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Il Gusto... della Vita - Giugno 2010

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Tradizione & Cultura della Buona Tavola - Rivista ufficiale dell'Associazione Cuochi della Provincia di Fermo

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Di solito guardo la televisione di sghimbescio. Giusto per cogliere qual-che fatto d’ordinaria follia ancora sco-nosciuto. Tre settimane fa è accaduto però qualcosa di diverso. A distanza di pochi giorni, prima il Tg5 poi il Tg1 hanno parlato dei “piatti della nonna”. Non solo, anche quotidia-ni e periodici nazionali sono intervenu-ti sullo stesso argomento lanciando un “Allarme a tavola”. Lo ha fatto per pri-ma la rivista Le vie del Gusto. Questo il concetto: otto italiani su dieci temono che “la sapienza culinaria della nonna” venga cancellata completamente. “Se ci fosse un Wwf della gastronomia”, scrive un altro giornale, “il panda sareb-be lei, una bella signora con le rughe, il grembiule a colori e il mestolo di legno in mano”. La nonna, insomma, quella brava massaia di cui noi, ormai con i capelli bianchi, ricordiamo ancora i gu-stosi “menù”. Ma i giovani? Se i media nazionali sono scesi in campo, vuol dire che l’argomento tira. Allora, vorrei rimettere un po’ le cose a posto e rivendicare le primoge-niture. Sono anni che gli amici cuochi del Fermano si battono per non perdere il patrimonio delle ricette delle donne di casa. Da quattro, l’Associazione Cuo-chi propone un’azione di contrasto alla dimenticanza. Voglio ricordare le due serate indimenticabili di Magliano di Tenna, con quindici nonne e nonni pro-tagonisti in cucina per sfornare i piatti “antichi” e … scordati; e voglio ricorda-re anche la serata fermana al ristorante “Mario”, con altrettanti attori. Una festa! Di profumi, di sapori, di buon stare a ta-vola. Il progetto, che sfocerà in una proposta di menù per i ristoranti del Fer-mano, sta andando avanti. Procede legandosi strettamente alla dieta me-diterranea e alla sua “capitale”. Cin-quant’anni fa Montegiorgio fu uno dei sette paesi dove una commissione di studi internazionale approfondì la con-

nessione tra alimentazione e salute. Tra i ricercatori c’era anche il prof. Flaminio Fidanza dell’università di Perugia. Dieta mediterranea e piatti della nonna sa-ranno al centro di una serie d’iniziative nella media valle del Tenna. “Sarebbe un peccato perdere la cucina della nonna”, ha dichiarato giorni fa la grande star dei fornelli Bene-detta Parodi. Dunque, ricapitolando: c’è vo-glia dei piatti semplici di un tempo, c’è un’Associazione (i nostri Cuochi, ma an-che il Club di Papillon Marche Sud) che ne sposa la causa, ci sono alcuni enti locali che appoggiano l’iniziativa. Ma non basta. Occorre che i ristoranti ( e/o le locande e/o le trattorie e/o le osterie) siano propensi a sposare e proporre il menù nostrano. Ed occorre che qualcu-no a casa, qualcuno di più “moderno”, torni a riproporre un pasto tradiziona-le. Eppure non basterà ancora. Perché manca l’ultimo e forse più significativo elemento: la festa. In una recente indagine nazio-nale, la metà degli intervistati racconta “che una volta i pranzi e cene coi pa-renti erano un’abitudine, per un terzo un appuntamento fisso ogni domenica; oggi, quella stessa metà per ritrovarsi, al massimo va al ristorante. Ma non è la stessa cosa…”. È la festa che allora va riscoper-ta, con quel gusto di ritrovarsi, di sede-re a tavola insieme, di alzare i calici e brindare alla speranza, di rendere “sa-cro” un momento di tempo inserito nel tempo, di dargli spessore. Di mangiare i frutti della terra di stagione, di rendere “piatto” anche il prodotto più semplice. Di ascoltare le campane, che rintocca-no il ripetersi delle ore, del tempo che “torna”, e le bande di paese, che san-no di gaiezza. Il vino, che scorre genero-so, e la birra, altrettanto. Santificare un giorno - quello di festa - e tornare poi, rigenerati, al lavoro. Che ve ne pare?

Quella festa a lungo attesa…

1 della vita

...Editoriale del

Adolfo Leoni

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2 il Gusto...

...Sommario

Direttore ResponsabileAdolfo Leoni

Progetto graficoSara Ricci

Redazione graficaStudium Design

[email protected]

FotografoAngelo Cecchetti

Hanno collaboratoGiuseppe Barbabella

Marco CavalieriGino Girolomoni

Amedeo GrilliStefano Isidori

Daniele MalvestitiMauro Nucci

Alessandro PazzagliaMassimiliano PetrelliPierpaolo Piermarini

Mery PieragostiniMeri Ruggeri

Luciano ScafàFabio Scatasta

Francesco SeghettiLeonardo Seghetti

Edito daAss. "Il Gusto... della vita"

sede legaleMontegiorgio (FM)

via Cestoni, 39sede operativaMorrovalle (MC)via Carducci, 12 - tel. 0733 866909

P.Iva e C.F. 01979520440

[email protected]

StampaArtelito - Camerino

La rivista è stampata su carta

naturale ed ecologica

n. 10 giugno 2010inserito nel Registro deiGiornali e dei Periodici del Tribunale di Fermo il

21/10/2008

Aneto

Pepe nero selvaticodel Madagascar

Fieno Greco

Peperoncino

Semi di lino

1...Editoriale del Gusto.

3...Una sana e corretta alimentazione.

4...L’obesità ed il sovrappeso non nascono a tavola. 7...Le Fermanelle, olive nere varietà Piantone di Falerone - ripiene. 9...Cenni sulla Celiachia.

11...Grandi chef nel Fermano

12...Libri di cucina... che passione!

14...Quale olio per la frittura?

16...Il menù di Pierpaolo Piermarini.

19...Sognando le vecchie osterie e i piatti di stagione.

21...Ospitalità. Tanto se ne parla. Poco se ne sa. La bellezza della tavola. Nei monasteri.

23...Quando lo spirito della terra parla all'anima e al...palato. Il caso Morrecine

24...Il cibo ed il banchetto nel Medioevo

26...Parliamo di... risorse umane

Forse ho fatto centro, anzi no.

28...Formazione professionale.

29...Comunità del cibo Olio del Piantone di Falerone.

30...Il Club di Papillon, ovvero il racconto delle cose buone.

31...L'ultimo dei nostri padri: Tero Fattori.

32...Diario di bordo.

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3 della vita

di Alessandro Pazzaglia

...Professione cuoco

Sono convinto - e già l’ho espresso in parte nella puntata di marzo scorso - che la serenità inte-riore, la gioia di vivere, l’assaporare il gusto… della vita sana, siano le risposte giuste, le risposte valide per fronteggiare le devianze e le tante problematiche che aggrovigliano il nostro mondo, specie da qualche anno in qua. Sembra che il trend al peg-gioramento sia un dato ineluttabile, che non possa arginarsi. Non la penso così. Una soluzione c’è sempre. Basta volerla trovare. Torno al mio settore e a quello un po’ più ampio del turismo che lo ricomprende. Già trent’anni fa noi come Associazione cuochi sostene-vamo che la promozione del territorio andava realizzata considerando tutte le sue “eccellenze”, non solo quelle enogastronomiche. E lo dicevo io che faccio proprio il cuoco e che avrei avuto tutto l’interesse che si puntasse l’obiettivo solo sul mio campo. Oggi, mi ritrovo che tutti dicono quella stessa cosa. Bene! La convinzione s’è diffusa, abbiamo creato proseliti… Ora, non vorrei però che passasse troppo tempo perché dalle parole ormai condivise si giungesse ai fatti, alla concretezza. Sarebbero dolori, pagheremmo un costo molto, molto salato. Il mio è un invito a far presto, e ad operare insieme, senza esclusioni che sarebbe dannoso per il territorio

Una SANA e CORRETTA alimentazione

compiere. E con un’azione di co-raggio mirata a valorizzare l’esisten-te, tutto l’esistente meritorio. Come Associazione Cuochi della Provincia di Fermo siamo a disposizione di chi voglia coinvolgerci in progetti più ampi del settore nostro di riferimento. Per quel che concerne il nostro campo, insisto su un trinomio fonda-mentale: formazione-informazione-dimostrazione.

Per ultimo, mi ripeto sapendo di ripetermi. Ma ho sempre dinanzi la frase del mio grande nonno, una mitica frase che può sembrare una filastrocca, ma che racchiude un concetto di vita sana ineludibile. Parla del cibo, ma parla di un mondo ordinato, di un modo per restare sani e quindi lieti, e quindi sereni. La ripeto in dialetto come l’ap-presi: “colazio’ falla a bon’ore, pranzu quanno è ore, merenna non tardà sennò non poi cenà”. Colazione falla di buon’ora, il pranzo quando è l’ora stabilita, fai poi merenda al momento giusto, in modo che la cena non sarà pesante. È un suggerimento profetico della saggezza antica. Sulle mie personali interpreta-zioni della filastrocca mi soffermerò nel prossimo numero. Intanto spero che si faccia qualcosa per le giovani generazioni. Hanno bisogno di risco-prire la “gioia della buona tavola”.A presto.

II PUNTATA

Continuo a scavare, come quei minatori e quei cercatori d’oro che affondano le mani nella melma per trovare la pepita.

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4 il Gusto...

...Associazione Cuochi Fermo

Il 24 febbraio 2010 il Ristodance Baladì di Torre San Patrizio ha ospita-to l’incontro dal titolo: “L’OBESITÀ ED IL SOVRAPPESO NON NASCONO A TAVO-LA” tenuto dal Dott. Massimiliano Pe-trelli, docente di Dietetica e Nutrizione Clinica dell’Azienda Ospedaliera - Uni-versitaria Ospedale Riuniti di Ancona. A testimoniare la grande attua-lità del tema in questione, un uditorio affollato tra cui il Prefetto di Fermo, Dott.ssa Emilia Zarrilli, il Presidente del-la provincia Fabrizio Cesetti, Graziano di Battista, Presidente della Camera di Commercio, nonché numerosi sin-

daci ed esponenti delle Amministra-zioni locali. Il Dott. Petrelli, con uno stile ac-cattivante ed efficace, ha delinea-to i tratti fondamentali dell’evoluzione dell’alimentazione giungendo alla con-clusione che l’obesità non è solo ed esclusivamente addebitabile a cattive scelte alimentari ma anche ad una ridu-zione esponenziale dell’attività fisica del soggetto che di conseguenza brucia meno calorie di quelle che assimila. Ba-sterebbero, infatti, solo venti minuti al giorno di attività fisica per mantenersi in forma!

"L’obesità ed il sovrappeso non nascono a tavola"

F.I.C. Ass.ne Cuochi della Provincia di Fermo via Legnano, 263018 Porto Sant’Elpidio tel. (+39) 330 650208

I rappresentanti dell'Associazione Cuochi Fermo e Il Prefetto della provincia di Fermo Dott.ssa Emilia Zarrilli

Alessandro Pazzaglia e il titolare del ristodance Baladì Franco Santoni

Dr. Massimiliano PetrelliSOD Dietetica e Nutrizione Clinica.Azienda Ospedaliero-UniversitariaOspedali Riuniti di Ancona

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5 della vita

...Associazione Cuochi Fermo

"L’obesità ed il sovrappeso non nascono a tavola"

F.I.C. Ass.ne Cuochi della Provincia di Fermo via Legnano, 263018 Porto Sant’Elpidio tel. (+39) 330 650208

Dopo un interessante dibat-tito, è seguita una deliziosa cena a base di prodotti tipici della tradi-zione contadina: pecorino, roveja e zucca. Riportiamo l'elenco dei piatti degustati:Lonzino e Pecorino con BruschettaSformatino di Zucca e Ricottasu Farecchata di Roveja

Risotto con Rosmarino e Pecorino di FossaCampofiloni con ragù di carne biancaCoscio di vitello al fornoe patatine del contadinoCalzone ripieno con vino cotto Doveroso un ringraziamen-to agli sponsor della serata: Caffe Segafredo Zanetti, Antica Pasta, Cantina Centanni, Sabelli, Marr spa,

Azienda Agricola M.G., Soc. Agrico-la SS, Azienda Agricola Lumavite. La serata è stata anche oc-casione, per lo scrittore Emanuele Properzi, di presentare il suo libro "Apologia del piano B", il romanzo inedito più letto nel 2009.

Emanuele Properzi e il tavolo delle autorità rappresentanti della provincia di Fermo

Intervento del Sindaco di Torre San Patrizio Giuseppe BarbabellaIntervento del Prefetto della provincia di Fermo Dott.ssa Emilia Zarrilli

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...Le Fermanelle

Una breve premessa per dire come siamo arri-vati a “Le Fermanelle”. Nella cultura della professione cuoco, oltre agli ingredienti storici quali la passione e lo spirito di sacrificio, non può di certo mancare una positiva tendenza alla continua ricerca e innovazione. Componente fondamentale per una costante cresci-ta professionale. Ed allora da anni ci domandavamo: “ma il frutto dal quale si ricava il nostro meraviglioso olio extravergine di oliva si può utilizzare solo a tal fine?” La risposta è NO, anche perché alcune tradizioni locali ci dimostrano quanto sia flessibile nell'utilizzo, questo pregiato dono della natura. Con questa domanda sono cominciate (grazie all'impegno e all'abnegazio-ne di una piccola équipe dell'Associazione Cuochi di Fermo) una serie di prove per individuare tra le nostre cultivar quella che, abbinata alle relative farcie, esal-tasse maggiormante il prodotto finito. Abbiamo infine deciso di utilizzare l'oliva nera varietà Piantone di Fa-lerone farcendola con ripieno di polpa di agnello (le parti meno nobili), per i menù a base di carne e con pesce azzurro (pesce povero), per i menù a base di pesce. Le Fermanelle sono ottime da accompagnare ai nostri fritti tradizionali come pure per importanti stuz-zichini e aperitivi. Un cammino lungo, costellato da cocenti de-lusioni ma anche da commenti e suggerimenti positivi da parte di platee prestigiose. Presentammo Le Ferma-nelle alla B.I.T. di Milano 2007, al Salone Internazionale

Le FermanelleOlive nere varietà Piantone di Falerone - ripiene

OLIVE FERMANELLE CON RIPIENO DI CARNE

INGREDIENTI per circa 2 kg di olive farcite:- 1kg di olive nere (Piantone di Falerone) in salamoia- 1kg di polpa di agnello (le parti meno nobili) I.G.P. Marchigiano- una carota, una costa di sedano, una cipolla, uno spicchio d'aglio, una foglia d'alloro, sale, pepe- 1 dl di brandy- cannella- scorza grattugiata di limone- 40 gr di pecorino stagionato- 12 uova intere- farina- pangrattato- olio extravergine di oliva per friggere.

PROCEDIMENTO: In una casseruola rosolare con un filo d'olio a fuoco moderato carota, sedano e cipolla tritati, l'aglio in camicia, la foglia di alloro. Aggiungere la carne, salare, pepare e cuocere a fuoco vivace per 5 minuti. Sfumare con il brandy e lasciare evaporare. Abbassare la fiamma e cuocere per circa 1 ora. Quando l'agnello sarà cotto passare al tritacarne (avendo cura di togliere prima, l'aglio, la foglia d'alloro e l'eventuale grasso di cottura) fino ad ottenere una poltiglia fine. Riunire in una ciotola il composto tritato, il pecorino grattugiato, 2 uova intere, un pizzico di cannella, un pizzico di limone grattugiato. Ripassare il composto al tritacarne fa-cendo attenzione che abbia una consistenza omogenea. Iniziare a farcire le olive (precedenemente denoc-ciolate a spirale e messe a scolare) indi passarle nella farina, nell'uovo sbattutto ed infine nel pangrattato. Friggerle in abbondante olio extravergine di oliva a 170° C fino a quando le olive saranno ben dorate.

del Gusto di Torino e in altri importanti eventi. Nel corso degli anni non abbiamo mollato, facendo tesoro dei suggerimenti (a noi piace il confronto che permette di migliorarsi) e visto che “chi ama soffre”, noi accettiamo queste laboriose sfide, perchè amiamo la nostra profes-sione, il nostro territorio ed i suoi splendidi prodotti.

Come coordinatore dell'equipe sperimentale voglio ringraziare quanti hanno collaborato alla nasci-ta de “Le Fermanelle” ed in particolare: Adriano Ber-dini, Walter Testoni, Fabrizio Ferracuti, Paola Ippoliti e Cristina Piazzolla.

Alessandro Pazzaglia

OLIVE FERMANELLE CON RIPIENO DI PESCE

INGREDIENTI per circa 2 kg di olive farcite:- 1kg di olive nere (Piantone di Falerone) in salamoia- 1kg di pesce azzurro (povero) dell'Adriatico- una carota, una costa di sedano, uno spicchio d'aglio, un rametto di rosmarino, maggiorana, sale, pepe- olio extravergine di oliva- scorza grattugiata di limone- vino bianco- 20 gr di pecorino stagionato grattugiato- 12 uova- farina- pangrattato- olio extravergine di oliva per friggere.

PROCEDIMENTO: Pulire ed eviscerare il pesce. Condire il pesce con olio sale e pepe. Disporlo in una teglia da forno. Coprire il corpo con sedano, carota, uno spicchio d'aglio, un rametto di rosmarino e la maggiorana tritati finemente. Completare il condimento con un filo d'olio, del vino bianco e cuocere in forno a 180° per 15 minuti. A cottura ultimata diliscare il pesce, scolare l'even-tuale fondo di cottura e passarlo al tritacarne con le verdure utilizzate per la cottura (togliendo il rosmarino e la maggio-rana) fino ad ottenere una poltiglia fine. Riunire il compo-sto tritato in una ciotola, condire con il limone grattugiato, il pecorino e 2 uova, indi amalgamare fino ad ottenere un composto omogeneo. Farcire le olive (precedenemente denocciolate a spirale e messe a scolare) con la farcia ottenuta, passarle nella farina poi nell'uovo sbattuto ed infine nel pangrattato. Cuocere in abbondante olio extravergine di oliva a 170° C fino a quando le olive saranno ben dorate.

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...Parola di esperto

La celiachia colpisce 1 italia-no su 100-150 persone. I celiaci po-tenzialmente sarebbero quindi 400 mila, ma ne sono stati diagnosticati intorno ai 85 mila. Ogni anno vengo-no effettuate cinque mila nuove dia-gnosi ed ogni anno nascono 2.800 nuovi celiaci, con un incremento an-nuo di circa il 10%.

LA DIAGNOSI DI CELIACHIA Nel soggetto geneticamen-te predisposto l’introduzione di ali-menti contenenti glutine, quali pa-sta, pane, biscotti o anche tracce di farina ricavata da cereali vietati, determina una risposta immunitaria esagerata a livello dell’intestino; ne consegue una infiammazione croni-ca con scomparsa dei villi intestinali. È importante sottolineare che una diagnosi tardiva può causare altre patologie gravi: osteoporosi, infertili-tà, aborti ripetuti, bassa statura, dia-bete mellito, tiroidite autoimmune, alopecia, epilessia e il temutissimo linfoma intestinale. Non sempre la celiachia si presenta in modo chia-ro. Infatti le sue forme cliniche posso-no essere molteplici. La forma tipica ha come sintomatologia diarrea e arresto di crescita (dopo lo svezza-mento), quella atipica si presenta tardivamente con sintomi prevalen-temente extraintestinali (ad esem-pio anemia), quella silente ha come peculiarità l’assenza di sintomi ecla-tanti e quella potenziale (o latente) si evidenzia con esami sierologici positivi ma con biopsia intestinale normale. La diagnosi di celiachia si effettua mediante dosaggi sierolo-gici: gli AGA (anticorpi antigliadina di classe IgA e IgG), gli EMA (anticor-pi antiendomisio di classe IgA). Re-centemente è stato messo a punto un nuovo test per il dosaggio di anti-corpi di classe IgA, gli Anti-transglu-taminasi. Per la diagnosi definitiva di celiachia è però indispensabile una biopsia dell’intestino tenue con il prelievo di un frammento di tessuto

mediante una gastro-duodenosco-pia, dall’esame istologico del quale è possibile determinare l’atrofia dei villi intestinali. Nella maggior parte dei casi, l’intolleranza si evidenzia a distanza di circa qualche mese dall’introduzione del glutine nella dieta (quindi poco dopo lo svezza-mento del lattante), con un quadro clinico caratterizzato da diarrea, vomito, anoressia, irritabilità, ar-resto della crescita o calo ponde-rale. Nelle forme che esordiscono tardivamente, dopo il 2°-3° anno di vita, la sintomatologia gastroenteri-ca è per lo più sfumata e in genere prevalgono altri sintomi, quali defi-cit dell’accrescimento della statura e/o del peso, ritardo dello sviluppo puberale, dolori addominali ricor-renti e anemia ferro carenziale, che non risponde alla somministrazione di ferro per via orale. La celiachia può colpire qualsiasi fascia d’età e spesso nell’età adulta non è presa in considerazione neppure negli am-bienti specialistici. L’intolleranza può comparire più o meno acutamente in un periodo qualsiasi della vita, spesso dopo un evento stressante quale una gravidanza o un interven-to chirurgico o un’infezione intesti-nale. Le manifestazioni cliniche sono assai varie: alcuni soggetti presenta-no un quadro classico di malassorbi-mento con diarrea, perdita di peso e carenze nutritive multiple, altri, invece, riferiscono uno o più sintomi cronici spesso estranei all’appara-to digerente. Sono comuni disturbi quali crampi e formicolii, debolezza muscolare, emorragie, gonfiore alle caviglie, dolori ossei, facilità alle fratture, alterazioni cutanee, afte; molto frequente è l’anemia da ca-renza di ferro. Infine esistono sogget-ti che non lamentano sintomi o nei quali i disturbi sono talmente mode-sti da non richiedere l’intervento del medico; sono diagnosticati solo per-ché nell’ambito familiare c’è un al-tro membro affetto da celiachia. Per

curare la celiachia occorre esclude-re dalla dieta alcuni degli alimenti più comuni, quali pane, pasta, bi-scotti e pizza, ma anche eliminare le più piccole tracce di farina da ogni piatto. Questo implica un forte impegno di educazione alimentare. Infatti l’assunzione di glutine, anche in piccole dosi, può causare danni. La dieta senza glutine, condotta con rigore, è l’unica terapia che garan-tisce al celiaco un perfetto stato di salute.

Dal 2005 i celiaci hanno diritto ad avere un pasto senza glutine nelle mense scolastiche ed ospedaliere e in tutte le mense pubbliche. Il diritto, sancito dall’art. 4 della L.123/05, per-mette ai pazienti celiaci di seguire le attività scolastiche senza limitazioni, e garantisce la corretta dieta duran-te la degenza in ospedale. Alcuni ri-storanti garantiscono la corretta pre-parazione di cibi per celiaci. La dieta senza glutine deve essere osserva-ta rigorosamente e per tutta la vita. I pazienti hanno diritto ai prodotti senza glutine erogati dallo Stato. Il Ministero della Salute aggiorna pe-riodicamente il Registro degli Alimen-ti, l’elenco di tutti i prodotti erogabili che si trovano in tutte le farmacie, in alcuni supermercati e negozi specia-lizzati. Molti di questi prodotti e molti altri appongono sulla confezione il marchio spiga barrata. Un elenco completo dei pro-dotti con il marchio (e di tutti quelli disponibili per chiunque) lo inserisce l’AIC (Associazione Italiana Celiachia) nel Prontuario degli Alimenti, fornito gratuitamente, e poi inviato a casa ad ogni annuale aggiornamento.

Cenni sulla CELIACHIADr. Massimiliano PetrelliSOD Dietetica e Nutrizione Clinica.Azienda Ospedaliero-UniversitariaOspedali Riuniti di Ancona

È difficile parlare della celiachia in una sola pagina, ma cerchiamo di riassumere i punti e i consigli principali. La celiachia è un’intolleranza permanente al glutine, sostanza proteica presente in avena, frumento, farro, kamut, orzo, segale, spelta e triticale.

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Per ricevere via mail gli aggiornamenti sulle attività e iniziative dell' Associazione Cuochi Fermo, scrivete a [email protected] lasciando un vostro recapito mail.

...Associazione Cuochi Fermo

Marcantonio Sagramoso, l’executive chef, il titolato cuoco di altissimo rango è tornato a Fermo, il 19 e 20 aprile scorsi, per una due giorni di grande impatto, per un cor-so di cucina come solo lui, il conte, sa “condire”.

Un’ iniziativa che ha avuto gran successo e una buona rilevan-za pubblica. Tre le soddisfazioni per Alessandro Pazzaglia.

La prima è stata quella di mettere insieme una trentina di colleghi, berrette bianche, con la voglia di continuare ad imparare e confrontarsi.

La seconda, di aver con-sentito la partecipazione anche ad alcuni giovanissimi indicando loro il metodo del seguire i grandi chef.

Grandi chef nel FermanoColpo grosso dell’Associazione Cuochi

La terza, di aver regalato alla Terra Fermana uno dei maggiori pro-tagonisti oggi della cucina interna-zionale.Bisogna dar merito a Sandro di spendersi con estrema passione per questo suo territorio, e a Marcantonio di aver accettato con l’umiltà dei grandi la proposta di rapportarsi con i colleghi della periferia. Se le istitu-zioni pubbliche cogliessero l’aspetto fondamentale di certi eventi: l’impor-tanza della formazione dei più giova-ni, e della formazione continua di chi è già in carriera, dovrebbero sempre di più essere vicine ai promotori.

Il tema del “corso” tenuto nella gran cucina dell’ASITE di Fermo ha riguardato “Le nuove tecniche di conservazione, cottura epresentazione nei buffet di prestigio”.Un trionfo!

F.I.C. Ass.ne Cuochi della Provincia di Fermo via Legnano, 263018 Porto Sant’Elpidio tel. (+39) 330 650208

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12 il Gusto...

...L'archivio in cucina

di Luciano Scafà

Questa voglia di conoscenza vera mi ha, sin da allo-ra, portato a cercare le test imonianze di chi aveva vissuto in una determinata epoca, e a raccogliere

le fonti dirette, tutt i quei test i e l ibri che potevano aiutar-mi formare una mia personale interpretazione.

A ventiquattro anni gest ivo un albergo con mia sorella: grazie a quest'at t ività ebbi modo di interessar-mi in prima persona alla cucina - che peraltro avevo "re-spirato" sin da bambino, giacché avevo sempre osservato mio padre, r istoratore e cuoco di grande esperienza, lavo-rare con perizia e abnegazione insieme a mia madre e mia sorella nel r istorante di famiglia: i l "ristorante Davide di Porto San Giorgio" . Proprio animato da quest’amore trasmessomi da mio padre, anche alla cucina mi avvici-nai come a una vera e propria forma di conoscenza, al la quale iniziai a dedicare molto tempo, proprio ut i l izzando la stessa metodologia della r icerca storica. La svolta arrivò nel 1973 quando ebbi l'occasione di avere un colloquio con la contessa Stel lut i Scala, nobil-donna fermana, e nostra assidua cl iente. Alla mia doman-da se avesse mai avuto dei l ibri o degli appunti di cucina dei suoi genitori o avi, la contessa mi disse di r icorda-re che la nonna consultava sempre un testo di cucina, che – mi promise – avrebbe cercato di r it rovare nella sua grande biblioteca di famiglia. Alcuni mesi dopo mi ri ferì che le sue ricerche non avevano avuto esito posit ivo, ma in cambio mi invitò personalmente a visitare e sistemare i volumi esistenti nella sua biblioteca. Non è faci le im-maginare la gioia che provai quando m’imbattei proprio

nel l ibro che stavo cercando, gioia che crebbe a dismisura quando scoprii che si t rattava di un autore marchigiano – al l’epoca – dimenticato da tutt i. La gioia stampata sul mio volto colpì a tal punto la contessa, che la nobildonna decise infine di regalarmelo. Fu così che I l Cuoco Maceratese di Antonio Nebbia diventò i l mio primo l ibro antico importante, quello che ha cambiato la mia storia di appassionato della cucina e del l ibro antico.

Questa mia passione per la r icerca in ambito sto-rico-gast ronomico ben si sposava poi al l'alt ro mio grande interesse: i l collezionismo. Come molt i ragazzi, infatt i, anch'io raccoglievo francoboll i, poi iniziai a raccogliere menù storici, e, di nuovo, i l vecchio amore per la storia mi spinse anche a raccogliere e r icercare documenti e im-magini di storia locale, che fanno del mio archivio un prezioso patrimonio documentario per la r icostruzione dei luoghi e della conoscenza storica locale.

Oggi i l mio archivio è formato da circa 600 test i antichi e alt ret tanti moderni , principalmente di argo-mento storico-gast ronomico, ma anche di erbari , infu-si , spezie, liquori , ortocultura , enologia . Numerosi sono anche i manoscrit t i e gli appunti che completano i l fondo. Tra i test i più importanti sono part icolarmente orgoglio-so delle ben sei edizioni su dodici del "Cuoco Maceratese di Antonio Nebbia", che sono andate ad aggiungersi a quel primo, famoso, "l ibriccino sperduto" nell'immensa biblio-teca nobil iare, che al lora la nobildonna fermana mi donò con tanta generosità.

La mia passione per il libro nasce dai banchi di scuola. La storia è sempre stata la mia vera passione, l'ho sempre studiata con grande interesse e soprattutto con senso critico, una gran voglia di ricerca della storia vera e non quella raccontata nei manuali, spesso filtrata, se non per dire deformata, dalla lente ideologica di questo o di quel critico storico.

LIBRI DI CUCINA… che passione!

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13 della vita

...L'archivio in cucina

RICETTE CUCINA CIVITANOVA MARCHE ARTE CULINARIA 1646 Ariodante Bettei, Amanti seguiti. Comedia semitragica di Ariodante Bettei da Civitanova. Macerata Agostino Grisei 1646. Gustosissima tragedia scritta da questo brillante e poco conosciuto autore di Civitanova Marche che se non sbaglio si svolge in Venezia. I personaggi sono 13 tra cui un vecchio avaro, un servo sciocco di nome Tabachino, tre genovesi, il capitano Spegnimonte, Mapone Parasito suo servitore e anche Haron ebreo. vi sono moltissimi discorsi dedicati al cibo (sembra che il capitano Spegnimonte come si usa dire sia una buona forchetta), da cui cito alcuni passi: "me ne vado ricercando cose esquisite come fagiani pernici lepri e simili [...] per la mattina a pranzo un atipastarello con un paro di capponi rifreddi, quattrro o sei libre di vitella mongana per allesso, per arrosto quattro lombetti di porco [...] da Samo aveva fatto venire il pane, da Salerno il vino, da Pastagonia le pernici, dalla Germania i tordi, gli frutti dalla Sardegna, dalla Siria le confettioni. E da Foligni le fettuccine [...] vi sono inoltre ricette su come fare la crescia sfogliata con zuccaro cannella ricotta bianca e..."

IL CUOCO CLASSICO 1932 Cesare Tirabasso 3° Edizione con 840 ricette. Pagine 351.

ANTICO QUADERNO DI RICETTE DI CUCINA MANOSCRITTE PER PRANZI, DOLCI E LIQUORIDiario manoscritto di ricette e altri appunti, senza luogo, senza data (anni ca. 1860-1870). Diario manoscritto contenente menù, ricette e altri appunti - XIX secolo "1776 Louis Maestri" - ap-punti per apprendere la lingua tedesca - menù per pranzi dal 1867 al 1891, anche con i nomi degli invitati. Varie carte di ricette (Vitello tonné, Agro, Dolce della Sig.ra Rossi, Per fare il gelato di panna, Crem fritta, Lacciada, Salsa genovese, Sugo d'arrosto di manzo, Modo di fare il curacao, Chiacchere degli uomini, Dolce di patate, Fricassè, Dolce boudin alla russa, Lumache in umido).

CUCINA FORMAGGIO BIRRA MAGIA E ALTRO 1750 Schmidt J. A. Miscellaneorum Phisicorum Fasciculus. Jena, senza data (metà Settecento) Sono sedici dissertazioni su formaggio, birra, pane, burro, lacrime (!!), fenomeni atmosferici, divinazione e altri argomenti. Veramente affascinante e molto raro.

DELLO SCALCO DEL SIG. GIO. BATTISTA ROSSETTI 1589 Scalco della Serenissima Madama Lucrezia da Este Duchessa Di UrbinoDel quale si contengono le qualità di vino Scalco perfetto, & tutti i carichi suoi con diversi ufficiali a lui sottoposti.

IL TERZO LIBRO DELLE OPERE BURLESCHE 1723 Divertente raccolta di rime di Berni, Aretino, Galileo, Fiorenzuola e altri. Simpatici sonetti in lode delle carote, del ravanello, delle castagne, della salsiccia, della menta.

LA GUIDA IN CUCINA 1927 Cesare Tirabasso: "la guida in cucina". Macerata. Casa editrice Bisson e Leopardi, 1927. Firmata da G. Mainini. Antiporta con ritratto fotografico del TIRABASSO. 259 pagine con oltre 500 ricette per alberghi, trattorie ed, in modo speciale per le famiglie. Tirabasso Cesare nasce il 26 Gennaio 1888 a Montappone, da una famiglia di mezzadri. Nel 1919 si trasferisce a Macerata e intraprende con successo il mestiere di cuoco sino a diventare capocuoco. Assume la direzione del restaurant "alle Terme", realizzato nel 1925 da cav. Biagio Micozzi-Ferri e con ingresso situato al piano terra della Biblioteca comunale. È chiamato ad allestire i pranzi in onore del principe Umbero di Savoia, di ministri e alte personalità in molte città: Macerata e Recanati nel 1922, Ascoli, Fermo e Porto Civitanova nel 1925. Nel suo libro intitolato La Guida In Cucina, ma-nuale pratico moderno illustrato, sono presenti piatti della tavola popolare a fianco a quelli di casa signorile.

LA MEDICINA E IL CIBO SECONDO GALENO 1586Galeno: Operum quorundam quae aliquo modo mutilata ad nos pervenere Fragmenta.Venezia, 1586. Un volume di grande formato con un bellissimo frontespizio con figure di medici al lavoro e il titolo al centro, oltre metà del libro riguarda l'alimentazione e il cibo.

FERMO-AGRICOLTURA - COLTURA DEL FINOCCHIO 1927Cattedra Ambulante di Agricoltura del Circondario di Fermo Coltura del Finocchio - Fermo 1927.

DELLA PORTAJo. Baptista: Magia Naturalis libri Viginti. Francoforte, 1597 Con ricette per rendere tenera la carne e il pollo, il maiale, la porchetta, la murena ecc. Eccezionale anche il resto del lbro che riguarda il mondo dell' occulto, la distillazione, gli orologi, la trasmutazione dei metalli, la cosmesi ecc . Illustrato con una ventina di incisioni di apparecchi e strumenti.

DEL COLLEGIO PETRONIANO DELLE BALIE LATINEDr. Salvatore Tonci, Siena, 1719 Libro curiosissimo su di un collegio senese:alla fine c'è una bella relazione di una gigantesca cena a Torre Biringucci con la descrizione dei pantagruelici piatti di portata. Una vera delizia!!!

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14 il Gusto...

...Qualità dei grassi in cucina

Di contro, il mondo medico scientifico consi-glia di evitare o ridurre al minimo i cibi fritti, per alcu-ne importanti motivazioni:

-gli alimenti in frittura si arricchiscono di lipidi (ad esempio le classiche patatine, consumate ad ogni età, presentano un contenuto in materia grassa intorno al 30%);

-le alte temperature raggiunte (180 - 200 °C) con tale tecnica di cottura alterano i lipidi nella struttura molecolare, producendo prodotti tossici per l’organismo umano.

Per tali motivazioni riveste importanza la scelta del grasso (olio), il quale deve possedere determinate caratteristiche; su tutte la resistenza alla degradazio-ne della materia grassa alle alte temperature per tempi determinati. A tale proposito diventano impor-tanti la composizione del lipide, intesa come concen-trazione in acidi grassi polinsaturi, ed il punto di fumo.

Il punto di fumo deve essere abbastanza elevato, in quanto questo parametro sta a rappresen-tare la temperatura a cui il lipide inizia a decomporsi per effetto del calore; oltre quella temperatura l’olio libera fumi costituiti da acidi grassi ed altre sostanze tra cui l’acroleina, derivante dalla glicerina, liberata dall’idrolisi dei trigliceridi. L’acroleina è un prodotto volatile di odore pungente che irrita la mucosa gastri-ca e risulta tossica per il fegato.

PUNTO DI FUMO DI ALCUNI OLI E GRASSI● Olio di girasole meno di 130 °C● Olio di soia 130 °C● Olio di mais 160 °C● Olio di arachide 180 °C● Olio extravergine di oliva 210 °C● Olio di cocco 177 °C● Olio di palma raffinato 240 °C (a seconda del grado di raffinazione)● Strutto più di 260 °C

Gli acidi grassi invece subiscono la termossi-dazione, con formazione di idroperossidi che degra-dando originano aldeidi, chetoni ed altre sostanze che portano ad una modificazione negativa sia del valore nutrizionale che dei caratteri organolettici. Tali alterazioni sono percettibili anche visivamente con incupimento del colore, aumento della viscosità, for-mazione di schiuma. Da queste considerazioni risulta chiaro che la composizione in acidi grassi polinsaturi è molto impor-tante, poiché detti componenti subiscono con mag-giore intensità e rapidità l’ossidazione. Quest’ultima è influenzata dalla temperatura e durata del trattamen-to, dalla superficie del grasso esposta all’aria, dal tipo di alimento e dalla presenza di acqua. Pertanto, i grassi più ricchi di acidi grassi polin-saturi sono quelli più facilmente soggetti a degrada-zione (termossidazione).

La frittura è una tecnica di cottura degli alimenti che sfrutta la sostanza grassa per trasmettere il calore. Tale processo ha come peculiarità la formazione della crosta, particolarmente gradita ai consumatori.

di Francesco Seghetti e Leonardo Seghetti.

QUALE OLIO PER LA FRITTURA?

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...Qualità dei grassi in cucina

L’olio extravergine d’oliva, come dimostrato precedentemente, possiede un punto di fumo ele-vato a dimostrazione di una grande stabilità; inoltre la composizione acidica è particolarmente ricca di acidi grassi monoinsaturi (acido oleico) e pochi polinsaturi e saturi (come riportato in tabella). Inoltre è ricco di sostanze antiossidanti come la vitamina E e sostanze polifenoliche che consentono una resistenza maggiore alla termossidazione. Recenti studi hanno evidenziato che su patatine fritte con olio di oliva ex-travergine è stato possibile effettuare fino a sei cotture prima che l’olio iniziasse i processi di degradazione.

L’olio di oliva extravergine può conferire alla frittura dei caratteri organolettici particolari che non sempre sono ben abbinati all’alimento da friggere, per cui necessita di una forte conoscenza del prodot-to dal punto di vista organolettico per ben abbinarlo. Ad esempio una bel piatto di olive DOP Ascolana Tenera del Piceno farcita , fritto con olio di oliva ex-travergine prodotto dalla cultivar ascolana tenera è il massimo che si può chiedere. Nel caso di fritture in cui devono emergere i caratteri organolettici dell’alimen-to si può usare l’olio di oliva che non presenta i mede-simi caratteri organolettici delle categorie superiori ma almeno possiede la stessa composizione chimica dell’extravergine. Spesso la mancata conoscenza di informazioni (ed il costo più elevato), fanno orientare la frittura sugli oli di semi.

Tra quelli di semi è da preferire l’arachide o orientarsi sugli oli specifici per frittura come quelli bi-frazionati. Anche lo strutto può essere utilizzato per la frittura visto che il suo punto di fumo è elevato ed poco ricco di acidi grassi polinsaturi; la forte presenza di colesterolo però ne limita l’impiego.

In conclusione, per una buona frittura è suffi-ciente rispettare delle semplici regole:

-buona preparazione degli alimenti da frig-gere, evitando per quanto possibile la presenza di acqua, sale e spezie che accelerano le alterazioni dei grassi;

-evitare temperature superiori a 180° C, poiché quelle maggiori favoriscono le alterazioni;

-scolare il fritto per eliminare l’eccesso di olio assorbito;

-sostituire gli oli di frittura quando visivamente si scuriscono, cambia la viscosità, si evidenzia il fumo;-filtrare l’olio se dopo una o più fritture è possibile riuti-lizzarlo;

-evitare la colmatura con olio fresco perché quest’ultimo si altererà più rapidamente.

PERCENTUALI DI ACIDI GRASSI PRESENTINEGLI OLI VEGETALI

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16 il Gusto...

...Ai fornelli

La strategia per fare una buona panzanella era quella di bagnare il pane con l’aceto e l’olio, dove il sale e l’olio davano gusto, l’aceto un tocco dissetante, la mentuccia aromaticità e freschezza, ed infine il pane la giusta sostanza. In questo piatto il pane, Re indiscusso di sfarzi e miserie delle epoche passa-te, è rappresentato come “coppa de pà”, dove la sua mera semplicità diventa ma-està grazie all’universale e irresistibile accompagnamento con l’olio extra vergine. Il piatto “panzanella con sgombro marinato” consiste in una semplicissima rivisitazione di una fetta di pane con un companatico. L’acidità dell’aceto (presente nel pane) va ad equilibrarsi con la grassezza e la succulenza dello sgombro, l’aroma-ticità della mentuccia nel pesce, a ricordo della vecchia panzanella di un tempo, serve a dare freschezza alla vivanda così da lasciare il palato pulito, ricco di saliva-zione e pronto per la prossima pietanza.

Ingredienti per 10 personePer la panzanella:

- 500 g pane biologico del "Il forno di Collina"- 60 g olio extravergine d'oliva "piantone di Falerone" - 10 ml aceto di mele- 2 g sale- 1 g pepe

Per lo sgombro marinato:- 500 g sgombro sfilettato- 40 g sale fino- 50 g zucchero di canna- 100 g mentuccia - ½ buccia di limone - ½ buccia arancio

Ingredienti per 10 personePer la pasta all’uovo:

- 1 kg farina di grano tenero“0”- 250 g farina di semola- 6 uova intere- 10 tuorli d’uovo- 50 g olio- sale, pepe, vino bianco

Per il ripieno: - 500 g ciabuscolo

ChefPierpaolo PiermariniNato a Fermo, si è diplomato nel 1997 all'Alberghiero di Cingoli, ha lavorato in ristoranti della zona e dal 2002 ad oggi insegna all'Alberghiero di Sant'Elpidio a Mare.

Procedimento: Preparare la marinata frullando il sale e lo zucchero con la menta in un cutter, unire gli agrumi tagliati a Julien-ne, panare i filetti di sgombro con la ma-rinata e mettere sottovuoto per 24/36 ore. Per la panzanella tagliare il pane a dadolata e unire con parsimonia tutti gli ingredienti, lasciandolo riposare almeno 2 ore per permettere al pane di ammor-bidirsi. Togliere lo sgombro dal vuoto, la-varlo sotto acqua corrente, asciugarlo bene e scalopparlo sottilmente. In un piatto con l'ausilio di un coppapasta del diametro di 8 cm sistemare la panzanel-la con uno spessore alto 1 cm, adagiare le scaloppe di sgombro e finire con un filo d'olio extravergine d'oliva.

Panzanella con sgombro alla menta

Questo piatto è un' esaltazione ai prodotti tipici del territorio Fermano. Tro-viamo infatti il ciabuscolo che per eccezione ci contraddistingue in tutta Italia, il vino cotto e la caciotta del fermano, meno conosciuti ma di importanza territoriale. Il connubio dei due elementi sta nel fatto che la grassezza e la dolcezza del tortello mitigano con l'acidità della caciotta. L'aromaticità del ciabuscolo viene temperata dalla nota di tostato del vino cotto.

È importante premettere come lo scopo di questo menù da un lato è stato quello di proporre pietanze tipiche che più rappresentano e ricordano la tradizione povera contadi-na, dall’altro quello di evidenziare il patrimonio marchi-giano e cioè il connubio tra mare, montagna e i frutti della nostra terra.

Tortello di ciabuscolo con fonduta di caciotta del fermano e ristretto di vino cotto

Procedimento: Preparare la pasta all’uovo impastando tutti gli ingredienti e formando un composto liscio e resistente, coprire con pellicola per alimenti e far riposare per circa 1 ora. Per la fonduta scaldare il latte in una casseruola e aggiungere la caciotta del fermano tritata mescolando con cura facendola fondere, addensare con il roux, passare al chinois e tenere in caldo. Per preparare i tortelli stendete al matterello una sfoglia sottile sulla spianatoia infarinata, ricavate tanti quadrati di 4 cm di lato e disponete al centro di ognuno una pezzetto di ciabuscolo, poi ripiegate la pasta a triangolo, premete bene i bordi e quindi unite le due punte della base di ciascun triangolo sovrapponendole con una leggera pressione. Per il ristretto di vino cotto far bollire per 10 minuti i due ingredienti. Quando la densità diventerà sciropposa sarà pronto. Cuocere i tortelli in abbondante acqua salata, appena cotti saltarli con la salsa di caciotta, disporli sul piatto e decorare con un filo di ristretto di vino cotto.

Per il ristretto di vino cotto:- 200 ml vino cotto- 10 g miele di acacia

Per la fonduta di caciotta del fermano: - 1 L latte intero- 500 g caciotta del fermano- 500 g panna - 50 g farina”00”- 70 g burro

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17 della vita

...Ai fornelli

Ingredienti per 10 personePer la crema pasticcera:

- 1 L latte intero- 250 g zucchero semolato- 200 g tuorlo d’uovo (n°10) - 90 g maizena- 1 bacca di vaniglia

Per la crema al cioccolato:- 5 dl panna fresca - 140 g tuorli d’uovo - 120 g zucchero semolato- 250 g cioccolato fondente al 70%

Per la gelatina di alchermes:- 100 ml alchermes - 10 g sciroppo di zucchero- 1 g colla di pesce

Pan di Spagna: - 300 g zucchero semolato- 300 g farina di grano tenero "00"- 500 g uova intere (n° 10)- 1 g sale- ½ buccia di limone

Coniglio in porchetta

Zuppa inglese

Il coniglio in porchetta invece si preparava perché poteva mantenersi per diversi giorni. Veniva condito con molte erbe aromatiche come il finocchio selvatico che cresceva spontaneamente nelle campagne; inoltre poteva essere mangiato sia freddo che caldo anche nei giorni di lavoro, sui campi accompagnato da un buon bicchiere di vino rosso corposo ed energe-tico. Il tutto era detto “Lu fratì”.

Ingredienti per 4 persone Per il coniglio in porchetta:

- 400 g coniglio disossato- 200 g lonza di maiale fresca- 300 g spinaci- 100 g pancetta fresca o guanciale- 150 g salsiccia- 70 g panna- 40 g pan carrè- 1 dl vino bianco- 5 g sale, 1 g pepe,- 20 g erbe aromatiche (salvia, rosmarino, maggiorana, timo, alloro, buccia di limone, finocchio selvatico)

Per l'erbe strascinate: - 500 g bietola- 500 g cicoria o rugni- 300 g patate- 80 g olio extra vergine d'oliva “Piantone di Falerone”- 1 g aglio- 3 g sale- 1 g pepe- 500 g pane biologico del "Il forno di Collina"

Procedimento: Disossare il coniglio e marinarlo per una notte. Con le ossa dello stesso pre-parare il fondo. Preparare la farcia frullando la salsiccia, la panna e il pan carrè, a parte mondare e tritare le erbe aromatiche. Sistemare sul tavolo il coniglio e stende-re sopra di esso un velo di farcia, condire con le erbe aromatiche e coprire con le fette di lonza, ripetere lo stesso procedimento con la farcia le erbe aromatiche sale e pepe, infine arrotolare il tutto. Stendere un foglio di pellicola, adagiarci le fette di pancetta sovrapponendole, mettere uno strato sottile di farcia, stendere gli spinaci e un altro strato sottile di farcia. Foderare il coniglio con l'ausilio della pellicola o car-ta fata. Cuocere in forno a bassa temperatura a 75°C in camera con cuore a 70°C. Appena il coniglio sarà cotto far raffreddare e in un saltiere antiaderente rosolare la pancetta esterna dello stesso. Per le erbe strascinate cuocere le patate a vapore, sbucciarle e schiacciare grossolanamente. Cuocere in poca acqua salata la cicoria e la bietola, saltare ve-locemente le erbe in un saltiere con dell'olio e uno spicchio d'aglio in modo da non perdere il colore. Tagliare in affettatrice il pane, condirlo con olio e sale e tostarlo in forno a 200°C per 1 minuto. Con l'ausilio di un coppapasta disporre uno strato di pa-tate dove sopra verranno sistemate le erbe, disporre le fette di coniglio in porchetta, nappare il tutto e finire con un filo d'olio e la bruschetta di pane come decorazione.

Per il fondo di coniglio:- 500 g ossa di coniglio- 30 g cipolla- 30 g sedano- 50 g carota- 1 dl vino bianco- 40 g farina- 50 g burro- 2 g sale- 1 g pepe

L'idea è nata volendo scomporre un dolce che indubbiamente è un classico della pasticceria giocando tra le consistenze liquido, cremoso, croccante e gelatinoso.

Procedimento: Per il Pan di Spagna: Versare in una planetaria le uova con lo zucchero e il sale e far lavorare il composto fino a quando risulterà bello gonfio. Se il composto viene montato a mano lavorare i tuorli con lo zucchero e aggiungere poi gli albumi montati a neve con un pizzico di sale, l'impasto risulterà pronto quando, sollevando la frusta dalla massa lascia un filo di composto in superficie senza affondare subito. Versare a pioggia la farina precedentemente setacciata mescolando dal basso verso l'alto, in modo che l'impasto non si sgonfi. Versare il composto in una teglia imburrata e infarinata e cuocere in forno statico a 170°C per circa 30 minuti. Quando sarà freddo tagliare delle barrette e tostare in forno. Per la crema pasticcera: Portare a bollore il latte in una casseruola con in infusione la stecca di vaniglia. A parte in una bastardella miscelare i tuorli, lo zucchero e l’amido, poi unire il latte caldo e riportare sul fuoco, quando comincia a bollire sarà pronta. Versare la crema in una terrina e lasciarla raffreddare. Per la crema al cioccolato: riscaldare la panna, unirla ai tuorli e lo zucchero precedentemente mescolati, mettere il composto sul fuoco e cuocere con attenzione portandolo fino a 85°C o quando inizia a velare il cucchiaio. Solo ora, che la cre-ma è pronta, aggiungere il cioccolato fondente, mescolare bene e far riposare almeno per una notte. Per la gelatina: unire lo sciroppo all'alchermes, scaldarlo al microonde e unire la gelatina precedentemente ammorbidi-ta in acqua fredda, adagiare l'alchermes su di una placca allo spessore di 3 mm e lasciar assodare. Comporre come da foto.

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Nutrirsi è un fatto culturale, un avvenimento legato alle tradizioni del territorio, ai ricordi dell’infanzia, ai sapori dimenticati dei piatti di una volta, oggi sempre più contaminati da culture diverse e dalla velocità del cibo spazzatura.

La nostra azienda, Carnebio S.r.l., da sempre attenta alle esigenze del consumatore e da sempre vicina al territorio, intende valorizzare con il marchio Vallegaia una produzione di carne DOC del territorio, saporita, gustosa, sana e sicura; quella carne che ognuno vorrebbe per la tavola dei propri figli quale nutrimento che garantisca una crescita equilibrata ed una sana alimentazione.

è il marchio che garantisce una produzione doc di vitelloni BIO e IGP, e che da sempre fa del suo punto di forza la qualità anche in presenza di numeri elevati: forniamo infatti ogni settimana oltre 150.000 pasti per le mense di tutta Italia, per grandi e piccini.

Prodotti della nostra terra,prodotti i tal iani,eccellenza nella ricerca del cibo come fattore culturale di sviluppo di un “certo modo di vivere bene” .

SPACCIO AZIENDALELoc. San Ruffino - Amandola (AP) Tel. 0736/848719

CARNEBIO srlLoc. San Ruffino - Amandola (AP) Tel. 0736.848719 Fax 0736.847399 e-mail: [email protected]

CARNEBIO srl

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19 della vita

Tento un primo elenco di piatti di stagio-ne Aprile / Maggio, aperto al contributo di tutti, per costruire insieme un menù di stagione e della tradizione.

Piatti di stagione consigliati:Erbe e verdure:• Misticanza d’erbe trovate a crudo in insalata • Gorbini con olio extravergine d’oliva piantone di Falerone• Misticanza d’erbe trovate bollite con patate e olio extravergine d’oliva Sarga-no di Fermo (per chi se la può permette-re è ammessa la variante con soffritto di pancetta di lardo di Alteta)• Frittata di vitalbe• Asparago selvatico di Torre di Palme• Carciofo violetto e carciofo a palla della Valdaso (crudo con olio e limone, sulla brace di potature di vite e in tanti altri modi) Funghi:• Fungo di Sangiorgio (prugnolo) dei Si-billini - Meraviglioso fungo dal sapore di pane appena cotto

Dolci• Ciambelle di Pasqua• Pizza con il formaggio• Cacioni con farmaggio o ricotta

Formaggio• Pecorino fresco della valle del Tenna (riassume e restituisce i sapori delle erbe fresche appena germogliate brucate dalle pecore al pascolo)

Frutta• Mandorlini di Santa Caterina (man-dorle acerbe)• Fave (abbinate al pecorino fresco o al ciauscolo)• Piselli (ottimi insieme alle seppie e con i “taccu”)• Fragole e Ciliegie

...Menù di stagione e della tradizione

Chi oggi visita la nostra regio-ne viene favorevolmente impressio-nato dalla disponibilità dei marchi-giani. Oggi essere ospitali vuol dire lasciare un buon ricordo della visita che si riceve e costruire un buon mo-tivo per tornare. Tra i ricordi che il turista por-ta via dalle Marche vi sono anche i sapori conosciuti nella buona tavo-la. La cucina, la qualità dei cibi, le specialità sono i segni della nostra cultura gastronomica. Cibi semplici, che debbono avere un valore identitario e distinti-vo, che possono racchiudere l’inter-calare del nostro paesaggio unita-mente all’abilità dei nostri cuochi. Non servono i piatti fatti per meravigliare, per stupire con ingre-dienti esotici, magari imitando la grande cucina internazionale. È vero che i gusti cambiano e non è possibile pensare di lasciare immutato il modo di cucinare che ri-produce staticamente la cucina dei nonni, ma una sapiente rivisitazione dei piatti tradizionali è un’opportuni-tà di miglioramento che non va tra-scurata. La cucina casalinga, quella segnata dalle stagioni, dagli even-ti, è quella che dobbiamo cercare di riproporre con i sui segni caratte-rizzanti che la fanno riconoscere ed apprezzare.Sono i ristoranti o i locali che non han-no più il coraggio di chiamarsi trat-torie od osterie che dovrebbero con sapienza trasformarsi in biglietti da visita del territorio. Dobbiamo saper offrire, a chi visita la nostra regione, quello che cerchiamo e che ci piace trovare quando noi andiamo fuori della no-stra terra. Non credo che bisogna ricorrere a sofisticati manuali d’alta cucina, proviamo invece a pensa-re quello che vogliamo noi quando andiamo in giro per l’Italia o per il mondo.

Sognando le vecchie osterie e i piatti di stagione

A me piace mangiare cucina locale, ovunque mi trovi, conoscere i sapori della cucina semplice, quel-la delle trattorie vicino ai mercati o alle stazioni. Incontrare un ristoratore capace di raccontare la storia dei piatti, che conosce gli ingredienti e la provenienza dei prodotti usati e che sa presentare le caratteristiche salienti degli stessi. Un ristoratore che sa proporre una buona conoscenza dei vini descrivendone le caratteri-stiche, meglio se conosce e dichia-ra anche la provenienza e la qualità del vino sfuso. Anche l’olio, l’aceto ed il pane non sono ingredienti anonimi da sbattere sul tavolo in modo indif-ferente. È gradevole mangiare cu-cina locale in ristoranti frequentati dalla gente del posto, gustare piatti fatti con prodotti di stagione e me-glio ancora se coltivati nei dintorni o caratteristici del luogo.Il menù deve essere preferibilmente stagionale non solo per la frutta e verdura ma anche per il pesce e per i formaggi sino ai dolci. Anche il modo di cuocere le pietanze ha la sua stagione. Il miglior ristorante non è quello che costa di più ma è quello che conosce come servire i prodotti della zona e di sta-gione, e li sa valorizzare con cucine semplici e con le ricette della tradi-zione. Se incontriamo per strada un turista che ci chiede dove poter mangiare cucina locale e trovare sul menù un buon “umido con i nervet-ti”, un piatto di frascarelli, delle erbe trovate con le patate condite con olio extra vergine d’oliva locale, o dei gorbini dei monti Sibillini, sapreste indicargli un luogo dove andare? Questo non significa che l’of-ferta deve essere esclusivamente di cucina tradizionale, ma la cucina locale è sicuramente un motivo in più per visitare o ricordare un luogo.

di Amedeo Grilli

La gente delle Marche è ospitale. C’è chi ritiene che sia un retaggio dell’accoglienza sempre rivolta dalle popolazioni locali verso i numerosi pel-legrini che nei secoli si sono recati a piedi a Loreto, fin da quando l’ospitalità era affidata a conventi, famiglie e confraternite.

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La Bellezzadella tavola.Nei monasteri

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Di personaggi famosi ne ho incontrati diversi nel corso della mia professione. Uno m’è rimasto particolarmente nel cuore. Si tratta del prof. Leo Moulin. Già docente di lettere all’Università di Bologna, di filosofia all’Univer-

sità Libera di Bruxelles, era professore emerito al Collège d’Europe di Bruges e alla Facoltà Notre-Dame de la Paix a Namur. Agli inizi degli anni Ottanta, venne nelle Marche per una serie di conferenze. Gli fui distaccato come guida e autista. Era an-ziano, già sugli ottanta, di una lucidità straordinaria, viaggiava da solo per tutta l’Europa. Era stato agnostico, di fede laica, poi si era avvicinato al cattolicesimo grazie ai suoi studi sul Medio Evo e, in modo speciale, su san Benedetto da Norcia. Del monachesimo be-nedettino amava tutto, specie l’arte culinaria. Moulin apprezzava il buon e ben mangiare. Diceva che i benedettini sono all’origine del galateo a tavola. A Fermo, gli feci assaggiare il vino cotto. Toccò il cielo con un dito. A Petriolo, lo portai, in una trattoria dal sapore cavallere-sco, ad assaggiare i vincisgrassi. Si cementò l’amicizia. Mi regalò il suo libro intitolato “La vita quotidiana dei monaci nel Medio Evo”. Lo aveva pubblicato nel 1978 per i tipi di Hachette. Mi racco-mandò di leggere le pagine dedicate alle origini della gastronomia. Scriveva: “La cucina dei religiosi è, involontariamente, all’origine della gastronomia”. E riportava il giudizio di un diziona-rio specializzato: “E’ verso la fine dell’epoca merovingia che i con-venti, conservatori di tutte le tradizioni ghiotte (in realtà, bisogne-rebbe dire: di quello che restava della civilizzazione gallo-romana), si moltiplicarono in Francia (e altrove) e fecero fare grandi progressi alla cucina”. I religiosi, secondo Moulin, “sono uomini che amano la buona tavola: altrimenti non si spiegherebbero i divieti terribili delle regole e delle raccolte di usi. D’altra parte, tenuti a una dieta severa, minacciati dalla monotonia, desiderosi di sottolineare, so-prattutto con il cibo, la successione delle feste che si presentavano lungo il corso dell’anno, i monaci erano spontaneamente portati sia a migliorare la preparazione del cibo con quelle poche cose che era-no loro permesse, sia in caso di festa solenne, a Pasqua, a Natale, nella festa del santo fondatore, a concedersi qualche golosità”.Moulin insisteva sul budino. “Sapete com’è nato?” Chiedeva. “…nel refettorio, i monaci raccolgono le briciole. In alcuni conventi si mischiavano con le uova e il latte, poi si mangiava il tutto con il cucchiaio”. Che dire del vino? “I monaci erano molto raffinati. Molto presto appaiono veri assaggiatori che discutono tra loro con compe-tenza sui meriti rispettivi di ciascuno di essi. San Bernardo si lamen-ta che “tre o quattro volte, nel corso dello stesso pasto, viene portata una coppa piena a metà: va prima annusata (da vero intenditore!) e non tanto bevuta quanto assaporata…”. Lo lasciai alla stazione di Ancona. Salì in carrozza. Aprì il finestrino. Mi guardò con quei suoi occhi celesti e profondi. Vide passare una bellissima ragazza. La seguì con lo sguardo. Annuì più volte. Gli piaceva la bellezza. Mi salutò: “Addio, amico italiano”. Morì qualche anno più tardi. Prosit, grande professore.

Adolfo Leoni

C’è una mostra stupenda che girerà le province di Fer-mo e Macerata. Tratta dei Benedettini. Di quell’Ordine monastico che salvò la cultura giudaico-greco-romana e creò una nuova civiltà.

Il Centro culturale Il Portico e l’Ufficio Missionario dell’Arcidiocesi di Fermo l’hanno proposta come un’occasione di confronto. D’altronde il territorio fermano-ascolano-maceratese portano l’impronta della presenza benedettina. A Santa Vittoria in Matenano trovarono rifugio i benedettini di Farfa, i Farfensi. Da lì diedero vita ad una trasformazione socio-economica, ol-treché ovviamente religiosa, del nostro territorio. Basti pensare all’introduzione di contratti agrari come la mezzadria e l’enfiteu-si. Una rivoluzione per quei secoli. Correva l’anno 890.

Dicono che la Regola di san Benedetto sia il non plus ultra dell’intuito psicologico e organizzativo. C’è un passo che riguarda i temi di questa rivista. Sem-pre più spesso oggi ci si riempie la bocca dei termini Ospitalità e Accoglienza. Li si cita molto spesso a proposito, e molto più spesso a sproposito. Li si addiziona al turismo, alla gastronomia, alla pubblica amministrazione, alla scuola.

L’ospitalità e l’accoglienza erano due punti forti della Regola benedettina. Al punto 53 si legge: “Tutti gli ospiti che arrivano (al monastero, ndr) siano accolti come Cristo, perché egli stesso dirà: ‘Ero forestiero e mi avete ospitato’. Appena dun-que sarà annunziato un ospite, il superiore o i fratelli gli vada-no incontro con ogni attenzione di carità; preghino insieme, poi si scambino l’abbraccio della pace. L’ospite sia quindi condotto nell’oratorio per l’orazione, si legga dinanzi a lui la Legge divina per edificarlo e poi gli si offra ogni segno di benevolenza”. Nei monasteri benedettini c’era - ed ancora oggi c’è - la figura del padre ospitalario (hospitalarius). Era incaricato di acco-gliere gli ospiti, i pellegrini, i viandanti. Per questo servizio così importante venivano scelti monaci “affabili, sorridenti, diligenti, di piacevole conversazione”, in una parola: estroversi. Doveva provvedere alla perfetta pulizia dei locali, della biancheria, del-le stoviglie, degli asciugamani, delle coperte. In inverno faceva preparare il fuoco ed alcune candele. Il giorno della partenza dei pellegrini, l’hospitalarius compiva un giro di ispezione: controlla-va se gli ospiti avessero dimenticato qualcosa. Accadeva a cavallo del primo Millennio. Accadeva nelle nostre contrade. Ed oggi?

Ospitalità.Tanto se ne parla.Poco se ne sa.

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La frase latina esprime l'associazione e la connivenza tra Genio e luogo fisico. Il nome rie-voca una divinità protettrice, strettamente legata al luogo d'origine, che indicava la forza creatrice dell'uomo. Servio Mario Onorato, grammatico ro-mano del IV sec., citava “nullus locus sine genio”, ossia nessun luogo è senza un genio. Mission di Genius Loci è quello di recuperare nobili e vecchi vigneti, “estremi” per le loro caratteristiche (età, tipo di suolo, cultivar) ed offrire vini in grado di far rivivere le percezioni e sensazioni di tempi lontani. Aprire una bottiglia di vino e degustarla deve permettere di entrare in sintonia con il luo-go di origine del prodotto. Coloro che hanno il piacere di apprezzare le bellezze e le bontà delle Marche, anche se per un breve periodo, devono avere la possibilità di rivivere le emozioni vissute e rinnovare nella loro mente il sogno di un terri-torio ogni volta che stappano una bottiglia Genius Loci. Questi sono i motivi che hanno spinto il Sindaco del comune di Moresco Amato Mercuri a collaborare con Genius Loci per dar “vita” ad un vino celebrativo dei cento anni di autonomia comunale del comune di Moresco da quello di Monterubbiano che ricadono nel 2010. Gli input: uve coltivate all'interno del territorio comunale, vitigni autoctoni, vino in gradi di far “percepire” il territorio. Ogni singolo dettaglio, dal tipo di uva al nome del vino fino all'etichetta doveva essere coerente con il progetto. Si è proceduto per tappe:

sono state individuate vecchie viti di Montepul-ciano e Sangiovese, le uve sono state raccolte al giusto grado di maturazione e vinificate separa-tamente. Contemporaneamente si è indagato il sottosuolo e le sue caratteristiche pedologiche: un conglomerato breccioso(morrecine) tipico del territorio comunale su cui sorge il centro storico di Moresco. Un tipo di terreno che permette alle radici delle vecchie viti di esplorare in profondità il terreno donando una ricca mineralità alle uve e quindi ai vini prodotti. Ecco trovato il nome del vino del centenario: Morrecine. Intanto procede-va, grazie all'aiuto di Synergo società che coor-dina tutti gli eventi legati al centenario, lo studio grafico dell'etichetta in cui si è deciso di inserire, ulteriore elemento di identità territoriale, le tre torri dello stemma comunale. Poiché si era partiti da due vitigni rima-neva un ultimo dilemma per Morrecine: Sangio-vese o Montepulciano. Si è riunito a questo punto un panel di degustazione molto variegato costi-tuito da enologi, sommelier, cuochi, autorità, ma anche semplici amanti del vino e nella serata del 19 Marzo 2010 si è proceduto con una degustazio-ne alla cieca dei due prodotti; ogni partecipante esprimeva il suo giudizio. Il più votato è risultato essere il Montepulciano. A Giugno il Morrecine verrà presentato ufficialmente: un vino dietro a cui opera una comunità laboriosa in grado di pro-durre “cose buone” in tutti i campi e soprattutto orgogliosa della sua identità territoriale.Genius Loci - Marco Cavalieri

Il Morrecine: sapori di terra e d'ospitalità moreschine. Provare per vedere. Ad ondate si muove il vino nei calici fatti roteare, dalla base, nelle mani. Il calice s'avvicina alla bocca e s'inclina. Un gesto, e il vino corre rapido lungo il vetro. Che giunga ad irrorare la lingua, non occorre. Un fugace bacio a fior di labbra basta già per innamorarsi del Morrecine. Suolo misto di ghiaia e terra era “morrecine”, secondo una lingua antica, estinta. Lì sorse Moresco e da quel suolo prenderà il nome il vino del borgo.Cento anni di storia autonoma per Moresco ed una bottiglia a celebrarli.Del profumo, delle note di sapore, dei procedimenti che rendono speciale questo nettare di Bacco, si potrebbe dir molto, ma nelle intenzioni di ideatori e realizzatori, il Sindaco Amato Mercuri e la sua amministrazione, insieme al Genius Loci, c'era ancora di più. Volevano creare un vino che, assaggio dopo assaggio, regalasse il calore dell'accoglienza che in paese ti sanno riservare, ma anche un giro d'orizzonte su borgo, colline e campa-gne d'intorno. L'anima di terra e gente moreschina, ora, se ne potrà andrare in giro, non più confinata entro le mura storiche, ma in un bottiglia di vino dedicata a tutti: concittadini, turisti, esperti o dilettanti del gusto.Mery Pieragostini

Quando lo spirito della terra parla all'anima e al...palato.Il caso Morrecine

Stemma del comune di Moresco

L'incontro tra un imprenditore tedesco, Franz Joseph Wagner, ed un agronomo italiano, Marco Cavalieri, in un antico vigneto vicino al mare, ha dato vita ad un pro-getto che rimanda ad antiche tradizioni: “Genius Loci” dove l'uomo produce in sintonia con il territorio.

...Moresco e Morrecine

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...Un po' di storia

Il cibo ed il banchettonel Medioevo

Quando si parla di alimentazione nel Medioevo credo sia superfluo ricordare che, trattandosi di un periodo storico in cui la differen-

za tra ricchi e poveri era così nettamente marcata, vi era una ovvia diversità tra il tipo di cibo che si poteva trovare sulle tavole dei nobili, da quello consumato della gente comune, rappresentata in larga parte da contadini. In Europa, i prodotti che arrivava-no sulla tavola dei popolani provenivano per larga parte dagli orti e dai campi col-tivati attorno ai villaggi, mentre una parte di derrate veniva raccolta nei boschi e nelle foreste, come per esempio i frutti sponta-nei, i funghi, le radici e persino le ghiande.

Il miele, per ricchi e poveri, era praticamente l'unico dolcificante conosciu-to perché lo zucchero, prodotto inizialmen-te solo dalla canna diffusa dagli arabi non era ancora molto diffuso. Man mano che si avvicendarono i secoli, con l’arrivo delle Signorie, il procurarsi cibo diventò un me-stiere sempre più difficile, non solo a causa dell’aumento notevole della popolazione, ma per la netta diminuzione dei terreni da coltivare, nonché per la creazione di riserve di caccia, di pascolo e persino di pesca, di cui potevano fruire i soli signori.

La carne scarseggiava per il popolo e tale prezioso alimento sempre più divenne sinonimo di ricchezza e di prospe-rità per i ricchi. Questo perché i contadini non possedevano bestiame, e quel poco che

avevano era utilizzato nel lavoro agricolo come "bestiame di fatica" e sarebbe stato dunque assolutamente controproducente per loro cibarsene. Così, a quel tempo, mentre i ricchi mangiavano carni di ogni genere anche due volte al giorno, la grande maggioranza della popolazione consumava quasi esclusivamente carne di maiale, di pecora o di capra. Oltre a ciò, solo una per-centuale minore di poveri poteva mangiare tali carni almeno una volta la settimana, mentre tutti gli altri se ne cibavano una volta al mese quando andava bene. I pasti del contadino dovevano dunque essere ne-cessariamente composti da alimenti sosti-tutivi di tale prezioso alimento. Tra questi, i cereali, erano consumati sotto forma di farinate d'avena, di polenta e soprattutto di pane, realizzato oltre che con frumento, anche con farina di orzo , castagno, segale, lenticchie, fave e miglio. Tuttavia, durante le carestie, il pane veniva fatto con qual-siasi cosa, addirittura con le ghiande, con le cortecce macinate degli alberi e con la farina di paglia. Un pasto ricorrente del contadino, poteva dunque essere quel-lo formato da una zuppa di legumi, da mangiare direttamente dalla ciotola o che consumava intingendoci grosse fette di pane. Ma se i poveri e sfruttati contadini dovevano accontentarsi di molto poco, cosa avveniva in casa dei potenti e dei ricchi signori? Una delle iconografie più cono-sciute del Medioevo è, senza dubbio, quella del banchetto. Pur non disponendo di dati certi, pare assodato che, al contrario di

quanto succedeva per i “popolani”, i nobili ed i ricchi signori preferissero banchettare con carni arrostite sulla brace mediante rozze graticole o appuntiti spiedi di ferro. Le carni consumate potevano essere bian-che come quelle di polli, galline, capponi ed oche, o rosse, come quelle di manzo e di maiale. Soprattutto, però, pare che sulle tavole di potenti fosse particolarmente gradita la selvaggina, costituita da volatili di tutti i tipi, ma anche da cervi e cinghiali. La caccia, infatti, era praticata dai nobili non solo per temprarsi all’uso dei cavalli e delle armi, ma anche e soprattutto, per procurarsi le carni per i loro lauti ban-chetti. Essa era, in pratica, riservata a quei pochi privilegiati e se qualche poveraccio, magari per sfamare i suoi bambini, osava uccidere un fagiano o una lepre, rischiava di essere punito col taglio della mano o ad-dirittura, per animali di grossa taglia come cervi o cinghiali, con l’ accecamento. Il grosso consumo di carni pro-curava, nella nobiltà e nelle classi agiate, quella che è comunemente denominata la “malattia dei ricchi”, ossia la “gotta”, dovu-ta ad un eccessivo accumulo di acidi urici e di cui soffriva già lo stesso Carlo Magno. Al contrario, da parte dei nobili, molto bas-so era il consumo di legumi, di frutta e di verdure, addirittura sconsigliate dai medici perché “poco digeribili”. Il cibo, col tempo, assunse dunque connotazioni di status symbol del potere e della ricchezza ed i nobili, per questo sfoggio di agiatezza, non badarono a spese. Basti pensare che un banchetto poteva

Non solo nutrirsi è il bisogno primario dell’uomo, ma parlare del modo di nutrirsi, ci permettere di comprendere le condizioni di vita delle persone in un certo periodo storico.di Daniele Malvestiti

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...Un po' di storia

arrivare a durare anche 5 giorni, spesso per tutto il tempo rallegrati da vari tipi di rappresentazioni, da menestrelli, musici e saltimbanchi. Questi lauti conviti, divenivano dunque vera e propria ostentazione della ricchezza e potenza dell’anfitrione e aveva-no tutto una serie di procedure e “regole” non scritte. Si racconta che ad esempio gli arrosti serviti durante questi interminabili incontri conviviali, non potevano in alcun modo essere rifiutati dagli invitati, poiché un tale gesto sarebbe stato interpretato come un segno di debolezza del commen-sale, proprio come quella di un soldato che depone le armi.Per cuocere i cibi si usava largamente la bollitura che utilizzava molte spezie come ad esempio il pepe, carissimo, che era vero e proprio oro in grani e veniva usato anche come merce di scambio, il coriandolo, la noce moscata ecc. che oltre ad insaporire i cibi ne ritardavano la putrefazione. Da diversi documenti risulta che addirittura la stessa selvaggina venisse prima bollita e poi arrostita sugli spiedi, che arrivavano direttamente sulla tavola con infilate le varie pernici o fagiani fumanti e perfetta-mente rosolati e coloriti. Da un antico testo si rileva che il banchetto dei nobili e dei ricchi in gene-re iniziava di solito con composte a base di zucchero, annaffiate da vini bianchi o rossi. Il pranzo vero e proprio esordiva con le carni che venivano servite con intingoli vari a base di mandorle e spezie varie.

Potevano seguire torte con strati di pollo, quindi formaggi, salsicce, datteri e man-dorle al miele e per finire si consumava la frutta, come limoni, arance, e albicocche portate in Europa dagli Arabi. I cibi veniva-no portati alla bocca con rozzi cucchiai, ma soprattutto con le dita, mentre le forchette a due denti (bi-denti) erano utilizzate per passare o servire le varie vivande e, più in là nel tempo, furono soprattutto usate dalle dame. Solo a partire dalla metà del duecento si diffuse l’uso della forchetta per uso “personale”. Comunemente, inoltre, si mangiava direttamente dal piatto di porta-ta, senza avere un piatto personale mentre, al suo posto si usava una ciotola di legno che, il più delle volte, era utilizzata da due persone contemporaneamente. I vini erano serviti in coppe che non raramente poteva-no esser d’argento o addirittura d’oro. Sulla tavola imbandita non c'erano assolu-tamente tovaglioli e per pulirsi le mani si usava direttamente la tovaglia, o peggio ancora i mantelli dei cani, che solitamente abbondavano a corte, in attesa degli ossi. Senza dubbio il modo più raffinato era quello di lavare le mani in tazze contenenti acqua di rose. Questo tipo di trattamento non era in uso in tutte le corti, ma dove la ciotola veniva offerta, era segno di rispet-to accettarla. Le mani venivano anche pulite con grandi pezzi di mollica rimasta indenne dagli schizzi di salse e sugo, mentre gli avanzi delle varie portate, a fine banchetto venivano date ai poveri al di fuori della porta.

Questi opulenti banchetti ve-nivano preparati nel castello del nobile e necessitavano di opportune zone di preparazione. Per semplificare si può ricordare che tali zone erano organizzate in due settori principali: quella dedicata alla lavorazione del cibo e quella dedicata alla conservazione degli alimenti. Ovvia-mente nel medioevo per la conservazione delle derrate alimentari potevano usarsi solo metodi naturali come, l'essicazione, la salatura, l'affumicazione e, più raramente, il congelamento. A proposito di quest’ultimo, infat-ti, solo i palazzi più importanti erano dota-ti di una “ghiacciaia”, ossia di una cavità o di una grotta sotterranea, dove per tempi piuttosto lunghi era possibile conservare la neve ed il ghiaccio raccolto nei periodi invernali e così “immagazzinato”. Per l’essiccazione i nobili si avva-levano di locali appositi molto arieggiati, ma al riparo da insetti vari, per la salatura, venivano usati gradi recipienti in legno o in pietra mentre l’affumicazione, di pesci e carni, si realizzava in particolari camini parzialmente “chiusi”. bruciando segatura di legno a basso contenuto di resina. Con la combustione, questi legnami liberavano le loro sostanze aromatiche, che si legavano al cibo donandogli un aroma e un gusto piacevole, e preservandolo dalla decompo-sizione. La segatura utilizzata per l’affu-micazione poteva essere aromatizzata con erbe o spezie (ginepro, chiodi di garofano, anice, rosmarino, timo, ecc.). Fatta salva la considerazione dell’enorme disuguaglianza esistente nel Medioevo tra la mensa del povero e quella del nobile e del ricco, si può affermare che il pane godesse a quei tempi di un par-ticolare prestigio rispetto a tutti gli altri alimenti. Solo l'olio di oliva e il vino ebbero un valore paragonabile, ma entrambi rimasero di consumo piuttosto scarso al di fuori delle regioni calde in cui venivano prodotti. Il ruolo simbolico del pane, visto sia come alimento che come valore, è ben illustrato in un sermone di sant'Agostino: “Mentre aspettavate la buona novella eravate come grano chiuso nel granaio, alla fonte bat-tesimale siete stati modellati come una singola forma di pane e nel forno dello Spirito Santo siete stati trasformati nel buon pane di Dio”.

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Parliamo di… risorse umane Perché parlarne? Perché da più parti arrivano stimoli, anche forti, per la formazione del personale che “dovrebbe” operare nel settore dell’ac-coglienza in generale e nella ristorazione in particolare… e siccome, do-cente dell’Alberghiero, mi sento colpito da talune dichiarazioni piuttosto che da alcuni scritti, non posso esimermi dal puntualizzare!!

E voglio riportare la “provoca-zione” lanciata da quel grande perso-naggio che è Luigi Caricato, giornalista ed esperto gastronomo, per far capire l’importanza del “fattore umano” nella promozione!! Afferma: “… l’Olio? Lo fa l’uomo che abita il territorio!”. E voglio visualizzare una mia “slide” del corso da Sommelier che recita: “… il vino non lo fa la pianta, ma l’uomo!”. Ciò per rilevare che non basta il territorio, non bastano le tipicità, ma si ha bisogno del fattore umano, per rendere credibile, tangibile ed efficace tutta la promozione eserci-tata per far conoscere la nostra “terra”!

Riporto un passo dell’articolo di Caricato, pubblicato sull’ultimo numero de “DeVinis”: "Abbiate cura degli ulivi! Può essere questo l’invito da rivolgere agli ultimi contadini italiani rimasti. (…) Si fa un gran parlare di prodotti del ter-ritorio, ma poi si scopre che il territorio si ferma alla nuda terra e non compren-de, come dovrebbe, anche la sua gen-te(…) i lavoratori delle campagne sono sempre più anziani (…) la manovalanza è tutta straniera. Stiamo perdendo così il controllo del territorio. (…) La morale è semplice: in un’epoca in cui si è arrivati a tutelare l’identità del territorio, alla fine manca il vero punto di forza, che è quel-lo più caratterizzante e che va ricondot-to all’uomo!"

L’attività di valorizzazione del ter-ritorio è arrivata a livelli eccellenti: DOC, DOP, IGT, IGP ecc. fino alla STG (speciali-tà tradizionale garantita) con l’ultima, in ordine di tempo, la “Pizza Napoletana”, con tanto di disciplinare di produzione! Ma dove troviamo la “garanzia” del pro-dotto quando poi a prepararla è un piz-zaiolo egiziano, che seppur bravo, non

può conoscere la “TRADIZIONE” legata a quel manufatto?

Ecco allora il bisogno impellente di “formare” le nuove generazioni, di ri-portarle nel territorio, di informarle sulle “particolarità” del paese; particolarità che lo rendono unico e irripetibile! Ma chi sono gli artefici di questa formazio-ne-informazione? Come sono scelti da chi poi copre i costi?

L’Italia è un bel paese, basta svegliarsi la mattina, costituire un’Asso-ciazione Culturale “no profit”, scrivere un progetto, avere i giusti contatti poli-tici, trovare uno o due docenti, meglio se universitari,… e il gioco è fatto! Voilà, finanziato il corso di formazione “Sull’ac-coglienza turistica negli agriturismi di fondo valle, escludendo quelli di mon-tagna perché c’è la neve che favorisce il titolare!” Preciso che il titolo di questo corso l’ho inventato di sana pianta, ma è simile a molti altri che si trovano pubbli-cizzati in internet!

Non si riesce proprio a capire come le nostre istituzioni possano affida-re a “fantomatiche” associazioni culturali “di categoria” una così importante atti-vità di formazione … solo perché presen-tano il “progetto”. Associazioni compo-ste da personaggi che non hanno mai vissuto le sfaccettature di una professio-ne! Che non conoscono, non capiscono e non sono eruditi sulle differenze che esistono… tra un vino prodotto in provin-cia di Fermo e uno prodotto in provincia di Ancona… e poi spacciano quest’ulti-mo come “tipicità” territoriale! … certo, per “loro” l’importante è che sia vino da bere durante una “cena di gala” e che sia, soprattutto, gratis!

di Stefano Isidori

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Forse ho fatto centro, anzi no...E che devo di', classica e usurata battuta; allora mi spiego.

Da illo tempore sostengo in ogni sede (dove me ne è data l'opportunità) che il futuro della cultura dell'ospitalità, oltre a giocarsi su cose trite e ritrite, passerà inevita-bilmente attraverso l'arma vincente della professionalità di quanti operano in questo complesso e variegato comparto. Va da sé che la professionalità (è come la salute) non si compera, ma si acquisisce con una formazione di base seria ed impegnativa e poi con aggiornamenti costanti durante lo svolgimento della propria vita professiona-le. Questa premessa (doverosa) per ricollegarmi al tema da me sollevato nel n. 8 de Il Gusto... della Vita, dove ponevo alcuni precisi quesiti a varie componenti sociali (scuo-la - produttori imprenditori dell'ospitalità - professionisti, ecc.), il tutto sempre sul tema FORMAZIONE. E allora, se a dire alcune cose (es.: che i programmi ministeriali non sono idonei, che i docenti degli alberghieri non hanno strumenti, e potrei continuare con i che non...) è un docente dell'alberghiero valido e preparato quale l'amico Isidori, posso dire che non mi sento più solo, ma contestualmente mi dà ancora il coraggio di lottare per migliorare quella che per me è stata una missione e che, concludendo un po' ama-ramente, mi fa domandare: ma le altre componenti dove stanno? Cosa fanno? Non vorrei citare (non sono degno) quella frase biblica che dice “Perdona colo-ro che non sanno quello che fanno”.

...Parliamo di

Esistono già istituzioni statali (gli Istituto Professionali) atte alla formazio-ne di operatori specializzati: ma sono puntualmente bistrattati, comunque non coinvolti, abbandonati a loro stessi o meglio alla volontà del Ministro di tur-no. Esistono Associazioni di categoria riconosciute dalla nostra Nazione che operano da decenni sulla formazione professionale, con docenti preparati e coscienziosi, che puntualmente vengo-no escluse dalla possibilità di aiutare nel-la crescita!

Non basta più andare in giro per il mondo, portarsi dietro salumi, formaggi, vini, amaretti e caffè, fino a servire 1.000 degustazioni (info Resto del Carlino del 24 febbraio, pag. 6), se poi non ci sono gli “uomini” capaci di esporre da dove arriva quel prodotto, se non si è capaci di far vivere al consumatore l’avventura del territorio, la caparbietà del produt-tore, la peculiarità del paese. Tutti sono capaci di far mangiare gratis 1.000 per-sone, ma pochi possiedono l’abilità di raccontare il TERRITORIO!!E rispondo alle domande dell’amico Pazzaglia che faceva sul numero 8 de il Gusto della vita: "No, i programmi di-dattici ministeriali non sono idonei! No, i docenti degli Istituti Professionali non hanno gli strumenti idonei a educare a dovere! No, la selezione del personale non è obiettiva! Come non è obiettiva la scelta di coloro che si danno da fare per racimolare i soldi per i corsi che dovreb-bero FORMARE! Ma questa è la realtà, ancora più condizionata nel futuro, da una riforma dell’istruzione professionale, voluta dal Ministro Gelmini, che metterà ancora di più a rischio la preparazione dei futuri professionisti!"

Ci si accusa di essere poco pre-parati, poco professionisti, oppure “svo-gliati” … ma nella realtà lavoriamo in condizioni pietose, costretti ad utilizzare materie prime di dubbia provenienza perché il nostro Dirigente non ha finan-ziamenti adeguati dallo Stato! In questa situazione, che è realtà, come si può sup-porre di dare la giusta preparazione agli alunni che domani dovranno accogliere gli avventori nel nostro territorio?

E SI, caro Pazzaglia, come do-cente “professionale”, insieme a molti altri colleghi, mi sento profondamente abbandonato dalle Istituzioni. Sciocca-to da riforme che prediligono la “teoria” alla “pratica” solo per risparmiare dena-ro. Perplesso sulla volontà dei nostri “go-vernanti” a destinare, di nuovo, la forma-zione professionale alle Regioni. Deluso all’inverosimile dal dover constatare che tutto quello che si è costruito nelle scuo-le professionali andrà inesorabilmente perso e che nuove risorse saranno spese, o sprecate, per costruire quello che già c’è! Sbigottito perché ancora non si è ben afferrata l’importanza che riveste la formazione professionale nel comparto turistico, ristorativo ed enogastronomico in l’Italia!

Se ora si riusciva a preparare in maniera mediocre gli studenti nei pro-fessionali, da domani, con la nuova rifor-ma, non avranno, sia loro studenti sia noi docenti, la minima possibilità di gettare le basi per quello che sarà il futuro!

Che cosa dire in conclusione! Grazie ministro Gelmini, Lei ha veramen-te a cuore il futuro dei nostri ragazzi e quello del nostro territorio… l’Italia.

di Alessandro Pazzaglia

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La formazione professionale è uno degli obiettivi che la Camera di Commercio di Fermo s’è data fin dal suo insediamento. Obiettivo che il presidente, Graziano Di Battista, con la totale condivisione della Giunta Camerale, ha perseguito nel rapporto con i professionisti e le Associazioni di categoria. Compresa, ovviamente, l‘Associazione Cuochi della Provincia di Fermo che, in fatto di formazione professionale, non è seconda a nes-suno. “Do atto all’Associazione, gui-data da quel grande professionista che è Alessandro Pazzaglia – affer-ma il presidente camerale, Graziano Di Battista - di essere all’avanguar-dia nella formazione professionale, con la quale sa valorizzare al meglio i prodotti enogastronomici della no-stra Provincia: eccellenze che hanno radici storiche, di passione ed amore che ne esaltano le particolarità. Ho gradito l’invito dell’Associazione ad alcuni momenti di studio ed aggior-namento, ed ho potuto apprezzare con quanto calore e competenza di-battono le tematiche legate alla cre-scita della categoria. I professionisti dell‘Associazione hanno il compito di manipolare le materie prime e pre-sentarle al meglio, anche attraverso un look innovativo che sa esaltarne gusto e sapori. Ma non solo. Perché

attraverso la formazione avremo an-che la sicurezza che le pietanze che i nostri chef ci presentano a tavola, sono state preparate nel rispetto di tutte le norme igienico sanitarie, ne-cessarie a salvaguardare la nostra salute. Tutto ciò va nella direzione, da noi auspicata, di una accoglien-za qualificata, per quanti arrivano in Provincia, dall’Italia e dall’estero, per un periodo di vacanza, durante il quale sapranno apprezzare anche le bellezze storico-artistiche delle nostre città – aggiunge Di Battista - dei nostri castelli e borghi unici nel panorama regionale e nazionale. L’Ente che mi onoro di presie-dere sarà sempre vicino a quanti, come l‘Associazione Cuochi, voglio-no crescere attraverso la formazione, ed anche l‘uso delle nuove tecnolo-gie, per dare risposte esaustive ad una domanda sempre più qualifica-ta, che vuole conoscere non solo le nostre eccellenze enogastronomiche – finisce il presidente Di Battista - ma anche le radici delle aziende e del-le persone che all’interno delle stes-se contribuiscono alla produzione di prodotti, che hanno fatto la storia, ed oggi sono proiettate sui mercati na-zionali ed internazionali, delle nostre piccole e medie imprese dell’enoga-stronomia”.

......Camera Commercio Fermo

C A M E R A DI C OM M E RC IO F E R MOVia Respighi, 8

63023 Fermo - [email protected]. 0734 228142

Il Presidentedella Camera Commercio di FermoGraziano Di Battista

f o r m a z i o n e p r o f e s s i o n a l e

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COMUNITÀ DEL CIBO “OLIO DEL PIANTONE DI FALERONE”

Nel territorio dove l’antica Roma attingeva ai suoi prodotti, noi oggi, do-vremmo guardare a ciò che ci circonda con gli occhi esperti e lungimiranti dei ro-mani di allora. Non ci sfuggirebbero, cer-to, le stagioni con il loro carico di prodotti appena arrivati a maturazione e subito pronti per essere consumati. E di nuovo in attesa di altri che ne arriveranno al se-guire della pioggia, della neve, del sole e del caldo torrido di qualche estate. Pur-troppo non sappiamo più aspettare. Né più guardare attentamente ai cambia-menti dei colori intorno. Anche di quei prodotti che sono lì da sempre, che ogni stagione ripropone come un appunta-mento a teatro e che in gergo agricolo definiremo, tradizionali, legati alla storia e consumabili ogni anno perché appar-tengono alla nostra cultura alimentare e gastronomica. E così spesso le produzio-ni che rappresentano il passato vengo-no rimpiazzate con qualcosa di nuovo, di estraneo. Lo Slow Food tra i suoi progetti si è posto l’obiettivo di ripristinare ciò che è stato sostituito nel tempo o ampliare ciò che sta per essere perso, smarrito. I Presi-di sono nati nel 1996 con questo obietti-vo e le Comunità del Cibo a seguire. Nei luoghi, noti ai romani, dove nel 29 a.C. per ordine di Ottaviano nasce Falerio Pi-cenus, piccola ed opulenta città mate-rialmente e giuridicamente somigliante a Roma, nel 2001 si uniscono i Produttori Associati Falerio Picenus. L’Associazione nasce per la produzione valorizzazione e commercializzazione di olio della varietà autoctona Piantone di Falerone ma pre-vede tutte quelle attività legate all’olio

ai fini della promozione e valorizzazione del territorio conosciuto anticamente come centuriazione romana “Falerio Pi-cenus”. La produzione di olio di oliva in quest’area che oggi possiamo identifi-care con i comuni di: Francavilla d’Ete, Montegiorgio, Magliano di Tenna, Bel-monte Piceno, Servigliano, Falerone, Monte Vidon Corrado, Montappone, Massa Fermana, Sant' Angelo in Pon-tano, Penna San Giovanni, Monte San Martino e Santa Vittoria in Matenano è documentata dai rinvenimenti di Torcu-laria e relativi Dolii nelle numerose ville rustiche sparse sul territorio.

Maggiore esaltazione al valore di questo prodotto che rientra nella tra-dizione del territorio e conosciuto per la sua qualità, fin dai tempi dei romani, è stata consolidata costituendo la Comu-nità del Cibo Slow Food.

Numerose attività hanno fatto conoscere le peculiari caratteristiche dell’olio della varietà Piantone di Fale-rone riconosciuta fin dall’antichità come varietà di pregio e tipica di un ristretto territorio dove troviamo piantoni secola-ri allorquando negli anni non sono stati sostituiti da altre varietà. Proprio la estir-pazione e sostituzione di questi alberi si vuole evitare; dando un valore storico, paesaggistico e di qualità all’olio che se ne ottiene, si spera in una reintroduzione della varietà in nuovi impianti ed una op-portunità per le aziende di un territorio pedemontano per crescere e valorizza-re la loro produzione.

Il nostro territorio ci rende orgogliosi agli occhi dei visitatori già solo per il fatto di beneficiare di tante meraviglie in ogni momento. Questo avviene a chi è più attento e consapevole.

di Meri RuggeriFiduciaria Slow Food Fermano

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Paolo Massobrio è il grande capo nazionale del Club di Papillon. In queste settimane sta correndo su e giù per l’Ita-lia. Deve chiudere il Golosario 2011, che è un librone grande, colorato, ricco di notizie, talmente grosso da fungere qua-si da corpo contundente. Del palato, s’intende! È una miniera, Il Golosario, da cui estrarre le più succulenti informazioni cir-ca il “gusto”. Già, proprio così. Ci trovi i luoghi del gusto, i vini d’Italia, i ristoranti di Papillon, i premi di Golosaria, i produt-tori di cose buone. Paolo, mi permetto di chiamarlo così perché lo conosco personalmente, alla domanda cos’è Il Golosario, dice: “Oggi risponderei che è una ‘guida turi-stica’. In realtà l’avevo concepita come il mio personale diario di appunti delle cose buone che via via scovavo girando il Bel Paese”. E quando cominciò? “Tutto in-cominciò all’inizio degli anni ’90, quan-do conobbi Giorgio Onesti, il guru delle cose buone che mi portava a far la spesa da Franchin a Padova e via via mi spie-gava l’evoluzione di un’Italia delle cam-pagne che mirava alla conservazione dei sapori, ma soprattutto a una nuova concezione di qualità. Allora non ce ne rendevamo conto, ma stava nascendo un modello tutto italiano, che avrebbe rivoluzionato i consumi, ed anche la stes-sa distribuzione”. La prima edizione è stata quella del 1994. Poi, dal 2000, il librone è diven-

IL CLUB DI PAPILLON,OVVERO IL RACCONTO DELLE COSE BUONE

tato un appuntamento annuale. E Mas-sobrio corre la Penisola, sguinzaglia i pro-pri amici, chiede ai propri club, verifica personalmente, assaggia personalmen-te, visita personalmente, e scrive, spiega, indica e invita.

Con il tempo Il Golosario è di-ventato un libro da portare sempre die-tro, da “tenere in auto” dice lui, “perché non c’è solo il ristorante, ma anche il ne-gozio nel cuore di una città, o l’agritu-rismo, che è l’evoluzione moderna del lavoro agricolo”. Il Bel Paese, continua Paolo, il modello tutto italiano “non è ingloba-bile, non ha scatole dove rinchiuderlo, non si fa appiattire. Ha invece i suoi cen-tri nell’agricoltura ancora viva (e diffi-date dai de profundis interessati che la liquidano velocemente, parlando di un’agricoltura a scandenza per il 2013) e nelle botteghe, quelle autentiche che da sempre raccontiamo accanto ai produttori”. Essì, perché Massobrio si avvici-na ai sapori, ai prodotti, ai locali, rac-contando le donne e gli uomini che ci sono dietro, le fatiche che compiono, i sacrifici che fanno, la bellezza della loro e nostra terra. Quella che si tocca, quella che è sotto i nostri piedi, e non può tradirci. La realtà insomma, fatta di persone e di ambiente, di comunità e di valori. Del Gusto… della Vita, se per-mettete!

Adolfo Leoni

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...Club di Papillon

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...Pensare biologico

Di notte ancora si svegliava sempre per le sce-ne di orrore che aveva visto in guerra, in Jugoslavia, di come i partigiani di Tito uccidevano gli ufficiali ne-mici. Questo libro è anche per i ragazzi delle scuole e non posso dire come. Nei giorni scorsi abbiamo rivisto con gli ospiti svizzeri del commercio equo e solidale l’intervista che gli fece Paolo Guidicini per Linea Ver-de della Rai nel 1982. Scene del suo podere ben ordi-nato, ancora i pagliai, le catasse di legna, un’opera d’arte, e lo strame riportato con il trattore e la slitta con Gigi Romani, uno dei fondatori anziani della Coo-perativa Alce Nero. Si vedeva il forno con un pezzo di tetto in rovina: “Quando lo aggiusterà il forno?” chie-se l’intervistatore. - Mai! - rispose Tero, - perché dopo di me non ci sarà più nessuno a fare questa vita che si tramandava di padre in figlio da millenni -. Nel 1983 mi sembrò un’affermazione un po’ forzata, ma si ca-piva che il non voler aggiustare il forno era per lui una forma di protesta. Protesta perché capiva che quel suo podere non dava nessun avvenire a suo figlio. Protesta perché non ci voleva molto a capire che i contadini e le campagne non interessavano più a nessuno, nemmeno ai sindacati che dagli ultimi con-tadini traevano il loro stipendio. Non interessano più nemmeno oggi che siamo andati a sbattere nel muro dello Sviluppo e del Pil che doveva sempre crescere, che era un’idea così stupida che anche gli analfabeti capivano. Anzi solo gli analfabeti potevano capire, perché quella che Ceronetti chiama la malavita lau-reata non lo capisce nemmeno ora. Lo stesso anno che da Tero c’era Fazzuoli con Linea Verde un vecchio maggiolino parte da Isola del Piano per Roma. A bordo Sergio Quinzio con un gio-vane socio fondatore di Alce Nero, Daniele Garota, l’autore di questo libro. Erano diretti da Armando Ar-mando uno degli editori classici italiani, autorevoli, fiu-to sopraffino per gli autori da imbarcare nell’editrice: con Sante Bagnoli della Jaca Book comprese il valore di un giovane rivoluzionario che usava le sue idee Per rovesciare le istituzioni, più che gli altri contemporanei con le molotov: Ivan Illich. Quel giorno Armando fece fare dalla sua straordinaria segretaria Rosanna un as-segno da un milione per comprare i diritti d’autore per Immagini dal mondo contadino.

Difensori di nostra madre Terra erano i protago-nisti di quel mondo illustrato da Daniele, difensori, figli, custodi, perché ne facevano parte, erano un tutt’uno. Noi oggi invece continuiamo a violentarla, passano i decenni, ma nessun tutore della pubblica salute ci di-fende dai diserbanti, dagli antiparassitari, dai pesticidi, difendendosi dietro un principio che è vecchio come la clava: quello di pensare che quelle sostanze non sono dannose se non superano certi limiti, facendo fin-ta di non sapere che ne hanno autorizzate migliaia e migliaia. Come non pensare alle sinergie nell’organi-smo umano, all’effetto nei bambini, all’acqua che si beve. Noi abbiamo decine di associazioni di ambien-talisti che difendono il verde, gli uccellini, i lupi e le vol-pi, mai nessuno che abbia difeso la vita e il lavoro dei vecchi contadini, nei parchi qualsiasi presenza umana dava fastidio. È chiaro il perché io voglio bene a questi centomila agricoltori biologici italiani che dimostrano con le loro scelte e il loro lavoro quotidiano che si può praticare un’agricoltura pulita, anche se con i cavalli a motore, come quella dei nostri padri. Vedendo i me-stieri e i personaggi illustrati da Garota mi tornano alla mente i nomi di quelli che abbiamo conosciuto: Gino de Bigolòn, Mench de Spinaci, Gig de Chiuclìn, Celso de Carlet, Mato de Rota (il babbo di Daniele), Pistulin, Peppacc, ed è come se un mondo magico riapparis-se. Non sono mai riuscito a far capire ai miei interlocu-tori (tra cui sia Sergio Anselmi che Paolo Volponi) che dipingere quel mondo solo come simbolo della miseria e della povertà è stata un’operazione di una violenza inaudita, simile nello stile al modello agricolo di Lenin e Stalin, lasciando intendere così che il mondo delle fab-briche e delle periferie delle città fossero l’Eldorado e il Paradiso. Aveva ragione Guido Ceronetti in quelle pa-gine straordinarie sul mondo delle campagne che mi regalò nel 1973: con quegli uomini spariva una grande povertà, ma insieme spariva anche qualcosa per cui valeva la pena vivere. Sono contento che sia Arianna Editrice a pubblicare questo libro perché ogni giorno, dopo le lodi, mi informa sul mondo senza le lenti foderate di parmacotto.

L’ultimo dei nostri padri: Tero Fattori

di Gino Girolomoni

Se ne è andato a febbraio a ottantasette anni, era del 1923. Fino a dicembre aveva raccolto le olive salendo lui sugli alberi con la motivazione detta al figlio che se cadeva lui non faceva in tempo a fargli male, la caduta.

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M° Antonio SantangeloPresidente dell’Associazione“Italy Percussive Arts Society” e Direttore Artistico dellamanifestazione.

di Adolfo Leoni

...Diario di bordo

Wiebke Dirks, giornalista tedesca, è un trainer motivazionale. Dopo aver girato il mondo, ha scelto di vivere nella campagna di Belmonte Piceno. Ogni sabato mattina è ospite fissa della rubrica “Mi ritorni in mente” su Radio Fermo Uno. In una delle ultime puntate s’è incon-trata con un giovane imprenditore. Gianlu-ca Monsignori, insieme al socio titolare di un famoso forno-pasticceria di Camerino, ha aperto un laboratorio di pasticceria a Molini Girola. L’enogastronomia c’entra sempre a “Mi ritorni in mente”. Gianluca ha raccontato dei dolci che produce nel suo forno e “Wi-cky” delle specialità tedesche che prepara in proprio. È scattata l’idea: dati i tanti stra-nieri che abitano il Maceratese, Fermano, Ascolano perché non produrre – magari epi-sodicamente - le loro specialità dolciarie?

Vado in trattoria e leggo il menù. E penso a quanto sarebbe importante cono-scere la provenienza del cibo. Esempio: pa-sta all’uovo prodotta da tal de tali; formaggio del caseificio x; prosciutto della norcineria y; rosso dell’azienda alfa; ecc. ecc. Arriva l’estate, arriveranno i turisti. Facciamo trovar loro le Case del Gusto, lo-cali ricavati in residenze di prestigio dove s’espongano e si vendano tutti i prodotti tipi-ci dell’area di riferimento: dal miele al capel-lo, dalle olive fermanelle alle scarpe.

Martedì 11 e mercoledì 12 maggio il sottoscritto e Cecilia Romani Adami sono andati ad “allenare” una delegazione di universitarie e docenti di economia turistica della Croazia e della Bosnia. La Dalmazia ha puntato tanto sulla costa, meno sull’interno. Si potrà fare molto. La nostra rivista è piaciu-ta. Il Gusto… della Vita ha trovato casa di là del Golfo di Venezia.

A proposito di Cecilia Romani Adami, grazie al suo stupendo palazzo fermano (un resort di charme) e alla sua nobile ospitalità,

alla Terra di Marca è stato riservata un pagi-none sul Financial Times. Scusate s’è poco!!!

L'Associazione il Ponte di Fermo ha or-ganizzato a maggio e giugno il quinto corso di cucina etnica: tre giornate per conoscere i sapori della Polonia, Sri Lanka, Marocco.

Stefano Belà (voce e tamburelli) di Montefiore dell'Aso e Simone Belleggia (or-ganetto) di Moresco compongono il duo “I Fellaccià”. Un vero e proprio fenomeno di massa con i loro stornelli tutti da ridere e tan-tissimi fans che li seguono sia nelle feste di piazza in cui si esibiscono che nelle loro usci-te discografiche.

FERMO 3 / 12 SETTEMBRE 2010GIORNATE DELLA PERCUSSIONE VIII edizione

Un Festival dal respiro internazionale; un Full Immersion lungo DIECI giorni che coinvol-gerà tutti i campi dell’arte percussiva; un’occasione unica di incontro tra studenti e Maestri e di crescita personale, artistica e musicale: atmosfera straordinaria.

Organizzato dall’Associazione “Italy Percussive Arts Society”, con il Patrocinio del Mini-stero Affari Esteri, Ministro della Gioventù, Provincia e Comune di Fermo, Società Italiana degli Autori ed Editori, Gioventù Musicale Italiana (Sez. di Fermo) ecc… il festival da questa edizione si svolgerà, dal 3 al 12 settembre, presso il Centro “Villa Nazareth” di Fermo, un posto incantevole sulle colline del fermano. Grazie all’apporto di autorevoli musicisti internazionali, ospiti per le Giurie, Master Classes e Concerti, Fermo è diventata la capitale di un evento che ogni Nazione si pregia di organizzare. La manifestazione riconosciuta a livello mondiale, valorizza il patrimonio artistico e cul-turale della Città, favorisce la formazione artistica e culturale, la creatività e l’aggregazione giovanile, l’innovazione e il sostegno della didattica musicale. Questo è stato possibile grazie al continuo lavoro del M° Antonio Santangelo, Presidente dell’Associazione e Direttore Artistico della manifestazione.

Il programma delle “Giornate” è il seguente:- dalle ore 09.00 alle ore 13.30 CONCORSO INTERNAZIONALE- dalle ore 15.00 alle ore 19.30 MASTER CLASSES, SEMINARI- dalle ore 10.00 alle ore 20.00 ESPOSIZIONE di STRUMENTI e MATERIALE DIDATTICO- dalle ore 21.00 alle ore 23.00 CONCERTI - dalle ore 21.00 gg. 5 / 8 / 12 Concerti e Premiazione dei Vincitori del Concorso

www.santangelopercussioni.it e-mail: [email protected]

Prossima iniziativa, in anteprima, dell' Associazione Cuochi Fermo che, dopo il suc-cesso del corso tenuto con lo chef Marcan-tonio Sagramoso, ha deciso di organizzarne un altro, di Pasticceria (dolci), che si terrà il prossimo ottobre 2010. Chiunque fosse inte-ressato può telefonare al 330 650208.

Chiudiamo la nostra rubrica con un abbraccio affettuoso e le nostre condo-glianze a Walter Testoni. Il cuoco e segretario dell’Associazione Cuochi della provincia di Fermo ha perso recentemente la mamma, signora Bruna Marcotulli.

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