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delle Libertà P R I M O P I A N O M E L L I N I A P A G I N A 3 Il centrodestra di ieri, oggi e domani P O L I T I C A P I L L I T T E R I A P A G I N A 2 A.A.A. Casa dei moderati cercasi! E C O N O M I A P A S Q U A R E L L A A P A G I N A 4 Lavoro e occupazione: il grande paradosso della formazione E S T E R I M A G N I A P A G I N A 5 Presidenziali Usa: ma se alla fine vincesse Donald Trump? C U L T U R A M I S C I A G N A A P A G I N A 7 Kung Fu Panda 3, il panda Po nel terzo capitolo della saga Il frettoloso parricidio di Matteo Salvini S e le gatte frettolose fanno i gattini ciechi, i parricidi frettolosi ren- dono ciechi quelli che li compiono. L’esempio di Gianfranco Fini non sembra aver insegnato nulla a Mat- teo Salvini. Che, come l’ex Presidente della Camera dei deputati ai tempi della spaccatura del Pdl, sembra con- vinto di aver rottamato una volta per tutte Silvio Berlusconi ma che nei fatti si è limitato a trasformare un padre nobile ancora legato al com- pito di federare le diverse anime del centrodestra nato nel 1994 in un concorrente destinato a mettergli contro quelle grande area moderata di cui il leader leghista non può fare a meno se vuole diventare il capo dell’alternativa al regime renziano. Per compiere un parricidio non frettoloso, come quello di Fini, Mat- D al nichilismo nietzschiano in poi abbiamo imparato che, differen- temente dagli archetipi, le idee tra- montano. È accaduto alle grandi ideologie del Novecento, succede oggi di assistere all’esaurimento di processi politici e culturali che per qualche momento sono apparsi illu- soriamente irreversibili. Questa è la lezione che sta al fondo del disastro romano sulla scelta del candidato sindaco della coalizione del centro- destra. L’intuizione che sorresse la di- scesa in campo di Silvio Berlusconi, nel 1994, oggi non è più attuale. L’imprenditore prestato alla politica aveva compreso che solo riunendo sotto un’unica bandiera tutte le op- posizioni alla sinistra si potesse im- pedire il trionfo in Italia del post-comunismo innervato da un non meno pericoloso cattolicesimo massimalista. Berlusconi è stato il cuore e il simbolo dell’Italia bipolare. Un bipolarismo che, in coerenza con Il centrodestra e la scuola romana teo Salvini avrebbe dovuto incomin- ciare da tempo a passare dalle felpe al doppiopetto lanciando messaggi rassicuranti agli elettori dell’area berlusconiana. Da leader del partito al momento più consistente dello schieramento antirenziano... In Sicilia Berlusconi apre ai centristi il suo tempo storico, ha assunto una dimensione antropologica e prepoli- tica. Oggi il mondo, con le civiltà che lo popolano e le economie che lo muovono, è profondamente cam- biato. Nuovi bisogni si sono imposti nelle vite dei singoli individui e delle comunità che richiedono alle classi dirigenti un riposizionamento strate- gico. Le vecchie coalizioni del bipo- larismo novecentesco, fondate sul binomio Destra-Sinistra, sono supe- rate. Guardiamo cosa sta accadendo nel centrodestra: le visioni del mondo di cui sono portatrici le sue diverse anime hanno perso la forza, e la voglia, di fare sintesi. Accade in Italia ciò che da tempo si verifica nella maggior parte dei Paesi del- l’Unione: non esiste in natura un “centrodestra”, ma solo “Destre” che si combattono aspramente l’un l’altra. Come in Francia, dove il Front National di Marine Le Pen e i “Repubblicani” di Nicolas Sarkozy sono nemici acerrimi. Quello a cui stiamo assistendo in Italia è un’evoluzione del tutto fisio- logica della politica verso un’armo- nizzazione con il quadro europeo. Solo il persistente effetto del “mira- colo” berlusconiano aveva finora consentito che si determinasse un’anomalia del centrodestra ita- liano rispetto al resto dello scenario continentale. In molti obiettano che questa “europeizzazione” consegnerà il potere alla sinistra...

In Sicilia Berlusconi apre ai centristi - Opinione · 2016. 3. 21. · Kung Fu Panda 3, il panda Po nel terzo ... la voglia, di fare sintesi. Accade in Italia ciò che da tempo si

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  • delle Libertà

    PRIMO PIANO

    MELLINI A PAGINA 3

    Il centrodestradi ieri, oggi e domani

    POLITICA

    PILLITTERI A PAGINA 2

    A.A.A. Casa dei moderati

    cercasi!

    ECONOMIA

    PASQUARELLA A PAGINA 4

    Lavoro e occupazione: il grande paradosso della formazione

    ESTERI

    MAGNI A PAGINA 5

    Presidenziali Usa:ma se alla fine vincesse

    Donald Trump?

    CULTURA

    MISCIAGNA A PAGINA 7

    Kung Fu Panda 3, il panda Po nel terzocapitolo della saga

    Il frettoloso parricidio di Matteo Salvini

    Se le gatte frettolose fanno i gattiniciechi, i parricidi frettolosi ren-dono ciechi quelli che li compiono.L’esempio di Gianfranco Fini nonsembra aver insegnato nulla a Mat-teo Salvini. Che, come l’ex Presidentedella Camera dei deputati ai tempidella spaccatura del Pdl, sembra con-vinto di aver rottamato una volta pertutte Silvio Berlusconi ma che neifatti si è limitato a trasformare unpadre nobile ancora legato al com-pito di federare le diverse anime delcentrodestra nato nel 1994 in unconcorrente destinato a metterglicontro quelle grande area moderatadi cui il leader leghista non può farea meno se vuole diventare il capodell’alternativa al regime renziano.

    Per compiere un parricidio nonfrettoloso, come quello di Fini, Mat-

    Dal nichilismo nietzschiano in poiabbiamo imparato che, differen-temente dagli archetipi, le idee tra-montano. È accaduto alle grandiideologie del Novecento, succedeoggi di assistere all’esaurimento diprocessi politici e culturali che perqualche momento sono apparsi illu-soriamente irreversibili. Questa è lalezione che sta al fondo del disastroromano sulla scelta del candidatosindaco della coalizione del centro-destra. L’intuizione che sorresse la di-scesa in campo di Silvio Berlusconi,nel 1994, oggi non è più attuale.L’imprenditore prestato alla politicaaveva compreso che solo riunendosotto un’unica bandiera tutte le op-posizioni alla sinistra si potesse im-pedire il trionfo in Italia delpost-comunismo innervato da unnon meno pericoloso cattolicesimomassimalista. Berlusconi è stato ilcuore e il simbolo dell’Italia bipolare.Un bipolarismo che, in coerenza con

    Il centrodestra e la scuola romana

    teo Salvini avrebbe dovuto incomin-ciare da tempo a passare dalle felpeal doppiopetto lanciando messaggirassicuranti agli elettori dell’areaberlusconiana. Da leader del partitoal momento più consistente delloschieramento antirenziano...

    In Sicilia Berlusconi apre ai centristi

    il suo tempo storico, ha assunto unadimensione antropologica e prepoli-tica. Oggi il mondo, con le civiltà chelo popolano e le economie che lomuovono, è profondamente cam-biato. Nuovi bisogni si sono impostinelle vite dei singoli individui e dellecomunità che richiedono alle classidirigenti un riposizionamento strate-gico. Le vecchie coalizioni del bipo-larismo novecentesco, fondate sulbinomio Destra-Sinistra, sono supe-rate. Guardiamo cosa sta accadendo

    nel centrodestra: le visioni delmondo di cui sono portatrici le suediverse anime hanno perso la forza, ela voglia, di fare sintesi. Accade inItalia ciò che da tempo si verificanella maggior parte dei Paesi del-l’Unione: non esiste in natura un“centrodestra”, ma solo “Destre”che si combattono aspramente l’unl’altra. Come in Francia, dove ilFront National di Marine Le Pen e i“Repubblicani” di Nicolas Sarkozysono nemici acerrimi.

    Quello a cui stiamo assistendo inItalia è un’evoluzione del tutto fisio-logica della politica verso un’armo-nizzazione con il quadro europeo.Solo il persistente effetto del “mira-colo” berlusconiano aveva finoraconsentito che si determinasseun’anomalia del centrodestra ita-liano rispetto al resto dello scenariocontinentale. In molti obiettano chequesta “europeizzazione” consegneràil potere alla sinistra...

  • Cercasi centro disperatamente,sembra il grido che si leva dallesparse membra del centrodestra. Èquanto sostiene Maurizio Lupi sul“Corriere” di ieri, dove, al di là dellacitazione del Nicolas Sarkozy dei di-sastri (per noi) in Libia, ha messo infila una serie di idee e di proposte deimoderati, davanti allo stallo, anzi alfunerale, del centrodestra.

    Per certi aspetti si va delineandoun nuovo, nuovissimo corso dentroil caos del fu centrodestra, benchéavvisaglie e indizi probatori ne rive-lassero quotidianamente la portata el’indirizzo finale. E forse non c’eracosì bisogno degli sfracelli dell’exPolo nella Capitale per comprenderedefinitivamente il significato politicodell’esaurimento della fase federa-tiva del Cavaliere. Forse... Ma que-sta evidenza di fine fase delcentrodestra così com’era e comenon sarà mai più, potrebbe - usiamol’obbligato condizionale - servire ariprendere un nuovo racconto, uncapitolo tutto da scrivere per la ri-costituzione di un’area che ha subitocolpi fatali, a Roma ma non solo.Una ricomposizione che risponda alvero e proprio smontaggio dell’alle-anza, come lo si definisce da moltidella Lega - che di smontaggi delcentrodestra sono maestri, già dallontano 1995. Solo che, allora, laleadership centrista e centrale delCavaliere era incontrastata ancheperché fu in grado di compiere il mi-racolo di tenere insieme, federare, iprovenienti dai poli opposti, gli exfascisti di Gianfranco Fini e i separa-tisti-secessionisti di Umberto Bossi.La comprovata impossibilità del Ca-valiere di mantenere un’alleanza congli “opposti estremismi” ha da unlato contribuito ai progressivi ab-bandoni di Forza Italia, da Alfano,Verdini, Lupi, dall’altro ai distacchi“ideologici” della Lega e, in parte, diFratelli d’Italia. Sic stantibus rebus,non resterebbe che tirare i remi inbarca, per qualcuno, e per altri sfi-dare il mare aperto. La politica èmovimento nel senso che riesce, avolte, a trasformare in opportunitàuna seria battuta d’arresto, a utiliz-

    zare una sconfitta per riprendere undiscorso diverso, purché, innanzi-tutto, si raccolga il guanto di sfidalanciato.

    La sfida è quella di Matteo Salvinie anche di Giorgia Meloni, ma nonsi sa se di tutta la Lega e di tutto Fra-telli d’Italia, basti leggere il pensierodi Bossi e di Maroni. Si vedrà. Maallo stato il problema non è questo,giacché il mare aperto indicato dallavoglia matta salviniana di rottama-zione naviga verso l’opzione poli-tico-ideologica di un lepenismoall’italiana, che è antitetica a quella“centrista” berlusconiana, avendocome principio ispiratore di fondo lacreazione di una destra estrema ne-mica innanzitutto del centro, cioèdel moderatismo. Dire però che que-sto viaggio intrapreso da Salvini siaun tradimento, se non una follia, èl’errore che fa chi non pensa ai pro-

    pri guai e a risolverli. La rottama-zione del capo della Lega non è peròla stessa di Renzi, pur possedendoqualche caratteristica, ma in super-ficie, giacché quella del Premier si èsvolta tutta all’interno del PartitoDemocratico, passo dopo passo, pri-marie dopo primarie. Cattiva e ci-nica fin che si vuole, possiedecomunque una sua logica e un suopercorso per dir così istituzional-partitica, una coerenza politica, di-scutibile, discutibilissima finché sivuole, ma... Quella di Salvini derivada un cambio di rotta radicale nel suopassaggio dal separatismo del Nordal nazionalismo con l’uscita dal-l’Euro, dal secessionismo Lumbardcontro Roma ladrona, al patriottismoper ergere muri anti-extracomunitari,in salsa lepeniana si capisce. Il rotta-mare salviniano, in questo contesto,riguarda esclusivamente gli altri, mai

    se stessi. Da considerarsi semprenuovi o quasi, tutti gli altri, invece, dabuttare o da scartare, specialmentese provenienti dal prima, i cosiddettie detestati “revenant”. Cosicché “ilmodo di fare politica di Verdini èquello che più odio”, si disprezzano irevenant e il ritorno di Mastella inForza Italia è visto come il fumo negliocchi, Bertolaso è roba vecchia, cioèberlusconiana, da non votare, “nonsalirò mai su un palco dove ci sonosostenitori del governo Renzi” - que-st’ultima è una minaccia non pocolieve per lo stesso Stefano Parisi, incorsa per il Comune di Milano, inun’alleanza unitaria fra Forza Italia,la Lega e Maurizio Lupi di un Ncdparte costituente del Governo.

    Insomma, la situazione è grave,ma non seria. Non esiste il problemadei revenant se non al cinema conLeonardo Di Caprio. In politica uno

    vale o non vale. Mastella candidatoa sindaco di Benevento è una cartada giocare per il suo valore in sé,tanto più se riferito al deserto oquasi che lo circonda. Non parliamodei revenant dentro la Lega dovetutti, chi più chi meno, apparten-gono ad una fase trascorsa, adun’Italia che non c’è più, ad unprima ed a un dopo. Altro chenuovo che avanza.

    Che fare, dunque? Lungi da noi,osservatori disincantati, prescrizionie ricette. C’è tuttavia un vuoto dariempire, uno spazio che si rende li-bero, vuoi per la fine delle capacitàfederative del Cavaliere, vuoi per iltasso di estremismo iniettato nelcentrodestra da un leader (perchéleader lo è davvero) come Salvini.Lega e Movimento Cinque Stelle in-colpano di occulto filorenzismo lostesso Cavaliere, e di renzismo ope-rante il solito Verdini, oltre che Al-fano e Lupi. In realtà Salvini eGrillo, loro sì, rischiano di fare ilgioco dell’altro Matteo, un abile cac-ciatore di consensi centristi, Verdinidocet, per l’appunto. Il vuoto dariempire è la casa dei moderati,un’operazione che sembra ritornareal “Nazareno”, più simile peraltroalle antiche “larghe intese”, ma in ef-fetti risalente alle radici del Polo.Nondimeno comporta un lavoro au-tonomo, faticoso ma importante,impegnativo ancorché doloroso per-ché doverosamente autocritico, dibuona lena, estremamente necessa-rio per il sistema paese. Perché po-tenzialmente capace di competerecon un Matteo Renzi che appare edè l’uomo solo al comando. C’è chivuole far sparire il centro assorben-dolo in una estremizzata colloca-zione che lo renderà comunquemarginale. C’è chi invece crede cheil centro politico non corrisponda adun cerchio geometrico, ma al luogodove si coniugano le tradizioni, lepassioni, le storie, le eredità di unapolitica degna di questo nome. Chiha buon filo da tessere...

    ricare un’area moderata considerata inutiliz-zabile per il suo progetto di dare vita ad unblocco di stampo lepenista in grado di diven-tare maggioritario attraverso un travaso di votiprovenienti del mondo grillino. In questa luceva inteso il suo annuncio di sostenere i candi-dati del Movimento Cinque Stelle che doves-sero andare al ballottaggio con quelli delPartito Democratico. Ma è proprio questa suascelta di tentare di fare del populismo di destraun polo attrattore di quello di sinistra che su-scita il sospetto di una limitata visione strate-gica da parte del leader della Lega. Almomento appare molto più facile che sia ilpolo populista di sinistra ad attrarre i voti diquello lepenista di destra. Non a caso Salvinipensa a dare ai ballottaggi i propri voti ai gril-lini e non viceversa. Ed anche nei tempi piùlunghi appare del tutto improbabile che ilblocco lepenista, che tra l’altro non riesce ad

    Politica

    segue dalla prima

    ...sarebbe diventato automaticamente succes-sore del Cavaliere al momento della sua uscitadi scena. Invece ha bruciato i tempi usando leamministrative di Roma, che alla Lega non in-teressano non solo per motivi vetero-ideologici,ma perché la sua presenza nella Capitale è pu-ramente ideologica, per l’affondo contro ilpadre nobile. Ed ora se la deve vedere con unavversario a cui da sempre gli attacchi e le ag-gressioni moltiplicano le energie e che non haalcuna intenzione di farsi pensionare d’autoritàdai rampanti di una destra radicale da sempreminoritaria nel Paese.

    È probabile che Salvini non sia affatto ciecoe che il suo obiettivo sia proprio quello di sca-

    Il frettoloso parricidio di Matteo Salvini

    risolvere il problema? Logica vorrebbe che sichiamassero i propri elettori a decidere su chipuntare per guidare la battaglia in presenza diuna piattaforma comune di azioni da promuo-vere. Ma quando i contenuti latitano e le cam-pane suonano note dissonanti su cosas’interpella la comunità? D’ora in poi ci si abi-tui a pensare che il centrodestra sia finito.Kaput. Ci si metta una pietra sopra e si comincia ricostruire qualcosa di nuovo dalle fonda-menta. È la vita degli uomini che va così. E leidee, com’è noto, camminano sulle gambe degliuomini.

    A.A.A. Casa dei moderati cercasi!

    espandersi nelle regioni centro-meridionali delPaese, possa arricchirsi dei voti di Grillo e pen-sare di diventare forza di governo alternativa aRenzi.

    Nel frattempo, infatti, il Cavaliere torneràad essere rampante e l’area moderata dovrà ne-cessariamente rigenerarsi con nuove energie enuovi soggetti decisi a non morire né renziani,né populisti.

    ...condannando una parte maggioritaria delPaese, pur nelle sue diversissime declinazioni,all’irrilevanza. È probabile che sia così. Tutta-via, si può anche vincere uniti ma se la si pensatanto diversamente non si va lontano. Nonsono pochi coloro che nel centrodestra, pur dievitare di finire sfracellati nelle urne romane,stanno riconsiderando l’ultima spiaggia delleprimarie. Sarebbe un modo per tentare di in-collare i cocci del vaso rotto.

    Ma prima bisognerebbe rispondere alla do-manda posta ieri da Arturo Diaconale: puòuna soluzione tecnica colmare un vuoto di stra-tegia politica? Il punto è esattamente questo. Èinutile girarci intorno: Matteo Salvini ha spa-rigliato il gioco, rompendo dove la coalizionevive le maggiori contraddizioni. Nel mirinodell’offensiva leghista, più che la leadershipberlusconiana, è entrata quella porzione diForza Italia, radicata nella Capitale, che ha unagenealogia spiccatamente democristiana e so-stiene posizioni tradizionalmente più moderatee in linea con quelle del popolarismo europeo.È verosimile immaginare che una conta possa

    Il centrodestra e la scuola romana

  • Oramai è chiaro: il “Centrode-stra”, la coalizione dei cosid-detti “moderati” messi assieme daSilvio Berlusconi, e vissuta per annicome una congrega di parassiti instolta attesa della liquidazione delloro benefattore per poterne arraf-fare un’improbabile eredità, non esi-ste più. I parassiti non hannoneppure avuto la pazienza diattendere la fine politica delCavaliere. Hanno anticipatola “riscossione” delle loropretese “parte” della futuraeredità. Hanno scelto il sui-cidio.

    Berlusconi, aggreditodalla più sfacciata e grotte-sca operazione di giustizia“di lotta”, strumentalizzataal fine della conquista delpotere, è stato per anni la-sciato solo dai suoi cosid-detti “alleati” a vederselacon una assurda tempestadi azioni giudiziarie, dallequali i parassiti hanno sem-pre cercato di trarre pro-fitto, presentandosi come la“parte buona” della coali-zione, perché, magari, ri-sparmiati dall’assalto direttodelle Toghe per la loroscarsa rilevanza.

    Ma il danno maggioreche la Lega, il M.S.I.-Alle-anza Nazionale, Bossi, Fini etutto l’esercito dei parassiti(fuori e dentro Forza Italia)hanno arrecato a Berlusconied al suo progetto politico, èstato quello di aver impostoalla coalizione una linea“moderata” (espressione,oltre che sciocca, anche im-propria) insita, certo, nellastessa indole e nella identità

    culturale e sulle capacità del Cava-liere, reprimendo i suoi slanci versoun liberalismo magari in po’ con-fuso, pure presente nella sua perso-nalità e nel suo ruolo.

    Alfredo Biondi (la tessera n. 2 diForza Italia, come amava ricordare)ex segretario di un Partito Liberaletutt’altro che “rivoluzionario”, par-tito microscopico e irretito oramainel “Sistema Dc”, raccontava che

    Berlusconi, quando gli aveva propo-sto l’avventura di Forza Italia, glidisse: “Faremo un partito liberale dimassa”. Era noto l’amore di Biondiper le battute brillanti e feroci. Gli ri-spose: “Di Massa? purché non risultipoi di Carrara...”. Certo è cheBiondi, dei personaggi con un pas-sato ed una esperienza politici ac-corsi alla “chiamata” del Cavalierealla sua scesa in campo fu l’unico

    che, bene o male, si pose il problemadel golpe giudiziario in atto, rica-vandone dagli stolti “alleati” leghistie missini l’appellativo di “autore deldecreto salvaladri”, una ferita cheBiondi si è portato e si porta nel-l’anima e che forse gli fece compren-dere prima degli altri la debolezzanon solo morale del parassitismo diquei soggetti.

    Questo non significa, certo, che

    Berlusconi non abbia responsabilitàalcuna della mancata realizzazione diuna forza politica, di un programmae di un’azione di governo o di oppo-sizione schiettamente liberale, di unaDestra portatrice di valori che puredella Destra sono propri. Non signi-fica che la sua propensione per unaraccolta di “moderati”, uniti solo daltimore di una vittoria della Sinistra,gli sia stata imposta dagli altri. Ma

    di fronte alla frantumazionedi quel centrodestra postic-cio, incapace anche di con-testare all’attuale regime lasua origine, che è quella diun portato di una violenzapseudo-giudiziaria, oggi oc-corre pensare ad altro che arimettere insieme i cocci diuna impossibile coalizionedi parassiti suicidi.

    Occorre altro. Occorreuna nuova rivoluzione illu-minista, prima ancora cheliberale. Occorre rivendicarei valori della nostra storiamigliore, il significato verodi parole come libertà, de-mocrazia. Occorre costruireun modello di Stato sempli-ficato, capace di funzionaresecondo le volontà e gli in-teressi dei cittadini. Non èquesta la rinunzia ad unagrande forza politica ad unprogramma ambizioso. Alcontrario. Nel deserto dellapolitica italiana occorre tro-vare la strada della vita, deivalori. No, quindi alle vel-leità dei nani, dei minipar-titi. E, no e no al tentativo dichi vuole imporci un viscidoregime di falsa democrazia,il Partito Monocratico, il“Partito della Nazione”, icamuffamenti di una stri-sciante e viscida dittatura.

    Primo Piano

    Suicidio del centrodestra: un capitolo da chiudere

    Èormai abbastanza chiaro chesulle spalle dei romani MatteoSalvini sta giocando un’indecentepartita per affermare che ormai ilCavaliere va considerato fuorigiocoe non deve più assolvere al ruolo difederatore del centrodestra perché èlui il nuovo leader che può fare e di-sfare come meglio gli aggrada lescelte elettorali. Si ripete quindi lastoria, già vista e rivista in questianni, di chi pensa che bastino i son-daggi, spesso gonfiati, per riuscire acostruire un vero leader e il ricono-scimento da parte di un popolo dimoderati che non amané gli estremismi poli-tici, né le scelte suicideche, purtroppo, provo-cano danni aldilà deisingoli protagonisti.

    Cos’è che ha deter-minato il dietrofrontrispetto ad un per-corso che sembravaavviato, non solo,alla ricostruzione delfronte moderato, maaddirittura buttavale basi per liquidareil pifferaio magicofiorentino riconqui-stando la guida delPaese? C’è una sola ri-sposta: la paura che lavittoria alle ammini-strative potesse rilan-ciare la leadership delCavaliere e in questadirezione sono ba-stati i sondaggi posi-tivi, dopo la scelta diGuido Bertolaso, chehanno fatto decidereche era meglio rom-

    pere gli indugi, forzare la mano,anche a costo di rompere, di conse-guenza, la stessa alleanza di centro-destra che stava ricostruendosi.

    Quel che ha fatto scattare l’ope-razione anti Cav, tramite il “no” aBertolaso, sono state le prime setti-mane di campagna elettorale delfuoriclasse “Mr. Emergenze”, chehanno impaurito il Salvini dellaLega, perché a Roma, a differenza diMilano, il successo del candidato di

    centrodestra sarebbe stato più adde-bitabile a Berlusconi che ad altri.Ciò avrebbe riportato, indiscutibil-mente, il Cavaliere al centro delloscenario politico, con tutto ciò chequesto avrebbe comportato. La di-mostrazione sta tutta nelle “gazeba-rie” che hanno visto il popolomoderato, finalmente, uscire alloscoperto e andare ad incoronareBertolaso candidato a sindaco.

    Ma il segretario della Lega, con-

    dizionato dalla voglia di diventarel’indiscusso leader dell’alleanza, nonsi è dato per vinto e ha continuatola sua azione per logorare la candi-datura di Bertolaso puntando nellapeggiore delle ipotesi alla sua scon-fitta, e nella migliore alla sua rinun-cia che avrebbe dimostrato che ilCavaliere come leader non è piùtale. Ammantare questa scelta sui-cida con la volontà di ricercare il mi-glior candidato possibile per Romapuzzava, e puzza terribilmente, difalso. A lui non interessa per nullané Roma, né altre città, ma solo ilsuo smisurato “Io”.

    Su questa percorso ha coinvolto

    anche Giorgia Meloni che, comeclassico agnello sacrificale, dopo lepolemiche che sono seguite, sarà de-stinata a sicura sconfitta. In questaoperazione, infatti, la Meloni, piùsensibile alla parola data sul candi-dato concordato e restìa a passareper l’ennesima traditrice, ha alla fineceduto al disegno di Salvini, con-vinta che un suo appello avrebbefatto cambiare idea a Berlusconi esoprattutto a Bertolaso. Salvini nonha badato a sacrificare il futuro diRoma pur di non rimettere in corsail Cavaliere, e l’ex ministra dellaGioventù si è fatta coinvolgere pie-namente facendosi dettare le mosse

    e facendo ridere con lefrasi rivolte a Bertolaso“di non farsi strumenta-lizzare” e che “nessunuomo può dire ad unadonna cosa deve fare”.Sembrava chiaramenteche parlasse di se stessa.

    Forte del successo(sic!) e non contentodei problemi creati alcentrodestra ed ai ro-mani, il Salvini aprealtri fronti mettendo indiscussione, come fattoa Roma, la scelta con-cordata a Torino conOsvaldo Napoli. Il Sal-vini, senza alcuna ver-gogna, dichiara cheNapoli “è un’ottimapersona, ma non so se èil candidato migliore”.È stato subito chiaroche non era il migliore ea stretto giro di posta siè accodata la Meloni(quella che non si fadire da nessun uomocosa deve fare).

    Attenti a quei due

  • Economia

    La formazione che facciamo èquella basata sulle conoscenzedi ieri, mentre per adattarci rapi-damente al mondo in rapido cam-biamento dobbiamo adattarci aldomani e non farci cogliere impre-parati a cambiamento avvenuto.

    Reg Revans, il noto padre dell’“ac-tion learning”, aveva già espressonegli anni Ottanta questo concetto:“In tutte le epoche caratterizzate darapidi cambiamenti, le organizza-zioni che non sono in grado di adat-tarsi si trovano subito in difficoltà el’adattamento si compie soltanto at-traverso l’apprendimento; cioè, riu-scire a fare domani ciò che oggisembra non essere necessario. Un’or-ganizzazione che continua ad espri-mere solo le idee del passato nonapprende”.

    Normalmente le attività lavora-tive consistono nell’applicazione diconoscenze e di capacità (siano esse

    fisiche, intellettuali o una combina-zione tra le due cose) che oggi dannol’opportunità di produrre un redditoattraverso la realizzazione di un pro-dotto o un servizio utile al nostroprossimo (e quindi meritevole di es-sere remunerato). Il reddito però de-riva dalla riproduzione di attivitàsimili e il massimo reddito dalla ri-produzione a livello industriale di at-tività simili. Ne consegue che noisiamo condannati a generare ric-chezza quando applichiamo ciò chegià conosciamo, o al più, quando mi-glioriamo quanto noi, a seguito dellenostre conoscenze e capacità, sap-piamo già fare.

    Ma in una società che è soggettaad un continuo cambiamento e chequindi mette in discussione conti-nuamente i contenuti e i modi diquello che facciamo oggi per seguirela prospettiva di ciò che servirà do-mani, come possiamo produrre red-dito attraverso la ripetizione di ciòche sappiamo fare e contemporanea-

    mente metterci nellaprospettiva di imparareciò che oggi non ciserve, ma che ci serviràdomani? Siamo in unvicolo cieco? Il lavoroche oggi abbiamo e lacapacità di svolgerlosarà la cifra della nostradisoccupazione di do-mani? In quale labi-rinto assurdo siamoprecipitati?

    Due sono le stradeche è necessario prati-care: l’una dipende più dagli altri el’altra dipende esclusivamente danoi. Se vogliamo garantire nel lungoperiodo la nostra spendibilità sulmercato dovremmo essere attenti inprimo luogo all’azienda con la qualeintendiamo collaborare (non im-porta a quale titolo). Se questaazienda è attenta ad ogni segnale sulmercato, ad ogni innovazione, seadegua i propri processi e prodotti

    alle esigenze di mercato, se è attentaal mercato internazionale (e quindise è in grado di cogliere le linee ditendenza del settore in cui opera) eriesce ad esportare, questa èun’azienda da seguire con la qualepotremmo instaurare un rapportostabile. L’azienda, adeguando sestessa alle nuove esigenze, finirà conl’adeguare anche le nostre compe-tenze e quindi a fornirci delle garan-zie di lungo periodo. Questo è ilprimo punto fermo. Il secondo puntofermo, che dipende da noi, sta nelguardare quali sono i nostri interessie le nostre passioni al di là di quelloche oggi facciamo, sta nel coltivareconoscenze e capacità eccellenti inqualsivoglia campo e nel vedervi uncollegamento con una qualsiasi uti-lità che potrebbe emergere dal mer-cato. Se siamo costretti a svolgere

    oggi un lavoro che possiamo consi-derare “critico” perché a basso con-tenuto di conoscenza e capacità equindi, magari nel tempo, realizza-bile a basso costo oppure addiritturasostituibile da mezzi meccanici o in-formatici, se non abbiamo alterna-tive in questo momento, ci convienecoltivare il più possibile, ogni mo-mento in cui ci è possibile, le nostrepassioni, le aree in cui potremmo ec-cellere. Questa è la nostra opportu-nità nel lungo periodo. Saremo inpossesso di contenuti spendibili o co-munque avremo appreso un modoper sviluppare capacità che potreb-bero trovare sbocco in opportunitàche necessitano di competenze ana-loghe.

    Le passioni da coltivare oggi sonole nostre opportunità e le nostrecompetenze di domani.

    Lavoro: il paradosso della formazione

  • Ma è sempre vero che il potere“logora solo chi non ce l’ha”?Il luciferino Giulio Andreotti avrebbetorto, secondo me, nel caso della can-celliera Angela Merkel. Chi, se nonFrau Angela, ha resuscitato con la suademagogia sulle porte aperte agli im-migrati il Mostro di Loch Ness del-l’estrema destra xenofoba, arrivata aessere il terzo partito nelle recenti ele-zioni di importanti Länder tedeschi?Chi, se non Lei, ha legittimato e co-stretto tutti gli altri a inginocchiarsial despota turco, che anche lui (unasorta di... “Fondamentalista rilut-tante”) aveva scommesso sui profu-ghi siriani in funzione anti-Assad, pertrovarsi oggi intrappolato nella rea-zione di Putin e nella tregua tra i mi-liziani e Damasco voluta dal resto delmondo? Finita la lungimiranza e laleadership di Angela? C’è da chiedersiil perché la Germania non abbiaposto brutalmente la sua Spada diBrenno sulla bilancia degli accordi inoccasione degli innumerevoli vertici

    Ue, dicendo agli altri ventisette: o fir-mate tutti un accordo sensato sulla re-distribuzione dei flussi dei rifugiati, oio denuncio unilateralmente DublinoIII e chiudo io per prima le mie fron-tiere!”.

    E noi, in tutto questo, abbiamomai fatto un’analisi seria di che cosaci stia capitando da parecchi anni conl’arrivo di centinaia di migliaia diprofughi economici? Intendo dire,sulla qualità di questi flussi, che in

    gran parte vanno a infoltire un po’ovunque le già ampie fasce di margi-nalità urbana? Sommandosi, per dipiù (con il concerto rischio di unanuova, micidiale e devastante guerratra poveri), ai nuovi eserciti di pre-senze autoctone, vittime della crisieconomica e dell’incapacità da partedi tutti i governi di gestire decente-mente sicurezza e burocrazia am-mazza-crescita? Esempio concreto:che cosa ci fanno molte migliaia divenditori irregolari, venuti da ogniparte del mondo, Maghreb, Africa cen-trale, India, ecc., che sciamano indi-sturbati per le vie cittadine, del centrodi Roma, Milano, e di tanti altri? Iomai, dico “mai”, ho visto un tutore del-l’ordine in divisa che chiedesse loro dimostrare un titolo valido di soggiorno!E anche questa, perdonatemi, si chiama“corruzione”, non credete? Spiegatemibene che bisogno abbiamo noi di ac-quistare (più o meno forzosamente, per

    liberarci dalla loro petulanza) centinaiao migliaia di tonnellate di paccottigliefabbricate in Asia e in altri posti sper-duti del mondo dove i bambini, ledonne e gli uomini vengono vergogno-samente sfruttati? Chi, come e perché,quando rifornisce tutti costoro?

    Che vantaggio ne possiamo rica-vare (fiscalmente) da quelle venditeassolutamente in “nero”, che evadonol’Iva e ogni altra fonte di contribu-zione obbligatoria? Quanto costa illoro welfare ai lavoratori che paganole tasse? Che ci fanno legioni di gio-vani africani, belli e robusti, con ilcappello in mano a chiedere l’elemo-sina (dico “elemosina”!) di fronte agliingressi di negozi e supermercati? Checi fanno eserciti di lavavetri dissemi-nati ovunque? Per non parlare di co-loro che spacciano. Rimandarli tuttia casa forzatamente? Ci costerebbevari punti di Pil, inutilmente: molto dipiù di quanto otterremmo tentandodi tassare le loro microtransazioni.Messi alla porta, moltissimi di lororientrerebbero dalla finestra. Solu-zioni? Mah, mi viene da dire: pen-

    siamo in grande. Diciamo che gli Statieuropei (tutti assieme!) potrebberofare un ragionamento di questo tipo:diamo pure i visti ai profughi econo-mici che ce lo chiedono, smantellandocon la semplice adozione di questadecisione tutti i traffici illegali deimercanti di schiavi che li sfruttano e,spesso, li condannano a morte.

    Ad un patto: il visto ti costa unacauzione di ingresso per un importo“X” fissato e uguale per tutti. Se intre anni di permanenza tu non hai re-stituito “lavorando” una contribu-zione pari a “Y” volte la tuacauzione, ti prendi un provvedi-mento di espulsione e ti paghi il ri-torno con i soldi tuoi. Idem se tufossi colto a lavorare in nero. La vio-lazione decreto di espulsione è unreato penale, punibile con “Z” annidi reclusione. Idem l’ingresso illegale,evadendo l’obbligo del visto. Lapena, però, ti è sospesa e condonataqualora tu scelga di tornare al tuosul principio o darmi dell’imbecillevolendo. Io non muoverò querela.Mai.

    La strategia repubblicana è fallita.Come afferma John Podhoretz,direttore della rivista conservatriceCommentary, assisteremo ancora a“otto mesi di iper-ventilazione primadella vittoria di Hillay Clinton”. Per-ché ormai l’esito appare scontato.

    Le critiche alla strategia repubbli-cana dei maggiori commentatori con-servatori, fra cui lo stesso Podhoretz(e non solo lui) si rivolgono ormai alpassato. “Si sarebbe dovuto” concen-trare lo sforzo della macchina eletto-rale del Gop a sostegno del candidatopiù forte, Ted Cruz, turandosi il nasosul fatto che fosse un prodotto delmovimento Tea Party e dunque anti-establishment dichiarato. “Si sarebbedovuta” esercitare una pressionemaggiore su Marco Rubio, così da in-durlo a ritirarsi dopo il voto del 1marzo, perché già allora era ampia-mente prevedibile una sua sconfitta inFlorida, a casa sua. “Si sarebbe do-vuto” premere su Rubio o su JebBush per indurre uno dei due a nonpresentarsi. In effetti, nelle prime set-timane di elezioni, si sono rubati votie spazi a vicenda, essendo entrambidella Florida (uno governatore e l’al-tro senatore) ed entrambi cari al-l’establishment. “Si sarebbe dovuto”capire, sin dai primi colpi a febbraio e(stando ai sondaggi) almeno sin daagosto, che Donald Trump non erasolo una macchietta televisiva, unabolla mediatica destinata a sgonfiarsidopo i primi voti, ma stava co-struendo un suo popolo vero, pronto

    a votarlo. “Si sarebbe dovuta” inter-pretare meglio la rabbia anti-establi-shment del popolo conservatore edegli americani in senso lato, preoc-cupati dall’implosione della classemedia, dall’immigrazione del Sud delcontinente, dall’Isis e dalla concor-renza cinese. Perché l’elettorato re-pubblicano è passato dall’ansia deiprimi anni ‘10, che ha portato alla na-scita e crescita del movimento TeaParty, che era anti-establishment masempre entro i canoni del pensieroconservatore, alla furia cieca attuale,che in Trump individua un giustizieresia contro l’establishment che controi valori conservatori sinora affermati.

    Questi sono, appunto, tutti gli er-rori che il Grand Old Party si rim-provera, ma adesso è troppo tardi percorreggerli. Perché ora l’alternativa è

    fra una vittoria conclamata di DonaldTrump, primo esponente di una de-stra sociale nella storia americana re-cente, e la Brokered Convention, unaprospettiva grigia di nomina di uncandidato alla presidenza tramite uncongresso di partito, come nelle piùsquallide, stanche, democrazie euro-pee. Nel primo caso, il Gop dovrebbeaccettare la sfida più grande: soste-nere un candidato che rinnega l’iden-tità conservatrice e, al tempo stesso,lancia una sfida al mondo. Al mondo,sì: la rivista Economist classifica unasua vittoria alla Casa Bianca comeuno degli eventi più pericolosi del fu-turo, comparabile a un’escalation ji-hadista dell’Isis. L’Economist esagera,sicuramente. Ma quella classifica ri-leva l’ansia delle classi dirigenti, so-prattutto europee, di fronte alla

    possibile novità di un Trump nelloStudio Ovale. Fa capire che un suo in-sediamento alla testa della prima po-tenza mondiale, potrebbe sovvertirela politica per come sinora l’abbiamoconosciuta. E pochi, obiettivamente,si sentono di reggere un peso del ge-nere. All’atto pratico, pochi lo soster-rebbero, probabilmente solo unaminoranza lo voterebbe. In un duelloalla pari fra Trump e la Clinton, lamacchina elettorale democratica simetterebbe in moto per pompare almassimo queste paure. Formerebbe,sia in patria che all’estero, un vero“fronte anti-fascista”, capace di coa-lizzare tutti, estremisti, progressisti,moderati, indipendenti e conservatori,per battere il “nuovo Mussolini”d’America (già il soprannome di“Trumpolini” circola da mesi). In sin-tesi: vincerebbe la Clinton.

    Se appoggiare la candidatura diTrump è un salto nel buio, la Broke-red Convention è, se possibile, ancorapeggio. Prima di tutto, il miliardariosi sentirebbe giustamente scippato. Ei suoi elettori con lui. Le primarie pos-sono anche dare esiti imprevedibili,ma almeno hanno il vantaggio di faremergere un uomo che si è fatto co-noscere agli elettori ed è stato selezio-nato dopo una serie di test e provedifficili, in tutti e cinquanta gli Stati.Nessuna élite del partito è mai riu-scita a riassumere così bene il voleredel suo popolo. Dunque, qualunquesia il candidato scelto da un congressodi delegati, risulterà infinitamente piùdebole rispetto a una nomination ot-tenuta dopo mesi di campagne eletto-

    rali, elezioni primarie e caucus. I nomiche stanno circolando, informal-mente, sono poi quelli di uomini giàtestati e perdenti, come Mitt Romneyo Paul Ryan (che ha già smentitodopo meno di 24 ore dalla pubblica-zione dell’indiscrezione). Anche inquesto caso, in sintesi: vincerebbe laClinton.

    Non si può fare a meno di notare,comunque, che in quasi otto anni diamministrazione Obama, il presi-dente più di sinistra della storia re-cente americana, i liberals sonoriusciti ad ottenere quello che vole-vano: eliminare ogni alternativa a sestessi. Dopo aver lavorato alla con-quista di tutte le cittadelle della cul-tura, dai media alle cattedre, dallepubbliche amministrazioni fino allaCorte Suprema, hanno creato una po-larizzazione in cui si è progressisti oesasperati oppositori senza arte néparte. Hanno contribuito a creare unadestra vogliosa di sfasciare l’ordinecostituito senza sapere cosa costruiredopo, incapace di formulare ed espri-mere una cultura alternativa. Non èun caso che, a votare Trump, sianosoprattutto gli operai, come è evi-dente nei risultati del Michigan e dellaFlorida, per gli stessi motivi per i qualipotrebbero benissimo votare anche asinistra: invidia sociale, diffidenza neiconfronti di Wall Street, paura dellaconcorrenza, paura del cambiamento.Il pensiero progressista è espanso a talpunto che ha inglobato anche l’elet-torato avversario. Quindi la Clintonpregusta una vittoria già scontata. Mase alla fine vincesse Donald Trump?

    Esteri

    Ma se alla fine vincesse Donald Trump?

    DisUnione Europea

    Nowruz è il capodanno persiano ecoincide il primo giorno di pri-mavera. La sua origine risale forse apiù di 3000 anni fa e oggi viene cele-brato, oltre che naturalmente in Iran,in Afghanistan, Azerbaigian, Tagiki-stan, Albania, Turchia, Uzbekistan,Kazakistan, Kirghizistan, Turkmeni-stan. Nel 2010 l’Assemblea generaledelle Nazioni Unite ha riconosciuto laGiornata Internazionale del Nowruz eil parlamento canadese ha aggiunto,nel 2009, il Nowruz nel calendario na-zionale.

    Nowruz è una parola persianacomposta da due termini, “now” cheletteralmente vuol dire nuovo e “ruz”giorno. Quindi Nowruz significanuovo giorno. I preparativi di questafesta molto amata in Iran inizianogiorni prima con una pulizia generaleed approfondita della casa, il KhunehTekunì. L’ultimo martedì dell’annovecchio, al tramonto si accedendo i

    falò e si salta sul fuoco recitando: “tido il mio pallore e ricevo il tuo caldorosso”. Alla sera si ascoltano nel buiole chiacchiere della gente, se positive sene trae un buon auspicio per il nuovoanno. I bambini nascosti sotto un velobattono col cucchiaio sulle pentole da-vanti alle porte delle case chiedendodolcetti. Non si trascurava un tempodi andare l’ultimo giovedì a salutare icari estinti.

    Prima dell’arrivo di Nowruz, nellestrade delle città iraniane, si vedonouomini vestiti di rosso e con la facciacoperta di fuliggine. Sono gli haji Fi-ruoz, araldi precursori dell’annonuovo. Cantano, danzano e annun-ciano l’arrivo di Nowruz. Nella cul-tura persiana gli haji Firuoz sono icompagni di zio Nowruz (amù No-wruz), un allegro anziano con la barbabianca che distribuisce doni e buona

    fortuna alla gente, che potrebbe esserel’equivalente di Babbo Natale.

    Ciò che caratterizza il Nowruz è latradizione delle haft-sin (le sette S). Suuna pulita e graziosa tovaglia si met-tono, con dedizione, 7 alimenti il cuinome inizia con la lettera s, ognunocon un preciso significato e simbolo.

    1. Sabzeh, i germogli di frumento elegumi, di solito grano o lenticchia,fatti crescere in un piatto, simboleg-giano la rinascita;

    2. Sib, la mela, rappresenta la bel-lezza e la prolificazione;

    3. Sir, l’aglio, vuol dire salute, inquanto antidoto della malattia;

    4. Serkeh, l’aceto, sta a significare lapazienza;

    5. Somaqh, il sommacco, una spe-zia usata come acidificante nei cibi,rappresenta la gentilezza;

    6. Senjed, la bacca di biancospino, èil simbolo dell’amore;

    7. Samanù, un dolce fatto con fa-rina e germogli di frumento, vuol direforza e abbondanza.

    Al haft-sin nel tempo sisono aggiunti il Corano, illibro dei poemi di Hafez, lospecchio, la moneta, dol-cetti, uova sode colorate e ipesciolini rossi, simbolo diaudacia e libertà.

    Nowruz coincide esatta-mente con l’equinozio diprimavera. Per esempio que-st’anno, 1395 anno iranico,cade il 20 marzo alle ore5:30’:12’’. La famiglia strettasi riunisce solennemente in-torno al haft-sin aspettandoil Nowruz. La festa dura tredici giornidurante i quali si fa visita ai parenti. Aibambini si regalano i soli, di solitobanconote nuove di zecca, e ciò lirende felici. L’ultimo giorno, il 13esimo(sizdeh Be-dar) viene considerato dicattivo auspicio e per sfatare la malasorte si esce da casa per fare una scam-pagnata. In questo giorno le ragazzeche desiderano maritarsi intrecciano ifili di sabzeh o altra erba di buon au-

    spicio, prima di gettarli via con la sfor-tuna. Nel corso della storia millenariadella Persia, i diversi invasori hannocercato di cancellare o ignorare ilNowruz, ma ogni volta hanno do-vuto prendere atto di quanto fosseradicato nella cultura di quel popolo.Negli anni della tirannia teocratica, ilNowruz tra la gente ha rafforzato ilsuo senso laico e legato alla tradi-zione iranica.

    Nowruz

  • Cultura

    Proprio quando Shifu chiede a Podi sostituirlo come Maestro deiCinque Cicloni, si presenta in città LiChan, il panda vero padre di Po. Ilnostro eroe deciderà di seguirlo e diincontrare l’ultima comunità dipanda esistente: ha bisogno di ricon-giungersi alle sue origini per fronteg-giare la minaccia del terribile Kai, inarrivo dal Regno degli Spiriti, conl’intenzione di rubare il mistico Chidi ogni Maestro e diventare una mi-naccia per il mondo intero.

    Gli ultimi anni sono stati difficiliper la DreamWorks Animation: inun mercato di folle concorrenza, traPixar, Disney, Illumination Enter-tainment e Sony Pictures Animation,l’azienda cofondata da Jeffrey Kat-zenberg era inciampata nei flop diTurbo o Mr. Peabody & Sherman, orisultati inferiori alle aspettativecome I Pinguini di Madagascar.

    Dopo una ristrutturazionee una strategia produttivapiù serrata, sostenuta dalleciambelle di salvataggio diCroods e dei due capitoli diDragon Trainer, la Dream-Works si affida al suofranchise più amato dopoShrek per ricongiungersicol pubblico, sballottolatoin una così affollata of-ferta: Kung Fu Panda. Il pe-loso beniamino è anche ilmigliore per sedurre le pla-tee cinesi: per il colossaleboxoffice cinese il labialedelle battute di questonuovo capitolo è stato ria-nimato sul doppiaggio inmandarino!

    Kung Fu Panda 3 segnal’esordio come coregistadi lungometraggio del-l’italiano Alessandro Car-loni, che si è affiancatoalla Jennifer Yuh Nelsongià autrice in solitaria del

    secondo atto, uscito ben cinque annifa. Il film è sostanzialmente irrepren-sibile, a meno che non si pretenda atutti i costi da un prodotto di questotipo la sfrenata ambi-zione sociale o psicolo-gica mostrata da InsideOut o Zootropolis. Ilteam DreamWorks hasempre saputo cosa vuole:protagonisti simpaticicon cui creare un’em-patìa che renda entu-siasmante anche lastoria più lineare e leg-gera. I colpi di scena, lasuspense e le gag diva-ganti da soli non po-trebbero infatti maiprendere sul serio incontropiede lo spetta-tore più navigato.

    Il lavoro di anima-tori e doppiatori origi-nali, nel dar vita a Po esuo padre Li, valoriz-zano i caratteri però in

    ogni situazione, trasmettendo alle-gria e mantenendo il ritmo sempremolto alto, anche troppo, forse peressere sicuri di non annoiare mai. I

    Cinque Cicloni recuperano un sensonarrativo che avevano un po’ smarritoper strada nel secondo capitolo, e ilruolo del padre adottivo di Po, la di-vertente oca Mr. Ping (il personaggiopreferito di chi scrive), è emotivamentecentrato nell’economia di questa par-ticolare vicenda. L’aspetto tecnico sor-regge queste dinamiche interpersonalicon sufficiente espressività, mentreregia e direzione artistica li infram-mezzano a sequenze dinamiche e vi-sionarie che respirano una figurativitàvibrante: tra movimenti di macchinavertiginosi e inquadrature evocative, ilfilm è molto bello da guardare.

    Probabilmente Kung Fu Panda 3non lascerà il segno come suoi re-centi concorrenti, ma non ci obbligaad accontentarci delle occasionaliuscite paratelevisive in cui ogni tantoci si imbatte in sala, garantendo unalto livello di professionalità.

    (fonte comingsoon.it)

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    Kung Fu Panda 3, Po ritorna al cinema