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l’apri scatole Periodico di controinformazione autoprodotto ed indipendente lapriscatole.forumfree.net [email protected] Anno 1 - Numero 6 Venezia, 25 Aprile 2009 Quest’anno abbiamo deciso di trascorrere il 25 aprile in un modo nuovo e diverso rispetto al passato. Nelle scorse settimane liberi cittadini, gruppi e realtà operanti sul territorio, anche molto diverse tra loro, hanno dato vita ad una rete antifascista, costituitasi al fine di trascorrere il 25 aprile non solo in memoria della liberazione dal regime, ma soprattutto per opporsi fermamente alla recente deriva neofascista che sta interessando la società e le sue istituzioni. La memoria storica della resistenza partigiana è strumento imprescindibile per ricostruire, oggi, la consapevolezza della società civile nel continuo impegno per la difesa e l’ampliamento dei diritti e delle libertà individuali e collettive.Obiettivo primario della giornata è la rivendicazione di Venezia Antifascista, città antagonista sia del fascismo istituzionale, sia di ogni organizzazione di stampo neonazista. Per questi motivi vogliamo lanciare un vero e proprio allarme sociale, preoccupati, tra l’altro, per i duraturi e continui attacchi ai poteri indipendenti, la Giustizia e l’Informazione, e di tutti i principi costituenti: il potere popolare, la sanità, l’istruzione, il lavoro, i diritti delle minoranze, il ripudio della guerra. A tale scenario va aggiunta la mal celata connivenza tra alcuni membri dei governi centrale e locali del nostro paese e gruppi extraparlamentari che praticano quotidianamente xenofobia, omofobia, razzismo e antisemitismo, strumenti orientati all’estromissione e alla demonizzazione di tutte le diversità presenti sul territorio. Per quanto riguarda la nostra realtà cittadina, ci troviamo oggi di fronte ad un punto cruciale: Fiamma Tricolore, un partito della destra estremista e xenofoba, ha indetto una manifestazione per le calli di Venezia il primo maggio, giorno della festa dei lavoratori. Per esprimere il nostro sdegno e la nostra rabbia e per rivendicare con orgoglio il nostro essere antifascisti, vogliamo unirci tutti nel ribadire che nella nostra città non vi è spazio per chi semina odio e violenza, per chi fa del diverso una minaccia e non una risorsa, per chi discrimina gli uomini in base al colore della loro pelle. VENEZIAANTIFASCISTA UNITI SI RESISTE! Cari cittadini e care cittadine,

L'apriscatole - Aprile 2009

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l’apriscatolePeriodico di controinformazione autoprodotto ed indipendente

lapriscatole.forumfree.net [email protected]

Anno 1 - Numero 6 Venezia, 25 Aprile 2009

Quest’anno abbiamo deciso di trascorrere il 25 aprile in un modo nuovo e diverso rispetto al passato.Nelle scorse settimane liberi cittadini, gruppi e realtà operanti sul territorio, anche molto diverse tra loro, hanno dato vita ad una rete antifascista, costituitasi al fine di trascorrere il 25 aprile non solo in memoria della liberazione dal regime, ma soprattutto per opporsi fermamente alla recente deriva neofascista che sta interessando la società e le sue istituzioni. La memoria storica della resistenza partigiana è strumento imprescindibile per ricostruire, oggi, la consapevolezza della società civile nel continuo impegno per la difesa e l’ampliamento dei diritti e delle libertà individuali e collettive.Obiettivo primario della giornata è la rivendicazione di Venezia Antifascista, città antagonista sia del fascismo istituzionale, sia di ogni organizzazione di stampo neonazista. Per questi motivi vogliamo lanciare un vero e proprio allarme sociale, preoccupati, tra l’altro, per i duraturi e continui attacchi ai poteri indipendenti, la Giustizia e l’Informazione, e di tutti i principi costituenti: il potere popolare, la sanità, l’istruzione, il lavoro, i diritti delle minoranze, il ripudio della guerra. A tale scenario va aggiunta la mal celata connivenza tra alcuni membri dei governi centrale e locali del nostro paese e gruppi extraparlamentari che praticano quotidianamente xenofobia, omofobia, razzismo e antisemitismo, strumenti orientati all’estromissione e alla demonizzazione di tutte le diversità presenti sul territorio.Per quanto riguarda la nostra realtà cittadina, ci troviamo oggi di fronte ad un punto cruciale: Fiamma Tricolore, un partito della destra estremista e xenofoba, ha indetto una manifestazione per le calli di Venezia il primo maggio, giorno della festa dei lavoratori. Per esprimere il nostro sdegno e la nostra rabbia e per rivendicare con orgoglio il nostro essere antifascisti, vogliamo unirci tutti nel ribadire che nella nostra città non vi è spazio per chi semina odio e violenza, per chi fa del diverso una minaccia e non una risorsa, per chi discrimina gli uomini in base al colore della loro pelle.

VENEZIAANTIFASCISTA

UNITI SI RESISTE!

Cari cittadini e care cittadine,

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In occasione del 25 aprile ho provato a contattare Claudio Lazzaro ,regista di “Nazirock” e di “Camicie

Verdi- Bruciare il tricolore”, due documentari che descrivono in modo completo le nuove forze neofasciste e il movimento di Pontida. Purtroppo Claudio non può esser presente oggi, perchè già precedentemente impegnato. Tuttavia, mi ha rilasciato questa intervista che sviscera dei contenuti davvero importanti. Lo ringrazio nuovamente e vi lascio alla lettura.

1) Il proliferare in molte città italiane dell’apertura di nuovi sedi di partiti e associazioni di estrema destra, come Casapound a Bologna e Forza Nuova a Bergamo, è frutto di una sorta di connivenza o di copertura da parte delle istituzioni nei confronti di queste realtà ?

La connivenza delle istituzioni, ai massimi livelli, è evidente. Nel film, Nazirock, la connivenza è fotografata, quando vediamo Berlusconi che alla manifestazione del 2 dicembre 2006 a Roma, quella dei “due milioni contro Prodi e la finanziaria”, abbraccia la bandiera della Fiamma Tricolore e tiene al suo fianco il leader di questo movimento neofascista, Luca Romagnoli, lo stesso che in televisione mette in dubbio l’esistenza delle camere a gas, lo stesso che come suo delegato per il nord est ha scelto Piero Puschiavo, fondatore del Veneto Fronte Skinheads, un movimento politico musicale che si ispira a Jan Stuart Donaldson, il quale affermava: “Di Hitler ammiro tutto, tranne una cosa: avere perso”.Non dimentichiamo mai che questo governo sta cercando di far passare una legge che mette sullo stesso piano quelli che hanno combattuto per la liberazione dal nazifascismo e quegli italiani che invece caricavano gli ebrei nei carri piombati per avviarli ai campi di sterminio.

2) Visto che tu sei stato regista di due dei documentari piu’ completi ed eloquenti in materia, quali punti di contatto e quali differenze ravvisi tra le composizioni neofasciste e le “camicie verdi”?

La Lega Nord ha obbiettivi che sono meno ideologici e molto più concreti: la Lega vuole la secessione dall’Italia. Quando Bossi si è reso conto di non poterla ottenere in tempi brevi, ha scelto una strategia di lungo periodo. Con il federalismo spinto e l’accentuarsi delle autonomie si arriverà a una secessione nei fatti: una parte dell’Italia che viaggia alla

velocità dell’Europa occidentale, un’altra che sprofonda nel sottosviluppo, abbandonata al potere delle mafie. La Lega non a caso si allea con il partito organizzato da Marcello Dell’Utri, condannato per mafia, cioè con la parte politica che preferisce trarre vantaggio dall’alleanza con le mafie piuttosto che combatterle. Non a caso la stessa parte politica che vuole a tutti costi regalare alla mafie il ponte di Messina, da costruire sul territorio in assoluto più sismico in Italia.Anche se meno ideologica, la Lega nella sua azione politica, nel suo linguaggio, nel suo strumentalizzare le paure dei cittadini, è in sintonia con le formazioni politiche nazifasciste che operano in Italia. Basta osservare la rete di alleanze, a Verona, tra il sindaco leghista Tosi e gli esponenti di Forza Nuova e della Fiamma Tricolore.

intervista a

ClaudioLazzaro

di Roberto Mazzuia

Qui a sinistra:

Claudio Lazzaro, ex giornalista del Corriere della Sera e oggi filmmaker, autore di NaziRock

Nella pagina a fianco: La locandina del film- documentario“NaziRock” e il film “Camice Verdi”

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3) Come può, la cittadinanza nella sua complessità, tentare di arginare e di combattere tali fenomeni, senza venir strumentalizzati dall’opinione pubblica e ottenendo dei risultati concreti?

Le idee nazifasciste, così come il razzismo e la xenofobia, si combattono con la cultura e con l’informazione.Noi dobbiamo chiedere con forza che la scuola insegni la storia recente, che sappia mostrare la catastrofe immane che, a causa del nazifascismo, si è abbattuta sull’Italia e sul mondo. Ci sono film, documentari, libri, che mostrano questo orrore. La scuola deve usare questi materiali per fornire ai giovani gli anticorpi, rispetto a ideologie che devono stare nella pattumiera della storia. Per quanto riguarda l’informazione, in Italia c’è da affrontare una lotta senza quartiere per restituire dignità a un sistema che dovrebbe rappresentare il Quarto Potere e che invece è dominato dalla censura e dalle manipolazioni più incredibilmente spudorate. L’informazione in Italia, soprattutto quella televisiva, è da regime.Il Partito Democratico continuerà a perdere se non affronterà una volta per tutte questa battaglia, invece di continuare a muoversi nella logica miope e miserabile delle spartizioni. La battaglia per la libertà d’informazione è una battaglia di democrazia. Noi dobbiamo chiedere alla sinistra di unire le forze per affrontare questa battaglia. Questo è quello che possiamo fare.Poi c’è il problema di sconfiggere l’industria della paura. Fascisti e leghisti usano le paure legittime dei

cittadini per aumentare i propri consensi. La globalizzazione, che spazza via le certezze, che mette a confronto la nostra forza lavoro con quella del terzo mondo, che investe le città e i quartieri coi flussi migratori, che accentua i problemi di microcriminalità. La globalizzazione fa paura. Ma offre anche opportunità di sviluppo e di crescita. La globalizzazione va gestita, va spiegata, è il mondo nuovo che irrompe, che niente può fermare, che bisogna governare e capire. La destra semplifica, usa la paura. La sinistra dovrebbe agire in positivo, spiegare la complessità dei fenomeni, risolvere i problemi concreti della gente e nello stesso tempo tirarci fuori dalla cultura dell’odio, che la destra sta seminando e che porterà disastri. Il compito della sinistra è più difficile. Ma per affrontarlo c’è un solo modo: stare in mezzo a quelli che hanno i problemi e che li vivono sulla propria pelle. La sinistra non può limitarsi a pontificare dal salotto televisivo, deve stare nei quartieri dove si soffrono i problemi creati dall’immigrazione, deve trovare un linguaggio per farsi capire da quelli che potrebbero cadere nelle trappole demagogiche delle semplificazioni leghiste. La sinistra deve essere unita, ritrovare un’identità condivisa, un nucleo di valori semplici e forti, ma soprattutto deve tornare a piantare le sue radici là dove sono i problemi, nelle fabbriche, nei quartieri degradati, tra i precari e gli sfruttati. Gente che aspetta parole semplici, chiare, comprensibili. E azioni coerenti con queste parole.

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Come più volte portato in evidenza da questo giornale, i cruenti episo-

di di violenza razzista e xenofoba diretti contro soggetti immigrati seguiti negli ultimi mesi in Italia mostrano diretta-mente il lato più drammatico degli effet-ti della disgregazione dei legami sociali in atto in quest’epoca di crisi economica e di incertezza per il futuro. E’ sufficien-te però affinare lo sguardo critico alla ri-cerca delle cause reali del fenomeno per individuare quali siano le responsabili-tà politiche derivate direttamente dalle iniziative istituzionali adottate nella gestione dei processi di mutamento so-ciale in corso. Un aiuto per incamminarci lungo la strada nel senso qui proposto ci viene dato dal Rapporto sulla situazione italia-na della Commissione per i diritti uma-ni del Consiglio europeo, pubblicato lo scorso 16 aprile. Dure le condanne nei confronti delle autorità italiane in merito all’inefficacia nell’attuazione delle leggi anti-discrimi-nazione, al mancato rispetto delle prati-che di accoglienza dei richiedenti asilo e alle condizioni disumane nei centri di identificazione ed espulsione.Ma a destare maggior preoccupazione negli osservatori internazionali sem-bra essere il contenuto e gli effetti del pacchetto sicurezza, varato a luglio del 2008 e successivamente sottoposto ad emendamenti, al fine di “contrastare fenomeni di illegalità diffusa collegati all’immigrazione illegale e alla crimina-lità organizzata”.Senza mezzi termini il provvedimento legislativo viene definito nella relazio-ne un “dispositivo di criminalizzazione dell’immigrazione irregolare inconcilia-bile con gli standard legali internazio-

nali e con diverse sentenze della Corte europea dei diritti umani” e ancora “ misura sproporzionata rispetto agli inte-ressi legittimi di uno stato a tenere sotto controllo i propri confini”.Quale sia il vero scopo di tale provvedi-mento lo dicono le parole, irresponsa-bilmente amplificate dai media, dei suoi stessi promotori. Alleggerite dal carico retorico che mira ad alterare la perce-zione del rischio nella popolazione, mi-stificando o quantomeno semplifican-do la realtà, suonano in sintonia con l’obbiettivo di instaurazione di un clima di paura e diffidenza collettiva da cui deriva la stigmatizzazione istituzionale dello status di straniero irregolare, indi-zio di una gravissima deriva del nostro ordinamento penale. La sua condizione di sans papiers e di vita ai margini della società, già di per se problematica, viene assunta nel nostro ordinamento come elemento discriminante della suo dirit-to ad una libera esistenza. Va ad aggiun-gersi, in pieno contrasto con i principi della Carta Costituzionale, alle sempre nuove disuguaglianze e ai già numero-sissimi ostacoli che impediscono la sua realizzazione come persona. Come per qualunque essere umano che viva in uno stato che pretende di definirsi de-mocratico non possono essere conce-piti trattamenti di tipo repressivo quali quello della caccia all’uomo, della ghet-tizzazione e dell’espulsione. Risultano chiare a questo punto la logica e la stra-tegia politica sottesa all’emanazione del pacchetto sicurezza. Individuare il capro espiatorio per giustificare e legittimare un estensione massiccia del controllo, la proliferazione di nuovi centri di potere giudiziali e il rafforzamento degli stes-si, una gerarchizzazione e una sistema-

di Pietro Potenza

tizzazione delle varie componenti della società. A partire da un vero e proprio “ingabbiamento” disciplinare della po-polazione migrante, l’irrigidimento delle libertà di manovra di chiunque ri-schiano di rimanere irrimediabilmente compromesse. La lontananza del percorso intrapreso dal governo rispetto alle linee direttive sui programmi di integrazione e pro-mozione delle pari opportunità indicate dagli organismi comunitari appare dun-que incolmabile. Ma ancor più profon-do rischia di diventare il vuoto apertosi nell’esperienza quotidiana del vivere comune delle persone che si trovano ad affrontare innumerevoli sfide per la so-stenibilità di una convivenza che possa definirsi civile. Di fatto, la drasticità del-le misure adottate sta provocando danni che solo dopo una ferma e decisa op-posizione che ne limiti gli effetti, richie-deranno un lungo e paziente lavoro di risanamento. Un lavoro che richiederà uno sforzo immane da parte di tutti per il riconoscimento, la difesa e la promo-zione del diritto alla mobilità; parola dai molti significati ma che ben esprime la necessità di superare le barriere poste da un cieco nazionalismo che ha ormai fatto la sua storia.

Mobilità senza confini

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“Senza giustizia, che cosa sarebbero in realtà i regni, se non bande di ladroni?E che cosa le bande di ladroni, se non piccoli regni? Anche una banda di ladroni è, infatti, un’associazione di uomini, nella quale c’è un capo che comanda, nella quale è riconosciuto un patto sociale e la divisione del bottino è regolata secondo convenzioni primieramente accordate. Se questa associazione di malfattori cresce fino al punto da occupare un paese e stabilisce in esso la sua propria sede, essa sottomette popoli e città e si arroga apertamente il titolo di regno, titolo che le è assegnato non dalla rinuncia alla cupidigia, ma dalla conquista dell’impunità.” Agostino, De civitate Dei

Son passati quasi tre mesi da quando il Consiglio dei Mi-nistri ha dato il via libera al disegno di legge di riforma

del processo penale. Come sempre più spesso accade ormai in un paese in cui l’opinione pubblica sembra essersi com-pletamente omologata ai vari siparietti televisivi di partito, nessun dibattito è stato affrontato al riguardo dagli organi di informazione, forse troppo occupati da problemi di cronaca nera o da emergenze create ad hoc per nascondere le vere, allarmanti trasformazioni che stanno infliggendo all’ordine democratico italiano. E così ancora una volta non è stata data la possibilità ai cittadini comuni, quelli che non sono addetti ai lavori, di comprendere il significato dei provvedimenti ap-provati e gli effetti che questi avranno in concreto. Vorrei qui soffermarmi in particolare sugli articoli 3, 5 e 7 del suddetto disegno di legge, riguardanti i rapporti di potere tra il pubbli-co ministero e la polizia giudiziaria. Si legge che: il pm “non potrà più prendere cognizione diretta delle notizie di reato. Si limiterà a riceverle dalla polizia giudiziaria”, dato che, salvo casi particolari, sarà proprio la polizia giudiziaria a “svolgere le indagini e a relazionare al pm entro sei mesi”. In tal modo la pg “godrà di maggior autonomia, così da poter compiere tutti gli atti urgenti anche dopo che il pm ha assunto la dire-zione delle indagini e svolgere di iniziativa ogni attività ne-cessaria ad accertare reati”. Cerchiamo di capire il significato di questi articoli. Se fino ad ora la polizia giudiziaria doveva rispondere alle disposizioni investigative della magistratura, con questa riforma verrebbero ampliati i poteri della prima, riducendo drasticamente quelli della magistratura. La polizia potrebbe d’ora in poi fare indagini a prescindere dal parere dei magistrati, esercitando così il proprio potere senza alcun controllo. Ed è proprio qui il nodo cruciale della riforma: vo-gliono privarci dell’unica protezione di cui disponiamo come cittadini nei confronti delle ingerenze e degli abusi di potere da parte degli organi di polizia, cioè il lavoro di coordinamen-to del pubblico ministero nei riguardi delle azioni investigati-

ve della polizia. Va sottolineato inoltre che mentre il pm è un soggetto laureato e competente per l’applicazione della legge, i soggetti che d’ora innanzi avrebbero nelle loro mani la pos-sibilità di indagare senza alcun controllo, cioè gli ufficiali e gli agenti della polizia giudiziaria, non posseggono tali requisiti di competenza. Per non parlare, e penso qui soprattutto ad eventuali indagini a carico di esponenti politici, al grado di corruttibilità e di manipolazione politica dei soggetti in que-stione, sia per una questione prettamente salariale (un poli-ziotto che occupa un posto dirigenziale prende circa la metà dello stipendio di un Pm), sia perché verrebbero limitati i po-teri di un ordine per definizione autonomo e indipendente da ogni altro potere, la magistratura, per accrescere quelli di una forza dipendente al contrario dal governo in carica tramite il Ministro dell’Interno. Lo scenario che ci si prospetta è quello di uno Stato nel quale, sotto silenzio, le forze dell’ordine, che fino a priva contraria rappresentano la parte militare del pae-se, stanno acquisendo sempre più potere rispetto agli organi che dovrebbero mediare le loro funzioni. E se pensiamo che il premier Berlusconi ha dichiarato che la riforma del processo penale “sarà completa quando sarà impossibile fare un pro-cesso di secondo grado a chi è stato assolto in primo grado”, sottolineando la necessità di una riforma della Costituzione, ci renderemo conto di quanto attuali siano le parole pronun-ciate quasi sessanta anni fa da Piero Calamandrei. Un Padre Costituente che, dopo aver vissuto sulla propria pelle gli orrori del fascismo italiano, metteva in guardia le nuove generazioni dai pericoli futuri, immaginando un “ totalitarismo subdolo, indiretto, torbido, come certe polmoniti torbide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime…”, un partito che, senza voler fare la marcia su Roma, “vuol istituire, senza pare-re, una larvata dittatura”. La domanda che vi pongo è, siamo in grado di farci carico della sfida che queste parole venute da lontano ci lanciano? Credo che non abbiamo altra scelta.

di Giulia Utimpergher

una larvata

DITTATURA

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Il primo aprile è accaduto un fatto molto grave nella nostra città. Nicolò e Tommaso, due fratelli veneziani di S.Marta

, vengono fermati da una pattuglia della polizia per un con-trollo documenti a pochi passi da Campo Santa Margherita. Senza aver commesso alcun reato vengono entrambi arrestati e portati in centrale. Ne escono in ambulanza, dopo esser stati picchiati, ammanettati ed insultati per ore. Prognosi di circa venticinque giorni per Tommaso, con due costole rotte, un ematoma ad un testicolo, echimosi su varie parti del corpo, labbro tumefatto ed occhio nero. Oltre all’estrema gravità del fatto, costituita dalle violenze fisi-che subite dai due ragazzi, si aggiungono altri aspetti che fan-no, di tale vicenda, una questione particolarmente delicata.In primis è necessario analizzare il comportamento della stam-pa locale. I maggiori quotidiani locali “raccontano” una storia completamente differente e basata non sulla realtà oggettiva dei fatti, derivata da una buona ricerca giornalistica, ma asse-gnando alla tesi diramata dalla polizia un carattere di verità assoluta ed inconfutabile. Secondo le forze dell’ordine, i due ragazzi, dopo esser stati ammanettati e portati in questura a S.Chiara, avrebbero causato delle lesioni gravi a 4 agenti di polizia , del tutto ben equipaggiati. Questa diventa , secondo gli organi di stampa, la realtà. Basta che pensiate a due fratelli, entrambi di esile corpora-tura, con le manette ai polsi , che in un luogo “appartato”, “nascosto” e “poco sorvegliato” come la questura, causino gravi lesioni a dei poliziotti , per capire l’assurdità di tale tesi. Nell’immaginario collettivo, invece, i due ragazzi vengono descritti come una coppia di spietati samurai ,colpevoli di aver lesionato gli agenti.La diffusione di questa tesi fa sì che la maggior parte della cittadinanza non venga a conoscenza della parte reale e più agghiacciante di questa vicenda, e quindi non possa com-prendere la gravità della violenza e degli illeciti commessi dal-

la polizia (arresto illegale, sequestro di persona, lesioni gravi, ingiurie, etc etc...). Per inquadrare l’importanza di diffondere la notizia in modo fedele alla realtà, è altresì interessante analizzare altri fatti simili accaduti nel nostro paese. Nei giorni scorsi sono stati arrestati due agenti della Polfer a Milano. Gli stessi agenti, il sei settembre, avevano portato in centrale un clochard di 58 anni, Giuseppe Turrisi, accusandolo di aver provocato una rissa di fronte alla stazione centrale e , poi, di esser stati da lui minacciati con un coltellino. L’uomo era uscito dal posto di polizia in barella, accusando forti dolori al petto. Giuseppe sarebbe morto qualche ora dopo. L’autopsia non lascia margini discrezionali: la vittima riporta evidenti segni da trauma sul corpo , in particolare una costola fratturata che gli aveva perforato la milza. Le indagini hanno permesso di ricostruire il pestaggio che ha causato la more del clochard e di formulare i due ordini di custodia cautelare emessi nei confronti dei poliziotti per omicidio volontario. In conclusione, non è possibile credere incondizionatamente alle notizie di alcuni organi di stampa, soprattutto quando questi riportano solo una parte di realtà, e per di più quella più farneticante. Ognuno di noi deve, nel suo piccolo, tentare di ricercare la verità dei fatti e di diffonderla il più possibile, quantomeno per permeare le notizie a senso unico della carta stampata. Mettere le persone in condizione di conoscere la realtà è fondamentale perchè queste possano sviluppare un pensiero critico, altrimenti viziato. Per quanto concerne il comportamento delle forze dell’or-dine, appare chiaro come tale organo, una volta garante dei diritti dei cittadini e pilastro dello stato di diritto, si sia tra-sformato in un organo punitivo e pericolosamente libero di agire in modo arbitrario, causando sofferenze e facendo della più becera violenza squadrista, il proprio ed unico metodo d’azione.

di Roberto Mazzuia

Ordine e Disciplina

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Le preoccupazioni inerenti all’estrema destra che cerca sem-pre più spazi, anche in città come Venezia, dichiaratamen-

te antifascista, si allargano con notevoli consensi anche su in-ternet: il caso in questione è quello di Facebook, dove Fiamma tricolore e Forza Nuova hanno fondato i loro gruppi in tutta Italia. Il fenomeno interessante è la creazione di nuove realtà che relativamente in pochi conoscono, se non dopo quanto accaduto a Roma recentemente, con il pestaggio a colpi di spranghe tricolori in Piazza Navona da parte di un gruppo di estremisti contro i ragazzi dell’Onda. Nel veneziano sono emersi gruppi come “Casa Pound e Blocco Studentesco”, che di giorno in giorno contano sempre più iscritti. I commenti lasciati sulle bacheche virtuali lasciano poco spazio ad inter-pretazioni: Ennio Carta scrive: “Spero di vedere qualche Babbo Natale impiccato sul campanile di San Marco, anzi speriamo siano in parecchi”. Preoccupante il fatto inoltre che i gestori di Facebook non abbiano preso provvedimenti, come accadu-to per violazioni di profilo sicuramente minore rispetto alle regole interne del social network. Tra i gruppi veneziani c’è sia quello di Fiamma Tricolore, che ha recentemente presentato le proprie candidature per le elezioni provinciali con l’inter-vento di Piero Puschiavo coordinatore regionale. Tra i gruppi più estremi c’è anche il gruppo “Forza Nuova Venezia”. Pro-prio in quest’ultimo c’è chi usa un vocabolario ben definito riconducibile al fascismo ma non solo: le parole come came-rata e Sieg Heil sono la normalità in un contesto che invece dovrebbe essere approfondito. Tra i candidati della Fiamma ci sono Marco Pinardi segretario provinciale della Fiamma e Roberto Quintavalle responsabile della sezione veneziana. Il gruppo della Fiamma Veneziana non ha un numero di iscritti alto, si parla di circa 20-30 persone, mentre Casa Pound o il gruppo di Blocco Studentesco superano i cento sostenito-ri. Tra i gruppi di destra presenti su Facebook ci sono anche Azione Giovani Mestre Venezia e Azione Studentesca Vene-zia. Proprio su Azione Giovani Mestre Venezia erano apparse fino a poco tempo fa immagini scansionate da un quaderno risalente al 1936: fasci littori, scritte “Dio, Duce, Patria” e al-tre dello stesso genere erano visionabili dentro il gruppo, an-che se sono recentemente state cancellate, forse per negare la propria memoria storica, per un gruppo che a breve confluirà tra le associazioni giovanili del neonato PDL. Tra i fondatori di questi gruppi, come quello di Blocco Studentesco e Casa Pound troviamo ragazzi molto giovani, nati tra il 1990 e il

1991, segnale importante: le nuove generazioni hanno tro-vato evidentemente modelli poco consoni ad uno stato che dovrebbe ripudiare il fascismo. Casa Pound Venezia per esem-pio esiste solo su internet, mentre le riunioni di ritrovo sono nella roccaforte di Verona. Venezia rimane per ora territorio ostile, come ha più volte dichiarato Quintavalle di Fiamma Tricolore, proprio per questo stanno cercando di intensificare le loro iniziative, che sono causa di forte tensione sociale a Ve-nezia come altrove. Ci si domanda il perché della non appli-cazione della Legge Mancino per i gruppi facebook fondati da Forza Nuova Verona: chiamare “Molotov sui Rom e Sinti” un gruppo sul popolare social network, oltre ad essere in palese violazione del regolamento interno è una vera e propria vio-lazione del codice penale. Tra il testo di spiegazione del grup-po si legge: “per chi odia veramente l’etnia rom, sinti, negri, ebrei, comunisti e gay deve iscriversi in questo gruppo perché siamo orgogliosamente nazifascisti e per l’Europa nazione e per lo stermino di suddette razze subumani già citate sopra!”. Quest’ultimo gruppo conta più di 600 iscritti ed è sicuramen-te un segnale che i segnali che arrivano anche attraverso la rete sono da guardare con attenzione, senza lasciarli al caso: perché se è più difficile ritrovarsi in centri di aggregazione, la rete abbatte ogni tipo di barriera logistica e diffonde idee di tutti i tipi, anche quelle certamente non previste dalle attuali normative italiane ed europee. Ci si domanda come Facebook abbia chiuso il profilo del consigliere comunale Alberto Maz-zonetto e non questo, visto che la legge Mancino all’articolo 1 paragrafo B sottolinea: è prevista la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Facebook è solo un piccolo esempio in realtà, i forum, i siti web, i blog, sono i nuovi mezzi di comunicazione anche per i gruppi di destra: quale sicurezza da contenuti che incitano all’odio del diverso riesce a garantire lo Stato? Per ora sembra che sia stato a dor-mire, o forse addormentato da una normalizzazione di queste frasi e idee sempre più sconcertanti. Roberto Fiore all’ultima riunione milanese di Forza Nuova aveva dichiarato: “Non ho visto saluti fascisti a nostro raduno”, mentre una foto dimo-stra il contrario e su questo fatto nessuno ha speso una parola, come mai?

di Nemico Pubblico

“Fasciobook”

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Nella storia le forme di dittatura, si sono sempre manife-state fondamentalmente in due modi; impadronendosi

del potere all’improvviso con la forza o abituando a poco a poco le persone a determinate “regole”, imposte tramite l’at-tuazione di diversi dispositivi. Il fascismo la più grave forma di regime avvenuta in Italia, prima di uscire allo scoperto ha agito per diverso tempo nell’ombra, una volta raggiunto un livello di consenso relativamente alto e dopo aver rimosso gli oppositori politici, si è presentato chiaramente come regime. Questo sistema di governo il nostro paese l’ha già vissuto, con-dannato e rifiutato, paradossalmente però sembra si stia ripro-ponendo, con altre modi, ma con finalità pressoché simili al passato. Per mantenere il potere una volta veniva incarcerato chi si opponeva, oggi si elimina il dissenso limitando in sva-riati modi la libertà personale degli individui. Il dispositivo principale che permette la formazione di questi fenomeni è il controllo. Questa dinamica per com’è intesa, è attuata da una minoranza di persone per controllare il resto della popo-lazione. Con il termine “controllo” s’intende tutto ciò che in violazione dei diritti dell’individuo nega in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo, del tutto o in parte, la libertà del con-trollato, oppure uniforma il suo modo di pensare o di agire, quando non vi è alcun atto illegittimo commesso dal soggetto esaminato. Esistono varie tipologie di controllo che si divido-no principalmente in: controllo fisico, controllo mentale e di sorveglianza. Il controllo fisico consiste nel limitare con dei mezzi materiali le possibilità di azione dei controllati e spesso si tramuta in arresto o tortura degli oppositori. Il controllo mentale invece consiste nell’uniformare la mente delle perso-ne all’ideologia del regime e renderla controllabile attraverso: la distorsione dell’informazione, la strumentalizzazione della paura, lo storpiamento del concetto di sicurezza e di giusti-zia. Per esempio: La manipolazione dell’informazione (ovvero omettere certe notizie, enfatizzarne altre o inventarne di sana

pianta per favorire chi governa), è una pratica essenziale per instaurare il controllo psicologico. Infatti, il cervello umano reagisce e pensa in base alle informazioni che trova nel suo ambiente, se l’ambiente è “contaminato”, il cervello non è in grado di capire realmente cosa succede ed è di conseguen-za controllato. Un altro tipo di controllo è la sorveglianza; questa consiste nell’acquisire tutte le informazioni disponibili sui soggetti controllati, osservando se il comportamento o il modo di pensare è conforme o meno al sistema. Le telecamere sono un chiaro esempio, nelle città è pieno di questi apparec-chi, ma non sono segnalati con grandi cartelli che affermano “attenzione malviventi, qui è tutto sorvegliato”, anzi spesso non c’è nemmeno L’informativa, quindi la videosorveglianza urbana non è un deterrente ma un sistema di controllo. Altri dispositivi di sorveglianza sono il tracciamento automatico della posizione di tutti i telefonini. Il solito concetto della “scatola nera” che registra per una memoria futura, non è al-tro che una scusa o strumentalizzazione per giustificare un’in-tercettazione di massa senza permessi di uno o più magistrati, quindi abusiva, ma legalizzata per consentire a una “casta” di acquisire informazioni e profilare tutti indiscriminatamente. Spesso c’è chi confonde volutamente il controllo con la sicu-rezza facendo così il suo business, vendendo o comprando apparecchiature sempre più complicate per il tecno controllo. Sono sempre di più i sistemi di sorveglianza muniti d’intelli-genza artificiale o sensori particolari, tutto sta a come sono utilizzati, anche se certi tipi di sistemi sono palesemente di controllo. Questa confusione può capitare con le forze dell’or-dine principalmente attraverso due situazioni: La prima è la “sindrome del segugio” che consiste nel bisogno subconscio di provare assolutamente che tizio sia colpevole di qualcosa, e quindi si eseguono intercettazioni a tappeto. La seconda è semplicemente il bisogno di strumenti d’indagine sempre più elevati, ma come ogni cosa, se non c’è un limite si arriva al

controllati

CONTROLLABILI

di Enrico Mirbeni

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controllo pervasivo e inutile, anche per l’indagine stessa. In quest’ultimo caso si può arrivare a dei costi elevati per arrivare a risultati minimi o nulli. Il controllo non è spesso riconosci-bile, il suo impatto e la sua presenza sono diversi da quanto si tende a credere (esiste più di quanto si creda ed è efficace meno di quanto si pensi). Le molte metodologie riconducibi-li al controllo mentale sono riconoscibili nell’ignoranza (che non vuol dire stupidità) ma che assieme alla disinformazio-ne può cambiare o limitare le scelte degli individui. Questa è una pratica usatissima non solo dal business e dalle fregature in senso stretto, ma da tutte le micro ingiustizie quotidiane. Un’altra pratica diffusa è la normalità: ossia convincere le persone che una determinata circostanza è normale, capita a tutti, è diffusa e perciò è giusta, quando in realtà non lo è per niente. Forse la più potente e meno visibile è l’abitudine; che consiste appunto nel abituare la massa, con cambiamenti mi-nimi ad accettare modifiche radicali anche per le più innocue

azioni quotidiane. In questo modo si possono fare dei grossi scon-volgimenti, gli stessi che non si potrebbero fare in un momento solo, perché l’opinione pubblica di colpo non li accettereb-be. La strumenta-lizzazione attra-verso il controllo dell’informazione o attraverso la fo-mentazione di casi specifici, può crea-re i presupposti per imporre delle scelte senza che la popolazione se ne accorga o si opponga. Tutti questi casi, e molti altri simili, hanno in re-altà un fondamento che si annida nella struttura del pensiero umano e soprattutto nei suoi errori tipici. Bisognerebbe vede-re la mente umana come un sistema raggirabile, basta pensare a una sorta di “Human Cracking”, chi mira al controllo cerca di prendere una posizione di potere e instaurare una dittatu-ra. Attraverso il controllo dell’informazione si può controllare l’opinione pubblica, secondo una statistica dell’osservatorio permanente contenuti multimediali ACNielsen, più della metà della popolazione non usa internet: il 31% guarda solo la TV, uno “zoccolo duro inerziale” costituito da persone con bassa propensione alla cultura. Ora considerando che in una moderna democrazia (come dovrebbe essere la nostra peni-sola), la popolazione attinge le sue informazioni dai media e

sulla base delle quali decide il proprio voto, se i media sono controllati, la popolazione non è in grado di decidere e il si-stema “democrazia” è controllato a sua volta. Peggio ancora se nel parlamento ci sono delle persone controllate o corrotte che attingono all’informazione manipolata. In una situazione del genere altro che sicurezza individuale, qui c’è in ballo la sicurezza dell’intera nazione. Per raggirare il controllo sull’in-formazione, il rimedio è acquisire notizie dalla carta stampata autonoma o indipendente, oppure consultare internet che, per il momento gode ancora di un certo margine di libertà. Anche se in Italia come in altri paesi autoritari, si sta cercan-do con vari stratagemmi di censurare la rete e renderla cen-tralizzata (come se ci fosse un “Ministero della verità”). Per difendersi invece da queste preoccupanti derive governative forse è necessario andare anche oltre questi mezzi, altrimenti quello che è stato un orribile film, potrebbe essere riproposto, in modo nuovo ma non per questo meno pericoloso. Vedere

il controllo in questa forma può sembrare strano o esagerato, ma se non diamo per scontato tutto ciò che facciamo o pen-siamo, come ci spieghiamo il “fenomeno Italia” con i suoi condannati in parlamento e tutto il resto?

Viene più facile pensare all’esagerazione e nascondere la testa sotto la sabbia, ma questo non è altro che un altro strumento di controllo.

Quindi la paranoia è una virtù, senza paura ed esagerazioni.

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L’ angolo del

FUMETTO di Corrado e Alicia

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NOSTALGICO

Rimembri tu il tempo in cui eri pugnace?Rimembri le nefande imprese di cui eri capace?Rimembri gl’agrari che ti riempivano d’oro?Rimembri i padroni che ti ordinavano Di sfasciare le camere del lavoro?

Gridavi che che la patria era allo straniero asservitaMa ad un imbianchino l’hai data in svenditaRancoroso additavi i lavoratori incazzatiImpaurito li avevi ferocemente bastonati

Sei stato feroce con i deboliServizievole con chi aveva i muscoliTimoroso contro chi ti combattevaVendicativo contro chi non si piegava

Nell’orbace e negl’orpelli ti pavoneggiaviNei cerchi di fuoco saltaviLa guerra lampo dell’Unno esultaviMa ai figli d’Italia la preparazione non daviE al massacro li mandavi

Finito il grande massacro Hai dovuto trovare un altro lavoroHai nostalgia dei bei tempi in cui i treni arrivavano in orarioCosì non dovevi ammazzare fuori orario

Hai barattato l’orbace per la giacca e la cravattaUrli di averlo duro nella tua pattaAssieme ai manganelli usi i contratti a progettoLa nostra precarietà è diventata il tuo soggetto

Ti prudono le maniLa sera esci con la mazza in mano e l’anfibio in mostraTi prepari alla giostraIl punk, l’immigrato e la femministaSono sulla tua listaEsulti se picchi un rastaNon ti fermi se grida basta

Sei sempre la solita carognaPuoi cambiare pelle, puoi essere seducenteMa non avrai pa nostra pelle resistenteNon farti illusioni perchéTi sbatteremo nella tua fogna

IL NOSTALGICOdi Jason Benjamin Grelli

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Correva l’anno 1996. Quando nel suo discorso di insediamento a Montecitorio, aveva detto:

“Dobbiamo capire i vinti di Salo’ “, era scoppiata la polemica: grazie dai repubblichini, proteste dai partigiani. Violante poi ha provato a spiegarsi di nuovo: “Mi sono chiesto se l’ Italia di oggi non debba cominciare a riflettere sui motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salo’ e non dalla parte dei diritti e della libertà. Non va distinta la loro responsabilità da quella di chi consapevolmente tradì il nostro Paese consegnandolo all’esercito di Hitler?”Da questa frase , che non era niente di più che una considerazione, la Destra ha costruito la sua campagna per l’equiparazione dei repubblichini ai partigiani. Ogni anno con l’avvicinarsi del 25 aprile si prova sempre a rivisitare il passato cercando di dargli sempre più una connotazione politica che se per i repubblichini, soprattutto dei piani alti, può starci , per i partigiani non ha motivo di esistere. Dire infatti, come ha affermato La Russa solo martedì a Ballarò, che i partigiani cercavano di soverchiare la dittatura fascista per instaurarne una rossa è compiere un vero e proprio atto di revisionismo storico. Questo esempio è solo uno dei tanti che dimostrano come grazie a numerosi anni di informazione pilotata e volutamente travisante la realtà sia possibile reinterpretare anche gli eventi storici più drammatici. Figuriamoci quelli attuali, insignificanti per i più. Purtroppo la possibilità di controllare l’informazione permette non solo di tenere allo scuro le persone da fatti importanti, ma addirittura di dare una lettura diametralmente opposta e contrastante della verità. Quest’ultima, infatti, è per definizione una e unica, e deve sempre essere tenuta ben distinta da qualsivoglia opinione soggettiva. E’ la stessa filosofia greca a separare i due concetti nei termini di alethéia (verità) e dòxa (opinione); solo tramite il primo, però, è possibile sviluppare un pensiero critico sulla realtà dei fatti. La società attuale,invece, bombardata dai mass media con verità apparentemente

importanti, non può che sviluppare opinioni critiche completamente deviate e manipolate. La ricerca e conquista di una verità genuina, che non sia filtrata, viene vista dai potenti come una minaccia da evitare in quanto potrebbe portare a un risveglio delle coscienze critiche imbrigliate, finora senza troppa fatica, da ignoranza indotta, da una cultura dell’individualismo sfrenato e da una riscrittura sistematica e quotidiana di ciò che accade: e così sono stati epurati Biagi, Luttazzi, Santoro, Vauro, Guzzanti ecc.. per far posto a programmi culturali quali Ballando con le Stelle, Lucignolo, Voyager, Porta a Porta e reality vari. Non raccontiamocela. La stampa e l’informazione in generale in Italia non sono libere. Troppo spesso ci si dimentica dei valori attorno ai quali è strutturata la nostra Costituzione. Valori come il pluralismo, la libertà di espressione e quella di associazione, devono essere sempre conformi agli altri principi ispiratori della costituente, come quelli riguardanti la solidarietà e l’antifascismo. Anche nella valutazione di episodi storici (la resistenza) e non (ronde squadriste quotidiane) non ci si può convenientemente dimenticare dei principi fondanti che, da soli, ci darebbero una chiave di lettura sicuramente più veritiera di quella fornitaci dagli organi di “imposizione”. Così facendo sarebbe scontato condannare atti neonazisti e neofascisti in quanto contrari alla Costituzione; additare come razzisti taluni comportamenti messi in atto anche dalle istituzioni; infine, negare il diritto di parola, espressione e associazione a quei gruppetti dell’estrema destra che fanno dell’intolleranza e della violenza i loro tratti distintivi di cui andare fieri. Perché se è vero che siamo in democrazia è anche vero che quest’ultima ha dei principi da rispettare e se per di più la nostra repubblica, sempre meno democratica, si fonda sulla costituzione questa dovrà pur avere un qualche valore. Il concetto di democrazia, infatti, di per sé non garantisce nè l’effettiva conformità dei provvedimenti da essa emanati con il dettato costituzionale né la legittimità degli stessi.

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