36

Il Gusto... della Vita

Embed Size (px)

DESCRIPTION

Tradizione & Cultura della Buona Tavola - Rivista ufficiale dell'Associazione Cuochi della Provincia di Fermo

Citation preview

Page 1: Il Gusto... della Vita
Page 2: Il Gusto... della Vita
Page 3: Il Gusto... della Vita

di Adolfo Leoni

...Editoriale

Ci siamo: ancora qualche giorno e sarà Natale. A me la festa piace: per i contenuti religiosi (quel Bambino ha cambiato il mondo, amici; mai nella storia era capitato che un Dio ci venisse incontro: Lui a noi). E mi piace anche per il contorno: luci, vivacità e amicizia. Magari per un giorno, ma se non ci fosse ci sarebbe un giorno in meno, d'amicizia.Sono minimale, come diceva il mio prof. di filosofia, ma tant'è.Da piccolo, ricordo che mia madre, dieci giorni prima del pranzo del 25 dicembre, iniziava a preparare i cappelletti. Ne faceva grosso modo 700. Prima approntava silenziosamente l'impasto di carne. Poi metteva mano alla sfoglia. Sentivo che la tirava, che il mattarello faceva “Tu-tun”. Un suono familiare. Lavorava su un grande tavolo di marmo completamente imbiancato di farina. Prima il cratere bianco, poi gli occhi delle uova, quindi il rime-scolamento, e via di braccia. Tirata la bella sfoglia giallo ocra, iniziava il taglio, rotondo, con la bocca capovolta del bicchierino da mistrà. 700 piccoli rotondi da riempire!Poi, il secondo atto. Nella stanza più fredda di casa, quella a tetto (non c'erano i termosifoni allora, i geloni alle mani invece sì), la aiutavo a sistemare due sedie su cui poggiare alcune tavole di legno coperte da panni di lino bianco. Su quel precario manufatto lei depositava, con molto amore debbo dire, i 700 pezzi 700. I cappelletti si sarebbero essic-cati giusti giusti per il grande pranzo! Chiaro: non ci sarebbero stati solo quelli, il 25, ma io aspettavo soprattutto i cappelletti.Anche quest'anno tornerò per le feste nella mia casa paterna di Monte-giorgio. Da mio fratello ci ritroveremo in 25, io il più adulto, Giulia la più piccola di un mese appena. Torneranno anche figli e nipoti universitari. L'altro mio fratello srotolerà dall'ultimo piano un drappo: due leoni con le spade incrociate. Vezzi tardo aristocratici? Macché: un modo per dire: il clan si è riunito, siamo insieme, facciamo festa.Lo racconto (e mi scuso per l'esempio personale ripetuto) perché la famiglia (tutte le famiglie) resta un baluardo. L'hanno voluta ferire nel cinema, nella letteratura, nell'arte. Eppure è rimasta in piedi, resiste. Resiste perché è la cosa più naturale e vera. E non è un problema morale. È una dato sociale, un dato economico. Sino a qualche anno fa i grandi economisti hanno sproloquiato: fate aziende di grandi dimensioni, chiudete le piccole, quelle familiari. Dopo la tragedia finanziaria, dopo il crollo della new economy, si torna a parlare invece di piccole e medie imprese. E, se le Marche avranno meno problemi degli altri, è proprio per la presenza di aziende di famiglia.Che c'entra con il Natale, con i cuochi, con il Gusto... della vita?Cacchio, se c'entra. Se smantelliamo le tradizioni e le consuetudini, se non ci ritroviamo più intorno alla mensa nei giorni di festa, se non rilanciamo il nostro buon e sano vivere, le famiglie andranno a picco, le aziende ne subiranno le conseguenze, la solidarietà, puff, si dissolverà.A tavola non s'invecchia, recitava un detto popolare. A tavola, nasco-no grandi cose, si cementano amicizie, ci si riscopre. E si guarda avan-ti, insieme, spalleggiandosi. E a tavola - è un invito - portiamo i nostri cibi, le nostre bevande, riscopriamo i nostri “menù”. Sfidiamola, questa globalizzazione, anche sul piano gastronomico, alziamo la testa, amici chef. Nessun timore reverenziale.Buon Natale a tutti. Ripensando ai cappelletti di mia madre.

Il pranzo di Natale

1 della vita

Page 4: Il Gusto... della Vita

1... L'editoriale

3... Una terra a cinque stelle la nostra!

4... Sagramoso, il Conte che delizia i grandi della terra

5... Con i Piatti della Tradizione... una cena sulla scia dei ricordi

7... Le Marche si distinguono. Barbabella al Global Junior Chef ... Il Profumo della campagna

8... Il ciocco di Natale ... Il cenone di Natale

9... Paolo Massobrio il cronista del Gusto

10... La cultura dei maccheroni

12... Il ritorno delle mele antiche

15... Pane e dolci di Natale. Molto più di un cibo

17... Distilleria Varnelli, la più antica delle Marche

18... Piccione con verza stufata e tortino di riso jallo

19... L'orto nel piatto

20... Vendemmia 2008: + 15% rispetto alla vendemmia 2007

21... La degustazione

22... L'obesità ed il sovrappeso non nascono a tavola!

25... Pesce azzurro ... Sarnano Sapore d'Autunno

27... Fin su a Montefortino, anfiteatro dei Sibillini

28... Un anno di attività dell'Associazione cuochi della Provincia di Fermo

29... Provincia di Fermo. Anche i cuochi vogliono dire la loro

30... Un pittore, un vescovo - guerriero, un pastaio di prestigio

31... Mangiare alla russa

32... Diario di bordo

...Sommario

Direttore ResponsabileAdolfo Leoni

Redazione giornalisticaMedi@comunicazioni

via San Salvatore snc - FermoTel. 0734 623636 / 620707

[email protected]

Art DirectorSara Ricci

Redazione graficaStudium DesignTel. 0733 866909

[email protected]

Web masterAngelo Cecchetti

In redazioneMedi@Comunicazioni:

Stella AlfieriFabio ScatastaSimone Troiani

Hanno collaboratoMichele Biagiola

Anna Maria CerquettiFabrizio DonatiOrietta ForesiStefano Isidori

Maria Grazia LaurenziAlberto MazzoniGabriele Nepi Lupo Nobile

Alessandro PazzagliaFrancesco Petrelli

Massimiliano PetrelliLuciano Scafà

FotografiAngelo Cecchetti

Matteo Lupi

Edito daAss. "Il Gusto... della vita"sede legale Montegiorgio (AP)

via Cestoni, 39sede operativa Morrovalle (MC)via Carducci, 12 - tel. 0733 866909

P.Iva e C.F. 01979520440

[email protected]

StampaGrafiche Ciocca - Mc

La rivista è stampata su cartanaturale ed ecologica

n. 4 dicembre 2008inserito nel Registro dei Giornali e dei Periodici del Tribunale di

Fermo il 21/10/2008

Il Gusto... 2

Page 5: Il Gusto... della Vita

Accade sempre più frequentemente, e la cosa mi preoccupa, che accingendomi a scrivere qualche breve nota, la mente corra da sola a cercare nel magazzino

dei r icordi, anziché in quello delle idee. Mi viene ovvia la deduzione che il primo sia più capiente del secondo, e mi autogiustif ico pensan-do che il primo contiene già i ¾ dell'esperienza e dei r icordi di una vita professionale. Perciò, attin-gendoci qualcosa anche ora, r icordo con estrema lucidità mentale (ma ci sono anche testimonianze scritte) le mie convinte tesi di oltre un ventennio fa su temi come: i grandi doni che la natura ci ha dato in questo terr itorio, intendo i prodotti di alto valo-re qualitativo, la felice collocazione geografica, la possibil ità che con circa un'ora di auto si passi dal mare alle meravigliose coll ine e si arr ivi agli stupen-di Monti Sibil l ini incontrando un patrimonio storico-artistico-culturale che molti ci invidiano.

di Alessandro Pazzaglia

Di r iflesso, sollecitavo quelle sinergie e quella uni-tà di intenti tanto invocate da più parti, quel fare squadra (ma io dico giocare per la squadra) su obiettivi comuni come la formazione, sia essa sco-lastica e non, come pure il r i lascio di l icenze nel settore HORECA dietro comprovati requisiti, la cul-tura dell'ospitalità, la vitale importanza di una sana e corretta alimentazione a 360° (basterebbe riflet-tere sul sempre più grave problema dell'obesità) e potrei proseguire oltre. Ma, convinto assertore che ognuno nei propri ruoli possa e debba portare un valido contributo ad una sempre migliore qualità del prodotto finito, r itengo che le istituzioni ai vari l i -vell i abbiano doveri in tal senso, ineludibil i. Per uno che ha fatto del motto: “Un r inunciatario non vince mai e un vincente non r inuncia mai” la sua fi losofia di vita, continuo a credere e fare proselitismo per un futuro sempre migliore di questo territorio che, sosteniamo in molti, meriti di essere a cinque stelle.

...Professione cuoco

Una terraa cinque stellela nostra!

3 della vita

Page 6: Il Gusto... della Vita

di Simone Troiani

...Gli Ospiti

Se gli chiedete un raccon-to di quell'esperienza, ridendo vi dirà che lui, a Sharm, stava solo fa-

cendo il bagno. È andata così ad ottobre, quando l'Associazione Cuochi della Provincia di Fermo lo ha voluto nel quinto capoluogo per tenere un corso di aggiornaimento sulla cucina mediterranea nei banchetti. L'executive chef ha mostrato per due pomeriggi inte-ri ai circa 30 cuochi intervenuti, la maggioranza dei quali prove-nienti dalle scuole alberghiere del territorio, quelle che sono le nuove tendenze della banchetti-stica. Proprio su queste Sagramo-so ha voluto soffermarsi, parlando di una cucina che sta cambiando volto e sta diventando molto più economica rispetto a quanto è accaduto fino ad ora, complice anche il periodo difficile. Una cu-cina molto semplice, con profumi e sapori del Mediterraneo, carat-terizzata non solo dal pomodo-ro ma anche dall'uso di legumi, cacciagione, pesci di acqua dolce e salata. Parlando delle Marche con il con-te-chef, Sagramoso non ha dubbi: sono i vincisgrassi il piatto che ha maggiore successo e che si cono-

Sagramoso,Il conte che delizia i grandi della terra

Così giovane eppure già così affermato. Da un conte, perchè questo è il veneto Marcantonio Sagramoso, tutto t i aspetterest i fuorché vederlo dietro ai fornelli. Invece è così, perché il talentuoso Marcantonio è abi-tuato a stupire. Il conte, di solito, li lascia di stucco. I commensali intendiamo, come i big della terra, che ad una riunione del G8 se lo sono ritrovato a Sharm el Sheik a sfornare delizie.

sce meglio all'esterno. Sui consigli a chi vuole intraprendere il suo mestiere: dedizione, costanza e... “mordere l'osso”. I suoi maestri: Sergio Mei per la sua umiltà e Fa-bio Tacchella per la tecnica. Tornando alla due giorni ferma-na, la carrellata dei piatti f i rma-ti Marcantonio Sagramoso si è aperta con Carpaccio di cala-mari alla paprica, per proseguire con Girolle di branzino agli aspa-ragi e salsa allo yogurt, Carpac-cio di manzo con tortino di pata-te, tartufo e lamponi, Sformati al parmigiano, speck e pere, Flan di cannell ini e lattuga con coscette di piccione confit e misticanze.

Dal le aperture ai pr imi piatti: Mantecato di carnarol i al for-maggio di fossa, Mezze creme di patate rosse e cipol la di Tro-pea con conchigl iacci, Cannolo di castagne con salsa al tar tufo, Raviolo quattro stagioni al bur ro e salvia, Pizz icati di pasta al la bur rata e pomodor ini. Chiusura con i secondi: Persico in crosta di gamber i, Spiedo di pesca-tr ice e gamber i al pan d'erbe, Stinco di vitel lo al Verdicchio, Abbraccio di lepre e vitel lo gra-tinato al pistacchio, Lombatine di conigl io con tor tino di patate al la crema.Da leccarsi i baff i!

M a r c a n t o n i o S a g r a m o s o

Il Gusto... 4

Page 7: Il Gusto... della Vita

di Stella Alfieri

...Gli Ospiti

È successo. Diciamocelo: inevitabile accadesse. Quando una cosa fun-ziona e la squadra è vin-

cente, perché cullarsi sugli allori? Semper ad meliora, dice mia non-na. Significa migliorarsi, evolversi, muoversi. A questo proposito, e a proposito di nonne, l'Associazione Cuochi della Provincia di Fermo ne ha combinata un'altra. Ricordate le cuoche di Magliano di Tenna, scovate dal sindaco Nello De Anigelis, e messe in cucina dal nostro Sandro Pazzaglia? Bene. Riportare sulla tavola il buon man-giare di una volta, quello da cui tutti veniamo, che ha fatto la sto-ria delle nostre famiglie e delle no-stre case, è l'obiettivo. I Piatti della Tradizione, con la maiuscola. Un successone l'inverno scorso, a Ma-gliano di Tenna. E così, per scrivere il menù della Quinta Provincia, senza dimenti-carci delle radici culinarie, biso-

Con i Piatti della Tradizione ... una cena sulla scia dei ricordi.

ROSANNA VAUDETTI: Ambasciaitrice dei marchigiani nel mondo.I Piatti della Tradizione li ha gustati anche la famosa “signorina buonase-ra” della Rai, ospite dell'Associazione Cuochi. Non è ufficiale, ma in molti or-mai la conoscono come l'Ambascia-trice dei marchigiani nel mondo. Ogni marchigiano, dice Rosanna Vaudet-ti, che parla o che propone prodotti della sua terra è un ambasciatore! E lo è anche la nostra Rosanna: cucina e mangia marchigiano, abita marchi-giano e nelle Marche, che definisce “una terra meravigliosa”, passa anche le sue vacanze.

gna far fare a questi piatti un bel tour del territorio. Si comincia dalla città capoluo-go: Fermo. Il 15 ottobre il Ristoranite “Mario” fa il pienone di curiosi, golosi, nostalgici e amanti della buona tavola. Ai fornelli, il Sette Bello diretto dallo chef Luciano Vecchiotti e presieduto da Nello De Angelis: Rosanna Casturani, Maria Princi-pi, Tilde Fagiani, Graziella Varani, Rita Tempestilli, Lorenzina Mercuri e Luciana Cruciani; Marcello Gra-natelli e Giancarlo Egidi gli addet-ti alla polenta. Antipasto di fegatini, cavoli stra-scinati e pappuncì; a seguire tac-chitti co lo cece e polenta al ragù di carne e salsiccia; collo d`oca “rarrempitu” e maiale arrosto con le verdure. Per concludere, una bella ciambella di mosto, morbida e calda, da gustare con il migliore vino cotto della zona.Eppure, a stupire non è tanto quel-

lo che accade in cucina, bensì ciò che succede ... a tavola! Cer-to, perchè i Piatti della Tradizione, oltre che l'appetito, stuzzicano la fantasia, il buonumore e la voglia di stare insieme, di ritrovarsi. So-prattutto: la voglia di ricordare. C'è Adolfo, che le tagliatelle le vuole cotte a puntino, come quel-le della sua mamma: uniche. C'è Matteo, che i cavoli strascinati gli ricordano quelli della nonna, fatti con la pancetta però, e non con la cotica. Vai a sapere. C'è Emi, ai “tacchetti co lo cece” non ri-nuncia, le piccole li adorano. E c'è Laura che, nella storica com-petizione di casa sua, ha sempre preferito i tacchetti della zia. C'è Simone, che con i fratelli, dopo la Messa della domenica, aiutava la nonna a girare la polenta: guai a farla attaccare alla pentola.Con i Pia t t i de l la T rad iz ione succede sempre cos ì . E i l re -s to.. . è s to r ia.

Rosanna Vaudettie parte dell lo staff in cucina

5 della vita

Page 8: Il Gusto... della Vita
Page 9: Il Gusto... della Vita

Qual è il primo impatto? Il primo impatto è il pro-fumo, dolce e piacevole, quello proprio di un luogo pulito e - perché no? - sereno.Poi, a colpirti, è la distesa di alberi da frutto.

Esattamente di meli. Quanti? Ottomila. Già: ottomila piante di mele diverse. Abbiamo imparato che la rossa è la Fuji, che la gialla è la Golden, che la rossa-biancaneve è la Stalker, che c'è la Florina (quella senza fungicidi), che esiste la Royal gala raccolta già intorno a ferragosto, che si produce la Gran Smith, quella verde di origine australiana famosa per la pubblicità di “Mentadent”, che la Pink Lady giun-ge a maturazione a metà e fine novembre mentre per le altre si comincia la raccolta a settembre e ottobre.Insomma, e a proposito di mela, siamo stati nel paradiso terrestre, nell'azienda di Luigi e Gianni Ferracuti, lungo la Valtenna, in territorio di Fermo, al confine con Cappa-ruccia di Ponzano. Undici ettari di terreno in pianura con qualche tratto in leggera pendenza e filari lunghissimi. Eppoi con tanti bambini, specie delle elementari, che vengono per una giornata in campagna, tra il verde, mordicchiando un frutto e restando stupiti dei tanti uccelli che sorvolano la zona. Dove ci sono gli alberi non mancano i volatili.In queste ore di raccolta tutta la famiglia di Luigi Ferracu-ti scende nei campi. C'è tanto da fare: bisogna staccare il frutto, deporlo nelle cassette, trasportarlo nel magaz-zino eppoi prepararlo per la vendita. Vendita al minuto, con clienti che arrivano dai comuni del Fermano e del Maceratese a nord del fiume Tenna. Tremila in un anno e forse anche più. Trovano convenienza economica e qualità del prodotto.Lungo la vallata del Tenna, l'azienda Ferracuti è l'unica di queste proporzioni. Luigi era infermiere ma ha preferito tornare tra i campi. Sua figlia Silvia è psicologa ma non teme di lavorare e sudare tra i filari. Eppoi ci sono altri due figli – Gianni ed Eleonora - e sua moglie, Maria Dina, e sua sorella, la si-gnora Pace.È una faticaccia? “Non vengono i calli - risponde Luigi - ma è dura lo stesso: piantare, spiantare, raccogliere, controllare”. Però il sorriso non manca da queste parti, neppure il buonumore ed anche le tradizioni sembrano resistere.In campagna si vive bene. Tenetelo a mente, ragazzi, e le mele profumano, come dicevamo all'inizio. Le mele del desiderio.

Adolfo Leoni

Il profumodella campagna.

Andrea Barbabella è tornato a casa soddisfat-to. A 21 anni, e al suo primo concorso na-zionale promosso dalla Federazione Italiana Cuochi a Roma, si è classificato sesto su quin-

dici partecipanti. Un risultato invidiabile. Soprattutto perché al Global Junior Chef non si scherza. Ed anche quest'anno - il 17 e 18 novembre scorsi - non s'è pro-prio scherzato. I giovani cuochi, dopo aver approntato gli ingredienti in cucina, li hanno cotti nella sala grande, su piastra ovale, alla presenza dei maestri e degli altri parteci-panti al Congresso Agorà-Forum per giovani cuochi. Non solo, ma mentre si davano da fare ai fornelli, i futuri chef venivano tempestati di domande su ingre-dienti, metodi, tipi di cottura, ecc. Un esame severo, dunque. E un punteggio invidiabile per Andrea, precedentemente risultato tra i migliori della selezione marchigiana.

Le Marche si distinguono.Barbabella al Global Junior Chef

7 della vita

Page 10: Il Gusto... della Vita

...Tradizioni del Natale

Il cioccodi Natale

Giuseppe, ovvero, Peppe, era proprio contento. Anche stavolta i l cl ima del Natale gli stava scal-dando l'anima. Nei campi, le poche cose da fare erano già sta-

te fatte, e in casa era quasi tutto pronto per celebrare degnamente la nascita del Bambin Gesù. I l grande ceppo dal legno consistente, scelto con par-ticolare cura dagli uomini della famiglia, già ardeva nel grande focolare. Si sarebbe lentamente consumato sino al 6 gennaio, r ischiarando i l buio stanzone di cucina per tutte le notti di quella lunga festività. Anche i vitigni, con-servati in magazzino dalle potature del settembre prece-dente, erano pronti per f inire tra la fiamma. Un auspicio di prosperità per i l nuovo anno oramai alle porte.Anche la signora Rosa non nascondeva la sua allegria. Aveva appena terminato di preparare i doni che i l suo Giovanni avrebbe consegnati, quella stessa sera, a Tere-sa, la giovane promessa che abitava giù nelle Piane.Nella grande cesta era stata coricata, sapientemente suddivisa tanto da formare un gradevole disegno, la frut-ta più diversa. Si andava dalle castagne più grosse alle noci più piene, dalle arance profumate ai f ichi secchi sino all 'uva passita spiccata per l 'occasione dal soffitto della grotta. Accanto, trovavano posto i l nero Pistr ingo, dolce tipico di Natale, e i l mistrà, un potente l iquore fatto in casa qualche tempo prima centell inandolo dall 'alam-bicco, ed uno stagionato e aromatico vino cotto. La famiglia di Teresa avrebbe certamente gradito que-sto ben di Dio. E la giovane avrebbe atteso i l fondo del-la cesta per i l regalo da lei senz'altro più desiderato: quell 'anell ino d'oro, senza grandi pretese, su cui da mesi aveva posati gli occhi.Giuseppe e Rosa caricarono il somaro e Giovanni partì. Genitori e fratelli lo avrebbero raggiunto più tardi, per l'ora dell'allegra cena. Il padrone di casa, prima di sprangarne l'uscio, doveva assolvere all'ultimo incarico per quella gior-nata. Entrato nella stalla, provvide ad una pulizia come mai veniva fatta. Risistemò l'abbeveratoio, portò altro fieno, pre-se ancora biada, buttò la paglia sporca, si segnò dinnanzi all'immagine del vecchio e curvo Sant'Antonio abate, ap-pesa alla parete di fondo. Uscendo, salutò l'ultimo vitello nato. Era la sua ricchezza e la sua vita.A casa, dopo essersi lavato, mise i panni della festa. Poi, quando tutti erano pronti per prendere la strada delle Pia-ne, diede l'ultima occhiata agli animali. Nella stalla il silen-zio era totale. Solo alle 24 il miracolo si sarebbe compiuto. E quelle bestie, anche loro in festa, anch'esse dinnanzi ad un pasto inaspet-tato, avrebbero iniziato a dialogare. Perché, si narrava nel-la nostra campagna, allo scoccare della mezzanotte san-ta, in concomitanza con il ricordo tangibile della nascita divina, le mucche, i vitelli, i buoi, gli asini e i cavalli dialoga-vano e le bestie più anziane raccontavano come certi loro antenati avessero avuto il grande onore di scaldare, in una spoglia mangiatoia, il piccolo Signore del mondo nato in un luogo freddo e buio.Giuseppe tramandava ora questa storia all'ultimo dei suoi figli, e un poco ci rideva su. Però da cinquant'anni a que-sta parte mai s'era permesso di entrare nella stalla dopo la mezzanotte. Ma non era stata certo la paura a trattenerlo. Non voleva rompere l'incantesimo di quella favola che lo accompa-gnava sin da piccino.Eppoi... se fosse stato tutto vero?

Il Cenonedi Natale di Adolfo Leonidi Gabriele Nepi

Il ciocco di Natale si metteva sull'arola del focolare in occasione di tale festa e doveva durare fino all' Epifa-nia: Lu cioccu de Natà ha da tricà (=durare) finende a Pasquetta (6 gennaio!).

Una graziosa e commovente tradizione vuole che esso ser-va alla Madonna che di notte vi viene a scaldare i panni per Gesù Bambino. Ciocco è il ceppo da ardere. Già ne parla Dante (Par. 18,100) “Come nel percuo-tere de' ciocchi arsi / surgono innumerabili faville / onde gli stolti sogliono augurarsi”. Giovanni Pascoli ne parla ri-petutamente “Il babbo mise un gran ciocco di quercia su la brace (Canti di Castelvecchio 117,5)”; e poi ancora “Pel camino nero il vento / tra lo scoppiettar dei ciocchi / porta un suono lungo e lento / Tre, poi cinque, sette tocchi/” (ibi-dem). E chi non ricorda Valentino “...Pensa al gennaio, che il fuoco del ciocco / non ti bastava tremavi ahimé”, etc. Oltre al Pascoli abbiamo Giovanni Papini: “Scop-piettavano i ciocchi già mezzo coperti di neve”. Enrico Pea: “La stanza era rischiarata dai tizzoni ardenti. Io stavo sul ciocco con cagna”...Dino Campana “...E lo schioccar dei ciocchi e i guizzi di fiamma”. Italo Calvino: ”Le tirò contro un ciocco”. Pascoli ha ancora: “Racconta al fuoco sfrigola bel bello / un ciocco d'olmo intanto che ragiona”. Quindi le graziose maestrine che mi hanno scritto o telefonato possono scrivere ciocco anche perchè è regi-strato come di pura lingua nei vocabolari (Palazzi, Gabriel-li, Mestica, Devoto-Oli, Zingarelli, etc.). Tuttavia non è corretto scrivere muschio per indica-re la vellutina. Si deve (o dovrebbe) dire musco, anche se oggi prevale muschio. Il vocabolo vellutina lo trovo in Caridarelli: “I muri si coprivano di vellutina, etc.”. Natale, dolce Natale! Quanta poesia. La festa è or-mai imminente. I primi cristiani chiamavano dies natalis il giorno della morte, perché è la nascita al cielo. Nel giorno di Na-tale del 1306 Jacopone da Todi era moribondo. Ai confra-telli che si stringevano intorno a lui disse: “Voglio ricevere i sacramenti soltanto dal mio amico Giovanni della Verna”. Ma era cosa impossibile: il frate era lontano. Ad un tratto, come per miracolo, giunge ed amministra a Jacopone gli ultimi sacramenti. E così per opera di frate Giovanni (o me-glio di Giovanni Elisei da Fermo) in quella notte avvenne il dies natalis nella duplice accezione di nascita alla vita e del ritorno al Cielo.

Il Gusto... 8

Page 11: Il Gusto... della Vita

...Scripta manent

Presidente Massobrio, cos'è “Adesso 2009”?Mi piace descrivere “Adesso” come un libro per la fa-miglia. Ha la scansione di un'agenda, con una pagi-na per ogni giorno dell'anno e un angolo con alcune pillole conoscitive: lì ci sono consigli sul mangiare, su come rendere più bella e accogliente la casa, abbi-nare colori, perchè no, coltivare un fiore. La bellezza e il calore della famiglia sono al centro di questo libro. Ogni pagina ha uno spazio bianco, per l'evento del giorno, che vogliamo fermare nel tempo e per noi è memorabile. “Adesso” è un libro per tutta la vita, la testimonianza di cosa vale, di quello a cui teniamo. Ci sarà anche dopo di noi, perchè la trasmissione dei saperi tra generazioni è una tradizione fondamentale che non si deve perdere. Dopo il clamoroso successo della prima edizione di “Adesso” nel 2008, abbiamo pubblicato una seconda edizione, decisamente più ricca, disponibile in diversi formati. Le assicurazioni l'hanno richiesta “poket”, da regalare ai clienti. Un ot-timo risultato.Quali sono le finalità del Club di Papillon, di cui lei è Presidente Nazionale?Portare il gusto nella quotidianità degli italiani. Badate bene: intendo il gusto per la vita, a 360 gradi. Quando parliamo di mangiare, puntiamo l'attenzione su tutto ciò che è compagnia e amicizia. E poi mangiare è anche comunicare un affetto. In questo senso, non lasciarsi andare e non essere trasandati quando ci si mette a tavola è attenzione per chi ci sta accanto, per noi e per la nostra storia. Se parliamo di gusto, s'in-tende qualcosa che è tutt'altro dall'edonismo. Il cibo, il gusto per il buon mangiare sono un potente fattore culturale, in grado di richiamarci all’origine, a quello che siamo e da dove veniamo.Perchè le Denominazioni Comunali sono la carta di indentità del sindaco?Le De.Co sono delibere comunali, firmate dal sindaco: attestano l'origine di un prodotto, di una ricetta tradi-zionale, di una festa. Le De.Co avviano un processo di marketing territoriale che censisce tutti i prodotti e i saperi che identificano una comunità. L'Italia deve ri-partire dai Comuni e dalla collettività, dal loro valore identitario, forte e radicato. Questo accade quando il sindaco è pronto a metterci la faccia, senza chie-dere niente, senza aspettare fondi o riconoscimenti dall'alto. Inevitabile. Il gusto della vita per Paolo Massobrio è …L’amicizia!

PAOLO MASSOBRIOIl cronista del gusto

Incontriamo il giornalista al ristorante “Da Benito” (Ma-gliano di Tenna), in una serata settembrina firmata Club di Papillon Marche Sud. Sor-riso aperto, cordiale, parlanti-na sciolta, papillon d'ordinanza, Massobrio si concede alle do-mande di una cronista al croni-sta del gusto per eccellenza.

di Stella Alfieri

P a o l o M a s s o b r i o

Page 12: Il Gusto... della Vita

di Luciano Scafà

...L'archivio in cucina

I maggiori indiziati sono, come al solito, i cinesi. Chi sostiene che i maccheroni siano stati portati in Italia da Marco Polo, di ritorno a Venezia dal lontano Catai (cioè dalla Cina), nel 1292, dice il

vero. Solo che non erano i primi (anche se poi lo sa-rebbero diventati, nell’accezione di primi piatti): con un anticipo di ben 48 anni sul viaggiatore veneziano, esattamente nel 1244, il medico bergamasco Ruggeiro di Bruca prometteva ad un paziente, un lanaiolo genovese, che sarebbe guarito, a patto che smettes-se di mangiare carne, frutta e pasta (“…et non debes comodare aliquo frutamine neque de pasta lissa nec de caulis…”). Secondo altri documenti, la pasta por-tata da Marco Polo dall’Oriente non sarebbe arrivata neppure seconda, ma terza: nel 1279 il notaio Ugolino Scarpa, in un legato, indicava, tra i beni lasciati in ere-dità dal suo cliente Ponzio Bastone, “bariscella una plena de macaronis”. Una cesta piena di macchero-ni. Un bel modo di celebrare un defunto, in verità. Sono dunque nati in Italia, i maccheroni? Ragionan-do: se c’erano nel XIII secolo, è probabile che ci fos-sero anche prima. Della pasta ne sapevano qualcosa (anzi molto) gli Etruschi: nella tomba della “Grotta Bel-la”, a Cerveteri (IV secolo a.C.) c’è la raffigurazione dell’interno di una casa, con tutto ciò che serve per preparare la pasta: il matterello, la spianatoia, la ro-tella per tagliarla. Se andiamo un po’ più avanti nel tempo, pur rimanendo piuttosto indietro rispetto ad oggi, troviamo la làgana. Una schiacciata di farina considerata la progenitrice della lasagna. Cicerone e Orazio se ne cibavano con piacere. Ed essendo gli antichi romani gli antenati degli italiani, si potrebbe concludere che la pasta è nata qua. Un altro roma-no, meno antico (200 d.C.) e meno famoso, tal Api-cio, ci ha tramandato un timballo fatto con la sud-detta làgana. Verso l’anno 1000 vengono alla ribalta i siciliani di Trabìa, vicino Palermo. Là si faceva un tipo di pasta lavorata in forma di filamenti, che avevano il nome

arabo di “itriyah”. Questo nome è rimasto, e non solo lui, visto che ancora oggi i palermitani mangiano i “vermicelli di Tria”. Dopo i cinesi e gli italiani, ecco che come inventori della pasta spuntano quindi gli arabi: un popolo che ha fatto invenzioni che contano. A co-minciare dai numeri.Che li avessero inventati loro, o glieli avessero portati a domicilio gli arabi, i siciliani furono comunque, fino al Medioevo, dei formidabili mangiatori di pasta. Tan-to da meritarsi l’appellativo di “mangiamaccarruna”. Lo testimonia l’agiografia, la vita dei santi. Il beato Guglielmo Eremita, siciliano, venne invitato a pranzo nella casa di un signorotto locale. Costui, per farsene beffe, gli fece servire un piatto di ”maccarones” - rife-risce il cronista dell’epoca - ripieni di fango, anziché di ricotta. Il beato Guglielmo non fece una piega: be-nedisse il cibo, e cominciò a mangiare. Miracolo! Il fango si mutò all’istante in ricotta, per lo scorno del suo maleducatissimo ospite. Sulla veridicità di questa storia non tutti ci metterebbero la mano sul cuoco, ma grazie ad essa sappiamo che prima del 1247, anno di morte del beato Guglielmo, i “maccaroni” facevano già parte del menu isolano. Per mettere fine alla que-relle che coinvolge, in qualità di inventori della pasta, i cinesi, gli arabi e gli italiani, ecco un’ipotesi antro-pologica, o forse semplicemente logica. Che fa con-tenti (o scontenta) tutti. Secondo questa teoria, la pa-sta non l’avrebbe inventata nessuno. Sarebbe nata, come dire, da sola: in modo naturale. Il frumento è noto all’uomo da più di diecimila anni, e la farina, che deriva dallo schiacciamento dei chicchi di frumento, è quasi altrettanto antica. Impastandola semplice-mente con acqua, venivano fuori delle focaccine sot-tili, magari non belle a vedersi, ma nutrienti, una volta cotte su pietre calde. Da qui a far bollire in acqua questo impasto, il pasto è breve: nel senso che dalle focacce cotte e la “pasta” cotta in acqua passano solo settemila anni. Un’inezia, quando si parla di quei periodi là.

La culturadei Maccheroni

Si ignora quale origine abbiano i maccheroni. Divina, probabilmente: un buon piatto di pasta è una delle prove dell’esistenza di Dio. E del fatto che ci vuole bene. Ma se vogliamo restare coi piedi per terra (da cui indubbiamente la pasta, fatta d’acqua e di grano, proviene), si deve riconoscere che sull’origine dei mac-cheroni non ci sono certezze.

Il Gusto... 10

Page 13: Il Gusto... della Vita

...L'archivio in cucinaGli archeologi si sono imbattuti in un villaggio del neolitico e da al-cuni elementi hanno dedotto che il villaggio era stato distrutto da un cataclisma. Tra gli oggetti di uso quotidiano ritrovati, c’era una spe-cie di piatto capovolto. Rigirando-lo, vennero rinvenuti dei filamenti fatti con un impasto d’acqua e farina. Non di grano duro, ma di miglio; di color giallo paglierino, lunghi anche mezzo metro. Dei veri e propri spaghetti. Le analisi col carbonio 14 hanno dimostrato che questo piatto di pasta ha cir-ca 4000 anni. Un buon piatto di pasta, adeguaitamente condito, è una poesia. È un’arte raffinata, sottile. Non stupi-sce perciò che questo cibo abbia incrociato la propria strada con quella di poeti, di scrittori, e perfi-no di uomini politici. Orazio celebrò le lagane, antenate delle lasagne. I maccheroni, unici nel loro genere, diedero vita mol-to tempo dopo addirittura ad un genere letterario: la poesia mac-cheronica. Impasto (non a caso) di cultura alta e bassa, che fa il verso (e anche questo non è un caso) al latino e all’italiano dotto, mescolandoli in una lingua nuova ed improbabile. Il maggior esponente di questa tra-

dizione goliardica fu Merlin Cocai, al secolo Teofilo Folengo, man-tovano (1491-1544), autore delle “Maccaronee” e di tanto altro. Nella visione di Folengo, le Muse godono “di cento caldaie che mandano il loro fumo verso le nubi, piene di caciottine, maccheroni e lasagne”. Un altro grande gaudente, Giaicomo Casanova, compose a Chioggia, nel 1734, un sonetto in onore dei maccheroni. Pare che in quell’occasione se ne mangiò tan-ti, da essere incoronato Principe dei maccheroni.

La pasta, per la verità, ieri come oggi, la mangiavano tutti: di certo Giacomo Leopardi, nei suoi “desi-derata” alla seconda voce indica-va, al cuoco di casa, come piatto preferito i maccheroni o tagliolini!” Oltre che poesia, la pasta è musi-ca. Ben lo sapeva Gioachino Rosisini, che amava definirsi “Pianista di terza classe, ma primo gastro-nomo dell’universo”. Cucinava bene, Rossini. La sua specialità erano i bucatini al fois-gras, che farciva con una siringa d’argento e avorio fatta costruire appositamanente. La pasta gli pia-ceva tanto, che se ne faceva man-dare delle intere casse da Napo-

li, città che conosceva bene. Nel 1859, lamentandosi con un amico per il ritardo di una di queste spe-dizioni, arrivò a firmarsi “Gioachi-no Rossini, Senza Maccheroni”. Molte sono le varianti regionali della pasta fatta in casa compre-si i nostri famosi MACCHERONCINI DI CAMPOFILONE. Ne cito alcune: Maccheroni alla gonzaga, Mac-cheroni Bobbiesi, Maccheroni a matassa, Maccheroni alla Chi-tarra, Maccheroni alla Molinara, Macccheroni alla Ritorcio, Mac-cheroni della Ceppa, Maccheroni Crioli.

L’opera più importante sull’argo-mento fu però quella di Antonio Viviani, napoletano, poeta e com-mediografo di ottima pasta. “Li maccheroni di Napoli” del 1824 è un poema giocoso, ed è interes-sante anche perché in esso si trova per la prima volta il termine “spa-ghetti”. E sono illustrate le varie fasi della lavorazione della pasta. Ed è su questo autore che vorremmo soffermarci.Il poemetto è dedicato a Sua Ec-cellenza il signor cavaliere CARMI-NE LANCELLOTTI direttore generale de’ Reali Lotti, è composto 75 so-netti ed è un elogio alla pasta e alla tavola in generale.

A CHI VUOL LEGGERELo credereste? Un rivenditor di paste ha fatto nascere questa,

qual siasi, operetta che ardisce comparire in pubblico la pri-ma volta... Oh, oh! cattivo principio, sento rispondere, può esser poco di buono-piano piano: sarà così pur troppo; ma prima di condannarla, io vi prego, lettor mio caro, di darle una scorsa, ancor per ischerzo. Sentite, se vi aggrada, come

andò la faccenda. Passando un giorno per Toledo, come si chiamano tante paste diverse, dissi a questo pastiero? Oh! Tutte hanno il loro nome, rispose, e nomi adattati alle di-verse qualità - e subito pieno di cortesia, si fè a chiamar-le tutte ad una ad una, che eran molte davvero. Sentite?

Disse un dè mici compagni, vi basta l'animo a metterle tutte in versi? Perché no! Risposi: e intanto cammin facendo cominciai a masticar fra me un'ottava ac-cozzando li varii terminucci che mi rimaneano im-pressi. La impastai alla meglio, e giunto a casa, la

scrissi: ma come poi i poeti non la fanno mai fini-ta, io con altre ideucce che andavan nascendo di mano in mano, scrissi tre, quattro o dieci altre ottave, tantochè, come le cerase, una tirando l'altra, mi venne fatto di accozzar tutta questa

filastrocca. Tal quale è uscita dalla penna io ardisco presentarla a questo per ogni conto rispettabile Pubblico, sperandone benigna accoglienza e compatimento.

A n t o n i o V i v i a n i“ L i m a c c h e r o n i d i N a p o l i ” , 1 8 2 4A rch i v i o p r i vato Po r to Sa n G i o rg i o

11 della vita

Page 14: Il Gusto... della Vita

Non sempre le favole diventano re-altà, ma nel caso della Mela rosa la favola si sta avverando. Grazie alla segnalazione di semplici appassio-nati, alla lungimiranza e agli sforzi dei tecnici dell’A.S.S.A.M. (Agen-zia Servizi Settore Agroalimentare delle Marche) che avevano prov-veduto a recuperare, catalogare e conservare alcuni ecotipi di mele marchigiane dimenticate, la mela rosa è tornata ad essere coltivata di nuovo nelle colline della fascia pedemontana dei Sibillini. Alcu-ni agricoltori hanno accettato la sfida, sposando il progetto e ren-dendosi disponibili a rimettere in discussione le proprie competenze per affrontare un mercato diversi-ficato. È il caso dell’ azienda Gobbi di Monte San Martino, da cui è parti-to il primo progetto di frutteto spe-rimentale, curato dall’A.S.S.A.M. in zona altocollinare, quindici anni fa (1993). Nel corso degli anni sono state recuperate, selezionate, stu-diate e reinserite in produzione più di 50 varietà di mele, sia antiche che moderne, tra cui la mela rosa, la più vocata al clima e alle con-dizioni ambientali della zona. Da

Il Ritorno delle

di Maria Grazia Laurenzi

questa ed altre esperienze hanno preso avvio vari organismi di tute-la della Mela rosa, tra cui l’Asso-ciazione dei Produttori delle mele rosa dei Monti Sibillini (Presidio Slow Food) e il Consorzio per la tutela della mela rosa ed ecotipi della mela in genere (Comunità Monta-na dei Monti Azzurri).Tra i molteplici scopi di tali organi-smi troviamo:- il rilancio della melicoltura dell’Appennino come offerta di in-tegrazione al reddito delle piccole imprese agricole, attraverso colti-vazioni eco-compatibili;- la salvaguardia della biodiversi-tà e del patrimonio genetico della frutta antica;- la reintroduzione sul mercato di mele rustiche, meno soggette ad agenti patogeni e parassiti, dun-que più sane, perchè prodotte con ridotto uso di antiparassitari;- la valorizzazione di produzioni ti-piche di qualità, quali la mela rosa, attraverso certificazioni DOP e IGP.Della mela rosa se ne conoscono almeno una trentina di biotipi, tut-ti accomunati dalle stesse carat-teristiche: peduncolo cortissimo, forma schiacciata ed irregolare,

gusto leggermente acidulo e pro-fumo intenso. Si possono raggrup-pare in tre grandi sottogruppi in base al colore e alla durezza della polpa:a) mela rosa dalla polpa croccan-te e dal colore verde con striature rosa - giallastreb) mela rosa dalla polpa tenera e dal colore giallo con sovracolore rosso nelle parti soleggiatec) mela rosa dalla polpa soda e dal colore verde con striature rosso vinose.

La produzione di mele rosa non potrà mai, comunque, realistica-mente, competere con le esigen-ze della grande distribuzione e dei supermercati. Resterà un prodotto di nicchia, da tutelare e valorizzare sempre di più, anche economica-mente, per la qualità, le proprietà, la serbevolezza e soprattutto per-chè soggetto a produzione scarsa e discontinua. Occorrerà in tal sen-so educare i cittadini a riscoprire saperi e sapori della frutta antica che si concilino con coltivazioni ottenute da tecnologie rispettose dell’ambiente e della salute. I tem-pi sembrano “maturi”.

Mele Antiche...Biodiversità

C’erano una volta, nelle Marche, delle mele squisite e quasi magiche, che riuscivano a conservarsi, naturalmente, fino a primavera inoltrata; ba-stava solo proteggerle dal gelo e dalle grinfie dei bambini, sempre affa-mati. Era un piccolo miracolo, che, per le povere famiglie contadine, si

ripeteva ogni anno e di cui bisognava ringraziare i nonni e i bisnonni per averle selezionate, innestate e custodite con tanta amorevole cura. Il loro carattere evo-cativo riaffiorava nei testi antichi; l’arte le aveva raffigurate sia in forma reale che simbolica e la cultura popolare ne aveva vantato le virtù salutari. Erano stra-ne quanto a forma, colori e sapori ed anche i nomi erano bizzarri: muso di bue, cerina, limoncella, ruzza, culo di somaro, annurca, gentile, gelata, zitella, rosa, rosa in pietra... Poi, tutto d’un tratto, ai tempi della televisione, dell’esodo dei contadini dalle campagne e delle politiche agricole altisonanti, scomparvero, per far posto a del-le straniere, nuove arrivate, molto attraenti e dai nomi evocativi: Golden, Deli-cious, Enterprise, Stark, Fuji, Morgenduff, Gold Rush... Poco importava se il sapore era scomparso o era sempre lo stesso e la qualità era talvolta scadente. Il mercato esigeva attrattiva estetica e disponibilità continua. Così le povere mele di una volta vennero dimenticate, senza rimpianti e relegate ai margini della società, nascoste tra i rovi, sole, in mezzo a terreni incolti. Ma un giorno, alcuni principi azzurri, passando tra i campi abbandonati, si im-batterono nelle povere mele e decisero di sposarne la causa, di studiarle, rivalu-tarle e farle conoscere. Così fu varato un “Progetto di recupero del germoplasma del melo” con l’intento di evitare l’erosione genetica della biodiversità melicola marchigiana. Le mele antiche tornarono a far parlare di sè, ad essere apprezzate per le loro qualità e proprietà e... tutti vissero felici e contenti.

M e l a R o s a

Il Gusto... 12

Page 15: Il Gusto... della Vita

C ostituita nel 1947 dal Sig. Vittorio Monaldi e nata come attività mangimistica, la MONALDI, si è poi specializzata nella produzio-ne e commercializzazione di uova e derivati.L’esperienza maturata e la capacità di offrire un prodotto di eleva-

ta qualità hanno permesso nel corso degli anni alla stessa di divenire una delle realtà più significative del proprio settore. Realtà che oggi è costitu-ita da 3 aziende, in cui sono impegnati circa 120 persone fra dipendenti, agenti di vendita, tecnici ecc. e 18 strutture adibite alla produzione.La volontà dell’azienda di mantenere un alto standard qualitativo dal pun-to di vista dell’offerta si riscontra nella scelta di proporre una gamma dei prodotti diversificata, completa e specifica, tenendo conto delle peculiarità di settore e delle esigenze della clientela.Infatti, le uova in guscio sono disponibili confezionate e non, selezionate per grammatura, con il tuorlo di colorazione più o meno intensa, da di-versa tipologia di allevamento; la gamma dei prodotti pastorizzati (misto d’uovo, albume, tuorlo e tuorlo zuccherato) è ulteriormente arricchita dalle differenti colorazioni (colore normale, alto colore vegetale, alto colore extra) e sono realizzati in tre formati da 1kg -10kg-20kg.I prodotti MONALDI sono distribuiti presso i canali della GDO, retail, catering e nei piccoli e medi laboratori specializzati di pasta all’uovo e pasticceria.La MONALDI spa è un’azienda a fi l iera completa, capace di garantire la rintracciabilità del prodotto. Questo è reso possibile dal fatto che gestisce e controlla direttamente, avendole al suo interno, tutte le strutture che in-tervengono nel processo produttivo: mangimificio, pulcinaia, allevamenti ovaiole, impianto di selezione e pastorizzazione, laboratorio analisi. Inoltre, da sempre sensibile alle problematiche ambientali ed al benessere delle persone è stata fra le prime aziende in Italia ad aver attivato un meto-do di allevamento basato sull’agricoltura biologica ed a terra. Iniziando nel 1997 con un piccolo numero di galline si arrivati oggi a 13 allevamenti con 40.000 galline circa allevate senza gabbie, all’aperto e con alimentazione certificata biologica.L’azienda Monaldi spa è certificata ISO 9001:2000, ha Certificazione da agricoltura biologica, Certificazione Koscher ed ha ottenuto la Certificazio-ne Ambientale.

MONALDI spa via S.Antonio, 156 63027 Petritoli (AP)te l . 0734/657010 - 657009 fa x 0734/657003e mail: [email protected] www.monaldispa.com

PUBBLIREDAZIONALE

Page 16: Il Gusto... della Vita
Page 17: Il Gusto... della Vita

Natale e i suoi dolci. Il Fermano - Mace-ratese ne conosce molti. Dai Gallucci o Cavallucci alle Ciambelline di magro, dal dolce di castagne ai Ciciarù, dalla

Pagnotta nociata al Budino di cachi. Ne parlano an-che Lucilla e Manuela Di Chiara nel loro bellissimo vo-lume “Ricette, Ricordi, Racconti”.C'è poi “Lu serpe”. Lo facevano le suore: interno nero, esterno bianco. Gli antipodi del bene e del male. A Falerone qualche forno ancora ci prova, e il consiglio comunale gli ha dedicato una De. Co.In tante case dei nostri paesi, le donne si cimentano con “lu pistringu” o “fristingu” o “frustingu”: fichi sec-chi, noci, mandorle, uvette. Da leccarsi i baffi.Un tempo in campagna, il 24 dicembre, portando nel camino il grande ceppo che doveva ardere per sette giorni, si cantava una filastrocca: “Si rallegri il ceppo, domani è il giorno del pane; ogni grazia di Dio entri in questa casa; le donne facciano figliuoli, le capre capretti, le pecore agneletti, abbondi il grano e la farina, e si riempia la conca del vino”.Il grande scrittore Alfredo Cattabiani ci ricorda che: “Il Natale era definito il giorno del pane. Per questo motivo, durante le feste si mangiano dolci a base di

farina, che hanno nomi diversi secondo le regioni”.Scrive ancora Cattabiani: “L'usanza di consumare a Natale dolci preparati con la farina potrebbe risalire agli antichi Romani perché Plinio il Vecchio riferisce che alla festa del Natalis Solis Invicti si confezionava-no le sacre e antiche frittelle natalizie di farinata”.Per il Cristianesimo invece quei pani sono il simbolo di Gesù, che aveva detto: “Io sono il pane della vita; chi viene da me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete. Io sono il pane della vita”.C'è una sacralità nel cibo, dunque. Nel pane soprat-tutto. I contadini delle nostre campagne erano usi ba-ciarlo prima di poggiarlo sulla mensa. Per la cultura russa, all'ospite si doveva offrire pane e sale. Le mas-saie italiane di un secolo fa, prima di far lievitare la pa-sta del pane, tracciavano sulla massa umida - come ricorda Franco Cardini - una croce servendosi della punta di un coltello. Tutti costoro “non si limitavano a compiere un gesto che facilita la lievitazione, bensì si riallacciano all'archetipo eucaristico che scorge nel pane il corpo del Signore".La tavola e il cibo raccontano la nostra storia e ci ri-cordano chi siamo e da dove veniamo.

Lupo Nobile

PANE E DOLCI DI NATALE.MOLTO PIÙ DI UN CIBO

15 della vita

Page 18: Il Gusto... della Vita

L'Amaro Sibilla e la Sibilla del De CarolisL' Amaro Sibilla, primo prodotto storico dell'ampia gam-ma della Distilleria Varnelli, è nato – come raccontiamo in altro articolo - nel 1868 dalle competenze erboristiche del fondatore Girolamo Varnelli, con una ricetta che coniugò ricerca e risorse naturali del territorio per ottenere un me-dicamento utile ai conterranei. Lungimirante, Girolamo Varnelli arricchì l'etichetta del suo amaro con la Sibilla di Adolfo De Carolis.Dal 1868 la Distilleria Varnelli utilizza gli stessi metodi tradizionali che si tramandano da quattro generazioni. In caldaie di rame alimentate a legna vengono decotte erbe officinali e radici, la genziana lutea (o genziana maggiore, pianta d'alta montagna, dalle spiccate proprietà amaro-to-nico digestive, della quale si usano le radici) e la genzia-nella dinarica (foglie e fiori), la china calyssaia, corteccia d'arancia e cannella. Poi, come tocco finale, il miele mil-lefiori vergine, fornito da apicoltori del territorio. L'amaro viene posto a riposare nei tini per un anno circa, quindi filtrato. Il prodotto finale è completamente naturale e non contiene essenze ottenute industrialmente.

Chi siano noi se non l'ultimo anello di una catena che ci lega ad una storia, ad un popolo, ad una terra. Anche i nostri imprenditori sono il portato di questa storia. In loro arde la capacità dei pittori, degli scultori, dei ceramisti, dei poeti, dei musicisti di casa nostra e della nostra Italia.Ci sono venute in mente queste riflessioni quando abbiamo saputo che la “fabbrica” Varnelli sosterrà la prima grande mostra su Adolfo De Carolis, l'artista di Montefiore dell'Aso. L'iniziativa si svolgerà al Polo Museale di San Francesco (Montefiore dell'Aso), a partire dal 13 dicembre fino al 3 maggio 2009. “Adolfo de Carolis e la democrazia del bello: vivere con l’arte vivere nell’arte” sarà la mostra-evento del Natale marchigiano. L’iniziativa, a distanza di 80 anni dalla morte (1928), in-tende essere un apporto ulteriore alla conoscenza del De Carolis, riconoscendo all’artista marchigiano la capacità di essere un precursore del valore identitario della produzio-ne artistica minore.Per l'azienda di Pievebovigliana “sarà l’occasione - come spiega Simonetta Varnelli - per sottolineare con ancor mag-giore forza che il valore aggiunto di un prodotto è costi-tuito anche dal legame con la storia, l’arte, la cultura, le tradizioni, le materie prime della terra di origine; legame che rafforza e garantisce la specificità e la diversità del prodotto stesso”. “Il territorio, inteso nel suo complesso geografico, antropo-logico, culturale, artistico, naturalistico e storico, è l’eccel-lente testimone di un prodotto e, d’altro canto, il prodotto, se è coerente e fedele a tali valori, diventa esso stesso testi-mone del luogo di appartenenza, in un circolo virtuoso di reciproca valorizzazione e promozione”.

Tradizione erboristicaed arte si incontrano

Varnelli - De Carolis un grande connubio.Un nuovo incontro

13 dicembre 20083 maggio 2009Vivere con l’arte vivere nell’arte“ADOLFO DE CAROLIS e la democrazia del bello”

MONTEFIORE DELL'ASO (AP)POLO MUSEALE DI SAN FRANCESCO Info 0734.938743

...Distilleria Varnelli

PUBBLIREDAZIONALEIl Gusto... 16

Page 19: Il Gusto... della Vita

Fantastica, questa Terra di Marca. Fantastici i suoi Monti Azzurri ricchi di storie e di leggende: il monte Sibilla, con la sua corona e l'antro misterioso; il monte Vettore, che s'affaccia sul tenebro-so lago di Pilato; il Grande e il Piccole Gendarme, a ricordo del

procuratore romano sprofondato nelle acque senza fondo; Passo Cattivo e Pizzo del Diavolo, a memoria di presenze oscure; monte Priora e Pizzo Tre Vescovi, a salvaguardia di un'identità cristiana in terra già pagana. Impossibile non fare i conti con tali realtà: con la fata o strega o maga, o anticipatrice della Vergine Maria, quale fu la nostra Sibilla; con i Cava-lieri della nuova Cerca del Graal, come il Guerin Meschino, Antoine de la Salle, il Principe di Pac; con i negromanti dei libri del comando; con i monaci benedettini e la loro regola rivoluzionaria: Ora et Labora.Tutto questo sapeva, tutto questo conosceva Girolamo Varnelli. Lui, il fondatore della più antica distilleria marchigiana: la Distilleria Varnelli di Pievebovigliana.Nato a Cupi di Visso, era un profondo conoscitore delle erbe, un erborista eclettico. Le cercava tra quei monti fatati, immergendosi in quel clima di leggende. Se ne era appassionato frequentando i diversi monasteri benedettini della zona. Nei secoli, ogni monaste-ro aveva avuto un “orto dei semplici” dove venivano coltivate le erbe officinali da somministrare ai malati: che fossero confratelli o semplici laici era lo stesso. Il sig. Girolamo aveva imparato quest'arte e, attento ai problemi della sua terra e della sua gente, voleva produrre un amaro medicamentoso contro le febbri malariche che affliggevano i suoi pastori, i suoi com-pagni, i suoi conterranei. Voleva creare un medicamento antifebbrile, rimineralizzante, utile anche come tonico, aperitivo, digestivo. Si con-frontò con alcuni medici e alla fine scelse la genziana, la genzianella, la china calyssaia, la cannella, cortecce d'arancia dolce e amara, chiodi di garofano, rabarbaro...e miele al posto delle zucchero. Ne nacque un amaro efficace e gradevole, che non poteva non chiamarsi “Amaro Si-billa”.40 anni più tardi, un grande artista di Montefiore dell'Aso, Adolfo De Carolis, avrebbe disegnato la più che famosa etichetta: la Sibilla mi-chelangiolesca e meditabonda.140 anni fa nasceva dunque la Distilleria Varnelli (oggi Distilleria Varnelli Spa, con sede operativa a Muccia) la più antica delle Marche, che ancora oggi vanta, orgogliosamente, la licenza UTF n. 1.In questo secolo e mezzo di storia la “fabbrica” Varnelli ha fatto parlare di sé per tanti altri ottimi prodotti. Ma dell'una e degli altri continueremo a parlare nei prossimi numeri.

A.Le.

Distilleria Varnelli,la più antica delle Marche. Tra cultura, storie, leggende e... grandi prodotti

Il “Varnelli”, il re della Casa. Anzi, di ogni casaProbabilmente, un tempo, in campagna, la “somara” che il fi-danzato portava alla sua ragazza, la notte del 24 dicembre, diventava più appetibile con l'anice Varnelli. Probabilmente, i notabili di paese ponevano il Varnelli sul tavolo accanto alla scacchiera d'onice.Sicuramente oggi, in ogni casa, specie a Natale, il Varnelli-Anice secco-Speciale non manca di certo. Anche perché, oltre a berlo subito dopo un lauto pasto e magari in un Cicchetto di cioccolato, potrete “gestirlo” arricchendo di sapore i maccheroni con le noci, le castagne arrostite, la torta Christmas Cake, la ri-cotta, tanto per citare solo alcuni degli abbinamenti possibili.Un buon Natale a tutti, allora, e che sia ancora più buono con “Varnelli”: il Re.

SCOPRIIL SAPOREDELLATRADIZIONE

...Distilleria Varnelli

www.varnelli.it

PANETTONE AL PROFUMO DI VARNELLIPREPARAZIONE 30 MINUTI - COTTURA 100 MINUTI - PER 8 PERSONE - STAMPO Ø 22 CM

PREPARAZIONETorta: sui canditi tritati grossolanamente versate il Varnelli e lasciate macerare per 1 ora. Montate a crema il burro morbido con metà dello zucchero. A parte montate le uova con lo zuc-chero restante. Unite i due composti mescolando. Setacciate sulla massa la farina con il lievito, un pizzico di sale e le noc-ciole macinate. Aggiungete tutti i canditi e 3 cucchiai di Varnelli. Versate il composto nello stampo unto e infarinato e cuocete a 160° per 1 ora, poi coprite la torta con la carta stagnola e pro-seguite la cottura per altri 40 minuti.Bagna: lasciate sobbollire l'acqua con lo zucchero per 5 minuti a tegame scoperto, allontanate dal calore e aromatizzate con il Varnelli. Lasciate raffreddare. Quando il dolce sarà cotto, sfor-natelo e sformatelo su una gratella. Bagnatelo ripetutamente con la bagna e trasferitelo in una scatola a chiusura ermetica. Il giorno dopo ripetete l'operazione.Decorazione: adagiate la torta sul piatto da portata e pennel-latela con la gelatina di albicocche. Decorate il dolce con le stelline.

INGREDIENTI- 450 g di canditi misti- 240 g di farina- 240 g di burro- 4 uova- 240 g di zucchero- 100 g di nocciole- 3 cucchiaini di lievito- 120 g di Varnelli

bagna:- 50 g di acqua- 70 g di Varnelli- 50 g di zucchero

decorazioni:- stelline di zucchero- gelatina di albicocche

17 della vita

Page 20: Il Gusto... della Vita

Chef Fabrizio Donati

...la disfida dei fornelli

RICETTA

Fabrizio Donati nasce a Fermo nel 1959. Cresciuto professionalmente sotto la scuola vigile della famiglia e sempre attento alla cucina tradizionale, ha seguito corsi di aggiornamento e approfondimento in vari istituti di cucina, con maestri di livello nazionale."Nella cucina cerco di esprimere il bello e il buono in ogni ricetta aggiungendo quell'ingrediente che oggi si trova sempre meno, la passione.In questo momento, che definisco di passaggio, sto mettendo a punto un progetto con mia moglie, dove natura, semplicità, innovazione e tradizione si intrecciano".

Piccione converza stufatae tortino di riso jallo

Ingredienti200 gr di riso vialone nano2 piccionialloroagliocipolla100gr di parmigiano grattugiato50 gr di burro2 uova400 gr di verza1 costa di sedano1 carota

PreparazionePulire i piccioni, togliere i petti e le cosce. Mettere le carcasse in una pentola insieme alla carota, il sedano e la cipolla per avere del brodo che servirà per cuocere il riso. In una padella mettere l'olio, qualche spicchio d'aglio e un po' di odori, cuocere i petti con le cosce di pic-cione e lasciarli in caldo. In un'altra padella cuocere la verza tagliata a julienne. Cuocere il riso e a fine cottura amalgamarci i tuorli d'uovo e il parmigiano.Nel piatto fare un letto di verza dove si adagerà il petto scaloppato e la coscetta di piccione e con degli stampini formare dei tortini di riso.

Il Gusto... 18

Page 21: Il Gusto... della Vita

Chef Michele Biagiola

...la disfida dei fornelli

Ingredienti per 4 personePer la crema di zucchine2 zucchine½ cipolla biancaolio extravergine di oliva di tipo ascolana tenerasalePer la crema di borlotti100 gr di fagioli borlotti freschi sgranati½ carota½ costa di sedano½ cipolla bianca1 foglia di alloro sbianchitaolio extravergine di olivasalePer la gelatina di acqua di pomodori50 ml di acqua di vegetazione di pomodori mediamente maturi (rilasciata da fette di pomodoro salate messe a scolare e filtrata con una stamina)0,5 gr di agar-agar in polverePer i crostini rossi40 gr di pane raffermo tagliato a cubi1 spicchio d’aglio40 gr di pomodori maturi a cubi delle stesse dimensioni del paneolio extravergine di olivasalePer la guarnizione4 foglie di portulaca - 4 foglioline di erba buon enrico - 4 foglioline di bieta rossa - 4 fette di piccole zucchine grigliate (tagliate nel senso della lunghezza) - 4 cuori di piccoli finocchi arrostiti - 2 fiori di zucca tagliati a metà e passati per pochi istanti su una piastra infuocata - 1 cipollotto fresco tagliato in 4 e cotto al cartoccio per 20 minuti con sale e olio nel forno a 130 °C - 4 cimette di basilico rosso, greco e verde - 4 foglioline di prezzemolo - 4 foglioline molto piccole di menta - 4 cimette di santoreggia - 4 cimette di mag-giorana - 4 cimette di origano - 4 cimette di timo - 2 steli di erba aglina tagliati a metà - 4 fiori di malva - 4 fiori di borragine - 4 fiori di finocchio

La foto e la ricetta si riferiscono a “L’orto nel piatto”, un piatto che segue i dettami della natura e cambia nei singoli ingredienti anche quotidia-namente ( in questo caso proponiamo la versione del 2 maggio 2008 ).“L’orto nel piatto” è l’estrema attualità del nostro orto, l’esempio di come si possa mettere insieme, anche in modo casuale, erbe, frutta e verdure senza regole scientifiche ma con proporzioni equilibrate creando una sorta di concentrazione di colori, profumi e sapori.Se ho la fortuna di poter utilizzare una così vasta gamma di materie pri-me vegetali è anche grazie alla Sig.ra Elvia Pelagalli, esperta ed appas-sionata botanica nonché mamma della titolare Francesca Giosuè, vera anima di tutto il complesso.

L’orto nel piatto

Preparazione Per la crema di zucchine, fare appassire a fuoco moderato la ci-polla con un fondo d’olio in un piccolo tegame per circa 2 minuti, unire le zucchine a rondelle sottili e coprire d’acqua. Fare andare per altri 5 minuti, salare, togliere dal fuoco, frullare, passare al co-lino cinese e fare raffreddare. Per la crema di borlotti, fare andare a fuoco lento in un tegame con un fondo d’olio l’alloro e gli odori tritati per pochi minuti, unire i fagioli e coprire con abbondante acqua. Cuocere per altri 20 minuti, salare, togliere dal fuoco, scartare l’alloro, frullare, passare al colino cinese e raffreddare. Per la gelatina, scaldare a 70 °C l’acqua dei pomodori, unire l’agar-agar, precedentemente bollito per 5 minuti in un piccolo tegame con poca acqua. Versare il tutto in uno stampo allo spessore di almeno 1 cm circa. Per i crostini, tostare il pane con un fondo d’olio e l’aglio sbuc-ciato, unire i pomodori, salare, togliere l’olio e mettere il tutto nel forno ventilato a 100 °C per 10 minuti circa. Versare in una fondina ampia prima la crema di zucchine, poi quella di borlotti, creando un effetto marmorizzato e uno strato spesso 3-4 mm. Adagiare in superficie le erbe, i fiori, le verdure e la gelatina a cubi, cercando di mantenere la distanza necessaria per poter fare di ogni cucchiaiata un profumo e un sapore diverso. Rifinire il piatto con i crostini e un giro d’olio.

RICETTA

19 della vita

Page 22: Il Gusto... della Vita

Enologo Alberto Mazzoni

La ripresa vegetativa

è avvenuta in epoca

normale, quindi con

circa 8 giorni di ritardo

rispetto al 2007. Il germogliamento

è risultato regolare ed omogeneo.

Dopo tale fase vegetativa è se-

guito un periodo molto umido che

ha favorito il diffondersi della pe-

ronospora e dell'oidio che, in di-

versi vigneti di fondovalle, hanno

determinato perdite di prodotto.

Solo le aziende che hanno attua-

to un'oculata difesa del vigneto,

sono riuscite a ben antagonizzare

gli attacchi di queste due ampe-

lopatie. Il mese di luglio e agosto

sono stati caratterizzati da giorna-

te soleggiate e ventilate con tem-

perature quasi sempre al di sopra

della media del periodo e con as-

senza di precipitazioni.

Le importanti escursioni termiche

e le piogge del mese di settem-

bre hanno ricondotto l’inizio della

Nelle Marche l'autunno e l'inverno sono stati caratterizzati da ripetute piogge, che hanno favorito il completo ripristino delle riserve idriche. Queste condizioni si sono protratte per tutta la primavere e le prime giornate soleggiate sono iniziate con il mese di luglio che, tuttavia, ha fatto registrare alcuni violenti temporali e anche qualche grandinata.

vendemmia nella norma plurien-

nale, tanto che la raccolta delle

uve precoci è iniziata tra la fine di

agosto e i primi giorni di settem-

bre, a cui sono seguite le uve di

Merlot e Pecorino. Il pieno della

vendemmia nelle Marche è av-

venuto nell’ultima settimana di

settembre quando si è accaval-

lata la raccolta delle uve di Ver-

dicchio, Sangiovese, Maceratino,

Biancame, Cabernet e Passerina.

I conferimenti delle uve Montepul-

ciano (iniziati nella prima decade

di ottobre) per la produzione della

Docg Conero e per la Doc Rosso

Piceno e quelle di Verdicchio per

la tipologia “passito” sono termi-

nati alla fine di ottobre, ad ecce-

zione di alcune partite che saran-

no raccolte nella prima settimana

di novembre.

Complessivamente in tutta la rei

gione l’incremento del 25% ipotizi

zato nei primi giorni di settembre

è sensibilmente calato, tanto che

si stima una produzione di circa il

15% superiore rispetto alla scorsa

campagna con una produzione

quindi di vino pari a circa 870.000

ettolitri.

Qualitativamente parlando, i ri-

scontri analitici confermano

un’annata un’ottima dal punto di

vista aromatico, mentre la resa

uva/vino è risultata buona rispetto

alla media pluriennale. Le fermen-

tazioni hanno avuto un decorso

regolare e complessivamente la

qualità dei futuri vini si attesta su

buoni livelli con diverse punte di

ottimo e alcune di eccellente.

Per quanto concerne le contratta-

zioni delle uve, il mercato ha fatto

registrare una stabilità dei prezzi

rispetto allo stesso periodo dello

scorso anno, mentre per i nuovi

vini l’attenzione è rivolta verso i

bianchi anche se non si prevedo-

no incrementi di valori.

Vendemmia 2008:+15% rispetto

alla vendemmia 2007

...Vino & Territorio

Il Gusto... 20

Page 23: Il Gusto... della Vita

La degustazione è il mezzo per scoprire un mondo ricchissimo di sensazioni che altri-menti andrebbero perse: degustare vuol dire cercare, trovare, analizzare le caratte-

ristiche dei vini, percepire ed interpretare emozioni trasformando così un piacere fisico (il dissetarsi) in un piacere più complesso (edonistico). Emile Peynaud diceva: “Degustare vuol dire gustare con attenzione un prodotto, di cui si vuole apprezzar-ne la qualità, sottoporlo all’esame dei nostri sensi, per ricercare le sue diverse qualità e descriverle detta-gliatamente, classificarle …”È infatti per mezzo di essa, che si esegue utilizzando solamente i nostri organi sensoriali (vista, olfatto, gu-sto e tatto), si è in grado di dare un giudizio sulle ca-ratteristiche del vino in senso qualitativo, perché ci permetterà di cogliere un vasto numero di sensazioni, riuscendo a giudicare il loro equilibrio, la loro armo-nia e la capacità di suscitare un pieno gradimento sensoriale. Lo scopo di un metodo di degustazione è quello di rendere possibile l’interpretazione degli sti-moli promossi dai fattori fisici, chimici e meccanici del vino che eccitano le nostre cellule sensoriali. Natural-mente non si può andare “a orecchio”, ma bisogna creare nel nostro cervello, un bagaglio di riconosci-menti ed esperienze che ci torneranno utili per deci-frare gli stimoli che i vari organi sensori capteranno. Questo avverrà perché i nostri organi sensoriali sono strumenti che stimolati, forniscono automaticamente delle sensazioni, infatti sono ricchi di recettori (cellule nervose specializzate) in grado di eccitarsi e reagire agli stimoli che arrivano dall’esterno, convertirli in im-pulsi elettrici ed inviarli, per mezzo di fasci nervosi, al cervello, dove avverrà l’interpretazione delle sensa-zioni, attingendo alla memoria, ovvero al bagaglio di sensazioni catalogate e memorizzate.Ma perché si degusta un vino? Il vino è la sintesi di un equilibrio tra la natura, l’uomo e la tecnica, la degustazione ci permette di verificare il suo equilibrio gustativo, ci permette di valutarne la sua evoluzione nel tempo, ma soprattutto ci permette di co-noscere il mondo di sensazioni racchiuse nella bottiglia.

La degustazioneSommelier Prof. Stefano Isidori

Page 24: Il Gusto... della Vita

L’obesità costituisce un problema di sanità pubbli-ca non solo in Italia, ma in tutti i Paesi industrializzati,

sia perché è in costante aumento, sia perché è a sua volta causa di altre condizioni patologiche coin-volgenti numerosi organi e sistemi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce l’obe-sità come “una condizione cliniica caratterizzata da un eccessivo peso corporeo per accumulo di tessuto adiposo (grasso) in misuira tale da influire negativamente sullo stato di salute”. Attualmente il metodo più valido per definire l’obesità è costituito dall’Indice di Massa Corporea (BMI – Body Mass Index). Tale indice prende in con-siderazione la statura ed il peso dell’individuo (rapporto tra peso in kg e statura in metri elevata al qua-drato = Kg/m2). Un BMI compreso tra 25 e 30 è indice di sovrappe-so; tra 30 e 40 è indice di obesità; superiore a 40 è indice di obesità grave. Nell’adulto la circonferen-za della vita è considerata un al-tro indice importante dell’esisten-za di un sovrappeso e soprattutto delle possibili complicanze. Valori di circonferenza della vita pari o superiori ad 88 cm. nella donna e 102 cm. nell’uomo sono fortemen-te associati ad un aumento del ri-schio di numerose malattie consi-derate complicanze metaboliche dell’obesità. Quest’associazione è spiegata dal fatto che la circon-ferenza della vita rappresenta un valido indice della distribuzione del tessuto adiposo in sede visce-rale ed è quindi in grado di fornire utili indicazioni sulla distribuzione del grasso corporeo: quest’ultimo aspetto è considerato più signifi-

L’OBESITÀ ed ilSOVRAPPESO NON nascono

a tavola! cativo della stessa quantità assolu-ta di massa grassa. L’obesità rappresenta un problema di salute pubblica in quanto predispone a patologie croniche che, a loro volta, aumenitano l’incidenza di cardiopatia ischemica (infarto). Ad esempio, il 77% dei pazienti con diabete mel-lito tipo 2 è in sovrappeso, e il 46% di questi è obeso. L’obesità si as-socia ad altri fattori di rischio car-diovascolare, come l’ipertensio-ne arteriosa, l’ipertrigliceridemia, l’ipercolesterolemia, la riduzione del colesterolo-HDL e l’insulino-re-sistenza. L’obesità è una vera e proipria malattia causata da fattori ambientali che agiscono sull’ospite. La malattia è pertanto funzione dell’azione dei fattori ambientali e della suscettibilità dell’ospite. L'obesità è una delle cosiddette “malattie del benessere”, il cui svi-luppo incontrollato inizia quando il tenore di vita medio consente a tutti di disporre di una quantità di cibo sovrabbondante. Le cause ambientali, dovute agli stimoli che ci giungono dall'esterno, agiscono su due fronti in modo sinergico e molto potente: da un lato abbia-mo un’offerta di cibi ipercalorici costante, dall'altra la necessità di mangiare sempre meno poiché il consumo calorico quotidiano dimi-nuisce in modo inesorabile, infatti l’altra caratteristica delle società industrializzate è la progressiva ed inesorabile diminuzione dell'attivi-tà fisica. Questa seconda causa, che di solito viene trascurata, in realtà è la vera colpevole dell’au-mento dell’obesità. Infatti diversi studi hanno dimostrato che: i no-stri nonni (anni ’50, pieno boom

economico) mangiavano media-mente molto più di noi ma mante-nevano un peso normale poiché consumavano molta più energia di noi, facendo lavori più manuali, con meno macchinari o suppor-ti tecnologici. Facciamo alcuni esempi pratici: prendere l’ascen-sore invece di fare tre piani di sca-le a piedi due volte al giorno, in un anno mi fa “risparmiare” 2,5 kg di grasso che mi ritrovo addosso: in dieci anni diventano 25 kg!! Si-curamente andare in automobile invece che in bicicletta fa ugual-mente risparmiare al nostro cor-po del grasso che puntualmente mettiamo da parte sulla pancia; la cosa incredibile è che guidare le automobili di oggi, dotate tut-te di servosterzo, per un’ora ci fa consumare circa 24 Kcal, mentre in passato, guidare un’automobile senza servosterzo ci faceva con-sumare circa 85 Kcal in un’ora. In pratica la tecnologia (alleviando la fatica) ci fa risparmiare 61 Kcal in un’ora che diventano 366 Kcal risparmiate in sei ore di guida che equivalgono a un piatto di spa-ghetti al pomodoro! Ecco, quindi, che non è il cibo che mangiamo che ci fa ingrassare, ma è il ridur-re, ogni giorno sempre più, il nostro dispendio energetico che porta il corpo ad accumulare l’energia risparmiata sotto forma di grasso. Altri esempi pratici: le nostre non-ne consumavano circa 500 Kcal per lavare i panni a mano sullo “stricatore”, noi oggi consumiamo l’energia elettrica con la lavatrice (e quindi il nostro corpo immagaz-zina l’equivalente energia sotto forma di grasso). Gli esempi sono tanti, anzi infiniti e, sommati tutti insieme, ci spiegano come l’attua-

Dr. Massimiliano PetrelliSOD Dietetica e Nutrizione Clinica.Azienda Ospedaliero-UniversitariaOspedali Riuniti di Ancona

...Cultura a tavola

Il Gusto... 22

Page 25: Il Gusto... della Vita

le obesità non dipenda tanto dal mangiare, quanto piuttosto dalla sedentarietà della vita comoda.Il processo fisiopatologico alla base dell’obesità peritanto presenta vari livelli:

1) Tutto nasce dall'eccessivo desiderio di perdere peso, legato all’errata convinzione che questo risulta-to possa essere raggiunto in fretta e senza problemi. Questo modo errato di pensare è causato soprattutto dalla Diet Industry, la quale contribuisce a diffondere il messaggio che dimagrire sia una cosa semplice, ot-tenibile senza sforzi e in poco tempo.

2) Il desiderio di perdere peso conduce ad una re-strizione alimentare prolungata, sostenuta dall'inizia-le entusiasmo, che però determina un intenso senso di fame. Qui intervengono le cause biologiche: una restrizione prolungata di un qualcosa che ci fa stare bene (il mangiare) ci porta a desiderare sempre più quella cosa.

3) A questo punto l'offerta continua di cibo alla quale siamo soggetti mette a dura prova le capacità di resi-stenza dell'individuo, che trasgredisce. È la fase della disinibizione: il soggetto riceve stimoli a mangiare che non riesce più a sopportare e perde il controllo, man-giando molto più del normale.

4) Questa trasgressione viene vissuta in modo nega-tivo con un senso di colpa e di vergogna, l'autostima e la fiducia in se stessi diminuisce e si determina una cascata di reazioni comportamentali e psicologiche che porta alla perdita totale di controllo.Il soggetto mangia molto poiché ha molta fame ed è psicologicamente incapace di fermarsi e riacqui-sta molti chili in più di quelli persi. Questo fenomeno è facilitato dal fatto che il soggetto è sicuramente in uno stato di metabolismo rallentato conseguente alla restrizione calorica.

Il soggetto si troverà a questo punto in una situazione psicologica e fisica peggiore rispetto all'inizio della dieta, poiché ha acquistato peso invece di perder-lo, abbassando ulteriormente il livello di autostima. È ovvio che al tentativo successivo di perdere peso la situazione (soprattutto quella psicologica) peggiore-rà ulteriormente, e diventerà sempre più difficile da recuperare. È un circolo vizioso che si autoalimenta, e fa diventare la situazione sempre più difficile. A questo punto il consiglio finale è: mangiamo bene (non in maniera spropositata ma nemmeno con sacrifici o privazioni eccessive), santifichiamo le Feste con lauti pasti e soprattutto ricordiamoci di muoverci il più possibile durante la giornata riuscendo a trovare anche 20’i30’ minuti OGNI GIORNO da dedicare ad attività fisica aerobica (corsetta, cyclette o qualsiasi cosa piaccia) che è la vera cura per prevenire e cuirare l’obesità.

Page 26: Il Gusto... della Vita

Nel cuore delle Marche ai piedi dei Monti azzurri, nel Comune di Amandola, ha sede VALLEGAIA di CARNEBIO srl, azienda leader nell’allevamento, sezionamento e commercializzazione di vitelloni "BIO" e "IGP"

(identificazione geografica protetta, marchigiani chianini e romagnoli), prodotti di eccellenza nel settore della carne nazionale. Questo tipo di allevamento, attento all’alimentazione ed al benessere degli animali, nel periodo di stabulazione, ci permette di assicurare carne certificata di altissima qualità a mense, ristoranti e consumatori finali.La forte determinazione del presidente MARIANO DE ANGELIS

insieme al contributo del suo organico, composto prevalentemente da giovani, ha portato quest’azienda ad affermarsi nel settore delle mense scolastiche, fornendo 100.000 pasti la settimana distribuiti in tutta Italia.In seguito, acquistando sempre più consensi, VALLEGAIA di CARNEBIO si è rivolta anche alla ristorazione e alle macellerie attente alla qualità e alle razze dell’appennino centrale. Nel 2006 abbiamo aperto uno spaccio aziendale con vendita al minuto dove commercializziamo carne di scottona Marchigiana allevata nelle nostre stalle di San Ginesio di Macerata.

SPACCIO AZIENDALE Loc. San Ruffino - Amandola (AP) Tel. 0736/848719CARNEBIO srl Loc. San Ruffino - Amandola (AP) Tel. 0736.848719 Fax 0736.847399 e-mail: [email protected]

Portiamo le nostre ANTICHE RAZZEnelle migliori mense, ristoranti e macellerie

La nostra fattoria allevaSCOTTONE MARCHIGIANEcon metodi TRADIZIONALI

CARNEBIO srl

Page 27: Il Gusto... della Vita

Negli ultimi dieci anni medici e dietisti hanno evi-denziato l'importanza del consumo di pesce quale alimento alternativo ad altri cibi proteici come for-maggi, uova e carni. La ricchezza in sali minerali e

vitamine, l'elevata digeribilità e “masticabilità”, fanno del pe-sce un alimento adatto a tutte le fasce di consumatori. Dal punto di vista nutrizionale il pesce, e soprattutto quello azzurro, presenta, infatti, un apporto di proteine d’elevata qualità ed una particolare composizione dei grassi, ricchi d’acidi gras-si insaturi, tra i quali ve ne sono alcuni capaci di migliorare la qualità dei grassi nel nostro sangue. Il consumo del pesce, però, non può da solo prevenire o risolvere i danni provocati da un’abituale alimentazione squilibrata e troppo ricca di ca-lorie. È di fondamentale importanza, quindi, seguire una dieta corretta e bilanciata, da associare quanto più possibile ad una vita non sedentaria. Fino ad ora abbiamo parlato dei principi nutritivi e delle calorie del pesce azzurro allo stato crudo, ma è necessario tenere presente che, secondo il tipo di cottura, l'apporto calorico può essere modificato. Per i pesci grassi, come ad esempio lo sgombro o la sardina nel periodo estivo, è indicata la cottura alla griglia poiché permette di ridurre il tenore di grassi. Le fritture invece, tecnica di cottura molto im-piegata per alcune specie di pesce azzurro, n’aumenta il po-tere calorico, perché le calorie in più sono fornite dall'olio usa-to per la frittura. Lo stesso discorso vale per acciughe, sardine e sgombri in scatola sott'olio. Altra considerazione da tenere presente, parlando del pesce azzurro conservato, è che l'ag-giunta del sale (cloruro di sodio), che è effettuata per la pre-parazione di questi prodotti, comporta un contenuto in sodio molto superiore al corrispettivo pesce fresco. Non dimenticare quest’aspetto, è importante soprattutto per quelle persone che devono seguire una dieta povera di sale.Il pesce azzurro è un alimento adatto a soddisfare le esigenze di tutta la famiglia, dai bambini ai nonni, sia per il valore nu-trizionale sia per le sue carni gustose. Ciononostante, spesso, la scelta del consumatore s’indirizza verso specie medio pre-giate, scarse nei nostri mari e quindi in gran parte importate, a scapito della commercializzazione del pesce azzurro, più dif-fuso, abbondante ed economico. Le specie più comuni di pe-sce azzurro, alici, sardine, sgombri, aguglie, hanno un buon te-nore in proteine, paragonabile a quello di specie considerate più pregiate. Per quanto riguarda il contenuto in grassi esso è di solito poco elevato, ad eccezione dello sgombro, il cui teno-re medio in grassi è dell’11 per cento, e della sardina, in alcuni periodi dell'anno. Quest'ultima, infatti, presenta una variabilità di contenuto lipidico oscillante dal 2% fino ad un massimo del 20%, nei mesi estivi, mentre la variabilità in grassi delle altre specie è minore. Per quanto riguarda la composizione di que-sti grassi, il pesce azzurro è una delle fonti principali di quegli acidi grassi utili per la salute dell’uomo. Rilevanti sono anche in acciughe, sardine e sgombri le quantità di vitamina B2, PP e ferro. L'apporto in calorie fornito da 100 grammi di parte car-ne privata di scarto delle più comuni specie di pesce azzurro, senza aggiunta di condimenti, non è elevato, oscillando tra le 89 chilo-calorie dell'aguglia e le 168 dello sgombro.

di Francesco Petrelli

Un fine settimana di metà ottobre. Il freddo, quello secco e pungente, non è ancora arrivato, ma il caldo di settembre ha lasciato il testimone all'au-tunno. E così, per festeggiare l'autunno e i suoi

gustosi frutti, Sarnano, splendida cittadina dell'entroterra maceratese, organizza, come ogni anno, la fiera “Sapo-re d'Autunno”. Palcoscenico della manifestazione, voluta dall'Associazione per Sarnano, il 18 e 19 ottobre scorsi, è stata Piazza della Libertà. Due giorni di sapori e profumi de-gni della migliore tradizione enogastronomica marchigia-na e maceratese. Un week-end all'insegna del buon gusto, che ha letteralmente rapito centinaia di persone, golosi e amanti dei prodotti locali, che hanno preso d'assalto gli stand della fiera. Non solo espositori dal nostro territorio, ma anche dalle regioni partner, come la Puglia e l'Abruzzo, che hanno portato le loro prelibatezze: pane, olio, olive, dolci. “Sapore d'autunno” offre all'attenzione del pubblico tutti quei prodotti locali frutto di un lavoro artigianale che viene trasmesso di generazione in generazione, grazie anche ad un sapiente uso dei mezzi più innovativi. Impossibile non ini-ziare dalle fragranti caldarroste, per proseguire di assaggio in assaggio: mozzarelle, formaggi, salumi, pane, funghi e tartufo, senza dimenticare il miele e il vino più buoni. Ognu-no con la sua particolare caratteristica viene presentata dagli espositori, che raccontano la storia di ogni prodotto e consigliano i visitatori su come gustarlo al meglio.Un vero e proprio festival del gusto che ha attratto tantissimi affezionati della tradizione e tanti nuovi adepti.

Il Pesce

Azzurrodi Stella Alfieri

SARNANOSAPORED'AUTUNNO

25 della vita

Page 28: Il Gusto... della Vita
Page 29: Il Gusto... della Vita

Montefortino è uno dei centri più emblema-tici dell'entroterra fermano e contribui-

sce in maniera determinante alla identità ambientale, storica e an-tropologica della Comunità Monitana e del Parco dei Sibillini. Per descrivere il paese basta dire che è un festival di suggestioni: la mae-stosa e intatta bellezza dei Sibillini, i colori delle stagioni, la magica penombra dei boschi, la biodiver-sità della flora, la vitalità della fau-na, i percorsi delle acque, il culto della Madonna dell'Ambro, l'asce-si di San Leonardo al Volubrio, i profili troneggianti di Sant'Angelo in Montespino, gli orridi dell'Infer-naccio, i segni delle radici paga-ne, la ricchezza dell'arte pittorica, i modelli dell'architettura protocri-stiana, medievale, rinascimentale e neoclassica, la peculiarità del centro storico, l'armonia dei bor-ghi rurali, il vigore delle case torri,

Fin su a Montefortino,anfiteatro dei Sibillini

le testimonianze della civiltà con-tadina, il gusto dell'artigianato, la scoperta dell'antiquariato, la di-sponibilità dell'archivio storico, il mistero dei reperti archeologici, il fascino delle leggende, le orme del Guerrin Meschino, il matriarca-to della Sibilla, la socialità primor-diale delle Comunanze Agrarie, il folklore delle tradizioni, la salubrità del clima, la genuinità della cuci-na, i profumi di funghi e tartufi, il potere terapeutico delle acque. Che dite, può bastare tutto ciò per fare una capatina a Monteforti-no? Per gli amanti dell'arte poi la cittadina è una tappa fondamen-tale. Nel Palazzo Leopardi spicca infatti la straordinaria Pinacoteca alla quale la Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo è sempre mol-to vicina. Altissima la qualità delle opere presenti, tra le quali citiamo il trittico dell'Alamanno, una gran-de pala del Fiorentino e un tondo attribuito al Perugino.

Nel vicino Museo d'Arte Sacra sono esposti dipinti, sculture e oggetti l iturgici un tempo con-servati nelle chiese disseminate nel territorio comunale. L'opera più complessa può considerarsi la Ma-donna del Rosario del De Magistris, grande dipinto su tela del 1536. C'è poi il Museo Faunistico dove si può curiosare tra le specie più si-gnificative dell'Appennino Centra-le. Specie e specialità. Fin dal '500 infatti è attestata nei documenti la raccolta di tartufi a Montefortino. Si sa che i Sibillini ne sono straordi-nariamente ricchi. Qui si possono raccogliere le quattro varietà più apprezzate sui mercati: il Tartufo Bianco Pregiato, il Nero Pregiato, il Tartufo Estivo e il Bianchetto. Il tartufo raccolto sui Sibillini, a giu-dizio di esperti e ristoratori, è tra i migliori in circolazione. Un altro gu-stoso motivo per fare due passi fin su a Montefortino, anfiteatro della montagna fermana.

Comune di...

di Simone Troiani

Foto

Gio

rgio

Ta

ssi

27 della vita

Page 30: Il Gusto... della Vita

...Associazione Cuochi Fermo

F.I.C. Ass.ne Cuochi della Provincia di Fermo via Legnano, 263018 Porto Sant’Elpidio tel. (+39) 330 650208

11 dicembre 2007Ristorante Helios di Monte Urano. “Basta con lo spuntino, ci vuole il pranzo”. È la tesi del dr Maurizio Marozzi, medico chirurgo, nutrizio-nista. “Dobbiamo saper riequilibra-re l'alimentazione per evitare intol-leranze e obesità. Occorre tornare a consumare il pasto principale a pranzo, dopo una ricca colazione, per poi giungere alla cena dove è consigliabile un pasto leggero. Questo implica anche una diver-sa organizzazione del lavoro, che consenta una giusta pausa per il pranzo ed evitare di giungere alle 14, dopo aver consumato solo caf-fè e cornetto”.

Da dicembre 2007 a dicembre 2008.

Un anno di attività dell' Associazione Cuochi della Provincia di Fermo.Quante ne ha fatte? Ne ha fatte veramente tante. E tutte di alto livello.Ed ora vogliamo ricordarle.

17 aprile 2008

Sandro Pazzaglia chiama, Giorgio Nardelli risponde. Il vate dei cuo-chi italiani non poteva dire di no all'invito del collega marchigiano nonché presidente dell'Associazio-ne Cuochi della Quinta Provincia. Così lo scorso aprile è andato in scena all'Hotel Royal di Casabian-ca di Fermo il “Cookie and Chill, Fiinishing”, che dall'inglese all'italia-no diventa “cuoci e lascia rilassare, prima del tocco finale”. Grande!

5 maggio 2008Cucinare con i fiori sarà la ricetta vincente per il futuro? Sarà l`azzardo dei prossimi anni?Nulla di tutto questo. Parola di Franica D`Amico Sinatti, docente univer-sitaria, scrittrice, giornalista, esperta di alimentazione. Intervenuta alla cena delle berrette bianche orga-nizzata al Picchio Verde di Mon-sampietromorico, ha ricordato che cucinare con i fiori appartiene da sempre alla nostra cultura. Molti i personaggi presenti alla cena, salu-tati con grande cordialità da Ales-sandro Pazzaglia e dal suo staff.

9 luglio 2008

Colpo grosso di Sandro Pazzaglia e dei suoi Chef. Al Royal di Casa-bianca di Fermo arriva Paola Miichelacci, imprenditrice nel cam-po alberghiero. Parlerà dinanzi ad una platea nutrita di ristoratori e albergatori. Le sue parole sprigio-nano entusiasmo e voglia di fare. Contagiosa.Seguirà una grande serata a tavo-la conclusa dal barman Gino Benivegnù.

19 febbraio 2008

È la volta del pesce azzurro. “Pesce azzurro che bontà” titolano i giorna-li. Stavolta tocca a “La Cascina” di Porto San Giorgio ospitare l'evento dell'Associazione Cuochi. Nell'oc-casione saranno due gli appun-tamenti: la prima assemblea dei cuochi e la cena con intermezzo culturale. A parlare di pesce az-zurro, delle sue qualità, delle sue prerogative sarà il prof. Massimi-liano Petrelli, docente di Scienze dell'Alimentazione all'Università di Ancona. Grande pubblico come sempre e grande attenzione ad un tema significativo.

10 Aprile 2008

È la presentazione ufficiale della nostra rivista. La sala multimediale del Comune di Fermo si apre alle berrette bianche e ai giornalisti del periodico ufficiale dell'Asso-ciazione Cuochi della Provincia di Fermo. Presenti il sindaco della città Di Ruscio, altri amministrato-ri e numerosi colleghi della carta stampata e delle tv. Bene!

Il Gusto... 28

Page 31: Il Gusto... della Vita

Vogliono dire la loro e ne hanno tutto il

diritto. Perché - ovvio - sono cittadini

come gli altri, perché la loro professio-

ne li porta ad avere un senso di acco-

glienza molto alto, perché da un anno e più la loro

associazione è diventata realtà autonoma da Ascoli

Piceno, perché da sempre portano avanti la cultu-

ra dell'ospitalità. E non vi sembri poco. Ma di questo

ultimo aspetto ne riparliamo in conclusione. Intanto,

quel che auspicano le berrette bianche del Fermano

è che la futura Provincia sia capace di valorizzare i

propri talenti. Dove i “talenti” sono le opere d'arte, il

patrimonio storico-artistico, ma anche quello umano:

la gente, per capirci. Insomma, meno favoritismi e più

sostegno a chi vale.

Poi, che sia una Provincia snella sul serio, capace di

entrarci in casa con i suoi servizi e non burocratizzata

ed impedente. Capace di rispondere rapidamente

alle richieste delle persone, senza attese e senza ra-

gnatele.

Infine, che sia una Provincia dell'ospitalità, una “Proi

vincia a cinque stelle”, dove sia bello arrivare, sog-

giornare, girare, mangiare, divertirsi, acquistare cose

buone e belle.

Dove emerga chiaramente “Il Gusto...della Vita”.

A . L e .

Provincia di Fermo.Anche i cuochivogliono dire la loro.

...Associazione Cuochi Fermo14 ottobre 2008...Arriva lo chef Marcantonio Sagramoso, darà consigli ai suoi colleghi circa le nuove tendenze della cuci-na mediterranea per il banqueting.

...15 ottobre 2008Ristorante Mario, Fermo. Serata sul tema “Come miigliorare il livello qualitativo della nostra ospitalità”. Oltre 200 i partecipanti, molti i sindaci e i rappresen-tanti delle istituzioni. Tornano le “nonne” di Magliano di Tenna con le loro ricette. Ospite speciale la signora Rosanna Vaudetti, ambasciatrice delle Marche nel mondo. Un successo!E siamo ai giorni nostri.

29 della vita

Page 32: Il Gusto... della Vita

“Oh, chi si vede! Signor Lorenzo Lotto, è proprio lei! Mi fa piacere incontrarla di nuovo. La trovo mol-to bene: ha una bella cera ed è anche un po’ ingrassato.”“Eccellenza, il piacere è tutto mio. È un pezzo che non ci si vedeva.”“Esattamente: cinque secoli. Ma sa, quassù siamo talmente nume-rosi, che il tempo vola tra un saluto ed una chiacchierata. Vedo co-munque che continua a dipinge-re. Dipinge sempre da Dio.”“SSSS. Non lo dica così forte, non sta bene… Però, è vero, ho conti-nuato la mia passione”“Lo sa, signor Lotto, che ogni tan-to mi sposto sull’Adriatico e guar-do giù. Non è facile rintracciare Monte San Giusto. Ormai di case ne hanno costruite talmente tante che ci si raccapezza male. Quan-do però metto a fuoco, cerco su-bito il mio vecchio palazzo eppoi, pian piano, sposto gli occhi verso piazza, ed ecco: il campanile di Santa Maria in Telusiano. In quella chiesa, maestro, lei ha dipinto la più bella pala d’altare.”“Che anni! sig. Vescovo, che tem-pi! Roma guardava Raffaello, Ve-nezia chiedeva Tiziano, ed io, solo, senza casa, senza soldi, senza ami-ci potenti girovagavo per l’Italia, a volte anche affamato. Poi lei…”“Poi, io la chiamai, e le dissi di di-pingermi una Crocefissione. Gran-de, una grande pala d’altare per la mia chiesa.”“Ricordo molto bene, caro vescovo Nicolò Bonafede. Lei mi pregò an-che di inserire nella scena i suoi fami-gliari: suo figlio Cammillo, suo nipote Fortunato, suo fratello Piermatteo, le donne di casa, i suoi capitani Giro-lamo Brancadoro, Carlo di Offida, Nicolizzo da Santelpidio, la sua ama-

Di Monte San Giusto, paese del maceratese ma dell'arcidiocesi fermana, si possono raccontare tre cose. La prima: la stupenda Crocefissione opera del pittore Lorenzo Lotto; la seconda: il palazzo del vescovo Nicolò Bonafede, che fu il committente della pala d'altare. La terza: La Pasta di Aldo, la famosa pasta rinomata in Europa.Abbiamo rivisitato questi tre elementi e quel che n'è uscito è il rac-conto qui sotto.

Un pittore,un vescovo-guerriero,un pastaio di prestigio

di Adolfo Leoni

...Il racconto

ta Luchina Brunforte. Ed anche il suo avversario Lodovico Euffreducci.”“Caro Lorenzo, quassù non abbia-mo più avversari... Certo però che il compenso non fu da poco: 100 fiori-ni, se non ricordo male, e una certa quantità di olio di olive ascolane”“Gliel’ho detto: non me la passavo bene. Eppoi, il lavoro fu lungo e dif-ficile. Mi resta solo un rammarico.”“Un rammarico… ancora, e in que-sto luogo?”“Vede, Eccellenza, proprio quas-sù hanno aperto numerosi locali tipici. E, prima di assaggiare tutte le loro bontà, ce ne vuole di tem-po. Da un anno però ho scovato un ristorantino che propone una pasta…e qui ci vuole proprio l’ag-gettivo ‘da Dio’. Così sono diventa-to un cliente fisso: pranzo e cena. Sono affezionatissimo. E che ti sco-pro l’altro giorno? Che la pasta ar-riva - lei non ci crederà - proprio da Monte San Giusto, dal suo pa-ese, dal paese della pala. E ne ho scoperto anche il marchio? La Pa-sta di ALDO, si chiama. Capito?

P-A-S-T-A di A-L-D-O. Ai nostri tempi non esisteva, sennò altro che olio di olive ascolane le chiedevo! Però ora – badi bene - sto recupe-rando il tempo perduto - l’ha detto anche lei che ho una bella cera. Non solo: l’ho anche suggerita a chi di dovere. Lui l’ha voluta prova-re e già alla seconda forchettata ha giurato: la Pasta di ALDO sarà su tutte le mense… del Paradiso.”“Venga, maestro, su andiamo, facciamo presto, oggi pranziamo insieme. Dov’è quel locale?”

M o n t e S a n G i u s t oF o t o L u c i a n o B r a n d i m a r t i

La Pasta di AldoChitarrine

Monte San Gius toCroci f i s s ione" d i Lo renzo Lot to (1531)

Il Gusto... 30

Page 33: Il Gusto... della Vita

...Cucina dal mondo ...La cucina dei piccoli

Bambini e bambineleggete un po’ quaquesta ricetta di sicuro vi piacerà.

Ingredienti(4 persone)- Mascarpone gr 400- Nutella 4 cucchiai- Panna già montata e zuccherata gr 200- Nocciole tritate

EsecuzioneIn una scodella mescolate bene il mascarpone con la nutella, unite delicatamente la panna già montata e zuccherata. Distribuite la mous-se in coppette individuali e guarnite con le nocciole tritate.

Se ospiti a tavola tu avraicon questa ricetta li stupirai!

di Ludovica Benign i

Coppettealla nocciola

I pel’meni possono avere svariati ripieni

Mangiare alla russada "Segreti del la cucina russa" di Markus Wol f a cura di Orietta Foresi

Pel’meniI pel’meni siberiani sono una sorta di fagottini di sfoglia ripieni di carne e conditi in vari modi.Preparare della semplice pasta a base di farina e uova e tirarla il più sottile possibile senza però esagerare altrimenti potrebbe rompersi durante la lavorazione o la cottura.Per il ripieno amalgamare bene del macinato di manzo (2/3), del maci-nato magro di maiale (1/3), cipolla tri-tata, sale e pepe. Le salse più adatte sono a base di aceto e pepe, di panna acida, di burro nocciola o di passata di pomodoro piccante.

quantità degli ingredienti:secondo il manuale Molochovec(circa 60 pel’meni per 6-8 persone)Per la s fogl ia: 3 b icchier i d i fa r ina, 7 cucchiai o ½ bicchiere di acqua salata, 2 uova, 1 cucchiano di sale.Per il ripieno: 750 gr di filetto di manzo grasso o 500 gr di manzo, 250 gr di su-gna, 2 cipolle, pepe e sale.

esecuzione:A un cuoco dilettante che non ha mai fatto la pasta fresca, consiglio di pro-cedere come segue: disporre a fonta-na in una terrina o su una spianatoia la quantità di farina sopraindicata. Mettervi al centro il sale, 3 tuorli un po’ d’acqua fredda. Mescolare i tuorli e

il sale con un coltello o un cucchiaio. Aggiungere quindi lentamente il resto dell’acqua e cominciare a lavorare l’impasto con le mani fino a ottenere una palla morbida e senza grumi. Per 400 gr di farina è necessario circa un bicchiere d’acqua. Si può sostituire 1/3 o ¼ dell’acqua con altrettanto latte. Contrariamente alla tradizione, io non uso amalgamare la pasta a mano ben-sì con la macchina per pasta. Così fa-cendo, non solo ottengo lo stesso risul-tato senza far fatica ma riesco anche a dosare meglio la quantità d’acqua necessaria. Il panetto dovrà essere li-scio ed elastico. Avvolgerlo in un ca-novaccio umido affinché la pasta non si secchi. Alcune casalinghe consiglia-no di lasciarlo riposare 1-2 ore, in tal caso poi sarà più veloce da lavorare. Più il cuoco è di origine orientale, più sarà facile trovare nel ripieno anche del montone, o meglio dell’agnello. In tal caso sarà 1/3 carne di manzo, 1/3 di maiale e 1/3 di agnello. Tritare quindi con il tritacarne le cipolle, la polpa di carne e l’aglio o, se la carne è già ma-cinata, aggiungere un trito di cipolle e aglio. Ovviamente il pepe macinato al momento è migliore.Spruzzare della farina sulla spianato-ia o direttamente sul tavolo in modo che la pasta non rimanga attaccata. Tirarla con il mattarello fino a ottene-

re una sfoglia sottile 1 mm circa. Nella mia famiglia è tradizione tagliare la sfoglia con un bicchiere di 4 cm circa di diametro. Collocare poi al centro di ogni dischetto di pasta un cucchiaino abbondante di ripieno e riporvi sopra un altro dischetto di pasta, pizzicando bene i bordi. Se faticassero ad attac-carsi, inumidirli con un po’ d’acqua. Di solito i nostri pel’meni tondi sono grandi come una moneta da 5 marchi tedeschi.Mettere sul fuoco una pentola (con-tenente 4-6 litri d’acqua) con 3 litri d’acqua dopo aver aggiunto 2 cuc-chiani di sale. Quando l’acqua bolli-rà, buttarvi non più di 20-25 pel’meni. Ora l’arte consiste nel saper abbas-sare tempestivamente la fiamma in modo che i pel’meni si cuociano con un bollore leggero. Attenzione, nessun pel’men’ dovrà rompersi! Far cuocere 10 min. circa senza coperchio. Quan-do vengono a galla, vuol dire che sono pronti. Il cuoco approfitterà dei primi per assaggiarli.Esistono due modi per servire i pel’meni in tavola: come minestra, in un brodo di manzo o meglio di gallina, o come piatto forte conditi con aceto e pepe macinato, con panna acida molto densa (così densa da poterci piantare il cucchiaio) o un burro nocciola, ossia il burro riscaldato in padella.

Tra le specialità della cucina russa spiccano molte ricette con prodotti a base di grano e di farina, simili al pane. A differenza dell’Europa, la sco-perta dell’America non accelerò il cammino della patata verso i territori slavi. Ne dovette passare del tempo prima che la coltivazione del tubero

prendesse piede anche in Russia. Tuttavia in Bielorussia, e quindi nelle regioni più a ovest dell’ex Unione Sovietica, diversi piatti con patate sono considerati specialità nazionali - come d’altronde anche a Mosca -, poi, a mano a mano che ci si sposta verso est, le cose cambiano. Come tanti altri popoli, anche i russi impararono a mescolare la farina con l’acqua ottenendo così la pasta. Dalla pasta passarono poi ai pel’meni, ai vareniki e ai bliny. Oltre ai pirogi esistono infi-nite variazioni di bliny, omelette, di oladi, frittelle, di piski, pagnottelle, di vatruski, paste ripiene di ricotta, di kulebjaki, pasticcini per lo più ripieni di pesce, di kren-deli, ciambelline e di molte altre specialità cotte al forno. Estremamente popolari sono anche i cosidetti panpepati o pan di spezie che hanno rese celebri antiche città russe come Tula, Vjasma e Tver.Cominciamo dunque dal più celebre, nonché dal più semplice, dei prodotti di pasta tirata a sfoglia della cucina russa, ossia dai pel’meni (singolare pel’men’, genere maschile). Questi singolari fagottini di sfoglia possono avere i più svariati ripieni e sono una storica specialità russa. Esistono molte fiabe, leggende e miti dove si narra come i cosacchi, nelle loro prime incursioni alle pendici degli Urali, impararono dagli indigeni locali a preparare delle orecchiette di pane. Non a caso, nella lingua della tribù dei Komi, orecchio si dice pel’mjan. Probabilmen-te tutto ebbe inizio quando i cavalieri mongoli dell’Asia orientale cominciarono a stancarsi di mangiare sempre carne secca affumicata. Fu così che forse un cuoco o una schiava provò a rivoluzionare il menù creando qualcosa di nuovo con i due ingredienti più semplici ed economici del mondo. Chissà, se le cose andarono veramente così, sta di fatto che a mio avviso, da pelmjan ebbe origine il termine russo pel’men’. E, poiché non se ne mangia mai uno solo, viene sempre citato nella forma plurale pel’meni. Di solito se ne preparano grandi scorte con l’aiuto di tutti i membri della famiglia o degli amici, conoscenti o vicini.

31 della vita

Page 34: Il Gusto... della Vita

...Diario di bordo

Il nostro Diario stavolta parte dall'ultima iniziativa, in ordine di tempo, promossa dalla Federazione Italiana Cuochi. La FIC insieme ai Servizi sociali del comune di Fermo, all'Asite, a Spazio Anziani

e al Centro Sociale Ete Caldarette, ha proposto “La Cucina delle Nonne”. Si tratta di un corso di cucina teorico-pratico per riscoprire la tradizione culinaria marchigiana, riuscire a preparare cene complete dall'antipasto al dessert, realizzare un menù gustoso ma economico. Gli Chef della Federazione Italiana Cuochi ed alcu-ne nonne si sono trasformati in altrettanti insegnanti. Quattro le lezioni gradite e... gustate. Per fortuna che ci sono loro, le nonne, perché un noto giornale inglese ha lanciato un allarme drammatico: “Aiuto, mamma non cucina più”. E, siccome non si avvicina più ai for-nelli, suo figlio mangia tutte le “zozzerie” del mondo, e ingrassa e diventa obeso.

A Civitanova Marche hanno suonato la riscossa. Lu-cilla e Manuela Di Chiara, le autrici del libro sui dolci maceratesi di cui abbiamo parlato lo scorso numero, lanciano “Cucinare per passione”, proposte per in-contri teorico-pratici a tema culinario: dai menù delle grandi occasioni alla cucina fresca e veloce, da sua maestà il bigné all'abc della cucina. Golosi di tutto il mondo, unitevi!

A proposito di bontà a tavola, accordo antifrodi tra i NAS e la Coldiretti Marche. Sottoscritto un patto per contribuire a sgominare le truffe specie dopo lo scan-dalo del latte cinese alla melamina.

Vigilia di Nataledi Anna Maria Cerquetti

Aprire gli occhi alla sorpresa che bussaNel crepitio di un focolare acceso

Mentre l’abete aspetta la sua fiammaPer incendiare i sogni in ogni sfera.

Lenta arriva la sera, e ha il respiroDi noci e fichi secchi spezzettati,

Di cioccolato, agrumi e mosto cottoRaccolti in un frustingolo brunito.

Resta sospesa in aria con un dito, l’attesaNella febbrile innocenza di una promessa

Presentata a Dio, tra raccolte braccia di muschioE antichi gessi accarezzati da una nenia.

Vigilare, vigilare, vigilare. Ma anche acquistare made in Marche.

A San Benedetto del Tronto un'azienda agroalimen-tare ha installato i distributori del latte fresco. Costa poca ed è buonissimo. Un successo di clienti.

A Porto San Giorgio, Alessandro ha deciso di cambia-re sistema. Lui che fa il pescatore ha scelto di vendere il pescato direttamente alla clientela. Alle tre del po-meriggio rientra in porto con la sua imbarcazione, at-tracca al molo e apre la vendita al minuto. Burocrazia permettendo.

Grande successo, settimane fa, al Salone del Gusto di Torino per i prodotti tipici maceratesi. Apprezzato il Caciofiore dei Sibillini, un formaggio tradizionale dell'Alto maceratese scomparso da oltre 50 anni, ed ora riproposto e reintrodotto nel mercato. Si tratta di un formaggio a pasta tenera realizzato con latte ap-pena munto di pecora sopravvissana e l'utilizzo di un fiore di una pianta selvatica dei Sibillini: la Cynara car-dunculus.

Volete difendere anche la produzione dei suini mar-chigiani? Mirate alla certificazione di qualità. È questo in estrema sintesi, il risultato di un importante conve-gno a Petritoli promosso dalla sezione agroalimentare di Confindustria Fermo presieduta da Andrea Maroni.Auguri a tutti.

Adolfo Leoni

Il Gusto... 32

Page 35: Il Gusto... della Vita
Page 36: Il Gusto... della Vita