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NUMERO 27|OTTOBRE 2015 NUMBER 27| OCTOBER 2015 www.sism.org “FORSE NON SALVERO’ IL MONDO. UNA VITA SI’” Campagna Nazionale su Donazione e trapianto organi, tessuti e cellule

Zona SISMica - Ottobre 2015 / October 2015

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Numero 27 - Ottobre 2015 Number 27 - October 2015

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NUMERO 27|OTTOBRE 2015NUMBER 27| OCTOBER 2015

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“FORSE NON SALVERO’ IL MONDO. UNA VITA SI’”Campagna Nazionale su Donazione e

trapianto organi, tessuti e cellule

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LA REDAZIONECoordinatore di ProgettoMaria Luisa Ralli - Sede Locale di Siena

RedazioneIlaria Rossiello - Sede Locale di AnconaCarlo Chessari - Sede Locale di CataniaCaterina Pelligra- Sede Locale di ParmaNoemi Streva - Sede Locale di SienaStefania Panebianco - Sede Locale di Messina Lucia Panzeri - Sede Locale di Monza

Publications Group CoordinatorPaolo Miccichè - Sede Locale di Palermo

info: [email protected]

SISMIl SISM - Segretariato Italiano Studenti in Medicina è un’associazione no-profit creata da e per gli studenti di medicina.

Si occupa di tutte le grosse tematiche sociali di interesse medico, dei pro-cessi di formazione di base dello studente in medicina, degli ordinamenti che regolano questi processi, dell’aggiornamento continuo dello studen-te e riesce a realizzare tutto ciò attraverso il lavoro di figure preposte a coordinare i diversi settori sopraddetti sia a livello locale che nazionale.

Il SISM è presente in 37 Facoltà di Medicina e Chirurgia sparse su tutto il territorio.

Aderisce come membro effettivo all’IFMSA (International Federation of Medical Students’ Associations), forum di studenti di medicina provenienti da tutto il mondo riconosciuto come Associazione Non Governativa presso le Nazioni Unite.

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EDITORIALE di Maria Luisa RalliIL SALUTO DEL PGC di Paolo Miccichè 4#STATECE - INTERVISTA A SANDRO LIMAJ, COORDINATORE ITG

di Carlo Chessari e Sandro Limaj 5TMET 2015, OVVERO NON PROPRIO QUELLO CHE CI SI ASPETTEREBBE DA ..

di Matteo Cavagnacchi 8IMED 2015 - IL PEZZO MANCANTE/THE MISSING PIECE di/by Eleonora Leopardi 10DONACTION. RICERCA-AZIONE SUL MONDO DELLA DONAZIONE E ....di Alessandro Fiori e Francesco Sacchetti 13PEER EDUCATION ED EDUCAZIONE SESSUALE

di Carmine Calidona, Federico Longhini, Stefania Panebianco 16DUE PERSONE

di Valeria Butera 20DA LEO AD OUTGOING: LA MIA POLONIA

di Simona Nicoletti 22

INDICE

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Carissimi SISMici eccoci di nuovo qua!! Ci siamo fatti attendere questo mese, ma la vostra pazienza sarà premiata grazie al ricchissimo numero di ZS di Ot-tobre!!!

Il nostro ITGC Sandro Limaj, si racconta in un’intervista tinta di accento romano ricca di contenuti adatta anche per i più tecnofobici.

In “Donaction”, Alessandro Fiori ci spie-ga quanto siano importanti nel mondo della donazione gli aspetti legati alla sensibilizzazione alla comunicazione e alla ricerca.

Simona Nicoletti ci racconta la sua Clerkship polacca, invitandoci a met-terci in viaggio anche a noi.

Valeria Butera, in un’intervista dop-pia, riporta fedelmente le parole di un emigrato italiano e di un immigrato proveniente dal Mali.

Matteo Cavagnacchi, ci parla della sua esperienza al T4all portoghese, nella sezione TMET - Training Medical Educa-tion Trainers.

La nostra NOME Eleonora Leopardi,ci parla dell’IMED, Italian Medical Educa-tion Days che si svolgerà dal 19 al 25 ot-tobre 2015.

Infine, sempre per celebrare la storia dei 45 anni della nostra associazione Carmine Calidona e Federico Longhini ci parlano della Peer Education e di quan-do questa meravigliosa tecnica di edu-cazione non formale ha messo radici nel nostro bel stivale

Buona lettura!!

EDITORIALE

Maria Luisa Ralli

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PGC’S WELCOMEPaolo Miccichè

Hello everyone!September ends, Green Day woke up and another number of Zona SISMica is out!

This month our “international” corner is written by our NOME and it will talk abot International Medical Education Days!

But also the other pieces deserve to be read!It’s very exciting reading about peer education and how this was born in It-aly. But you’ve got the chance to think about immigration phenomenon. Once italian people emigrated in Germany, now we have to host who needs a place!

Our magazine is always on the top, and we wish you’ll enjoy this number! Don’t forget, you can find on ISSUU plat-form or at www.zonasismica.sism.org

Stay tuned because XLVII Na-tional Congress is coming, and with that, a lot of surprise!

#AbigHug

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#STATECE - INTERVISTA A SANDRO LIMAJ, COORDINATORE INFORMATION TECHNOLOGYGROUP

Dai meandri del web alle vetrine tele-matiche, scopriamo con Sandro Limaj, Sandrino, Coordinatore ITG, il lavoro che svolge il gruppo più nerd del SISM.-NB Articolo adatto anche ai tecnofobi-.

-Ciao, smanettone patentato. Bella zì, t’apposto? Ma quindi so famoso? Avrò una via a me inti-tolata? Fiumi di escort per me?-Non ci allarghiamo. Ma sappiamo che in realtà sei un supereroe, o almeno questo dice la gente di te. Partiamo dal-la fine, dall’ultima fatica: il CN “tele-matico” di agosto. Raccontaci un po’. Il bello della mia carica è quello di ricevere complimenti gratuiti.Scherzi a parte, diciamo che il CN “tele-matico” è nato da uno spunto di Chiara Riforgiato all’inizio dell’anno che, per curiosità, mi ha chiesto più informazioni su “Hangout” e su mezzi affini per preve-nire situazioni di emergenza o per creare più canali di comunicazione sia nel Team of Officials che per vari OnLine Meeting.Dopo aver valutato un po’ di mezzi, aver fatto cose e visto gente, mi è venuto in mente di sfruttare la funzione “Hangout On Air”, unendo l’utile (il poter svolgere il CN3 nonostante le difficoltà logistiche) al dilettevole: poter condividere il tutto con qualsiasi socio abbastanza curioso.La cosa è riuscita meglio del previsto e, come esperimento, ritengo che ab-biamo ottenuto dei buoni risultati, sper-ando che possano rimanere in handover.Memorabile il primo giorno, quando ho scoperto che il limite massimo non era 15 ma 10 persone (ma grazie alla prontezza e alla flessibilità di tutto il TO ce l’abbiamo fatta, gestendo en-trate e uscite) e il secondo giorno quando Hangout ha deciso di non fun-zionare e persino il canale di comuni-cazione di emergenza, Cisco WebEx in prova gratuita, dava dei problemi.Eleonora Leopardi, accanto a me, correggeva i miei errori di lin-gua mentre sbroccavo in inglese all’help desk del programma.M e m o r a b i l e .

-Una bella impresa! Ma spazio ora alle altre fatiche: par-laci del tuo anno da ITGC. Beh, è stato un anno difficile. Le cose da fare sono sempre troppe. Però il sito è nato e penso che, per quanto perfet-tibile, possa rispondere alle esigenze dell’associazione. Purtroppo il passag-gio ai siti di Sede Locale non è stato an-cora compiuto per l’esigenza di rendere il tema del tutto autonomo e libero di aggiornarsi, senza entrare troppo nei tecnicismi, ma servono delle modi-fiche per rendere il tema attualmente presente un “pacchetto già pronto” e installabile da tutti. Si è lavorato parecchio su questo punto di vista.Tante piccole cose sono state svolte nel silenzio e nel segreto, dato che si è trattato di risolvere problemi di sedi locali varie ed eventuali (TROP-PI SITI, ragazzi, basta, sto trend dei siti non è passato di moda?).Diciamo che, quest’anno, gli obiet-tivi del gruppo sono stati di risol-vere il prima possibile un’enorme esigenza e di lavorare in prospet-tiva. Infatti non è finita qui: a breve sentirete parlare di due novità che, spero, saranno dei bei cambiamenti.Vorrei dire due belle “bombe”, ma il mio lato maligno ed equiv-oco mi mette in difficoltà.In ogni caso, c’era necessità di creare della stabilità su cui contare, anche senza ottenere dei risultati sul breve termine: se tutto va come previsto, nei prossimi giorni dovreste sentir parlare di alcune cose che, penso, possano davve-ro dare una sferzata all’associazione.Questa carica spesso ha sofferto del-la sindrome del “tappa buchi”, dove c’era necessità di trovare una soluzi-one e in fretta. E’ come una nave in rischio: coperto un buco dopo un po’ se ne fa un altro, e questa situazione non è sostenibile sul lungo andare.Una cosa che lascerò in handover, in-fatti, sarà quella di continuare senza avere fretta su questa strada, di modo che si possa avere uno strumento che ci ha chiesto 2 anni di lavoro ma possa

Carlo Chessari e Sandro Limaj

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lavorare stabilmente per 100 anni piut-tosto che farne uno nuovo ogni 6 mesi.Spoiler alert! No, scherzo. Sarà una sor-presa. Ma comunque chi ha buona me-moria può già aspettarsi qualcosa…

-Hai parlato di nave da “aggiustare”, ma che comunque veleggia bene. Ma sappiamo che non sei solo al timone, ma hai con te un valido gruppo. Come hai lavorato con loro? Deliziosamente. Ho avuto la fortuna di avere un gruppo di “bomber”, numeroso quanto una rosa di titolari di serie A, at-tivi e fantasiosi, che si sono impegnati sodo anche di loro spontanea volontà. Probabilmente avrei potuto sfruttarli fino all’ultima goccia di linfa vitale, ma poi avremmo fatto sfigurare qualsiasi al-tra carica del SISM, quindi li ho tenuti buoni.Scherzi a parte, questo è il mio primo anno da membro di TO e questo mi ha permesso di capire in che modo si possa sfruttare un gruppo, sperando in questi ultimi tempi di migliorarmi in questo e restituire grandi cose a tutti loro, a cui devo davvero tantissimo.

-Quanto può incidere, a livello pra-tico, il vostro lavoro? Sia all’interno dell’associazione (pensiamo alle co-municazioni e alle mailing list) che all’esterno (come il sito, la vetrina del SISM). (Me provochi così.)

(Era quello il mio obiettivo!)

Chiariamoci: l’ITG è una Support Divi-sion dal ruolo “meramente” tecnico, ha ben poco di contenutistico e proba-

bilmente, nonostante ci possano essere dei buoni spunti di contenuti, non sarà mai paragonabile al lavoro di un’area tematica.Però, modestamente, mi sento co-munque “cazzutissimo”.In una realtà sparsa in tutta la nazione, la coordinazione è fondamentale, e nel 21esimo secolo è impensabile prescind-ere dalla tecnologia. Siamo giunti, a liv-ello sociale, a un punto tale che quella di “saper usare le funzioni di base di un computer” è una skill essenziale per poter raggiungere i propri obiettivi nella società. Anche questo rientra nel tanto citato ultimamente “analfabetismo fun-zionale”. La buona notizia è che la tecnologia è più semplice di quanto sembra. Tutti stanno cavalcando quest’onda. Abbia-mo mailing list, strumenti per fare OLM anche in 25 persone con tanto di lav-agnetta e screenshare, avremo in futuro dei database dove ricavare qualsiasi in-formazione sull’associazione, possiamo addirittura pensare di creare delle App del SISM per le Sedi Locali, dove le no-tizie giungono ai soci con una notifica push. E allo stesso modo gli stakeholder, nell’era in cui le notizie permeano più attraverso Facebook che attraverso i giornali, presentarsi attivamente da un punto di vista “social” è fondamentale per ottenere delle opportunità “succu-lente”. Quindi, mi dispiace dirlo, cari tecno-fobi, ma #statece. Ora si gioca con le nostre regole. LA RIVINCITA DEGLI SFI-GATI: YEAH!

-Sei anche Incaricato Locale. Siamo a ridosso del nuovo anno associativo, potresti fare da testimonial per il re-

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cruitment. Sempre detto che non so farmi gli af-fari miei. Beh, l’associazione negli ul-timi anni ha raggiunto un numero di soci ineguagliato, le commissioni iniziano a farsi numerose (guardando anche la mia piccola realtà), quindi direi che dopo 4 anni (l’inizio del mio percorso SISMico) iniziamo a raccogliere il seminato di tanti anni fa e i frutti saranno sempre maggiori in futuro.Ora la svolta è che le Commissioni Locali sappiano bene “campare” di organiz-zazione, di disciplina e di intelli

genza: possiamo accumulare forze fino a diventare duemila soci per CL, ma se non vi è un’organizzazione ottimale delle forze stesse tutto questo cade. Ora l’associazione è diversa, è cambiata rispetto ad anni fa, e stiamo diventando un riferimento per competenze e val-ori per i quali ci lottiamo, quindi qua-lunque nuova forza spero non perda mai l’entusiasmo e il coraggio di formarsi.

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TMET 2015, OVVERO NON PROPRIO QUELLO CHE CI SI ASPETTEREBBE DA UNA VACANZA SULL’OCEANO

Matteo Cavagnacchi

“Quindi cos’è che vai a fare di preciso in Portogallo, stavolta?”La risposta a questa semplice e legitti-ma domanda di mia madre a pochi giorni dalla mia partenza per Porto mi ha in realtà messo non poco in difficoltà.Cosa andavo a fare? Cos’era questo Training 4 All? Un evento organizzato ormai ogni anno da ANEM/PorMSIC (la National Member Organization por-toghese) che include varie tipologie di training, dai più classici Training of New Trainers (TNT) e Internation Peer Edu-cation Training (IPET), a realtà più re-centi come il Training New Human Right Trainers (TNHRT) o il Training Medical Education Trainers (TMET). Districarsi tra questa valanga di sigle, nomi e aree tematiche è complicato persino per chi è già abbastanza avvezzo al gergo IFM-SA, ma come spiegarlo ad un profano, quali appunto mia madre o i miei amici?

Il training a cui ho preso parte dall’uno al cinque settembre a Esposende, pochi chilometri a nord di Porto è stato il TMET. Nelle parole di Agostinho Sousa, Presidente IFMSA nonché uno dei tre formatori che hanno condotto le ses-sioni, si tratta di un evento “nato circa due anni fa per sopperire alla mancanza di trainer che fossero formati su temat-iche specifiche di Medical Education”. “Sì, ok”, starebbe pensando mia madre in questo momento, “Ma quindi?”

Quindi tre giorni e mezzo pieni di tanti paroloni altisonanti come Adult Learn-ing Theory, Curriculum Design and De-levopment, Educational Strategies, Integrated Learning, il tutto unito a ses-sioni di Training Skills come Facilitation Skills, Leadership Management e Public Speaking.

A questo punto mia madre sospirerebbe rassegnata e chiuderebbe la telefonata raccomandandomi di fare attenzione e di non dimenticare la calamita ricor-do per mia nonna. A me però quella domanda resterebbe in testa a ronzare, non lasciandomi pensare ad altro, come

un lavandino che perde tra una circon-voluzione cerebrale e l’altra. Cosa vado a fare? Anzi, ora che sono qui a scrivere, a quasi un mese di distanza, cosa sono andato a fare?

Chi o cosa è un Medical Education Train-er e perchè ho deciso di diventarne uno?Fare SCOME (Standing Committee on Medical Education), occuparmi di Medi-cal Education elavorare a livello locale, non solo su questi temi, è stato sempre interessante e stimolante,ma allo stesso tempo mi sono sempre reso conto che c’era qualcosa che mancava nella mia formazione, quelle competenze teor-iche e tecniche che mi permettessero di avere una visione ed una comprensione complete del PERCHE’ faccio quello che faccio e del PERCHE’ ciò sia importante. Ecco cos’è, quindi, il TMET, è un mo-mento in cui ci si siede e si discute (non-formal education, sempre e comunque) costruendo così le basi su cui Struttu-rare il proprio lavoro, una volta tornati a casa. Al TMET non ci si emoziona come al TNT, non si mettono preservativi con la bocca come all’IPET, “Al TMET ci si an-noia” sghignazza qualcuno quando pas-sa davanti alla nostra porta aperta e ci vede seduti compostamente in cerchio a seguire una presentazione PowerPoint su come il ruolo dello studente sia (o meglio, dovrebbe essere) fondamentale nella costruzione del curriculum delle nostre università. orse quel qualcuno ha ragione. Forse quel qualcuno però non sa che, quando tornerà alle sue lezioni inutili e ai suoi tirocini noiosissimi, gra-zie a quelle giornate noiose (che noiose non sono state, per la cronaca) magari ci sarà qualcuno che tenterà, nel suopiccolo, di cambiare le cose e farlo con molta più consapevolezza.

Cosa ho imparato, quindi? Ho imparato che lo studente ha il diritto di essere ascoltato e reso partecipe del proces-so di formazione e aggiornamento dei corsi di laurea e come fare affinchè ciò avvenga; ho approfondito le mie con-oscenze sui vari modelli di riferimento

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per l’insegnamento; ho imparato come sfruttare la letteratura scientifica sulla medical education (che è infinitamente più sterminata di quanto potessi immag-inare) per fare Advocacy verso le istituz-ioni, come comunicare con gli altri stu-denti e fare gruppo con loro (Lobbying, direbbero gli anglofili) per unirsi e la-vorare insieme ad un obiettivo comune ed, infine, ho capito che in tutta Europa le problematiche sono quasi sempre le stesse ed è quindi utile fare rete (Net-working) per aiutarsi a vicenda ed im-parare dall’esperienza di altri studenti.

Ho imparato anche a fare surf, a man-giare un cioccolatino infiammato, a bal-lare Cotton Eye Joe ed a cucinare un chorizo con un bicchiere di whiskey, ma quella è un’ altra storia.

Mi porto a casa la voglia di mettere in pratica tutto ciò che ho imparato, la consapevolezza che ho personalmente ancora tanta strada da fare,la voglia di condividere questo percorso con la nos-tra SCOME italiana e un’ottima bottiglia di porto rosso!

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ITALIAN MEDICAL EDUCATION DAYS 2015:IL PEZZO MANCANTEITALIAN MEDICAL EDUCATION DAYS 2015 - THE MISSING PIECE Eleonora Leopardi

Ottobre, inizio di un nuovo semestre.Ricomincia la routine universitaria nelle Facoltà di Medicina, un nuovo anno acc-ademico ricco di lezioni, esami, tirocini e, soprattutto, libri.Il vortice di impegni investe quasi com-pletamente l’esistenza degli studenti di Medicina, che si ritrovano invischiati nel sistema universitario al punto da affannarsi alla conquista del prossimo esame, del prossimo CFU, alla ricerca dell’agognata libertà.Ma è giusto che questa sia tutta la nos-tra realtà?

Noi, al SISM, crediamo che gli studenti non abbraccino a pieno il loro ruolo di futuri medici durante l’Università. Cre-diamo che, senza sapere chi lo abbia creato, in molte Università si realizzi un circolo vizioso: molti studenti non ap-prezzano i docenti, perchè questi non fanno del proprio meglio nel dedicarsi alla didattica, e molti docenti non fanno del proprio meglio perchè gli studenti non danno segno di interessarsi e ap-prezzare la didattica.Questa spirale non ha solo l’effetto di abbattere l’entusiasmo di studenti e docenti per la vita universitaria, la pas-sione per la Medicina e la cura del pros-simo. Questa spirale ha anche un forte im-patto sulla qualità della formazione, limitando il numero di futuri medici che si forma al meglio delle proprie poten-zialità.Crediamo anche che chi fa le spese del mancato rinnovamento della formazi-one sia, in fin dei conti, la popolazione: dal singolo che viene curato da medici non perfettamente formati, dalle comu-nità che risentono della distribuzione squilibrata di specializzandi e medici sul territorio, all’intero Paese che sop-porta i costi di formazione che esita poi in una fuga di laureati, nonchè i costi di un Sistema Sanitario appesantito da un eccesso di prescrizioni, di indagini e di visite specialistiche.

Per questo motivo, vogliamo lanciare

It’s October, again the beginning of a new semester.Soon the daily life in Medical Schools will resume, a new academic year filled with classes, exams, rotations and, of course, books.The vortex of obligations fills almost the entire exsistence of medical students, who find themselves entangled in the university system. This reaches the point that they busy themselves striving for the following exam, the following rota-tion, every single credit, looking for the yearned freedom.However, is it right that this is our entire reality?

We, in SISM, believe that medical stu-dents don’t live up to their role of doc-tors to be, during Med School. We believe that, without knowing who started it, in many Universities we participate in a vi-cious circle: many students don’t appreci-ate their professors, because these don’t do their best in teaching, and many pro-fessors don’t do their best in teaching, be-cause their students don’t seem interested in their education.This spiral has not only the effect of bringing down both students’ and profes-sors’ enthusiasm for the University life, the passion for Medicine and the care for others. It also has a great impact on the quality of education, hindering students in reaching their full potential as future doctors.Furthermore, we believe that the ultimate stakeholder in our education is the gen-eral population. For this reason, they’re the primary victim of a medical educa-tion that is not up-to-date, sustainable and tailored to the needs of the health-care system: every individual may suffer from being cared by doctors who don’t receive the best education; local commu-nities suffer from the uneven distribution of residents and doctors in the Coun-

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una campagna che dica agli studenti che la loro voce conta, nella loro formazi-one, che il loro impegno verso la loro formazione è ciò che, in ultima analisi, li renderà medici competenti. Vogliamo una campagna che ricordi ai docenti che gli studenti hanno a cuore la propria formazione e che la missione educativa non deve essere trascurata, magari a favore degli impegni clinici e dell’attività di ricerca, cui pure è do-veroso dedicarsi. Tuttavia, svolgere con cura la didattica verso i futuri medici ha un impatto sulla Salute maggiore di qual-siasi attività clinica svolta nel presente. Vogliamo una campagna che renda la popolazione consapevole delle contrad-dizioni che attraversano la formazione in Medicina e di come queste contrad-dizioni generano medici non perfet-tamente formati e causano imponenti criticità nel Sistema Sanitario, da loro finanziato.

Questa campagna si chiama “iMED - Italian Medical Education Days” e si svolgerà dal 19 al 25 Ottobre 2015. Il tema selezionato per quest’anno è “Il pezzo mancante”, riferendosi alle la-cune e alle carenze che riscontriamo nel percorso di formazione in Medicina delle varie Università d’Italia. Le attiv-ità locali saranno condivise dalle varie Sedi Locali del SISM in un evento nazi-onale su facebook. Ogni Sede Locale ha la possibilità di selezionare un aspetto specifico che sia particolarmente rile-vante nella propria Università e di con-centrare le proprie attività su quello. Inoltre, il Consiglio Nazionale, lo SCOME TEAM e il Gruppo (In)Formazione con-tinua alimenteranno la riflessione sul sistema formativo.

try; the entire population bears the cost of educating doctors who then leave the Country to practise abroad, as well as the cost of a healthcare system loaded with ex-cessive prescriptions, diagnostic exams and referrals.

For this reason, we want to launch a cam-paign that tells the students that their voice counts, in Medical Education, and that their commitment to their education is ul-timately what will make them competent doctors.We want a campaign that reminds profes-sors that students care for their education and that their educational mission should not be neglected, not even for their clinical workload or their research activity, though these are necessary activities. However, ac-curately shaping future doctors has a great-er impact on Health than all the clinical ac-tivities they perform today. We want a campaign that makes people aware of the contradictions that Medical Education suffers from. We want to make people aware of the ways in which these contradictions create worse doctors than they deserve and cause critical issues in the healthcare system they pay for.

This campaign is called “iMED - Italian Medical Education Days” and will take place from the 19th to the 25th of October. The theme we have selected for this year’s campaign is “The missing piece”, in refer-ence to the areas of Medical Education that are neglected or overlooked in the vari-ous Medical Schools in Italy. Local activi-ties will be shared from the different Local

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Siete tutti invitati a partecipare! Seguite la pagina facebook o il pro-filo Twitter del SISM per partecipare all’evento online e/o contattate la vostra Commissione Locale per sa-pere cosa verrà organizzato nella vostra Università.

#iMED2015 #SISMupYOURlife

the different Local Committees on a na-tional facebook event. Every Local Com-mittee can select a specific aspect that is mostly relevant in their University and focus on this. Also, the National Board, the SCOME Team and the Group (In)formazione Continua will fuel the dis-cussion of the educational system.

You’re all invited!Follow SISM facebook page or twitter ac-count to support the online event.

#iMED2015 #SISMupYOURlife

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Alessandro Fiori e Francesco Sacchetti

DONACTION. RICERCA-AZIONE SUL MONDO DELLA DONAZIONE E I SUI PROCESSI COMUNICATIVI

Donaction è una campagna di ricerca applicata alla comunicazione strategica progettata da TACOS (Teoria Applicata alla Comunicazione Strategica - www.tacoshub.it) promossa dalla Regione Marche e dall’ufficio Scolastico region-ale delle Marche in collaborazione con le associazioni di volontariato regionali ADISCO, ADMO, AIDO, AIRP, ANED, ANTR, AVIS e LIFC. Il lavoro è durato due anni e ha coinvolto tutte le province della Re-gione. Donaction è stato uno dei primi progetti a creare un network sulla dona-zione a livello regionale e tra le prime esperienze a livello nazionale, che ha permesso alle associazioni di fare rete e lavorare assieme sullo stesso tema. Aver riunito attorno ad uno stesso progetto più associazioni di volontariato è già di per sè un esperimento sociale organiz-zativo che presenta un certo grado di novità. Inoltre, lavorando in modalità di aggregazione per le diverse specificità delle singole associazioni, si è dovuto operare un particolare sforzo astrattivo per definire i tratti comuni del tema di ricerca-intervento. Il minimo comune denominatore nel costituire il gruppo di lavoro è stato ovviamente quello dell’attività oblativa, sul quale con le associazioni si è elaborato un piano di progetti di sensibilizzazione che fosse in grado di agire a livello culturale. Si sono dunque messe in campo, negli interventi e nei materiali prodotti per la sensibiliz-zazione, argomentazioni riguardanti le dimensioni generali di proattività, civic engagement e altruismo. Il progetto è stato articolato secondo tre componenti essenziali:* SensibilizzazioneLa sensibilizzazione a livello culturale sul tema della donazione degli individui in età scolare della regione Marche è l’obiettivo primario del progetto.* ComunicazioneQuesto lavoro di ricerca-azione ha permesso di spostare il livello organiz-zativo dalle associazioni al progetto, dando accesso in ugual maniera a tutte le associazioni partecipanti ad una se-rie di ambienti reali e virtuali studiati

riferimento. Lo studio dell’impianto di comunicazione ha tenuto conto delle esigenze e delle modalità di compren-sione di specifici pubblici di riferimento.* RicercaLa ricerca sociale è parte integrante e fondamentale per la buona riuscita del progetto, in quanto grazie ad essa è stata possibile la descrizione e la comp-rensione dello stato attuale della sensi-bilità sul tema della donazione, permet-tendo, in questo modo, di individuare problemi o potenzialità nei percorsi di fidelizzazione. Favorendo il monitor-aggio dei processi di comunicazione e sensibilizzazione, è stato possibile cali-brare in itinere le strategie comunica-tive dell’azione. Inoltre, attraverso la ricerca, si è costituita una solida base su cui poter progettare future campagne di comunicazione in questo ambito.

Come pubblico di riferimento sono stati individuati gli alunni delle classi 3^,4^,5^ delle scuole superiori della re-gione Marche. Un’età che permette di iniziare a costruire una riflessione sul tema, e che entro qualche anno per-metterà di decidere autonomamente se scegliere di diventare donatore. Una prima parte di formazione era affidata ai volontari delle associazioni che hanno condotto alcuni incontri nelle scuole del territorio supportati da info-grafica e materiali multimediali appositamente prodotti. Inoltre è stato girato un video (https://goo.gl/TIma0G) che raccoglie la testimonianza di una ragazza di 18 anni “Asia” (all’interno quindi del pub-blico di riferimento), affetta da fibrosi Cistica, trapiantata di polmoni, la quale raccontava ai suoi coetanei la sua espe-rienza prima e dopo i trapianto, sotto-lineando l’importanza della donazione. Oltre ad essere pubblicato in rete, il video è stato proiettato nelle scuole du-rante gli incontri con i volontari.Attraverso la creazione di percorsi ludici e formativi insieme, si è puntato così ad ampliare le conoscenze e alimen-tare una riflessività sul tema del dono e della donazione. Tramite la richiesta

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tare una riflessività sul tema del dono e della donazione. Tramite la richiesta di mettere in campo la propria riflessiv-ità e creatività, abbiamo notato come l’impegno sviluppato abbia dato luogo a nuove connessioni logiche. In entrambe le edizioni è stato progettato e realiz-zato un contest (https://goo.gl/) strut-turato su diverse categorie di parteci-pazione che lo rendessero accessibile alle diverse propensioni e attitudini de-gli studenti che provengono da percorsi di studio differenti.

Parallelamente alla campagna di co-municazione e sensibilizzazione è stata portata avanti l’attività di ricerca. In primo luogo i risultati dello studio mi-rano a cogliere l’immaginario giovanile rispetto alla donazione e alla figura del donatore, prerequisito conoscitivo fon-damentale per essere in grado di at-tivare un reale cambiamento culturale con effetti di lungo periodo. In secondo luogo vengono individuate le pratiche centrali nell’esperienza di chi è già do-natore e iscritto ad associazioni di vo-lontariato. In tal modo si può meglio comprendere quali siano le nuove sfide organizzative che aspettano il mondo dell’associazionismo contemporaneo.Il progetto Donaction ha messo in evi-denza come l’utilizzo di tecniche cali-brate su specifici pubblici di riferimento possa rendere maggiore l’interesse verso gli argomenti oggetto di sensibi-lizzazione. In particolare, uno degli obi-ettivi prioritari di queste associazioni di volontariato sta nel sensibilizzare e coinvolgere le fasce più giovani della popolazione allo scopo di incidere sulla

dimensione culturale con effetti di lun-go periodo. La struttura organizzativa del contest ha portato ad un alto grado di coinvolgimento attivo da parte degli studenti delle scuole superiori. Questi ultimi hanno addirittura riportato au-tonomamente la discussione dal contes-to scolastico all’interno delle famiglie, allargando la sfera di influenza del messaggio relativo alla donazione a più ambienti per loro significativi. Questi contesti sono stati comunque raggiunti attraverso precise attività previste dal progetto, nella convinzione che sia in-dispensabile lavorare congiuntamente su scuola e famiglia, intesi come spazi di relazione significativi per i ragazzi. Se in tali ambienti viene ignorato, disincenti-vato o osteggiato il messaggio solidale, sarà più difficile che questo faccia presa sui giovani.Per raggiungere risultati ottimali, è nec-essario individuare e analizzare i con-dizionamenti e le cause che generano blocchi rispetto ad un atteggiamento solidale rispetto alla donazione. Dallo studio sono emersi forti condiziona-menti rispetto agli ambiti relazionali: famiglia, scuola, network amicali. In-oltre la promozione o l’inibizione della dimensione valoriale del dono in questi contesti, rimane una delle componenti forti rispetto all’attivazione dei giovani verso la donazione. Per tutte le asso-ciazioni in generale sembra essere fon-damentale la capacità di costruire ritu-ali e pratiche che incentivino e rendano possibile la costante partecipazione de-gli associati. Questo è particolarmente importante soprattutto per quelle as-sociazioni in cui l’effettiva pratica do-

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nativa avviene una tantum. Il coinvol-gimento attivo crea senso di comunità, influisce sulla costruzione di identità dei donatori, e deve mirare a richiamare e riattivare quelli che abbiamo definito “donatori dormienti”.Tra le categorie emergenti di orienta-mento verso la donazione, individuate dalle attività di ricerca, è interessante notare come sia presente a livello tras-versale nei lavori degli studenti e nelle discussioni dei focus group con stu-denti e donatori, un interesse relativo all’emozione che si prova nell’atto di donare. Entrare in contatto con chi ha già donato è un’esperienza significativa che riesce ad attivare un processo em-patico che porta a modificazioni cogni-tive.Inoltre è stato rilevato che una volta aderito ad una associazione di volontar-iato organizzato, la propensione delle persone ad espandere i propri orizzonti di solidarietà aumenta. Ciò si concre-tizza attraverso un percorso di appro-fondimento che sviluppa la componente empatica durante gli anni di adesione alle pratiche delle associazioni, grazie ad una sempre maggiore cognizione dei diversi stati di necessità dell’altro e, infine, grazie all’opportunità di con-oscere dall’interno altre realtà associa-tive affini. Questo processo di multias-sociazionismo rappresenta un elemento interessante per la costruzione di reti o spazi da dedicare alla conoscenza recip-roca tra membri di associazioni differ-enti al fine di estendere il potenziale di adesione a più associazioni tra chi è già donatore.A tutti i livelli si nota una sem-pre maggior richiesta di partecipazione e coin volgimento nel riempire attiva-mente gli spazi simbolici e concreti che riguardano le pratiche della donazione.

Ragionando su questi processi una possibile strategia per le future cam-pagne di sensibilizzazione potrebbe puntare sul riposizionamento nel con-testo dell’immaginario della pratica oblativa come elemento strutturante dell’identità sociale di una persona, e sulla conseguente costituzione di legami sociali comunitari basati sulla parteci-pazione.Come emerge sia dai focus con i ragazzi che da quelli coi donatori la dimensione fondamentale quando si parla di asso-ciazionismo relativo alla donazione è il coinvolgimento. Questo deve essere un coinvolgimento diretto delle persone, che avviene dando loro la possibilità concreta di esercitare un’azione, una pratica, un dialogo. Questo concetto di sintesi è molto importante ed è stato ribadito in diverse forme. Si è notato come la volontà di partecipazione sia più forte all’interno di quelle associazi-oni in cui le persone hanno lapossibilità di costruire un senso di comu-nità attraverso le pratiche. In tal modo viene favorita la partecipazione attiva alla costruzione di senso dell’azione do-nativa che si sta compiendo, ma anche alla costruzione della propria identità di donatore. Con questo progetto le as-sociazioni di volontariato marchigiane hanno raccolto la sfida di trovare nuove modalità di dialogo e comunicazione attiva. Ora il processo non si deve fer-mare, ma crescere e raggiungere altri traguardi.Questo articolo è una recensione del volume di Alessandro Fiori e Francesco Sacchetti Donaction. Ricerca-azione sul mondo della donazione e i sui processi comunicativi, edito da Franco Angeli, in uscita a novembre 2015

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PEER EDUCATION ED EDUCAZIONE SESSUALE

Carmine Calidona, Federico Longhini, Stefania Panebianco

Uno dei progetti cardine dell’area SCORA sono gli interventi di educazione sessu-ale, incentrati principalmente sulla pre-venzione delle Malattie Sessualmente Trasmissibili e sulla contraccezione, all’interno delle scuole medie superiori e, in alcuni casi, inferiori. Tali progetti sfruttano la metodica della Peer Educa-tion in modo da rendere il più efficace possibile il passaggio di informazioni e conoscenze e far sì che i ragazzi assuma-no atteggiamenti e comportamenti più responsabili e consapevoli nei confronti della loro saluteQuesto progetto è at-tivo all’interno dell’associazione ormai da sei anni e si sta diffondendo in modo sempre più capillare sul territorio con risultati molto incoraggianti.

Ma di cosa si tratta esattamente? E quando è nata qui in Italia? Come?Sono pronti a rispondere alle nostre domande Carmine Calidona, referente della Peer Education nello SCORA team nazionale, nonché LORA della sede Lo-cale di Messina, e Federico Longhini, co-lui il quale, in veste di NORA, importò nel 2006 questo metodo educativo in Italia. Vediamo cosa hanno da dirci en-trambi!

Carmine, cominciamo da te! Puoi spiegarci cosa sia esattamente la Peer Education?La Peer Education è una strategia educa-tiva, non formale, che prevede l’impiego di persone opportunatamente formate, in veste di Peer Educator, appartenenti allo stesso status sociale del target group con cui lavorano, da cui ne deriva la dic-itura di educazione tra pari. Questa tec-nica è altamente apprezzata dai giovani per il comune background che condivi-dono con i Peer Educators che hanno un ruolo a metà tra il tradizionale esperto e il fratello maggiore (mai essendo né l’uno né l’altro) e che perciò vengono percepiti dal ragazzo come delle figure a lui vicine che possono essergli di aiuto e di consiglio.Inoltre la Peer, tramite attività alterna-tive, espone le emozioni e le capacità

relazionali dei ragazzi, permettendo così la migliore riuscita del suo intento. Gli interventi di Peer Education fanno leva sul legame tra similarità percepi-ta: sentire una qualche comunanza con un’altra persona o supporre di condivi-dere con lei le stesse problematiche o le stesse esperienze, rendono questa per-sona un interlocutore credibile, di cui ci si può fidare, e ciò accresce la proba-bilità che il nostro modo di pensare e di agire ne sia influenzato. I pari sarebbero dunque dei modelli per l’acquisizione di conoscenze e competenze di varia natu-ra e per la modifica di comportamenti e atteggiamenti, modelli efficaci in misura equivalente se non superiore ai profes-sionisti del settore.Nella Peer Education, le persone diven-tano soggetti attivi del loro sviluppo e della loro formazione, non semplici re-cettori di contenuti, valori ed esperien-ze trasferiti da un formatore esperto. Questo avviene attraverso il confronto tra punti di vista diversi, attività di immedesimazione, team/trust build-ing, story telling, l’analisi dei problemi e la ricerca delle possibili soluzioni, in una dinamica tra pari che tuttavia non esclude la possibilità di chiedere col-laborazione e supporto agli esperti. Nel tempo si è verificato una più ampia diffusione di interventi che utilizzano i pari per tantissime tematiche riguar-danti i comportamenti a rischio quali l’assunzione di droge o alcool, il con-sumo di tabacco, la guida spericolata, il bullismo, la violenza, il comportamento alimentare non corretto… Tuttavia la Peer ad oggi rimane molto più utilizzata nel campo dell’educazione sessuale.Perché è così utile nel campo dell’educazione sessuale?I fini ultimi dei progetti di Peer SCORA, sono quelli di far riflettere i giovani su argomenti di cui poco si discute in famiglia o a scuola, ovvero la contrac-cezione, le MST, i falsi miti nella sessu-alità, non vivere la stessa come un tabù, educare al sentimento, promuovere l’informazione sul tema delle discrimi-nazioni motivate dall’orientamento ses-

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suale o dall’identità di genere.Ma andiamo con ordine. I termini “Peer Education” secondo alcuni autori, sono più correttamente traducibili come “prevenzione tra pari”, consideran-do la Peer appunto come un metodo d’intervento efficace nell’ambito della promozione della salute e più in gener-ale nella prevenzione dei comportamen-ti a rischio. La Peer si prefigge dunque di aiutare i ragazzi a sviluppare un pensi-ero critico sui comportamenti che pos-sono ostacolare il loro benessere fisico, psicologico e sociale; vengono indirizza-ti a compiere scelte del tutto autonome ma in maniera responsabile perché op-portunamente istruiti in modo innova-tivo e distante dagli approcci pedagog-ici classici che veicolano il messaggio tramite la proibizione di un comporta-mento considerato sbagliato. Ciò che rende particolarmente efficace questo metodo è la credibilità dei formatori e la sintonia che si crea tra ricevente ed emittente. Nonostante le classiche e numerose informazioni o campagne di sensibiliz-zazione rivolte alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse, i ri-sultati raggiunti sono stati, purtroppo, molto deludenti: ancora oggi il contagio risulta essere molto diffuso, soprattutto tra gli adolescenti. In passato, gli inter-venti di prevenzione rivolti proprio ai ragazzi, svolti soprattutto nelle scuole, sono sempre stati delegati ad adulti o operatori sanitari che hanno privilegiato sempre e solo l’aspetto scientifico delle informazioni fornite riproponendo cosìla struttura tipica dell’organizzazione sco-lastica tra un adulto/esperto (che sa ed insegna ciò che si può o deve fare) e un adolescente/inesperto (che non sa e che deve seguire dei consigli).

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Il risultato finale è quello di fa assumere all’adolescente un ruolo di recettore passivo dell’informazione senza riuscire minimamente a coinvolgerlo a livello personale nei programmi di prevenzi-one.Mentre la comunicazione tra adulto e adolescente implica per quest’ultimo un effetto ansiogeno, un sentimento di incomprensione poiché l’adolescente avverte e sente la distanza generazion-ale, la comunicazione tra pari è avver-tita come meno giudicante e ansiogena.Inoltre nel considerare la parità una pos-sibile spinta al cambiamento e con ciò privilegiando una trasmissione del sa-pere, la Peer Education si colloca come strategia educativa volta ad attivare un processo naturale di passaggio di con-oscenze, emozioni ed esperienze tra i membri di un gruppo.

Che feedback hai ricevuto dagli stu-denti?Ogni sessione di Peer che si rispetti si conclude con l’evaluation del tempo trascorso con i ragazzi, delle tematiche trattate e del modo con cui sono state trattate, valutando la disponibilità e le skills dei formatori, oltre che la risposta del gruppo alla sessione. Nel corso della mia esperienza con ragazzi dai 13 ai 18 anni, ho sempre avuto ottimi feedback e sicuramente questi successi sono as-crivibili all’efficacia del metodo in sé ed ai momenti di formazione (TIPE, incontri preparatori con professori e psicologi, confronti con gli insegnati…). Sicuramente lungo il percorso si possono incontrare difficoltà, professori bigotti, genitori particolarmente apprensivi, ra-gazzi difficili da approcciare; tuttavia, in un modo o nell’altro si potrà sempre tr-asmettere nozioni, informare e respon-

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bilizzare, in relazione alla disponibilità ad apprendere ed a mettersi in gioco dei nostri ragazzi, oltre che sicuramente ed in primis, in relazione alle capacità dell’educatore. I ragazzi si mostreranno sempre entusiasti e curiosi circa la ses-sualità.Molto spesso veniamo percepiti come la valvola di sfogo, quel momento della settimana in cui finalmente si può parlare di sesso in maniera consapevole e senza essere giudicati. Anche i profes-sori molto spesso percepiscono un clima diverso in classe a seguito delle nostre sessioni. I ragazzi riescono a vivere la realtà scolastica più coesi come gruppo e rispettandosi a vicenda ripensando a quanto si è detto in sessione.

Perché essere Peer Educator fa bene agli altri ma soprattutto a sè stessi?Chiaramente mettersi in gioco con e per i ragazzi non garantisce solo una maggiore credibilità per il formatore agli occhi dei giovani studenti ma sicuramente ti permette di metterti in discussione. Dopo un TIPE e dopo una sessione di Peer, ci si rende conto di essersi arricchiti, di conoscere meglio i propri punti di forza e le proprie de-bolezze. Lo scambio che avviene con i ragazzi è reciproco, impari molto dalle loro dinamiche, dalle loro risposte e rivivere il clima scolastico ormai pas-sato ha anche i suoi effetti positivi. In più, trattandosi di volontariato, per di più riguardante tematiche a noi molto care e verso le quali siamo particolar-mente sensibili, non possiamo che non essere fieri di noi e del contributo che diamo. Magari siamo dei pazzi idealis-ti, ma siamo fermamente convinti che una classe per volta ,la differenza si possa fare. Anziché lamentarci di uno status quo sbagliato e triste cerchiamo di rimboccarci le maniche e di ritagli-are nella nostra vita accademicamente (e spesso non solo accademicamente) stressante una parte della giornata per occuparci dei nostri ragazzi, e questo è estremamente gratificante.

Carmine ci ha appena aiutati a com-prendere e conoscere questo magnifico strumento che la SCORA e ogni Peer Educator ha in mano. Non dimentichi-amo inoltre che prima di rivestire tale ruolo, siamo noi stessi i primi a vivere questa esperienza dall’altra parte del-la Peer Education, vivendo quindi tale esperienza sulla propria pelle, com-prendondone le potenzialità.

Ma quando è cominciato tutto qui in Italia? E come? Federico Longhini, NORA/NORP per gli anni 2006/2007 e 2007/2008, è stato l’artefice del tutto, e ha deciso di riper-correre con noi quest’intenso percorso.

“Il percorso è stato molto lungo, rico-prendo un arco temporale di circa due anni. Tutto inizia nel 2006, anno in cui ricoprivo la carica di NORA/NORP. Avevo sentito parlare della Peer Education, già diffusa in Europa, ma non avevo davvero idea di quali fossero le attività che la caratterizzavano e che venivano usate negli altri Paesi. Incontro così per la prima volta Silva Rukavina, una ragazza croata all’epoca SCORA director, che mi spiega in cosa consista la tecnica di Peer Education e un’idea grossolana di cosa si potesse fare, proponendomi di parte-cipare all’IPET (International Peer Edu-cation Training) che si sarebbe tenuto in Inghilterra, a Canterbury. Accetto e alla fine acquisisco il certificato di Trainer in Peer Education e comincio a costruire un progetto per poter formare altri ra-gazzi in Italia. Purtroppo questa prima fase ha richiesto molto tempo, tanto da arrivare al successivo congresso nazion-ale, al quale mi ricandido per la carica di NORA/NORP venendo riconfermato per l’anno 2007/2008. Così durante il meeting tenutosi nel maggio del 2008 presso Palermo, tengo la prima e pro-

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pria sessione Training di Peer Educa-tion, durante il quale ho proposto anche l’attività “acqua e sale”, che ho rubato ad un gruppo olandese, al tempo il più “forte” in questo ambito a livello eu-ropeo. Fatto sta che mi aspettavo che ci fossero 20 persone, ma se ne presentar-ono 50-60, ammettendoli tutti poiché non me la sentivo di precludere la pos-sibilità ad alcuni di poter partecipare. Il training si è svolto per circa due ore, anche se io avevo previsto una durata di un’ora, e a causa dell’entusiasmo riscontrato ho continuato ad effettuare attività anche durante gli altri giorni del meeting, però mi sono accorto che tutto ciò ancora non era abbastanza per poter dare in mano alla gente un reale stru-mento. Per cui tornato a casa dopo il meeting di maggio contento per come si era svolto il training durante quei gior-ni, in realtà mi sentivo sconfitto perché non ero riuscito a raggiungere lo scopo che mi ero prefissato.Dopo un mese una notte alle tre mi sono svegliato di colpo e penso “Ho deciso. Facciamo l’IPET in Italia”. L’unico prob-lema consisteva nel fatto che ero solo, e non potevo sviluppare un intero train-ing in questo modo, per cui ho cercato l’aiuto di altri NORA/NORP, sperando in qualcuno che sapesse parlare un po’ di italiano o un inglese molto semplice (perché all’epoca l’inglese non lo parla-vano tutti) e alla fine con una mia caris-sima amica, Arlette Vassallo, NORA di Malta, che ho messo in piedi il primis-simo TIPE, che si svolse a Pisa durante il mese di novembre.

Questa è stata la nascita della Peer Education in Italia. E’ stato un per-corso molto travagliato, durato circa due anni, ma per fortuna, è cresciuto negli anni raggiungendo obiettivi che io non avrei mai immaginato. Ovvia-mente sono stati fondamentali per la riuscita del progetto tutti i LORA di quegli anni, che mi hanno dato più del massimo, e che hanno partecipato al primo, al secondo e al massimo al terzo TIPE.Il colmo di tutta questa storia è che alla fine io non sono mai riuscito ad andare nelle classi e fare educazi-one sessuale: ho creato il training ma non sono riuscito a metterlo in prat-ica, basti pensare che già durante il training non ero più uno studente in Medicina e Chirurgia, ma avevo già conseguito la Laurea. Questa espe-rienza però mi ha lasciato tanto, basti pensare che i metodi della Peer Edu-cation, soprattutto riguardanti le Co-munication Skills, li uso anche in am-bito lavorativo per poter parlare coi pazienti e i loro parenti o con questi ultimi; saper organizzare un training mi ha anche aiutato a sviluppare un progetto di ricerca, mi ha insegnato a scrivere un protocollo e cose che poi alla fine tutt’oggi utilizzo.”

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DUE PERSONE

Valeria ButeraDue persone, due storie o meglio due racconti di vita a confronto.Il primo, Giovanni classe 1943 emigrato in Germania negli anni ‘60; il secondo Suleman, classe 1994 partito dal Mali.Avevo strutturato questa intervista in modo abbastanza schematico ma poi mentre parlavo con queste persone così diverse mi sono resa conto che avevano una storia da raccontare e non sarebbe stato rispettoso spezzarla con tante domande.

GIOVANNI 1943, Agrigento“Sono nato in Sicilia in un paese vicino ad Agrigento, ultimo di 6 fratelli. La mia era una famiglia contadina, man-giavamo anche grazie alla terra ma non potevamo permetterci nulla di più. Così a 18 anni sono partito per la Germania, ho fatto da solo il viaggio in treno, ci ho messo circa 35 ore ad arrivare in Ger-mania tra una cosa e l’altra. Lì avevo mio fratello più grande che mi aspet-tava ed un posto di lavoro che mi aveva trovato lui. Non tutti erano così for-tunati, chi non aveva un contatto, un posto di lavoro e dove stare non poteva passare la frontiera quindi alcuni lo facevano da clandestini. Per esempio un mio amico si è fatto accompagnare in montagna a Bardonecchia e ha pas-sato le montagne a piedi per entrare in Francia. Per andare in Germania invece dovevi andare al consolato a Verona, fare le visite e farti mettere in lista per un posto in fabbrica. Quando la fabbri-ca chiamava tu potevi partire. Erano gli anni della ripresa dopo la guerra quindi c’era tanto bisogno di operai e lavora-tori.Comunque io sono arrivato su a Stoc-carda che avevo 18 anni, sono stato qualche giorno da mio fratello e poi ho dormito in alcuni prefabbricati che la fabbrica aveva costruito per noi che arrivavamo, ma pagavamo l’affitto non crediate che fosse gratis. Io lavoravo in fonderia, facevamo pistoni e principal-mente eravamo tutti stranieri però la fabbrica ci metteva a disposizione un interprete per spiegarci cosa dovevamo

fare, quindi lavoravo e poi dormivo in queste stanze in affitto che dividevo con altri operai. Ho fatto amicizia principal-mente con gli italiani, perché non sape-vo nulla di tedesco quando sono arrivato e poi con altri stranieri. I tedeschi, so-prattutto i più anziani, ci disprezzavano ancora per averli traditi in guerra tut-tavia non ne incontravamo molti, ave-vano posizioni più alte in fabbrica e non dormivano con noi. I nostri dormitori erano un po’ dei ghetti. Quando avevo 26 anni sono tornato a casa per sposarmi con Mela e poi lei è venuta a vivere con me e ha trovato lavoro in una fabbrica che produceva sacchi di carta. La prima volta che è rimasta incinta è tornata in Siclia per partorire mentre il nostro secondo figlio è nato in Germania, co-munque tutti e due hanno studiato qui. C’erano anche famiglie che mandavano i bambini a stare con i nonni per fargli fare le scuole italiane e quindi vivevano separate non integrandosi mai. I miei figli hanno studiato qui, la prima si è sposata con un italiano e hanno aperto un ristorante, adesso ho anche 3 nipoti. Lavorano o studiano qui in Germania e hanno amici e fidanzati tedeschi. Lo scorso anno la mezzana si è sposata con un tedesco.Io e mia moglie pensavamo di fare un po’ di soldi e poi tornare in Italia, ma qui viviamo bene. E poi la nostra famiglia ha messo radici qui, quindi qualche hanno fa ci siamo decisi a comprare una casa. Io continuo ad avere per la maggior par-te amici italiani, frequento un circolo e ogni tanto ci vediamo per mangiare tutti insieme o fare la salsiccia come la fanno al mio paese che era buonissima”

SULEMAN 1994, Mali“Ho lasciato il Mali per problemi di famiglia. Da piccolo ho perso mio pa-dre che non ho mai conosciuto; quan-do avevo 15 anni ho perso anche mia madre, non avevo nessuno perché mio fratello studiava in Francia e così ero da solo a casa. Abitavo con mio zio ma non mi trovavo bene così ho preso i soldi che mi avevano lasciato e sono uscito da

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Mali. Sono andato in Costa d’Avorio e poi sono tornato indietro, sono andato in Burkina Faso e sono di nuovo tornato in Mali. In Africa anche se sei così piccolo non ti fanno problemi e ti lasciano girare se hai i soldi. Ho proprio deciso di lasci-are il paese quando con la macchina ho guidato fino in Algeria, da lì sono stato 7 mesi in Marocco e poi sono andato in Libia. Mio fratello intanto mi diceva di tornare a casa . Sono stato quasi un anno in Libia finchè non è iniziata la guerra. A quel punto ho deciso di tornare in Mali ma non ci sono riuscito, ho fatto il pos-sibile ma non tutti potevano uscire , da alcune parti potevi al massimo andare in Tunisia. Allora ho trovato una nave che mi ha portato in Italia e sono venuto qui. In teoria il viaggio era gratis ma in realtà mi hanno preso praticamente tutto quello che avevo e mi hanno se-questrato i soldi. Sono partito per salva-rmi la vita e non restare in Libia durante la guerra. Se uno aveva paura di morire non poteva partire, ma in verità anche io ho avuto paura però sono venuto. Il primo paese che ho visto è stato Lampe-dusa e da lì ho ancora provato a tornare a casa ma essendo minorenne il giorno stesso mi hanno portato in Piemonte in un paesino. Fin da quando ero piccolo mia mamma super tifosa nel Napoli mi aveva fatto fare sport e atletica con una società. Anche in Marocco mi allenavo e anche in Italia ho inziato a correre. A 17 anni mi hanno portato in una comunità di minorenni dove sono stato un anno, li però non ci facevano nè studiare nè im-parare la lingua ed è stato un po’inutile. Visto che mi allenavo mi hanno portato

a conoscere un allenatore di atletica, un preparatore di podisti. Sono entrato nella sua squadra di atletica e sono stati tutti gentili con me. Andavo molto bene ma a 18 anni mi hanno detto che dovevo andare via dalla comunità, mi avrebbe-ro dato 500 euro ma poi dovevo uscire. Così ho pensato di nuovo di ritornare a casa ma il mio allenatore ha insistito per farmi restare, allora la società di atletica mi ha aiutato, così come anche tutti i genitori dei miei compagni. Dopo una settimana mi hanno trovato un dor-mitorio e i genitori del mio allenatore mi hanno trattato come un figlio, mi hanno trovato una casa e aiutato con la garanzia e l’affitto. Per guadagnare 600 euro però devo lavorare anche 10 ore e non riesco più ad allenarmi, riesco solo la domenica ma se ci sono delle gare le faccio, mi impegno più che posso. Io ho mantenuto gli amici con cui sono par-tito dalla Libia, ma sono uno dei più fortunati, non ho mai dormito fuori ma a loro è successo. Se non mi avessero aiutato probabilmente sarei come loro, molti sono partiti per la Francia. Mi pi-acerebbe restare qui e avere una casa mia ma senza un lavoro sicuro non posso costruirmi un futuro, quindi mi piacer-ebbe trovare qualcosa di meglio e vorrei ancora allenarmi perché sono giovane. Gli italiani sono stati molto gentili , certo qualcuno è davvero razzista ma molti poi invece si ricredono, io non ho mai trovato nessuno come le persone che si vedono in tv. In tutto il mondo siamo fatti così, anche in Africa ci sono paesi che sono ricchi e che non hanno la guerra e si comportano peggio che qui”

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DA LEO AD OUTGOING: LA MIA POLONIA

Simona Nicoletti

Sono diventata Local Exchange Officer quasi per caso, 2 anni fa, e da allora amo ancora di più viaggiare.Il primo anno ho dovuto imparare a ge-stire la campagna scambi,ad usare il da-tabase, a reperire i documenti... è stata una fatica!Quando arrivano gli Incomings e tutto va bene, però, mi sento ricompensata di tutto il lavoro fatto. La ricchezza di questo progetto consiste, secondo me, nel poter conoscere ragazzi da tutto il mondo ed apprendere la loro cultura, abbattendo stereotipi e creando legami, spesso duraturi: ad esempio quest’ anno la mia Sede Locale ha ospitato 3 incom-ings africani ed è stata una bellissima opportunità di avvicinamento a culture lontane dalla nostra, in un periodo in cui c’era ancora la psicosi dell’ ebola!In generale ho ricordi fantastici degli incomings; con molti di loro sono rimas-ta in contatto e mi invitano sempre ad andarli a trovare: un ottimo motivo per continuare a viaggiare!Sul fronte degli outgoings, la soddis-fazione è quando finalmente arrivano le destinazioni e sono pronti tutti i docu-menti, spesso dopo cambiamenti di leg-gi in alcuni Paesi, richieste inesaudibili ed ansie dell’ ultimo momento.Ascoltando i racconti estasiati di ex out-goings, quest’ anno sono riuscita a par-tire per il Research Exchange, destinazi-one Polonia.Quando avevo letto la città assegnatami sul database, Bialystock, ero rimasta un po’ perplessa, perchè è nell’ estremo Nord- Est, a 3 ore da Varsavia, quindi lontana da molte località turistiche.Appena arrivata, però, ho avuto una buonissima impressione e durante il mese mi sono sentita fortunata ad es-sere stata assegnata lì.Ho frequentato il laboratorio di Pato-logia Clinica e Sperimentale con un in-coming giordano; la tutor ci ha seguiti benissimo ed ho imparato tantissimo. Il progetto consisteva in uno studio com-portamentale sulle cavie, in cui erava-mo observers durante gli esperimenti. In particolare, lo studio riguardava il ruolo

dell’ Interleuchina 6 nella memoria.La tutor ci aveva fatto prima leggere alcuni articoli, molto interessanti, sui molteplici ruoli di questa molecola. Ho scoperto che c’è un mondo non scritto sui nostri libri!Gli esperimenti osservati erano due: il primo valutava le capacità motorie de-gli animali; il secondo erano dei trials in acqua per testare la memoria a breve e lungo termine. L’ultima settimana ab-biamo assistito all’ estrazione del DNA ed è stato emozionante.Anche la professoressa direttrice del di-partimento era molto disponibile ed in-teressata al funzionamento delle nostre università.Una particolarità del dipartimento era la sala da tè, che gli altri incomings ci in-vidiavano, dove potevamo fare pausa e l’ultimo giorno, dopo la presentazione, ci hanno offerto il tiramisù (niente a che vedere col nostro!) e la tutor ci hanno regalato un souvenir di Bialystock!Successivamente abbiamo analizzato i dati raccolti e preparato una presen-tazione, esposta al personale del Dipar-timento l’ ultimo giorno del progetto.Per me è stata un’ opportunità unica, dato che è difficile, per noi studenti di Medicina, poter frequentare un labora-torio nella nostra università.Il mio gruppo era un melting pot inter-continentale: ospedale con camiciIta-lia, Spagna, Portogallo, Croazia, Bul-garia, Marocco, Tunisia, Cina, Turchia e Giordania!

I ragazzi polacchi sono stati disponibili, ci hanno accompagnato ovunque nei primi giorni e spesso uscivano con noi la sera.La prima settimana c’è stato il food and drinking party: immancabile la nostra pasta al sugo, poi tè e dolci marocchi-ni, prosciutto spagnolo, polpette pic-canti tunisine, dolci giordani e polac-chi, tigelle e parmigiano, il famoso vino Porto..un’ occasione per socializzare ed avvicinarsi ad altre culture.Il mese di agosto è stato eccezional-mente caldo per gli standard polacchi,

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quindi un pomeriggio ci avevano portato anche in spiaggia!Bialystock è una città molto curata e pu-lita, sicura, piena di parchi (il dormito-rio era proprio in uno di questi!) e bici-clette, musei e ristoranti dove provare la cucina tradizionale ed ottime birre (memorabili quelle ai lamponi e mir-tilli).

Per gli amanti di superalcolici, in Polo-nia si può trovare vodka di tutti i gusti e a buon prezzo.Una particolarità è il social program na-zionale: in 2 weekend, più Sedi Locali si incontrano per visitare delle città, in questo caso Cracovia e Danzica.Entrambe sono fantastiche e ricche di storia: la leggenda del drago nel cas-tello, il quartiere ebraico, la miniera di sale patrimonio UNESCO ed il museo di Schindler a Cracovia; palazzi viva-cemente colorati, la chiesa gotica più grande del mondo, i negozi d’ ambra ed il Mar Baltico a Danzica. Ho visitato anche Varsavia e ve la consiglio!Prima di partire non avevo un’ idea pre-cisa di cosa avrei trovato in Polonia ed è stata una piacevole scoperta. E’ un Paese turisticamente molto variegato, dai parchi nazionali ai laghi e villaggi antichi, cordialità ed ospitalità inaspet-tate, persone che non parlavano inglese disposte ad aiutarci con i mezzi pubbli-ci, ottimi dolci e cioccolata (ne eravamo dipendenti!), cicogne nelle campagne, statue di bisonti nelle città, antico e moderno in un connubio perfetto... adoro la Polonia! Ero già stata da sola all’ estero, ma questa è stata senza dubbio l’ esperienza migliore.Sono in contatto con la maggior parte del gruppo, con cui speriamo di rivederci nei rispettivi Pae-si, e conservo ricordi stupendi. Solo per citarne alcuni: i pranzi alla mensa ospe-daliera (spesso a base di: zuppe, pollo

e patate), le lezioni di italiano agli altri outgoings, la partita a bowling, i lunghi viaggi, il pattinaggio, le uscite serali, le lavatrici collettive, i barbeque, ve-dere le stelle cadenti al parco.Però è capito anche qualche imprevis-to: social program nazionale poteva es-sere migliore, qualche contact person è stata assente e alcuni tirocini sono iniziati in ritardo. Anche questi episodi possono far parte dello scambio e sono occasioni per crescere, fare gruppo ed imparare ad essere più autonomi.L’ultima settimana è stata triste, per-chè ogni giorno dovevamo salutare qualcuno che partiva. Non erano ad-dii, ma arrivederci. Sappiamo già che prima o poi ci rivedremo!Io sono partita per Varsavia con il raga-zzo cinese ed siamo stati accompagnati dai rimanenti outgoings ed alcuni raga-zzi della Sede Locale. Al mio arrivo a Roma, ho avuto la fortuna di incontrare 2 SISMici, che mi hanno fatto compag-nia prima di prendere il treno.Il SISM è una grande famiglia ed in ques-ta occasione ho avuto la conferma. A parole non riesco ad esprimere tutte le emozioni provate durante questa espe-rienza, ma se siete curiosi di conoscere colleghi stranieri e scoprire realtà lon-tane dalla vostra, vi consiglio di inizi-are come contact person. Io mi sono avvicinata agli scambi in questo modo e vi assicuro che non è tempo perso, ma un’ opportunità che può ampliare i vostri orizzonti!Se non siete ancora partiti, quindi, che aspettate? Riempite la valigia di curi-osità, voglia di imparare, spirito di av-ventura e adattamento, coraggio, pa-zienza ed un pizzico di fortuna.Perchè per quanta strada ancora c’è da fare, amerete il finale. A me è successo e vi auguro di vivere questa esperien-za, che vi tornerà sicuramente utile.

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Page 24: Zona SISMica - Ottobre 2015 / October 2015

SISM - Segretariato Italiano Studenti MedicinaUfficio Nazionale: Padiglione Nuove Patologie, Policlinico Sant’Orsola,

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