la riforma liturgica, mentre il vecchio – l’ordinamento tridentino – sarebbe appunto «non ancora» superato3. Così anche la domanda:

«Dove debbo rivolgermi?»

non è più (come era una volta) ricerca del volto del Dio vivente, bensì descrizione della assenza di orientamento nella situazione della musica sacra, risultata dalla realizzazione a metà della riforma liturgica. Qui si è verificato manifestamente un profondo «cambiamento di paradigmi», per usare un termine alla moda. Un abisso divide la storia della Chiesa in due mondi irreconciliabili: quello pre-conciliare e quello post-conciliare. In effetti non c’è nell’opinione pubblica nessun verdetto peggiore che quando a proposito di una decisione ecclesiale, di un testo, di una funzione liturgica o di una persona si può dire che è «pre-conciliare». La cattolicità dovrebbe secondo questi parametri essere stata rinchiusa fino al 1965 dentro una condizione veramente terribile. Applichiamo tutto ciò al nostro caso pratico. Un maestro di cappella del duomo, che aveva svolto il suo ministero nel duomo di Ratisbona dal 1964 al 1994, si trovò – se le cose stanno così – in una situazione praticamente priva di vie d’uscita. Quando egli iniziò, la Costituzione liturgica del Vaticano II non era ancora stata approvata. Alla sua entrata in servizio egli stava ancora del tutto chiaramente sotto il parametro (eretto con comprensibile orgoglio) della tradizione ratisbonese, detto più precisamente: del «Motu proprio» di Pio X Tra le sollecitudini, emanato il 22 novembre 1903, circa le questioni della musica sacra4. Questo «Motu proprio» non era stato in nessun’altra parte accolto così gioiosamente (e così illimitatamente preso come parametro), come nel duomo di Ratisbona, il quale con questo atteggiamento divenne certamente esemplare per molte cattedrali e chiese parrocchiali in Germania e anche fuori di essa.

Pio X si era rifatto, con questa riforma della musica sacra, ad una propria esperienza e conoscenza liturgica. Già in seminario egli aveva diretto una scuola corale. Come vescovo di Mantova e come Patriarca di Venezia combatté contro la musica operistica, che allora predominava in Italia. L’insistenza sul corale come la vera musica liturgica era per lui parte di un più grande programma di riforma, in cui si trattava di ridare al culto divino la sua purezza e dignità, di configurarlo in base alla sua interiore pretesa5. In questa sua preoccupazione egli aveva conosciuto la tradizione di Ratisbona, che fece da padrino del «Motu proprio», senza che per questo fosse stata canonizzata come tale in blocco. In Germania oggi Pio X viene per lo più visto solo come il papa antimodernista. Gianpaolo Romanato ha mostrato chiaramente nella sua biografia critica quanto questo papa proveniente dalla pastorale sia stato un papa riformatore6. Per chi rifletta su tutto ciò e osservi le cose un pò più da vicino, il fossato tra pre-conciliare e post-conciliare apparirà già più

stretto. Lo storico aggiungerà un ulteriore dato di conoscenza. La Costituzione liturgica del concilio Vaticano II ha sì posto le fondamenta per la riforma; ma la riforma stessa venne poi strutturata da

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un comitato post-conciliare e nei suoi concreti dettagli non può venir ricondotta semplicemente al dettato conciliare. Il concilio era un inizio aperto, il cui ampio ambito consentiva parecchie realizzazioni. Se si pensa giustamente a tutto ciò, non si potrà più descrivere l’arco di tensione che si aprì in questi decenni con i termini di tradizione pre-conciliare e riforma post-conciliare, ma piuttosto si parlerà di confronto tra la riforma di Pio x e la riforma avviata dal concilio. Dunque di gradi di riforma e non di un fossato tra due mondi. Se si allarga ancora ulteriormente lo sguardo si può dire che la storia della liturgia sta sempre nella tensione tra continuità e rinnovamento. Essa cresce all’interno di situazioni sempre nuove, e deve anche sempre nuovamente tornare a ritagliare il presente, che diventa poi passato, affinché l’essenziale riappaia, nuovo e pieno di forza. Essa ha bisogno sia di crescita che di purificazione, e in entrambe della conservazione della sua identità, dello scopo, senza il quale essa perderebbe il suo fondamento di esistere. Se però le cose stanno così, allora l’alternativa tra forze tradizionali e riforme si rivela inadeguata. Chi crede di poter scegliere solo tra vecchio e nuovo si è già posto in una strada priva di sbocco. La questione è piuttosto: che cos’è la liturgia in base alla sua essenza? Quale parametro pone essa a partire da se stessa? Solo quando questo è stato chiarito si può ulteriormente chiedere: che cosa deve restare? Cosa può e cosa deve forse diventare diverso?

3. La domanda circa l’essenza della liturgia e circa i parametri della riforma

Alla domanda circa l’essenza della liturgia abbiamo già trovato una prima risposta nell’introduzione a proposito degli affreschi di Marienberg, una risposta che deve ora venire ulteriormente approfondita. In questa preoccupazione ci imbattiamo nuovamente contro una delle alternative che derivano dall’immagine storica dualistica di mondo pre-conciliare e mondo post-conciliare. In base ad essa prima del concilio sarebbe stato soltanto il prete l’incaricato della liturgia, mentre a partire dal concilio lo sarebbe ora la comunità radunata. Quindi – così si deduce – è la comunità come vero soggetto della liturgia a determinare cosa in essa debba accadere7. Ora il sacerdote non ha certamente mai avuto il diritto di disporre da sé che cosa si debba fare nella liturgia. La liturgia non era affatto a suo piacimento. Essa lo precedeva come «rito», cioè come forma oggettiva della comune preghiera della Chiesa. L’alternativa polemica «prete o comunità come incaricati della liturgia?» è senza senso: essa distrugge la comprensione della liturgia, anziché promuoverla, e crea quel falso fossato tra pre-conciliare e post-conciliare, che lacera il grande nesso della vivente storia della fede. Essa si basa su di un appiattimento del pensiero, in cui non emerge più l’essenziale. Se apriamo il Catechismo della Chiesa Cattolica, troviamo invece in magistrale sinteticità e chiarezza la «summa» delle migliori conoscenze del movimento liturgico e quindi ciò che la grande tradizione conserva di permanentemente valido. Qui veniamo in primo luogo istruiti che liturgia significa «servizio del popoio e per il popolo»8. Quando la teologia cristiana prese dall’Antico Testamento greco questo termine che si era andato formando nel mondo pagano, essa pensava naturalmente al popolo di Dio, che i cristiani erano diventati per il fatto che Cristo aveva abbattuto il muro divisorio tra ebrei e pagani, per unificare tutti nella pace dell’unico Dio. «Servizio per il popolo»: essi pensavano che questo popolo non era creato da loro, attraverso la comune derivazione, ma si realizzava solamente in virtù del servizio pasquale di Gesù Cristo, e dunque riposava sul servizio di un altro, e cioè del Figlio. Il popolo di Dio non esiste semplicemente come esistono i tedeschi, i francesi, gli italiani o altri popoli. Esso sorge sempre di nuovo solo in virtù del servizio del Figlio e per il fatto che egli ci innalza nella comunione di Dio, a cui noi da soli non possiamo arrivare. Conformemente a ciò prosegue il Catechismo: «Nella tradizione cristiana esso (il termine «liturgia») significa che il popolo di Dio partecipa alla ‘opera di Dio’». Il Catechismo cita la Costituzione liturgica del concilio, secondo cui ogni celebrazione liturgica è opera di Cristo, che è il sacerdote, e del suo corpo che è la Chiesa9. Così le cose appaiono ora già molto diversamente. La riduzione sociologica, che riesce solo a contrapporre attori umani gli uni agli altri, è spezzata.

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La liturgia, come abbiamo visto, presuppone il cielo aperto; solo se questo è vero, c’è allora liturgia. Se il cielo non è aperto, ciò che era liturgia si rimpicciolisce, si riduce ad un gioco di ruoli, ad una ricerca (ultimamente priva di interesse) di auto-conferma comunitaria, in cui in fondo non accade nulla. L’elemento decisivo è dunque il primato della cristologia. La liturgia è opera di Dio, oppure non esiste. Con questo primato di Dio e della sua azione, che viene a cercarci con segni terreni, è data anche l’universalità e l’universale apertura di ogni liturgia, che non può venir afferrata a partire dalla categoria di comunità, ma solamente a partire dalle categorie di popolo di Dio e di corpo di Cristo. Solamente in questo grande contesto si può allora comprendere giustamente la reciprocità di sacerdote e comunità. Il prete fa e dice nella liturgia ciò che egli in proprio, di suo, non può fare e dire; egli agisce – come diceva la tradizione – «in persona Christi», cioè a partire dal sacramento che garantisce la presenza dell’altro, di Cristo. Egli non sta a sé; egli non è nemmeno il delegato della comunità, che gli avrebbe in un certo senso affidato un ruolo, bensì il suo stare nel sacramento della sequela esprime precisamente il primato di Cristo, che è la condizione di base di ogni liturgia. Poiché il sacerdote rappresenta questo primato di Cristo, rinvia col suo ministero ogni assemblea al di là di se stessa in direzione del tutto, poiché Cristo è solo uno, e aprendo il cielo Egli è anche Colui che elimina ogni frontiera terrena. Il Catechismo ha articolato trinitariamente la sua teologia della liturgia. Mi sembra assai importante che si parli della comunità nel capitolo sullo Spirito Santo, con le seguenti parole: «Nella liturgia del Nuovo Patto ogni azione liturgica, specialmente la celebrazione dell’Eucaristia e dei sacramenti, è un incontro tra Cristo e la Chiesa. L’assemblea liturgica (‘la comunità’) riceve la propria unità dalla ‘comunione dello Spirito Santo’, che riunisce i figli di Dio nell’unico Corpo di Cristo. Essa supera le affinità umane, razziali, culturali e sociali. L’assemblea deve prepararsi ad incontrare il suo Signore, essere un ‘popolo ben disposto’»10. Bisogna qui ricordare che il termine comunità (Gemeinde) – derivante dalla tradizione protestante – nella maggior parte delle lingue non può venir tradotto. Il suo equivalente nelle lingue latine è «assemblée», assemblea, ove viene già posto un accento un pò diverso. Con ambedue le espressioni (comunità e assemblea) sono indiscutibilmente evidenziati due importanti dati di fatto: in primo luogo che i partecipanti alla celebrazione liturgica non sono individui senza relazioni gli uni con gli altri, bensì in virtù dell’evento liturgico vengono connessi vicendevolmente fino a costituire una concreta rappresentazione del popolo di Dio; in secondo luogo che essi come popolo di Dio qui radunato sono attivi co-esecutori dell’evento liturgico, a partire dal Signore. Ma di contro all’odierna ipostatizzazione della comunità ci si deve decisamente difendere. I radunati, come dice con ragione il Catechismo, divengono un’unità solo in forza della comunione dello Spirito Santo, essi non lo sono da se stessi, come una grandezza sociologica chiusa. Se essi però stanno in una unità derivante dallo Spirito Santo, allora è sempre un’unità aperta, il cui superamento dei confini nazionali, culturali e sociali si esprime nella concreta apertura verso quelli che non fanno parte del suo nucleo originario. L’odierno discorrere di comunità presuppone oltremodo un gruppo omogeneo, che possa programmare e condurre avanti azioni in comune. A questa «comunità» si può allora affidare solamente un sacerdote che la conosca e che sia da essa conosciuto. Con la teologia tutto questo non ha nulla a che fare. Se ad esempio in una grande cattedrale si radunano per la celebrazione festiva delle persone che in termini sociologici non formano alcun gruppo unitario e che ad esempio fanno anche fatica a riuscire a cantare assieme, sono essi allora comunità o non lo sono? Sì, lo sono, poiché il loro comune rivolgersi con fede al Signore e l’andare incontro ad essi del Signore li unisce l’uno all’altro interiormente in maniera molto più profonda di quanto non potrebbe fare una semplice appartenenza sociale reciproca. Riassumendo si può dire: né il prete di per sé, né la comunità di per sé è il responsabile della liturgia, bensì il Cristo totale, Capo e membra. Il prete, la comunità, i singoli lo sono nella misura in cui sono uniti con Cristo e nella misura in cui lo rappresentano nella comunione di Capo e corpo. In ogni celebrazione liturgica è compartecipe l’intera Chiesa, lo sono cielo e terra, Dio e gli uomini, non solo in termini teorici, ma del tutto reali. Quanto più la celebrazione è animata da

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questa consapevolezza, da questa esperienza, tanto più concretamente essa realizza il senso della liturgia. Con queste riflessioni ci siamo apparentemente allontanati dal tema della tradizione di Ratisbona e della riforma post-conciliare, ma solo apparentemente. Era necessario che venisse preso in considerazione questo ampio quadro, poiché in base ad esso si misura ogni riforma, e solo a partire da esso si possono adeguatamente descrivere anche il luogo interno e la maniera corretta della musica sacra. Possiamo adesso sinteticamente dire quale era la tendenza essenziale della riforma scelta dal concilio. Di contro all’individualismo dell’epoca moderna e al moralismo con esso intrecciato doveva nuovamente venire alla luce la dimensione del mistero, cioè il carattere cosmico della liturgia, che abbraccia cielo e terra. Nella partecipazione al mistero pasquale di Cristo essa oltrepassa tutti i confini di luoghi e tempi, per radunarli poi nell’ora di Cristo, che nella liturgia viene anticipata, conducendo così la storia al suo traguardo11. Due ulteriori punti di prospettiva si aggiungono poi nella costituzione liturgica del Vaticano II. Il concetto di mistero è inseparabile nella fede cristiana da quello di Logos. I misteri cristiani – al contrario di tanti culti misterici pagani – sono misteri del Logos. Essi vanno al di là della ragione umana, ma non conducono nell’assenza di forma del fumoso, né della dissoluzione della ragione in un cosmo inteso irrazionalmente, bensì conducono al Logos, cioè alla Ragione creatrice, in cui si fonda il senso di tutte le cose. Di qui deriva la fondamentale semplicità, il legame con la ragione e il carattere di «parola» della liturgia. A ciò si collega un secondo elemento: il Logos è divenuto carne nella storia. L’orientamento secondo il Logos è perciò per i cristiani sempre anche orientamento all’origine storica della fede, alla parola biblica e al suo sviluppo paradigmatico nella Chiesa dei Padri. Dallo sguardo sul mistero di una liturgia cosmica, la liturgia del Logos, derivò la necessità di rappresentare concretamente e visibilmente il carattere comunitario del culto divino, il suo carattere di azione e la sua natura di «parola». Tutte le istruzioni singole circa la revisione di libri e riti son da leggere a partire di qui. Se si ha tutto ciò davanti agli occhi, si vede che la tradizione di Ratisbona, come pure il «Motu proprio» di Pio x, malgrado le differenze esteriori mirano intenzionalmenete nella stessa direzione. L’esclusione dell’apparato orchestrale che soprattutto in Italia si era sviluppato in direzione della musica operistica, doveva mettere nuovamente la musica di chiesa interamente a servizio della parola liturgica e al servizio dell’adorazione. La musica di chiesa non doveva più essere uno spettacolo connesso alla liturgia, ma doveva divenire essa stessa liturgia, cioè un entrare a cantare nel coro degli angeli e dei santi. Così doveva diventar trasparente che la musica liturgica conduce i credenti tutti assieme nella glorificazione di Dio, nella sobria ebbrezza della fede. La sottolineatura del corale gregoriano e della polifonia classica era dunque subordinata sia al carattere misterico della liturgia, sia al suo carattere di Logos, sia al suo legame alla Parola storica. Essa doveva, per così dire, mettere in luce la paradigmaticità dei Padri, che forse talvolta era stata intesa in maniera troppo esclusivistica o troppo storicistica: paradigmaticità, intesa correttamente, significa infatti non esclusione del nuovo, ma indicazione della direzione, che dona l’orientamento in prospettive sempre più ampie. Avanzare nella nuova terra viene qui reso possibile proprio dal fatto che è stata trovata la via giusta. Solo se si comprende questa essenziale comunanza di volere e di direzione nella riforma di Pio x e in quella conciliare, si possono anche rettamente apprezzare le differenze negli orientamenti pratici. Viceversa possiamo dire a partire di qui che una maniera di vedere la liturgia che ha smarrito il suo carattere di mistero e la sua dimensione cosmica finisce con l’operare non una riforma, ma una deformazione della liturgia.

4. Fondamento e compito della musica nel culto divino

La domanda circa l’essenza della liturgia e circa i parametri della riforma ci ha ricondotti da sé alla domanda circa il posto della musica nella liturgia. In effetti non si può parlare di liturgia senza parlare anche della musica liturgica. Dove viene a crollare la liturgia, crolla anche la musica sacra, e dove la liturgia viene rettamente intesa e vissuta, là cresce bene anche la buona musica di

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chiesa. Abbiamo in precedenza visto che nel Catechismo il concetto di «comunità» (o assemblea) appare per la prima volta laddove si parla dello Spirito Santo come Colui che dà forma alla liturgia. Avevamo detto che così è descritto esattamente il luogo interiore della comunità. Parimenti non è un caso che nel Catechismo la parola-chiave «cantare» emerga per la prima volta laddove si tratta del carattere cosmico della liturgia, e precisamente in una citazione tratta dalla Costituzione liturgica del Vaticano II:

«Nella liturgia terrena noi partecipiamo, pregustandola, a quella celeste, che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini... Con tutte le schiere celesti cantiamo al Signore l’inno di gloria...»12.

Philipp Harnoncourt ha espresso molto bene lo stesso dato di fatto allorché ha commentato il noto detto di Wittgenstein: «Delle cose di cui non si può parlare bisogna tacere» in questi termini: «Delle cose di cui non si può parlare, si può allora, anzi si deve, cantare e musicare, se non si può tacere»13. Poco dopo egli aggiunge:

«Ebrei e cristiani sono concordi nell’opinione che il loro cantare e musicare rinvia al cielo, o proviene dal cielo, o è suggerito dal cielo... »14.

In queste frasi sono dati i principii fondamentali della musica liturgica. La fede deriva dall’ascolto della parola di Dio. Dove però la parola di Dio viene tradotta in parola di uomini, rimane un soprappiù di non detto e non dicibile, che ci invita a tacere, ci invita ad un silenzio che alla fine fa diventare l’indicibile un canto e chiama in aiuto anche le voci del cosmo, affinché l’indicibile divenga udibile. Questo significa che la musica sacra nascendo dalla Parola e dal silenzio percepito in essa, presuppone un sempre nuovo ascolto di tutta la pienezzza del Logos. Mentre Schützeichel dice che in linea di principio ogni musica può venire impiegata all’interno del culto divino15, Harnoncourt accenna a più profondi ed essenziali nessi tra determinati atteggiamenti di vita ed espressioni musicali ad essi adeguati, e prosegue:

«Sono convinto che anche per l’incontro con il mistero della fede... ci sono musiche particolarmente adeguate e anche musiche non adeguate... »16.

In effetti una musica che debba servire alla liturgia cristiana deve corrispondere al Logos, concretamente deve stare in una significativa subordinazione a «quella» Parola in cui il Logos si è espresso. Non si può, nemmeno come musica strumentale, distaccare dall’interiore direzione di questa Parola, che apre uno spazio infinito, ma traccia anche linee di demarcazione. Essa deve in base alla sua essenza essere diversa da quella musica che è destinata a condurre verso l’estasi ritmica, lo stordimento degli allucinogeni, l’emozione sensuale, la dissoluzione dell’io nel Nirvana, per nominare solo alcuni atteggiamenti possibili. Su questo esiste una bella frase nella spiegazione del Padre Nostro di san Cipriano:

«Delle parole e dell’atteggiamento della preghiera fa parte una disciplina, che include una quiete e un rispetto. Pensiamo al fatto che siamo sotto gli occhi di Dio. Agli occhi divini bisogna piacere anche attraverso l’atteggiamento del corpo e il padroneggiamento della sua voce. L’assenza di vergogna si esprime anche nel gridare abituale, mentre ai timorati di Dio si addice pregare con parole piene di timidezza... Quando noi ci raduniamo insieme con i fratelli e con il sacerdote di Dio celebriamo il sacrificio divino, non possiamo scuotere l’aria con rumori senza forma, e nemmeno gettare addosso a Dio le nostre preghiere con un chiacchiericcio sguaiato, quelle preghiere che invece gli dovremmo presentare con umiltà, poiché Dio.., non ha bisogno che noi gli ricordiamo tutto ciò con le nostre grida...»17.

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Naturalmente questo parametro interiore deve essere inserito in una musica adeguata al Logos: essa deve introdurre nella comunione con Cristo gli uomini qui ed ora, in questo tempo e in questo luogo, come oranti. Essa deve essere ad essi accessibile, ma al contempo condurli oltre, e cioè condurli in quella direzione che la liturgia stessa, in maniera insuperabilmente concisa, formula all’inizio del canone: «Sursum corda» – il cuore, cioè l’uomo interiore, tutto il mio io, in alto verso Dio, verso quell’altezza che è Dio e che in Cristo tocca la terra, attira a sé ed eleva a sé.

5. Coro e comunità: la questione del linguaggio

Prima di tentare di applicare queste affermazioni di fondo ad alcuni specifici problemi della musica sacra nel duomo di Ratisbona, c’è ancora qualcosa da dire circa i soggetti della musica liturgica e il linguaggio dei canti. Dove è in vigore un concetto di comunità esageratamente gonfiato e (come abbiamo potuto constatare) completamente irrealistico proprio in una società mobile come la nostra, possono venir riconosciuti come soggetti legittimi del canto liturgico solo il prete e la comunità. Il primitivo azionismo e il piatto razionalismo pedagogico di una simile posizione è oggi divenuto oltremodo evidente e viene perciò sostenuto oramai solo raramente. Che anche la «schola» e il coro possano contribuire al tutto non viene oramai quasi più contestato, persino laddove si interpreta erroneamente il motto post-conciliare della «partecipazione attiva» nel senso di un azionismo esteriore. A dire il vero continuano ad esserci delle eccezioni, delle quali parleremo fra poco. Esse si fondano su di un’insufficiente interpretazione della collaborazione liturgica, in cui mai soltanto la comunità presente può essere soggetto, bensì questa può venir intesa solamente come assemblea aperta verso l’alto e a partire dall’alto, sincronicamente e diacronicamente, verso tutta l’ampiezza della storia di Dio. Nuovamente ha qui apportato un importante punto di vista Harnoncourt, allorché egli parla di forme elevate che nella liturgia come festa di Dio non possono mancare, ma che dalla comunità come un tutto non possono venir adempiute. Egli prosegue: «Il coro dunque non sta di fronte ad una comunità che lo ascolta come di fronte ad un pubblico che vuole che gli si canti qualcosa, ma è egli stesso parte di questa comunità e canta per essa nel senso di una legittima rappresentanza»18. Il concetto di rappresentanza è una delle categorie di fondo della fede cristiana, che concerne tutti i livelli della realtà di fede e così è essenziale anche nell’assemblea liturgica19. L’idea che si tratti di rappresentanza dissolve in effetti la concorrenza di chi sta di fronte. Il coro agisce per gli altri e li include nella sua propria azione. Attraverso il suo canto tutti possono venir condotti in quella grande liturgia della comunione dei santi e così in quella preghiera interiore che strappa il nostro cuore verso l’alto e al di là di tutte le le realizzazioni terrene ci fa entrare nella Gerusalemme celeste. Ma si può propriamente cantare in latino se la gente non lo capisce? Dopo il concilio è comparso in certi luoghi un fanatismo della madre-lingua che in una società multiculturale è davvero astruso, così come in una società mobile ha poca logicità una ipostatizzazione della comunità. Prescindiamo dapprima dal fatto che un testo non è ancora già comprensibile a tutti per il fatto che lo si traduce nella propria madrelingua, anche se con ciò è toccata una questione di non poca importanza. Un aspetto essenziale per la liturgia cristiana in generale lo ha nuovamente presentato in maniera eccellente Philipp Harnoncourt:

«Questa celebrazione non viene interrotta non appena si canta o si suona..., ma essa mostra invece proprio così il suo carattere di ‘celebrazione’. Questa esigenza non richiede però né unità nella lingua liturgica, né unità nello stile delle parti musicali. La tradizionale cosiddetta ‘Messa in latino’ha sempre parti aramaiche (Amen, Alleluia, Hosanna, Maranatha), greche (Kyrie eleison, Trishagion), e la predica veniva di regola tenuta nella lingua della gente. La vita reale non conosce l’unità e perfezione stilistica, al contrario, dove qualcosa davvero è vivo si mostrerà sempre una molteplicità di forme e di stili... l’unità è un’unità organica»20.

A partire da queste vedute, il maestro di cappella del duomo, che ora va in pensione, nei trent’anni di cambiamenti teologici e liturgici in cui gli era stato affidato il suo incarico, sostenuto dalla fiducia

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sia del vescovo Graber, sia da quella del suo successore Manfred Müller, sia da quella dei vescovi ausiliari Flügel, Guggenberger e Schraml, non di rado ha saputo, remando controvento, di contro a correnti impetuose, guidare la continuità nello sviluppo e lo sviluppo nella continuità. Grazie alla profonda comprensione e accordo con i vescovi responsabili e i loro collaboratori egli poté, senza perdersi e allo stesso tempo restando aperto, contribuire essenzialmente a che la liturgia nel duomo di Ratisbona conservasse la sua dignità e grandezza, la sua trasparenza verso la liturgia cosmica del Logos nell’unità di tutta la Chiesa, senza che essa assumesse carattere da museo o si irrigidisse in disparte, nostalgicamente. Vorrei alla fine illuminare brevemente ancora due esempi caratteristici di questa lotta per la continuità nello sviluppo, anche di contro alle opinioni dominanti: la questione del Sanctus e del Benedictus e quella circa il luogo significativo dell’Agnus Dei.

6. Questioni singole. - Sanctus, Benedictus, Agnus Dei

Il mio collega e amico dei tempi di Münster, Lengeling, ha detto che se si comprende il Sanctus come parte autentica della comunità che celebra la Messa, «allora ne risultano non solo stringenti conseguenze per nuove traduzioni musicali, ma anche l’esclusione della maggior parte delle musiche gregoriane e di tutte le musiche polifoniche, poiché esse escludono il popolo dal canto e non rispettanto il carattere di acclamazione»21. Con tutto il rispetto per il grande liturgista, questa affermazione dimostra che anche gli esperti possono grossolanamente mancare il bersaglio. La diffidenza è in primo luogo sempre opportuna, lì dove una gran parte della storia vivente deve venir gettata sul mucchio dei rifiuti dei fraintendimenti. Questo vale ancor più per la liturgia cristiana, che vive della continuità e dell’interiore unità della storia della preghiera cristiana. In effetti l’affermazione del carattere di acclamazione, che potrebbe venir realizzato solo per mezzo della comunità, non è giustificabile in base a nessuna motivazione. Il prefazio si conclude sempre, in tutta la tradizione liturgica dell’Occidente come dell’Oriente, con l’accenno alla liturgia celeste, e invita la comunità radunata a inserirsi nell’acclamazione dei cori celesti. Proprio la chiusura del prefazio ha inciso decisamente sull’iconografia della Maiestas Domini, dalla quale io ero partito in queste mie riflessioni22. Nel testo liturgico del Sanctus sono da osservare tre nuovi accenti rispetto al fondamento biblico di Isaia 623. Il palcoscenico non è più, come nel profeta, il tempio di Gerusalemme, ma il cielo, che nel mistero si apre verso la terra. Per questo non sono più semplicemente i serafini che acclamano, bensì l’intera schiera del cielo, nella cui acclamazione, a partire da Cristo, che unisce cielo e terra reciprocamente, può inserirsi l’intera Chiesa, l’umanità salvata. Infine il Sanctus è stato perciò cambiato dalla terza alla seconda persona: cielo e terra sono pieni della «tua» gloria. L’Osanna, originariamente un grido d’aiuto, diventa così un canto di lode. Chi non tiene conto del carattere misterico e del carattere cosmico dell’invito a inserirsi nel canto di lode dei cori celesti ha già fallito la comprensione del tutto. Questo unirsi al coro celeste può avvenire in molteplice maniera, e ha sempre a che fare con la rappresentanza vicaria. La comunità radunata in un luogo si apre al tutto. Essa rappresenta anche gli assenti, si unisce ai lontani e ai vicini. Se in essa c’è il coro, che la può attirare più fortemente che il suo proprio balbettare nella liturgia di lode cosmica e negli aperti orizzonti di cielo e terra, allora proprio in questo istante la funzione rappresentativa del coro è particolarmente opportuna. Per esso può venir donata una maggiore trasparenza verso il canto di lode degli angeli e perciò una più profonda capacità interiore di unirsi al canto, di quanto non possa fare in tanti luoghi il proprio acclamare e cantare. Ora io sospetto a dire il vero che la vera obiezione non consista affatto nel carattere di acclamazione e nella richiesta che tutti cantino; questo mi sembrerebbe troppo banale. Dietro ci sta certamente il timore che attraverso un Sanctu se seguito dal coro, soprattutto se deve poi venire obbligatoriamente collegato col Benedictus, proprio all’entrata nel Canone entri una specie di impianto orchestrale e quindi una pausa nella preghiera in un punto m cui non sarebbe minimamente sostenibile. In effetti, se si presuppone che non c’è alcuna rappresentanza vicaria

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ito e alcun cantare e pregare assieme nel silenzio esteriore, allora questa obiezione sarebbe giusta.

Se durante il Sanctus tutti quelli che non cantano attendono solamente la sua fine o si dedicano all’ascolto di un pezzo di concerto, allora sì che l’esecuzione con il coro è insostenibile. Ma deve essere proprio così? Non abbiamo forse qui disimparato qualcosa, qualcosa che dobbiamo urgentemente reimparare? Forse è a questo punto utile ricordare che la preghiera silenziosa del Canone da parte del sacerdote non è sopraggiunta perché ad esempio il Sanctus era diventato così lungo che adesso bisognava già cominciare a pregare, per guadagnare tempo. La sequenza è alla rovescia. Sicuramente a partire dall’epoca carolingia, ma forse anche prima, il sacerdote esordisce col Canone «in silenzio»; il Canone è il tempo del puro silenzio come «preparazione alla vicinanza di Dio»24. A volte si è poi imposto un «officio di preghiera di accompagnanento, paragonabile alle Ektenie orientali... come velo esteriore sopra la silenziosa preghiera del Canone da parte del celebrante»25. Più tardi fu il canto del coro che – come disse Jungmann – «continua a mantenere l’antica dominante del Canone, ringraziamento e canto di lode, e per l’orecchio dei partecipanti lo estende anche al di là del Canone»26. Anche se noi non vogliamo tornare a ripristinare questa situazione, essa può tuttavia offrire un’indicazione: non ci fa bene, prima dell’irrompere del mistero, avere un momento di silenzio pieno, ove il coro ci raccoglie interiormente, conducendo ognuno nella preghiera silenziosa e proprio così in una unione possibile solo interiormente? Non dobbiamo forse imparare nuovamente proprio questo silenzioso intimo pregare insieme gli uni con gli altri e con gli angeli e i santi, i vivi e i defunti, e con Cristo stesso, affinché le parole del Canone non divengano delle formule abusate, che noi poi vanamente tentiamo di rimpiazzare con sempre nuovi giri di parole, in cui cerchiamo solo di nascondere l’assenza dell’autentico evento interiore della liturgia, l’uscita dal discorso umano per arrivare a toccare l’eterno? L’esclusione sostenuta da Lengeling e da molti altri dopo di lui, è senza senso. Il Sanctus corale ha anche dopo il Vaticano n il suo buon diritto. Ma come stanno le cose con il Benedictus? L’affermazione secondo cui non potrebbe in nessun modo venir separato dal Sanctus è stata messa m piedi con così tanta insistenza e apparente competenza, che solo poche anime forti sono in grado di contrapporvisi. Ma essa non è né storicamente, né teologicamente, né liturgicamente giustificabile. Naturalmente ha una sensatezza cantare le due parti insieme, ove la composizione offra questo nesso, che è assai antico e molto ben fondato. Ciò che bisogna rifiutare è anche qui nuovamente l’esclusione. Sanctus e Benedictus hanno il loro proprio posto nella Scrittura e si sono perciò dapprima sviluppati anche separatamente. Mentre incontriamo il Sanctus già nella prima lettera di Clemente (34,5s.)27, dunque certamente ancora in epoca apostolica, incontriamo il Benedictus, per quanto mi è dato vedere, per la prima volta nelle Costituzioni Apostoliche, quindi nella seconda metà del quarto secolo, qui come acclamazione prima della distribuzione della Santa Comunione, come risposta alla frase:

«Il Santo ai santi».

La troviamo nuovamente nelle Gallie a partire dal sesto secolo, dove si è unita al Sanctus, come è accaduto parimenti nella tradizione della Chiesa orientale28. Mentre ilSanctus è stato sviluppato a partire da Isaia 6 e poi dalla Gerusalemme terrena è stato trasferito a quella celeste e così è divenuto un canto della Chiesa, il Benedictus si fonda su una rilettura neo- testamentaria del Salmo 117(118), 26. Nel testo veterotestamentario questo versetto è una parola di benedizione all’arrivo della festosa processione nel tempio; nella domenica delle Palme ha acquistato un nuovo significato, che certamente era già preparato nello sviluppo della preghiera giudaica. Infatti la parola «Colui che viene» era divenuta un nome per il Messia29. Quando la gioventù di Gerusalemme la domenica delle Palme acclama Gesù con questo versetto, essa lo saluta come Messia, come re del tempo finale, che entra nella città santa e nel tempio per prenderne possesso. Il Sanctus è subordinato all’eterna gloria di Dio; il Benedictus si riferisce invece alla venuta del Dio fatto uomo 42

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oin mezzo a noi. Cristo, Colui che è venuto, è anche sempre Colui che sta per venire: la sua venuta eucaristica, l’anticipazione della sua «ora», fa diventare la promessa una presenza e riunisce il futuro al nostro oggi. Per questo il Benedictus è sia un andare incontro alla consacrazione, sia un’acclamazione al Signore divenuto presente grazie ai gesti eucaristici. Il grande momento della venuta, la straordinarietà della sua presenza reale negli elementi della terra, esige formalmente una risposta: elevazione, genuflessione, suono delle campane sono un tale balbettante tentativo di risposta30. La riforma liturgica – parallelamente al rito bizantino – ha formulato un’acclamazione del popolo:

«Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione...».

La domanda circa ulteriori possibili acclamazioni di saluto per il Signore venuto e che sta per venire è però posta, e per me è evidente che non c’è acclamazione più adeguata e più profonda, e allo stesso tempo più suffragata dalla tradizione, che appunto questa: sia benedetto Colui che viene nel nome del Signore. La separazione di Sanctus e Benedictus è cioè non necessaria, ma altamente sensata. Se il Sanctus e il Benedictus vengono cantati insieme dal coro l’interruzione tra il prefazio e il canone può in effetti diventare troppo lunga, cosicché non è più utile all’entrata silenziosa e compartecipe nella cosmica liturgia di lode, poiché la tensione interiore non resiste. Se invece dopo la transustanziazione vi è ancora spazio per un silenzio pieno e un interiore saluto al Signore, ciò corrisponde assai profondamente all’intima struttura dell’evento. La messa al bando, da parte dei maestri di cappella, di una tale suddivisione, sorta non senza fondamento durante lo sviluppo storico, la si dovrebbe dimenticare il più presto possibile. Ancora una parola sull’Agnus Dei. Nel duomo di Ratisbona è divenuto usuale che dopo lo scambio del segno di pace il triplice Agnus Dei venga detto dapprima dal prete e dal popolo insieme. Dal coro viene poi ulteriormente eseguito durante la distribuzione della Comunione, come canto di Comunione. Di fronte a ciò si sostenne che l’Agnus Dei fa parte dello spezzare del pane. Solamente un arcaismo completamente fossilizzato può trarre da questa sua originaria destinazione ad accompagnare il momento dello spezzare il pane, la conseguenza che debba venir cantato esclusivamente a questo punto. Di fatto già nel nono e nel decimo secolo, allorché i riti antichi dello spezzare del pane non erano più necessari, a causa delle ostie nuove, è divenuto un canto di Comunione. Jungmann accenna al fatto che già nel primo medioevo veniva cantato solo un Agnus Dei dopo il saluto di pace, mentre il secondo e il terzo trovarono il loro posto dopo la Comunione e così accompagnavano la distribuzione della Comunione, là dove aveva luogo31. E l’invocazione della misericordia di Cristo, l’Agnello di Dio, non è forse sensata proprio nel momento in cui Egli come agnello senza difesa si consegna nuovamente nelle nostre mani, Egli, l’immolato ma anche trionfante agnello di Dio, che tiene in mano le chiavi della storia (Ap 5)? E l’invocazione della pace fatta a lui, l’indifeso, e come tale il vincitore, non è forse particolarmente indicata nel momento in cui si riceve la Comunione, giacché pace era proprio una delle denominazioni dell’Eucaristia nella Chiesa antica, poiché essa abbatte i confini tra terra e cielo, tra popoli e stati, e unisce gli uomini nell’unità del corpo di Cristo? La tradizione di Ratisbona e la riforma conciliare e post-conciliare appaiono ad un primo sguardo come due mondi contrapposti, che urtano l’un contro l’altro in un duro contrasto. Chi è stato per tre decenni in mezzo ad essi può sentire sulla sua pelle la durezza delle questioni poste. Ma se questa tensione viene sopportata, si vede che un unico cammino. Solo se le si tiene assieme l’una con l’altra tutte queste tappe costituiscono allora giustamente comprese e si sviluppa la vera riforma nello spirito del Vaticano II. Una riforma che non è frattura e distruzione, ma purificazione e crescita in direzione di una nuova maturità e di una nuova pienezza. Al maestro di cappella del duomo, che ha sopportato questa tensione, vanno i ringraziamenti: questo è stato non solo un servizio a Ratisbona e al suo duomo, ma un servizio alla Chiesa intera. 43

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Note:

* Ho consapevolmente mantenuto il linguaggio colorito di questa conferenza tenuta in occasione del congedo di mio fratello dall’incarico di maestro di cappella del duomo di Ratisbona, per la ragione che è proprio nel caso concreto che, a mio avviso, si possono chiarire e spiegare al meglio le cose fondamentali.1 Cfr. su ciò h. staMPFer, h. Walder, Die Kripten von Marienberg im Vinschgau, Bolzano 1982.2 Importante sul tema della «vita angelica» J. leclercq, Wissenschaft und Gottverlangen, Düsseldorf 1963, p. 70 (orig. franc. Amour des lettres et désir de Dieu, Paris 1953). Cfr. anche h. staMPFer - h. Walder, loc. cit., p. 20.3 h. schützeichel, Wohin soll ich mich wenden? Zur Situation der Kirchenmusik im deutschen Sprachraum, in StdZ 209 (1991), pp. 363-374.4 Testo originale italiano in AAS 36 (190), pp. 329-339; trad. tedesca in HB. Meiyer, R. Pacik (a cura di), Dokumente zur Kirchenmusik unter besonderer Berücksichtigung des deutschen Sprachgebietes, Regensburg 1981, p. 23-34. Un implicito accenno a Regensburg (Ratisbona) lo si può trovare nell’introduzione a p. 24.5 Nell’introduzione al «Motu proprio» (p. 25) e in II 3 (pp. 27s.) si parla espressamente della partecipazione attiva dei fedeli come di un fondamentale principio liturgico. G. roManato, Pio X. La vita di Papa Sarto, Milano 1992, disegna la preistoria del «Motu proprio» nella biografia di Pio X: nel seminario di Padova egli aveva diretto la «Schola cantorum», e in un quaderno che portava con sé ancora da patriarca di Venezia aveva steso alcune note sull’argomento. Come vescovo di Mantova aveva speso molto tempo ed energie, durante la riorganizzazione del Seminario, per la «scuola di musica». Lì imparò a conoscere anche Lorenzo Perosi, che gli rimase molto amico e che dal suo studio a Regensburg aveva ricevuto impulsi determinanti per la sua opera di musicista. A Venezia proseguì l’incontro con Perosi. Lì pubblicò nel 1895 una lettera pastorale, che si basa su uno scritto che nel 1893 egli aveva inviato alla Congregazione dei Riti e quasi alla lettera anticipa il «Motu proprio» del 1913 (pp. 179ss.; pp. 213s.; pp. 247s.; p. 330).6 roManato, op. cit., p. 247, rinvia anche al giudizio di R. Aubert, che ha definito Pio X come il più grande riformatore della vita interna della Chiesa dal tempo del concilio di Trento.7 schützeichel, op. cit., pp. 363-366.8 Catechismo della Chiesa Cattolica, 1069.9 Ibid.10 Ibid., 1097.11 Cfr. Costituzione liturgica, 8; vedi anche la nota seguente.44

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12 Catechismo, 1090; Costituzione liturgica, 8. Il Catechismo ricorda che la stessa idea è stata espressa anche nella Costituzione sulla Chiesa, 50, ultima frase.13 P. harnoncourt, Gesang und Musik ivi Gottesdienst, in h. schützeichel, Die Messe. Ein kirchenmusikalisches Handbuch, Düsseldorf 1991, pp. 9-25, citazione di p. 13.14 Op. cit., 17.15 Op. cit., p. 336.16 Op. cit., p. 24.17 De dominjca oratione, 4, CSEL, III,1 (a cura di Hartel), pp. 268s.18 Op. cit., p. 17.19 Cfr. su questo il lavoro meticoloso di W. MenKe, Stellvertretung. Schlüsselbegriff christlichen Lebens und theologische Grundkategorie, Einsiedeln-Freiburg 1991.20 Op. cit., p. 21.21 e.J. lenGelinG, Die neue Ordnung der Eucharistiefeier, Regensburg 19712, p. 234. Cfr. b. JeGGle-Merz, h. schützeichel «Eucharistiefeier» in H. Schützeichel, Die Messe (vedi nota 13), pp. 90- 151, qui pp. 109s.22 Cfr. K. onasch, Kunst und Liturgie deir Ostkirche, Wien-Köln-Graz 1984, p. 329.23 Cfr. J.a. JunGMann, Missarum sollemnia II, Freiburg 1952, pp. 168ss.24 Ibid., p. 174.25 Ibid., pp. 175s.26 Ibid., p. 172.27 Cfr. K. onasch, op. cit., p. 329; JunGMann, op. cit., p. 166. In san Clemente (Ad Cor., 34) si trova già anche il collegamento di Ger 6 con Dn 7,10, che è presupposto nella composizione del Sanctus liturgico; è precisamente quella visione che abbiamo trovato nelle immagini di Marienberg: «Facciamo attenzione a come tutta la schiera dei suoi angeli sta presso di lui». Sulla datazione di 1 Clem. cfr. th.J. herron, The dating of the first epistle of Clemens to the Corinthians, Roma 1988. Herron tenta di mostrare che 1 Clem. non è da datare nel 96 dopo Cristo circa, ma piuttosto attorno al 70.28 JunGMann, op. cit., pp. 170s. (note 41 e 42).29 JunGMann, op. cit., p. 171, nota 42. Cfr. r. Pesch, Das Markusevangelium, II, Freiburg 1977, p. 184.30 Cfr. JunGMann, op. cit., p. 165. In questo contesto può interessare l’accenno al fatto che il «Motu proprio» di Pio x del 1903 in III, 8 (p. 29) insiste sul fatto che nei canti della S. Messa possono essere impiegati solo i testi liturgici. Solo «una» eccezione viene ammessa: conformemente all’uso della Chiesa di Roma dopo il Benedictus della Messa Solenne può venir cantato un mottetto al Santissimo sacramento.31 Op. cit., pp. 413-422.

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ito STRUTTURA DELL’ANNO LITURGICO1.

Il documento: “Misterii Paschali” di Papa Paolo VI richiama alla centralità del mistero pasquale, che ne è anche la fonte, del calendario liturgico. Il richiamo è doveroso e giustificato all’interno dello stesso documento:

“Nel corso dei secoli la moltiplicazione delle feste, delle vigilie o delle ottave, e anche la complicazione progressiva delle diverse parti dell’anno liturgico, hanno spesso portato i fedeli a devozioni particolari, così da dare l’impressione di scostarsi alquanto dai misteri fondamentali della Redenzione divina”.

così che i fedeli non siano confusi circa l’importanza delle numerose feste che il calendario propone.

È interessante notare che nella liturgia Ambrosiana, nel nuovo e recente ordinamento del Messale Ambrosiano, tale centralità è ribadita dalla messa vespertina del sabato, di tutti i sabati dell’anno, che comprende una liturgia iniziale con l’annuncio del Vangelo della risurrezione.

Ritornando al documento di Papa Paolo VI, esso non si limita a porre in luce più viva il mistero pasquale ma definisce, in qualche modo, una scala di importanza delle varie feste dell’anno liturgico: tutto il periodo pasquale, Natale e Avvento, culto della beata Vergine Maria, i Santi.

Si può ora, dopo aver ribadito il concetto fondamentale del tempo cristiano, passare ad analizzare la struttura dell’anno liturgico del calendario romano.

L’inizio dell’anno liturgico è la prima domenica di Avvento che apre il ciclo annuale delle feste della Chiesa.

Già qui si deve notare che l’anno liturgico non corrisponde al tempo (calendario) civile.

A seguire, come tempo forte dell’anno, c’è la Pasqua annuale, con il ciclo pasquale (tempo di preparazione che precede la festa e un tempo che la segue).

Esso comincia con il Mercoledì delle Ceneri e si conclude, con una durata complessiva di 13 settimane e mezza, la domenica di Pentecoste.

In modo simile anche la celebrazione annuale della Nascita di Cristo si è sviluppata in un ciclo festivo con un tempo di preparazione e uno di risonanza solenne (dalla prima domenica di Avvento alla domenica dopo l’Epifania = festa del Battesimo del Signore).

Questi due cicli festivi sono i pilastri portanti dell’anno liturgico. Le 33 o 34 settimane intermedie, nelle quali

«si ricorda il mistero stesso di Cristo nella sua pienezza»

portano il nome di tempo per annum o di tempo ordinario. Esso si inizia con il lunedì dopo la festa 46

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odel Battesimo del Signore e si conclude con il sabato precedente la prima domenica di Avvento (in mezzo c’è il tempo pasquale).

I due cicli festivi, il tempo ordinario e le rimanenti solennità e feste dedicate al mistero della redenzione sono designate anche come Temporale o Proprio del tempo.

Il calendario delle celebrazioni dei santi è designato come Santorale. La figura seguente (presa dal corso di Liturgia 1) rende più efficace la spiegazione.

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ito La distribuzione del tempo nel corso dell’anno è ben esplicata nella figura seguente

Anche in questo caso risulta evidente dalla distribuzione delle settimane dei tempi forti, l’importanza che il mistero pasquale assume, esso corrispone a circa un quarto dell’intero anno liturgico.

Gli anni liturgici si alternano anche in due calendarizzazioni distinte: la calendarizzazione • Temporale, che tratta le celebrazioni inerenti a Gesú Cristo

e la calendarizzazione • Santorale, che tratta le celebrazioni dei discepoli di Gesú, dei santi e dei Beati, ma anche le feste della Dedicazione delle Cattedrali.

L’argomento é interessante, ha radici storiche e teologiche e andrebbe approfondito ma vale la pena di accennare che in realtá il calendario liturgico é caostituito da una intersezione delle due calendarizzazioni. A titolo di esempio, la festa della Annunciazione che é espressione del Temporale, appartiene in realtá al Santorale; la festa della Maria santissima Madre di Dio che é espressione del Santorale, appartiene al Temporale a causa del suo legame col Natale.

È opportuno accennare ora anche alla struttura dell’anno liturgico Ambrosiano che, nel dialogo dialettico con la Chiesa Romana, ne é espressione e complemento allo stesso tempo.

Il rito ambrosiano sfrutta il tesoro che S. Ambrogio ci ha lasciato nei suoi documenti cho non sono andati perduti nel tempo. Paolo VI, che é stato Vescovo di Milano, ne ha apprezzato le peculiaritá e lo ha valorizzato alla luce del Concilio Vaticano II. Di seguito i vescovi suoi successori a Milano hanno proseguito la sua opera promuovendo nuove edizioni del Messale Ambrosiano e delle liturgie delle ore fino all’ultima versione di pochi anni fa.

Da notare che ció é possibile a causa del fatto che il Vescovo di Milano gode della qualifica di Capo Rito del rito ambrosiano, forse unico in Occidente ad eccezione del pontefice romano. 48

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oIn conclusione, analizziamo ora i vari aspetti del Rito Ambrosiano, e di alcune sue significative differenze rispetto a quello romano.

Calendario Liturgico

L’anno liturgico inizia prima. Precisamente con i primi vespri della prima domenica di Avvento. •Essa ricorre la prima domenica dopo la festa di S. Martino (11 novembre); questo perché l’avvento è di 6 settimane (invece di 4). Le prime settimane hanno significato escatologico e parlano di piú della seconda venuta di Cristo che della prima.S. Ambrogio e S Carlo, patroni della diocesi di Milano e del rito, sono Solennità.•

La sesta domenica di avvento è la solennità della “Incarnazione o della Divina Maternità •della Vergine Maria” (1 gennaio per il R.R.). Dal 17 dicembre si interrompe la celebrazione delle ferie di avvento e si passa alle ferie •“dell’Accettato” (de exceptato).Nei giorni 26 27 28 dicembre si celebrano le 3 feste anche se dovessero cadere di •domenica.L’1 gennaio si celebra la Circoncisione di Gesù.•

La quarta domenica di Gennaio è la Festa della Sacra Famiglia (e non la domenica nell’ottava •di Natale).La quaresima inizia con i primi Vespri della prima domenica e non col mercoledí delle •ceneri come nel rito romano. Non si celebrano feste di santi per tutta la Quaresima. Uniche eccezioni: S. Giuseppe e •l’Annunciazione.I Venerdì di quaresima sono aneucaristici, cioè non si celebra la Messa nè si distribuisce •l’Eucaristia (eccettuato il viatico). Si omette il Magnificat e seconda orazione ai vespri. Se però ricorrono le Solennità di S. Giuseppe o dell’Annunciazione si celebra la Messa.Il sabato precedente alla domenica delle Palme è il Sabato in Tradizione Simboli, ovvero il •giorno in cui viene consegnato il credo ai catecumeni (precedenza anche su S. Giuseppe e Annunciazione). La struttura dei riti della Settimana Santa é significativamente diversa, ma per il dettaglio é •neccessario un maggior approfondimento.La terza domenica di ottobre è la Solennità della Dedicazione del Duomo di Milano, chiesa •Madre di tutti i fedeli ambrosiani.La solennità di Cristo Re risulta anticipata rispetto al rito romano di 2 settimane.•

La benedizione annuale delle famiglie e delle case avviene durante il tempo di Avvento e •non in occasione della Pasqua.

Le fonti del contributo sono: www.wikipedia.it, www.quran2.it, www.chiesadimilano.it, oltre naturalmente alle dispense dei vari corsi.

Forse quanto segue é un pò fuori tema (e oltre le 4 pagine) rispetto al titolo del capitolo, ma vale la pena di citare le differenze anche della messa e non solo dell’Anno Liturgico. È molto utile conoscerle per chi, abituato al piú diffuso rito romano, si trova a transitare nelle parrocchie che celebrano secondo il rito ambrosiano.

Naturalmente lascio al redattore del documento finale la facoltá di inserire o meno questa parte. 49

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ito Messa in Rito Romano Messa in Rito ambrosiano

RITI INIZIALI RITI INIZIALI

Canto di ingresso Canto di ingressoSaluto del celebrante Saluto del celebranteAtto penitenziale Atto penitenziale (omesso se si fa l’ingresso

solenne col canto dei 12 Kyrie)“Signore, pietà” ***Gloria (non si recita in Avvento e Quaresima) Gloria (non si recita in Avvento e Quaresima)Colletta Orazione all’inizio dell’assemblea liturgica

LITURGIA DELLA PAROLA LITURGIA DELLA PAROLA

1a lettura 1a letturaSalmo responsoriale Salmo responsoriale2a lettura EpistolaAcclamazione al Vangelo Acclamazione al VangeloVangelo VangeloOmelia OmeliaProfessione di fede (Credo) ****** Canto dopo il Vangelo (durante il quale i mini-

stranti preparano l’altare ponendo sulla mensa il corporale, il purificatoio e il calice)

Preghiera universale con conclusione delcelebrante

Preghiera universale (se possibile in ginocchio)

*** Orazione a conclusione della liturgia della parola

LITURGIA EUCARISTICA LITURGIA EUCARISTICA

*** Scambio del gesto di pacePresentazione delle offerte Presentazione delle offerteLavanda delle mani (Lavanda delle mani facoltativa)*** Professione di fede (Credo)“Pregate fratelli” ***Orazione sopra le offerte Orazione sui doniPrefazio e preghiera eucaristica Prefazio e preghiera eucaristica

SulleotedelloSpirito

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RITI DI COMUNIONE RITI DI COMUNIONE

*** Frazione del Pane (Canto allo spezzare del Pane o Confrattorio

Padre Nostro Padre NostroEmbolismo EmbolismoPreghiera per la pace Preghiera per la paceAugurio di pace (“La pace del Signore sia...) Augurio di pace (“La pace e la comunione del

Signore nostro Gesù Cristo sia....”)scambio del gesto di pace ***Frazione del Pane (Agnello di Dio) ****** Momento di silenzioComunione (Canto alla Comunione) Comunione (Canto alla Comunione)Orazione dopo la Comunione Orazione dopo la Comunione

RITI CONCLUSIVI RITI CONCLUSIVI

Benedizione Benedizione preceduta da tre Kyrie eleisonCongedo: “La Messa è finita. Andate in pace” “Rendiamo grazie a Dio”

Congedo: “Andiamo in pace” “Nel nome di Cristo”

SulleotedelloSpirito

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ito SCHEMA PER L’ANALISI DI UN CANTO2.

Introduzione: che canti facciamo? Canti belli, nuovi, facili, adatti...

14.1 Valori del canto nella Liturgia

canto / parolacanto e sua funzione sociale, aggregante canto funzione pedagogica

comunicazione – dialogo azione comunitaria assemblea sociologicamente strutturata e teologicamente distinta

Partecipazione: chiamata - risposta unità di un popolo differenziazione dei ruoli

14.2 Musica e Liturgia

Progetto ritualeRito - genere musicale (inno, acclamazione, salmodia, canto meditativo...)Rito - genere musicale - assemblea

14.3 Attori del canto nella Liturgia

Assemblea ministriCoroSolista - Salmista - AnimatoreStrumentisti

14.4 Musica - Testo

SCOMPOSIZIONE MUSICA E DEL TESTO

Ascolto della melodia e lettura della partitura melodia e armonia ritmo parte strumentale e parte vocale

ASCOLTO

Base musicale e base vocale

ANALISI DEL TESTO

origine, autore, forma, proporzioni, tematiche svolte. Struttura, uso liturgico

CAPACITA’ESECUTIVA

arrangiamenti...e ri - proposizione di canti con stili diversi

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14.5 Canto e sua funzione nella Liturgia

MOMENTO RITUALE FUNZIONE GENERE MUSICALE ATTORI

RITI DI INTRODUZIONECanto di ingresso aggregativa Corale/inno Ass./CoroSignore Pietà invocazione Litania Sol/Ass.Gloria lode a Cristo Inno Ass./Coro

LITURGIA DELLA PAROLASalmo responsoriale Risposta alla parola salmodia Sal/Ass.

Canto al Vangelo Acclamazione al van-gelo

Acclamazione Sal/Ass.

Sequenza meditazione CoroProfessione di fede senso unità recitativo Coro/Ass.Prece dei fedeli invocazione litania Sol/Ass.

LITURGIA EUCARISTICAOffertorio meditativo CoroPE: Santo acclamazione Ass.Annunciamo acclamazione Ass.Amen acclamazione Ass.Padre nostro unità recitativo Ass.Tuo è il Regno acclamazione Ass.Agnello Canto frazione del

panelitania Coro/Ass.

Canto comunione processionale inno Coro/Ass.Canto dopo la comunione meditativo Coro/Ass.

RITI DI CONGEDOcanto finale lode e benedizione a

DioMusica o Coro

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ito IMPARIAMO A SUONARE UN CANTO CON LA CHITARRA3.

di Marcello Manco (musicista e compositore)

In questa sezione di volta in volta verrà proposto un canto del libretto “Dio della mia lode” per aiutare tutti coloro che suonano la chitarra. Le frecce sono l’aiuto più immediato ed efficace. La freccia in basso (battere) rappresenta la pennata in basso, la freccia in alto rappresenta la pennata in alto (levare). Nel canto di specie, c’è anche una tablatura. I numeri sulla tablatura rappresentano i tasti della tastiera della chitarra mentre i numeri all’inizio della tablatura rappresentano invece le note.

© 2012 Servizi Rinnovamento nello Spirito Santo S.c.p.l.–Italia CD RCD26 “Grazi

Re APRI I MIEI OCCHI SIGNORE, La/do# APRIMI GLI OCCHI DEL CUOR, Sol/si Mi-7 Re4 Re Re4 Re VOGLIO VEDERTI, VOGLIO VEDER – TI. (x2) La Si- Vederti splendere Signor, Sol7+ La4 nella luce della tua gloria, La ricolmi del tuo amor, Si- Mi-7 La4 La cantiamo: “Santo, Santo, Santo”. 4 (da capo) Vederti splendere Signor, nella luce della tua gloria, ricolmi del tuo amor, cantiamo: “Santo, Santo, Santo”. Re Santo, Santo, Santo La/do# Santo, Santo, Santo Sol/si Sol Re4 Re Re4 Re Santo, Santo, Santo, voglio veder – ti. 2 2 (x4) Re APRI I MIEI OCCHI SIGNORE, La/do# APRIMI GLI OCCHI DEL CUOR, Sol/si Mi-7 Re4 Re Re4 Re VOGLIO VEDERTI, VOGLIO VEDER – TI. (x2) 2 2

407 APRI I MIEI OCCHI SIGNORE (Paul Baloche)

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© 2012 Servizi Rinnovamento nello Spirito Santo S.c.p.l.–Italia CD RCD26 “Grazi

Re APRI I MIEI OCCHI SIGNORE, La/do# APRIMI GLI OCCHI DEL CUOR, Sol/si Mi-7 Re4 Re Re4 Re VOGLIO VEDERTI, VOGLIO VEDER – TI. (x2) La Si- Vederti splendere Signor, Sol7+ La4 nella luce della tua gloria, La ricolmi del tuo amor, Si- Mi-7 La4 La cantiamo: “Santo, Santo, Santo”. 4 (da capo) Vederti splendere Signor, nella luce della tua gloria, ricolmi del tuo amor, cantiamo: “Santo, Santo, Santo”. Re Santo, Santo, Santo La/do# Santo, Santo, Santo Sol/si Sol Re4 Re Re4 Re Santo, Santo, Santo, voglio veder – ti. 2 2 (x4) Re APRI I MIEI OCCHI SIGNORE, La/do# APRIMI GLI OCCHI DEL CUOR, Sol/si Mi-7 Re4 Re Re4 Re VOGLIO VEDERTI, VOGLIO VEDER – TI. (x2) 2 2

407 APRI I MIEI OCCHI SIGNORE (Paul Baloche)

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di don Gianfranco Poma - Assisi, 13 marzo 2001

Procederò con la seguente scansione:

1. Celebrare riti cristiani: nell’orizzonte del “sentire” ecclesiale.

2. La questione della poesia e della musica nei riti cristiani: è sempre la divina avventura della parola.

3. Esemplificazioni, a partire da qualche mio testo che mostra o tradisce le intenzioni sopra evocate.

1.1 Riporto anzitutto con corsivi miei e affidandomi al virgolettato del quotidiano Avvenire, qualche espressione del Santo Padre all’ultimo Congresso internazionale di musica sacra, promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura.

“Sono certo della vostra generosa collaborazione per conservare e incrementare il patrimonio culturale della musica sacra al servizio di una liturgia fervorosa, luogo privilegiato di inculturazione della fede e di evangelizzazione delle culture.

Il canto popolare è canale di unità e gioia della comunità in preghiera e dà alle liturgie allargate una solennità incomparabile.

Ringrazia poi «compositori, direttori, musicisti, artisti e anche organizzatori e associazioni musicali per i loro sforzi di promuovere un repertorio che sia culturalmente ricco e che esprima i grandi valori collegati alla rivelazione biblica, alla vita di Cristo e dei santi, al mistero delta vita e della mode celebrato nella liturgia cristiana.

1.2 Merita attenzione il modo con cui è stato espresso dalla CEI, nell’ultimo suo documento dedicato alla formazione dei preti, l’orientamento circa la loro preparazione liturgica: Il seminarista ha diritto a una preparazione adeguata, per sé e per gli altri, al celebrare liturgico, che è fonte e culmine del suo ministero di domani. Non può mancare una teologia liturgica che sappia rispondere ad alcuni interrogativi essenziali: perché la Rivelazione passa attraverso i segni/simboli? qua è la relazione essenziale che intercorre tra la liturgia e la fede e tra la liturgia, la vita cristiana e la missione?

Similmente non può mancare un’antropologia della liturgia: corrispondenza tra il desiderio umano e l’uso dei simboli; specificità dei simboli cristiani e forza di significazione umana della liturgia, con attenzione alle altre simboliche che cercano di interpretare resistenza” (Linee comuni per la vita dei nostri seminari, 1999; corsivi miei)

1.3 Non è tralasciabile un cenno alla recente pubblicazione del volume del Card. Joseph Ratzinger, lntroduzione allo spirito della liturgia (2001 uno dei suoi capitoli s’intitola appunto Musica e liturgia <pp 132-162; i corsivi e le sottolineature sono miei>. L’Autore parte dall’episodio raccontato in Es. 15,1: “Allora Mosè cantò con gli Israeliti questo canto al Signore...,’; constata l’arco che unisce questo cantico con quello pasquale dell’Agnello in Ap. 16,2s: “...stavano ritti sul mare di cristallo. Accompagnando il canto con le arpe divine, cantavano il cantico di Mosé, servo di Dio, e il cantico dell’Agnello...”; e quindi osserva: “lì canto liturgico si colloca nel quadro di questa grande tensione storica Quello che abbiamo detto nella prima parte sulla fase intermedia della realtà cristiana – non più ombra, ma neppure realtà piena, bensì «immagine” – continua a valere anche qui: il nuovo canto definitivo è intonato, ma bisogna che si compiano tutte le sofferenze della storia, che tuffo il 60

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dolore sia raccolto e consegnato nel sacrificio di lode, per esservi trasformato nel canto di lode” (p. 133-134)

Più avanti, “ora è necessario considerare più da vicino la sua (=del canto liturgico)realtà pratica, l’Autore afferma che “il libro dei Salmi è la vera fonte a cui noi possiamo

poggiarci.Nella sua poesia orante esso ci mostra tutta la gamma di esperienze che davanti a Dio,

diventano preghiera e canto, lutto, lamento, persino accusa, paura, speranza, fiducia, gratitudine, gioia – tutta la vita vi si riflette, nel momento in cui vi si dispiega nel dialogo con Dio. Colpisce il fatto che persino il lamento in una situazione senza via di uscita si conclude quasi sempre con una parola di fiducia, per così dire, con un’anticipazione dell’azione salvifica di Dio. Per questo, in un certo senso si potrebbero definire tutti questi ~ inni” come variazioni del cantico di Mosè. – .. È importante, infine, rilevare che i salmi spesso provengono da esperienze del tutto personali di sofferenza e di esaudimento, ma sfociano comunque nella preghiera comune di Israele, così come si nutrono del fondamento comune della azioni trascorse di Dio (p. 134-135).

Infine questo passaggio: “Tutto questo non riguarda solo il testo, ma include l’elemento musicale La musica ecclesiale sorge come “carisma”, come dono dello Spirito. In essa soprattutto accade la sobria ebbrezza della fede, perché sono superate tutte le possibilità di pura razionalità. Ma questa ebbrezza resta sobria, perché Cristo e Io Spirito sono una cosa sola, perché questa lingua ebbra resta comunque interamente nella disciplina del Logos, in una nuova razionalità che, al di là di tutte le parole, serve alla parola originaria, che è il fondamento di ogni ragione” (p. 136).

1.3 Ecco infine una considerazione stimolante: “Perché si canta, cur cantatur nella liturgia? Dietro questa domanda, si profila un’altra

domanda: perché celebrare – e non fare, come si intende troppo spesso – la liturgia? Dare delle ragioni sarebbe insufficiente, e anche inadeguato: “il cuore a ragioni sue che la ragione non conosce affatto”. Perché si canta? La domanda è interessante a condizione di rispettare il suo statuto. lì canto nella liturgia è alla stregua della scoperta meravigliata di un’eccedenza. L’umanità non ha trovato nulla di meglio da fare per dire la propria fede che cantare per Dio, e addirittura cantare Dio. Nella liturgia il canto è un atto rituale, il che vuol dire che il canto è una delle maniere (non la sola) di celebrare. Esso non è un ornamento, ‘per abbellire”. L’atto del canto è forse l’atto più spirituale perché è il più carnale: attraverso il respiro è il corpo che diventa preghiera. Attraverso di lui si cerca e si crea anche la comunione. Cantare è vivere insieme, respirare insieme, accogliere l’unità che la celebrazione ci offre come un puro dono.

Nella liturgia cristiana, la musica ha questo statuto particolare, di essere al servizio della proclamazione della Parola. Infatti la tradizione ha dato al culto cristiano la forma di un culto “logico”, “ragionevole”. Non c’è volontà di ridurre la musica a uno statuto ancillare. Ma la musica è in relazione stretta con il testo che porta. Di più: essa lo interpreta. Allora, la scelta dei canti non è “accessoria”. Appartiene all’interpretazione della Parola. È bene rilevare che siamo lontani da una domanda puramente pratica e senza portata teologica” (Patrick Prétot, Le chant dans la liturgie, Transversalités, luglio-settembre 1998; p. 177-178; traduzione mia).

In concreto? L’Autore prosegue: “Occorre diffidare dei grandi principi: anche se perfettamente giusti ma utilizzati come degli assoluti i principi possono diventare arnesi molto duri. Certo, non tutto è conveniente, ma poiché la liturgia è un’attività umana inglobante, bisogna stare attenti a non utilizzare in maniera ideologica i principi liturgici. È una tentazione che incombe sui liturgisti come sugli attori della liturgia... Sembra preferibile cercare un percorso e dunque dei riferimenti, mirando se è possibile a una maniera di sentire, in vista di dotarsi a poco

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a poca di un saper fare. Questi riferimenti appartengono a tre ordini di dimensione che non sono tra loro impermeabili: la dimensione pastorale (quali canti per quale esperienza comunitaria?), la dimensione teologica (quali canti per quale formazione del popolo di Dio?), la dimensione spirituale (quali canti per quale incontro con Dio?) Insomma, la vera questione dei canto è quella del sentire con la Chiesa, per riprendere la bella formula di 5. Ignazio (ibidem, p.177-178>. Sulla terza dimensione l’Autore scrive. “Abbiamo notato i pericoli di una “intellettualizzazione” della liturgia, che conduce all’inflazione del discorso. Certo come ricorda il Vaticano lì (SC 33), la liturgia comporta anche un “grande valore pedagogico”. Tuttavia, questo “insegnamento attraverso la liturgia” funziona a condizione di rispettare la sua maniera propria che non è solamente quella dell’insegnamento discorsivo (omelie, esortazioni) ma anche quella dei gesti, dei riti, dei simboli. Questa pedagogia liturgica può essere caratterizzata da una parola: impregnazione, cioè memoria del cuore.

Il canto è a servizio di questa impregnazione. Deve favorire la memoria dei testi - da questo punto di vista la musica è in dipendenza dal testo – ma soprattutto permettere alla memoria dei testi di accedere a quel livello profondo che è quello del cuore. S. Agostino lo faceva già notare ai suoi fedeli di Ippona: cantare bene, e pregare due volte. lì rischio, anche quando si tratta di testi poetici, é quello di raggiungere solo la testa e non il cuore. La musica tocca più profondamente poiché essa é un’esperienza corporea. Raggiungendo l’orante in profondità, essa costituisce un mezzo privilegiato per plasmare la memoria viva che si ricorda della parola come di una presenza che canta. – .

L’esperienza delle comunità è un criterio di verifica. I brani che le comunità non memorizzano devono essere analizzati: l’assenza di memoria e’ il segno di una difficoltà più profonda (ibidem, p. 181 - 182).

Purtroppo “ la pratica della rilettura manca molto1 per non dire che essa è pressoché totalmente assente. In seguito a una celebrazione, ci si ferma troppo spesso alle reazioni spontanee, siano esse entusiastiche o critiche. Rileggere una liturgia, non è di per sé abbandonarsi a una critica degli attori e delle loro prestazioni, ma è sforzarsi di riferire come è stata vissuta, e anzitutto come mi ha toccato. Questo esercizio suppone sicuramente un allenamento e un’attenzione. Ma si può sperare che nella durata, se esso è praticato in comune, sfocerà in un vero e proprio approfondimento della vita liturgica (ibidem, p. 183).

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Si dà, dunque, e si comprende il caso serio (bello, certamente, per la vocazione che lo contraddistingue) e specifico di una “poesia” rituale, non univoca ma non totalmente indeterminata, la quale appunto non può che lievitare dentro il suo luogo proprio (che è la vita credente: suscitata, nutrita, riconosciuta, raccontata, contemplata partecipata nei ritmi dell’actio liturgica) e secondo le sue dinamiche proprie, la cui esperienza è anche in buona misura codificata e sempre ulteriormente codificabile, ma non accade per diligente deduzione dai codici. Gli alvei tracciano la via del fiume, ma non ne sono la corrente né da sè ne sprigionano la musica, pur contribuendo a provocarla.

Qui devo sviluppare qualche considerazione più esplicita sulla modalità o qualità poetica dei testi musicabili (già essi però musicali, con loro ritmo e un loro sound, già costituiti in echi e rimandi interni in qualche modo mossi e drammatici: l’armamentario insomma delle risorse della poesia come testo). Essi sono anche una questione tecnica, imprescindibilmente; ma non si risolvono in essa.

Luzi allude benissimo alla fisiologia del poetico - non escluso quello liturgico, anzi soprattutto in questo! quando scrive. “Sentivo che nessuna cosa pensata e provata per emozioni, per meditazione profonda, poteva assumere valore se non fosse discesa nella parola, non si

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fosse dunque immedesimata con la sua stessa espressione, non solo in una parola che descrivesse il pensiero oppure lo circoscrivesse, ma in una parola che lo creasse, che lo facesse nascere ed espandersi al di là del suo stretto meccanismo... E infatti credo che ogni pensiero che conti nasca nella parola che lo esprime, nasca insieme con la parola che lo esprime, nasca esprimendolo, nasca manifestandolo nello parola, così come accade nel Verbo giovanneo per ritornare appunto al principio di tutte le cose “(Luzi, Naturalezza del poeta, 1995, p. 294).

E più avanti scrive: « Tutto nella pratica della vita, parola, a renderla mere segno, a depotenziarla, convenzionale, non più spirito ma lettera -. - In uno parola, della lingua e del linguaggio umano, si situa esprime il rischio a cui è esposta la realtà della parola: rispondenza nè nell’oggetto che essa nomina, né nel proprio alla parola e dico: nella storia, tende a corromperla la a destituirla di senso, a renderla dei ritorni del tema ricorrente della la breve poesia che vi leggo. Essa quello di svuotarsi e di non avere più parlante medesimo. lo qui mi rivolgo

Vola alta, parola, cresci in profondità, tocca nadir e zenith della tua significazione, giacché talvolta lo puoi – sogno che la cosa esclami nel buio della mente – però non separarti da me, non arrivare, ti prego, a quel celestiale appuntamento da sola, senza il caldo di me o almeno il mio ricordo, sii luce, non disabitata trasparenza...

La cosa o la sua anima? o la mia e la sua sofferenza?(ibidem, p. 296).

Commento: la condizione culturale occidentale - la nostra, abbondantemente - corre il rischio di molta astrazione <sia nel senso di astrattezza che di separatezza “frammentata”> che lima dall’interno la parola, rendendola cava, priva di senso vitale, producendo la perdita del giusto contano e della giusta corrispondenza tra la realtà e la nominazione della realtà... C’è un automatismo produttivo, che ininterrottamente sforna cose non richieste dall’uomo, che non rispondono a nessuna autentica esigenza. L’uomo le “sue” cose ama nominarle, volendole a amandole dà loro il nome. Prosegue Luzi: “Eventi, luoghi, operazioni vitali sia pur minime e comuni, da inosservate che erano diventano vive, si manifestano in pieno, assumano significato e occupano (Visitano? - suggerisco IO) realmente i sensi e la mente: trovano allora un legame profondo con i nomi e con le parole che le designano. Le parole e le cose si risvegliano reciprocamente: aderiscono ciascuna alla loro realtà e si scambiano la loro potenza. E’ molto temerario cercare di de finirlo, ma a un dipresso così opera la generazione della vita dentro la sensibilità... E’ un ilare evento quando questo accade, intendo la duplice rivelazione, delle cose e delle parole: una rivelazione reciproca. Bisogna che l’uomo sia disponibile a questo evento anche se pochi ne desumeranno l’impulso a scrivere. Ma questo non è necessario, riceveranno sicuramente l’impulso a vivere più intensamente il mondo che ci è dato. E non ci è dato a caso per nulla (ibidem, p. 297-298).

Qui ci sono spunti che non devono proprio essere dispersi o ricacciati indietro, nemmeno dinanzi alla tipicità dell’esperienza religiosa nella sua forma liturgica, anzi meno che mai in essa. Essi ci avviano a impostare bene i dilemmi tutt’altro che impertinenti “testo facile - testo difficile”, “linguaggio aperto - linguaggio blindato”, “testo narrativo - testo lirico”.

C’è pure un compito dell’estetica teologica, la quale non può mancare di “pensare” i fatti della sensibilità e la loro portata dinanzi al trascendente e al divino, nel cuore stesso dell’esperienza religiosa. Nella nostra civiltà la riflessione ha individuato diverse direttrici lungo le quali delineare l’idea del bello:

> una ha posto l’accento sull’armonia della proporzione, grazie alla quale non sorge conflitto tra ciascuna delle parti e il tutto;

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un’altra pone l’accento sullo splendore, sull’apparire sorprendente e luminoso della cosa non- Fmai-vista-così, non-mai-udita-cosi: la manifestazione della sua originalità ci visita e accende in noi uno stupore che ha l’incandescenza di un essere interpellati ed anche interpellanti (perché ora sfavilli così? perché a me? perché lo spettacolo mi induce a guardare come uno che è chiamato in causa?);

una terza privilegia decisamente l’accento sull’amabilità della cosa, la quale F senza prevaricazione, mi raggiunge dotata della capacità di fami amare. Non solo e non necessariamente come un’esperienza di piacere, ma di benessere: anche una “ferita”, una separazione, una distanza incolmabile possono fasciar intravedere una destinazione d’amore, e quindi risultare un’epifania della bellezza.

Questa terza direttrice ha oggi molte chances di persuasione e di fecondità. Ma ce ne lasciamo lavorare lo spirito?

Seguiamo con molta attenzione e in commossa sintonia spirituale questa confessione di Patrice de la Tour du Pin:

lì poeta di cui sto discorrendo pratica normalmente la sua religione, va regolarmente alla messa. Egli si espone dunque spesso, non solo alla memoria di ciò che lui ha imparato su Dio al catechismo, non solo a un vago territorio religioso dove alcuni concetti mentali raccolti nel corso delle sue letture si mescolano alle aspirazioni del suo cuore, ma a tutto un preciso universo verbale liturgico; e quando vi si inoltra, non è né il Dio astratto del pensiero, né il dio spesso immanente della poesia quello che lui incontra, ma una grande corpo verbale in cui sono costantemente evocate le tre persone di Dio. La sua attrazione forse istintiva verso il mistero subirà la prova di questa distinzione trinitaria che non é una separazione, la sua fede sarà forse alimentata di chiarezza grazie ad essa, ma il suo cervello e le sue funzioni creatrice” non saranno oscurate. E se la pressione si manifesta ancora e suscita un nuovo bisogno di esprime da, il poeta sentirà di più la sua insufficienza insieme con la mancanza di parole convenienti per dire ciò che pur tuttavia alcune parole gli hanno trasmesso, per rendere in un universo verbale ciò che la Chiesa gli ha dato. Ancora una volta si scontrerà con l’ineffabile, e tuttavia con un ineffabile che è già stato portato dalla parola umana, e che ostinatamente provoca la sua, poiché egli non può sfuggire alla sua vocazione primaria di tradurre: tutto accade come se la funzione poetica in lui fosse vitale, e come se i suoi continui insuccessi non le consentissero di lasciar perdere” Testo di una conferenza tenuta alla settimana internazionale di Universa Laus del 1967, apparso nel volume La tache musicale des acteurs de la céébraflon, Ed Fleurus).

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01 GENNAIO - MARIA SANTISSIMA MADRE DI DIO

Ingresso 217 kyrie M Gialloreti Gloria 26Canto al Vangelo 18 Offertorio 196 Santo 234Anamnesi Dossologia Padre Nostro 203Embolismo Agnello di Dio 219 Comunione 371Ringraziamento 361 Conclusione 304

06 GENNAIO - EPIFANIA DEL SIGNORE

Ingresso 356 Kyrie 347 Gloria 27Canto al Vangelo 15 Offertorio 280/342 Santo 233Anamnesi Dossologia Padre Nostro 203Embolismo Agnello di Dio 137 Comunione 298Ringraziamento 219 Conclusione 131/345

13 GENNAIO - BATTESIMO DEL SIGNORE (ANNO C)

Ingresso 47 Kyrie (Sorgente di salvezza) Gloria 145Canto al Vangelo 23 Offertorio 59 Santo 235Anamnesi Dossologia Padre Nostro (Sorgente di salvezza)

Embolismo Agnello di Dio (Sorgente di salvezza) Comunione 383Ringraziamento 132/320 Conclusione 354

20 GENNAIO - II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Ingresso 27 Kyrie 352 Gloria 364Canto al Vangelo 162 Offertorio 03 Santo ex 120 Anamnesi Dossologia Padre Nostro 203Embolismo Agnello di Dio 279/64 Comunione 143Ringraziamento 333 Conclusione 294

CANTI PER LE DOMENICHE DEL MESE DI GENNAIO1.

Questa sezione vuole essere d’aiuto e di indicazione per la scelta dei canti per la Celebrazione Eucaristica considerando la liturgia del giorno e il tempo liturgico.

La numerazione è riferita al libretto Dio della mia Lode anno 2011.

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27 GENNAIO - III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Ingresso 358 kyrie M Gialloreti Gloria 26Canto al Vangelo 18 Offertorio 196 Santo 234Anamnesi Dossologia Padre Nostro 203Embolismo Agnello di Dio 6 Comunione 371Ringraziamento 326 Conclusione 40/41

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3 FEBBRAIO - IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Ingresso 02 kyrie M Gialloreti Gloria 26Canto al Vangelo 18 Offertorio 196 Santo 234Anamnesi Dossologia Padre Nostro 203Embolismo Agnello di Dio 6 Comunione 371Ringraziamento 333 Conclusione 40/41

10 FEBBRAIO - V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Ingresso 27 Kyrie 347 Gloria 27Canto al Vangelo 15 Offertorio 280/342 Santo 233Anamnesi Dossologia Padre Nostro 203Embolismo Agnello di Dio 7 Comunione 298Ringraziamento 219 Conclusione 131/345

17 FEBBRAIO - I DOMENICA DI QUARESIMA (Anno C)

Ingresso 141 Kyrie (Sorgente di salvezza) Gloria 145Canto al Vangelo 23 Offertorio 59 Santo 235Anamnesi Dossologia Padre Nostro (Sorgente di salvezza)

Embolismo Agnello di Dio (Sorgente di salvezza) Comunione 383Ringraziamento 137 Conclusione 85

24 FEBBRAIO - II DOMENICA DI QUARESIMA (Anno C)

Ingresso 329 Kyrie 352Lode e gloria a te 165 Offertorio 03 Santo ex 120 Anamnesi Dossologia Padre Nostro 203Embolismo Agnello di Dio 7 Comunione 143Ringraziamento 368 Conclusione 294

CANTI PER LE DOMENICHE DEL MESE DI FEBBRAIO1.

Questa sezione vuole essere d’aiuto e di indicazione per la scelta dei canti per la Celebrazione Eucaristica considerando la liturgia del giorno e il tempo liturgico.

La numerazione è riferita al libretto Dio della mia Lode anno 2011.

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03 MARZO - III DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)

10 MARZO - IV DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)

17 MARZO - V DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)

24 MARZO - DOMENICA DELLE PALME - PASSIONE DEL SIGNORE (ANNO C)

CANTI PER LE DOMENICHE DEL MESE DI MARZO1.

Questa sezione vuole essere d’aiuto e di indicazione per la scelta dei canti per la Celebrazione Eucaristica considerando la liturgia del giorno e il tempo liturgico.

La numerazione è riferita al libretto Dio della mia Lode anno 2011.

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CANTI PER IL TRIDUO PASQUALE

Questa sezione vuole essere d’aiuto e di indicazione per la scelta dei canti per la Celebrazione Eucaristica considerando la liturgia del giorno e il tempo liturgico.

La numerazione è riferita al libretto Dio della mia Lode anno 2011.

28 MARZO - GIOVEDI SANTO - IN COENA DOMINI

29 MARZO - VENERDI SANTO - MESSA CRISMALE

30 MARZO - VEGLIA PASQUALE

31 MARZO - PASQUA DI RISURREZIONE DEL SIGNORE

COME DATRADIZIONE

COME DATRADIZIONE

COME DATRADIZIONE

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AL SERVIZIO DELLA PAROLA2.

Il salmo responsoriale è strettamente legato alla prima lettura. Si presenta come un’eco di essa.

Si tratta di un testo poetico che si esprime ritmicamente e che ha bisogno di calma, pause, silenzio. Ecco perché è bene differenziare il lettore della prima lettura da chi proclama o canta il salmo. Si tratta di due stili diversi: uno in prosa, in narrazione, l’altro in poesia pregata (o preghie-ra poetica). Il salmo non deve apparire come una lettura supplementare, ma una risposta lirica dell’assemblea alle meraviglie che Dio sta realizzando in lei. Il salmo e, in particolare, il ritornello ripetono per lo più una o l’altra delle parole che sono state proclamate. Il popolo risponde al Si-gnore riutilizzando le Sue parole appena ascolta- te. Il ritornello introduce il salmo e gli dà il suo colore, dando anche la chiave di interpretazione principale della lettura appena proclamata (nel contesto liturgico).

Il salmo normalmente sia cantato, possibilmente sia nel ritornello (solista con assemblea) che nella strofa (solista). Ma almeno il ritornello sia sempre cantato la domenica e nelle solennità. È possibile prevedere alcune “melodie-tipo” che possono adattarsi a diversi ritornelli. Potrebbe es-sere la soluzione di partenza, da superare poi, pian piano, con l’impegno di insegnare e cantare melodie diverse per ogni salmo (ecco il senso della raccolta diocesana dei Salmi).

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01 GENNAIO – MARIA SANTISSIMA MADRE DI DIO

Tratto dal Salmo 66 – Dio abbia pietà di noi e ci benedica.

SALMODIE•

Dio abbia pietà di noi e ci benedica,su di noi faccia splendere il suo volto;perché si conosca sulla terra la tua via,la tua salvezza fra tutte le genti.

Gioiscano le nazioni e si rallegrino,perché tu giudichi i popoli con rettitudine,governi le nazioni sulla terra.

Ti lodino i popoli, o Dio,ti lodino i popoli tutti.Ci benedica Dio e lo temanotutti i confini della terra.

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06 GENNAIO – EPIFANIA DEL SIGNORE

Tratto dal Salmo 71 – Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra.

O Dio, affida al re il tuo diritto,al figlio di re la tua giustizia;egli giudichi il tuo popolo secondo giustiziae i tuoi poveri secondo il diritto.

Nei suoi giorni fiorisca il giustoe abbondi la pace,finché non si spenga la luna.E dòmini da mare a mare,dal fiume sino ai confini della terra.

I re di Tarsis e delle isole portino tributi,i re di Saba e di Seba offrano doni.Tutti i re si prostrino a lui,lo servano tutte le genti.

Perché egli libererà il misero che invocae il povero che non trova aiuto.Abbia pietà del debole e del miseroe salvi la vita dei miseri.

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13 GENNAIO – BATTESIMO DEL SIGNORE (ANNO C)

Tratto dal Salmo 103 – Benedici il Signore, anima mia.

Sei tanto grande, Signore, mio Dio!Sei rivestito di maestà e di splendore,avvolto di luce come di un manto,tu che distendi i cieli come una tenda.

Costruisci sulle acque le tue alte dimore,fai delle nubi il tuo carro,cammini sulle ali del vento,fai dei venti i tuoi messaggerie dei fulmini i tuoi ministri.

Quante sono le tue opere, Signore!Le hai fatte tutte con saggezza;la terra è piena delle tue creature.Ecco il mare spazioso e vasto:là rettili e pesci senza numero,animali piccoli e grandi. Tutti da te aspettanoche tu dia loro cibo a tempo opportuno.Tu lo provvedi, essi lo raccolgono;apri la tua mano, si saziano di beni. Nascondi il tuo volto: li assale il terrore;togli loro il respiro: muoiono,e ritornano nella loro polvere.Mandi il tuo spirito, sono creati,e rinnovi la faccia della terra.

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20 GENNAIO – II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Tratto dal Salmo 95 – Annunciate a tutti i popoli le meraviglie del Signore.

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27 GENNAIO – III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Tratto dal Salmo 18 – Le tue parole, Signore, sono spirito e vita.

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03 FEBBRAIO – IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Tratto dal Salmo 70 – La mia bocca, Signore, racconterà la tua salvezza.

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10 FEBBRAIO – V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Tratto dal Salmo 137 – Cantiamo al Signore, grande è la sua gloria.

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17 FEBBRAIO – I DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)

Tratto dal Salmo 90 – Resta con noi, Signore, nell’ora della prova.

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24 FEBBRAIO – II DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)

Tratto dal Salmo 26 – Il Signore è mia luce e mia salvezza.

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03 MARZO – III DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)

Tratto dal Salmo 102 – Il Signore ha pietà del suo popolo.

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10 MARZO – IV DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)

Tratto dal Salmo 33 – Gustate e vedete com’è buono il Signore.

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17 MARZO – V DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)

Tratto dal Salmo 125 – Grandi cose ha fatto il Signore per noi.

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24 MARZO – DOMENICA DELLE PALME - PASSIONE DEL SIGNORE (ANNO C)

Tratto dal Salmo 21 – Mio Dio, mio Dio, perchè mi hai abbandonato.

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28 MARZO – GIOVEDI SANTO - IN COENA DOMINI

Tratto dal Salmo 115 – Il tuo calice, Signore, è dono di salvezza.

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28 MARZO – GIOVEDI SANTO - MESSA CRISMALE

Tratto dal Salmo 88 – Canterò per sempre l’amore del Signore.

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30 MARZO – VENERDI SANTO

Tratto dal Salmo 30 – Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.

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30 MARZO – VEGLIA PASQUALE

Tratto dal Salmo 103 – Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra.

(Salmo dopo la Prima Lettura)

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30 MARZO – VEGLIA PASQUALE

Tratto dal Salmo 15 – Proteggimi o Dio; in te mi rifugio.

(Salmo dopo la Seconda Lettura)

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30 MARZO – VEGLIA PASQUALE

Tratto dal Salmo Es 15,1b-6.17-18 – Cantiamo al Signore; stupenda è la sua vittoria.

(Salmo dopo la Terza Lettura)

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30 MARZO – VEGLIA PASQUALE

Tratto dal Salmo 29 – Ti esalterò Signore, perché mi hai liberato.

(Salmo dopo la Quarta Lettura)

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30 MARZO – VEGLIA PASQUALE

Tratto dal Salmo Is 12, 2. 4-6– Attingeremo con gioia alla sorgenti della salvezza.

(Salmo dopo la Quinta Lettura)

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30 MARZO – VEGLIA PASQUALE

Tratto dal Salmo 18 – Signore, tu hai parole di vita eterna.

(Salmo dopo la Sesta Lettura)

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30 MARZO – VEGLIA PASQUALE

Tratto dal Salmo 41 – Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio.

(Salmo dopo la Settima Lettura)

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ANIMAZIONE DOMENICALE - SALMI RESPONSORIALIS

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31 MARZO – PASQUA DI RISURREZIONE DEL SIGNORE

Tratto dal Salmo 117 – Questo è il giorno che ha fatto il Signore; rallegriamoci ed esultiamo.

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Progetto grafico e impaginazione: Francesco Angioletti

Cos’è il coraggio?È quella sensazione che provi quando

senti che puoi andare oltre,vuoi superare quella cosa…

È quella spinta che ti fa avanzaresenza farti troppe domande.È quella vocina che ti dice

“Vai, fallo!”Lo senti nel cuore, nella testa, nel respiro.

In quell’espressione del voltoche quando ti guardi allo specchioti dice: “ce la posso fare, lo faccio!”

Il coraggio è in ognuno di noi.Si manifesta quando prendiamo una decisione,

quando lottiamo per la nostra causa,quando difendiamo qualcuno,

quando lasciamo correre,quando vogliamo superare la paura…

Il coraggio ci fa andare oltrefino a superare i nostri limiti.

Abbi sempre coraggio,perchè la sua forza ci rende fieri!

CIAO PAPA

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Sulle note dello Spirito

INDICE LITURGICO PER LA S. MESSA

INGRESSO

2 ACCLAMATE A DIO 335 ACCLAMIAMO AL SIGNORE 15 ALLELUIA AL REDENTORE (natalizio) 17 ALLELUIA AL SIGNORE DEI CIELI 24 ALZANO I FIUMI SIGNORE 19 ALLELUIA, CRISTO E’ RISORTO (nel tempo di Pasqua) 25 ALZATI E RISPLENDI 31 APRI LE TUE BRACCIA 38 BENEDICIAMO IL SIGNORE 39 BENEDICTUS 40 BENEDIRO’ IL SIGNORE 43 BENEDITE IL SIGNOR 46 CANTANDO GIOIA 47 CANTATE AL SIGNORE CON GIOIA 54 CANTICO DELL’AGNELLO 56 CANTICO DI GIUDITTA 60 CESAREA DI FILIPPO 62 CHI HA SETE 67 COME DAVIDE 66 COME E BELLO (DAR LODE AL SIGNORE) 69 CON GIOIA VENIAMO A TE 75 CRISTO E’ RISORTO VERAMENTE 323 CRISTO GESU’ SPERANZA DELLE GENTI 81 DATE GLORIA A LUI 86 DIO REGNA 334 E’ IL SIGNORE LA MIA SALVEZZA 91 E’ VERSO DI TE CHE GUARDO 97 ETERNA E’ LA SUA MISERICORDIA 100 FIGLIA DI SION 104 GERICO CADRA’ 119 GIOISCI FIGLIA DI SION

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Sulle note dello Spiritoin

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126 GLORIA AL RE DEI RE 127 GLORIA AL SUO NOM 131 GLORIFICATE DIO 345 GLORIFICHIAMO IL TUO NOME 140 IL SACRIFICIO DELLA LODE 141 IL SIGNORE E’ LA MIA SALVEZZA 145 INNALZIAMO IL NOME TUO SANTO 355 INSIEME CANTIAMO 154 ISAIA 11 155 ISAIA 43 335 LA NOSTRA LODE INNALZIAMO 157 LAUDATO SII 160 LODATE I CIELI DEI CIELI 372 LODATE IL SIGNORE 161 LODATE IL SUO NOME 174 MARANATHA’ 176 MARANATHA’ VIENI SIGNOR 180 MIA FORZA E MIO CANTO 186 NE’ LA MORTE NE’ LA VITA 193 O CIELI PIOVETE DELL’ALTO 200 OSANNA AL RE DEI RE 198 OSANNA 206 PADRE T’AMIAMO (LODE AL TUO SIGNOR) 339 QUESTO E’ IL GIORNO FATTO DAL SIGNORE(PASQUALE) 376 REDENTORE DELLE GENTI 225 SALDO E’ IL MIO CUORE DIO 229 SALMO 150 226 SALMO 27 245 SAMPRE CANTERO’ 248 SIA GLORIA A GESU’ 254 SII ESALTATO 255 SII ESALTATO SIGNORE 258 SOLO NEL SIGNORE 380 SOLO TU IL MIO DIO 261 SORGA DIO 262 SORGI GERUSALEMME 263 SORGI RISPLENDI

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Sulle note dello Spirito

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264 SORGI SALVAMI MIO DIO 395 SPALANCA LE TUE PORTE 275 SVEGLIATI SION 282 TI ESALTERO’ SIGNORE 283 TI ESALTO DIO MIO RE 291 TUO E’ IL REGNO, TUA E’ LA POTENZA 294 UN SOL CORPO UN SOL SPIRITO 299 VIENI DAL LIBANO 306 VOLGETE GLI OCCHI 304 VOGLIO CANTARE AL SIGNOR

RITO PENITENZIALE

347 KYRIE 396 KYRIE ELEISON 184 MISERERE 252 SIGNORE PIETA’

MOMENTO PENITENZIALE

8 AI PIEDI DI GESÙ 325 GESU’ RICORDATI DI ME 101 FIGLIO DI DAVIDE 138 IL FIGLIOL PRODIGO 227 SALMO 50 293 UMILIA TE STESSO 298 VIENI AL SIGNOR

GLORIA

397 GLORIA (Daniele Branca) 122 GLORIA(Giombini) 123 GLORIA A DIO (Amadei) 124 GLORIA A DIO (Fusari-Rossi-Carrocci) 125 GLORIA A DIO (Martinez)

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iSulle note dello Spirito

LITURGIA DELLA PAROLA

247 SHEMÀ ISRAEL

SALMI

23 ALLELUIA SALMO 118 24 ALZANO I FIUMI SIGNORE 27 AMO 38 BENEDICIAMO IL SIGNORE 65 COME E’ BELLO 87 DOLCE E’ LODARLO 137 IL BUON PASTORE 161 LODATE IL SUO NOME (SALMO 113) 228 SALMO 113 229 SALMO 150 226 SALMO 27 227 SALMO 50 398 SALMO RESPONSORIALE 257 SOLO IN DIO (SALMO 62) 261 SORGA DIO (SALMO 68) 298 VIENI AL SIGNOR

CANTO AL VANGELO

12 ALLELU 13 ALLELUIA 18 ALLELUIA ALLELUIA ALLELUIA 23 ALLELUIA (SALMO 118) 14 ALLELUIA A COLUI CHE RISUSCITO’ 16 ALLELUIA AL SIGNORE CHE REGNA 17 ALLELUIA AL SIGNORE DEI CIELI 15 ALLELUIA AL REDENTORE 19 ALLELUIA CRISTO E’ RISORTO 20 ALLELUIA GESU’ E’ IL RE 21 ALLELUIA GLORIA A DIO 399 ALLELUIA (IO SONO IL PANE VIVO) 29 APOCALISSE 19,6 45 CANTA ALLELUIA 165 LODE E GLORIA A TE (Quaresima)

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Sulle note dello Spirito

OFFERTORIO

32 A TE ELEVO LA VOCE 3 ACCOGLI NELLA TUA BONTA’ 70 CON IL TUO SANGUE 311 COSA OFFRIRTI 77 CUSTODISCIMI 109 GESU’(PENTECOSTE 81) (solo 1° parte) 159 LE MANI ALZATE 175 MARANATHA’ (ti cantiam ) 189 NELLA TUA SANTITA’ 196 O SIGNOR PRENDI I NOSTRI CUORI 400 SANTI PER TE 280 TI DONO LA MIA VITA

SANTO

236 SANTO (OSANNA EH) 234 SANTO DO 235 SANTO MI- 233 SANTO 237 SANTO SABAOTH 401 SANTO (LIDIA STEFANI)

ANAMNESI

28 ANAMNESI 402 ANNUNCIAMO - TUO E’ IL REGNO - AMEN 90 E’IL SIGNORE 187 NEL NOME DI GESU’

AGNELLO DI DIO

6 AGNELLO DI DIO 7 AGNELLO DI DIO 403 AGNELLO DI DIO (MALVAROSA-MOBILIO)

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iSulle note dello Spirito

SCAMBIO DELLA PACE

99 EVENU SHALOM 113 GESU’ E’ LA PACE 207 PADRE TI PREGHIAM

PADRE NOSTRO

203 PADRE NOSTRO

COMUNIONE I

308 ANIMA DI CRISTO 73 CORPO DI GESU’ 382 CON QUESTO PANE CON QUESTO VINO 92 ED ORA SIGNORE 135 GUARDA AL DI LA’ 137 IL BUON PASTORE 139 IL PANE DI VITA 142 IL TUO AMORE E’ GRANDE 143 IL TUO CORPO, IL TUO SANGUE 371 INNO ALLA CARITA’ 151 IO SONO CON TE 346 IO VOGLIO AMARTI 327 LA TUA GLORIA ILLUMINA IL CAMMINO 194 O CHRISTE DOMINE JESU’ 197 OFFERORIO 216 QUESTO E’ IL MIO CORPO 219 RIMANETE IN ME 361 RIMANI CON NOI 266 SPEZZIAMO IL PANE 317 TU SEI MISERICORDIA 404 VENIAMO A TE 296 VENITE DAL PROFONDO 378 VERO CIBO E’ IL TUO CORPO 342 VIA, VERITA’ E VITA

COMUNIONE II

1 ABBA’ PADRE 4 ADESSO TU SEI QUI

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Sulle note dello Spirito

343 ADORO TE 22 ALLELUIA PADRE MIO 15 ALLELUIA AL REDENTORE 26 AMEN JAHVE’ 48 CANTATE LODI 310 CANTERO’ IN TUO ONORE 55 CANTICO DI ANNA 61 CHI CI SEPARERA’ 64 COL TUO AMOR 68 COME TU MI VUOI 71 CONFIDO IN TE 72 CONFITEMINI DOMINO 59 CERCO SOLO TE 74 CREATI PER TE 331 CRISTO RE 76 CRISTO VIVE IN ME 77 CUSTODISCIMI 82 DEGNO SEI SIGNOR 333 DIO E’ AMORE 89 E’ BELLO DIMORARE IN TE 93 EMMANUEL 102 FISSA GLI OCCHI IN GESU’ 111 GESU’ DOLCE MUSICA 112 GESU’ E’ IL SIGNORE 113 GESU’ E’ LA PACE 115 GESU’ GESU’ 105 GESU’ 107 GESU’(invocazione) 108 GESU’(MI PERDONO’) 356 GESU’ MIO BUON PASTORE 325 GESU’ RICORDATI DI ME 129 GLORIA A TE SIGNORE 128 GLORIA ALLELUIA 132 GRANDE E’ IL SIGNORE 113 GRANDE SEI O MIO SIGNOR 134 GRAZIE SIGNORE 151 IO SONO CON TE 150 IO SCELGO TE 359 IO TI SEGUIRO’ 153 IO VEDO IL RE 348 LA FORZA DEL TUO AMORE 156 LASCIATI ANDARE

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iSulle note dello Spirito

158 LE BEATITUDINI 162 LODE A TE SIGNOR 336 MI AFFIDO A TE 182 MIO DIO MI ABBANDONO A TE 181 MIA GIOIA SEI 183 MIO RIFUGIO SEI TU 221 MISERICORDIAS DOMINI 189 NELLA TUA SANTITA’ 338 ORA I MIEI OCCHI TI VEDONO 201 OSTENDE NOBIS 202 PADRE MIO 205 PADRE T’ AMIAMO 351 PAROLA D’AMORE 209 POPOLI TUTTI ACCLAMATE 213 QUANDO GUARDO ALLA TUA SANTITA’ 218 RENDETE GRAZIE 220 RISORGERO’ CON TE 222 RISUSCITO’ 340 ROCCIA DI FEDELTA’ 238 SANTO SANTO SANTO 242 SE PRENDO LE ALI 254 SII ESALTATO 260 SONO IL SIGNOR CHE TI GUARISCE 257 SOLO IN DIO 363 SOLE DI GIUSTIZIA 259 SONO CON VUOI 265 SOTTO L’OMBRA 405 SORGENTE DI SALVEZZA 381 SU ALI D’AQUILA 354 SULLA TUA PAROLA 276 T’AMERO’ SIGNOR 330 TI ADORERO’ 278 TI ADORO, O MIO SIGNOR 279 TI AMO SIGNOR 284 TI LODERO’ 288 TI RENDIAMO GRAZIE 289 TU SEI IL MIO DIO 364 TU SEI QUI 365 TU SEI SANTO 292 UBI CARITAS 300 VIENI IN ME

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Sulle note dello Spirito

305 VOGLIO STARE ACCANTO A TE 307 VOLTO SOAVE

CONCLUSIONE

19 ALLELUIA, CRISTO E’ RISORTO (tempo di pasqua) 319 ALZA I TUOI OCCHI AL CIELO 27 AMO 382 AVE REGINA 40 BENEDIRO’ IL SIGNORE 46 CANTANDO GLORIA 47 CANTATE AL SIGNORE CON GIOIA 51 CANTIAMO CON GIOIA 52 CANTIAMO INSIEME 54 CANTICO DELL’AGNELLO 58 CELEBRIAMO IL SIGNORE 67 COME DAVIDE 75 CRISTO E’ RISORTO VERAMENTE 80 DALLA TRISTEZZA ALLA DANZA 98 ETERNO SIGNOR 97 ETERNA E’ LA SUA MISERICORDIA 104 GERICO CADRA’ 406 GESU’ CRISTO E’ IL SIGNORE 114 GESU’ E’ VIVO 119 GIOISCI FIGLIA DI SION 120 GIOVANI E VECCHI 131 GLORIFICATE DIO 141 IL SIGNORE E’ LA MIA SALVEZZA 146 IO CELEBRERO’ 149 IO LODERO’ IL SIGNORE 160 LODATE CIELI DEI CIELI 168 LUCE DEL MONDO 180 MIA FORZA E MIO CANTO 186 NÉ LA MORTE NÉ LA VITA 188 NELLA LUCE DEL SIGNOR MARCIAMO 190 NOI INNALZEREMO IL NOSTRO CANTO 337 NOZZE A CANA 195 O GESU’ VOGLIO SEGUIRTI 200 OSANNA AL RE DEI RE 208 PARTIRETE CON GIOIA/CANTERO’

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iSulle note dello Spirito

214 QUANDO LO SPIRITO 217 RALLEGRATEVI NEL SIGNORE 223 RISUSCITO’ ALLELUIA 221 RISUSCITO’ 225 SALDO E’ IL MIO CUORE 243 SEI LA STORIA DELLA VITA MIA 245 SEMPRE CANTERO’ 249 SIA GLORIA AL SIGNORE GESU’ 326 SIGNORE DEI SIGNORI 263 SORGI E RISPLENDI 277 TE DEUM 282 TI ESALTERO’ SIGNORE 283 TI ESALTO DIO MIO RE 294 UN SOL CORPO UN SOL SPIRITO 304 VOGLIO CANTARE AL SIGNOR 306 VOLGETE GLI OCCHI AL SIGNOR

CANTI A MARIA

33 AVE MARIA 34 AVE MARIA 35 AVE O MARIA 382 AVE REGINA 324 DONNA DELLA SPERANZA 170 MAGNIFICA IL SOGNORE ANIMA MIA 173 MAGNIFICAT (RALLEGRATI) 171 MAGNIFICAT 172 MAGNIFICAT 177 MARIA CHE HAI ATTESO NEL SILENZIO 315 MARIA 272 STABAT MATER 230 SALVE RAGINA 231 SANTA MARIA DEL CAMMINO 232 SANTA MARIA DELLA LODE 253 SII BENEDETTA 297 VERGIN SANTA

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Sulle note dello Spirito

INDICE TEMATICO

CANTI DI ACCOGLIENZA

355 ACCLAMATE AL SIGNORE 11 ALLA TUA PRESENZA 18 ALLELUJA, ALLELUJA, ALLELUJA 344 ALZA LE BRACCIA, APRI IL TUO CUORE 24 ALZANO I FIUMI SIGNORE 25 ALZATI E RISPLENDI 367 ALZATI 31 APRI LE TUA BRACCIA 41 BENEDIRO’ IL TUO NOME 46 CANTANDO GLORIA 309 CANTERO’ AL SIGNOR PER SEMPRE 49 CANTERO’ ALLELUJA 52 CANTIAMO INSIEME 56 CANTO DI GIUDITTA 321 CELEBRERO’ LE TUE LODI 57 CELEBRIAMO IL DIO D’AMOR 62 CHI HA SETE 66 COME E’ BELLO (DAR LODE AL SIGNOR) 65 COME E’ BELLO 69 CON GIOIA VENIAMO A TE 322 CON UN CUORE SOLO 79 DAI LA MANO A TUO FRATELLO 83 DIAMO LODE 97 ETERNA E’ LA SUA MISERICORDIA 104 GERICO CADRA’ 106 GESU’ (AL MATTINO) 357 GESU’ VERRA’ 127 GLORIA AL SUO NOM 141 IL SIGNORE E’ LA MIA SALVEZZA 326 IN UNITA’ 148 IO HO UNA GIOIA NEL CUORE

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iSulle note dello Spirito

179 MI PENSAMIENTO ERES TU 328 NOI CREDIAMO IN TE 190 NOI INNALZEREMO IL NOSTRO CANTO 198 OSANNA 316 QUALE GIOIA E’ STAR CON TE 353 SIAMO QUI RIUNITI 251 SIAMO UN SOL CORPO 362 SIGNORE DEI SIGNORI 258 SOLO NEL SIGNORE 275 SVEGLIATI SION 281 TI ESALTERO’

LODE

9 ALABARE’ 12 ALLELU’ 17 ALLELUJA AL SIGNORE DEI CIELI 18 ALLELUJA, ALLELUJA, ALLELUJA 319 ALZA I TUOI OCCHI 25 ALZATI E RISPLENDI 27 AMO 320 ASCOLTO LA TUA VOCE 37 BENEDETTO SEI TU SIGNORE 40 BENEDIRO’ IL SIGNORE 43 BENEDITE IL SIGNORE (SERVI SUOI) 42 BENEDITE 47 CANTATE AL SIGNORE CON GIOIA 51 CANTIAMO CON GIOIA 50 CANTIAMO LODE A DIO 53 CANTICO DEI 3 GIOVANI 55 CANTICO DI ANNA 56 CANTO DI GIUDITTA 59 CERCO SOLO TE 74 CREATI PER TE 75 CRISTO E’ RISORTO VERAMENTE 78 DA GLORIA AL TUO NOME

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Sulle note dello Spirito

80 DALLA TRISTEZZA ALLA DANZA 81 DATE GLORIA A LUI 369 DIAMO GLORIA AL SIGNORE 384 DIFENDIMI SIGNORE 85 DIO MIO RE 86 DIO REGNA 87 DOLCE E’ LODARLO 89 E’ BELLO DIMORARE IN TE 334 E’ IL SIGNORE LA MIA SALVEZZA 98 ETERNO SIGNOR 116 GESU’ MIO REDENTORE 313 GLORIA AL SIGNORE CHE SALVA 129 GLORIA A TE SIGNORE 386 GLORIA NOI CANTIAMO AL RE 131 GLORIFICATE DIO 345 GLORIFICHIAMO IL TUO NOME 140 IL SACRIFICIO DELLA LODE 142 IL TUO AMORE E’ GRANDE 314 IN TE C’E’ SALVEZZA 145 INNALZIAMO IL NOME TUO SANTO358 INSIEME CANTIAMO 389 IO CREDO IN TE GESU’ 149 IO LODERO’ IL SIGNORE 155 ISAIA 43 325 LA NOSTRA LODE INNALZIAMO 157 LAUDATO SII 160 LODATE CIELI DEI CIELI 372 LODATE IL SIGNORE 161 LODATE IL SUO NOME 163 LODE AL SIGNOR 164 LODE AL SIGNOR 391 LODE A TE TRINITA’ 165 LODE E GLORIA A TE 166 LODE E GLORIA AL TUO NOME 175 MARANATHA’ (TI CANTIAM)

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iSulle note dello Spirito

349 MI BASTA LA TUA GRAZIA 180 MIA FORZA E MIO CANTO 181 MIA GIOIA SEI 182 MIO DIO MI ABBANDONO A TE 328 NOI CREDIAMO IN TE 190 NOI INNALZEREMO IL NOSTRO CANTO 337 NOZZE A CANA 195 O GESÙ VOGLIO SEGUIRTI 199 OSANNA (AL RE DEI RE) 198 OSANNA 202 PADRE MIO 350 PADRE PER SEMPRE 351 PAROLA D’AMORE 208 PARTIRETE CON GIOIA 329 PER SEMPRE RE DELLA GLORIA 209 POPOLI TUTTI 316 QUALE GIOIA E’ STAR CON TE 212 QUANDO ANDREMO SU NEL CIEL 211 QOL RINNA(H) WISHUA(H) 352 REGNA SUL TUO TRONO 218 RENDETE GRAZIE 220 RISORGERO’ CON TE 340 ROCCIA DI FEDELTA’ 228 SALMO 113 229 SALMO150 243 SEI LA STORIA DELLA VITA MIA 377 SERVIREMO IL SIGNORE 246 SGUARDO AL CROCIFISSO 254 SII ESALTATO 255 SII ESALTATO SIGNORE 256 SO CHE TU SEI IL MIO SIGNOR 363 SOLE DI GIUSTIZIA 393 SONO QUI A LODARTI 394 SU LODIAMO 274 SU LODIAMO IL SIGNOR

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Sulle note dello Spirito

354 SULLA TUA PAROLA 277 TE DEUM 282 TI ESALTERO’ SIGNORE 283 TI ESALTO DIO MIO RE 285 TI LODERO’ (O MIO SIGNOR) 284 TI LODERO’ 286 TI LODIAMO E T’ADORIAM 288 TI RENDIAMO GRAZIE 356 TU SEI SANTO 299 VIENI DAL LIBANO 303 VIVE JESUS EL SENOR 304 VOGLIO CANTARE AL SIGNOR 318 VOGLIO VEDERE IL TUO VOLTO

INVOCAZIONE DELLO SPIRITO SANTO

103 FUOCO CHE CONSUMA 388 INVOCHIAMO LA TUA PRESENZA 373 MANDA IL TUO SPIRITO 192 NOI TI INVOCHIAMO 224 RUAH 240 SANTO SPIRITO VIENI 241 SCENDI SANTO SPIRITO 267 SPIRITO D’AMORE 268 SPIRITO DEL DIO VIVENTE 269 SPIRITO DI SANTITA’ 270 SPIRITO SANTO 271 SPIRITO SANTO DAI LUCE 287 T’INVOCHIAMO SPIRITO 295 VIENI SANCTE SPIRITUS 301 VIENI SANTO SPIRITO 302 VIENI VIENI SPIRITO D’AMORE 341 SANTO SPIRITO 360 MARANATHA’ SOFFIO DI DIO 366 UNO SPIRITO NUOVO

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iSulle note dello Spirito

ADORAZIONE

1 ABBA’ PADRE* 4 ADESSO TU SEI QUI* 8 AI PIEDI DI GESU’* 32 A TE ELEVO LA VOCE 343 ADORO TE 10 ALLA DOLCE PRESENZA TUA SIGNOR 11 ALLA TUA PRESENZA 36 BENEDETTO IL NOME DEL SIGNOR 37 BENEDETTO SEI TU SIGNORE 48 CANTATE LODI 55 CANTICO DI ANNA* 59 CERCO SOLO TE 61 CHI CI SEPARERA’* 64 COL TUO AMOR* 332 DANZERO’ PER TE 82 DEGNO SEI SIGNOR 368 DEL TUO AMORE IO VIVRO’ 333 DIO E’ AMORE 89 E’ BELLO DIMORARE IN TE 90 E’ IL SIGNOR* 91 E’ VERSO DI TE CHE GUARDO* 93 EMMANUEL 101 FIGLIO DI DAVIDE* 102 FISSA GLI OCCHI IN GESU’ 105 GESU’ 107 GESU’ (INVOCAZIONE) 108 GESU’ (MI PERDONO’)* 111 GESU’ DOLCE MUSICA* 113 GESU’ E’ LA PACE* 115 GESU’ GESU’ 116 GESU’ MIO REDENTOR 370 GESU’ SONO QUI DAVANTI A TE 117 GESU’ T’ADORIAMO 118 GESU’ TI ADORO 121 GLORIA (A GESU’ IL SIGNOR)

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Sulle note dello Spirito

129 GLORIA A TE SIGNORE* 132 GRANDE E’ IL SIGNOR 133 GRANDE SEI O MIO SIGNOR 142 IL TUO AMORE E’ GRANDE 150 IO SCELGO TE 153 IO VEDO IL RE 390 LODE A TE 162 LODE A TE SIGNOR 181 MIA GIOIA SEI* 374 MI ARRENDO AL TUO AMORE 183 MIO RIFUGIO SEI TU* 187 NEL NOM DI GESU’* 189 NELLA TUA SANTITA’* 199 OSANNA (AL RE DEI RE)* 202 PADRE MIO 204 PADRE T’ADORIAMO 205 PADRE T’AMIAMO* 351 PAROLA D’AMORE 210 POSTRATI ADORIAMO 213 QUANDO GUARDO ALLA TUA SANTITA’ 238 SANTO, SANTO, SANTO 239 SANTO, SANTO, SANTO SEI SIGNOR 250 SIA LODE ALL’AGNELLO 273 STIRPE ELETTA 274 SU LODIAMO IL SIGNOR* 276 T’AMERO’ SIGNOR 320 TI ADORERO’ 278 TI ADORO O MIO SIGNOR 279 TI AMO SIGNOR 286 TI LODIAMO E TI ADORIAMO* 289 TU SEI IL MIO DIO 364 TU SEI QUI 365 TU SEI SANTO 290 TUA SIGNOR E’ LA GLORIA 305 VOGLIO STARE ACCANTO A TE 307 VOLTO SOAVE

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iSulle note dello Spirito

INTERCESSIONE-GUARIGIONE-LIBERAZIONE

4 ADESSO TU SEI QUI* 8 AI PIEDI DI GESU’* 26 AMEN JAHVE’ 59 CERCO SOLO TE* 63 CI LIBERERA’ IL SIGNOR 77 CUSTODISCIMI* 82 DEGNO SEI SIGNOR* 84 DIO APRIRA’ UNA VIA 385 DONAMI IL TUO AMORE 90 E’ IL SIGNOR* 101 FIGLIO DI DAVIDE 102 FISSA GLI OCCHI * 105 GESU’* 107 GESU’ (INVOCAZIONE) 108 GESU’ (MI PERDONO’) 109 GESU’ (PENTECOSTE ‘81)* 113 GESU’ E’ LA PACE 116 GESU’ MIO REDENTORE 314 IN TE C’E’ SALVEZZA 156 LASCIATI ANDARE 169 LUI VERRA’ E TI SALVERA’ 183 MIO RIFUGIO SEI TU 375 O SIGNORE GUARDAMI 218 RENDETE GRAZIA 222 RISUSCITO’ CON POTENZA 392 SIGNORE SALVAMI 257 SOLO IN DIO* 260 SONO IL SIGNORE CHE TI GUARISCE 381 SU ALI D’AQUILA * 348 LA FORZA DEL TUO AMORE 349 MI BASTA LA TUA GRAZIA 282 TI ESALTERO’ SIGNORE* 289 TU SEI IL MIO DIO* 307 VOLTO SOAVE

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Sulle note dello Spirito

EVANGELIZZAZIONE - RADUNI

12 ALLELU’ 344 ALZA LE BRACCIA, APRI IL TUO CUORE 30 APPLAUDITE POPOLI TUTTI 31 APRI LE TUE BRACCIA 44 CAMMINANDO VOY 309 CANTERO’ AL SIGNOR PER SEMPRE 49 CANTERO’ ALLELUJA 51 CANTIAMO CON GIOIA 52 CANTIAMO INSIEME 65 COME E’ BELLO 322 CON UN CUORE SOLO 78 DA GLORIA AL TUO NOME 81 DATE GLORIA A LUI 83 DIAMO LODE 94 EMMANUEL (GMG 2000) 106 GESU’ (AL MATTINO) 110 GESU’ AMICO MIO 114 GESU’ E’ VIVO 357 GESU’ VERRA’ 130 GLORIA , GLORIA, GLORIA. IO L’HO INCONTRATO 144 INNALZERO’ LE MIE MANI 387 IN UNA NOTTE COME TANTE 147 IO HO UN AMICO CHE MI AMA 152 IO TI DICO 391 LODE A TE TRINITA’ 167 LOS QUE ESPERAN EN JESUS 168 LUCE DEL MONDO 169 LUI VERRA’ E TI SALVERA’ 178 MI MANO ESTA’ LLENA 179 MI PENSAMIENTO ERES TU 188 NELLA LUCE DEL SIGNOR MARCIAMO 328 NOI CREDIAMO IN TE 191 NOI LODEREMO IL SIGNORE 215 QUESTA E’ LA MIA FEDE 217 RALLEGRATEVI NEL SIGNORE

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Page 128: Anno 1 - Numero 5-6-7

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iSulle note dello Spirito

243 SEI LA STORIA DELLA VITA MIA 249 SIA GLORIA AL SIGNORE GESU’ 353 SIAMO QUI RIUNITI 251 SIAMO UN SOL CORPO 362 SIGNORE DEI SIGNORI 256 SO CHE TU SEI IL MIO SIGNOR

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