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Il Gusto... della Vita - Settembre 2008

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Tradizione & Cultura della Buona Tavola - Rivista ufficiale dell'Associazione Cuochi della Provincia di Fermo

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Adolfo Leoni

l' editoriale

...Editoriale

Salute, ami-

ci lettori.

P a s s a t e

bene le

vacanze? Spero di sì.

Eccoci con il nuovo

numero de Il Gusto...

della vita. Numero ricco di contenuti e di firme. E di

idee. Sfogliando ve ne accorgerete.

Intanto, aggiungiamone qualche altra. Sentite que-

sta, che non è la mia ma di un manager di alto profilo,

Alberto Scarabelli. Intervenuto alla trasmissione del

sabato mattina “Mi ritorni in mente” a Radio Fermo Uno

e, di fronte al vice sindaco di Montegiorgio Lino Libe-

rati che parlava del dolce tradizionale “li caciù”, Al-

berto, che stava lì per tutt'altro argomento, ha sfiam-

mato una serie di proposte. “Ma prendete contatto

con le Ferrovie dello stato, fateli offrire ai viaggiatori

in luogo delle incolori merendine; fate la stessa cosa

con le compagnie aeree, entrate con quelle navali”.

Ovvio, talmente ovvio che nessuno c'aveva pensato.

Ora, qualcuno potrebbe anche tentare. D'altronde,

non fece la stessa cosa Spinosi con la sua pasta sul

volo Alitalia che lo portava negli Usa?

Altra idea. Non capisco perché i bar degli chalet in

spiaggia non offrano i succhi della nostra frutta, né

capisco perché a scuola dobbiamo continuare a

proporre ai ragazzi distributori con le solite merendine

preconfezionate e i soliti succhi industriali. Io, invece,

vorrei bere al mare un succo di pesca della Valdaso,

e vorrei che i miei nipoti a scuola, traggano dal mar-

chingegno un bel panino con il ciabuscolo. Impresa

titanica? Mi sa.

Veniamo all'ospitalità su cui Sandro Pazzaglia batte e

ribatte. Giustamente.

Pensate che bello rientrare dopo qualche tempo in

un ristorante tipico, chiedere un primo e vedere che

il cameriere lo porta alla tua donna senza formaggio,

perché si è ricordato che la tua donna il formaggio

non lo regge proprio. Un'attenzione al cliente, non vi

pare? Pensate che bello, entrare in una trattoria ed

essere accolti da un sorriso vero del trattore e delle

sue figlie, che ti fanno accomodare nel luogo più sug-

gestivo e ti portano subito bruschetta e vino. Pensate

che brutto, invece, un locale dove il titolare neppure

ti degna di uno sguardo, il saluto te lo scordi e il “s'ac-

comodi” è puro sogno. Non solo, se ci sei oppure no,

non fa granché differenza. Allora, invece di rivoltargli

il tavolo e strappare a morsi la tovaglia, prendi il cap-

pello - se ce l'hai - e abbandoni il luogo.

Con l'impegno di scrivere sull'agenda: tenersi lontani

dal posto x.

È la nostra unica arma. Facciamola funzionare.

Buona lettura

Aguzziamo l'ingegno...

1 della vita

Page 4: Il Gusto... della Vita - Settembre 2008

1... L'editoriale

3... La crescita culturale: un ingrediente che non può mancare

4... Ospitalità come impresa

6... Un Barman per amico

7... Montegiorgio: il medico-sindaco chiede l'Istituto Agrario

9... La sicurezza alimentare come priorità: carne bovina e BSE

10... Menu origini e costumi

14... Sformatino di broccoli e vongole su ragù di alici e capperi

15... Filetto d'orata farcito con tortino di verdure, polenta e pachino

16... Ricette, ricordi, racconti, i dolci della tradizione maceratese

17... A Roma, il concorso del Junior chef

19... Vendemmia 2008/2009

20... La Passerina: poesia nel bicchiere

21... Piatti di mezzo

23... La cucina del monastero

25... Smerillo, Tibet della Marca Fermana

27... Gustose corrispondenze dall'isola di Kos

28... L'estate del gusto

29... Associazione Sommelier

30... L'abito fa il monaco? Al ristorante "si"

31... Mangiare alla russa

32... Diario di bordo

...Sommario

Direttore ResponsabileAdolfo Leoni

Redazione giornalisticaMedi@comunicazioni

via San Salvatore snc - FermoTel. 0734 623636 / 620707

[email protected]

Art DirectorSara Ricci

Redazione graficaStudium DesignTel. 0733 866909

[email protected]

Web masterAngelo Cecchetti

In redazioneMedi@Comunicazioni:

Stella AlfieriFabio ScatastaSimone Troiani

Hanno collaboratoSimone Barocci

Ugo BellesiManuela Di Chiara

Simone ErminiOrietta Foresi

Samuele GiustozziStefano Isidori

LeonidasAlberto MazzoniMauro Michetti

Lupo NobileAlessandro Pazzaglia

Luciano ScafàJohnny Giovanni Tucci

Gianmarco Veccia

FotografiAngelo CecchettiLucilla Di Chiara

Matteo Lupi

Edito daAss. "Il Gusto... della vita"sede legale Montegiorgio (AP)

via Cestoni, 39sede operativa Morrovalle (MC)via Carducci, 12 - tel. 0733 866909

P.Iva e C.F. 01979520440

[email protected]

StampaGrafiche Ciocca - Mc

La rivista è stampata su cartanaturale ed ecologica

n. 0/3 settembre 2008In attesa di registrazionec/o il Tribunale di Fermo

Il Gusto... 2

Page 5: Il Gusto... della Vita - Settembre 2008

Penso che chiunque ami la sua profes-

s ione non possa prescindere da una

continua crescita culturale.

Ricordo sempre con affetto e st ima

le parole di un mio grande maestro, i l I ° chef

Francesco Tor ino, incontrato sul t ransatlantico

Michelangelo nel l 'anno 1967. Diceva: “Un conto

è cuocere e un conto è cucinare”.

Con ci rca mezzo secolo di anticipo proponeva

una ver ità sacrosanta: come si può r ispettare-

uti l i z zare-esaltare tutt i quegl i splendidi prodott i

che la nostra amata e pregiata ter ra ci dà se la

nostra conoscenza è a di r poco super f iciale?

Ed al lora ecco qua, s inteticamente, alcuni ca-

pitol i mer itevol i di conoscenza ed approfondi -

mento. Par t iamo dai grass i, animal i e vegetal i;

quindi, gl i ol i (quel lo extra vergine di ol iva è un

grande dono del la natura) con i loro punti -fumo;

le carni: rosse, bianche, con i relativi tagl i e i l

cor retto uti l i z zo; i pesci: di mare e d'acqua dolce;

di Alessandro Pazzaglia

eppoi, i formaggi, le verdure, la f rutta, ecc. ecc.;

ed ancora, le normative vigenti, i metodi di con-

servazione...

E potrei prosegui re per molto ancora.

Dunque, resici conto che la nostra profess ione è

impegnativa e complessa, ma sempre affascinan-

te, a prescindere da quale t ipologia di cucina s i

faccia (t radiz ionale, internazionale, nouvel le, fu-

s ion, molecolare) un elemento fondamentale le

accomuna tutte: la “conoscenza” di ciò che s i va

a manipolare e servi re ai nostr i ospit i .

Tutto quanto sopra, credo che possa s intetiz zar-

s i con una parola: formazione. Infatt i, i l grande

patr imonio di ar te cul inar ia che ha permesso

al l ' Ital ia di essere conosciuta ed apprezzata in

tutto i l mondo ci sta ponendo oggi dei quesit i .

Uno su tutt i: continuando di questo passo, sot-

tacendo la cultura del prodotto e la formazione

continua, saremo in grado di dare le giuste e do-

verose r isposte?

La crescita culturale:un ingrediente che non può mancare

...Professione cuoco

3 della vita

Page 6: Il Gusto... della Vita - Settembre 2008

Dir igente di un gruppo alberghiero di prim’ordine, la Mi-

chelacci, pur dotata di tre lauree, ha preferito dedicare

la sua vita all’attività imprenditoriale guidando con mae-

stria una decina di alberghi e quattro residence sparsi in

tutta Italia ma con la sua base logistica nelle Marche, nella meraviglio-

sa località di Gabicce. La sua performance si è svolta negli accoglienti

ed eleganti locali dell’Hotel Royal a Casabianca di Fermo dove i l

presidente dell’Associazione cuochi della provincia di Fermo, l’infa-

ticabile Alessandro Pazzaglia, aveva fissato la manifestazione cele-

brativa del pr imo anno di attività della sua organizzazione che pur

in questi pochi mesi si è già posta all’avanguardia nella promozione

tur istica del terr itor io.

E rappresentante più significativo del nostro sistema turistico non pote-

va che essere la dott.ssa Paola Michelacci la quale, oltre a portare il

contributo preziosissimo della sua esperienza personale, iniziata qua-

si per caso quando il padre gli affidò giovanissima la gestione di un

piccolo albergo di Gabicce, ha spiegato, con dovizia di aneddoti ed

intelligenti provocazioni culturali, quale deve essere l’atteggiamento

con cui l’operatore turistico deve porsi nei confronti del cliente. E que-

sto può avvenire in senso molto positivo soltanto se si cerca di intuire

ed in qualche modo anche di anticipare le esigenze di chi si presenta

nel nostro albergo o nel nostro ristorante. Ma per far questo occorre

molta esperienza, occorre soprattutto saper scoprire la personalità del

nostro interlocutore. Solo se riusciamo a fare questo saremo in grado di

anticipare le sue richieste e di farlo trovare a suo agio, in questo modo

facendo sì che egli senta “la necessità” di tornare in quel posto in cui è

stato trattato bene, in quel posto in cui …si è sentito come a casa propria.

Ospitalità come impresadi Ugo Bellesi

Quella che doveva essere una semplice conver-sazione su “Ospitalità come impresa” si è tra-sformato in un vero e proprio evento cultura-le grazie alla protagonista, la dott.ssa Paola Michelacci che ha tenuto avvinto per ore il folto uditorio costituito da operatori della ri-storazione, esponenti del turismo, autorità, di-rigenti di aziende, produttori e rappresentanti del mondo della comunicazione.

...L'ospite

Paola Michelacci - Saturnino Di Ruscio

Alessandro Pazzaglia - Paola Michelacci

Il Gusto... 4

Page 7: Il Gusto... della Vita - Settembre 2008

Ma la dott.ssa Michelacci, dotata di un linguaggio

semplice schietto ma che va subito diritto al nocciolo

di ogni problema, non si è limitata a dare delle infor-

mazioni propedeutiche ma ha fornito anche delle idee

per poter consentire a qualsiasi operatore turistico di

allargare la propria clientela o di trovare altri filoni di

intervento. Così ha parlato della possibilità di realizza-

re degli ambienti in cui anche le persone con handi-

cap possano trovarsi a loro agio ed ha fatto l’esempio

dei ciechi che potrebbero avere delle stanze dotate

di accorgimenti e comfort tali che consentano loro di

muoversi liberamente senza bisogno di alcun accom-

pagnatore. Ma ha parlato anche della possibilità di

avere una cucina riservata agli ebrei, rispettando tutte

le regole che impongono la loro religione.

Grazie al suo eloquio molto fluido e cordiale la Mi-

chelacci è poi passata a parlare della necessità di

elevare il livello qualitativo del turismo delle Marche

“perché noi - ha detto - dobbiamo essere la terra del-

la qualità” e quindi ha parlato degli ampi spazi che

ci sono per il turismo congressuale, quello culturale e

quello religioso, sottolineando che potrebbero esser-

ci anche degli “hotel della cultura”, con determinate

caratteristiche, ma anche “hotel per famiglia” con al-

tri servizi e comodità diverse.

Ospitalità come impresa

E gli argomenti affrontati dalla dott.ssa Michelacci

sono stati tanti e tali che ha parlato per ore come un

fiume in piena fornendo esperienze, proposte, idee e

considerazioni che sono andate ad arricchire il pa-

trimonio di conoscenze di una platea che, oltre ad

applaudire con entusiasmo l’oratrice, ha dimostrato

di apprezzare moltissimo l’iniziativa voluta fortissima-

mente da Alessandro Pazzaglia.

Ben vengano quindi “incontri ravvicinati di questo tipo” non solo per dare una scarica di adrenalina al sistema turistico locale ma anche e soprattutto per creare una mentalità vincente negli operatori che debbono credere di più nelle potenzialità tu-ristiche di un territorio ancora troppo poco cono-sciuto e ancor meno valorizzato, pur possedendo un immenso patrimonio paesaggistico, architet-tonico, artistico, culturale, enogastronomico, ide-ale per una clientela di elite che va alla ricerca del bello e del buono ma in un ambiente a misura d’uomo e ancora incontaminato.

Adolfo Leoni - Paola Michelacci - Alessandro Pazzaglia

5 della vita

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Che serata all'Hotel Royal di Casabianca di Fermo! E che forti questi cuochi dell'Associazione provin-

ciale, capaci sempre di sorpren-dere. In una volta sola due colpi eccezionali. Pri-mo, il convegno con Paola Michelacci (di cui parliamo in altra parte del-la rivista). La signora marchi-giana, cui fanno capo nu-merosi alberghi e residence, ha incantato il folto pubbli-co presente, fornendo una boccata d'ossigeno e una speranza agli operatori, una prospettiva ampia al turismo e una ventaglio di proposte al settore accoglienza. Poi, dopo una cena di grande riguar-do come il Royal sa organizzare, la seconda parte dell'incontro è sta-ta affidata ad un campione. Essì, perché Gino Benvegnù un campione lo è sul serio. Si è aggiu-dicato il primo premio al campio-nato mondiale promosso da Bar-giornale. Ad ottobre 2007, a Kuala Lumpur in Malesia, il nostro ha primeggiato nella manifestazione svoltasi negli esclusivi spazi del Westin Hotel.La due giorni di gare ha sancito il successo della creatività e del-la fantasia di Gino. Dalla Malesia

a Casabianca di Fermo, dove Benvegnù ha ripro-posto il suo drink a base di Moijto. Che spettacolo! Che spettacolo vedere all'opera questo grande

barman e che gusto sorbire il suo beverage. Eppoi, volete met-tere l'ambientazione? Una cosa è bere il moijto al banco di un bar, un'altra assaporarlo da una terraz-za - come quella del Royal - con il mare di fronte, mare tranquillo, ascoltando un leggero sciabordio, con la luna che ci fa compagnia, e le piccole lance dei marinai già in acqua con la lanterna.E bravo Benvegnù, ottimo barman e uomo fortunato. Quanti altri han-no la fortuna di una location come quella? Alla salute.

Leonidas

Un barman per amico

Gianni Lamponi Gino Benvegnù

...L' impresa

Il Gusto... 6

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Montegiorgio:

Sindaco Armando Benedetti

di Adolfo Leoni

il medico-sindaco chiedel'Istituto Agrario

...Il periscopio

Uno dei primi atti della nuova amministraz io-ne comunale

di Montegiorgio è stato quello di attivare l'iter per le Denominazioni Comu-nali. Stiamo parlando pro-prio delle famose De.Co., una battaglia che Pao-lo Massobrio, Presidente nazionale del Club di Papil lon, sta portando

avanti con grande determinazione.Di prodotti agroalimentari tradizionali Montegiorgio è ricca. Facciamo solo due casi: “li caciù” (che sono dolci tipici) e “li strozzapreti” (che sono un tipo molto partico-lare di pasta). Gli esempi potrebbero continuare. Ma ci fermiamo qui. Abbiamo aperto con le De. Co. per arrivare a dire che il comune della media valle del Tenna ha da sempre una forte vocazione agricola. Mezzo secolo fa era molto più forte, ovviamente. Oggi, comunque, ci si difende. Le im-prese agricole non mancano, i coltivatori e gli allevatori si danno da fare, esistono produttori di buon livello. Una tradizione e una ricchezza da difendere. Se poi dia-mo uno sguardo al territorio circostante, la campagna impera. Per fortuna. E chissà che nei prossimi anni, ma-gari legata alla crescita turistica, non sia una risposta, anche se percentualmente minore rispetto all'industria, al fabbisogno lavorativo dei giovani? È per questo che vediamo con simpatia l'iniziativa del nuovo sindaco Armando Benedetti e della sua giovane giunta. In cosa consista ve lo spieghiamo subito. Tra al-cuni mesi nascerà ad ogni effetto la provincia di Fermo. Il territorio dovrà schierare tutte le scuole di ogni ordine e grado. Gli istituti ci sarebbero già tutti, fuorché uno, quello Agrario. E proprio l'Istituto Agrario viene rivendi-cato con forza dal dr Armando Benedetti. Lui è un me-dico di valore ma ha capito che sull'agricoltura si può scommettere, iniziando però dalla professionalizzazione dei giovani. Per cui ha preso contatti con il Preside (non si chiamano più così, ma così rendono di più) dell'Isti-tuto comprensivo di Porto Sant'Elpidio da cui dipende Montegiorgio. E gli ha fatto balenare la proposta: caro Preside, Montegiorgio vuole l'Istituto Agrario, iniziamo a muoverci. E ci si è mossi. Ovvio, che le scelte verranno fatte a provincia di Fermo attivata. Ma intanto si semina, si costruisce la rete, si approfondiscono le motivazioni.Benedetti e i suoi uomini hanno un'idea chiara: accan-to alla scuola va attivata un'azienda agraria pilota, all'avanguardia, sperimentale. Benefica per gli studenti, per la cittadina e per il suo comprensorio. Dategli torto!Come dire: da “li caciù” ai banchi di scuola. Si chiama realismo, signori. Ora incrociamo le dita, in attesa degli eventi.

14 e 15 ottobre 2008“NUOVE TENDENZE

DELLA CUCINA MEDITERRANEAPER IL BANQUETING”.

Corso di due lezioni tenutodall’executive chef di fama internazionaleMARCANTONIO SAGRAMOSO.

Il corso è rivolto a professionisti e gourmet del territorio e si terrà marte-dì 14 e mercoledi 15 ottobre dalle ore 15,30 alle 18,30 presso il RISTORAN-TE MARIO di Fermo.

- I posti sono limitati -Per informazioni e prenotazioni telefonare al seguente numero 330/650208.

F.I.C. Ass.ne Cuochi della Provincia di Fermo via Legnano, 263018 Porto Sant’Elpidio tel. (+39) 330 650208

ECCEZIONALECORSO

DI CUCINA

7 della vita

Page 10: Il Gusto... della Vita - Settembre 2008

La forte determinazione del presidente MARIANO DE ANGELIS insieme al contributo del suo organico, composto prevalentemente da giovani, ha portato quest’azienda ad affermarsi nel settore delle mense scolastiche, fornendo 100.000 pasti la settimana distribuiti in tutta Italia.In seguito, acquistando sempre più consensi, VALLEGAIA DI CARNEBIO si è rivolta anche alla ristorazione e alle macellerie attente alla qualità e alle razze dell’appennino centrale. Nel 2006 abbiamo aperto uno spaccio aziendale con vendita al minuto dove commercializziamo carne di scottona Marchigiana allevata nelle nostre stalle di San Ginesio di Macerata.

Nel cuore delle Marche ai piedi dei Monti azzurri, nel Comune di Amandola ha sede VALLEGAIA DI CARNEBIO srl, azienda leader nell’allevamento, sezionamento

e commercializzazione di vitelloni "BIO" e "IGP" (identificazione geografica protetta, marchigiani chianini e romagnoli), prodotti di eccellenza nel settore della carne nazionale. Questo tipo di allevamento, attento all’alimentazione ed al benessere degli animali, nel periodo di stabulazione, ci permette di assicurare carne certificata di altissima qualità a mense, ristoranti e consumatori finali.

CARNEBIO srl

(CARNEBIO srl)63021 Loc. San Ruffino - Amandola (AP)

Tel. 0736.848719 Fax 0736.847399E-mail: [email protected]

SPACCIO AZIENDALESan Ruffino - Amandola (AP)

Tel. 0736.848719

Page 11: Il Gusto... della Vita - Settembre 2008

La Sicurezza Alimentare come priorità: carne bovina e BSE

La BSE è una malattia neurologica di tipo degene-rativo ad esito fatale che colpisce i bovini. Si trat-ta di un tipo di patologia che appartiene ad un gruppo di malattie causate dai cosiddetti “prio-

ni”, che sono delle proteine patologiche che resistono ai più comuni metodi di cottura, sanificazione e sterilizzazio-ne. L’origine della BSE è tuttora sconosciuta. Al momento si ritiene che i bovini possano essere stati infet-tati dal morbo attraverso l’assunzione di farine di carne e ossa o di mangimi ricavati da carcasse di animali affetti da BSE. Questo avrebbe causato la diffusione della malattia, per lo più dal Regno Unito, verso tutta l’Europa. Il primo caso di variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob fu riscontrato nel marzo 1996 nel Regno Unito. Gli effetti del-la malattia sono devastanti e simili a quelli riscontrabili nei bovini affetti da BSE. Il morbo non è curabile ed è mortale.

Per quanto riguarda le disposizioni comunitarie per l’ado-zione di un Sistema di Sorveglianza Permanente, l’Italia è all’avanguardia. Il sistema di sorveglianza attivo, iniziato nel 2001 in seguito all’emanazione del Regolamento (CE) 999/01, permette di monitorare la BSE in modo migliore ri-spetto al passato, in cui esisteva solamente la sorveglianza passiva. È previsto, infatti, l’esame obbligatorio per tutti i bovini con sintomi, l’effettuazione di test rapidi per BSE delle categorie a rischio (morti in stalla di età uguale o superiore a 24 mesi e tutti i bovini macellati di età uguale o superiore a 30 mesi) nei laboratori specializzati degli Istituti Zooprofilattici Speri-mentali sull’intero territorio nazionale. Questi Istituti Zoopro-filattici sono gli enti pubblici di riferimento per le analisi dei prodotti alimentari.

Le parti del bovino considerate come materiali a rischio specifico (MSR), sistema nervoso centrale, incluso il cervel-lo, occhi e parte dell’intestino, sono eliminati al mattatoio durante la macellazione. Ad oggi questa azione preventiva è il migliore strumento per la salute pubblica. Per evitare eventuali problemi da animali infettati da alimenti conta-minati, i MSR sono stati eliminati sia dalla catena alimentare umana, che da quella animale. La proteina prionica pato-logica non è stata riscontrata né nei muscoli, né nel latte e gli esperti dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e dell’Unione Europea hanno confermato che latte e carne bovina sono sicuri.

Dott. Simone Barocci

ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALEDELL’UMBRIA E DELLE MARCHESezione di FermoC.da San Martino, 6 - 63023 Fermo (AP)Tel. 0734-621489 - Fax 0734-623449www.izsum.it - e-mail [email protected]

...Scripta manent

L’epidemia di BSE (Encefalopatia Spongiforme Bovina o “mucca pazza”), principalmente nel Regno Unito, e la scoperta che da essa deriva una malattia umana denominata variante di Creutzfeldt-Jacob, hanno causato nel mondo economico-sanitario europeo una grave crisi, che è sfociata in una rivolu-zione nei sistemi di sorveglianza delle encefalopatie spongiformi trasmissibili all’uomo.

Istituto Zooprofilattico Sperimentale

Rimangono comunque diversi quesiti aperti su BSE e ma-lattie correlate. Per tale motivo queste malattie da prioni sono attualmente oggetto di intense ricerche, che vedono coinvolto il nostro Istituto Zooprofilattico assieme a quello di Torino che è il Centro di Referenza Nazionale per le Encefa-lopatie Spongiformi Animali.

Ad oggi non sono mai stati riscontrati casi di BSE in bovini di razza marchigiana e, in generale, l’incidenza della ma-lattia in animali da carne è molto bassa. L’unico caso di BSE identificato nella Regione Marche dal nostro Istituto era una bovina da latte di razza frisona ed è stato individuato nel 2001. Presso la Sezione di Fermo, infatti, è operativo il Centro di Riferimento Regionale per le Encefalopatie Spon-giformi Animali, in cui vengono effettuati i test rapidi per BSE per tutta la Regione.Secondo analisi dettagliate del Centro di Referenza Nazio-nale di Torino, in Italia, come nel resto d’Europa, stanno di-minuendo l’incidenza ed il rischio. Importante, comunque, mantenere il monitoraggio, studiare i fattori di rischio e so-prattutto continuare con le misure adottate.

9 della vita

Page 12: Il Gusto... della Vita - Settembre 2008

Questi umili e poco con-siderati pezzi di carta hanno avuto degli illustri progenitori negli splen-

didi menu preparati per le illustri casate o per le ricorrenze convi-viali che poi si sono estesi al mon-do della ristorazione. La moda è cominciata verso la metà dell’Ot-tocento, probabilmente in Francia, al seguito dei cambiamenti appor-tati al sistema di servizio in tavola. Il cosiddetto “servizio alla francese”, che aveva stupito e affascinato l’occhio dell’ospite sulle tavole di mezza Europa e già nel Settecento, comincia a mostrare delle crepe. Fino a quel momento, infatti, per i pranzi importanti, il cerimoniere della casa usava preparare uno o più grandi tavoli su cui senza ordine alcuno venivano disposte le porta-te, in mezzo a trionfi di zucchero, a sculture di burro e di ghiaccio, grandiose opere d’arte di confet-tieri e pasticceri che erano dei veri e propri scultori.

L’ospite entrado nel salone del ban-chetto doveva sbalordirsi davanti alla magnificenza, alla ricchezza di quello che era un vero e pro-prio monumento gastronomico. La scelta e la sequenza delle pietanze era libero, ognuno si serviva a suo piacimento mangiando quello a lui più gradito.

Viene spontaneo domandarsi se quel cibo fosse commestibile dopo le tante ore di preparazione e di esposizione. Domanda che si pose Alexandre Borisovitch Kourakin di-plomatico russo di stanza a Clichy nel primo decennio dell’Ottocento, che invece usavo presentare i suoi piatti di cibi caldi appena usciti dalla cucina con un servizio rapido ed efficiente in modo che tutti fos-

minciare dalla Germania e anche dalla Svizzera. Il mondo industria-le coglie questa occasione come potente veicolo pubblicitario e dif-fondono i menu prestampati, de-corati, i più famosi dalla Liebig alla Suchard e via via le più rinomate fabbriche di dolci e biscotti.

Quando ti siedi ad un tavolo di qualunque posto di ristoro, che sia ristorante, trattoria generalmente è la prima cosa che ricevi; è un semplice cartoncino, spesso vergato a mano, a volte con qualche errore di ortografia, qualche volta stampato o scritto con il computer, ma se il ristorante è di lusso il cartoncino vi sarà porto in una elegante custodia di pelle e si chiamerà, alla francese, “la carte”. Oltre alla lista dei piatti che la casa offre, è quasi sempre presente, più o meno corposa, la lista dei vini. I gourmet dicono che da questa si vede già il livello del ristorante.

di Luciano Scafà

Menu re d’Italia Porto San Giorgio, collezione privataL’importante menu è dedicato alla visita ufficia-le a Parigi di Vittorio Emanuele III, accompa-gnato dalla regina Margherita. Lo riceve il pre-sidente della nuova Repubblica, Emile Loubet, di cui notiamo in alto a sinistra il monogramma dorato. Il menu è firmato da Jules Cheret, uno degli artisti più in vista del momento; vi sono rappresentate “le due sorelle” come si diceva in quel momento: l’Italia biancovestita e coronata, la Francia indossa un abito rosso con il rivolu-zionario berretto frigio; dietro alle due figure le bandiere dei due Stati: in risalto, per onorare l’ospite, quella italiana, in secondo piano quella francese. Il nastrino in basso è il tricolore ita-liano, quello in alto il tricolore francese ambe-due legati dal nastrino dorato che corre sulla sinistra del cartoncino, a rinsaldare il legame di parentela politica fra le due sorelle. Il menu si riferisce alla colazione ufficiale all’Eliseo del 18 ottobre 1903.

sero serviti contemporaneamente. Sulla tavola solo guarniture e co-perti. Era nato il moderno “servi-zio alla russa” che riscosse subito un enorme successo anche in Francia.

Ci troviamo all’inizio dell’Ot-tocento, sarà un secolo i cui avvenimenti stravolgeranno il mondo. Una nuova e po-tente borghesia, si farà for-za potenziando la “cultura dell’immagine”, facilita-ta dalla diffusione della stampa divenuta ormai popolare e certo non troppo costosa. L’ap-parire diventa sempre più importante per le classi emergenti ed è anche a tavola che da sempre si mostra il proprio rango. Il pranzo ha avuto un’atten-ta regia in cucina, che ha elabora-to il susseguirsi dei sapori e dei vini che li debbono accompagnare.

A questo punto si pone il problema di far sapere al commensale quel che verrà loro servito ed è appar-so logico e semplice metterlo per iscritto. Nascono così i primi car-toncini con scritte le pietanze, la loro seguenza e gli abbinamenti. I primi menu sono piccoli carton-cini, spesso vergati a mano, se hanno una decorazione questa è monocroma e solo qualche volta compare una sottile cornice dora-ta. Negli anni Ottanta si diffondo-no grandi e illustratissimi menu di cui fanno sfoggio le case regnan-ti di tutta Europa, dalla nobiltà e dalla borghesia emergente, dalle alte cariche dello Stato, ma anche dai club più esclusivi. Il tutto parte dalla Ville Lumière per diffondersi a macchia d’olio nel mondo, a co-

...L'archivio in cucina

origini e costumi

Il Gusto... 10

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Menu di StalinPorto San Giorgio, Collezione privataIl foglietto, ancora in bianco, stampato duran-te la guerra su carta leggera e certo non adatta allo scopo, deve esser stato disegnato da chi pensava che il conflitto sarebbe finito con la vittoria dell’Unione Sovietica. Si vede, infatti, la testa dello statista inglese Churchill, divo-rato dal presidente Usa, Roosvelt, a sua volta inghiottito da Stalin.

Menu di Vittorio Emanuele di Savoia colazione del 16 settembre 1909Porto San Giorgio collezione privataAlla corte dei Savoia, divenuti da poco Re d’Italia, si parlava francese; con il nuovo re-gno si stabilisce che tutti i documenti ufficia-li vengano pubblicati in italiano. Tutto viene tradotto e anche i menu. Questo probabilmen-te è il primo in lingua italiana, redatto per una colazione al Palazzo Reale.

Menu principe BorgheseRoma, collezione privataLa moda dei menu attira anche grandi artisti. Questo è sta-to disegnato dal pittore tedesco H. Nadorp, nel 1841 per la villa del principe Borghese a Frascati. Ai serti di frutta, alla moda rinascimentale, sulla destra e sulla sinistra del menu è messo in risalto il lavoro dei cuochi: uno, sulla sini-stra, intento a rimescolare e l’altro sulla destra, a bagnare con il vino una testa di cinghiale. La cacciagione era il fiore all’occhiello della gastronomia dei Castelli Romani.

Menu del 1911 redatto per una colazione al Castello di RacconigiPorto San Giorgio collezione privata

Menu Presidente della Re-pubblica Francese dell’11 giugno 1889Porto San Giorgio collezione privataSi tratta di un bellissimo menu, con allegato lo schema della tavola e l’as-segnazioni dei posti. L’ospite d’ono-re era Monsignor Nicola Averardi Nunzio Apostolico in Francia sotto il Pontificato di Leone XIII.

Oggi il menu è d’obbligo nel mondo della ristorazione la maggior parte viene scritto per le occasioni più importanti, ma-trimoni, ricorrenze, eventi più o meno elaborati e ricchi di fanta-sia. Al di fuori della ristorazione in tutti gli eventi o incontri dove si consuma un pasto i menu sono d’obbligo e rigorosamente scritti.Dai pasti frugali con il Santo Pa-dre ai galà dei Capi di Stato, nessun cerimoniere si sognereb-be di non redigere “il menu”.

Alberghi importanti e transatlantici di lusso che solcano gli oceani fa-ranno dei grandi menu decoratissi-mi il loro punto di forza per promuo-vere la loro cucina e la bravura dei loro chefs, a ragione, considerati i numero uno al mondo.Neanche i pittori d’avanguardia ri-marranno estranei a questa moda, un celebre menu lo disegnò il gran-de Toulouse Lautrec e sullo stesso tema si cimentarono Gauguin e Dalì e molti anni più tardi, da noi sarà la volta di Guttuso.

Il costume, la moda e l’apparire coinvolsero anche i militari che sui loro nenu fecero sventolare vessil-li, gagliardetti, spade e fioretti e si incrociano amichevolmente. Do-cumenti importanti che hanno la-sciato traccia dell’alimentazione delle truppe nelle grandi occasioni e nella quotidianità.

Il francese è la lingua con la quale si redige il menu anche i menu del-la nostra casa regnante sono ver-gati in francese fino al 1909 anno in cui si deve aver ritenuto opportuno che nel Regno d’Italia i documenti dovessero essere scritti in italiano così ogni documento della Real Casa venne vergato nella lingua italiana. Infatti il menu di Vittorio Emanuele di Savoia della colazio-ne privata del 16 settembre 1909 che mostriamo è probabilmente il primo o uno dei primi redatto con la nuova regola. Nel menu del 1911 redatto per una colazione al Ca-stello di Racconigi ci si è preoccu-pato di tradurre persino il consom-mé che diventò il “consumato”.

Menu arcivescovo di LiegiRoma, collezione privataIl grande menu redatto per il pranzo celebrativo dei 25 anni di vescovado del vescovo di Liegi nel 1877, reca in testa lo stemma di Pio IX. Felicemente regnante, sormontato dalle in-segne papali, chiavi decussate e tiara; lo circondano gli stem-mi delle città della diocesi liegese. In basso, al centro, lo stemma del casato del vescovo sormontato dalla berretta car-dinalizia. Il servizio dei sorbetti, come si usava, precede la parte del menu dedicata agli arrosti e ai dessert.

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"Do vai a comprà li puji?Da lu Greciu"Questa la risposta che era solita ascoltare a Piazzetta. È proprio qui che, a cavallo delle due tremende guerre mondiali, affondano le radici della polleria girarrosto “Lu Greciu”. Un'attività la cui memoria è legata indissolubilmente alle vicende del noto zio Gigio. Quel Luigi Mancini, epico venditore di polli il cui ricordo è giunto sino a noi per voce di chi oggi non nasconde i propri capelli bian-chi. - “Je se dicea “Lu greciu” - per la stravagante mania di vestire “scamiciato”, come i marinai dall'altra parte del mare Adriatico. Tra le fiere di Ortezzano, Carassai e Montefiore, Mancini andava per commerciare pollame vivo. La svolta nel dopoguerra: non più polli vivi, ma macellati e lavorati. A quindici anni dalla morte di Zì Greciu, nel 1976, fu trasferita l'attuale ditta in contrada Ca-mera, che adesso si chiama "Tomassini Carni": ditta modello, quindici dipendenti, lavorazione artigianale e accurata e grande distribuzione in quattro regioni. Nel 2002 poi l'apertura di un punto vendita a Porto San Giorgio, questa è un'altra storia! Una storia che poche altre gastronomie possono vantare e che è prima di tutto sinonimo di garanzia e qualità. Entrando nell'ampio lo-cale si notano subito due ricchi banchi gastronomia e rosticceria. Non solo polli dunque oggi per la famiglia Tomassini. L'azienda offre una vasta gamma di pietanze calde, carni fresche e pron-ti a cuocere per servire magistralmente dalla singola porzione ai grandi buffet. Su ordinazione, la rinomata rosticceria sangiorgese realizza anche piatti di grande portata per festeggiare al meglio pranzi e cene come quelli di Capodanno e Ferragosto. Il pollo allo spiedo rimane però il piatto principe. "Lu Greciu" e il suo staff lo preparano al girarrosto, con cottura lenta per circa due ore. Legato con lo spago a mano, l'insaporimento del pollo è frutto di un condimento essenziale a base di sale e spezie naturali. Tutta la serie di prodotti avicoli cotti allo spiedo: dall'anatra alla fa-raona, dal pollo alla cacciatora al rollé di tacchino e qua-glie. Oltre alla specialità della casa, dal bancone rosticceria si può acquistare e ordinare ottimi preparati caserecci. Ogni giorno i prodotti genuini sono come quelli di casa, senza conservanti né additivi aggiunti. Pietanze calde che si distinguono per la loro na-turalezza e il rispetto delle antiche ricette. Da “Lu Greciu” si pos-sono trovare piatti della più tipica tradizione marchigiana come l'oca arrosto con le patate, le immancabili lasagne, i can-nelloni e una vasta serie di primi. Lo chef Simone propone ogni giorno un piatto ricercato, sughi pronti al cinghiale o lepre, verdure grigliate e gratinate e tutta la frittura all'asco-lana. Un intero bancone è poi dedicato all'angolo dei “pronti a cuocere”. Un assortimento di carni bianche e suine già condite e speziate che richiedono solo di essere messe nel forno di casa e servite in pochi minuti. L'ideale per le giovani coppie impegnate tutto il giorno al lavoro e per i single che desiderano pranzare ve-locemente senza dimenticare i sapori della nonna.

Polleria girarrosto “Lu Greciu” di Porto San GiorgioNon solo polli per un nome che vuol dire tradizione e qualità

di Fabio Scatasta

via F.lli Rosselli, 248/250Por to Sa n Giorg io Sud

tel. 0734 678047

APERTO DOMENICA MATTINA

Tomassini Carni Azienda Certificata:

13 della vita

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...La disfida dei fornelli

Il perché dei miei piatti…La cucina è puramente chimica e quindi non vi sono ricette con regole fisse: ag-giungendo o togliendo questo o quell’altro elemento si ottengono risultati diversi ma altrettanto gustosi e saporiti.Nei piatti che realizzo cerco di donare soprattutto sapore, profumo ma anche molto colore. Personalmente preferisco preparare piatti, prendendo spunto dal-le tradizioni per poi ripresentarli in una veste attuale, quindi giocare e creare abbinamenti diversi, grazie alle svariate soluzioni che la nostra terra, le Marche, ci propone. Infatti io ritengo che le Marche siano una regione unica nel suo genere, dove colori, profumi e sapori si intersecano in svariate combinazioni. Dall’Adriatico alla montagna, chiunque può notare particolari paesaggistici uni-ci, che cambiano tonalità ad ogni stagione. Nel caso specifico ho voluto rea-lizzare un piatto invernale, abbinando il profumo caratteristico del cavolo con quello delle alici e delle vongole, arricchito da erbette aromatiche e pagliuzze di ortaggi freschi, ottenendo un gusto finale unico ed armonioso.

Chef Mauro Michetti

Ingredienti per 6 pax- broccoli gr 500- vongole nostrane gr 500- patate tagliate a mò di mimosa gr 300- rametto di rosmarino- mazzetto di prezzemolo- alici gr 300- capperi gr 30- pomodorini pachino gr 200- pagliuzze di verdurine fritte q.b.- sale e pepe q.b.- aglio 1 spicchio- bianco d’uovo 2

ProcedimentoBollire i broccoli in acqua bollen-te e leggermente salata, scolarli e lasciarli raffreddare. Aprire le von-gole e sgusciarle, filtrare l’acqua e aggiungere questi ingredienti alla schiacciatina di broccoli.Saltare le patate mimosa nell’olio con l’aglio ed il rosmarino, quando risulteranno ben rosolate scolarle e aggiungere alla schiacciatina di patate; aggiungere anche i bian-chi d’uova, il sale ed il pepe e im-pastare il tutto facendo attenzione affinché le patate non vengano a rompersi. Introdurre la farcia così ottenuta all’interno di stampi a pi-ramide precedentemente imbur-rati e impanati. Cuocere a forno a 180°C per circa 35 min. Preparare il ragù di alici facendo soffrigge-re nell’olio extravergine di oliva l’aglio, poco peperoncino, i cap-peri, le alici dissanguate e tritate finemente, il prezzemolo, lasciare cuocere per 3-4 min. Aggiungere la brunoise di pomodorini, aggiu-stare con sale e pepe e spegnere il fuoco. Adagiare il ragù di alici sul fondo di un piatto, porvi sopra lo sformatino bollente, decorare con pagliuzze di verdurine a piacere fritte nell’olio extravergine di oliva e servire.

Sformatino di broccolie vongole su ragù di alici e capperi.

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Ingredienti - Orata da 300/400 g- 100 g di mollica di pane- 50 g di panna- 1 patata- 1 spicchio d’aglio- 3 foglie di maggiorana

PreparazionePulire, eviscerare e squamare l’orata, poi sfilettarla.Adagiare un filetto in una placca da forno ricoperto con carta da forno.Privare l’altro filetto della pelle e metterlo nel cutter con la maggiorana, l’aglio, la panna e la mollica del pane; far andare fino ad ottenere una pomata. Spalmare il composto sopra l’altro filetto e ricoprire il tutto con una foglia di patata tagliata con la mando-lina molto sottile.Cuocere in forno per 10 min.

Filetto d’orata farcito con tortino di verdure,polenta e pachino spadellati.

Ingredienti per il tortino- 1 zucchina- 1 melanzane- 60 g di spinaci- 100 g di farina- 100 g di burro- n. 3 Pomodori pachino- 1 uovo- Formaggio- Sale e pepe- Polenta

PreparazioneFare un roux con burro e farina. Nettare e lavare le

verdure, tagliarle in dadolata, saltarle in pa-della e aggiungerle al composto preceden-temente preparato. Aggiungere l’uovo ed il parmigiano, mescolare e aggiustare di sale, mettere il composto in uno stampino prece-dentemente imburrato ed infarinato e cuo-cere a 180 °C per 8 min. Impiattare l’orata, la polenta (precedentemente preparata), il pachino padellato ed il tortino, condire con olio fresco e servire ben caldo.

Chef Samuele Giustozzi

...La disfida dei fornelli

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Questi ricordi introducono, nel mio libro Ricette, ricordi, rac-conti, i dolci della tradizione maceratese, la ricetta dei fi-

loni di mosto che sono tra i dolci più tipici del periodo autunnale. “In altri tempi, il rito della preparazione di alcuni dolci particolari si rinnovava, oltre che in occasione di festività reli-giose, anche alla scadenza di attività legate alla stagione e prevedeva l’uti-lizzo di prodotti appena raccolti. Di conseguenza, nei caldi giorni estivi, le donne di casa erano impegnate nella preparazione delle marmellate con i frutti di stagione, a partire dal mese di giugno con le visciole, cioè le amare-ne, per passare alle albicocche e alle pesche nel pieno della stagione cal-da. Nelle zone collinari e in quelle boscose dell’entroterra si preparavano confet-ture anche con i frutti selvatici come le more, le bacche di rosa canina o i corbezzoli che cominciano a matu-rare a fine estate. Venivano utilizzati anche fichi, mele cotogne e prugne di cui le terre collinari del macerate-se sono molto ricche, oppure prodotti più insoliti come i pomodori verdi con i quali si preparava una marmellata, un tempo, molto diffusa ed apprezzata. Erano, però, la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno che vedevano la ripresa delle attività più intense e faticose, in campagna e in montagna. A fine agosto, infatti, i contadini si rimette-vano all’opera con la raccolta del granturco e la conseguente scartoc-ciatura, poi iniziava la vendemmia e la pigiatura dell’uva e successivamen-te si passava alla raccolta delle oli-ve. Nelle zone boscose si provvedeva anche alla raccolta delle noci e delle castagne e alla loro conservazione. È quindi naturale che i dolci del pe-riodo autunnale prevedessero l’uso di prodotti come la farina di granturco appena macinata, oppure il mosto fresco non ancora fermentato, le ca-stagne, le mele cotogne, i cachi e i fi-chi da poco raccolti. Si preparavano dei dolci poveri come il pizzarullo o il castagnaccio, nel frattempo si met-tevano da parte noci e mandorle, si conservavano, appesi in soffitta, dei grappoli d’uva particolarmente gros-sa e matura, si facevano asciugare le paccucce (cioè delle fettine di mele o pere infilate in uno spago), i fichi venivano calati nel mosto bollente e lasciati ad insaporire per qualche mi-

RICETTE, RICORDI, RACCONTI,i dolci della tradizione maceratese

nuto per essere poi messi a seccare ben infarina-ti, tutto questo in previsione del Natale quando queste preziose provviste sarebbero state usate per preparare dei dolci più ricchi e festosi.”Alla luce di tutto questo, era naturale che le ri-cette di questo libro venissero presentate secon-do una suddivisone dettata dalla stagionalità e dalle indicazioni delle festività religiose, inoltre voglio aggiungere che molte di queste ricette provengono da persone precise come accade appunto per i filoni di mosto della signora Rosa oppure per la torta di mele di nonna Maria, per-ché “ non credo che esista insegnamento miglio-re di quello che ci viene offerto da un ‘maestro’ che, magari con poche e spesso reticenti pa-role, ma con gesti precisi, ci introduce alla sua arte fatta di grande esperienza e manualità, a sua volta apprese da chi prima di lui compiva gli stessi gesti.” Quello che accomuna tutte le ricette di questo libro è che sono tutte rigorosamente tradizionali anche se questo termine per l’abuso che ne è stato fatto ha perso parte della sua forza carat-terizzante. Inoltre tutte le ricette, sia che appar-tengano al capitolo dei dolci dell’autunno o pro-vengano dalla tradizione natalizia, non vivono di vita propria come accade per le ricette di nuova generazione, ma sono accompagnate da una lunga storia che le rende più intriganti e che mol-to spesso ne garantisce la sopravvivenza. È una storia che dà loro autorevolezza, che le lega al territorio, alla stagionalità e alle festività religio-se. La storia di queste ricette è farcita di aneddoti e di ricordi. È una storia che non può fare a meno della gestualità e della ritualità che accompa-gnano la realizzazione di queste ricette, contiene un pizzico di superstizione, che si è frammista ad un forte senso della religione. Di conseguenza, queste ricette non potevano essere riproposte, spogliate dal loro bagaglio culturale, perché, in realtà, possono continuare ad avere un senso nella modernità in cui viviamo, solo grazie a que-sta loro lunga storia.In conclusione, mi preme dire che lo scopo di questo libro è quello di tramandare le antiche ricette del nostro territorio, non solo mettendo-le per iscritto, il che non è sufficiente a tenerle ancora in vita, ma soprattutto rendendole ac-cessibili a chiunque volesse tentare di metterle in pratica avvalendosi di tutti quegli strumenti moderni di cui ogni cucina oggi è fornita, senza stravolgerne, però, lo spirito originario.“È per me, infatti, motivo di orgoglio pensare che queste preparazioni tradizionali della mia terra, con una storia antica e, in genere, dalle umili origini, possano continuare a vivere, non solo attraverso il ricordo dei nostri anziani che, con nostalgia, ripensano a quello che mangiavano da bambini, ma grazie al protrarsi della loro rea-lizzazione negli anni a venire.”

Manuela Di Chiara

...Buongusto

autrice Manuela Di Chiarafotografie di Lucilla Di Chiara edito dalla Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata

“Ho ancora vivo il ricordo di quando mia nonna preparava i filoni di mosto: sulla lastra grande, usata anche per il pane, venivano allineati questi rotoloni arrotondati alle estremità e divisi uno dall’altro da una piega dello sparrone che li ricopriva durante la lievitazione. Poi arrivava il momento in cui la nonna mandava noi ragazzini al forno ad avvertire che i filoni erano pronti e allora arrivava il garzone del fornaio che si portava via la lastra tenendola alta sopra alla testa, a me sembrava una sorta di trofeo che mia nonna, con mille raccomandazioni, aveva affidato alle sue mani.Poi, dopo un paio di ore, noi bambini dovevamo tornare al forno a verificare se i dolci erano stati cotti. Allora eravamo ammessi in una stanza grande che si trovava due o tre gradini più in basso rispetto al livello della strada: un antro caldo e profumato con una bocca enorme e fumante che era il forno da cui

sarebbero usciti i nostri dolci. Mi piaceva tanto stare lì sugli scalini a guardare il fornaio che infilava la sua pala in quel buco buio e, come per incanto, ne tirava fuori qualcosa di profumato, dal colore accattivante. Poi, quando arrivava il nostro turno, ci chia-mava con un fischio e ci affidava la lastra, ancora calda, con i filoni scuri, scuri e gonfi e noi, camminando piano, con attenzione, dovevamo portarla fino alla porta di casa dove ci aspettava mia nonna che, prima ancora di prenderla in consegna, sollevava un lembo dello sparrone e, con occhio critico, controllava la cottura e dava la sua approvazione.”

Filoni di mosto

Favette ai pinoli

Crescia sfoiata

Il Gusto... 16

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Andrea Barbabella

Fornelli accesi, intelletto pronto, mani d'oro. Sin-tetizziamola così la selezione marchigiana dei giovani cuochi. Di che parliamo? Ma dell'an-teprima del concorso gastronomico e culina-

rio riservato ai Junior chef della Federazione Italiana Cuochi. Il confronto vero e proprio ci sarà il 17 novembre a Roma all'interno del Congresso della FIC. Ogni regio-ne d'Italia manderà un prescelto. Quindi, anche le Marche avranno la possibilità di far conoscere e gu-stare un loro piatto ad un palcoscenico prestigiosis-simo composto da oltre 30 delegazioni straniere da tutto il mondo. Tre settimane fa c'è stato l'esame dei candidati della nostra regione. Appuntamento all'Ho-tel Ristorante Degli Sforza, a Monterubbiano, dal col-lega Adriano. Dinanzi ad una giuria di tutto rispetto, alcuni giovani si sono dati battaglia a colpi di ricette interessanti.Sotto lo sguardo e il gusto degli chef adulti, hanno raggiunto il primo posto ex aequo Damiano Micozzi, della provincia di Macerata, e Jannis Zumbas e An-drea Barbabella, entrambi della provincia di Fermo.Il regolamento è però inflessibile: solo uno per regione potrà partecipare al concorso. Necessaria un'ulterio-re selezione e, alla fine, il rappresentante marchigiano è stato scelto. ll migliore è risultato Andrea Barbabella, giovane cuoco - ha 22 anni - da Torre San Patrizio. Viene fuori dall'Associazione Cuochi della provincia di Fermo. Alessandro Pazzaglia e i suoi (i nostri) esulta-no: passaggio significativo!

A Roma,il concorso del Junior chef

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Nelle Marche l'autunno e

l'inverno scorsi sono stati

caratterizzati da ripetute

piogge, anche a carattere tempo-

ralesco, che hanno favorito il com-

pleto ripristino delle riserve idriche.

Tali condizioni si sono protratte per

tutta la primavere e le prime gior-

nate soleggiate sono iniziate con il

mese di luglio, che tuttavia, ha fat-

to registrare alcuni violenti tempo-

rali e anche qualche grandinata.

L'andamento delle temperature è

rientrato nella norma plurienna-

le, alcune volte, nella notte, sono

state anche piuttosto fresche de-

terminando così elevate escursioni

termiche. La ripresa vegetativa è

avvenuta in epoca normale, quindi

con circa 8 giorni di ritardo rispetto

al 2007. Il germogliamento è risul-

tato regolare ed omogeneo. Dopo

tale fase vegetativa è seguito un

periodo molto umido che ha favo-

rito il diffondersi della peronospora

e dell'oidio che, in diversi vigneti

di fondovalle, hanno determinato

perdite di prodotto. Solo le azien-

de che hanno attuato un'oculata

difesa del vigneto, sono riuscite a

ben antagonizzare gli attacchi di

queste due ampelopatie.

La vendemmia dei vitigni preco-

ci è iniziata la terza settimana di

agosto. Nella seconda settimana

di settembre sarà la volta delle

uve Sauvignon, Lacrima e Pecori-

no. Per il Verdicchio la raccolta si

ritiene possa svolgersi nella terza

decade di settembre, mentre ver-

so il 10 di ottobre si effettueranno

i conferimenti di Montepulciano.

Buono lo stato fitosanitario delle

uve, che presentano acini sani e

succosi, con un maggior peso me-

dio grazie ad una disponibilità idri-

ca più elevata. Le uve già raccolte

presentano una normale resa uva/

vino e una carica aromatica e fe-

nolica elevate, grazie alla forma-

zione di un'omogenea ed espansa

parete fogliare.

Complessivamente in tutta la re-

gione si stima un incremento del

20% rispetto alla scorsa campagna

con una produzione pari a circa

950.000 ettolitri di vino. La qualità

del futuro vino è da considerare

quest'anno molto buona con di-

verse punte di ottimo, soprattutto

per le produzioni provenienti da vi-

gneti ben gestiti e curati.

Per le uve al momento si registra

una vivacità di mercato con prezzi

però non ancora definiti. Si stima

comunque che possano rimanere

stabili rispetto allo stesso periodo

dello scorso anno, mentre le con-

trattazioni per i vini ristagnano.

Quantità: +20% rispetto vendemmia 2007

VENDEMMIA 2008/2009

Enologo Alberto Mazzoni

19 della vita

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di Gianmarco Veccia

A formulare la domanda al genio

è Torquato Tasso nel “Dialogo di

Torquato Tasso e del suo genio fa-

miliare” di Giacomo Leopardi. In

quest’opera il nostro amato poeta marchigiano

ritrae il vino simbolo dell’illusione, bevanda che

scalza la noia, che aiuta a sfuggire al dolore per

la mancanza dell’amore. Nel suo pessimismo co-

smico Leopardi attribuisce comunque al vino la

capacità di sopportare ed affrontare meglio la vita. Il mezzo che stimola

la creatività e che con l’ebbrezza conduce vicino al vero.

Il vino quindi strumento per raggiungere la realtà dell’esistenza.

Non sappiamo se Leopardi abbia o meno conosciuto tutti i vitigni au-

toctoni della sua amata “terra natia” fatto è che a noi piace in questa

occasione pensare che la Passerina sia stato uno dei “liquori generosi” a

lui più cari. Un vino che più di altri porta con sè un carattere di estrema

raffinatezza nei profumi, nel colore, nella consistenza. Una poesia che

la natura riesce a creare con l’aiuto dell’uomo, nel nostro caso marchi-

giano, che ha saputo selezionare questo vitigno che produce un vino

sempre più prediletto dai buongustai e dagli amanti del buon bere.

La Passerina era un vitigno molto amato dagli antichi Greci che lo pre-

diligevano per la sua capacità di sapersi ben ambientare e produrre

notevoli quantità di frutto.

In passato infatti veniva anche chiamato “uva d’oro” o “pagadebito”

proprio per la sua alta resa produttiva. È autoctono dell’Italia centro -

orientale e nelle Marche è particolarmente diffuso nell’ascolano.

La PASSERINA:poesia nel bicchiere“Acciò da ora innanzi io ti possa chiamare o trovare quando mi bisogni, dimmi dove sei solito abitare”, e il genio familiare risponde: “Ancora non l’hai conosciuto? In qualche liquore generoso”.

La pianta ha un apparato fogliare vistoso e la foglia, vigorosa è di un formato medio grande. Le nostre selezioni portano ad avere un grap-polo che in media pesa sui cento, centocinquanta grammi, con un acino grande, dalla buccia carno-sa e spessa, ricca di buona acidità e aromaticità che lo caratterizzano.La Regione Marche, sin dai primi anni settanta, ha sostenuto, nei suoi centri sperimentali, la ricerca su questo vitigno che può vantare oggi circa 35 cloni che consentono al viti-coltore locale di individuare meglio il terreno più adatto alla sua cultura, sia nell’esposizione che nella com-posizione.Il vino che si produce da quest’uva è un bianco dal bel colore giallo pa-glierino tendente al dorato. Il sapore è asciutto e pieno con profumi gra-devolmente floreali, di frutta matura con note speziate. Per queste sua ul-time caratteristiche è molto amato dal gentil sesso che negli ultimi anni è sempre più competente in fatto di vino e ha saputo cogliere nella Pas-serina la tipicità di un bianco di buo-na struttura e personalità che, come il Pecorino, è sempre più di moda. E’ vinificato in purezza, fermo o spu-mantizzato, come pure in uvaggio con altri vitigni. Una grande conquista è stata la Doc “Offida Passerina” Vin Santo, o passito, per un vino dolce che la tradizione di Ripatransone, vecchia di più di duemila anni, porta ad avere un prodotto unico per i suoi pregi aromatici, speziati e nobili.Il mosto della Passerina è anche importante nella produzione del vino cotto.La Passerina quindi, come pure il Pe-corino, rappresenta per i produttori della nostra regione una opportu-nità unica da tutelare e sviluppare contro quelle politiche commerciali, a volte azzardate, che rischiano di sminuire questi due preziosi amba-sciatori dell’enologia marchigiana che possono senza ombra di dubbio rappresentare la qualità, la tipicità e la genuinità della nostra terra.

...Vino & Territorio

Il Gusto... 20

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...Protagonisti

Executive chefJohnny Giovanni Tucci

Ingredienti per 4 persone:- 600 g. di fesa di tacchino- una carota- quattro patate- 500 g. spinaci- 100 g panna liquida fresca- un uovo- 150 g. di demy di coniglio (salsa)- 100 g. burro- parmigiano, sale, pepe, olio tartufato- pasta fillo n° 2 fogli

Svolgimento:Fare delle fettine sottili con tacchino e batterle su un foglio di pellicola.A parte preparare della farcia con dei ritagli di tac-chino, panna, l’uovo, sale e pepe, e divederle in tre ciotole. Sbollentare gli spinaci, e fare il puré di patate. Prendere un po’ di spinaci e passarli al cutter per farli diventare un puré, cosi anche le carote.Aggiungere in una ciotola la purea di spinaci, nelle altre, in una, la purea di carote e nella seconda la pu-rea di patate. Stendere le farcie sul tacchino a strisce e poi formare un rollè. Cuocere al vapore per 15 min. oppure con sonda a 60°C. Con gli spinaci rimasti e la pasta fillo formare un cannellone. Finire il purè con l’olio di tartufo il burro e il parmigiano, disporre tut-to nel piatto come fatto vedere nella foto. Friggere il cannellone e tagliare a metà, infine tagliare il tacchi-no e nappare con un po’ di demy di coniglio.

Girella di tacchinoalle creme di verdura con pureadi patata al profumo di tartufo

Con la cucina classica o comunemente chiamata cucina stile Ritz, si usavano servire prima del piatto forte un piatto non importante ma che soddisfaceva il cliente di tutto, il famoso piatto di mezzo questo piatto ancora in uso nella cucina francese ed europea. In Italia con il passare degli anni la cucina si è modificata passando da altre influenze tipo la nouvelle cuisine, la cucina contemporanea, la regionale. Questo piatto ormai non è più nei nostri menu, noi con questa pagina vorremmo riproporli con un occhio diverso, in altre parole fare una proposta che s’inserisce tra il nostro primo e il secondo, o tra l’antipasto e il secondo.

Piatti di mezzo

Ingredienti per 4 persone:- pasta brick 4 fogli- un bianco d’uovo- una zucchina- una melanzana- un peperone- una carota- un piccolo sedano rapa- una cipolla rossa- una patata- 200 g. di squaquerone- olio d’oliva- sale e pepe Svolgimento:Pulire le verdure, tagliarle tutte a brunoise (a dadini piccoli) soffrirgerle leggermente.Stendere la pasta brick e spennellarla con il bianco d’uovo, incorporare un po’ di squaquerone con le verdure e fare dei piccoli ravioli, pelare la patata e tagliarla a julienne finissima e friggere, nello stesso olio friggere anche il raviolo di pasta brick, scaldare lo squaquerone rimasto sistemarlo nel piatto e ada-giare il raviolo con sopra le patate fritte.

Raviolo di pasta brick conbrunoise di verdura, salsaallo squaquerone e fili di patate

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Lo vedete subito. Il monastero spicca dall'alto di Loro Piceno, pro-vincia di Macerata, arcidiocesi di Fermo. Era una fortezza. Era il castello dei signori Brunforte: i Domini conta-

dini, la schiatta longobarda, ghibellina, fedele all'imperatore.Da quattro secoli circa è il monastero delle suore Domenicane. Sono rimaste in tre, le sorelle, di età avanzata, ma con la stessa fedeltà di sempre alla regola di Padre Domenico, il fondatore. Vestite di bianco, sono dedite alla vita contemplativa e alla preghiera liturgica.Perché ce ne occupiamo nella nostra r ivista? Innanzitutto, perché sti-miamo queste monache, poi per i l ruolo che il monastero ha in uno dei paesi più bell i delle Marche, infine per la cucina. Chi ha avuto la fortuna di entrare nell'edificio è r imasto incantato. Ha visto cose di altr i tempi e idealmente ha legato una vita di secoli che si concatena e che ci raggiunge.Le foto che pubblichiamo rendono bene i locali, ma visitare di persona è un'altra cosa. Pensare che su quei tavoli, su quei fuochi, con quegli arnesi si sono fatti dolci fantastici e pietanze gustose, ci fa dire che il Padreterno ci ama davvero e, molte volte, ci prende per la gola. Perché no?A proposito: visitare il monastero si può. In giorni stabiliti.

(l.p.)

La cucina del monastero.Una lode al Signore

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Un luogo fuori dal tempo e dal mondo, ma in que-sto tempo e in questo mondo. Un patrimonio

inestimabile per la quinta provincia delle Marche. È Smerillo, sapien-temente ribattezzata Tibet della Marca Fermana, poco più di 400 abitanti arroccati a 817 metri sul livello del mare. Smerillo non può che essere l'emblema del Gusto della Vita, considerato che ogni scorcio, ogni veduta, ogni sentiero, spalancano il cuore a qualcosa di misterioso e ben più grande di noi. A Smerillo si respira aria buona tutto l'anno. E l'enogastronomia ne risen-te. Sedetevi a tavola in un qualsiasi agriturismo e nelle strutture dell'Al-bergo Diffuso. Gusterete pietan-ze eccezionali. Smerillo, scrigno di attrattive storiche e naturalistiche. L'incasato, principalmente costrui-to in pietra, ha impronta medievale accentuata dagli abbondanti ru-deri delle mura di difesa.

SmerilloTibet della Marca Fermana"Castrum Smerilli" è stato il ca-stello che ha dato origine all'in-sediamento. La prima fondazione sembra risalire al IX secolo. Fu poi alle dipendenze di Fermo. La po-sizione, strategicamente favorevo-le, allettò gli appetiti espansioni-stici della città di Camerino, che, sul finire del secolo XIV, trovarono la secca resistenza dei Fermani. All'interno dell'abitato spiccano due belle chiese, SS. Pietro e Paolo e Santa Caterina, costruita in ricor-do della liberazione del Fermano dal tiranno Rinaldo da Montever-de. Il nome sembra derivi da un falchetto, "lo smeriglio", con cui il feudatario cacciava. Qualcuno fa anche risalire il nome alla fami-glia di signorotti "De Smerillo" che ha abitato il paese. Tipico del pic-colo borgo è l'affioramento della Fessa, spettacolare esempio della presenza di fossili alle pendici dei Sibillini. La Fessa è una profonda incisione nella roccia spessa una ventina di metri, dove può passare un uomo per volta, per vedere una successione stratificata di arenarie e conglomerati sabbiosi. Non solo borgo ma anche frazioni: la più vi-cina al paese è Durano, immersa nel verde e via d'accesso al “fos-so delle anguille”. A sud di Smerillo sorge Ceresola, raccolta intorno alla chiesa di S. Nicola. All'interno si conservano una tela dedicata al Santo e una Pala del '600. Trovia-mo poi Castorano, minuscolo inse-

diamento di origine longobarda, raccolto in cima ad una collinetta e con al centro la chiesa dedica-ta a S. Pietro Martire. A meno di 2 chilometri da Castorano c'è San Martino al Faggio, abitato posto ai piedi della chiesa di S. Vincenzo Ferreri con adiacente campanile romanico. Qui c'è la possibilità di passeggiare in una faggeta tra il corso d'acqua Rebuscano e le sor-genti solfuree. Infine Val di Tenna, frazione che si sviluppa lungo il fiu-me omonimo e sulle rive del quale si possono fare lunghe camminate. Smerillo è nota anche per il siste-ma dell'Albergo Diffuso, innovativo modello di ospitalità, un pò casa e un pò albergo, con camere e ser-vizi dislocati in edifici diversi e con una struttura centralizzata unita-ria. Negli ultimi 10 anni è stata l'Am-ministrazione Comunale a sensibiliz-zare diversi proprietari a ristrutturare le case non abitate, mettendole a disposizione per questo nuovo mo-dello di ospitalità, di fatto favorendo la realizzazione dell'Albergo Diffuso Smerillo. Oggi il sistema si avvale di una capacità ricettiva di circa 60 po-sti letto dislocati in diverse tipologie di alloggi, con caratteristiche diverse, localizzati nel borgo e nelle frazioni.Smerillo, infine, è da tempo frequen-tata anche da poeti ed è stata per questo denominata Cittadella della Poesia. Smerillo... chi non lo visita non sa quel-lo che perde.

di Simone Troiani

Comune di...

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Gustose corrispondenzedall'isola di Kos...

di Stella Alfieri

Immaginate di dare la mano ad una persona dalla stretta potente, decisa e avvolgente. Complimenti, avete fatto il vostro primo incon-tro con la cucina greca. È incredibile. Basta sedersi una sola volta alla tavola di una taverna greca per essere letteralmente conquistati dai sapori del Mar Egeo.

Ti assalgono alle narici prepotenti, forti e decisi odori capaci di portarti a bordo di quella barchetta da pesca bianca e blu o in mezzo ad un campo, sotto il sole cocente, tra fragranti e succosi pomodori e cipolle, rosse e croccanti. Arriva subito, senza chie-

dere permesso. Prima, sembra solo un odore, intenso. Poi, poco a poco, con pazienza e costanza, riesci a distinguere l'olio, l'aglio, quello fresco, la cipolla, il cetriolo, le olive, il formaggio, lo yogurt, il miele: tutti ingredienti fondamentali per la cucina di una terra tanto generosa quanto aspra, pol-verosa e rovente. Ancora più che nel continente, sono le isole della Grecia, esposte al vento e al sole, con i loro mulini, le collinette bruciate dall'arsu-ra, le coste battute dall'andare e venire incessante del mare, i suoi gatti, zingari a quattro zampe, a testimoniare sapori che vengono da lontano. A Kos, piccola isola del Dodecanneso, ad un passo dalla turca Bodrum, tra la grande Creta e l'elegante Rodi, gustare insalata alla greca, tzatziki, dolma-des, moussaka, zuppa di pesce, arrosti di ogni tipo, è un'esperienza di vita imperdibile. Passeggiate sul lungomare, tra il porticciolo di Kos e il castello dei cavalieri di S.Giovanni, prima che si dispieghino davanti ai vostri occhi la miriade di negozi e ristoranti per turisti, incontrerete una scalinata bianca e blu, piccole luci colorate, tante sedie di paglia e tavolini sotto il pergola-to. Zaphirys e Dimitri vi accoglieranno a braccia aperte. Dopo avervi fatto accomodare, magari proprio a quel tavolo per due con vista sul mare, vi serviranno un buon vino fresco – alla taverna Fish House ce ne sono per tutti i gusti: il Retsina, il Makedonikos, l'Agioritiko dei preti del Monte Athos, il Kokkineli, secco e rosato – pane al sesamo e burro, per cominciare, e vi suggeriranno il piatto giusto per la vostra serata alla greca. Alla greca, sì, perchè, a differenza dell'Italia, dovrete adattarvi: non esistono primi piatti. Il pasto si aprirà dunque con una serie di antipasti (detti mezédes o orektiká), come lo tzatziki, la Feta fritta o al forno (formaggio di capra bianco, a pa-sta granulosa, dal gusto importante), l'insalata greca (una festa di peperoni dolci, pomodori, cetrioli, olive, cipolle, Feta) o alla Santorini, dal nome della vicina isola, a base di tonno e gamberi. Fidatevi dell'esperienza di Zaphirys, nativo di Kos: sotto i baffi nasconde l'amore per il buon pesce, cucinato a puntino dal suo chef, Theodoros. Non c'è niente di meglio, ne è convinto anche Dimitri, suo socio da sempre: il pesce è saporito, fresco e ci fa un gran bene. Calamari, pesce spada, polipo, salmone alla griglia. Oppure zuppa di cipolle, moussaka (simile ad un timballo di melanzane, patate,

carne macinata aromatizzata alla mente, coperta di besciamella, cot-to in forno e servito in un'elegante terracotta), pollo al curry (accom-pagnato da riso basmati e verdure al vapore), stufato di carne, costo-lette d'agnello. Per i golosi, o anche solo per chi riuscirà a proseguire, la tradizione vi riserverà dolci a base di pasta sfoglia e crema, come il Kataífi (sfoglia, ripiena di mandorle tritate e bagnata con sciroppo) e il Baklavás (strati di sfoglia alterna-ti, mandorle tritate e miele), molto diffuso anche nella vicina Turchia. Non potrete andarvene senza aver brindato alla vostra salute in com-pagnia di Dimitri e Zaphirys, alzan-do due piccoli bicchieri di ouzo, li-quore simile all'italica sambuca. Ve ne andrete via così, tra un abbrac-cio, un saluto affettuoso, la stretta di mano dei camerieri e l'invito a tor-nare al più presto. Per vivere ancora quell'incredibile fusione tra sapori orientali e gusto mediterraneo.

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Q uanta gente? Un nu-

mero impressionante.

La loro provenienza?

Da tutta Europa ed ol-

tre. Quando? L'estate 2008. Dove?

Ai Magazzini romani di Fermo. Per

fare che? Per gustare il territorio.

“Gustare”, proprio così! Mai ter-

mine fu più appropriato. Gustare

il ciabuscolo, gustare il vino rosso

e bianco, gustare l'olio, li caciù, lu

serpe, i maccheroncini. Insomma,

gustare le specialità tradizionali

della quinta provincia delle Mar-

che: il Fermano.

Il sindaco di Fermo Saturnino Di Ru-

scio e i suoi plenipotenziari di Tipi-

cità, il festival dei prodotti enoga-

stronomici, Angelo Serri e Alberto

Monachesi hanno fatto bingo. Di

solito bingo lo fanno a marzo, or-

ganizzando l'enorme mostra pri-

maverile. Stavolta l'hanno fatto in

L'estate del gusto.Quella di Tipicità.A Fermo la sua ambasciata

estate. Una Tipicità Estate di tutto

rispetto.

E bingo lo ha fatto anche il primo

cittadino, che ha spalancato la

sua città accogliendo 15 comuni,

riservando loro una o più giornate

per esporre il meglio del meglio in

alcuni locali ameni, a disposizione

dei turisti. Un successo.

Un successo, innanzitutto, perché

un numero impressionate di va-

canzieri, come dicevamo, ha po-

tuto conoscere i nostri prodotti. Più

che conosciuti, li hanno assaporati

e divorati i milanesi e i bergama-

schi, gli aquilani e i veronesi, ma

anche gli svizzeri e gli olandesi, gli

inglesi e i francesi. Non è manca-

to qualche statunitense e qualche

russo. Evviva, siamo globali..

In secondo luogo, il successo è ve-

nuto anche dal fatto che i munici-

pi hanno trovato in Fermo, ancora

una volta, una città aperta, capa-

ce di sostenere le altrui iniziative,

senza nessun arroccamento, anzi,

una città spalancata al territorio.

Un capolavoro, dr Di Ruscio! Che

ha avuto un momento significativo

nella grande cena dell'otto luglio

al Porto di Porto San Giorgio, al

ristorante-trattoria L'Ancora. Tema

della serata “Assaggia il Fermano-

Incontri con il vino ed il cibo del

territorio”. Una cena come tan-

te? Macché, una festa, un visibilio

di piatti che ogni comune aveva

preparato, un confronto tra identi-

tà, una dialettica di sughi, di carni,

di paste. A tavola, comodi, intorno

a tavoli rotondi e apparecchiati

in modo impeccabile, sedevano

sindaci, imprenditori, opinion lea-

ders, giornalisti, gente del lavoro.

Non una grande abbuffata, ma

una conoscenza più approfondita

di Adolfo Leoni

...Eventi

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del cibo marchigiano, anzi no, fermano. Anche l'As-

sociazione Italiana Sommelier ha fatto la sua figura

con un vero e proprio banco d'assaggio dei vini lo-

cali. Poi, l' “Assaggia il Fermano” s'è spostato ai Ma-

gazzini romani, a due passi da piazza del popolo a

Fermo, con giornate cadenzate e riservate a Monte

Urano (10 luglio), Ponzano di Fermo (11), Servigliano

(17), Ortezzano (18), Campofilone (24), Monte Giber-

to (25), Montegiorgio (31), eppoi Falerone (1 agosto),

comuni del circuito delle erbe (7-8-9), Lapedona (21),

Altidona (28 agosto).

Saturnino Di Ruscio gongola. La gente ha condiviso,

gli sono arrivati molti messaggi di congratulazioni,

l'idea è piaciuta. L'idea è passata.

La rifarete? “Certo, che la rifaremo - risponde - squa-

dra che vince non si cambia”. Che cosa è diventata

la sua città? “Per due mesi si è trasformata in una sor-

ta di ambasciata a disposizione dei centri minori”.

E l'ambasceria ha funzionato.

Nel 2003 è stata attivata a Fermo la Delegazione dell’Associazione Italiana Sommelier. L’Associa-zione non ha scopi di lucro e rispetta appieno lo statuto dell’Associazione Italiana che ha sede a Milano. Le otto delegazioni regionali sparse in

tutte le Marche hanno soprattutto l’obiettivo della formazio-ne professionale del personale addetto al servizio del vino nei locali pubblici.A questo, negli ultimi anni, si è aggiunto un crescente inte-resse che ruota intorno al mondo dell’Enogastronomia e del vino in particolare, interesse legato alla ricerca costante di una maggiore e migliore qualità della vita e palesemente del mangiare e del bere. Questo fenomeno è riscontrabile andando a sbirciare l’elenco delle persone che frequenta-no i corsi, dove si evince che la maggioranza partecipa non per imparare la professione, ma per apprendere le tecniche da utilizzare per individuare la reale qualità dei nettari d’uva che il mercato propone o capire meglio le sensazioni gusto olfattive che possono invadere i nostri sensi assaggiando una preparazione gastronomica.Questo è uno dei motivi che ha spinto il Consiglio Regionale AIS all’apertura della Delegazione territoriale del fermano, per essere più capillari e vicini alle persone che desiderano conoscere il vino.L’AIS ha anche il compito di sostenere i produttori che risie-dono sul territorio con attività promozionali, con il proposito di far conoscere le realtà ottenute nella nostra nuova provin-cia. A Fermo, e dintorni, negli ultimi anni hanno visto i natali numerose piccole e medie Aziende Agricole, quasi tutte a conduzione famigliare, che si affiancano alle storiche Azien-de: ed ecco l’intervento dell’AIS, fare il possibile per far cono-scere i loro prodotti ad un più ampio numero di persone, pre-sentandoli e promozionandoli con le competenze che sono proprie dei sommelier.In questi pochi anni, la Delegazione di Fermo, è riuscita ad ot-tenere diversi ottimi risultati, sia dal punto di vista degli “allie-vi” dei corsi, sia per quanto riguarda la promozione della pro-duzione enologica locale e regionale. Tra i primi è d’obbligo ricordare i successi ottenuti dai corsisti che si sono cimentati nei concorsi di categoria regionali e nazionale, Andrea Leo-ni di Monte Urano, Marco Cinquantini di Montegranaro (Mi-glior Sommelier Junior 2006); Marta Trobbiani di Sant’Elpidio a Mare ed in ultimo la bravissima Beatrice Di Giulio di Fer-mo (Miglior Sommelier Junior 2008), nonché l’inserimento nel mondo del lavoro con l’apice toccato da Giovanni Ripani di Altidona che attualmente ricopre il ruolo di Chef Sommelier all’Hotel Ritz di Londra. Per quando riguarda la promozione basta ricordare il gran-dissimo bacino di “Tipicità, festival dei prodotti tipici delle Marche”, dove la Delegazione di Fermo gestisce uno stand atto a promozionare i vini di tutte le Marche, con degusta-zioni guidate e spiegazioni delle varie tipologie da parte dei Sommelier presenti, e poi cene, degustazioni, visite in canti-ne, e tantissimo ancora con l’unico scopo di far conoscere il vino marchigiano. Nelle Marche, si sono toccati i 1800 iscritti e di questi circa 250 abitano nel territorio della nuova provincia fermana, tutti vo-gliosi di scoprire, assaggiare ed incoraggiare i nostri produt-tori a migliorarsi per sfondare un mercato sempre più difficile e concorrenziale.

ASSOCIAZIONES O M M E L I E RAIS Marche

Sommelier Prof. Stefano Isidori

Delegazione di Fermo ePorto San Giorgio

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Ecco perché ritengo che “l’abito” sia di fondamen-tale importanza soprat-tutto per quei locali che

vogliono, anzi pretendono, di es-sere nominati “Ristoranti”.Purtroppo, andando in giro per il territorio, ci si rende conto che l’uniforme di lavoro non è più così consueta, soprattutto nei locali di medio livello, che siano essi pizze-rie, agriturismi, bar, gelaterie o, e lo sottolineo, ristoranti.Come detto, il primo impatto che l’avventore ha del locale è con il personale di servizio, che dovreb-be, giocoforza, essere immedia-tamente riconoscibile, sia come persona, sia per il ruolo che rive-ste: Maître d’Hotel, Chef de rang, Sommelier o commis (appren-dista), perché l’uniforme aiuta il cliente ad identificare la qualifica e riconoscere chi gli sta dando il benvenuto.Se siamo all’aeroporto e abbiamo bisogno di informazioni o chiari-menti, cerchiamo il personale di servizio, facilmente riconoscibile dalla “divisa” e ci rivolgiamo di-rettamente a lui. Allo stesso modo dovrebbe avvenire al ristorante: il cliente deve essere sicuro, all’in-gresso, di rivolgersi al personale giusto, ma anche in sala durante la cena o al bar per l’aperitivo, la divisa rende riconoscibili anche per il ruolo che si riveste all’interno della brigata.Oltremodo è sicuro che con la di-visa “sbagliata” si possa mettere a disagio il cliente, che potreb-be sentirsi in “imbarazzo” o dover confrontare il proprio vestito con quello del personale di servizio.È vero che siamo in un periodo di grandi mutamenti, che confer-mano che la “classica divisa”, sia essa di sala o di cucina o quel-la del front office, è tramontata, sempre più sostituita da abiti va-riopinti; ma rimangono un paio di regole, anche formali, che do-vrebbero essere tenute in consi-derazione. Prima: un’uniforme di lavoro, anche non convenziona-

le, ma identica per il personale di ciascuna categoria. Seconda, ma sicuramente incisiva nella sua im-portanza ed indipendentemente dal tipo di locale: indossare vestiti sempre “freschi” e “puliti”, evitare di mostrarsi al cliente con un abito sporco, sgualcito, usato per l’inte-ra giornata (o giorno prima), di-mostrando di dedicare poco tem-po a curare la propria immagine, che dovrebbe essere “in servizio” ed “al servizio” di chi frequenta il locale.Oltremodo “staccare” un attimo per cambiarsi, permette al fisico e alla mente di riposarsi, di ritrova-re freschezza e motivazione, per riprendere la “battaglia” del ser-vizio a favore del cliente.A questo proposito, mi ritornano in mente gli albori della mia carriera in sala ristorante: nei momenti de-dicati alle pulizie e al riordino del ristorante, si indossava la mitica “vergatina”, giacca a strisce rosse e blu, che aveva un duplice obiet-tivo quello di evitare di stropiccia-re l’immacolata giacca bianca, e quello di mandare un messaggio, chiaro, preciso ed inequivocabile senza possibilità d’errore da parte del cliente, detto dalla stessa “ver-gatina”: il ristorante era chiuso!!! Ma a noi del personale permette-va anche di avere alcuni momenti liberi da dedicare alla cura della nostra immagine e di indossare abiti freschi e sicuramente intonsi prima dell’arrivo dei clienti.In tutti i testi adottati negli Istituti Alberghieri c’è un intero capitolo dedicato alla divisa e alla cura della persona e, ve lo posso giura-re, tutti gli insegnanti tecnico pra-tici puntualizzano questo aspetto della vita professionale, analiz-zandolo nei minimi dettagli (dalla giacca ai calzini, dalle scarpe al papillon, fino alle norme igieniche più elementari tipo capelli corti o legati, barba rasata, niente pier-cing o tatuaggi), fino ad esclude-re gli studenti “trasandati” dalle esercitazioni di laboratorio, per cercare di far comprendere loro

oltre che il corretto comporta-mento professionale anche le vi-genti norme legislative.Ma anche in questo caso, ci sono abitudini ormai consolidate, che rendono inutile il lavoro dei do-cente: quando i giovani allievi si recano nei “presunti locali” - che vogliono classificarsi di ristorazio-ne - vedono annullati tutti gli am-monimenti del proprio professore (camerieri senza divisa, barbe incolte e capelli lunghi, infradito invece che scarpe, shorts invece che pantaloni, e mi fermo qui!).

Penso che si sia arrivati al limite del troppo snobismo, cuochi con giacca nera, camerieri con gilet sgargianti e camice variopinte, barlady più succinte che vestite … certo tutto questo fa “marketing”, fa accorrere decine di clienti at-tratti più dall’occhio che dai pro-fumi o sapori dei piatti e delle be-vande. Ma il canale “Ho.Re.Ca.”, acronimo di Hotel Restaurant e Ca-tering, è un’altra cosa: la sobrietà, l’aspetto pulito ed ordinato, sono di rigore se ci si vuol sentire Risto-ratori con la “R” maiuscola. Vuoi mettere il Barman con la sua candida giacca bianca o il Maître con un’impeccabile smoking, così il Sommelier con spencer e grem-biule nero o lo Chef di cucina con il lungo cappello bianco e i pan-taloni sale e pepe?!Speriamo che in futuro indossare una corretta uniforme assuma le stessa importanza della cura nella selezione delle giuste materie pri-me. Tutto ciò per soddisfare sem-pre di più il cliente.

Il “dress code” o codice d’abbi-gliamento, accomuna una cate-goria di persone, creando un’im-magine di riferimento al proprio essere, al proprio ruolo. Gli indu-menti trasmettono messaggi so-ciali che identificano la persona che li indossa sia dal punto di vi-sta di identità culturale sia per ciò che riguarda il gruppo sociale o di lavoro!

L’abito fa il monaco? Al ristorante “SI”Anzi, si potrebbe affermare che la divisa è il “biglietto da visita” del locale, è “l’immagine” che il gestore vuol dare al suo servizio, è il “primo impatto” che il cliente ha del ristorante.

di Stefano Isidori

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...Cucina dal mondo ...La cucina dei piccoli

Noi continuiamole nostre ricettesono proprio belle,gli ingredienti eccoli qualeggiamoli con curiosità.

Ingredienti (4 persone)- 100 g di ricotta- 100 g di zucchero (o di miele)- 200 g di frutta fresca

EsecuzioneIn una terrina mescola bene con una forchetta la ricotta e lo zucchero fino ad ottenere una crema morbida. Pulisci la frutta e tagliala a pezzettini (con l'aiuto di un adulto), poi falla frullare. Uniscila alla ricotta fino ad ottenere una crema omogenea, tieni in freezer qualce ora e buon appetito.

Il gelato è buono da mangiare e soprattutto è facile da fare: se la passione ci metterete credetemi ci riuscirete!

d i L u d o v i c a B e n i g n i

Gelato alla frutta frescaIl termine russo sup, letteralmen-te zuppa, è molto simile a quel-lo tedesco suppe. Entrambi de-rivano dal francese soupe. Dal

francese proviene anche bouillon, il vocabolo russo per brodo. La par-ticolarità delle zuppe russe va ri-cercata nella vecchia stufa russa e nel duro lavoro sui campi. La zuppa viene infatti preparata in tegami di terracotta come scorta di cibo per alcuni giorni. Era abbastanza simi-le all’eintopf, il classico minestrone tedesco. La cottura a fuoco lento dava a un alimento così popolare e povero un gusto assolutamente uni-co. La zuppa russa classica è, senza dubbio, lo sci, una minestra a base di cavoli, di cui esistono più varian-ti nelle numerose regione dell’este-so continente russo. Fondamentale, non solo per lo sci ma anche per le altre zuppe tipiche come il borsc e la soljanka, è l’estrema densità. una volta il termine russo per “zuppa” era pochlebka con il quale, in realtà si designava qualsiasi sorta di pietanza liquida. Poi, con il passare dei secoli, in particolar modo durante il regno dello zar Pietro I decisamente proiet-tato verso l’Occidente, venne intro-dotto il vocabolo sup che, all’inizio, si riferiva solo alle minestre di origine straniera. Malgrado ciò, persino con l’arrivo dei fornelli nelle case, si con-tinuò come si usava in passato a pre-parare la zuppa in pentole di coccio che poi fungevano anche da reci-piente servire in tavola la minestra. Un tempo, in Russia, si mangiava solo con cucchiai di legno. Ce n’erano di tanti tipi, decorati o con il manico di legno intagliato. Attualmente i più diffusi sono quelli prodotti a Cho-chloma, esportati persino all’estero. Date le origini contadine degli artisti, i motivi ornamentali erano foglie, fio-ri, bacche e steli. Inizialmente ucha anche era il termine per designare in genere le zuppe. Oggi ormai è noto a tutti, in particolar modo agli intenditori, il suo unico significato. L’ucha, dunque, altro non è che la zuppa di pesce. Anche se nella cucina russa esistono infatti diverse ricette, chiamate appunto rybnyj sup, letteralmente zuppa di pesce. Ma l’ucha ha qualcosa di particola-re che la rende diversa da tutte le altre, persino dalle migliori zuppe, come la straordinaria bouillabaisse che si può gustare nelle taverne del porto di Marsiglia!

La triplice ucha e le altre zuppe

Triplice ucha

Ingredienti:per preparare una triplice ucha sono necessari almeno sette tipi di pesci.Se ho invitato 6-8 ospiti a man-giare l’ucha, mi procuro dai pescatori: 1 gran lucioperca, 2 piccoli lucci e 4 pesci persi-ci; il tutto costituisce la parte nobile della zuppa. Prima di passare alla cottura di questi pesci nobili, mettere in pento-la 1-2 kg di pesci piccoli come pesci dei percidi, bottatrici, scardole, leucischi rossi. Ver-sare 5 l d’acqua aggiungendo un mazzetto di aromi per zup-pa, granelli di pepe, di pimen-to, di senape, bacche di gine-pro, 2 foglie di alloro, aneto e far cuocere a fuoco lento per circa 2 ore fino a ottenere un brodetto denso. Terminata la prima fase di preparazione, filtrare il bro-detto. Dopo aver levato i filetti dei pesci nobili, avviare la seconda fase di preparazione.

Esecuzione:versare nel brodetto filtrato altri 2 l d’acqua aggiungendo le teste, le code e le lische dei pesci nobili, un secondo mazzetto di aromi, aneto, 2 cipolle, 2 spicchi d’aglio e le altre spezie e far cuocere ancora per circa 2 ore. Aggiustare di sale e di pepe. Filtrare il nuovo brodo che dovrà es-sere limpido e privi di ogni pezzettino di pesce. Mi raccomando perché è proprio questo che fa la differenza tra l’ ucha e le altre zuppe di pesce!

L’aneto è uno degli aromi più importanti per le zuppe di pe-sce. Nella cucina russa questa spezia ha una funzione de-terminante. Oltre al sale e al pepe nero, originariamente importato da Bisanzio, è l’aroma di cui si fa maggior uso in gastronomia. In Russia non esiste insalata o zuppa senza aneto.

Chiusa la piccola parentesi, torniamo alla nostra triplice zuppa di pe-sce e passiamo alla terza fase di preparazione: oltre al brodo e i filetti di pesce sminuzzati, sono necessari 1 kg di patate pelate e tagliate in quattro pezzi, 6 carote affettate, 4 cipolle piccole, 2 peperoncini a cilie-gia, dell’erba cipollina, 4 cucchiai di aneto tritato, pepe nero macinato e sale. Mettere la pentola con il brodo sul fuoco, portarlo a ebollizione e poi aggiungere le carote, le patate, le cipolle intere e, nel caso i pe-peroncini a ciliegia. Dopo 20 minuti abbassare la fiamma in modo che l’ucha bolla appena e le patate non si scuociano. Aggiungere i filetti di pesce e, dopo 5 minuti anche l’erba cipollina. Far cuocere altri 5 minuti e aggiustare definitivamente con pepe macinato e sale.

Signori, l’ucha è pronta! La vodka è fredda, i pirozki sono caldi. Perché tutto sia a regola d’arte, la zuppa andrebbe servita nelle tipiche scodel-le colorate di legno con i rispettivi cucchiai di legno. Una volta riempite le scodelle, bisogna spargere sull’ucha un cucchiaino di triti aneto fre-sco. Questa è la vera triplice ucha, quella preparata dai cacciatori e dai pescatori siberiani quando vogliono far colpo su qualcuno o vincere il primo premio in una competizione gastronomica.

Mangiare alla russada "Segreti del la cucina russa" di Markus Wol f a cura di Orietta Foresi

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...Diario di bordo

Il nostro Diario inizia al Me-eting di Rimini. Giornata di apertura, domenica 24 ago-sto. Paolo Massobrio è il Pre-

sidente Nazionale del Club di Pa-pillon spetta a lui presentare il libro Adesso, 365 giorni da vivere con gusto. Lo ha scritto insieme ad un gruppo di amici e tantissimi altri gli sono davanti in platea per cono-scere questo nuovo gioielloCosa dice Paolo? “Il volume, scrit-to per riportare il gusto dentro la famiglia italiana, è un libro con belle immagini e quadri d’auto-re, e segue la scansione quoti-diana di un'agenda, dove ogni giorno vengono pubblicate “pil-lole” conoscitive per stare bene in famiglia e nella propria casa. Un vero e proprio scrigno di infor-mazioni, curiosità e segreti che ruotano intorno alla casa, alla cu-

Continuiamo la navigazione per dare un'occhiata ai menù presenti sulle ta-vole di Alèxandros. Il Re dei Macedoni, raccontato da Va-

lerio Massimo Manfredi, non trascurava il cibo. Ed ecco quel che mangiava insieme ai suoi ami-ci e comandanti Tolomeo, Eumene, Filota, Cra-tero, Leonnato, Lisimaco, Seleuco, Perdicca.

Dopo la presentazione di Alessandro all'esercito macedone, da parte di re Filippo, segue un ban-chetto a base di spiedi di pernice, tordi, galli di montagna, anatre e prelibati fagiani, vitello ar-rostito e ceste di pane fragrante, noci sgusciate e uova di anatra bollite.

Tranci di sgombro e di pesce spada allo spie-do addolciscono la vita del principe Alessandro fuggito in Epiro per sfuggire all'ira di suo padre.

Iniziata la campagna d'Asia, dopo la morte di re Filippo, Alèxandros fa colazione con il “Boccale

cina, al vivere insieme e ricorda, con i suoi consigli, l’inestimabile valore della saggezza di un tem-po quando la vita familiare era vissuta con un’altra attenzione e i ritmi erano meno frenetici di oggi”. Ma quali sono le novità di questa seconda edizione? “Nel volume, suddiviso in dodici mesi, - è sempre Massobrio a parlare - trovano spa-zio i trucchi di economia domesti-ca ed i suggerimenti educativi per i bambini di Donata Carmo Fer-rari, i consigli sull'arredamento a seconda delle stagioni di Claudia Ferraresi, le leggende sugli alimen-ti per i bambini di Paola Gula. E poi alcune pillole su come allevare un cane scritte da Andrea Volto-lini, notizie in tema di orto, giardi-naggio e piante d'appartamento di Maurizio Lega, segreti e pratici consigli per preparare il pane in

casa secondo Fausto Rivola, e per le birre fai da te di Davide Tessaro. Tornano, immancabili, le ricette di Giovanna Ruo Berchera e gli abbinamenti con il vino a cura di Paolo Massobrio e Marco Gat-ti, i consigli sul bon ton a cura di Barbara Ronchi della Rocca, le pillole sull'universo di Elena Notari e gli indispensabili suggerimen-ti per una corretta alimentazio-ne del dietologo Primo Vercilli. Tra le pagine di Adesso si parla an-cora di sicurezza alimentare con Gabriele Crescioli, delle magie della tavola con il Mago Foie Gras, mentre si possono ammirare i qua-dri della pittrice milanese Maria Teresa Carbonato, da cui è tratta la copertina, oltre alle vignette, una per mese, di Guido Clericetti e i racconti di Luca Doninelli e di altri autori amici di Papillon”. Capito?

di Nettuno” preparato dalla fedele Leptine, ovve-rosia uova crude sbattute con formaggio, farina, miele e vino.

A Lisippo, il grande scultore che deve approntargli una statua, il re dei Macedoni offre una cena a base di pesce arrosto aromatizato con rosmarino e olive salate, legumi, verdure e pane fresco dal forno.

Memnone è il comandante mercenario greco, che più darà filo da torcere ai macedoni. Fuggia-sco, verrà raggiunto dalla stupenda moglie Barsine mentre cena con assaggi di formaggio, uova sode di anatra, minestra di fave, ceci e piselli.

La regina di Caria, Ada, adotta Alessandro e fe-steggia l'avvenimento con ciambelle ed uva pas-sa, crostate, paste sfoglie con il miele, panini farciti con uovo sbattuto, farina, e mosto cotto.

Alessandro, mentre studia un piano per fermare Mem-none e la progettata invasione della Grecia da parte dei Persiani, cena con pesce arrosto e legumi.Tanto di cappello.

Adolfo Leoni

Il Gusto... 32

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