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Tesi su employer branding di Beatrice Gobbi - Università Cattoica Milano
I
SOMMARIO Introduzione V
Capitolo I: Ricerca e seduzione di talenti: quando la risposta è il
Branding
10
1. Social Recruiting 2.0
a. Il Social Recruiting Trend Survey 2011
8
2. Recruiting sta a “Social” come Branding sta a
“Personal”
20
3. La “guerra dei talenti”: attrarre i migliori, conquistare i
talenti
25
4. Chi vince la “guerra dei talenti”? L’affascinante
importanza dell’Employer Branding
29
a. L’ “Employer Branding Process”, gli ingranaggi di
una macchina per sedurre
31
i. Analisi del target
ii. Posizionamento
iii. Creazione del messaggio
iv. Scelta dei canali
v. Valutazione
5. Employer Branding 2.0: Unilever, Adecco e ALTRAN 44
a. Employer branding e Social Media, una
testimonianza da Unilever
b. Employer Branding e Social Media, caso Adecco
c. Employer Branding e Social Media, il punto di
vista di Altran Italia
II
Capitolo II: Pinterest 56
1. Pinterest… questo (s)conosciuto!
a. Com’è fatto Pinterest
b. Potenzialità d’uso di Pinterst
56
2. Un’immagine vale più di mille parole 65
3. Pinterest e il Job Searching 67
4. Pinterest come strumento di Personal Branding 69
a. Kapferer e l’identità della marca
b. Siamo ciò che ci ispira: Personal Branding su
c. Un caso pratico: i visual resumes su Pinterest:
quando il curriculum prima si guarda e poi si legge.
5. Pinterest come strumento di Employer Branding 2.0 80
a. Una “Brand Box” 2.0
b. Strategie eccellenti di Employer Branding su
Pinterest: General Electric, The New
Traditionalists e Taco Bell
i. Il Caso General Electric
ii. Il Caso The new Traditionalists
iii. Il Caso Taco Bell (Careers)
6. Verso una proposta di Branding Integrato 108
III
Capitolo III: La mia proposta per un futuro non troppo lontano,
la “Social Career Page”
111
Conclusione 117
Bibliografia 398
Sitografia 420
V
Introduzione
Questo lavoro nasce dalla curiosità suscitatami dalla “deflagrazione”
verificatasi in rete nel 2010, al momento della nascita del nuovo social
network chiamato Pinterest. Già dal primo utilizzo, le potenzialità di questa
piattaforma, in termini di branding, mi sono sembrate subito lampanti.
Pinterest permette agli utenti di creare delle board, tavole tematiche dentro
le quali raccogliere e condividere immagini prese dalla rete, o caricate dal
proprio computer. L’utilizzo istintivo che se ne fa inizialmente è quello di
“segnalibro” o “bacheca virtuale”, proprio come si utilizzano le bacheche di
sughero sulle quali si conservano fotografie, biglietti di viaggi emozionanti,
ricette, ritagli di giornale, e via dicendo. Pinterest, infatti, permette di
aggiungere il bottone “Pin” ( in inglese: puntina) alla barra dei preferiti e
“appendere” alla propria bacheca personale- la board di cui parlavo prima-
qualsiasi immagine trovata sul web. La filosofia alla base di Pinterest è:
“Mettere in contatto tutte le persone del mondo attraverso le cose che
ritengono interessanti”. Infatti, il nome nasce dalla crasi dei termini “Pin”
(puntina) e “Interest” ( interesse) . La forza di Pinterest risiede nella
semplicità d’utilizzo e nella potenza dell’elemento su cui si basa : le immagini.
Le immagini possono diventare veicolo efficientissimo di qualunque
messaggio o intento, “un’immagine vale più di mille parole”, si dice. E c’è chi,
recentemente, ha iniziato ad intuire che forse un’immagine vale anche più di
qualche noiosa e piatta riga sul curriculum. Se poi si aggiunge che ad ogni
immagine Pinterest permette di affiancare un link, che rimandi al luogo
virtuale da cui si è presa la foto, allora il gioco è fatto.
Il brand è l’insieme delle caratteristiche intangibili che aggiungono
valore ad un prodotto. Creare un brand significa creare esperienze, costruire
una relazione emotiva, una connessione emozionale col cliente. Si dice che sia
l’emozione a spingere all’azione, mentre la ragione porta solo a trarre
VI
conclusioni, e questo è il principio che regola la creazione della marca. Per
essere efficace deve essere innovativa, è necessario aspirare alla differenza
radicale. Tutto il mondo, in tutte le parti del globo, desidera vivere emozioni.
Ed ogni momento di contatto del brand col cliente è un’opportunità per
crearle e suscitarle. Inoltre, comunicare una marca significa porre in atto una
strategia di storytelling, ovvero di narrazione. Si tratta di connotare l’essenza
di uno o più prodotti, ed inserirla in una cornice narrativa, dentro coordinate
spaziali e temporali, dentro ad un ruolo e ad una mitologia. Così Danone
diventa l’alleato delle mamme, nel periodo di crescita dei bambini, Audi
diventa complice di chi vuole sentirsi giovane, libero e appagato, Diesel si
erge ad emblema della generazione dei sognatori ed Apple diventa uno stile
di vita, essenziale, minimale, moderno e all’avanguardia. Allo stesso modo,
l’attività creativa di costruzione di un brand è stata applicata anche
all’individuo, partendo dalla considerazione che anche le persone possono
differenziarsi ed identificarsi sulla base di caratteristiche intangibili che
conferiscono loro valore, e a partire dal celebre articolo del 1997 di Tom
Peters dal titolo “Il Brand chiamato Te ” , la pratica del Personal Branding ha
assunto via via più importanza fino a diventare, ad oggi, un esercizio
imprescindibile per molti.
Un’altra interessante frontiera del branding, di cui si è preso
coscienza all’interno delle aziende più recentemente, è quella che vede le
strategie di branding applicate al campo delle risorse umane e integrate con
elementi di marketing, per far sì che l’azienda possa differenziarsi ed essere
identificata nel mare magnum del mercato del lavoro, in base alle
caratteristiche intangibili e valoriali che la qualificano come ambiente di
lavoro. La necessità di sperimentare questa strategia nasce in un particolare
segmento temporale del mercato del lavoro, i primi anni Novanta , durante il
quale si verificò una situazione di squilibrio tra la domanda e l’offerta di
professionisti di talento. Le aziende più importanti avevano molti posti di
lavoro, che desideravano affidare a professionisti che avessero una
VII
determinata esperienza in quel settore, ma si trovarono a fronteggiare una
penuria di figure professionali , che alcuni attribuiscono ad un calo delle
nascite verificatosi anni prima, e fu in quel momento che un team di ricerca
della McKinsey coniò il termine “Guerra dei Talenti” per indicare la
spasmodica guerra che le aziende fecero per assicurarsi i collaboratori
migliori nel ristretto gruppo disponibile.
In questa tesi Pinterest viene eletto come arena, palcoscenico
virtuale e sociale dell’interazione che andrò ad approfondire, quella tra
queste due strategie di branding, opposte ma complementari: il Personal
Branding e l’Employer Branding.
Nel primo capitolo, toccando più nuclei tematici tra loro
complementari, si analizza come nell'economia della conoscenza il capitale
intellettuale sia la vera e più autentica fonte di vantaggio competitivo
sostenibile. Come si riconoscono i talenti? Definirli non è semplice.
In generale, chi ha sviluppato al meglio le proprie attitudini e potenzialità.
I protagonisti di questo lavoro, di questo capitolo, e di ogni trattazioni in cui
si parlerà di “attrarre e sedurre talenti” sono, secondo la definizione più
comune nel campo delle risorse umane, giovani con forte potenziale e con
prestazioni superiori alla media, in grado di lavorare assumendosi
responsabilità sempre maggiori, veloci nell’apprendere e in grado di
trasferire valore alla struttura e ai manager con più anni di esperienza. Oltre
a garantire elevate prestazioni nel loro settore lavorativo, hanno uno spiccato
senso di appartenenza al team, trasmettono entusiasmo al gruppo all’interno
del quale lavorano e consentono all’azienda di arricchirsi nella sua totalità
grazie all’eccellenza delle singole parti.
Inoltre, secondo una ricerca del 2011 dell’ Osservatorio Robert Half, tra le
caratteristiche più apprezzate e ricercate nei futuri candidati si trovano:
atteggiamento mentale innovativo, lealtà, passione, e abilità relazionali.
In questo capitolo si approfondiranno le dinamiche di ricerca di questo
capitale umano imprescindibile e che richiede di essere valorizzato. Sarà
VIII
affrontato il tema della ricerca di risorse umane, che negli ultimi anni si è
spostata sul web 2.0, ovvero sui social network , e vive un momento di
scissione tra i sostenitori della pratica e chi, invece, non vede un futuro nel
cosiddetto “Social Recruting” . La repentina comparsa di quest’attività nella
prassi comune di ricerca ha fatto si che “coloro i quali volevano essere
trovati” si ingegnassero per emergere, nel mare magnum delle candidature e
delle presenze online. Di qui una sempre maggiore attenzione per il processo
creativo di costruzione del proprio Personal Brand, ovvero per la
comprensione e ottimizzazione di quelle caratteristiche intangibili che
conferiscono valore alla persona, ha reso possibile l’instaurarsi di una
relazione sinergica, dinamica e stimolante tra Social Recruiting e Personal
Branding online. Parallelamente, anche le aziende, proprio come le persone,
hanno maturato durante una fase del mercato del lavoro chiamata “guerra
dei talenti”, il bisogno di distaccarsi dal numero informe degli svariati luoghi
di lavoro ai quali un candidato può essere interessato. Questa esigenza ha
fatto si che anch’esse maturassero la necessità di crearsi una reputazione, tra
i giovani neolaureati –i giovani di talento di cui si parlava sopra-, in quanto
ambienti di lavoro. Come nel marketing sono messe in pratica strategie volte
ad attrarre e sedurre il cliente migliore, lo stesso meccanismo regola le
strategie di Employer Branding, con l’unica differenza che quest’ultime sono
volte ad attrarre e sedurre il miglior candidato per l’azienda e la posizione
offerta.
Nel secondo capitolo sarà analizzato il social network che ha avuto
più successo nel biennio 2010/2012. Si tratta di Pinterest: in questa fase
verrà illustrata la sua “anatomia” in quanto piattaforma sociale, seguita da un
approfondimento sulle grandi ed intrinseche potenzialità del social media. In
seguito Pinterest sarà, come anticipato, sfondo privilegiato dell’analisi di due
filoni di strategie di branding: il personal branding e l’employer branding.
Entrambe le attività sono state recentemente trasferite sulla nuova
piattaforma con risultati eccellenti e di grande impatto. In questo capitolo
IX
saranno approfonditi casi empirici che mostreranno come uno spazio
virtuale, e ovviamente sociale, basato sul solo utilizzo delle immagini , possa
trasformarsi in potente strumento di branding “ a due sensi”: dal datore di
lavoro verso il futuro candidato, e viceversa, col risultato di accorciare
potenzialmente le distanze tra i due.
Il terzo capitolo è dedicato alla proposta di un progetto delineato
nelle sue linee principali, un’ipotetica piattaforma dedicata ai giovani talenti:
i neo-assunti e coloro che sono determinati a raggiungere il posto di lavoro al
quale ambiscono. La proposta nasce dalle idee raccolte durante la stesura del
lavoro, e la ricerca sottesa ad esso. Questo spazio si pone a metà tra un social
network ed una career page, ha un obiettivo ben preciso ed un target
ristretto. E’ uno strumento che manca nel panorama delle piattaforme
dedicate al mondo del lavoro, e la sua creazione ad hoc potrebbe
rappresentare una sfida appassionante per quelle aziende che stanno
implementando le loro strategie virtuali di employer branding, in chiave di
attrazione e seduzione di personale di talento.
10
Capitolo primo
Ricerca e seduzione di talenti: quando la
risposta è il Branding
1 Social Recruiting 2.0
Negli ultimi anni, il mondo del lavoro e i suoi satelliti, dalla ricerca
alla proposta, dal curriculum al colloquio, hanno visto configurarsi gli inizi di
quella che si prevede sarà una vera e propria rivoluzione, preannunciata da
un solo grido di battaglia: la parola “social”. Anche dal punto di vista delle
aziende, Il 2.0 è ormai un imperativo di business per ogni impresa. Permette,
infatti, di perfezionare modelli imprenditoriali e aziendali, dotandoli di
vantaggio competitivo duraturo e sostenibile, che si realizza mediante
l’interattività e la condivisione del sapere. Uno stimolante ambito di
applicazione di piattaforme e social network è a supporto di politiche e
processi di gestione delle risorse umane (HRM).
Proprio a questo proposito, Adecco ha svolto un’indagine sull’
utilizzo dei social media da parte delle aziende e dei candidati, nell’offerta e
nella ricerca di lavoro1. L’indagine, svolta tra novembre 2011 e gennaio 2012,
mostra come, su un campione di 503 selezionatori coinvolti nell’indagine, il
49% dichiari di utilizzare i social media come strumento di recruiting, contro
un 51% di risposte negative. Tra gli utilizzatori il 59% fa capo ad un’azienda
1 Il sondaggio è stato condotto da Adecco Italia in collaborazione con Reputation Manager in modalità online (attraverso siti, newsletter, d.e.m., social network). All’indagine, condotta tra i mesi di novembre 2011 e gennaio 2012, hanno partecipato 9.100 candidati e 503 selezionatori. Per l’analisi dei dati raccolti hanno collaborato Ivana Pais – Università cattolica del Sacro Cuore di Milano e Martina Carlino – Università degli Studi di Brescia.
11
da più di 250 unità.
2
Una ricerca dell’americana “National Association of Colleges and
Employers”3 riporta i seguenti dati salienti: nel 2012, i datori di lavoro
riferiscono la volontà precisa di aumentare le assunzioni di stagisti dell’8,5%
rispetto all’anno passato. Anche il processo di assunzione per stage sta
rapidamente cambiando: i datori di lavoro ora vanno oltre alla lettura dei
classici résumés e ai normali colloqui. La novità sta proprio nell’utilizzo dei
social media per filtrare e trovare i migliori candidati.
Secondo i dati proposti da un’indagine, svolta da “Harris Interactive”
sul territorio degli Stati Uniti4, il 37% degli operatori delle risorse umane
utilizza i social network per cercare candidati, e i più utilizzati sono, con
percentuali quasi coincidenti, Facebook ( 65%) e LinkedIN (63%), mentre
Twitter si attesta su una percentuale del 16%.
2 Parte di un infographic tratta da http://www.adecco.it/SiteCollectionDocuments/Social%20Recruiting/Digital-Reputation-Social-Recruiting-Adecco-infografica-2012.pdf 3 National Association of Colleges and Employers (NACE) “Intern hiring up 8.5%”, Febbraio2012 4 “What are employers discovering about candidates through social media”, Indagine condotta online negli Stati Uniti dalla “Harris Interactive” per conto di CareerBuilder su 2.303 responsabili assunzioni e risorse umane, tra il 9 febbraio e il 2 marzo 2012.
12
Cosa cerca un H.R. Manager sui social media? La maggior parte di
queste figure afferma di utilizzare i social media per scoprire ulteriori
dettagli, rispetto ai tradizionali che emergono durante un colloquio, in merito
alla figura del candidato. Più nel particolare:
Se il candidato si presenta in maniera professionale : 65%
Se il candidato sembra coincidere con la cultura aziendale: 51%
Ulteriori informazioni sulle qualifiche del candidato: 45%
Se il candidato è “ben circondato” 5: 36%
Ragioni per non assumere il candidato: 12%
Inoltre, un manager su tre (29%) afferma di aver trovato sui social
network un elemento che li ha convinti ad estendere l’offerta ad un
candidato, come, per esempio: una buona sensazione riguardo alla
personalità (online) del candidato, un immagine del profilo professionale,
informazioni di background che supportassero le qualifiche del candidato, il
fatto che il candidato dimostrasse un ampio raggio di interessi, o buone doti
comunicative, o ancora una spiccata creatività, ed infine, che altre persone
mostrassero ottime referenze nei confronti del candidato. 6
5 Questo punto è reso con una mia personale traduzione dall’inglese. Il concetto di “well-rounded” fa riferimento al network di relazioni che il candidato palesa tramite i suoi profili online. Per esempio: i commenti di altri utenti, ma anche a quali gruppi è iscritto su LinkedIn, con chi è connesso, a quali cause partecipa su Facebook, a quali eventi ha confermato la sua partecipazione, sempre su Facebook, ecc. 6 “What are employers discovering about candidates through social media”, Indagine condotta online negli Stati Uniti dalla “Harris Interactive” per conto di CareerBuilder su 2.303 responsabili assunzioni e risorse umane, tra il 9 febbraio e il 2 marzo 2012.
13
7
Questa ricerca condotta dalla nota agenzia di ricerche di mercato
americana “Harris Interactive” dimostra come, effettivamente, un trend
crescente attesti l’affermarsi dei social media come strumento utilizzato
anche nel campo delle risorse umane.
Un’altra indagine degna di nota proviene dall’Italia e si chiama:
“Recruiting e Social Network”, di Lorenzo Pulici. La ricerca del giovane HR e
Communication Manager è stata presentata in occasione dell’incontro
“LinkedIn, che connessione? L’aspetto sociale del lavoro” organizzato a Roma
presso l’Università La Sapienza, e rende noto come oggi le probabilità di
essere assunti “via social network” siano molto più elevate che in passato e
come sempre più aziende si affidino a Facebook, LinkedIn, Twitter, YouTube
e altre piattaforme a sfondo sociale per trovare figure professionali adatte
alle loro esigenze. L’indagine di Pulici si mantiene sul polo teorico del “pro-
social recruiting”, mostrando come i social network abbiano creato grosse
opportunità di lavoro, creando un nuovo segmento definito da molti come
Social Media Job Hunt8.
7 “What are employers discovering about candidates through social media”, Indagine condotta online negli Stati Uniti dalla “Harris Interactive” 8 http://www.manageronline.it/articoli/vedi/5691/social-network-le-aziende-li-usano-per-assumere/
14
Veniamo ai dati salienti dell’indagine “Recruiting e Social Network”:
condotta tra i mesi di dicembre 2011 e gennaio 2012, su un campione
selezionato di 200 job recruiters, HR managers, ed altri esperti del settore,
porta alla luce un dato da non sottovalutare. Due aziende su tre (2/3) usano i
social network per valutare e selezionare. Nello specifico, il 73,6% delle
aziende dichiara di avvalersi di piattaforme sociali per il recruitment. In base
a quanto si evince, LinkedIn è lo strumento più usato (96%) nella ricerca di
nuove figure professionali, seguito da Facebook (37,7%), Twitter, YouTube e
i blog , in percentuali minori. Per quanto riguarda i social network intesi
come strumento di supporto, e non strumento unico di scelta, un dato
sconcertante ci viene da questa indagine: il 45% dei datori di lavoro
utilizzerebbe i social network per vagliare i potenziali candidati, ma il 35%
avrebbe deciso di non offrire un lavoro basandosi sul risultato dei controlli
della presenza del candidato sulle piattaforme sociali. Questo dato richiama
inoltre il suo corrispettivo americano che riporta una percentuale del 12%9.
Quello che emerge, o meglio, non emerge e che ritengo doveroso
inferire, è che ci troviamo all’inizio di una fase ancora in via di definizione, ed
è rischioso trarre conclusioni affrettate, dettate dall’entusiasmo. E’ vero,
come abbiamo visto, che i social media hanno sono stati protagonisti di una
forte crescita per quanto riguarda il loro utilizzo nel campo delle risorse
umane, ma questo non li autorizza, almeno per ora, proprio in virtù della fase
sperimentale in cui ci troviamo, ad essere eletti come strumenti unici di
decisione o scarto in merito alla figura di un potenziale candidato. Più che
strumenti di selezione, i social media si dovrebbero intendere, ora, come
strumenti di supporto alla selezione, oltre al fatto che si dovrebbe andare
verso una prassi comune di valutazione delle diverse piattaforme: un profilo
Facebook non ricopre la stessa funzione di un profilo LinkedIn. Il primo,
infatti, si attesta su una linea ludica, mentre il secondo si crea
contestualmente ad un intento di ricerca di impiego e diventa quindi
9 “What are employers discovering about candidates through social media”, Indagine condotta online negli Stati Uniti dalla “Harris Interactive” per conto di CareerBuilder
15
strumento professionale. E’ fondamentale, in funzione della fase
sperimentale in cui si trova il mondo del recruiting, raggiungere l’unanimità
di pensiero a proposito, ed imparare a discernere le diverse funzioni sociali
dei vari media disponibili in rete.
A questo proposito, riporto il commento che l’autore dell’indagine
propone riguardo alla stessa:
“Se è vero che è LinkedIn a farla da padrone tra i social network più
adoperati dai recruiters, è anche importante sottolineare come ogni social
network abbia un proprio codice e un proprio linguaggio, quindi possa essere
strumento di ricerca per determinate tipologie di ruoli professionali.” 10
11
1.a Social Recruiting Trend Survey 2011, Report del 2012
10 http://www.manageronline.it/articoli/vedi/5691/social-network-le-aziende-li-usano-per-assumere/
11 http://www.walkonjob.it/index.php?option=com_content&view=article&id=649:social-network-il-736-delle-aziende-li-usa-per-cercare-nuovi-candidati-soprattutto-profili-commerciali-ed-economici&catid=7:mondo-del-lavoro
16
L'Osservatorio è uno strumento nato per monitorare l'evoluzione
del Social Recruiting in Italia attraverso lo sviluppo di indagini periodiche.
I risultati di tali indagini sono presentati ufficialmente, ogni anno,
all'interno del Social Recruiting Forum, organizzato da Anthea Consulting. Il
convegno (2012) è stato coordinato da Eugenio Amendola, Managing
Director di Anthea Consulting, che ha anche presentato i dati di un'indagine
condotta da Anthea Research (unità dedicata alle attività di ricerca e studio
nel corporate recruiting).
Di seguito proporrò un’analisi dei risultati salienti della 1° indagine sul Social
Recruiting in Italia, condotta tra i mesi di Ottobre e Dicembre 2011 che ha
coinvolto 320 aziende.12
Il dato che differenzia quest’indagine dalle precedenti è che il
campione indagato è formato per il 73% da aziende, mentre HR consultants e
società specializzate sono presenti in percentuali minori (13,3% entrambi).
Quelli che voglio riportare, in questa fase conclusiva del percorso di
analisi del social recruiting, sono i dati più interessanti emersi da
quest’indagine:
Il 63,3% delle aziende dichiara di aver avuto vantaggi dall’utilizzo
dei social media nel processo di recruiting
Il 52 % dichiara di poter misurare questi vantaggi in base alla
qualità delle candidature ricevute
Il 57% delle aziende intervistate usa i social media come canale di
recruiting diretto, il 38% per approfondire le conoscenze ed il
profilo dei candidati, il 37% per pubblicare job posting
(gratuitamente) ed il 35% per promuovere il proprio employer
brand. Più del 14% delle aziende non utilizza ancora tali strumenti.
Alla domanda “nella valutazione dei candidati tendi a cercare altre
informazioni dai profili presenti nei social media?” il 44,9%
risponde: occasionalmente.
12 http://www.socialrecruitingforum.it/1/osservatorio_2206169.html
17
13
Questi dati mostrano chiaramente un bacino di aziende che sta
cercando, è un dato di fatto, di avvicinarsi nel modo migliore a questa pratica,
ma si trova ancora spaesato nell’universo dei linguaggi dei social media, che
richiedono un’accurata comprensione in quanto gravidi di potenzialità che
restano ancora inesplorate, nonostante la crescita nel loro utilizzo. Anche
nell’analisi dei dati operata dal promotore del Forum, Eugenio Amendola, si
legge la constatazione di un uso “quasi banale dei social media, prescindendo
dalla sue peculiarità che se meglio comprese potrebbero fornire maggiori
vantaggi non necessariamente in termini di recruiting diretto (direct sourcing)
ma di creazione di relazioni di lungo periodo (talent relationship management)
in grado di sviluppare community di soggetti realmente interessati al proprio
employer brand.
”14
13 Da: http://www.employerbrandingreview.com/?p=596 In Redazione“Employer Branding e Social Recruiting. Più recruiting diretto e meno engagement dei candidati: lo dice l’indagine social recruiting trend survey 2011” di Eugenio Amendola, Director Employer Branding Review, 4 marzo 2012 14 http://www.employerbrandingreview.com/?p=596
18
Una ricerca, questa volta dai toni più critici e certamente scettici,
viene dalla sezione Economia, Affari e Finanza de “La Repubblica.it ”15. Si
tratta di un’indagine condotta da Robert Half, la società internazionale di
ricerca di personale qualificato più antica al mondo, quotata al Nyse e leader
sui mercati internazionali, condotta su un campione di 100 direttori risorse
umane di aziende italiane. I dati che emergono riportano che:
Facebook e LinkedIn non sono efficaci come strumenti di ricerca del
personale per il 59% degli intervistati.
I direttori favorevoli sono il 22%.
Quelli che non prendono posizione, il 19%.
16
Riporto un estratto molto interessante, preso dalla pagina web di
Robert Half che riporta i dati dell’indagine:
“Ma, con il tempo – hanno chiesto i ricercatori – i social network sono
destinati a soppiantare il curriculum? Disaccordo perfetto tra i manager: il
50% ha risposto “probabilmente sì” e l'altra metà “probabilmente no”.
“Dal punto di vista pratico, appare evidente che la massima efficacia si ottiene
15 In “Recruitment, chi decide non dà spazio a Facebook”, di Daniele Autieri, 16 luglio 2012, su http://www.repubblica.it/economia/affari-e-finanza/2012/07/16/news/recruitment_chi_decide_non_d_spazio_a_facebook-39138270/ 16 In “I direttori del personale bocciano Facebook e LinkedIn”, Milano, 03 luglio 2012, su http://www.roberthalf.it/portal/site/rh-it/menuitem.b0a52206b89cee97e7dfed10c3809fa0/?vgnextoid=89146ac64e658310VgnVCM100000180af90aRCRD&vgnextchannel=265933be90259110VgnVCM1000003041fd0aRCRD
19
utilizzando sia il vecchio cv, sia il proprio profilo sul web, facendo molta
attenzione che ci sia sempre coerenza tra i due strumenti”, dichiara Carlo
Caporale, Associate Director di Robert Half: “in quanto, i direttori del personale
in fase di avvio della ricerca preferiscono il curriculum tradizionale, mentre
non disdegnano il web come strumento di verifica e selezione delle candidature
raccolte”.”17
Sempre Carlo Caporale, partner di Robert Half, afferma :
“In realtà è importante fare una distinzione tra i diversi strumenti
disponibili in rete. Un sito come LinkedIn, che raccoglie i profili professionali di
milioni di persone nel mondo, è sicuramente più seguito rispetto a Facebook,
considerato dai direttori del personale italiani come un raccoglitore di
informazioni più ludiche che lavorative. Detto questo, anche nel nostro campo
vediamo che la ricerca di personale nelle aziende passa ancora attraverso i
canali più tradizionali, quindi l’autocandidatura, l’indicazione da parte di
cacciatori di teste, o ancora l’inserzione di offerte di lavoro sui siti internet
dedicati. Il ricorso ai social network, in quest’ambito, avviene semmai come
strumento di controllo, una volta individuata la risorsa.”18
In definitiva, Facebook, Twitter, LinkedIn e gli altri social media
possono essere utili ai manager per verificare informazioni e valutare profili
riguardo alle diverse candidature prese in considerazione, ma è un passo
successivo all’iniziale scrematura operata in base ai tradizionali metodi o,
comunque, un’analisi parallela. Partendo da quanto è possibile inferire dal
“curriculum online”, -l’insieme dei profili social-, si possono comprendere,
eventualmente, certi aspetti della personalità del candidato. Questo
rappresenterà una base di partenza, o di supporto, nel momento del
17
http://www.roberthalf.it/portal/site/rh-it/menuitem.b0a52206b89cee97e7dfed10c3809fa0/?vgnextoid=89146ac64e658310VgnVCM100000180af90aRCRD&vgnextchannel=265933be90259110VgnVCM1000003041fd0aRCRD
18 In “ Recruitment? Non su facebook, LinkedIn e Twitter” di Floriana Giambarresi, 18 luglio 2012, su http://www.manageronline.it/articoli/vedi/6700/recruitment-non-su-facebook-twitter-e-linkedin/
20
recruiting, ma, almeno in Italia, saranno ancora il curriculum, il colloquio e le
informazioni fornite dal candidato a fare la differenza, salvo rari (e
auspicabilmente sempre maggiori) casi in cui un elemento del “curriculum
online” colpisce tanto quanto uno del curriculum cartaceo.
Per operare un confronto tra le ricerche proposte in questo
paragrafo dedicato al social recruiting propongo una tabella riassuntiva:
Indagine Periodo Target Favorevoli Contrari
“Recruiting e Social
Network”
di Lorenzo Pulici
dicembre 2011 –
gennaio 2012
200 operatori del
settore
73,6% si
“Indagine Adecco”
(ITA)
novembre 2011 -
gennaio 2012
503 selezionatori 49% si 51% no
“Harris Interactive”
(U.S.A.)
9 febbraio –
2 marzo 2012
2,503 operatori
del settore
37% si
Indagine della
“Robert Half “
(nb. Sull’utilizzo di
Facebook e
LinkedIn in
particolare)
/ 100 HR Directors 22% si 59% no
Ma quali elementi rendono efficace ed utile il cambio di “formato”
che il job recruiting ha subito, diventando “social”? Cosa rende il social
recruiting stimolante ed allettante per le aziende? La risposta si divide in due
ragioni basilari che sinergicamente, creano un polo positivo a favore di
questa pratica:
21
L’azienda è in grado di raggiungere più candidati :
grazie all’utilizzo strategico e mirato dei social media, l’azienda potrà
raggiungere potenzialmente ogni candidato che abbia una personale “social
media presence”, cioè una presenza nel mondo dei social network. L’universo
“social” della rete “it’s where the people are!”19 Infatti, Facebook conta 901
milioni di iscritti, 500 milioni sono gli utenti di Twitter e 160 milioni quelli di
LinkedIn. Inserire il web 2.0 nel processo di recruiting aumenta le possibilità
di far si che l’azienda si trovi proprio “di fronte” alla persona che vorrebbe
assumere. O, se non di fronte a quella persona, sicuramente nei pressi del suo
network di amici, compagni d’interessi e colleghi.
Accrescerà il suo prestigio e la sua reputazione con un’azione
fresca e nuova nel campo del recruiting:
è questa la strategia a lungo termine che è necessario implementare con
costanza, dinamicamente, seguendo le curve dell’offerta dei nuovi media, per
far si che l’azienda sia in grado di costruire una sua immagine stimolante e
competitiva agli occhi di chi è in cerca di un buon ambiente di lavoro in cui
impiegare il suo talento.
2 Recruiting sta a “Social” come Branding sta a “Personal”
Abbiamo visto come la pratica del social recruiting, tra entusiasmi e
scetticismi, stia comunque prendendo sempre più piede, e sia ormai quasi
familiare, o imprescindibile, per qualche operatore del settore.
19 da www. Marketingzen.com in “Is social recruiting the key to find quality job candidates?” di Amanda Norris, 20 luglio 2012
22
Dopo il percorso di approfondimento effettuato per introdurre la
partica della ricerca di talenti sui social network, la logica e conseguente
domanda che sorge spontanea è: durante la ricerca che un datore di lavoro
opera sulla rete, al fine di individuare il candidato perfetto, quale ragione lo
spinge a scegliere un elemento, piuttosto che un altro? Attualmente è
altissima la percentuale di popolazione che dispone di una “social presence”.
In questo mare magnum di informazioni, profili, media e linguaggi differenti,
quale strategia deve adottare il candidato al fine di distaccarsi dalla massa
informe ed emergere, per catturare l’attenzione del datore di lavoro che gli
interessa colpire?
La strategia ideale ha un nome, si chiama “Personal Branding”. Il
Personal Branding non è incasellabile in una definizione precisa, o almeno,
non in questa fase della sua evoluzione. Lavorare sul proprio personal brand
significa lavorare su se stessi per individuare e definire i propri punti di
forza, ed imparare a comunicarli in maniera efficace. Il processo deve
rendere chiari e fulgidi, agli occhi di chi deve selezionare, i motivi per cui
23
quella persona è la persona adatta, e saprà dimostrarlo. Se la costruzione del
proprio brand sarà stata fatta con attenzione, ascoltando se stessi in primis,
permetterà di attrarre più opportunità congruenti con ciò che si sa fare
meglio.
Il Personal Branding non è “l’arte di vendere se stessi”. Come il
Branding, d’altra parte, non è riducibile all’“ arte di vendere” un prodotto. E’
molto di più, in prima istanza perché non è la persona in questione a dover
affermare di “essere la scelta migliore”, ma deve proporre elementi vincenti
per far si che gli altri lo dicano e pensino di lui/lei, e condividano la loro
opinione con le loro comunità di appartenenza, sui social network. Secondo
elemento degno di nota, essendo una reputazione costruita all’interno dello
spazio - rete, non sarà mai totalmente controllabile dall’autore del processo
di Personal Branding, ma sarà ridefinita in continuazione dai diversi pubblici
con cui entrerà in contatto.
Un brand, infatti, non è la forza d’impatto o la grandezza del prodotto
su cui è apposto. Un brand è percezione nella mente del consumatore, è la
perturbante forza della parola in sinergia perfetta coi fatti. E’ una promessa,
ed è una promessa di valore.
Ecco perché, impegnandosi nell’identificazione e qualificazione dei
propri valori, dei propri principi, si giungerà agevolmente ad aver ben chiaro
il proprio brand, e a saperlo gestire per migliorare la propria persona. Quali
sono le convinzioni che incendiano il nostro animo? Quale il valore che
riteniamo imprescindibile? La caratteristica caratteriale della quale non
potremmo mai fare a meno, e quella, invece, che cerchiamo di reprimere e
nascondere? Di cosa abbiamo paura, e di chi è l’approvazione che andiamo
cercando?
Questi sono alcuni dei quesiti che un professionista etico deve porsi,
al fine di estrapolare la vera essenza della sua forza, quella che potrà farlo
brillare agli occhi di chi potrà offrirgli l’opportunità più in linea con le sue
ambizioni.
24
Il brand personale di ogni persona va costruito, seguendo le linee
guida che sono sottese alla nascita di qualunque altro brand. Creatività e
razionalità devono sapersi fondere abilmente, nello sforzo di creare il
proprio marchio personale, prima che altri lo creino per noi. Nel caso della
ricerca di un impiego, avere un proprio brand significa distinguersi e far
proprio un vantaggio competitivo, nonché farsi forza su un bacino stabile di
referenze, che al giorno d’oggi arrivano ad eguagliare il curriculum vitae
personale.
In una situazione come quella in cui i professionisti si trovano
ad agire ora, abbandonata per molti l’idea di un posto fisso nella stessa
azienda, si stanno gradualmente abituando ad un dinamismo lavorativo
dettato dal cambiamento dell’ambiente di lavoro, come costante del mercato.
I soli punti di forza che, muovendosi da un posto all’altro, possono esibire
sono: le competenze intrinseche, quelle acquisite con l’esperienza, e la rete di
relazioni interpersonali di cui dispongono. Quest’ultimo elemento è
fondamentale nel raggiungimento degli obiettivi di assunzione che il
candidato si prefigge; infatti, solo chi ha giù condiviso con quest’ultimo
interessi, esperienze lavorative e non, o situazioni professionali può
garantire sulla sua professionalità e competenza. Questo “garantire” è un atto
che risponde allo stesso meccanismo che entra in azione quando si parla in
maniera positiva di un determinato brand a un amico. Con l’unica differenza
che, in questo caso, si tratta di “brand personali”, che identificano e
differenziano una persona, le sue competenze, attitudini, doti, valori, principi
e talenti. Una persona nel mercato del lavoro e non un prodotto su uno
scaffale. L’insieme di questi elementi interiori e intangibili, che orbitano
dentro e intorno all’individuo, può essere comunicato e trasmesso in maniera
unitaria ed efficace attraverso attività comunicative, interessi e
comportamenti del soggetto.
L’avvento del web 2.0 ha dato una scossa al personal branding
proprio favorendo, catalizzando e dando la spinta a piattaforme che
25
permettono di pianificare attività comunicative strategiche di ogni tipo,
quindi anche di branding, in maniera gratuita e virale.
Già nel 1981, nel libro “Positioning: The Battle For Your Mind”20 di Al
Ries e Jack Trout, si parlava di self – branding e brand individuale, ma,
convenzionalmente, il termine “Personal Branding” viene fatto risalire ad un
articolo del 1997 di Tom Peters21. In questo celebre articolo chiamato “The
Brand Called You”, “Il Brand Chiamato Te”, Peters spiega come, per far fronte
alla crescente importanza dei brand agli occhi delle grandi compagnie,
nell’era dell’ Individualismo, sia auspicabile crearsi il proprio brand, ed
inserisce nel suo articolo dei consigli per diventare il “CEO of Me Inc.”, cioè
“l’amministratore di Me Spa. ”. In questo manifesto di una pratica che già si
preannunciava avveniristica, Peters indicava come unico modo per emergere,
in un mondo dominato dai brand, il trasformarsi in un marchio a propria
volta, ponendo in atto strategie comunicative e di promozione ricalcate su
quelle dei grandi brand come Coca-Cola, Nike, ecc…
Di seguito, due contributi illuminanti presi dal celebre articolo:
“The good news -- and it is largely good news -- is that everyone has a
chance to stand out. Everyone has a chance to learn, improve, and build up
their skills. Everyone has a chance to be a brand worthy of remark.”
Questo passo riporta come “la buona notizia, enormemente buona, è che
ognuno ha la sua possibilità di emergere. Ognuno ha una possibilità di
imparare, migliorare e costruire le sue abilità. Ognuno ha una chance di
essere un brand degno di nota.” 22
Un altro pezzo dell’articolo denso di significato dice:
20, “Positioning: The Battle for Your Mind”, Trout J. e Ries A., New York. McGraw-Hill, 1981 21 “The Brand Called You”, Tom Peters, 31 agosto 1997, su http://www.fastcompany.com/28905/brand-called-you 22 Traduzione libera dell’autrice di http://www.fastcompany.com/28905/brand-called-you
26
“You don't "belong to" any company for life, and your chief affiliation
isn't to any particular "function." You're not defined by your job title and you're
not confined by your job description.
Starting today you are a brand.”23
In questo frangente Peters sta cercando di far desistere i
professionisti ai quali si riferisce dal considerarsi “impiegato in…”, “manager
a…”, “operatore di…” , dove i puntini di sospensione indicano i diversi nomi
delle compagnie americane più in vista in quel momento. Con tono
entusiastico, fervido, Peters intima di ricordare che “ tu non “appartieni” a
nessuna compagnia per la vita, e la tua principale affiliazione non è a nessuna
“funzione” in particolare. Non sei definito dal titolo che hai grazie al tuo
lavoro, e non sei confinato nella tua descrizione di quest’ultimo.
A partire da oggi tu sei un brand.”24
3.“La guerra dei talenti”: attrarre i migliori, conquistare i talenti
Verso la fine del novembre 1997 Ed Michaels, Helen Handfield –
Jones e Beth Axelrod inviano dei questionari ai senior manager di 77 aziende
e ne ricevono indietro circa 6.000. Il team creato dalla McKinsey cercava di
capire come facessero le aziende eccellenti a costruirsi un ricco pool di talenti
manageriali e se la disponibilità dei migliori talenti desse effettivamente
impulso alla performance di un’azienda. 25 Ciò che i ricercatori capirono, nel
corso dell’indagine, fu che ciò che distingueva le aziende ad elevata
performance dalle aziende a performance medio-bassa non erano i migliori
23 Traduzione libera dell’autrice di http://www.fastcompany.com/28905/brand-called-you 24 Traduzione libera dell’autrice di http://www.fastcompany.com/28905/brand-called-you 25 “La guerra dei talenti. Come sedurre e trattenere manager di qualità” di Michaels E. Hand-field Jones E.H. , Axelrod B., Etas 2002
27
processi di gestione delle risorse umane, ma la fiducia ( dei leader di quelle
aziende) nell’importanza del talento26.
Così, nel 1997 venne coniato il termine “ guerra dei talenti” che
ancora oggi e va ad indicare un fenomeno di cui molti in quel periodo
avevano avuto esperienza, ma che non avevano ancora compreso appieno.
Alla fine degli anni Novanta, l’economia era in pieno boom, e le
aziende erano disposte a tutto pur di assumere e trattenere il personale di cui
avevano bisogno. Offrivano bonus d’ingresso, concedevano aumenti
frequenti, e gli head hunter corteggiavano i manager più ambiti. In quella
frenesia si giocava la cosiddetta “guerra dei talenti” .
Il mercato del lavoro era terreno dei giovani della cosiddetta
“Generazione X”, nata nel periodo del calo delle nascite, tra il 1965 e il 1979.
Il calo è unanimemente ritenuto uno dei fattori che influenzeranno poi ,in
seguito, il mercato del lavoro nel corso degli anni Novanta. Un altro elemento
che si pone all’origine della ricerca dei talenti si identifica con la nascita della
società dell’informazione, quando il valore globale di un’impresa non è più,
ormai, misurato soltanto dagli assett tangibili, quali macchinari, fabbriche ,
capitali, ma, e soprattutto, dagli assett intangibili come il brand, il capitale
intellettuale, il talento.
In seguito, l’economia ha iniziato a rallentare, e molti hanno pensato
che la guerra dei talenti si fosse, conseguentemente, conclusa. Ma stando a
quanto scrivono nel 2002 gli autori stessi dell’indagine di McKinsey dalla
quale nacque il termine, “durerà come minimo ancora un paio di decenni.(…)
Le forze principali che alimentano la guerra dei talenti sono essenzialmente
tre: il passaggio irreversibile dall’era industriale all’era dell’informazione, la
domanda sempre più pressante di manager di grosso calibro, e la crescente
propensione dei lavoratori a passare da un’azienda all’altra. Poiché queste
forze non danno il minimo segno di cedimento, noi siamo convinti che a guerra
26 “La guerra dei talenti. Come sedurre e trattenere manager di qualità” di Michaels E. Hand-field Jones E.H. , Axelrod B., Etas 2002
28
per assicurarsi il talento manageriale rimarrà ancora per molti anni una
caratteristica distintiva del panorama del business.”27
Nel corso degli ultimi vent’anni le imprese italiane si sono dimostrate
poco interessate a spendere energie e risorse nel perfezionamento di
politiche di attrazione di talenti. Questi, infatti, sono controproducenti e
costosi se l’azienda non manifesta volontà di espandersi, ma nel caso in cui
questa volesse crescere ed ampliarsi in chiave globale, in quel frangente una
strategia di attraction e retaining si rivela decisiva per realizzare leadership
di performance a livello internazionale.
Molti rappresentanti della leadership delle imprese italiane hanno
ritenuto sempre più importante concentrarsi al cento per cento sul business
e sulle relazioni esterne, considerando la gestione delle risorse umane un
problema marginale. Questo ha fatto si che, per fare un esempio pratico, le
grandi imprese italiane siano cresciute, negli ultimi anni, molto meno delle
loro pari di Germania, Francia, Inghilterra e USA, e solo 6 di loro sono
presenti nella classifica del 2000 stilata da Fortune 500 , a fronte delle 26
francesi, 23 britanniche e 22 tedesche.28
Le cause di queste basse performance sono svariate, ma la cattiva
gestione delle risorse umane vi rientra a pieno titolo. A questo proposito, per
vincere la guerra dei talenti , è necessario che le imprese considerino i talenti
come priorità assoluta del vertice e, di conseguenza, mettano in atto politiche
di employer branding mirate ed efficaci.
E’ necessario, ora, porre l’accento sulla momentanea inversione di
tendenza rispetto al periodo in cui si è iniziato a parlare di “guerra dei
talenti”, gli anni Novanta. La realtà di quegli anni si può riassumere nei
seguenti punti chiave:
Le aziende hanno bisogno delle persone
27 “La guerra dei talenti. Come sedurre e trattenere manager di qualità” di Michaels E. Hand-field Jones E.H. , Axelrod B., Etas 2002 28 “Employment Branding “di Martone A. e Galanto A. , IPSOA 2008
29
Il vantaggio competitivo è costituito dalle persone di talento
I collaboratori di talento scarseggiano
I lavoratori sono mobili e il loro impegno è di breve termine
Le persone chiedono molto di più
La situazione attuale si configura in maniera molto simile, con
un’eccezione sostanziale: i collaboratori di talento non scarseggiano, ma i
posti di lavoro si .
Dovrebbe essere, in linea teorica, un elemento che facilita l’azione di
recruiting delle grandi aziende, e riduce gli sforzi di “corteggiamento” dei
talenti che invece dovevano sostenere prima.
Non è così. In questo momento il giovane professionista cosciente
delle sue capacità, consapevole di poter assicurare performance sopra la
norma, pretende ancor più di prima di avere a disposizione un ampio
ventaglio di scelta, e di accettare non sono una proposta di lavoro, ma una
proposta di valore.
Questo il motivo per cui, a discapito della logica, l’importanza della
costruzione di valore aggiunto al brand di ogni azienda si rivela, oggi, di vitale
importanza per poter attuare una buona strategia di recruiting e creare una
proposta di valore vincente per dipendenti e futuri dipendenti.
In ultimo, un dato da rilevare è che recentemente l’attenzione per le
risorse umane e l’employer branding sta vivendo un momento di crescita ,
graduale e “sperimentale”, e le aziende che vinceranno la guerra dei talenti
saranno quelle che avranno il coraggio di pianificare una politica di
attrazione, formazione e mantenimento delle risorse umane che si configuri
anticiclica, e che abbia, dunque, la maggiore applicazione proprio nei
momenti di rallentamento dell’economia. Infatti, ciò che alcuni “previdenti”
leader stanno facendo è proprio questo: porre l’accento sulla creazione di
team di eccellenza, per essere pronti a ripartire quando arriverà il momento,
potendo letteralmente “schierare” squadre efficienti e preparate.
30
4 Chi vince la “guerra dei talenti”? L’affascinante importanza dell’Employer
Branding
In seguito ai cambiamenti avvenuti nella nostra economia, sempre
più globale e “della conoscenza”, si assiste ora ad un tentativo di
riorganizzazione interna per rispondere meglio ai nuovi assetti . Il
ridimensionamento dei livelli gerarchici ha provocato, nella maggior parte
dei casi, la crescita della mobilità sul mercato del lavoro, fenomeno che si è
tradotto in una maggior propensione dei lavoratori a passare da un’azienda
all’altra. Questo processo ha generato un aumento della competitività che ha
portato molti leader aziendali a porsi il problema di migliorare la propria
attività di posizionamento efficace sul mercato del lavoro.
Una soluzione indicata per “vincere” la guerra dei talenti -anche se oggi è
considerata in un’accezione leggermente diversa da quella che connotava il
termine ai suoi albori- e ritrovare la giusta strategicità nel posizionarsi nel
mercato del lavoro, risiede nell’employment branding.
La risposta ai problemi derivanti dalla necessità di reperire e
mantenere le persone chiave, valorizzando in tal modo il capitale intellettuale
delle aziende, si identifica oggi nello sviluppo di azioni innovative mirate
specificatamente alla gestione delle risorse umane.
In quest'ottica di valorizzazione del potenziale umano il primo e più
importante elemento di catalizzazione dell'attenzione dei candidati è
sicuramente il brand aziendale, che deve essere considerato e gestito in
un'ottica di marketing sia verso i collaboratori attuali che verso quelli
potenzialmente inseribili in azienda.
Occorre, quindi, mettere in atto delle tecniche di marketing per il brand
aziendale, adottando una strategia di employer branding che definiremo
quindi come "una strategia di marketing per attrarre i talenti che ha
l'obiettivo di creare e comunicare l'identità aziendale come luogo di lavoro ai
potenziali collaboratori (recruiting) e ai propri dipendenti (retention), in
31
coerenza con i valori specifici e distintivi che si vogliono trasmettere".
La tematica dell'employer branding si traduce allora in un processo di
creazione di valori aziendali e della loro comunicazione al giusto target. E
l'employer experience, ovvero cosa significa lavorare in quella determinata
azienda, è alla base di questo processo di valorizzazione ed è costituita non
solo da elementi tangibili, come la retribuzione e i benefit, ma soprattutto da
aspetti immateriali, quali la cultura aziendale, i valori nei quali l'azienda si
identifica, le opportunità di crescita professionale, la carriera e lo stile
manageriale. Quando queste attività sono svolte bene, ovvero quando quel
processo di marketing verso le risorse umane che abbiamo definito employer
branding si applica con correttezza e con coerenza, la percezione del valore
dell'azienda si rafforza sia all'esterno presso i potenziali candidati che
all'interno presso i propri dipendenti.
Questa percezione, una volta trasmessa, crea un feeling positivo nei confronti
dell'azienda come un luogo desiderabile in cui sviluppare la propria attività
lavorativa. La comunicazione, sia verso l'esterno sia verso l'interno
dell'organizzazione, deve essere quindi sinergica e complementare, perchè
quella sorta di "patto" - ovvero il significato che si attribuisce all'appartenere
ad una data azienda - che si stabilisce con i candidati potenziali, deve poi
essere mantenuto una volta che i candidati ne sono diventati parte attiva.
Proprio per questo le attività di employer branding non si esauriscono con
l'ingresso in azienda ma devono essere applicate in maniera continuativa
anche successivamente perché è solo dimostrando un'assoluta coerenza con
quanto si comunica e quanto si vive in azienda che si riesce ad effettuare una
vera azione di employer branding orientata ai talenti.29
Questo è il motivo per cui, all’interno di un’azienda, la collaborazione
e la sperimentazione di una politica d’integrazione tra HR, IT, Marketng e
Comunicazione diventa fondamentale per sviluppare azioni efficaci di
attraction e retention , ovvero attrazione e mantenimento di personale di
29 http://employerbranding.blogspot.it/2007/04/definizione-di-employer-branding.html
32
valore. Queste strategie poggiano le loro fondamenta sulla base del concetto
di corporate branding, cioè sulla costruzione di un brand aziendale, che
avviene attraverso più azioni sinergiche.
Il brand di un’azienda è influenzato principalmente da quattro
fattori :
1. Dalle esperienze dei pubblici interni all’azienda
2. Dalle esperienze e opinioni dei pubblici esterni che vengono a
contatto con l’azienda
3. Dal posizionamento dell’azienda presso i potenziali candidati (Career
day, career page, job faires, employer branding …)
4. Dall’immagine trasmessa attraverso le campagne di comunicazione
Focalizziamo l’attenzione sul terzo punto, il posizionamento
dell’azienda presso i potenziali candidati. Attualmente, in seguito anche alle
rivoluzioni nel mondo del lavoro di cui si è parlato poc’anzi, l’azienda non è
più in una posizione di forza che le permette di selezionare unilateralmente,
ma -soprattutto di fronte di candidati di talento- esiste una scelta reciproca
che nasce da un confronto tra i vantaggi e gli svantaggi che la scelta implica
per i due contraenti ( azienda e lavoratore). 30
Come già anticipato nell’introduzione a questo lavoro, il candidato di
talento -colui che sa di avere un bagaglio di expertise solido, o di poter
assicurare performance eccellenti- non si accontenta più di una proposta di
lavoro, per quanto vantaggiosa e prestigiosa essa sia. Oggi è necessario
appagare altri bisogni, riuscire a creare una connessione più “emozionale”,
diventare il posto di lavoro più ambito nel ventaglio delle possibilità del
mercato offrendo esperienze di qualità, e la risposta a tutte queste esigenze è
la progettazione di una strategia efficace di branding. Di employer branding.
4.a L’“Employer Branding Process”, gli ingranaggi di una macchina per sedurre
30“Employment Branding “di Martone A. e Galanto A. , IPSOA 2008
33
Per una corretta pianificazione di una strategia di employer branding è
indispensabile valutare il livello d’intensità con il quale si vuole sviluppare il
piano di comunicazione dell’employer brand e gli strumenti da utilizzare allo
scopo. In questo senso, occorrerà:
definire gli strumenti, i messaggi, i canali da utilizzare per
potenziare il proprio brand aziendale;
stabilire i meccanismi di integrazione con le altre forme di
comunicazione aziendale, in un’ottica di comunicazione totale;
utilizzare il web site incrementandone il potere attrattivo;
sviluppare strumenti addizionali di reperimento delle candidature.
Poiché il piano di comunicazione non può prescindere dall’obiettivo
di differenziare la propria offerta da quella dei competitors, sarà necessario
comprendere a fondo a quale segmento ci si vuole rivolgere in funzione degli
obiettivi prefissati. Per questo motivo è necessario valutare quale sia il
metodo più efficace per attirare l’attenzione sull’ambiente di lavoro offerto.
Tra le varie soluzioni, potrebbero essere utilizzate le seguenti alternative:
Job Meeting o altre Career Fairs;
Comunicazione on-line;
Comunicazione su giornali e riviste dedicate al recruiting e/o
specializzate di settore;
Sponsorizzazione di Eventi;
Realizzazione e distribuzione di Gadget;
Organizzazione di parties o conventions.
La fase finale è quella del monitoraggio e del controllo dell’efficacia
di quanto sviluppato nelle fasi precedenti: dal piano di sviluppo e costruzione
34
dell’Employer Brand al processo di comunicazione dello stesso. 31 L’obiettivo
dell’EBP non è solo fare in modo che i potenziali employees, impiegati, si
ricordino dell’azienda/employer (employer brand awareness/notorietà), ma
fare in modo che nella loro mente l’azienda/employer sia associata ad aspetti
qualitativi o connotazioni ben definite (employer brand image) da renderla
unica e distinta dai competitors.32
Di seguito propongo un’analisi sequenziale delle singole fasi del
processo di employer branding, modello proposta da Eugenio Amendola.
33
4.a.I Analisi del target
“E’ possibile affermare che una strategia di Employer Branding viene
sviluppata in relazione a due target distinti, i potenziali candidati e i
31 http://www.surveyrgs.it/html/eb_strategy.html 32 E. Amendola, slideshow per l’ Università di Urbino , 2007 33 Amendola E., “L’employer branding process”, in Padula A., Marketing Interno, Hoepli 2007
Analisi del target
Posizionamento
Creazione del messaggio
Scelta dei canali
Monitoraggio e valutazione
35
dipendenti, e segue due direttrici principali: a) presentare l’azienda come un
luogo di lavoro appetibile e attraente agli occhi del target di riferimento
all’esterno ( attraction, cioè attrazione) ; b) minimizzare la conflittualità tra
colleghi e massimizzare, di converso, il senso di appartenenza all’azienda
all’interno ( retention, cioè mantenimento) .” 34
Come in qualsiasi tipo di attività comunicativa, è necessario chiedersi
a chi ci si rivolge, e quali sono i bisogni e le aspettative degli interlocutori. In
questo caso i due attori del processo comunicativo sono azienda e candidato.
Da un lato l’azienda deve sapere verso quali destinatari orientare i suoi sforzi
di branding, dall’altro anche per chi è in cerca di un’occupazione, l’obiettivo
primario della ricerca del posto di lavoro ottimale passa per un’attenta
analisi nella quale viene messa al vaglio la coerenza tra i valori che esprime
l’azienda e i propri. Questo punto è sostenuto fortemente da Schneider 35, il
quale mette a punto un modello basato su come all’interno di organizzazioni
simili sia possibile trovare personalità omogenee tra loro e coerenti con il
contesto organizzativo. Le persone, infatti, sono attratte da, ed entrano a far
parte di organizzazioni cin le quali condividono i propri atteggiamenti,
opinioni e valori.
Questa stessa congruenza era già stata individuata anche da
Chatman nel suo modello “Person-Organization Fit”, nel 1991.
Molto interessante, a questo proposito, il contributo di uno dei
massimi esperti di leadership, Stephen Covey, che nel suo libro -“L’ottava
regola” (2007)- teorizza che l’uomo risponde a quattro bisogni chiave:
bisogni del corpo, del cuore, della mente e dello spirito. In qualsiasi fase della
vita, davanti ad ogni processo decisionale le scelte che l’uomo compie sono
dettate dalla soddisfazione o meno di questi quattro elementi. Secondo
Gabriele Lizzani “coloro i quali si occupano di employer branding si
34 “L’employer branding tra ricerca e applicazione” , di Lizzani G., Mussino G.M. , Bonaiuto M.
( a cura di) Franco Angeli, Milano 2008
35 Schneider, 1987, Modello ASA – Attraction, Selection-Attrition
36
dovrebbero preoccupare di capire come sono posizionati i candidati/target
su questi bisogni chiave.” 36
4.a.II Posizionamento
Il posizionamento, in un’ottica di employer branding, significa capire dove si
trova l’impresa rispetto al posizionamento del suo target in termini di
aspettative e motivazione. O ancora, domandarsi come posizionare
l’immagine dell’azienda agli occhi del target differenziandola dai competitors.
I dati sul posizionamento vengono poi forniti da società di consulenza, in
seguito all’analisi dei dati emersi da questionari sottoposti al target (
generalmente studenti universitari ) al fine di estrapolare un “ranking” di
desiderabilità in un’ottica di futura scelta lavorativa.
4.a.III Creazione del messaggio
Il messaggio di employer branding che sarà comunicato deve
suscitare nel potenziale candidato un’attivazione in termini di emotività. La
caratteristica del brand in quanto marchio è proprio questa, connettersi
emozionalmente con il consumatore, creare un legame esperienziale positivo,
che lo renda appetibile e che lo porti a differenziarsi dai brand competitors.
L’employer brand agisce allo stesso modo, e il processo di creazione del
messaggio su cui si regge segue le medesime logiche creative.
Andrea Fontana, esperto di corporate storytelling, suggerisce una
strategia audace ma modernissima, che fonde tecniche narrative ed employer
branding . In situazioni come quella in analisi, la narrazione e alcune tecniche
di storytelling management diventano sistemi di gestione che potrebbero
risultare vincenti perché:
36 L’employer branding tra ricerca e applicazione” , di Lizzani G., Mussino G.M. , Bonaiuto M. ( a cura di) Franco Angeli, Milano 2008
37
Tutte le organizzazioni generano conversazioni verso differenti
interlocutori, interni o esterni e generano discorsi attraverso delle
storie e dei precisi processi narratologici. In altre parole, tutte le
organizzazioni parlano. Sono comunità umane basate su discorsi umani
che parlano di problemi umani.
Ovunque esistono pubblici che ascoltano e che vanno intercettati,
motivati e coinvolti (sui prodotti, sui servizi, sui progetti, sulle idee-
valore) all’interno di processi di pensiero narrativo.37
Da qui appare chiaro come lo storytelling diventa approccio e
strumento per generare una serie di attività, sia interne che esterne, anche a
supporto dell’employer branding. Fare employer branding narrativo significa
impegnarsi in tre passaggi: A) innanzitutto analizzare il racconto d’impresa e
il racconto degli individui che lavorano nell’impresa (per capire vicinanze e
gap possibili, vi sono specifici modelli che lo consentono). B) Definire un
piano narrativo che tenga insieme contenuti e processi da trasferire con gli
strumenti e le attività dell’employer branding . C) Far vivere strumenti
cartacei, relazionali e/o digitali che siano rappresentativi del racconto
d’impresa e di quello degli individui che lavorano nell’impresa38 ( blog,
gruppi su social network, pagine dedicate agli professionisti e le loro
esperienze nell’azienda) .
4.a.IV Scelta dei canali
Dopo aver analizzato le esigenze del target e individuato la proposta di
valore dell’employer brand , si passa alla scelta dei canali media più adatti
alla divulgazione del messaggio. Li dividiamo, in linea di massima, in:
37 http://www.employerbrandingreview.com/?p=509, Andrea Fontana, 10 Ottobre ,2011 38 http://www.surveyrgs.it/html/eb_strategy.html
38
partecipazione a Job Meeting o altre Career Fairs:
campagne di comunicazione on-line, acquisto banner, invio
newsletters sui piu’ importanti siti dedicati al recruiting
preventivamente selezionati;
campagna di comunicazione sugli organi di stampa, articoli,
interviste, acquisto di spazi pubblicitari sui giornali e riviste
dedicate al recruiting e/o specializzate di settore.
sponsorizzazione di Eventi, soluzione da considerarsi un ottimo
brand-building tool se l’evento si rivolge al proprio target di
riferimento;
realizzazione e distribuzione di Gadget che possano attirare il
target e avvicinarlo al proprio Brand;
organizzazione di parties o conventions adeguatamente
brandizzate e correlate al pool da cui si possono attingere i talenti
ricercati39.
Non è possibile non considerare gli strumenti del web 2.0, in particolare
l’utilizzo dei social media come veicolo per promuovere l’immagine
dell’employer presso il proprio target di riferimento. Di seguito riporto un’
infografica presa dal sito americano PayScale.com, che si presta a chiarire
questo concetto. I dati che presenta sono i seguenti:
39 http://www.surveyrgs.it/html/eb_strategy.html
39
40
65% delle piccole aziende
il 51% delle medie aziende
il 4% delle grandi aziende
usa i social media per reclutare candidati, e più dell’80% dei datori di lavoro
che utilizzano i social media usano LinkedIn.
40 http://theundercoverrecruiter.com/infographic-why-employers-love-social-recruiting/ , Infografica dal titolo “Do employers “like” social media?” tratta da un indagine dal sito http://www.payscale.com/infographics
40
41
Un dato che va a sostenere questa tesi, e dimostra come l’utilizzo dei
social media come canale privilegiato di employer branding stia crescendo
esponenzialmente , è la repentina partecipazione e l’entusiasmo che hanno
dimostrato i brand italiani al momento dell’apertura, da parte di Google, delle
brand page. Altre voci internazionali e prestigiose si aggiungono al coro degli
entusiasti di questi nuovi canali social, che mirano a ridurre le distanze tra
brand e consumatori. Miriam Tappert, Global Social Media Manager presso
H&M commenta:
“Su Google + abbiamo scelto di concentrarci sull’ispirazione” dice Miriam.
“Immagini carine, film, e certamente, molta moda.” H&M usa frequentemente
nei suoi post video e fotografie poichè l’elemento visivo è efficace per
promuovere moda e lifestyle. Immagini di persone che indossano abiti H&M
appaiono corredate da didascalie e link che permettono di acquistare i vestiti
tramite un semplice click.” Crediamo che sia importante essere attivi e
41 Il gruppo “UniCredit Employer Branding su LinkedIn”
41
caricare notizie ogni giorno, come in tutti gli altri social media che utilizziamo
come canali di comunicazione,” continua Miriam, “ e ci preoccupiamo di far si
che ciò che pubblichiamo sia di grande interesse per chi ci segue.” Con il suo
interesse per la moda dettata dai trend e dall’ultimo minuto, la pagina su
Google+ di H&M presenta contenuti artisticamente ed esteticamente
piacevoli, e spesso include celebrità. “ 42
42H&M Case Study su http://services.google.com/fh/files/misc/google_handm_v3.pdf “At Google+ we have chosen to focus on inspiration,” says Miriam. “Nice images, films, and, of course, a lot of fashion.” H&M uses video and photos frequently in posts, as visuals are an effective way to promote fashion and lifestyle. Depictions of people wearing H&M clothes appear along with captions plus links enabling visitors to quickly click to purchase the clothing being displayed. “We think it is important to be active and post news every day, just as in our other social media channels,” Miriam continues, “and we are also careful to make sure that what we publish is relevant to our followers.” With its emphasis on trend-led and up-to-the-minute fashion, H&M’s Google+ page presents artistic, aesthetically pleasing content and often includes celebrities.”
42
43
44
Anche brand italiani come Alitalia, Tim, Vodafone, Juventus, Donna
Moderna e Fiat sono stati tra i primi a cogliere questa nuova opportunità di
comunicazione creando un profilo su Google+.
4.a.V Valutazione
Infine, l’ultimo passaggio del processo: la valutazione dei risultati. Oltre ai
feedback che l’azienda avrà fatto in modo di raccogliere durante la campagna
di branding, l’efficacia di quest’ultima è valutabile anche sulla base di :
Quantità delle candidature ricevute durante il periodo di esposizione
del messaggio. Un primo feedback è rappresentato dal numero dei CV
ricevuti ma ciò, ovviamente, non basta a fornire un’indicazione di
45
efficacia. Sarà necessario valutare quanti dei CV ricevuti sono utili,
cioè in linea con il target ricercato.
E’ evidente che quanto più alta è la percentuale dei CV utili sul totale
dei CV ricevuti, tanto più efficace risulterà essere stata l’attività svolta
in precedenza.
Rapporto tra quantità di curriculum e colloqui di selezione
effettivamente svolti e relativa percentuale d’inserimento dei
candidati;
Analisi circa l’eventuale turn over degli inseriti .
E’ possibile, inoltre, valutare la coerenza tra il contenuto del messaggio di
employer branding e i fattori intangibili effettivamente presenti all’interno
dell’azienda, coinvolgendo l’unico target che possiede informazioni su
entrambi: i dipendenti interni, e in particolare i neo-inseriti, quei dipendenti
che hanno un’anzianità aziendale di pochi mesi. I feedback derivanti da uno
strumento, costruito per valutare i fattori intangibili dell’azienda e
somministrato ai neo-inseriti, possono fornire indicazioni sulla coerenza di
contenuto della campagna.
Tuttavia, è opportuno integrare queste prime e semplici informazioni con
indicatori di efficacia più analitici, che richiedono l’adozione di strumenti di
analisi decisamente più complessi
5. Employer Branding 2.0: Unilever, Adecco e ALTRAN
Di seguito voglio portare all’attenzione tre contributi, tre interviste rilasciate
da professionisti del settore , raccolti dalla rivista online “Employer Branding
Review” , che ritengo estremamente appassionanti e interessanti ai fini della
comprensione di tutti gli argomenti toccati finora.
Dalle file di Unilever, Marta Guidarelli parla del career website dell’azienda,
recentemente rimodernato per permettere la condivisione di contenuti, che,
altrimenti, resterebbero appannaggio esclusivo dei membri interni
46
all’azienda, come il codice dei principi di business, e i valori aziendali. Questa
strategia permette di far respirare l’atmosfera che si vive in Unilever
attraverso la “vicinanza” con le esperienze condivise dei dipendenti. Dal
punto di vista di Unilever social web significa interattività in tempo reale,
condivisione immediata delle attività che si svolgono in azienda, condivise e
rese social per renderle appetibili agli occhi del target. Per conto di Adecco,
Silvia Zanella opera un esauriente ed approfondito excursus sulle rapporto
che Adecco ha deciso di sviluppare ed implementare con le nuove forme di
comunicazione 2.0. La particolarità della strategia di Altran prevede un
approccio friendly , utilizzato per parlare lo stesso linguaggio del target di
riferimento, al fine di coinvolgere i potenziali candidati in un’interattività che
si svolge in tempo reale. Anche Altran ha implementato la propria career
page aggiungendo la possibilità di di gestione della propria candidatura, di
creazione di job alerts e di ricezione di apposite newsletter. In ultimo, un
esempio del processo di storytelling di cui parlava Andrea Fontana riguardo
all’ employer branding, è superbamente espresso nella decisione di Altran di
pubblicare su Facebook “delle “interviste doppie” che hanno messo a
confronto il punto di vista e i racconti di Direttori, Manager e Consultant di
Altran Italia, finalizzate a far conoscere in modo informale e dinamico i
dipendenti di Altran Italia ed il clima interno, con un focus sul rapporto
personale e lavorativo tra colleghi.”43
5.a Employer branding e social media, una testimonianza da Unilever44
Intervista a Marta Guidarelli, Leadership Development Specialist presso
Unilever Italia, a cura di Simona Benini.
43 http://www.employerbrandingreview.com/?p=401 , 20 febbraio 2011, Employer
Branding e Social Media. Il punto di vista di Altran Italia, a cura di Simona Benini 44 http://www.employerbrandingreview.com/?p=406, Employer Branding e Social Media. Il punto di vista di Unilever di Simona Benini, 20 febbraio 2011
47
Avete rivisto le vostre strategie di comunicazione per rendere il vostro
Web Site più in linea con le esigenze del Social Web? Se si quali sono
state le modifiche e/o integrazioni più significative? E quali sono stati i
riscontri?
Il career website di Unilever prevede nei prossimi mesi un arricchimento con
testimonianze dirette dei dipendenti e materiali che saranno forieri di
contenuti che per la maggior parte dei casi restano interni all’azienda e che
meritano fortemente, per la loro caratura, di essere condivisi, come il nostro
codice dei principi di business, i nostri valori, ma soprattutto vogliamo che si
riesca a respirare l’atmosfera che si vive nelle nostre sedi, attraverso un
contatto più diretto con le esperienze professionali dei nostri dipendenti. In
generale come deve svilupparsi una strategia di employer branding nel
social web?
Un social web prevede l’interattività pressoché in tempo reale. E comunicare
in tempo reale significa avere dei contenuti legati ad una progettualità, con
dei confini temporali precisi. Significa dire alla propria popolazione target
‘Stiamo facendo questa attività, in questo momento storico, vuoi venire con
noi?’
Andare sul web per pubblicizzare un sito delle carriere o delle vacancies
equivale a non creare un contenuto dirompente, parlando strategicamente;
nulla che scateni l’interattività. Le comunicazioni descrittive di un’offerta di
lavoro possono essere supportate dal mezzo cartaceo, dal web, ma non
necessariamente dal web 2.0.
Quindi, una strategia di EB sul social network deve essere legata all’analisi di
un fabbisogno temporaneo o delimitabile in un contesto.
Qualsiasi cosa si cronicizzi nella reiterazione noiosa, sui social network
muore in fretta.
Ritenete queste nuove forme di comunicazione un’opportunità da
sfruttare o le considerate frutto di una tendenza temporanea destinata
a consumarsi col tempo?
48
Queste forme di comunicazione non spariranno: rispondono a molti bisogni
umani, consentono di dare spazio alla propria curiosità, di aggiornarsi circa i
propri contatti, di comunicare, con il classico ‘vantaggio’ delle schermature
alla propria fisicità, che il mondo virtuale garantisce.
Ingrandendo o rimpicciolendo il percepito, come nel fanciullino di pascoliana
memoria, i social network connettono le persone e non sono destinati
all’estinzione, al fallimento o al blando successo come per il caso della
videotelefonia. Sono un’opportunità, da sfruttare, con intelligenza.45
5.b Employer Branding e Social Media, caso Adecco 46
“Employer Branding e Web 2.0: l’esperienza di Adecco” di Silvia Zanella,
Marketing & Communication Manager Adecco.
Negli ultimi anni l’attenzione verso la propria immagine come luogo di lavoro
ideale sta diventando una priorità per molte aziende. Le strategie di
employer branding si sono sviluppate come veri e propri piani strutturati di
marketing prendendo piede in società di tutte le dimensioni. In Adecco
l’attrazione dei talenti è da sempre un aspetto prioritario per l’azienda che
organizza iniziative e processi di recruiting e di talent management mirati ad
alimentare il riconoscimento e la soddisfazione del candidato, che oggi
assume sempre di più un ruolo centrale nella progettazione delle strategie
aziendali. Nei confronti dell’esterno Adecco, infatti, sta portando avanti una
strategia di employer branding che mira alla condivisione e alla
comunicazione orizzontale dei messaggi e dei valori dell’azienda a partire da
quei luoghi di aggregazione virtuale che oggi sono costituiti dai social
network. Attraverso la presenza dell’azienda in rete, sottoforma ad esempio
di microblogging di Twitter o il gruppo di Linkedin e grazie alle sue
45 http://www.employerbrandingreview.com/?p=406 46 “Employer Branding e Web 2.0: l’esperienza di Adecco” di Silvia Zanella Marketing & Communication Manager Adecco ,24 maggio 2011
http://www.employerbrandingreview.com/?p=457
49
attività/campagne di marketing recruitiment (come può avvenire anche solo
con un link di rimando alla sezione candidati) i job seeker possono scoprire
ed arrivare, in maniera estremamente rapida, alle pagine dedicate alle
opportunità di lavoro e di carriera in Adecco. L’employer branding e, in
particolare, la comunicazione nel social web richiede competenze che sono
presenti in più aree funzionali di un’azienda (comunicazione, relazioni
esterne, marketing, etc). Dunque chi si occupa di risorse umane deve
affrontare il tema della tecnologia e comprendere come inserirla in maniera
efficace all’interno dei propri processi circondandosi di professionisti con
skills adeguate. Anche in Adecco chi si occupa di employer branding è
preparato in termini di comunicazione, marketing e risorse umane al fine di
comunicare efficacemente eventi, iniziative o anche le proprie esigenze di
recruiting soprattutto per posizioni specialistiche. Adecco crede molto in
queste nuove forme di comunicazione come opportunità da sviluppare,
ritenendo inoltre che andranno incrementandosi nel tempo. E’ un dato di
fatto, che già i professionisti di oggi privilegino i social network come sistemi
di condivisione e li ritengano funzionali allo sviluppo della propria carriera. E
ancora di più seguiranno questa tendenza i lavoratori di domani, quelli che
vengono classificati come appartenenti alla generazione Y, che riterranno
normale il ricorso al web 2.0 per qualsiasi esigenza e tra queste proprio il
cercare lavoro. Solo per fare qualche esempio: Adecco Italia è stata la prima
agenzia per il lavoro ad avere introdotto lo scorso aprile l’iniziativa “Adecco
iJobs”, la prima applicazione in Italia per cercare lavoro tramite l’iPhone.
L’applicazione, che in termini di redemption è la terza applicazione di Adecco
più scaricata al mondo, consente di utilizzare il telefonino per consultare
tutte le offerte di lavoro di Adecco e fare domanda per una posizione aperta
presso la filiale d’interesse. Adecco Italia è la prima Agenzia per il Lavoro in
Italia ad avere introdotto questa innovazione, che in linea con le politiche del
Gruppo Adecco, segue in ordine di tempo solo l’America e i Nordics. È da
sottolineare come Adecco abbia sviluppato internamente tutte le applicazioni
50
dedicate a rafforzare la sua presenza sulla Rete a livello interno grazie ad un
lavoro sinergico e congiunto tra diverse divisioni aziendali. Anche nel caso
della funzione di geotagging, prevista dall’applicazione Adecco iJobs, si è
trattato di un risultato conseguito grazie ad un lavoro congiunto tra IT e
Marketing di Adecco. Sull’onda del successo di “iJobs” Adecco ha continuato a
rafforzare la sua presenza sulla Rete e sui social media lanciando il Gruppo
Ufficiale Adecco Italia su LinkedIn la cui partecipazione è aperta anche ad
utenti esterni, sia aziende clienti, che candidati o dipendenti, nell’ottica di
creare conversazioni sul lavoro, sia internamente tra i colleghi che con
interlocutori al di fuori dell’azienda. Adecco ha optato per una strategia di
comunicazione integrata che vede nei social network canali importanti
tramite cui operare sul proprio mercato di riferimento. Questa scelta è una
conferma della strategia totalmente votata all’innovazione tecnologica e che
vorrebbe perseguire nel corso di tutto il 2011, stando al passo con il
cambiamento degli usi e dei costumi anche in fatto di recruitment da parte
delle aziende. Adecco punta sul Web 2.0 perché crede fermamente
nell’innovazione come asset strategico per l’azienda nel suo complesso e non
solo per la comunicazione. L’intento è di relazionarsi in maniera diretta con
chi cerca lavoro e chi lo offre, proponendoci come piattaforma in cui
confrontarsi sulle tematiche inerenti le risorse umane. I social network non
sono altro che la versione digitalizzata e più efficiente delle reti sociali della
vita reale, che chiaramente non scompaiono con l’avvento del 2.0 ma si
modificano. E questo si riflette nell’attività di Adecco. Qualcosa, infatti, sta
cambiando nel mondo della ricerca di lavoro in Italia. Le opportunità
professionali si cercano e si offrono sempre più online. E che la ricerca di
lavoro passi sempre più dal web lo dimostra anche una recente ricerca
effettuata da Adecco da cui è emerso che su 100 aziende e 400 candidati e
lavoratori intervistati, l’ 83% dice di utilizzare i motori di ricerca per
monitorare la propria “reputazione digitale” (soprattutto Google, Facebook e
123people). Avere consapevolezza della propria identità professionale
51
digitale è ormai di fondamentale importanza ed è sull’onda di questo
cambiamento che dalla scorsa primavera Adecco ha debuttato sui principali
social network come LinkedIn e Twitter con attività di digital PR. Oggi, per
chi cerca impiego, Internet rappresenta un punto di riferimento oramai
consolidato. A dimostrarlo sono i numeri del settore, più che duplicati nel
giro di una decina d’anni. Ogni mese sono milioni i visitatori unici dei
principali siti di offerte di lavoro e centinaia di migliaia le candidature
veicolate attraverso la rete, e l’utenza è sempre più qualificata. Ma anche chi
offre lavoro ricorre sempre di più al Web. Come dimostrano i dati del Sistema
Informativo Excelsior. Dall’indagine di Unioncamere, svolta in collaborazione
con il Ministero del Lavoro nel 2009, deriva che tra le centomila aziende
intervistate l’uso di Internet come canale di reclutamento ha registrato un
aumento significativo negli ultimi sei anni. La rete si sta affermando come
canale privilegiato perché presenta molteplici vantaggi per chi cerca e chi
offre lavoro. Le aziende, come Adecco, in questo processo trovano numerosi
benefici perché possono mettere a disposizione dei potenziali candidati un
numero elevatissimo di offerte, grazie alle tecnologie che consentono prezzi
sensibilmente più bassi rispetto alle inserzioni sulla carta, l’assenza di limiti
di spazio e l’immediata ricezione dei curricula. La visibilità che questi nuovi
canali di comunicazione consentono, le potenzialità di dialogo e discussione
su temi legati al lavoro e al mondo dell’occupazione tramite l’utilizzo di
questi nuovi strumenti, crescono in maniera esponenziale. Del resto il
potenziale dei nuovi social media dal punto di vista professionale era stato
già ampiamente scoperto dagli stessi utenti finali: in Italia sono più di un
milione gli iscritti a siti come LinkedIn o Xing e si contano già a migliaia le
community online dedicate al lavoro, all’orientamento e allo sviluppo della
propria carriera. Adecco ha recentemente lanciato il nuovo
sito www.adecco.it ripensato proprio per rispondere alle esigenze di
un’utenza molteplice – candidati, lavoratori, clienti, prospect, giornalisti e
blogger – in un’ottica web 2.0. Il nuovo sito prevede una nuova architettura,
52
un design innovativo, diversi nuovi contenuti e nuove sezioni per consentire
una consultazione più facile di tutti i servizi che l’agenzia per il lavoro offre e
particolare attenzione viene data proprio alle integrazioni con i social media
quali LinkedIn e Twitter. Nuovo anche il ‘Trova filiale’, basato sul motore di
ricerca Bing, che permette di visualizzare le mappe in visione su strada,
panoramica o aerea, e calcolare l’itinerario di viaggio per raggiungere la
filiale prescelta attraverso il pratico sistema di geomapping. Nell’ottica della
strategia di comunicazione di Adecco, il lancio del nuovo sito è solo il primo
di diversi stepverso un rinnovamento tecnologico graduale che non
mancherà, nella sua evoluzione, di raccogliere opinioni e feedback da parte
dei dipendenti di Adecco e degli stessi utenti, attraverso il gruppo su
LinkedIn, che in pochi mesi è diventato in Italia il più numeroso dopo quello
statunitense, e le survey dedicate, secondo un approccio innovativo basato su
una costruttiva interazione, in ottica 2.0. I social media rappresentano
un’ulteriore evoluzione rispetto anche ai mezzi di recruiting on line classici e,
come accaduto in passato, si rende necessario conoscerli e farli propri. Per
questo è importante imparare a sfruttare questi strumenti sia per
autopromuoversi sia per prendere degli spunti per selezionare le risorse
migliori. Ma non mancano però gli aspetti critici: in generale oltre ad essere
ancora poco sfruttato dalle aziende medio-piccole (che in Italia costituiscono
il 95% del tessuto imprenditoriale) per motivi culturali, organizzativi e
tecnologici, Internet si è spesso rivelato terreno fertile per truffe e raggiri,
compiuti attraverso annunci falsi, richieste illecite di denaro, furti di identità.
Diventa, quindi, sempre più importante per le aziende essere presenti in rete
assieme agli utenti di questi nuovi media e dialogare con loro, possibilmente
non come fredda voce istituzionale, ma in maniera interattiva e in un’ottica di
creazione di relazioni proficue.
53
5.c Employer Branding e Social Media, il punto di vista di Altran Italia 47
Intervista a Daniela Pala - Corporate Service Manager – Direzione HR
in Altran Italia, a cura di Simona Benini.
Come secondo Lei questi strumenti possono supportare la vostra
attività di employer branding e/o recruiting? Sicuramente i Social Media
sono strumenti molto importanti in quanto ci consentono di rafforzare la
relazione e la comunicazione con i nostri potenziali candidati. In che modo?
Innanzitutto utilizzando il loro linguaggio e i loro canali di comunicazione
preferiti: sulle nostre pagine pubblichiamo attività, concorsi e opportunità di
lavoro con un approccio friendly e interagiamo in tempo reale con i nostri
utenti. Avete già iniziato ad usarne qualcuno? Se si quale? Ci parli quindi
dell’esperienza che state avendo, quali i pro ed i contro nell’uso di
questi strumenti? Abbiamo scelto di essere presenti su: Facebook, Youtube,
Twitter, Slideshare, Wikipedia e Linkedin. In particolare utilizziamo
Facebook e Twitter per aggiornare i nostri utenti su eventi in cui incontriamo
studenti e laureati, attraverso job fair, workshop di orientamento e seminari
tecnici. Riteniamo che sia prematuro indicare i pro e i contro nell’utilizzo di
tali strumenti, siamo in una fase di costante esplorazione e sperimentazione.
Quale linguaggio state usando per comunicare con il vostro candidato
target presente in rete? Nella scelta del linguaggio da utilizzare teniamo
conto di tre fattori fondamentali: la tipologia di social network ( social o
professional network), il target di utenti che visitano e utilizzano quei social
network (attraverso statistiche e demographics che realizziamo
bimestralmente) e il target con cui desideriamo entrare in contatto e
comunicare. Avete rivisto le vostre strategie di comunicazione per
47 http://www.employerbrandingreview.com/?p=401 Written on February 20,
2011 Employer Branding e Social Media. Il punto di vista di Altran Italia A cura di Simona
Benini . Intervista a: Daniela Pala - Corporate Service Manager – Direzione HR in Altran
Italia
54
rendere il vostro Web Site più in linea con le esigenze del Social Web?
Se si quali sono state le modifiche e/o integrazioni più significative? E
quali sono stati i riscontri? Recentemente la sezione “Lavora con noi” del
nostro sito ha subito delle modifiche che hanno interessato il livello di
interattività degli utenti con Altran Italia, in termini di gestione della propria
candidatura, di creazione di job alerts e di ricezione di apposite newsletter.
Avete sviluppato vostre iniziative e/o progetti particolari sui social
media? Se si quali? E con quali risultati? In questi ultimi mesi sono state
realizzate e poi pubblicate su Facebook delle “interviste doppie” che hanno
messo a confronto il punto di vista e i racconti di Direttori, Manager e
Consultant di Altran Italia, finalizzate a far conoscere in modo informale e
dinamico i dipendenti di Altran Italia ed il clima interno, con un focus sul
rapporto personale e lavorativo tra colleghi. In generale come deve
svilupparsi una strategia di employer branding nel social web?
Riteniamo che una strategia di Employer Branding non possa prescindere da
un primo fondamentale step, che è quello dell’identificazione del target di
riferimento. Successivamente pensiamo sia importante definire quale
tipologia di social network utilizzare come strumento di interazione: quali
finalità ci permette di raggiungere, qual è il target di utenti che lo visita e qual
è il linguaggio adoperato. Dopo aver messo a punto un piano d’azione
specifico, non può mancare un costante monitoraggio delle attività in itinere.
Quanto la vostra azienda è sensibile a queste nuove forme di
comunicazione? State investendo in questa direzione? In che modo
state affrontando questa nuova esperienza? Possiamo confermare che
internamente c’è un’elevata sensibilità a riguardo, un desiderio continuo di
aggiornarsi e di essere al passo con le nuove frontiere del web 2.0 e non solo,
continuiamo ad investire in questa direzione attraverso canali on-line e off-
line, con il supporto ed il coinvolgimento di tutta l’azienda. Quali
implicazioni ci sono state a livello organizzativo? Avete assunto
personale specializzato oppure vi state affidando ad agenzia esterne? Il
55
motore delle nostre azioni in termini di “social web marketing” è alimentato
dalla sinergia tra le funzioni Human Resources e Marketing&Comunicazione
le quali operano unendo conoscenze e competenze per degli obiettivi
condivisi. Stiamo lavorando per sviluppare attraverso la formazione, il
training on the job e il confronto con il mercato una competenza significativa
ed importante in questo ambito. L’employer branding ed, in particolare, la
comunicazione nel social web richiede competenze che sono più
presenti in altre aree funzionali di un’azienda (comunicazione,
relazioni esterne, marketing, etc) . Come state incorporando queste
nuove attività emergenti nei vostri impegni più tradizionali? Avvertite
il bisogno di un maggior dialogo con le altre funzioni aziendali? Se si
come state affrontando questa esigenza? Quasi due anni fa abbiamo creato
internamente un gruppo di lavoro ‘Web Marketing Recruiting’ costituito da
alcuni referenti della Direzione HR e da alcuni referenti della Direzione
Marketing&Comunicazione. Il gruppo si incontra mensilmente, con lo scopo
di mettere in campo azioni specifiche al fine di promuovere il nostro brand
attraverso i Social e Professional Network. Ritenete queste nuove forme di
comunicazione un’ opportunità da sfruttare o le considerate frutto di
una tendenza temporanea destinata a consumarsi col tempo? Crediamo
che considerare queste nuove forme di comunicazione una tendenza o una
moda non sia realistico: ormai il web 2.0 sta creando nuovi trend e ha già
innescato opportunità inesplorate che non sono sempre alla portata di un
click. Gli investimenti in rete stanno superando quelli off line soprattutto nel
campo dei media, sono più economici e facilmente monitorabili.
Raccontateci un’esperienza concreta di come l’uso dei social media ha
prodotto benefici significativi alle vostre attività di Employer Branding.
Possiamo citare l’aumento degli utenti (per esempio i sostenitori della nostra
fan page su Facebook o i follower su Twitter) e dei partecipanti alle nostre
iniziative di Employer Branding i quali, attraverso le nostre pagine sui Social
Media, hanno modo di apprendere in modo immediato dove poterci
56
incontrare a breve, medio e lungo termine e di scriverci ponendo domande e
curiosità. In questo modo iniziamo quindi a costruire una relazione con i
nostri potenziali candidati.
57
Capitolo secondo
1 Pinterest… questo (s)conosciuto!
Il “social network delle ispirazioni” nasce nel Marzo 2010 da
un’azione di start-up condotta da Evan Sharp, Ben Silbermann e Paul Sciarra,
sviluppatori della Cold Brew Labs Inc., in California, e in poco meno di due
anni conta già 12 milioni di utenti.
E’ una piattaforma “social” che deve la sua esplosione alla semplicità
dell’idea dalla quale nasce: Pinterest è una bacheca virtuale in cui gli utenti
possono appendere ( “To Pin”) tutti gli elementi che ritengono caratterizzino
la propria vita, sotto forma di immagini prese dal web, o caricate dal
computer. Pinterest nasce, nel 2010, per mettere in contatto tutte le persone
del mondo sulla base di ciò che ritengono interessate, delle loro ispirazioni ed
ambizioni in formato grafico.
1.a Com’ è fatto Pinterest
Fino a pochi mesi fa, Pinterest era in versione beta, e si poteva
accedere solo su invito dei membri che già lo utilizzavano. Ad oggi la
situazione è cambiata, Pinterest è aperto a tutti, e si presenta in questo modo:
Al primo accesso è necessario indicare il modo preferenziale di
iscrizione alla piattaforma: tramite e-mail Facebook, o Twitter.
58
Subito viene data la possibilità di installare, in maniera semplice ed
immediata, il pulsante “Pin It” nella barra dei preferiti, come fosse una
puntina da applicare su una bacheca, che permette di isolare le immagini
presenti in qualsiasi pagina web per caricarle sulla piattaforma, ed inserirle,
con una descrizione corredata di tag, in una delle collezioni personali gestite
su Pinterest. L’innovazione sta nel link all’immagine, che rimane attivo. Ogni
immagine contenuta nelle “board” rimanderà al link di provenienza,
permettendo ai food blogger, per esempio, di postare immagini dei loro piatti,
con una breve descrizione che rimandi all’ultimo articolo sul loro blog, o alle
pagine create dai brand di caricare immagini relative a situazioni eccitanti
nel loro ambiente di lavoro, che rimandino alla career page del brand stesso.
Accedendo alla piattaforma viene chiesto di indicare delle categorie
di interesse, in modo che Pinterest possa iniziare a mostrare gli elementi che
interessano all’utente nella “home”. Viene inoltre suggerito di creare le prime
“board” che compariranno nella pagina personale, insieme ad una foto ed una
breve biografia. Tra le varie bacheche si può scegliere “Fai da te”, “Food &
Drink” , “Home Decor”, ecc.
Nella “home”, a disposizione dell’utente, si trovano: un box per la
funzione di ricerca per parole chiave, dei pulsanti per la navigazione nelle
immagini che permettono di scegliere tra le macro categorie proposte, e
un’icona per le azioni dell’utente.
Le azioni possibili su Pinterest:
“Add+” : si divide in “Add a Pin”, “Upload a Pin” e “Create a Board” ,
rispettivamente “aggiungi un pin”, che permette di inserire
l’indirizzo http dell’immagine scelta, “carica un pin”, per inserire
un’immagine da una cartella del proprio computer, e “crea una
tavola”, per creare una nuova collezione di immagini, darle un
titolo, aggiungere una descrizione, ed assegnarla ad una categoria
59
per poi condividerla con tutti coloro che dimostreranno interesse
per la stessa area tematica.
Poniamo un esempio: mi sono appena registrata a Pinterest, e la
piattaforma mi chiede di creare una collezione di immagini che
corrispondano ai miei interessi. Creo una tavola in cui decido di raccogliere le
immagini delle migliori ricette trovate sul web, consapevole che cliccando su
queste sarò rimandata al sito di ricette da cui le ho estrapolate, e potrò cosi
creare una sorta di ricettario o, per meglio rendere l’esempio, bacheca
virtuale sulla quale “appendere” –Pin- tutto ciò che cattura il mio interesse.
In seguito avrò la possibilità di condividere la mia bacheca, ampliarla con
immagini prese da altre bacheche afferenti allo stesso campo di interesse, che
nel frattempo avrò iniziato a seguire, e diventare così parte di una comunità
online basata su ciò che mi ispira.
“Nome dell’utente”: cliccando su questo pulsante si aprirà il menu
a finestra con le opzioni per “invitare/trovare amici”,
“tavole/collezioni”, “pins”, “likes”( gli elementi che avete
apprezzato nelle board di altri utenti) , impostazioni e “logout”.
“To Re- Pin”: come su Twitter, si può fare “re – pin”, cioè
aggiungere alla propria collezione un’immagine che è stata
“appesa alla puntina” della bacheca di un altro utente. Questa
azione favorisce le azioni virali.
“To Tag”: “taggare” altri utenti nelle descrizioni, cioè citarli in
modo che questi concentrino la loro attenzione sull’immagine in
questione.
“To Follow”: altra eredità di Twitter, su Pinterest è possibile
“seguire” altri utenti, o solamente le loro singole collezioni.
Significa che, ogni volta che l’utente che seguiamo caricherà
un’immagine, o ne aggiungerà una alla collezione che “seguiamo”,
questa comparirà nel personale mosaico che si apre davanti ad
ogni utente al suo ingresso nella piattaforma, in modo da rimanere
60
aggiornati sulle ultime novità, e su quelli che abbiamo indicato
come i nostri stessi interessi.
“To Create a Board” : è il pulsante che permette la creazione di una
nuova collezione/tavola.
1.c Potenzialità d’uso di Pinterest
Un social network dedicato alle immagini permette un uso infinito.
Un appassionato di Branding, per esempio, può creare su Pinterest una
collezione per raccogliere e condividere infografiche48 su questo argomento.
Ogni immagine può essere catalogata e “taggata”.49 perché sia più facilmente
rintracciabile sulla piattaforma da altri appassionati. In questo modo un altro
utente che si interessa di Branding potrà arrivare alla bacheca e condividere
il proprio interesse con chi l’ha creata sotto forma di commento, “Like”, o
“Re-Pin”, cioè l’inclusione di quella stessa immagine in una delle sue
bacheche. Ogni “Pin” , cioè ogni contenuto pubblicato su Pinterest, infatti, può
essere ri – condiviso dagli utenti.
Gran parte del materiale caricato sotto forma di “Pin” su Pinterest è
legato alle aspirazioni: cosa vorrei fare o essere, cosa vorrei possedere, dove
vorrei essere, ecc…, informazioni fondamentali per chi si interessa di
marketing, branding e risorse umane.
La questione più interessante risiede nel fatto che Pinterest “non
dimentica” la fonte originale dell’immagine: per esempio, nel caso della foto
di un giardino in fiore, è possibile risalire all’articolo postato nel blog di
giardinaggio da cui proviene la fotografia.
E’ questo il motivo per cui, recentemente, a pochi mesi dal suo
fragoroso inizio, Pinterest ha già suscitato l’attenzione di quelle aziende che
operano in settori dove l’immagine è centrale: la moda, il cinema, l’arte, il
48 Strumenti visivi di recente utilizzo, permettono di riassumere graficamente qualsiasi contenuto, ricerca o processo. 49 Neologismo: dotata di tag, etichettata.
61
design, la fotografia, fino ai marchi legati con la bellezza. Un utilizzo
innovativo del mezzo lo rende, inoltre, un canale interessante anche per altri
tipi di brand, che volessero includere nella loro strategia comunicativa un
social network che parli di emozioni e con le emozioni del pubblico, perfetto
per strategie mirate di Branding. Gli obiettivi che Pinterest permette di
raggiungere in modo creativo sono:
Obiettivi di awarness:
Pinterest è il più recente strumento sul web che rende possibile
implementare la propria brand awarness -la notorietà di marca- su internet a
costo zero. Su Pinterest, ogni bacheca è un’occasione per parlare al proprio
pubblico con immagini accattivanti e d’impatto, per trasmettere le varie facce
del proprio brand. L’awarness, su Pinterest, si costruisce mettendo in scena
numerose narrazioni visive, che raccontano, però, la stessa storia: la storia
del brand.
Incremento del traffico:
Pinterest è un incredibile catalizzatore di traffico. Integrare questo social
network in una strategia di marketing, e-commerce, social recruiting o
employer branding può risultare una linea d’azione vincente.
Strategie SEO:
il grande volume di traffico su Pinterest, l’alto livello di interazione degli
utenti e la possibilità di integrazione con Facebook e Twitter permettono ai
link sottesi alle immagini che un brand carica sulla piattaforma di risultare
estremamente utili nel partecipare al miglioramento del web-ranking della
marca, e nel viralizzarne il messaggio.
Senza mai dimenticare i valori di:
Experience:
E’ consigliabile non ridurre Pinterest ad un mero catalogo online di prodotti,
piuttosto comunicare la Brand Identity e il valore esperienziale che ruota
attorno alla marca.
62
Il caso “Berto Salotti “50
L’azienda di mobili brianzola “Berto Salotti” offre un perfetto esempio di
brand che utilizza il canale Pinterest non per esporre l’ennesima vetrina
online di prodotti, ma bensì per creare una narrazione aziendale e
comunicare un’esperienza che, in questo caso, si concretizza con l’utilizzo
ilare di immagini che raccontano il brand. L’azienda aveva già sperimentato
la stessa strategia, ponendola in atto in maniera eccellente, sul canale di
YouTube, caricando video nei quali l’esponente e leader del brand spiegava i
processi che regolano la creazione di un divano, in maniera spontanea,
familiare e divertente. Sul blog di “Berto Salotti” si legge, a proposito di
Pinterest, “nelle nostre board abbiamo 578 divani, al momento, compresi
quelli spiritosi e quelli improbabili, quelli di sabbia e quelli disegnati da
Picasso. Cosa faremmo se qualcuno arrivasse chiedendoci un “Love Seat”
Luigi XV, o un Lip Sofa turchese? Quale sarebbe la nostra reazione se un
giorno un cliente ci chiedesse questo divano moderno bianco su cui è
accomodato un signore che sembra proprio il Papa? Che faccia faremmo se
una signora volesse abbellire il suo appartamento con un Chester tutto rosa?
Beh, penso che prenderemmo la richiesta, la esamineremmo, ne
discuteremmo in laboratorio, manderemmo un preventivo e…
realizzeremmo il pezzo.” 51
50 http://pinterest.com/bertosalotti/ 51 http://blog.bertosalotti.it/
63
64
Sul mosaico di bacheche che compongono la pagina di “Berto Salotti” si
trovano quelle dal titolo: “Smart Sofas”, divani intelligenti, “Sofa Mood”,
umore da divano, “Sofas and People”, divani e persone, “Natural Sofas”,
raccolta di immagini di divani “in natura”, “Cartoons and Sofas” , cartoni e
divani, con le immagini del celebre divano della serie animata “I Simpsons”,
ecc.
Engage:
Pinterest, in quanto “social” network, prevede una comunicazione non certo
unilaterale. E’ quindi strategicamente più valida l’opzione di fare “Re – Pin”
alle immagini di altri utenti assimilabili al proprio brand, piuttosto che
pubblicare solo ed esclusivamente immagini originali, annullando il doppio
senso che caratterizza la comunicazione interattiva su queste piattaforme.
Il caso “Lands’ End Canvas”
Un modo vincente di creare engage consiste nell’indire concorsi che
si svolgono interamente sul social network, e ne sfruttano le potenzialità per
creare legami tra il brand e i suoi pubblici, strategia adottata, per esempio,
dal brand “Lands’ End Canvas”52. Il piano di “engagment promotion”, ideato
da “Circle Public Relations” per la marca, si chiama “Lands’ End Canvas Pin It
To Win It” 53 ed incoraggia gli utenti a visitare il sito
www.landsendcanvas.com e creare bacheche virtuali che contengano
immagini dei vestiti proposti sul sito, elementi legati al brand, video delle
nuove collezioni, ma anche immagini che istintivamente associano al brand,
per avere una chance di vincere dei pezzi della collezione vintage di Lands’
End. 54
52 http://canvas.landsend.com/canvas/index.html 53 http://pinterest.com/harleyperdue/lands-end-canvas-pin-it-to-win-it/ 54 www.business2community.com/strategy/lands end contest confirms strategic rola of pinterest for brands
65
55
Prendendo ad esempio il caso del brand “Lands’ End Canvas”, è
interessante rilevare che il primo contatto della marca con Pinterest si deve
all’interessamento mostrato per il nuovo social network da parte dei
“blogging partners”. Al momento della prima esplorazione di Pinterest, lo
staff del brand realizzò che i loro clienti e potenziali clienti stavano già
connettendosi emozionalmente con la loro marca sulla piattaforma. Molte
immagini erano già state caricate su Pinterest direttamente dal loro sito e
stavano già muovendosi nell’etere delle bacheche virtuali di molti utenti. A
questo “Lands’ End Canvas” decise di rispondere accettando la sfida ed
abbracciando il nuovo social network, cercando modi strategici e stimolanti
di partecipare con gli utenti interessati al brand. In questo momento stanno
ideando un uso ottimale della piattaforma, per integrarla con le altre su cui
sono attivi, e progettando il loro approccio in modo che rifletta il “lifestyle”
dei loro clienti su Pinterest.56 Un perfetto esempio di utilizzo originale ed
efficace del mezzo.
Il caso TIME Magazine 57
55 http://pinterest.com/harleyperdue/lands-end-canvas-pin-it-to-win-it/ 56 http://pinterest.com/harleyperdue/lands-end-canvas-pin-it-to-win-it/ 57 http://articles.businessinsider.com/2012-01-17
66
Come parte della sua “content strategy”, TIME Magazine sta
utilizzando le bacheche di Pinterest per mostrare interviste, biografie del suo
staff, e per promuovere i post dei “dietro le quinte” presenti sul suo blog,
provando che Pinterest può, potenzialmente, aiutare ad incrementare anche
l’audience dei giovani giornalisti .
2 Un’immagine vale più di mille parole
Un’immagine è molto più evocativa di tanti contenuti testuali, ed è in
grado di trasmettere un’emozione. Dal blog di Francesco Gavello estrapolo
un curioso compendio di idee creative sugli infiniti utilizzi possibili di
Pinterest:
Il curatore di un portale legato a viaggi e turismo potrà creare
una o più "board”, dividendole per emozioni da sperimentare,
colori da fotografare, luoghi in cui andare almeno una volta
nella vita.
67
Un foodblogger potrà caricare immagini delle sue personali
ricette, dividendole in specifiche board per ingredienti, o
ancora, occasioni, colori, ecc…
Un Event Planner dotato di un qualsiasi smartphone
compatibile con l’App di Pinterest potrà caricare dal vivo scatti
dei suoi eventi.
Un esperto di arredamento che abbia un blog personale
potrebbe suddividere le sue board in spazi abitativi, componenti
usati ( legno, metallo, cristallo,…), sensazioni ( vacanza, relax,
concentrazione, familiarità, …) , ecc…
Un giovane professionista intento nella creazione del suo
“curriculum online” potrà creare una board in cui caricherà i
loghi dei brand con cui ha lavorato, quelli con cui gli piacerebbe
collaborare, e situazioni di lavoro, o eventi emozionanti al quale
ha partecipato nelle sue precedenti esperienze.
Il responsabile della comunicazionedi un brand potrà creare
una board in cui caricherà le foto di dettagli e oggetti utilizzati
nel “dietro le quinte” del prossimo spot della sua marca, o anche
“uno sguardo in anteprima” sulle anticipazioni dei trend
imminenti.
Il curatore di un network che produce magazine o pubblicazioni
periodiche potrà creare una board con la raccolta di tutte le
ultime cover sviluppate.
In ultimo, una possibilità innovativa, creativa, non- convenzionale, ma non
per questo non efficace e potente, potrebbe essere quella di chiedere al
proprio team, supponendo di essere un Brand Manager, di partecipare alla
decisione di quali immagini inserire nelle board della marca, quasi come se
fossero “brand box”, scatole in cui includere ogni oggetto che richiami, per
legame di sensazione o associazione, il brand: un elemento culinario, una
68
lettura, un paesaggio abitato da una popolazione ispirante, un concerto live,
una presentazione di Slideshare58 che racconti la storia del brand… Tutto si
può aggiungere alle board di Pinterest. E tutto concorre a creare l’identità, la
personalità, la fisicità e la reputazione di un brand.
“L’importante in tutto questo è non tralasciare mai un concetto
fondamentale: sui social network ciò che conta è stabilire un contatto vero
con l’utente, facilitare il dialogo e creare engagement, l’auto-referenzialità
può andar bene ma con moderazione. Partendo da questo presupposto si
potrebbe aggiungere che unire le funzioni social ad un potenziale e-
commerce potrebbe costituire un passaggio ed un’opportunità molto
importanti…(…).” 59
3 Pinterest e il Job Searching
Il punto di vista del NACE (National Association of Colleges and
Employers) è illuminante ed emblematico per quanto riguarda il tema del Job
Searching -la ricerca di un impiego- visto con gli occhi degli studenti che si
affacciano al mondo del lavoro per la prima volta.
In un articolo rivolto ai professionisti dei career services60 , Brie W.
Reynolds61 consiglia a quest’ultimi di creare delle board appartenenti a
studenti fittizi su Pinterest per mostrare agli studenti reali come utilizzare la
piattaforma per le loro ricerche, o caricare immagini di ambienti di lavoro
relativi all’annuncio in cui si cerca lavoro, citazioni inspiranti, esplorazioni di
carriere, ecc. …
58 http://www.slideshare.net/ 59 http://www.pmi.it/ 60 Libera traduzione dell’autrice da http://www.naceweb.org/s05092011/social-media-pinterest/ 61 Content and social media manager at FlexJob and former career counselor at Emmanuel College
69
La Reynolds cita poi alcuni esempi di uffici “career service” che
stanno già usando Pinterest. Un esempio: la “University of Pennsylvania” ha
diverse board che corrispondono a diverse carriere, in modo che gli studenti
possano operare alcune ricerche all’interno di quelle proposte dal loro career
service su Pinterest 62.
Sempre dalle pagine degli articoli del NACE, Thom Rakes63 dichiara
di vedere due modi in cui gli studenti potrebbero utilizzare Pinterest per
aumentare gli sforzi profusi nella ricerca di un impiego: come strumento per
operare un’indagine sulla presenza online dei futuri datori di lavoro, e come
strumento di Personal Branding. Aggiunge anche che “alcune grandi ed
avanguardistiche compagnie hanno creato delle pagine su Pinterest, fornendo
una visione diversa di se stessi come datori di lavoro, in relazione alle pagine
web più tradizionali. E siccome il focus su Pinterest è sulla grafica e sulle
immagini sarà d’aiuto a quegli studenti alla ricerca di posti di lavoro incentrati
sul dato grafico. “64 Anche Brie W. Reynolds concorda, e aggiunge che “gli
studenti che frequentano corsi più tradizionali -come business, scienze sociali,
ed altri corsi- non dovranno fare altro che essere più creativi degli altri nel loro
utilizzo di Pinterest”65.
Sempre secondo la “former career counselor” americana, è
importante per lo studente impegnarsi nel pensare a come poter
rappresentare il proprio corso di laurea, e le sue future aspirazioni di
carriera, graficamente e visualmente. Inoltre, è importante la cura della
didascalia di ogni immagine. E’ l’unica chance per lo studente di dire
espressamente, a chi guarda le sue bacheche di cosa va in cerca, e come
questo si relaziona alle sue future aspirazioni.
62 http://pinterest.com/ penncareerserv 63 Career center director at the university of north carolina wilmington 64 mia traduzione dal 2 articolo del NACE 65 B.W.Reynolds, Content and social media manager at FlexJob and former career counselor at Emmanuel College
70
In ultimo, estrapolo cinque interessanti punti dall’articolo del NACE
dal titolo “Using Pinterest as a Job-Search and Branding Tool”66, che spiega
cosa dovrebbe fare uno studente per utilizzare Pinterest come strumento di
ricerca:
1. Seguire su Pinterest le board dei brand o delle aziende per le
quali vorrebbero lavorare per imparare di più sui loro sforzi
di employer branding e sulla loro cultura aziendale.
2. Seguire i “career services offices” e gli esperti di recruiting ,per
apprendere le migliore strategie di “job searching”, i trend del
momento, e i loro consigli.
3. Acquisire idee su un probabile e futuro posto di lavoro
guardando quali altre aziende o brand sono seguite da quelle
in cui vorrebbero lavorare.
4. Creare board dal titolo “ posti in cui vorrei lavorare” o “le
poizioni che mi piacerebbe ricoprire”.
5. Usare, nelle didascalie delle immagini, parole chiave come
“assunzioni”, “risorse umane”, “recruiting”, ecc. per attirare le
aziende che stanno usando Pinterest per ricercare candidati.
4 Pinterest come strumento di Personal Branding
Un brand è pura soggettività, è un atto creativo volto a veicolare valori, nasce,
cresce e si nutre dell’emotività delle persone. E’ connessione emozionale ,
perchè è l’emozione che spinge all’azione. E’ un’esperienza unica. Il brand
racconta una storia, e ci sono cornici narrative nelle quali situarlo, come
tempo spazio attori relazioni passioni, che articolano l’espressione della
marca.
66 http://www.naceweb.org/s04252012/pinterest-social-media/
71
4.a Kapferer e l’identità della marca
Secondo la teoria di Kapferer , ogni brand possiede:
Fisico: elementi di base che evocano un aspetto fisico o
prestazionale: i benefici funzionali del prodotto, il suo design
o le caratteristiche oggettive di valore.
Personalità: è il carattere della marca, le sue caratteristiche
che vengono associate a quelle dell’uomo. Un brand può
essere sincero, quindi onesto, etico, genuino, naturale,
affettuoso, o ancora eccitante, quindi intrepido, alla moda,
giovane, social, avventuroso, artistico, originale, attuale,
trasgressivo, indipendente, contemporaneo, e via dicendo.
Competente, sofisticato, duro e rude. Un brand può assumere
qualsiasi sfumatura del carattere dell’essere umano in
relazione agli elementi connotativi che vengono combinati
per dargli vita.
Clima relazionale: è il rapporto tra il brand e il suo
consumatore, caratteristica che assume particolare rilievo se
si rapporta il brand all’universo del Web 2.0, come vedremo
in seguito in merito a Personal Branding ed Employer
Branding. Si tratta di definire elementi quali: il beneficio
emozionale che la marca apporta al consumatore ( “mi fa
sentire...”), lo scenario o il momento della relazione ( una città
cosmopolita, il calore della casa familiare, una serata con gli
amici…), il tipo di relazione (amicizia, complicità, la ammiro, è
la mia compagna, le sono fedele, mi stupisce …), e come il
brand parli al cliente ( tono confidenziale, tono autoritario,
per consigliare, per invogliare, per aiutare…) .
72
Immagine di sé: è l’immagine che il target ha di se stesso, e che
deve trovare conferma nel brand. In questo caso la marca
deve poter fornire un beneficio di autoespressione al suo
consumatore. “Sono più sportivo con Audi”, “ mi sento più
attenta alla cura di me stessa con Nivea”. Il consumatore deve
poter associare il brand ad un ruolo nel quale vuole essere
riconosciuto. Per esempio: “ Sono una buona mamma con
Danone”, o ancora “ Sono un uomo sofisticato con Paul Smith”.
Inoltre, ad ogni ruolo viene poi associato, nella mente di chi
scelglie la marca, un “auto-concetto”. Per esempio: “Mi merito
una pausa dalla giornata stressante con Heineken”, “mi merito
di poter dimostrare quello che ho raggiunto con BMW”.
J.N. Kapferer , Prisma dell’identità della marca
Immagine riflessa: è il modo in cui i consumatori di un brand
si identificano con il brand stesso. Come vorrebbero essere
73
visti dagli altri, in quanto consumatori di quella marca. Dal
punto di vista del brand si tratta di decidere il “riflesso
desiderato”, che non coincide, però, col target di riferimento.
Il “riflesso” è l’immagine del consumatore ideale,
estremamente stereotipata ed attraente, quindi, per esempio,
un detersivo può essere mostrato in mano ad una sedicente
donna in carriera che trova anche il tempo, tra mille impegni,
per pulire in maniera eccellente la sua casa col prodotto
pubblicizzato, ma molto probabilmente il target di
riferimento saranno donne di mezza età, casalinghe, non
lavoratrici.
Universo culturale: un brand può evocare il paese d’origine, o
il know how e la tecnologia sottesi alla sua esistenza. Si tratta
di riferimenti di origine culturale basati su stereotipi di tipo
anche geografico, o riferimenti derivati da elementi forti della
cultura organizzativa da cui trae origine il brand.
4.b Siamo ciò che ci ispira: Personal Branding su Pinterest
Su Pinterest io sono ciò che mi piace,
ciò che supporto, i colori che amo, lo stile degli
abiti che mi ispirano, i paesaggi in cui vorrei
scappare, gli hobby che coltivo, i quadri che mi
piacciono, le case in cui vivrei, le ricette che
proporrei per una cena con gli amici, ma anche
le esperienze che ho vissuto, il posto di lavoro
che sogno, i brand dei quali condivido i principi
guida.
74
Costruendo mosaici che racchiudono i propri interessi, e le cose
che più lo ispirano, l’utente di Pinterest costruisce tante narrazioni
sequenziali che costituiscono il suo brand, e lo connettono emozionalmente
con altre persone che condividono proprio i suoi stessi interessi perché, in
fondo, siamo ciò da cui siamo ispirati. In questo mosaico narrativo che si crea,
una volta entrati nel meccanismo del social network, è impossibile non
scorgere potenzialità di strategie di Personal Branding potentissime, proprio
perché costruite attraverso uno degli strumenti che più è in grado di parlare
alla soggettività: le immagini (affiancate dalle parole).
Prendendo atto del fatto che la nascita di un brand si può sempre
ricondurre ad una volontà di identificazione e differenziazione del prodotto,
si possono osservare le stesse esigenze nei casi in cui una persona si impegni
nella creazione del suo personal brand. Allo stesso modo si rivela
fondamentale sapere cosa si offre, conoscersi:
esplorare la propria identità; che tipo di personalità ci
caratterizza? I valori in cui crediamo, cosa sappiamo fare
meglio, cosa invece non è nelle nostre corde, chi vorremmo
diventare, e come vorremmo essere visti. Tutti questi
interrogativi sono funzionali alla fase di identificazione.
differenziarsi; quali sono i nostri interessi, quali le nostre
abilità, in che cosa possiamo “fare la differenza”.
Diventare un brand significa anche esserlo, ed essere consapevoli,
di riflesso, di avere tutte le caratteristiche che ne caratterizzano l’identità.
Citandone solo qualcuna tra quelle appena menzionate riferibili alla
classificazione di Kapferer: un fisico, una personalità, un universo culturale di
riferimento, una relazione speciale con i fruitori del nostro brand.
Gli aspetti dell’identità di marca di Kapferer, che ho riportato
poc’anzi nella loro completezza, sono perfettamente sovrapponibili agli
aspetti dell’identità umana, e sono gli stessi aspetti che possono emergere da
un profilo su Pinterest. Vediamo in che modo: prendiamo ad esempio un caso
75
pratico, e che rispecchi a grandi linee la normalità. Sul profilo Pinterest di una
donna tra i 25 e i 35 anni troveremo, molto presumibilmente, le seguenti
board: “moda donna o stile donna,” ispirazioni o cose che mi ispirano”, “fai
da te,” e “città o posti che vorrei visitare”.
Ad un’analisi attenta risulterà la perfetta sovrapponibilità di
queste tavole con un aspetto dell’identità della persona che le ha create, in
primis, e dell’identità di marca postulata da Kapferer in secondo luogo, a
riprova del fatto che l’esercizio del Branding può, e deve, di questi tempi,
essere applicato anche ad ogni persona che manifestasse la volontà di essere
identificata e differenziarsi.
Prendiamo ora la collezione chiamata “moda donna”. Il suo
contenuto sarà costituito da immagini caricate su Pinterest direttamente da
siti di sfilate, di case di moda, di shopping online, e saranno sicuramente
riferibili al gusto personale dell’autrice della board, al suo interesse per la
moda, e alla sua volontà di includerlo nel mosaico delle sue ispirazioni.
Questo dato ci permette già di assegnare un fisico al brand-persona67,
nell’accezione di fisico del brand che Kapferer ci indica, e cioè : “elementi di
base che evocano un aspetto fisico o prestazionale”68. Un indizio sul gusto in
fatto di moda di una donna può già dare indicazione di un suo “fisico”, che
non sarà in nessun modo inteso come il fisico reale dell’utente, bensì una
sorta di rappresentazione mentale di ciò che ispira il suo modo di presentarsi
ed esprimersi attraverso la moda.
Passiamo alla board “ispirazioni”. Sono svariati e i più disparati gli
elementi che si trovano nelle collezioni di questo tipo. Il loro contenuto è
decisivo per intuire dei tratti dell’identità del candidato. Assimilo, infatti,
questo tipo di board ai tratti della personalità del brand-persona, stando alla
indicazione di personalità di marca fornitaci da Kapferer.
67 Chiamiamo cosi il Personal Brand dell’ipotetico utente in questione, per distinguerlo dal brand di cui parla Kapferer, che si riferisce, quindi, ad un prodotto. 68 Paragrafo 4.a
76
Prendiamo in considerazione la board dal titolo “fai – da – te “.
Generalmente tavole di questo tipo contengono idee di ogni specie,
realizzabili a mano. Un oggetto realizzato a mano denota, in prima battuta,
capacità pratiche, di lavorazione minuziosa, e una grande creatività e voglia,
da parte di chi s’impegna in questa attività, di esprimersi attraverso un
oggetto realizzato autonomamente, che si affranca dal dover essere
comprato. Con il fai-da-te si può arredare una stanza, ci si può vestire, si
possono creare oggetti di design funzionali alla vita di tutti i giorni. Creare,
considerando la parola nell’accezione più ampia che permette, aggiunge un
indizio lampante al quadro che, immaginandoci social recruiters, stiamo
costruendoci a proposito di un’ipotetica candidata per la posizione che
abbiamo libera. O ancora, immaginandoci candidati per la stessa posizione,
stiamo costruendoci per mettere in atto una strategia di personal branding.
+ Un fisico Una personalità
Un universo culturale di riferimento
Una relazione particolare: “Renderà il mio team
fresco e creativo”
Le nostre collezioni su
Possono diventare una
rappresentazione grafica
del NOSTRO essere
“ brand” .
Del resto, gli interessi e le
passioni sono alla base
dell’architettura della
persona, dicono chi siamo.
Con Pinterest ..siamo ciò
che “ pinamo” .
77
A questa bacheca è possibile associare un aspetto sostanziale dell’identità di
marca postulata da Kapferer, il clima relazionale: è il rapporto tra il brand e il
suo consumatore. (…). Si tratta di definire elementi quali: il beneficio
emozionale che la marca apporta al consumatore (“mi fa sentire...”), lo
scenario o il momento della relazione ( una città cosmopolita, il calore della
casa familiare, una serata con gli amici…), il tipo di relazione (amicizia,
complicità, la ammiro, è la mia compagna, le sono fedele, mi stupisce …), e
come il brand parli al cliente ( tono confidenziale, tono autoritario, per
consigliare, per invogliare, per aiutare…)”69. Declinando questa descrizione,
modellata sulla marca intesa come garante di un prodotto, sulla marca-
persona, vedremo come la creatività suggerita da una board sul “fai-da-te”
assicuri una relazione particolare col fruitore del nostro Personal Brand, cioè
il recruiter, il quale percepirà indicativamente questa sensazione: “ Questa
persona renderà il mio team fresco e creativo”, o “E’ in grado di applicarsi
conciliando praticità e creatività”.
L’ultima board che porto come esempio è : “città”, o “luoghi che
vorrei visitare”. A questo elemento, inserito all’interno del mosaico
identitario che possiamo dedurre da un profilo Pinterest, associo la
caratteristica dell’universo culturale di riferimento, per riprendere le
definizioni di Kapferer, ossia tutti quei “riferimenti di origine culturale basati
su stereotipi di tipo anche geografico, o riferimenti derivati da elementi forti
della cultura organizzativa da cui trae origine il brand”70 il Personal Brand, in
questo caso. Immagini di grandi città, metropoli affollate, moderne e
all’avanguardia possono evidenziare determinati indizi identitari, come il
cosmopolitismo, mentre fotografie di luoghi isolati e immersi nella natura
lasceranno intendere un universo culturale di riferimento diverso.
In conclusione, attraverso la costruzione di un mosaico di
elementi che ci ispirano, è possibile tracciare un primo, embrionale approccio
69Paragrafo 4.a 70 Paragrafo 4.a
78
alla costruzione del proprio Personal Brand. Il processo, nella sua totalità, è
certamente più lungo e irto di ostacoli ma ciò che era importante porre in
evidenza in questa sede è proprio la potenzialità strategica di questo nuovo e
ricco social network.
4.c Un caso pratico: i “social media resumes” su Pinterest. Quando il curriculum
prima si guarda e poi si legge
Il modo unico in cui Pinterest permette di mostrare contenuti
visivi si presta eccezionalmente a convogliare contenuti grafici in modo
“compatto” .
71
Christopher S. Penn72, specialista in marketing e media, propone
un esempio efficace di costruzione del perfetto “social media resume”. Questa
recente pratica permette di sfruttare il potenziale dei social media presenti in
71 http://pinterest.com/cspenn/social-media-resume-example/ 72 http://www.christopherspenn.com/
79
rete per costruire il proprio “social” curriculum online. I vantaggi di un “social
media resume” si concentrano nella possibilità di condivisione e mobilità
virtuale del curriculum. Attraverso meccanismi di sharing, di attrazione
dell’attenzione e di viralità quasi imprevedibili, tipici della rete e dei social
network, un curriculum può potenzialmente arrivare agli occhi di chi di
dovere in tempi veramente incredibili.
Propongo ora un’analisi del “social media resume” di Christopher
S. Penn, creato appositamente per illustrare alla sua classe di Advanced Social
Media come presentarsi in maniera efficace sulla rete.
1. Le immagini 1 e 2 sono diapositive create con PowerPoint ed
esportate come immagini. L’immagine 1 riporta la dicitura “Read Me
First”, leggimi per prima, e recita: “Mentre sono sempre alla ricerca di
opportunità di parlare in pubblico, non sono attualmente alla ricerca
di un impiego! Questo è solo un esempio. Grazie!” .
2. L’immagine 2, invece, è una sorta di riassunto delle principali utenze
virtuali di Penn, che, nella descrizione sotto alla figura, inserisce i
rispettivi link corrispondenti a quelli riportati sopra, invitando chi
legge a contattarlo tramite qualsiasi piattaforma su cui è attivo. Data
la caratteristica “visual” di Pinterest, i caratteri sono stati messi in
grassetto e gli sfondi colorati delle immagini catturano lo sguardo,
anche nel formato ridotto.
3. Il terzo elemento è un video che Penn ha caricato su YouTube. Il video
si può avviare, ed è un modo eccezionale per presentarsi.
4. La quarta figura è una raccomandazione presa dal profilo LinkedIn di
Penn, traslata su una slide di PowerPoint, e poi esportata in Pinterest
come immagine. E’ auspicabile, qualora fossero presenti, raccogliere
le raccomandazioni ricevute su LinkedIn, o le menzioni che qualche
esperto ha fatto di noi su Twitter, o ancora il numero di condivisioni
che un nostro articolo ha ricevuto, in un’immagine dal layout
accattivante, che andrà a far parte del “social media resume” .
80
5. Il quinto elemento è un “codice QR”, che contiene i dati dell’elemento
numero 2. I codici QR permettono una scansione con qualunque
smartphone abilitato, e rivelano i dati ai quali sono stati associati: in
questo caso le diverse “presenze online” del soggetto.
6. Il sesto elemento è uno scatto fotografico professionale
7. Il numero 7 è il libro, in versione Kindle, scritto da Penn, “Marketing
White Belt”
8. L’ultimo elemento è un esempio di screenshot, fotografia, delle pagine
web delle compagnie in cui Penn ha lavorato.
73
73 http://pinterest.com/rachaelgking/the-living-resume/
81
74
5. Pinterest come strumento di employer branding 2.0
In seguito all’analisi delle potenzialità del social network, che ha conosciuto
una crescita senza paragoni nei primi mesi dopo l’immissione in rete, si è
giunti a comprendere l’incredibile forza e potenza di questo canale, data dalla
semplicità di utilizzo. Lo strumento che Pinterest usa per connettere le
persone sono le immagini, e il collante sono le ispirazioni. L’ispirazione è un
elemento valoriale che diventa motore prorompente di socialità e
interazione tra gli utenti. Tra le tante opportunità di utilizzo che Pinterest
offre, non è certo passata inosservata quella di branding. Un brand può essere
un amico d’infanzia, un compagno di avventura, sempre presente come un
fratello, o sincero come una madre.
5.a Una “brand box” 2.0
74 http://pinterest.com/sammette/resume-board/
82
Un metodo pratico, “tangibile” e ludico con cui rappresentare
l’identità di un brand potrebbe essere, per esempio, quello di chiedere ai
dipendenti di un’azienda, divisi in team, di riempire delle scatole con gli
oggetti che secondo loro rispecchiano l’identità del brand.
Un Cd, un film, un tessuto, un profumo…. un vero “BRAND”storming.
Questo esercizio può essere utile per vagliare la percezione interna dei core
values, che sono l’anima del brand , ma anche un’ ottima fonte di idee per i
brand manager e i creativi , per connotare ulteriormente la personalità della
marca.
Lo stesso meccanismo di questo esercizio di “brand-storming” si può
applicare a Pinterest. La sua struttura basata sulla divisione di immagini in
tavole permette di utilizzare Pinterest come strumento di employer branding
rivolto all’interno75 Ipotizzando che ogni board si configuri come una scatola
virtuale, il brand manager potrebbe chiedere ai neo assunti dell’azienda, per
esempio, quindi il target più giovane e più sensibile all’identità del brand, di
riempire le board. Queste, preventivamente e strategicamente divise per
temi, saranno gradualmente corredate di immagini, video, presentazioni
Slideshare, scatti delle esperienze, eventi, parties aziendali a cui i neo-
75 Si veda anche il paragrafo 2.I.c
83
professionisti hanno partecipato76. I team manager dovranno essere abili
nell’incentivare questa pratica, e controllare che i contenuti scaricati
rispecchino quella che è l’identità aziendale. Questa, infatti, proiettata
all’esterno, diventa strategia di employer branding , volta a rendere
l’ambiente di lavoro appetibile e stimolante agli occhi dei potenziali
candidati, mentre all’interno avrà effetti positivi sulla trasmissione dei valori
aziendali ai neo assunti, assumendo un valore anche in termini di formazione
del nuovo personale.
A questo proposito, perché sia più chiaro cosa si intende per
divisione strategica delle board , riporto l’esempio di Audi Italia.
Le board, sulla pagina Pinterest di Audi Italia, sono divise per
componenti dell’automobile. Abbiamo “Interior”, interni, “Fuel”, carburante,
“Wheel”, ruote, “Gear”, ingranaggi, “Exterior”, esterni, “Engine”, motore, ecc.
Audi riesce a differenziarsi dalle altre marche che su Pinterest
scelgono strategie di semplice “sales promotion”, cioè mettono in scena
76 Si veda paragrafo 5.b.iii
84
l’ennesima vetrina dei loro prodotti. Infatti, se si apre la bacheca dal titolo
“carburante” , ci si troverà davanti a un buon numero di sfiziose ricette,
informazioni su cibi regionali, e altre curiosità sul cibo, il “carburante della
macchina uomo”. Allo stesso modo, nella board “ingranaggi”, viene messa in
scena una narrazione per immagini che vede protagonista il corpo nell’atto
sportivo, quindi il “funzionamento perfetto degli ingranaggi umani”.
L’uso della piattaforma che viene fatto è creativo, per niente
convenzionale, a suo modo racconta una storia, ed è una storia aziendale
narrata da un angolazione non banale. Ovviamente, board che riportano
immagini di sportivi, di cibo sano e di prodotti tecnologici, non fanno altro
che narrare un’altra volta il racconto che Audi propone di se, come brand, su
tutti i media, e che si “legge” anche nelle sue campagne pubblicitarie: Audi sta
dicendo un’altra volta al suo pubblico di riferimento di essere un brand
moderno, che parla ai giovani, quei giovani che sanno essere sportivi, al
passo coi tempi e con le novità in campo di tecnologia, che conducono una
vita sana e, qualora apprezzassero la board “carburante, evidentemente
amano anche la buona cucina!
E’ molto interessante l’obiettivo di differenziazione che Audi riesce a
raggiungere operando un uso quasi “giocoso”, ma molto efficace e piacevole
del canale Pinterest, ma il target di quest’operazione è palesemente il
consumatore del marchio, e non i potenziali futuri collaboratori del brand, di
conseguenza non viene operata alcuna strategia di employer branding in
questa pagina.
In definitiva, “fare employer branding” su Pinterest significa :
Sapere utilizzare le immagini per creare esperienze emozionali che
connettano la marca al suo consumatore di riferimento. In poche parole,
raccontare una storia fatta di immagini. Secondo alcune ricerche, i
fattori estetici su cui focalizzarsi riguardano principalmente i colori,
mentre la lunghezza della descrizione, a discapito di cosa si potrebbe
85
pensare generalmente e a sostegno, invece, della teoria dello storytelling,
è un fattore che aumenta la visibilità dell’immagine caricata77.
Mettere in atto una content strategy, attività di pianificazione e gestione
dei contenuti, mirata ed efficace, quindi:
o Operare una divisione curata dei temi presentati nelle board ,
devono essere in grado, nella loro totalità, di raccontare una
“corporate story”.
o Non dimenticare l’anima del sito, le ispirazioni: inserire immagini
ispiranti al fine di sviluppare legami più stretti con le aspirazioni
delle potenziali future risorse.
o Come esiste un principio valido per il branding su Pinterest, cioè
non creare l’ennesima vetrina online di prodotti bensì esprimere
l’identità dell’azienda come se fosse una persona umana, allo
stesso modo una pagina Pinterest di employer branding non deve
mostrare contenuti freddi e distanti, né diventare una sorta di
pagina degli annunci visiva online. La soluzione ideale è cercare di
mostrare il back office , quello che succede dentro i muri
dell’azienda, come se questa si aprisse, si mostrasse più tangibile,
e come se desse un assaggio esperienziale a chi aspira a lavorarci.
Come se l’azienda dicesse “Noi lavoriamo così, con noi hai queste
opportunità. Sei stimolato? Ti abbiamo intrigato? Sali a bordo. O
almeno, provaci. Potresti essere la persona giusta!” . In questo modo
il candidato si sente più vicino all’ambiente di lavoro, vede
immagini di persone vere, che “ce l’hanno fatta”. Non immagini
pubblicitarie, come quelle che si vedono sulle riviste, o sulle pagine
web. Questo incoraggerà i potenziali candidati ad instaurare una
relazione più profonda col brand.
o Inserire immagini rilevanti e che avvicinino il candidato che
vogliamo colpire. Intel, oltre a meritare una menzione d’onore per
77 http://danzarrella.com/infographic-how-to-get-more-pins-and-repins-on-pinterest.html#
86
essere riuscita, come azienda, a far diventare il proprio marchio un
brand, pur producendo processori per computer, ha una board che
si chiama “Geek Chic”78.
o Se è presente un impegno sociale al di fuori del contesto
commerciale, è positivo mostrarlo con una board dedicata. Non
solo migliorerà la reputazione del brand agli occhi della
community, ma sarà anche estremamente d’aiuto per la causa
sostenuta, alla quale verrà data un ulteriore opportunità di
visibilità.
Le strategie più efficaci di employer branding che ho individuato su
Pinterest, e che voglio riportare in questa tesi, sono quelle messe in atto da
General Electric79, The New Traditionalists80, e Taco Bell ( Careers)81 .
Ognuno di questi tre brand, infatti, è riuscito a concretizzare egregiamente
uno dei punti appena elencati.
5.b Strategie eccellenti di employer branding su Pinterest: General Electric, The
New Traditionalists e Taco Bell
5.b.i General Electric Company
La General Electric Company è una multinazionale statunitense, attiva nel
campo della tecnologia e dei servizi dal 1892. Nella breve descrizione che
Pinterest permette di affiancare all’immagine scelta per rappresentare la
pagina si legge:
78 http://pinterest.com/intel/geek-chic/ . Non esiste una traduzione italiana per il termine inglese “geek”. L’insieme, “Geek Chic”, si può tradurre con “Cose chic per cervelloni”. 79 http://pinterest.com/generalelectric/ 80 http://pinterest.com/thenewtrad/ 81 http://pinterest.com/tacobellcareers/
87
“#Pinning things that inspire us to build, power, move and cure the world.
Welcome to the official GE Pinterest page!”82
Sono venti le board che General Electric ha creato. Di seguito riporto
quelle salienti:
“Ready to Pinspire?” ; questa board è composta da cinque immagini che,
poste adiacenti, formano una freccia, e ciò che si legge nelle cinque
descrizioni forma il seguente discorso83: “Caricate Pin per voi stessi o in
onore di qualcuno che combatte il cancro di vostra conoscenza. Create
board per condividere esperienze sul cancro. Metteremo in evidenza una
delle vostre immagini ogni settimana. Non vediamo l’ora di vedere le
vostre storie. Controllate le nostre istruzioni per maggiori informazioni.”
Questa bacheca, di grande rilevanza sociale, permette di mostrare
l’impegno di GE nell’ambito della ricerca e della costruzione di
macchinari per la cura del cancro. Inutile dire quanto sia forte la
connessione emozionale che questo crea con un potenziale candidato.
“Hey Girl” ; questa bacheca va a toccare il lato umano del candidato dal
punto di vista della comicità e dell’ilarità. GE si scopre, in questa board,
un brand che sa ridere, e che ride con le persone. Le immagini riportate
in questa raccolta mostrano frasi dolci, romantiche, usate dagli uomini
per fare colpo sulle ragazze (da qui il titolo “Hey Girl”) , traslate, però,
sul tema delle macchine e dell’elettricità. Si noti l’utilizzo dello sfondo
colorato, per catturare lo sguardo.
82 “Pinando – unica traduzione individuata, per ora, del verbo To Pin- cose che ci ispirano a costruire, attivare, muovere e curare il mondo. Benvenuti sulla pagina Pinterest ufficiale di GE.” 83 Traduzione libera dell’autrice
88
1 2 3
Le immagini mostrano rispettivamente le frasi :
1. “Hey ragazza, il mio cuore batte così forte che potrebbe
alimentare una locomotiva”,
2. “ Mandami un telegramma, se ti va”84
3. “ Hey dolcezza, il nostro amore brucerà più a lungo di un
filamento di tungsteno in bulbo sigillato sottovuoto”.
“Badass Machines” ; la traduzione del titolo suona più o meno così
“Macchine Tostissime”, e questa board è una raccolta delle più incredibili
ed enormi macchine costruite da General Electrics e degli elementi a cui i
costruttori di queste meraviglie tecnologiche si ispirano. Alcune delle
didascalie di queste immagini giocano su un tono “da bar”, come se fossero
parte di una conversazione tra amici in cui uno dei due partecipanti
aggiorna l’altro sugli incredibili progressi e la potenza delle macchine che
la sua fabbrica costruisce, con un entusiasmo che solo il tono informale
84 Quest’immagine in particolare fa riferimento ad un grande successo radio del 2012, la canzone “Call Me Maybe” di Carly Rae Jepsen .
89
può rendere con precisione. Questo è un modo di avvicinarsi agli
appassionati- la passione per il proprio lavoro è caratteristica
imprescindibile per ogni buon dipendente- come se si parlasse lo stesso
linguaggio, e quel linguaggio richiedesse di essere informale, crudo e
potente come l’argomento di cui si parla ! Di seguito qualche esempio.
1 2
3
1. “Guarda: I nostri composti di ceramica sono più forti di un
proiettile in corsa?”
2. “Uno dei nostri ingegneri ha scattato una foto del nostro
negozio di riparazione turbine in-loco a Greenville, SC.”
3. “Domanda: come possono le ali di questa farfalla migliorare i
vostri viaggi in metropolitana?”
90
4 5
4. “Lavoriamo su cose più grandi di noi stessi”
5. Si presti attenzione a questa immagine. Dice: “Sono un fan dei
treni e sono orgoglioso di esserlo”, e la didascalia riporta “Quale
locomotiva è la tua preferita?” Si notino:
a. Il colore sgargiante dello sfondo e il piccolo slogan che
catturano l’attenzione del lettore
b. Il tag , cioè l’etichetta, rappresentata graficamente dal
simbolo "#” apposto davanti al nome “locomotiva”, così
chiunque farà una ricerca interna a Pinterest con questa
parola chiave, troverà questa immagine
c. La risposta di un utente che dice: “La RENFE classe 269,
100% elettrica”, e la RISPOSTA di un membro
dell’azienda “GE @Carlos Rios” che commenta “ pare che
tu sia proprio uno che pensa in #verde” , con il “#” che
91
contrassegna le parole chiave per la ricerca, sempre per
dare visibilità alla conversazione nel caso qualcuno
inserisse come parola chiave, nel motore di ricerca
interno a Pinterest, la parola “verde”.
“That’s Genius!” è una board in cui sono raccolte immagini
colorate che riportano frasi e citazioni brillanti dei più grandi
geni del campo.
Anche questo è un modo di parlare vicino ai giovani, che
avvicina il target al brand. Brevi frasi, motivanti e pronunciate
dai presunti eroi di coloro che dovrebbero rappresentare
l’obiettivo, in termini di personale, dell’azienda.
“Wyoming Women First” è una raccolta di immagini che
incitano le donne dello stato del Wyoming, che ha la più bassa
percentuale di esami per la prevenzione del cancro al seno
eseguiti annualmente negli U.S.A., a fare controlli frequenti e
prevenire la malattia. A questa board è assimilabile un’altra
presente sulla pagina, dal titolo “Cancer Pintherapy”.
92
“The #WhatWorks Project” , il cui sottotitolo è “ Celebriamo e
diamo energia alle cose che funzionano! Condividi le grandi
persone, le cose e i luoghi che funzionano/lavorano, per aiutare
l’America a tornare a funzionare/lavorare”85 .
“#GEInspiredME”; in questa tavola sono riunite le migliori foto
di un concorso indetto da GE al fine di trovare “the next GE
Intagrapher”86 cioè il prossimo talento fotografico innovativo.
Il concorso prevedeva di scattare fotografie col cellulare, e
condividerle apponendo l’etichetta “#GEInspiredME”. Le
fotografie dovevano ispirarsi alle quattro aree di innovazione
di General Electrics: movimento, costruzione, cure mediche,
energia.
85 Traduzione dell’autrice della frase “Celebrate & Power What Works! Share the great people, places & things that work to help get America back to work.” 86 Il termine “instagrapher” deriva dalla crasi della parola “Photographer” e “Instagram”, il nome di un celeberrimo programma social di ritocco fotografico.
93
“Eco Efficient”; board interamente dedicata a curiosità,
domande e risposte e nozioni su tutto ci che riguarda
l’ecologia e il “pensiero verde”.
“The Archives” ; raccolta molto interessante dal punto di vista
del processo di narrazione del brand. Si tratta di una
collezione di immagini che raccontano la storia della nascita
dell’azienda, dalle prime pubblicità alle prime brillanti idee,
per far capire come le creazioni futuristiche nate sotto l’ala di
GE abbiano cambiato il mondo e la qualità della vita di molte
persone. Un modo
94
avvincente ed eccitante di dire al potenziale candidato che
guarda queste immagini “ Vieni a bordo, partecipa anche tu ai
nostri successi e aiutaci a migliorare il mondo in cui viviamo!”.
La diversificazione di argomenti trattati nelle tavole di General Electric è
fenomenale, dalle grandi macchine agli “archivi” che mostrano immagini
prese dal racconto della storia e dell’eredità di GE, passando per la board del
concorso “#GEInspiredME” , interamente dedicata alle foto dei fan. Questa
azienda è un ottimo esempio di come dovrebbero essere organizzati, gestiti e
mostrati i contenuti all’interno di una pagina “brandizzata” , sia a livello di
semplice strategia di branding aziendale, sia in un’ottica di employer
branding.
5.b.ii The New Traditionalists
The New Traditionalists è un brand di mobili di pregio, con
laboratorio a New York City, nello scintillante quartiere di Soho. I mobili
prodotti da questa casa sono molto classici, ma come recita il nome,
quest’azienda è formata da “nuovi tradizionalisti”, persone che non hanno
aspettato troppo a salire sulla cresta dell’onda di Pinterest, e l’hanno fatto in
maniera eccellente.
95
1
Il team di “The New Traditionalists” ha colto in pieno le potenzialità
di Pinterest in termini di offerta esperienziale al cliente, e non
bombardamento passivo sotto forma di immagini di prodotti. Le board che
ho messo in evidenza nella Fig.1 si chiamano “Lino Bianco”, “Tempo d’Estate”
e “Il Diavolo è nei Dettagli”. Nessuna di queste collezioni riguarda,
apparentemente, i prodotti della marca. Entrando nella bacheca dedicata
all’estate, si apre una raccolta di immagini vintage di momenti marittimi,
personaggi famosi si susseguono in fotografie dal sapore retrò. Questa
narrazione evoca un periodo, uno stile, un modo di fare che sono di
ispirazione per “The New Traditionalists” nella creazione dei suoi prodotti.
Infatti, la descrizione accanto al nome del profilo è la seguente: “Ispirazioni
per i nostri mobili, e tuto ciò che ruota attorno ad essi”. E come questa, tutte
le altre tavole riportano elementi di epoche, momenti storici, stili e periodi
della moda che ispirano il brand nella connotazione di se stesso e dei suoi
prodotti. Ad un occhio attento, però, non sfuggiranno immagini di mobili,
disseminate ad arte nelle varie board.
96
Fig.2
Tra una fotografia di JFK JR e un’immagine di Audrey Hepburn in un
“Summertime”, un momento estivo, fa capolino la fotografia artistica di
Norman Parkinson che ritrae una signora, esempio di finezza e stile,
dolcemente adagiata su un divano in riva al mare. Così come nella board
“The Devil is in the Details” , tra immagini che vedono protagonisti i dettagli
di vari capi d’abbigliamento, quindi fibbie, bottoni, gemelli, si possono
individuare fotografie che ritraggono dettagli di pregio dei mobili costruiti da
“The New Tradionalists” ( Fig.3).
97
Fig.3
Il dato più interessante, però, per quanto riguarda questo brand dalla
straordinaria dote comunicativa, è la board dal nome “HELP WANTED!” ,
cercasi aiuto. Il sottotitolo di questa collezione di immagini recita: “Siamo in
Nuovi Tradizionalisti e stiamo cercando di espandere il nostro branco. Cerchiamo una
specialista in Servizi al Cliente che si unisca a noi nel nostro showroom di Soho. Gli annunci di
lavoro tradizionali sono noiosi, quindi abbiamo creato questa tavola dove esponiamo in
maniera dettagliata i nostri criteri. Sei tu la Superstar del Servizio Clienti che stiamo cercando?
Per favore, dai un’occhiata e condividi. Puoi trovare l’offerta completa qui(…).” 87
87 Traduzione dell’autrice
98
Fig.4
Tutte le immagini sono tratte da film famosi, o immagini divertenti trovate
sul web che aiutano a costruire la “storia della ricerca della Superstar del
Servizio Clienti”. La prima immagine della raccolta (Fig.4) mostra un gruppo
di giovani scapestrati in motocicletta, e recita “ Ci siamo imbarcati in questo
viaggio per espandere la nostra squadra….” , la seconda è un’immagine tratta
da un film e la didascalia dice “ …e abbiamo cercato lontano e dappertutto…” ,
“Quindi, questa è la nostra mappa” recita l’immagine successiva, un gruppo di
ragazzini che osserva avidamente una mappa del tesoro. “Siamo i Nuovi
Tradizionalisti”, si legge nell’ultima immagine della prima stringa. La tavola
prosegue:
99
Fig.5
“Stiamo cercando uno Specialista in Servizi al Cliente!!”, “Quindi questi sono i
nostri criteri”, “ci piacciono le cose tradizionali”, “ ma ricche di dettagli…”, “…e
alla moda”.
Fig.6
100
“Abbiamo bisogno di uno che voli in alto!!”,“ Qualcuno che sia cool”, “ ma non
una diva…”, “… vogliamo una ROCKSTAR!” , “ Che si unisca a noi nel nostro
showroom di Soho”.
La board continua con altre immagini le cui didascalie aggiungono sempre
più dettagli alla figura del candidato perfetto, della “Superstar del Servizio
Clienti” che The New Tradionalists sta cercando, sempre mantenendo un
tono amichevole, accomodante, entusiasta , ma non per questo dimenticando
di fornire anche il minimo dettaglio sulla personalità e le caratteristiche
ricercate.
Fig.7
Riporto alcune delle didascalie, che recitano: “ Siamo giovani… ma con
GRANDI piani”, sotto all’immagine di un giovanissimi JFK, o ancora “ Stiamo
crescendo in fretta”. Si passa poi alla descrizione dell’azienda: “ Tutti i nostri
prodotti sono fatti a mano usando i materiali della milglior qualità esistente”.
101
Fig.8
In ultimo, alcune immagini più seriose riportano la descrizione delle
opportunità di miglioramento ed esperienza che la posizione in questione
offrirebbe al candidato, mentre altre immagini divertenti prese da altrettanti
film, recano le seguenti didascali: “ La possibilità di crescere con una
compagnia in crescita, e DIVERTIRSI FACENDOLO!!”, o ancora, “Sei li fuori?
Seriamente, dove ti stai nascondendo?”, e per ultima “ Sei tu? Seriamente.
Mandaci un’e-mail!” .
Questa strategia colpisce per originalità e potenza espressiva. E’ operata una
costruzione magistrale dell’ employer brand , della figura del datore di lavoro,
che attraverso le immagini si racconta come un giovane talentuoso JFK con
grandi piani, come un bambino che non vede l’ora di crescere, ma anche un
adolescente con un bagaglio di sogni e l’entusiasmo di puntare in alto.
Inoltre, le immagini sono fruibili, sono scelte ad arte e rispecchiano vere e
proprie ispirazioni ( quasi tutte sono immagini tratte da diversi film). Questo
102
permette loro di essere facilmente condivisibili e “ri – Pinabili” e , di
conseguenza, la pagina di The New Traditionalist si aprirà ogni volta che
qualcuno cercherà l’origine di queste divertenti immagini.88E’ un esempio del
miglior uso che si possa fare si questa semplice ma potentissima piattaforma.
Un uso creativo, che parli di emozioni, alle emozioni, per creare un legame
emotivo e far sì che il brand acquisisca un posto d’onore nella mente del suo
consumatore, e si guadagni il suo affetto, la sua ammirazione e, in questo
caso, che diventi la più grande aspirazione professionale del futuro
candidato.
5.b.iii Il caso Taco Bell (Careers)
L’ultimo caso che prendo in analisi non è meno appassionante dei precedenti.
Si tratta della pagina Pinterest del brand Taco Bell89, che rappresenta una
catena americana di fast-food.
Fig.1
La descrizione che introduce il brand, e ne affianca il logo sulla pagina
Pinterest riporta le seguenti parole “La tua personalità è il tuo brand… quindi
perché non impegnarti con una compagnia che abbraccia la tua individualità?
Ispira. Conduci. Impara. Cresci. Lavora qui (…) .” 90
88 Si permetta il neologismo, il cui utilizzo è diffuso. 89 http://www.tacobell.com/ 90 traduzione dell’autrice
103
E’ molto importante questa introduzione che Taco Bell sceglie per il suo
profilo. Innanzitutto il tono è gioviale, amichevole, aperto, un tentativo di
avvicinarsi al target di dipendenti individuato dall’azienda. La maggior parte
degli interessati, infatti, ed anche il segmento a cui parla questa pagina, sono
persone che devono essere pronte a stare a contatto coi clienti, e fornire il
miglior servizio possibile nei punti di contatto dell’azienda con l’esterno,
quindi i fast-food Taco Bell. “La tua personalità è il tuo brand”, con questa
frase il team di creatori di questa strategia ha manifestamente voluto
incentrare la campagna di employer branding sulla valorizzazione del
personal brand degli individui a cui si rivolge. Il team di Taco Bell, nel
dichiararsi consapevole dell’importanza per ogni professionista -ma in
generale per ogni persona che debba in un qualche modo “essere scelta”- di
costruire il proprio brand personale, si attesta su una linea strategica molto
innovativa e stimolante, che consiste nell’integrare i singoli brand dei
dipendenti con quello dell’azienda, per ottenerne una relazione sinergica e di
crescita duplicemente orientata e vantaggiosa.
Fig.2
Una breve analisi delle collezioni salienti è proposta di seguito:
104
“Taco Bell Community”; in questa board sono presenti fotografie
raccolte sotto la didascalia “ Incontra la Taco Bell Family” . Le
immagini sono state selezionate e caricate con l’intento di costruire
una narrazione familiare, che ricalcasse il modello dell’album di
fotografie famigliare. Si possono sfogliare immagini catturate durante
la giornata “Porta i tuoi bambini al lavoro”, o ancora fotografie dei
nuovi piatti preparati dai dipendenti dopo una lezione di training con
una famosa chef – in una di queste figura una dipendente sorridente
con un piatto in mano ed è intitolata “Cantina Pride, cioè “l’orgoglio di
aver cucinato un piatto Cantina”- . Si prosegue con una fotografia
scattata durante una “Welcome Breakfast” dedicata ai nuovi impiegati
del settore IT dell’azienda. Si prosegue con immagini che ritraggono
sempre gruppi, squadre di dipendenti intenti a ricevere premi,
assistere a workshop, lezioni e momenti di team building.
Assimilabili a questa board, come principi essenziali che le regolano,
sono le tavole “ Taco Bell Office Olympics 2012”, che mostra una
giornata sportiva, sulla falsa riga delle Olimpiadi di Londra del 2012,
organizzata all’interno dell’azienda, “Fun Times”, che riporta momenti
ludici avvenuti sul posto di lavoro e “ Team Members Video Shot”,
ovvero il dietro le quinte delle riprese dei video promozionali
realizzati con la partecipazione dei membri dei vari team.
Questa board è un esempio eccellente e perfettamente progettato di
una strategia vincente di employer branding. Ogni immagine invoglia il
potenziale candidato ad entrare nella “Taco Bell Family” attraverso le
emozioni che le innumerevoli fotografie di attività di squadra, ludiche
e professionali, trasmettono a chi le guarda. Sono presenti inoltre
fotografie che ritraggono le squadre dei manager, dei coaches e degli
chef in pose sorridenti, come per “umanizzarli” agli occhi dei
candidati. Questa strategia fa si che il candidato non sia intimorito da
quelle che, nell’azienda, sono le persone che ricoprono i ruoli più
105
autorevoli, o dal team da cui dovrà essere giudicato ed eventualmente
assunto (Fig.3) , ma anzi, operi una “demitizzazione” di queste
persone che lo invogli a voler lavorare con Taco Bell, in questo caso, e
far parte della famiglia con serenità.
Fig. 3
Le board dal titolo “Meet Our Recruiting Team”(Fig.4) e “Keri
Patterson – Field Recruiter” (Fig.5) si attestano sulla stessa linea
strategica di demitizzazione del personale che potrebbe essere temuto
dal candidato, e per questo disincentivante per la sua candidatura.
Fig.4 Fig.5
“Taco Bell + YOU”: “Working at Taco Bell is more than joining a
successful brand. It's about joining a culture that loves the food, cares
about each other and our communities and connects with each and
106
every Customer. Don't just settle for any job, choose to Work Here.”
Questa introduzione alla galleria “Taco Bell + YOU” suggerisce al
candidato di non cercare lavoro soltanto dal punto di vista di trovarne
uno, ma di scegliere di lavorare alla Taco Bell. Secondo quanto scritto,
infatti, lavorare per Taco Bell significa di più che lavorare per un
famoso brand. Significa entrare a far parte di una cultura che ama il
cibo, significa prendersi cura gli uni degli altri, e delle loro comunità,
ed essere al servizio di ogni singolo cliente.
Fig.6 “Lavora da Taco Bell e condividi l’amore”
All’interno di questa raccolta sono presenti numerosi video che servono
come supporto narrativo al tema della pagina, e mostrano momenti di lavoro
mentre spiegano i punti saldi della cultura aziendale di Taco Bell.
107
Fig.7
“Recruiting is Social”; all’interno di questa board sono presenti
numerose infografiche, mappe grafiche che mostrano dati presi da
ricerche, a supporto del Social Recruiting.
Fig.8
Con le immagini presenti in questa raccolta il team di Taco Bell vuole
chiarire la sua totale adesione e fiducia nella pratica della ricerca di
impiegati attraverso i social network, riconoscendone le grandi
potenzialità in termini di connessione, networking e attrazione di
risorse umane.
108
In ultimo, tre board dedicate a nutrire lo spirito, dal titolo “Good
Reads” , “Recipes for success” e “Food for thoughts”. La prima è una
raccolta di libri di cui il team di Taco Bell consiglia la lettura, la
seconda è un insieme di frasi motivanti a proposito del successo,
mentre la terza mostra immagini che riportano citazioni come “Non
aver paura di provare. Abbi paura di non farlo” (Fig.9) . Queste
collezioni manifestano, ancora una volta, la volontà di far percepire il
brand come un mentore, una persona profondamente e sinceramente
interessata alla crescita intellettuale dei suoi impiegati , alla loro
motivazione. Taco Bell diventa un brand amico, consigliere,
“motivatore”, e che dimostra di aver capito le necessità dei sui
dipendenti, e di fare il possibile per soddisfarle al meglio.
Fig.9
La strategia di employer branding di Taco Bell è progettata ad arte, contiene
tutti gli elementi per essere vincente ed efficace ed è, dal punto di vista
comunicazionale, potente e “avvolgente”, perfetta nel creare una connessione
emozionale con l’interlocutore, un legame che fa sì che questi percepiscano il
brand come il luogo di lavoro ideale, e questa percezione possa rimanere
salda nelle loro menti anche nel lungo periodo.
109
6. Verso una strategia di Branding Integrato
Nello scenario attuale, uno sguardo attento non potrà non notare i
cambiamenti radicali che stanno interessando il mondo del job searching -
ricerca dell’impiego desiderato da parte di chi cerca lavoro-, e del talent
searching -ricerca del candidato adatto dal punto di vista delle aziende
intenzionate ad assumere- .
Quella che viene chiamata “ guerra per il talento” è una fase del
mercato del lavoro, che raggiunge la sua massima espressione nei momenti
in cui si ha più domanda di professionisti che offerta. E’ proprio questa
tendenza che si concretizza nel concetto di “Employer Branding”, sforzo
dell’azienda che, per attrarre il miglior capitale di talento, non risparmia
risorse al fine di sviluppare e potenziare la sua figura di “impiegante”/ posto
di lavoro di valore, utilizzando ogni tipo di strada, dalla presenza agli eventi
fieristici dell’impiego, fino al tentativo di ottenere riconoscimenti che
attestino le sue politiche, specialmente in materia di gestione del personale e,
più recentemente, tentando l’assalto definitivo al mercato attraverso la
costruzione di una determinata reputazione aziendale mediante l’uso delle
reti sociali. Costruire questa reputazione non è ormai più prerogativa
esclusiva delle grandi aziende. Grandi imprese, filiali e PMI si sono rese conto
dell’importanza di essere datori di lavoro attraenti, ambienti di lavoro
appassionanti, e, per queste caratteristiche, catalizzatori di talento.
Ad oggi, momento storico segnato da un’evidente crisi del posto di
lavoro, la situazione di cui sopra si è invertita: la domanda d’ impiego è molto
alta, l’offerta scarseggia. Il mercato del lavoro è in una voragine, e obbliga
innumerevoli aziende ad “aggiustare” le proprie strutture ed eliminare
risorse qualificate, che, colte impreparate da questa situazione, si trovano a
dover affrontare , punto e a capo, il mercato del lavoro. Com’era prevedibile,
il talento si erge ora contro la mancanza di opzioni, ed il concetto di “Personal
Branding” si è inserito nella mente di molti professionisti, che si sono visti
110
letteralmente obbligati a “reinventarsi”, e di molti giovani talenti alla ricerca
del giusto riconoscimento, che si concretizza, oggi, nel conseguimento del
“posto di lavoro dei sogni”. Sono proprio queste categorie ad essersi rese
conto dell’importanza, ora più che mai, dell’importanza vitale di essere
presenti nelle reti mediali relative ai loro campi di specializzazione.
Con questa idea di “guerra” di un esercito di professionisti, decisi a
posizionare, o ri-posizionare, il loro talento, è andata estendendosi
progressivamente l’idea dell’importanza di sviluppare una strategia di
personal branding. E’ una lettura intelligente dei fatti e del momento storico
che stiamo affrontando, che fa si che ci si metta strategicamente all’opera nel
durissimo compito di costruire e sviluppare il proprio marchio, che permetta
di mettersi in evidenza ed essere scelti, ma anche, fattore che ultimamente ha
assunto molto peso, di poter scegliere.
Pertanto, preso atto di quanto detto finora, e sottolineando che le
organizzazioni fronteggiano un mercato via via più esigente, che richiede loro
di poter contare, tra le loro fila, su professionisti più che eccellenti nel loro
campo di expertise, ha senso, a questo punto del percorso teorico , tracciare i
contorni di una strategia nella quale l’organizzazione permetta ai suoi
impiegati di coltivare, sviluppare, e potenziare i loro rispettivi “brand
personali”, anche e soprattutto in seno all’azienda. Questo in virtù del fatto
che, se l’azienda avrà operato in maniera efficiente e consona dal punto di
vista dell’assunzione delle sue risorse, si troverà, senz’altro, con un bacino di
collaboratori perfettamente in linea con i principi, la mission, e la core value
proposition dell’organizzazione stessa. Essere il giusto candidato per una
determinata azienda significa condividere i principi e i valori aziendali che la
costituiscono, e che ne regolano l’organizzazione, e quei valori appartengono,
in primis, al candidato stesso .
Non ci sarà, quindi, necessità alcuna di plasmare le proprie risorse
secondo i contorni e le forme del brand per far si che vi aderiscano,
investendo inutilmente ulteriori risorse. Si rivelerà, d’altra parte, vincente la
111
scelta di arricchire il marchio con l’apporto dei singoli brand dei suoi
impiegati, forti di una base valoriale comune e condivisa tra azienda e
collaboratore, incoraggiando a coltivare questo aspetto professionale di sé
anche chi non lo avesse mai curato.
L’idea alla base è di creare una cultura aziendale che fomenti lo
sviluppo dei personal brand. Un’azienda che permetta alle proprie risorse di
lavorare al loro marchio col supporto del brand principale ci guadagnerà,
d’altra parte, in termini di “Employer Branding”. L’impatto di questa strategia,
avendo facilitato e dato impulso ai marchi personali dei suoi professionisti,
permetterà all’azienda, grazie a questi ed al suo posizionamento individuale,
nel medio e lungo termine, di potenziare oltremodo la sua immagine in
termini di Employer Brand. Si tratterà sostanzialmente di alimentare il
personal branding per elevare all’ennesima potenza l’employer branding.
In definitiva, contare su professionisti con un marchio personale conosciuto e
ri-conosciuto significa poter contare su un grande brand, che prende impulso
proprio da questi suoi “Brand Ambassadors”.
Non è impossibile né audace prevedere la futura proliferazione di
strategie di “Branding Integrato”. La cultura del datore di lavoro dovrà
annullare i fantasmi e le paure che tradizionalmente hanno impedito di
supportare le iniziative finalizzate a far brillare di luce propria i
professionisti dell’organizzazione.
L’impiegato capace, volenteroso ed emozionalmente intelligente
dovrà essere disposto a trasformarsi in “intra-imprenditore”: un
professionista che incanala l’energia del suo brand personale al servizio di un
unico cliente, la sua azienda. 91
91 www.humannova.com
112
Capitolo terzo
La mia proposta per un futuro non troppo
lontano, la “Social Career Page”.
In seguito a tutte le considerazioni sui vari aspetti del recruiting,
dell’employer branding e del personal branding fatte finora, presento ora una
proposta che nasce dalla fusione di più stimoli. Fino a questo momento tutto
ciò di cui si è parlato concerne l’universo 2.0 e i suoi pianeti, i social
networks.
Stando ad una recente indagine condotta da Lorenzo Pulici 92, specialista in
Risorse Umane e Comunicazione, sarebbe LinkedIn il più utilizzato( 96%),
dai professionisti per tessere le trame dei loro network, e dai recruiters nella
ricerca di nuove figure.
Se si parla di social network e lavoro, LinkedIn è il brand “top of mind” , cioè
il primo che viene in mente, stando ai dati raccolti.
I vantaggi di questa valida piattaforma sono molteplici:
Serietà
Reale possibilità di costruire una rete di contatti funzionale alla
propria professione
Reale possibilità di ottenere una proposta di lavoro
Reale possibilità di entrare in contatto con potenziali clienti
Il proprio profilo è il proprio curriculum
92 Si veda il Capitolo 1
113
Presenza di gruppi di discussione generalmente validi e professionali
che possono portare a partnership e collaborazioni
E’ gratuito
E’ vero, però, che LinkedIn è una piattaforma che diventa di grande supporto
e funzionalità al professionista nel momento in cui questi riesce a creare un
solido network e una rete di contatti consolidata e funzionale alla sua
carriera, quindi a distanza di qualche anno, quando ormai ha accumulato
qualche esperienza e un buon numero di contatti.
La mia proposta nasce dall’analisi dei reali bisogni delle due parti coinvolte
nella domanda e nell’offerta di lavoro, ma si rivolge ad un target specifico e
mette in campo una particolare fascia dei dipendenti dell’azienda. Si
configura come piattaforma ibrida , unione dei modelli di “career page” e
“social network” .
L’elemento di differenziazione del progetto consiste nel mettere in
contatto i giovani talenti di cui si è parlato in questa tesi con i giovani neo-
assunti dell’azienda nella quale questi aspirano a lavorare.
La “Social Career Page” che ho in mente è pensata per essere, nella sua
fase iniziale e sperimentale, costruita sul modello della grande azienda, in
modo che l’offerta di aree professionali e posizioni aperte sia la più ampia
possibile. Una variante è che la piattaforma riunisca un pool di cinque grandi
aziende simili per offerta di aree professionali ( Acquisti, Comunicazione e
PR, Logistica, Marketing, Qualità, Risorse Umane e Innovazione sono, per
esempio, aree professionali comuni a tutte le grandi imprese) per offrire più
scelta agli utenti.
Il nucleo concettuale consiste nell’offrire uno spazio nel quale i
giovani veramente motivati ad entrare a far parte dell’azienda possano
sentirsi leggermente più vicini a questa, e quindi alla meta, traendone la
motivazione e lo stimolo necessari a continuare a provare a proporsi, senza
demoralizzarsi. Questo impulso è dato all’esterno da una particolare
configurazione interna che proporrei per la gestione di questa piattaforma.
114
L’intento più sincero di questo progetto sarebbe, infatti, quello di mettere in
contatto i giovani talentuosi e motivati che cercano impiego con i giovani
talentuosi e motivati che, invece, lo hanno appena ottenuto nell’azienda.
Dall’esterno il candidato sarebbe in grado di raggiungere un punto di
contatto con l’interno dell’azienda, ovvero i neo-assunti, i quali sono elementi
interni, si, ma sono anche coloro che sono appena riusciti a varcare “il bordo”,
e sono ancora memori dell’”impresa”. Neo-assunti e candidati. Significa
mettere in contatto due gruppi che condividono lo stesso linguaggio e,
presumibilmente, gli stessi elementi valoriali. Significa avere una base
comune e solida, forte della condivisione del medesimo codice comunicativo.
Un neo-assunto, adeguatamente motivato e stimolato, è l’elemento
all’interno dell’azienda che sarà maggiormente in grado di trasmetterne i
valori all’esterno, inquadrandoli in una strategia di employer branding.
Concretamente la piattaforma vedrebbe riuniti in un unico spazio elementi
sia del modello “career page” , sia del “social network”, adeguatamente
armonizzati tra di loro.
Elementi estrapolati dal modello “career page”, l’esempio di Bosch:
la career page è la pagina web che le grandi aziende dedicano alla
pubblicazione degli annunci riguardanti le posizioni lavorative aperte e le
115
opportunità di carriera. Generalmente, come si può vedere dalla figura,
l’azienda dà l’opportunità al potenziale candidato di creare il proprio profilo,
inserire i suoi dati anagrafici e compilare un format che andrà a costituire il
curriculum che egli vuole proporre contestualmente alla sua candidatura.
Le sezioni che è possibile esplorare sul sulla pagina sono:
o “Chi siamo”, sezione in cui è possibile apprendere cosa Bosch
vuole rappresentare in quanto azienda, quali sono i principi e i
valori aziendali che ne motivano i diversi team e quali gli
elementi che li rendono uniti.
o “Unisciti a noi”, dove è possibile operare una selezione delle
posizioni disponibili in base alle proprie competenze,
qualificandosi come studenti, neolaureati o specialisti e
manager, prendere visione delle “Aree professionali” per le
quali candidarsi, e visionare gli “Appuntamenti con Bosch” (
Career Day, Job Fair, ecc… ) . Inoltre , questa è la prima area in
cui è necessario rendere ben chiaro cosa l’azienda cerchi nei
candidati (concetto che deve comunque essere trasversale a
tutta la strategia di employer branding e non circoscritto ad
una sezione) , in modo che questi possano operare una auto
scrematura, cioè proporsi con la convinzione di avere in toto i
requisiti necessari , o decidere che i valori aziendali non si
coniugano con la loro persona, e risparmiare alle risorse
umane il tempo necessario a prendere visione della loro
candidatura.
o “Lavorare in Bosch”; questa area del sito è dedicata
all’approfondimento delle politiche aziendali in merito a
“Retribuzione”, “Diversità e pari opportunità”, e “Work-life
Balance”, ovvero la possibilità di conciliare la vita lavorativa
con le proprie passioni, senza rinunciarvi.
116
o “Crescere in Bosch”; è la parte dedicata al “Training”, ovvero le
opportunità di formazione offerte dall’azienda, all’esplorazione
delle “Opportunità di carriera” e delle “Opportunità
internazionali.”
o “La nostra forza: l’innovazione” è la sezione dedicata ai
successi dell’azienda in termini di progetti innovativi ,
configurati e presentati in chiave di strategia si employer
branding, e cioè al fine di attrarre ed invitare le persone
motivate e di talento ad unirsi al successo del brand.
o Ed infine la sezione chiamata “Invia la tua candidatura”, nucleo
pulsante della career page, all’interno della quale viene data la
possibilità di candidarsi per le offerte attive e di leggere la lista
delle domande più frequenti rivolte su questo tema.
Questi gli elementi imprescindibili che la “Social Career Page” eredita dal
modello della “career page”.
Elementi estrapolati dal modello “social network”:
o La possibilità di creare un profilo personale al momento del
primo accesso, corredato di curriculum, che sia però
integrabile con elementi importati da altre piattaforme social
come, per esempio: “SlideShare”, sito per la condivisione di
presentazioni in formato PowerPoint, “LinkedIn”, o ancora
“ResumeUp”, sito che permette di creare il proprio curriculum
visivo. E, perché no, dare la possibilità a chi si candida per
posizioni creative di caricare un curriculum creativo.
o La possibilità di interazione a due sensi : dall’esterno verso
l’interno e viceversa.
o La possibilità di dialogo formativo all’interno di gruppi di
discussione orientati ai temi salienti della career page.
117
o La possibilità di completare il più possibile il profilo personale
con le preferenze specifiche di ogni utente: area professionale
preferenziale per la candidatura, interessi, aspirazioni e valori.
Questo permetterebbe l’avvio di un “meccanismo Pinterest”, e
cioè della possibilità, per il candidato, di visualizzare nella sua
home page solo i contenuti per i quali ha mostrato interesse, e
che altrimenti perderebbe tempo a cercare nelle varie sezioni
del sito ad ogni accesso. La “Social Career Page” , infatti, in
base alle ricerche di posizioni aperte di ogni utente, sarebbe in
grado di proporre le offerte pertinenti, e creare una sorta di
indice di gradimento personale della posizione che si vorrebbe
ricoprire, ( HR 20%, Marketing 2%, Retail 70%, Logistic 8%,
per esempio). Questo meccanismo, inoltre, consente al
candidato di rendersi conto se le sue ricerche sono mirate, e
capire meglio in quale campo gli piacerebbe specializzarsi.
La piattaforma che ho ideato unisce ogni punto citato finora in un
unico spazio interattivo e dedicato al dialogo tra neo- assunti e potenziali
futuri-assunti. Nello specifico, ogni area professionale dell’azienda non
dovrebbe far altro che proporre, incentivandoli adeguatamente, ai neo-
assunti di interagire con i candidati sulla “Social Career Page” rispondendo
alle loro domande nelle discussioni (ovviamente quelle di competenza) ,
raccontando le loro esperienze all’interno dell’azienda, o le storie che li
hanno visti protagonisti del successo appena conseguito, ovvero ottenere il
posto di lavoro che desideravano. In linea teorica, i neo-assunti potrebbero
anche essere eletti giudici di un concorso lanciato sulla “Social Career Page”,
che inviti i candidati a utilizzare Pinterest per riempire board con elementi
visivi che secondo loro rappresentano l’azienda, o creare board che
contengano i loro curriculum in forma creativa. Allo stesso modo i neo-
118
assunti potrebbero essere invitati a creare le stesse board su Pinterest (
cosa, per loro, è la posizione che ricoprono) e a condividerle con i candidati.
Queste attività permettono ai team manager dell’azienda di integrare
gradualmente i neo-assunti nella cultura aziendale rendendoli protagonisti
entusiasti di board, forum , o gruppi dedicati ai loro primi successi. Allo
stesso modo, questi primi successi, o prime esperienze nell’azienda,
raccontate all’esterno, si trasformano in un esplosivo strumento di employer
branding, reso tale dalla vicinanza che il candidato esterno percepisce col
coetaneo che “ce l’ha fatta”.
Per coinvolgere entrambe le parti in gioco, neo-assunti e candidati, le
offerte di posizioni attive saranno corredate di una descrizione che
possibilmente rechi video (caricati tramite Vimeo, YouTube, ecc. ) che
mostrino i progetti realizzati dai giovani assunti per quella stessa posizione,
o ancora, testimonianze sotto forma di collegamento con board di Pinterest.
Dal punto di vista della ricerca di futuri candidati ideali per l’azienda, quindi
per quanto riguarda i team dedicati al recruiting, l’elemento stimolante
consiste nel poter visionare le discussioni, i commenti e, ovviamente, i
curriculum degli utenti più attivi, il che rappresenterebbe già una notevole
scrematura dei candidati più motivati, interessati e determinati a lavorare
nell’azienda.
Per quanto riguarda il candidato, la carica motivazionale che lo
animerà sarà sicuramente maggiore di quella che egli potrebbe percepire
nell’inviare una semplice candidatura in una qualunque career page
tradizionale. Questo perché le aziende, e i recruiters in generale, non devono
dimenticare i bisogni emotivi e di soddisfazione del target col quale si
trovano ad interagire. Il neo-laureato, di talento, cosciente delle sue
competenze e dei suoi punti di forza avrà determinati bisogni, la cui
soddisfazione, anche parziale, da parte del team di recruiting sarà
fondamentale nella determinazione della sua, futura ed eventuale,
partecipazione attiva all’interno dell’azienda. Un elemento che potrebbe
119
essere funzionale a questa esigenza è di dare la possibilità al candidato di
tenerne traccia del suo curriculum nel momento dell’invio per una posizione
vacante. Il tracking dell’avanzamento della candidatura andrà di pari passo
con un obbligo di feedback ( mail, messaggio privato sulla piattaforma) , da
parte dell’azienda anche qualora l’esito della proposta di candidatura fosse
negativo.
120
Conclusioni
Il presupposto teorico di questa tesi era dimostrare come l’esercizio creativo
e strategico della creazione di un brand potesse essere applicato alle persone
e alle aziende in maniera funzionale all’efficienza del funzionamento della
complessa macchina che regola i meccanismi del mercato del lavoro. Volevo
approfondire come questa recente disciplina potesse facilitare, ottimizzare e
migliorare la qualità di un rapporto bilaterale che da sempre si configura
sfaccettato e complesso nelle sue tante forme. Il mio interesse si è rivolto, da
un lato, ai cosiddetti “talenti”, i giovani neo-laureati determinati a far valere
le proprie competenze, coscienti del grande valore che essi sono
potenzialmente in grado di produrre all’interno di un’azienda, se
adeguatamente stimolati ed incentivati dalla congruenza dei principi di
questa con quelli personali, e dall’altro alle aziende che sono state in grado,
negli ultimi anni, di percepire la crescente importanza della comunicazione
di quell’insieme di elementi intangibili, qualità, virtù, principi, convinzioni e
credenze, che formano il nucleo valoriale del brand. Di qui l’interesse per
cercare di capire quale alchimia si realizzasse nel momento perfetto
dell’incontro tra azienda ideale e candidato ideale. Ciò che teorizzavo, di cui
ho trovato riscontro e che ho dimostrato in questa sede è che quella sinergia
nascesse dall’interazione, articolata e delicatissima, di due forme di promessa
valoriale che si concretizzano nella strategia di branding posta in atto
dall’azienda in quanto ambiente di lavoro di valore (employer branding) , e
dal candidato in quanto persona adatta a incrementare quel valore con il
proprio (personal branding) . La tematica dell'employer branding si traduce
in un processo di creazione di valori aziendali e della loro comunicazione al
giusto target, e va ad interagire con la presa di coscienza da parte del
candidato, del suo bagaglio valoriale e del potere che questo incarna come
strumento per aumentare le possibilità di emergere nel mare magnum delle
121
candidature, e incontrare l’opportunità che si sovrapponga perfettamente
alle sue ambizioni.
Questa teoria mi è apparsa in forma concreta, in tutta la sua potenza, nel
momento dell’analisi di un social network in particolare, Pinterest. Basato
sulle immagini, intuivo si prestasse in maniera eccellente ad esercizi di
promozione, giustappunto, dell’immagine. Ogni presupposto teorico che
andavo ad indagare sulla rete trovava immediatamente riscontro in un caso
empirico individuabile su questa piattaforma , che puntualmente ho riportato
per arricchire ogni nucleo tematico di questa tesi. Le applicazioni delle
strategie di employer branding e personal branding trovano nel giovane
social network uno sfondo di interazione incredibilmente favorevole. Ho
ipotizzato esistessero “brand page” su Pinterest, e ne ho trovate
innumerevoli. Ho supposto esistesse uno spazio fertile sulla piattaforma per
dar vita a curriculum creativi, che raccontassero storie ed esperienze tramite
le immagini, e anche di questa forma di personal branding ho trovato
innumerevoli esempi su Pinterest. Un’epifania continua ha pervaso le fasi di
questa ricerca la quale, mi permetto di concludere, ha ottenuto ottimi
risultati in termini di conferma delle ipotesi di partenza.
Infine, l'osservazione e lo studio approfondito delle diverse piattaforme
virtuali sulle quali si gioca l’interazione tra azienda e candidato -oltre a
Pinterest-, mi hanno permesso, da un lato, di esplorare a fondo le potenzialità
di ognuna ed estrapolarne i vantaggi, per poi inserirli in un quadro più
ampio, dall’altro di prendere gradualmente coscienza di uno spazio di
applicazione ancora inesplorato. In questo spazio ho ipotizzato di inserire
una proposta che coniugasse i vantaggi delle piattaforme social e delle career
page dedicate al recruiting, presenti sui siti delle aziende più grandi. Ho
voluto supporre la creazione di uno spazio che ottimizzasse gli sforzi di
ricerca e auto-candidatura dei giovani neolaureati che tentano il primo
contatto virtuale con l’azienda “dei loro sogni”. Uno spazio che ho plasmato in
base alle esigenze, i bisogni, i linguaggi e i codici di questo target specifico e
122
delicato, coniugandoli con quelli dell’azienda, sempre con un occhio di
riguardo alle strategie di employer e personal branding. Spero che questa
proposta offra nuovi spunti di discussione e possa aprire nuove piste da
seguire a chi, in un futuro, spero, molto prossimo, vorrà occuparsene.
123
Bibliografia
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www.tacobell.com
www.humannova.com
125
Ringraziamenti
Grazie a mamma, papà e Riccardo, che sono il mio faro.
Grazie ai miei nonni, che sono il mio modello.
Grazie al Professor Vercellone, per credere nei giovani talenti.
Grazie ai Professori Salvatore Moccia e Josè Amiguet Esteban per avermi
appassionata.
Grazie ai quei pochi e famosi amici che si contano sulla punta delle dita.
126