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ANNO I, NUMERO III - Marzo 2016 Politica&Attualità Libera LINKiostro, pag. 04 "Roma non si svende": cittadini in difesa del patrimonio pubblico, pag. 06 Verità e giustizia per Giulio Regeni, pag. 08 Raccontare con le parole e con le immagini: breve storia di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin, pag. 10 Fracking e violazioni dei diritti umani in America Latina, pag. 11 Referendum del 17 Aprile: cosa è e cosa non è, pag. 12 Primarie USA: corsa alle presidenzia- li, pag. 14 L'Europa sottovaluta la crisi umani- taria, pag. 16 Link in Rete Verso il 17 aprile, pag. 18 Accesso all'insegnamento: novità e criticità, pag. 20 Scienza Segnali dal passato attraverso lo spa- zio-tempo, pag. 22 Una nuova finestra per l'astronomia: le onde gravitazionali per l'esplora- zione dei misteri dell'universo pag.24 Conferenza di Parigi: un accordo per il clima, pag. 28 Cultura Un panino con la cultura. Perché non riusciamo a comunicare il nostro patrimonio? pag. 29 Comunicazione: virtuale o reale? pag. 31 Il teatro che ridona la vita, pag. 33 Tutti quanti voglion fare Jazz, pag. 34 La grazia del pittore singularissimo, pag. 36 Recensioni Quella casa nel bosco, pag. 38 Sport Obrigado, Ayrton!, pag. 40 Scintille Che luna gira a... Marzo, pag. 42 Squilibrio perfetto - puntata 03, pag. 43 Oroscopo, pag. 50 Quelli che verranno dopo di me Editoriale pag. 02

LINKiostro - Marzo 2016 - Anno I, Numero III

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Quelli che verranno dopo di me

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Page 1: LINKiostro - Marzo 2016 - Anno I, Numero III

ANNO I, NUMERO III - Marzo 2016

Politica&AttualitàLibera LINKiostro, pag. 04

"Roma non si svende": cittadini in difesa del patrimonio pubblico, pag. 06

Verità e giustizia per Giulio Regeni, pag. 08

Raccontare con le parole e con le immagini: breve storia di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin, pag. 10

Fracking e violazioni dei diritti umani in America Latina, pag. 11

Referendum del 17 Aprile: cosa è e cosa non è, pag. 12

Primarie USA: corsa alle presidenzia-li, pag. 14

L'Europa sottovaluta la crisi umani-taria, pag. 16

Link in ReteVerso il 17 aprile, pag. 18

Accesso all'insegnamento: novità e criticità, pag. 20

ScienzaSegnali dal passato attraverso lo spa-zio-tempo, pag. 22

Una nuova finestra per l'astronomia: le onde gravitazionali per l'esplora-zione dei misteri dell'universo pag.24

Conferenza di Parigi: un accordo per il clima, pag. 28

CulturaUn panino con la cultura. Perché non riusciamo a comunicare il nostro patrimonio? pag. 29

Comunicazione: virtuale o reale? pag. 31

Il teatro che ridona la vita, pag. 33

Tutti quanti voglion fare Jazz, pag. 34

La grazia del pittore singularissimo, pag. 36

Recensioni Quella casa nel bosco, pag. 38

SportObrigado, Ayrton!, pag. 40

ScintilleChe luna gira a... Marzo, pag. 42 Squilibrio perfetto - puntata 03,pag. 43

Oroscopo, pag. 50

Quelli che verranno dopo di me

Editoriale pag. 02

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0202 Editoriale

Scrivere un editoriale non è mica facile. Se il giornale lo intendiamo come un pranzo in grande stile, dove le portate sono servite una dopo l'altra con precisione millimetri-ca, a cominciare dagli antipasti per arriva-re al dolce passando per i primi, i secondi, i contorni - e se va bene anche una discreta possibilità di scelta tra questo manicaretto e quell'altro, affinché nessun palato rimanga insoddisfatto - , allora l'editoriale può considerarsi come l'insegna della trat-toria.In un mondo come questo, dove si consu-ma velocemente e altrettanto velocemente si "sceglie", si "preferisce", ci si lancia e si sperimenta solo in base a chi riesce (bontà sua) a "vendersi" meglio, capite bene come sia difficile e ardimentoso il compito che mi è stato affidato. La fiducia è un bene estremamente prezioso, specie in questi tempi oscuri dove fidarsi significa molto spesso ricevere un sonoro calcio nel sedere (e mi son trattenuto, va da sé), ergo come fare per non tradirla e al contempo per non tradire ciò che si ha da dire? Si cerca di essere sinceri. Si prova a mettere in campo quello in cui si crede e quello che si sente. E se davvero non saremo piaciuti, se qual-cuno avremo deluso, si passerà avanti e si dimenticherà. Come sempre.

Ai ragazzi non viene dato molto credito. Nell'ambito artistico, ad esempio, se da un lato assistiamo al declino di contenuti e all'apparente deserto che si mostra a chi prova a dare un'occhiata alle nuove leve, dall'altro constatiamo anche un credito

molto basso per i giovani (bisognerebbe scrivere un trattato su questo termine e sul modo di intenderlo, ma lo utilizzerò nel suo senso più letterale) che provano ad esprimersi. Allo stesso modo nella politi-ca, nel mondo della ricerca, del sociale, in ogni ambito lavorativo, la paura che colpi-sce le poltrone è proprio quella di affidare ai ragazzi una parte del timone.C'è da fare autocritica: il mondo è pieno di idioti e probabilmente una buona fetta di costoro alberga proprio in una certa fascia d'età. Ciò non toglie che io, invece, alle risorse fresche dei "giovani" ci abbia sempre creduto moltissimo. Prova ne è questo giornale che stringete tra le mani (son pixel ma usiamo un po' di fantasia, accidenti!), frutto di una sinergia invidia-bile.Riunire intorno ad un tavolo ragazzi di età diverse, diverse provenienze culturali, diversi passati e con diversi sogni nei vari cassetti a disposizione, può apparire un compito faticoso. In questo caso, invece, è apparso a tutti noi molto naturale il mette-re in campo le rispettive competenze, i rispettivi interessi, le rispettive battaglie ed i propri personalissimi ideali per riem-pire un contenitore con tutto quello che ai giovani va molto, va poco e, ovviamente, non va affatto. Sarebbe molto semplice, per chi legge, chiedersi: <<Cos'avete voi di diverso?>>; e la risposta più disarmante di tutte sarebbe: assolutamente niente. Nulla di più, nulla di meno. Di giornali universitari come questo ne esistono a bizzeffe in ogni

Quelli che verranno dopo di me

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0303 angolo del globo. La meraviglia però non è nel numero o nella diffusione, ma proprio nel giornale in sé. L'idea di potersi ancora riunire, di stare ore intorno ad un tavolo per lanciarsi in discussioni animate, di non star lì a pensare a quale nuovo prodot-to sintetico calarsi giù per la gola ma piut-tosto di cosa valga la pena informare il let-tore, di cosa si possa parlare e approfondi-re, di cosa si senta il dovere di non far dimenticare, rende un manipolo di giovani sempre e comunque meritevole di atten-zione. Il risultato, poi, può essere più o meno di vostro gradimento. Il pubblico è sovrano (purtroppo). Ma c'è di buono che tutti quelli che qui hanno impegnato la loro penna, il loro pensiero, il loro tempo e le loro energie, sono i rappresentanti di quelle generazioni bistrattate a cui vengo-no chiuse in faccia le porte nella migliore delle ipotesi.E poi, lasciatemelo dire, la parola. Che concetto altisonante! Che meravigliosa invenzione! Che bellezza incredibile, la parola! Da quella scritta a quella parlata a quella solamente pensata, la parola è un collegamento sicuro verso una resistenza importante: che è quella del pensiero. E infatti, chi pensa poco vira inevitabilmente verso la violenza. Su questo non mi dilun-gherò; i movimenti di destra sanno benis-simo di cosa parlo, potreste chiedere a loro un approfondimento in materia. Spenderò, invece, ancora qualche parola sulla parola stessa. Sulla lettura. Ecco un altro tasto dolente: si legge poco. Ci si informa poco e di conseguenza si è sempre più soggetti a terremoti culturali di tutti i tipi. Ma se è vero che poco si legge (e lo è), è anche vero che poco si scrive. E male. Scrivere è il massimo atto di fede che un

laico possa pronunciare. È la speranza che l'inchiostro, poco importa se vero o virtua-le che sia, serva a tracciare un cammino da chi lo usa a chi lo codifica. È il coraggio di spendersi per le proprie idee anche se si lascia una traccia visibile ed anzi: soprat-tutto per quello. Scrivere è raccoglimento, ricerca, sforzo, fatica, isolamento, ma è anche uno dei pochi metodi efficaci per aprire la scatola cranica e spiattellare la mercanzia sul banco del mercato, proprio accanto al pesce; è sporcarsi le mani, è assumersi una profonda responsabilità.Ecco, io credo che tutti quelli che in questo giornale verranno dopo di me, cioè gli autori degli articoli che mi auguro leggere-te con lo stesso gusto col quale sono sicuro siano stati scritti, siano uno per uno dei coraggiosi capaci di prendersi la responsa-bilità della parola scritta, che è la più sacra, la più importante, la più difficile. Che loro parlino di musica, di migranti e migrazio-ni, di energie rinnovabili, di teatro, di mafie, di trivelle, di altri giovani che non hanno più la fortuna di essere vivi, metto-no in gioco non solo il loro pensiero, ma anche la loro capacità di trovarsi soli con un foglio bianco davanti.Un foglio bianco può essere un'avventura meravigliosa o la più grande delle torture. È tutto un gioco, in fin dei conti, ma è anche giocando che si può sbattere mala-mente il muso. Questo i bambini lo sanno benissimo. È per questo che pretendono il migliore dei baci, quando si fanno la bua.

Luca Casamassima

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0404 Politica & Attualità

Dalla parte di Raffaele Cantone e Nicola Gratteri, di Roberto Saviano e Giovanni Tizian; dalla parte di Alessia Candito, Pino Maniaci, di Michele Albanese e Arnaldo Capezzuto; dalla parte di Giuseppe Pignatone e Miche-le Prestipino, di Lirio Abbate e Nello Trocchia; dalla parte di Don Luigi Ciotti e Libera. Affinché non si diven-ga eroi solo dopo la morte, siamo dalla parte di tutti gli uomini e le donne che ogni giorno danno il loro piccolo ma fondamentale contributo contro la criminalità organizzata.Senza se e senza ma, siamo contro ogni forma di mafia; ma finché non si penserà ad una risposta al contempo collettiva e affermativa, non sarà pos-sibile pensare ad una vita libera in tutte le terre di mafia: da Gioiosa Jonica a Toronto, da Scampia a Zurigo, da Fondi a Duisburg. In questi mesi alcune mafie, in parti-colar modo la ‘ndrangheta, sembrano aver alzato il tiro nei loro territori contro magistrati, imprenditori e giornalisti. La camorra apre il nuovo anno con l’ennesima guerra di mafia, la Sacra Corona Unita si conferma un’organizzazione mafiosa feroce e aggressiva e, mentre ancora si tenta di comprendere il fenomeno mafioso o puramente corruttivo romano, già si assiste al rafforzamento dei Basilischi,

la formazione mafiosa lucana.Quest’anno più che mai, la XXI Gior-nata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie celebrata il 21 marzo, diviene necessaria come nel corso di essa la lettura dei nomi, troppo spesso dimenticati, di uomini donne e bam-bini massacrati dagli “omini” di mafia. Individui banali, questi ultimi, che quotidianamente s’incontrano per strada, nei supermercati, alle poste, all’università; individui che distruggo-no vite nei modi più barbari e, para-dossalmente, si considerano “uomini d’onore”, gridano vendetta contro le “persecuzioni” della magistratura.Orgogliosa di questi individui è la loro famiglia – barriera immunitaria per gli stessi nei casi specifici della formazio-ne ‘ndranghetista – anch’essa superfi-ciale poiché non riesce a notare la strumentalizzazione di ogni suo com-ponente. Il mafioso usa la donna per educare i figli ai propri valori senza aver alcun rispetto per gli stessi. Anche la filiazione è strumento nelle mani dei padrini: figli di sesso maschi-le implicano potere diretto e coman-do, mentre il sesso femminile consen-te la creazione o il consolidamento di alleanze. Poco importa l’orco a cui la propria figlia andrà in sposa: vitale è solo il potere.

Libera LINKiostro

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0505

Sangue. Piombo. Vigliaccheria. Diso-nore. Assenza di pensiero. Questo è mafia. Individui di tal genere non conoscono i concetti di “onore” e “rispetto”. Ne sono profondamente privi. Si percepi-scono forti e potenti perché vigliacchi e codardi, paurosi e balordi. Stolti in ogni loro veste, in ogni loro habitus. Battesimi, pungiutini, santini brucia-ti, nuovi linguaggi – come il “codice di San Luca” – ed usi e costumi propri. “Omini di merda”, sarebbe più corret-to dire, che dimostrano questa loro qualifica nelle proprie debolezze. Essi infatti non riescono ad accettare la parola ed il riso. Due elementi che, in modo totalitario, cercano di controlla-re e contenere attraverso il terrore – fisico e mentale – annientando ogni possibilità di libero mercato e costrin-gendo ogni individuo a cadere nella loro trappola. Non riescono ad accet-tare la donna come persona libera, consapevoli della grande potenzialità delle “fimmini”. Se la donna si ribella, parla e ride, tutto crolla. Di fronte al male estremo si deve pensare ad una cultura che non nasca dunque dalla negazione, ossia dal “contro” o dalla “anti” mafia, bensì ad una “conoscen-za altra”. Non una re-azione, ma un’azione conoscitiva libera. Questa è un’umile proposta di liber-azione. È necessario non far cadere nel baratro dei puri ricordi istituiti dallo stato, la “memoria” e l’ “impegno civile” contro

il crimine organizzato.LINKiostro, un semplice giornale stu-dentesco universitario definitosi “in-dipendente”, può contribuire a pro-durre un’azione che sia davvero libera attraverso due profonde armi del pen-siero: la parola e il riso. Le armi cultu-rali che più la mafia teme. Affianco alle forze dell’ordine non corrotte, dunque, alla magistratura ed ai gior-nalisti che quotidianamente fanno il proprio mestiere. Accanto agli im-prenditori che non si sottomettono alle mafie; accanto alle madri che cer-cano giorno per giorno di spiegare ai loro figli la propria terra dilaniata da questo cancro; accanto ai docenti che contribuiscono a formare una società fatta da persone e non da masse e indi-vidui atomizzati. Affianco a loro, ognuno deve dare il proprio piccolo contributo senza dele-gare, così deresponsabilizzandosi… Agiamo ridendo e parlando, pensando ad una azione ed agendo attraverso un pensiero: perché la mafia distrugge tutto, non crea nulla.

Andrea Carnì

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0606 Politica & Attualità

Il corteo del 19 Marzo 2016 dallo slogan “Roma non si svende” si è subito distinto per quello che rap-presentava: una festa. La festa di quella Roma che non si arrende ad essere una città in decadenza, per colpa di una classe dirigente che la governa da qualche decennio, senza il minimo senno e intenzionata ad arricchire sempre di più i potenti; e che ora cerca di rientrare del debito creato nelle casse comunali, di ripa-rare con la svendita totale al miglior offerente del patrimonio di tutte e tutti i cittadini.

Roma non è loro, “Roma non si svende”, appunto. Questo slogan ha unito decine di migliaia di persone in un soleggiato sabato pomeriggio, già primaverile, della capitale, per rivendicare la proprietà di quanto prima mal gestito, poi abbandonato e che ora si vuole gettare nella rendi-ta fondiaria del privato.Roma dimostra ancora una volta di essere capace di unirsi quando si cerca di approfittare della sua mo-mentanea debolezza.Anche questa volta la risposta ad una politica malata non è mancata:

“Roma non si svende”: cittadini in difesa del patrimonio pubblico

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anzi, è stata gridata forte proprio da piazza del Campidoglio, nella quale i manifestanti si sono radunati nume-rosi quando, dopo la partenza da piazza Vittorio, il passaggio per Piazza Esquilino e poi la discesa di via Cavour, ci si è trovati alla fine di via dei Fori Imperiali bloccati dalle forze dell’ordine poiché oltre non si poteva proseguire.La marcia allora ha continuato per la salita laterale del colle capitolino, per-correndo le celebri scalette e allora tutti insieme sotto quel palazzo di cui l’ultimo inquilino, il commissario Tronca, non è stato mai gradito. A lui e al prefetto Gabrielli era indirizzata la risposta di chi non vuole la repressio-ne del tutti contro tutti, degli uomini

contro, di chi si fa bello dietro il vuoto concetto di degrado.Cos’è il degrado? Una scritta sul muro sì, ma una scuola della periferia in dis-sesto no? Ma no, il problema della scuola periferica è l’eccessiva presenza degli “stranieri”, il pericolo che i nostri giovani perdano l’identità nazionale. A chi vuole lucrare sulle nostre spalle, a chi vuole chiudere i nostri luoghi di aggregazione sociale, sabato abbiamo dato una risposta netta, che certo non può e non deve venir ignorata. Se invece lo sarà, certo non si seppellirà l’ascia di guerra, perché è più forte la volontà di far capire che la città è di chi la vive..

M. P.

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0808 Politica & Attualità

Il 25 Febbraio scorso, ad un mese dalla sua scomparsa, per chiedere che emerga la verità sul caso di Giulio Regeni, giovane ricercatore friulano torturato ed assassinato a Il Cairo, CILD e Associazione Antigone hanno promosso un sit-in davanti all’amba-sciata egiziana a Roma, al quale hanno aderito numerose altre realtà – tra cui quella degli studenti universitari di Link Roma.Patrizio Gonnella, presidente di Anti-gone e CILD, ha detto: «Facciamo nostro l’appello di Amnesty Interna-tional Italia agli enti locali, alle univer-sità, ai luoghi di cultura e lo rilancia-mo chiedendo che, proprio ad un mese dalla scomparsa del giovane

ricercatore, espongano striscioni che chiedano a tutti l’impegno per avere la verità sulla morte di Giulio. Come società civile italiana vogliamo man-dare un segnale forte al governo egi-ziano. La morte di Giulio non può rimanere senza risposte».Sulla scomparsa di Giulio infatti non è ancora stata fatta chiarezza e il sentore è che non ci sia la volontà di indagare oltre, soprattutto da parte del Governo Italiano.

Ad oggi ciò che sappiamo è che il corpo di Giulio, trovato il 3 Febbraio nella periferia de Il Cairo, non restitui-sce l’immagine di una vittima di inci-dente stradale – ricostruzione avallata

Verità e giustizia per Giulio Regeni

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nei giorni passati dalle autorità egizia-ne di Al-Sisi – ma di un corpo massa-crato dalle torture.Secondo l’autopsia, infatti, Giulio sarebbe stato torturato, a più riprese, dal 25 Gennaio, quando è stato rapito a piazza Tahrir – giorno e luogo del quinto anniversario dalla rivoluzione del 2011 – nei pressi della sua abitazio-ne, sino al momento del decesso.

Giulio Regeni non era un attivista, stu-diava presso il Dipartimento di Studi Politici Internazionali dell’Università di Cambridge ed era specializzato in conflitti e processi di democratizza-zione. In Egitto viveva da pochi mesi per un dottorato di ricerca.Nei giorni precedenti aveva racconta-to via e-mail ad alcuni conoscenti di temere per la sua incolumità e di essere stato fotografato – non da un reporter, dice – giorni prima ad un’assemblea di sindacati indipen-denti, forse per essere schedato.Di quell’incontro aveva raccontato in un articolo in inglese ed in italiano – “In Egitto, la seconda vita dei sindacati indipendenti” – , inviato con uno pseudonimo al quotidiano “Il Manife-sto” ma pubblicato postumo, in cui scrive: «Al-Sisi ha ottenuto il controllo del parlamento con il più alto numero di poliziotti e militari della storia del Paese mentre l’Egitto è in coda a tutta le classifiche mondiali per rispetto della libertà di stampa. Eppure i sin-

dacati indipendenti non demordono. […] L’idea è quella di organizzare una serie di conferenze regionali che por-tino nel giro di pochi mesi ad una grande assemblea nazionale e possi-bilmente ad una manifestazione uni-taria di protesta […] In un contesto au-toritario e repressivo come quello dell’Egitto dell’ex-generale Al-Sisi, il semplice fatto che vi siano iniziative popolari e spontanee che rompono il muro della paura rappresenta di per sé una spinta importante per il cambia-mento.»

Sono ancora molti gli interrogativi sul caso Regeni. A maggior ragione conti-nueremo a chiedere verità e giustizia per Giulio, affinché il governo italiano si assuma le sue responsabilità sul caso e riconosca le atrocità che avven-gono sotto il governo di Al-Sisi e dai suoi apparati, anziché apprestarsi ad una nuova guerra in Libia al fianco delle autorità egiziane.

V.M.

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1010 Politica & Attualità

Raccontare con le parole e con le immagini: breve storia di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin

A Ilaria e Miran piace il loro mestiere di raccontare attraverso le parole e le immagini.È il 1994 quando decidono di raccon-tare qualcosa anche al di fuori della loro nazione, e non è la prima volta. Allora partono per la Somalia, desti-nazione Mogadiscio: passaporto, oc-chiali da sole, pochi bagagli, taccuini e telecamera. In Somalia c’è la guerra civile, e non solo: è ormai iniziata la missione ONU “Restor Hope” nel Corno d’Africa, lanciata dagli USA con l’appoggio di numerose nazioni allea-te (compresa l’Italia), ed il Paese è in quegli anni uno dei principali destina-tari dei traffici di armi e di rifiuti tossi-ci dall’Occidente.È il 20 Marzo 1994 quando Ilaria e Miran vengono trovati a bordo di una jeep, crivellati da colpi di kalashnikov nella zona nord della città di Mogadi-scio. Non sono arrivati da molto, eppure potrebbero già raccontare troppo. Inizia il calvario della menzo-gna e delle commissioni parlamentari di inchiesta: Ilaria e Miran sono morti fortuitamente, in seguito ad una rapina finita male, da parte di un com-mando somalo, o forse per rappresa-glia perché italiani. La verità è che Ilaria e Miran giungono il 22 Marzo a

Ciampino, i loro bagagli con i sigilli strappati, insieme ad una telecamera ormai inutilizzabile e due bloc notes bianchi, nessuna traccia delle cassette o dei taccuini pieni di appunti e numeri di telefono, e delle parole del sultano di Bosaso Abdullahi Mussa Bogor – intervistato pochi giorni prima dai due, probabilmente per ore – ci sono giunti solo pochi frammenti. Nessun collegamento con il traffico di armi e di rifiuti tossici che i due si sarebbero trovati a documentare, nel quale si ritroverebbero coinvolte anche personalità dell’economia ita-liana. Nessun collegamento con la morte, avvenuta quattro mesi prima, del sottufficiale dell’ex-SISMI Vincen-zo Li Causi, informatore della stessa Ilaria Alpi sul traffico illecito di scorie tossiche nello stato africano.Ilaria e Miran però non sono degli sconfitti e non sono eroi, ché la storia non ha bisogno di morti esemplari. Come loro, anche Regeni e tanti altri scompaiono in circostanze voluta-mente mai chiarite da parte dei gover-ni italiani. Per questo, infaticabilmen-te dobbiamo continuare a riempire taccuini ancora vuoti e a registrare mi-lioni di cassette.

V.M.

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Fratturazione idraulica (o fracking) è una parola difficile, e anche una contro-versa tecnica per l’estrazione di petrolio e di shale gas che consiste nel trivellare un terreno, raggiungere il giacimento ed infine provocare la frattura dello strato roccioso iniettandovi acqua e ad-ditivi chimici ad alte pressioni. Questa pratica estrattiva è economicamente ap-petibile (negli Stati Uniti, dove il fracking sta vivendo il suo boom, il prezzo del gas è di circa quattro volte più basso che in Europa), ma anche carica di effetti collaterali: grande con-sumo di acqua, sfruttamento intensivo di vasti territori (un pozzo di estrazione di shale gas occupa una superficie doppia rispetto ad uno tradizionale, e sua la produttività media è peraltro inferiore), inquinamento delle falde acquifere causato dall’immissione di liquidi tossici nel sottosuolo, drastico calo della qualità della vita nell’area interessata.Partito dagli Stati Uniti, il fracking si sta espandendo rapidamente in tutta l’America Latina (con Argentina e Mes-sico in testa), accompagnandosi a disa-stri ecologici e a sistematiche violazioni dei diritti umani. L’omicidio dell’attivi-sta honduregna Berta Cáceres – assassi-nata in Honduras ad inizio mese per

essersi ripetutamente schierata dalla parte degli indigeni e delle riserve natu-rali contro gli interessi delle compagnie minerarie e petrolifere – ha scosso l’opi-nione pubblica mondiale, ma è stato tutto fuorché un episodio isolato: dal 2010 al 2014 sono stati uccisi 101 difenso-ri dell’ambiente e del bene pubblico in Honduras; 454 in Brasile dal 2002 al 2014; 57 in Perù, 80 in Colombia e 45 in Messico negli stessi anni.Grazie al lavoro di un giornalista italia-no emigrato in Messico, Federico Ma-strogiovanni, si è iniziato a considerare il fenomeno della sparizione e della spa-rizione forzata in Messico (circa 27.000 dispersi dal 2006, secondo stime al ribasso) come parte di una «strategia del terrore» portata avanti dalle autori-tà statali per creare un clima di terrore, scoraggiando così i movimenti di prote-sta ai mega-progetti e piegando i citta-dini ad accettare passivamente lo sfrut-tamento di vaste porzioni del loro terri-torio, sempre più spesso cedute in con-cessione ad imprese statunitensi o canadesi. Non è forse un caso allora se il nord-est del Messico – area che ospita tra le maggiori riserve mondiali di shale gas – sia la zona in cui i casi di “desapa-rición forzada” si fanno più numerosi.

Marco Dell’Aguzzo

Fracking e violazioni dei diritti umani in America Latina

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1212 Politica & Attualità

È lunga la storia del referendum del 17 Aprile prossimo contro le trivellazioni in mare per l’estrazione di petrolio e gas dal fondale. Essa iniziò nel Set-tembre 2015, quando Possibile, il mo-vimento politico formato da Giuseppe “Pippo” Civati (fuoriuscito del Partito Democratico) promosse tra l’elettora-to una raccolta firme per ben otto refe-rendum, due dei quali avevano a che fare con la ricerca e lo sfruttamento di giacimenti sottomarini. La raccolta firme fallì però miseramente, ed il testimone passò allora alle regioni. Pressati da più di cento associazioni, dieci consigli regionali hanno presen-tato in cassazione il 27 Novembre scorso sei quesiti referendari. Poco dopo, da questo nutrito gruppo di regioni si ritirò l’Abruzzo, riducendo il numero dei consigli a nove. Il governo intervenne allora tramite una serie di modifiche alla legge di stabilità, che costrinsero la cassazione ad un riesa-me dei quesiti, che portò alla confer-ma, l’8 Gennaio 2016, di solo uno dei sei referendum originari.Veniamo ora al quesito sopravvissuto. Il referendum, fissato per la giornata di Domenica 17 Aprile 2016, chiederà all’elettorato se vuole che, allo scadere delle concessioni per i giacimenti in

attività nelle acque territoriali italia-ne, queste non vengano rinnovate. Il referendum riguarda quindi relativa-mente poche trivelle, tutte situate entro dodici miglia dalla costa italia-na, in un’area in cui è già impossibile per lo stato eseguire nuove trivellazio-ni. A questo punto l’elettorato comin-cia a dividersi in due fazioni, i favore-voli al SÌ (ovvero a bloccare il rinnovo delle concessioni) e quelli per il NO (cioè decisi a voler mantenere attive le trivelle). Dalla parte del SÌ troviamo numerose associazioni, come Legam-biente, Greenpeace, il WWF e il movi-mento No Triv, sostenute da diversi schieramenti politici, come il Movi-mento 5 Stelle, Sinistra Italiana, Possi-bile ed alcuni membri del Partito De-mocratico e delle formazioni di cen-tro-destra. Dalla parte del NO si schierano con tutto il loro peso la parte del PD più vicina alle direttive del premier Matteo Renzi e il comitato “Ottimisti e Razionali” di Gianfranco Borghini, ex-parlamentare PCI e PDS già famoso tra anni ‘80 e ‘90 per essere un nuclearista convinto.Quali sono le ragioni che segnano una tale spaccatura del Paese reale (e legale) in due blocchi? Vediamole insieme.

Referendum del 17 Aprile: cosa è e cosa non è

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Innanzitutto si parla del fabbisogno energetico che grava sulle spalle delle trivelle rientranti all’interno delle con-cessioni toccate dal referendum. Se-condo i calcoli sviluppati da Legam-biente sui dati del Ministero dello Svi-luppo Economico, le quantità di com-bustibili fossili la cui estrazione è sog-getta a referendum soddisfano solo circa l’1% del nostro fabbisogno petro-lifero e meno del 3% di quello di gas. I sostenitori del NO ritengono invece che i calcoli siano eccessivamente sog-gettivi e che si limitino a sottolineare che la produzione italiana di petrolio e gas copre in entrambi i casi più del 10% del nostro fabbisogno. A questo punto il dibattito si sposta quasi natu-ralmente sulla convenienza, o meno, dello stop alle trivelle.Per i sostenitori del SÌ la quantità irri-soria di gas e petrolio contenuta nei giacimenti vale il loro abbandono e il tentativo di premere sul governo affin-ché avvii politiche energetiche più sostenibili. Inoltre le società petrolife-re, dopo l'attività, sono tenute a versa-re alle casse dello stato il 7% del valore del petrolio e il 10% di quello del gas, percentuali irrisorie rispetto alle somme che vanno a gonfiare le loro tasche, aiutate anche da alcuni degli incentivi fiscali più favorevoli al mondo. Il tutto, se paragonato alle perdite causate all’industria turistica e a quella della pesca, renderebbe ovvia la scelta per il SÌ.

Gli “Ottimisti e Razionali” ribattono colpo su colpo, spiegando come l’industria estrattiva sia estremamente remunerativa per l’Italia, tanto che il contributo versato allo stato è pari a quasi 800 milioni di euro di tasse e 400 milioni di euro di royalties e con-cessioni. Inoltre l’attività delle trivelle soggette a referendum impiegherebbe 10.000 lavoratori, mentre non vi sarebbero prove tangibili di posti persi nel settore turistico a causa dell’inqu-inamento. Tra l’altro le rinnovabili avranno bisogno di una solida base di combustibili fossili per essere svilup-pate al meglio, e la necessità di suppli-re alle risorse non più prodotte in Italia aumenterebbe il numero di pe-troliere nei nostri porti.Ora, le ragioni politiche ed economi-che dietro le divisioni create dal refe-rendum, anche se non ancora spiegate in maniera esaustiva, possono già ap-parire più chiare. Ci troviamo di fronte al bivio: scegliere se continuare ad ap-poggiare le decennali politiche di svi-luppo legate ai combustibili fossili, supportate dalle grandi industrie e dalla paura dei ricatti energetici da parte dei produttori stranieri, o di por-tare un messaggio di cambiamento, che forse potrà stimolare il governo ad intraprendere un percorso nuovo, forse inizialmente duro, ma l’unico che potrebbe salvare questo pianeta.

Emanuele Papi

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1414 Politica & Attualità

Il 2016 è per Barack Obama l’ultimo anno nelle vesti di presidente degli Stati Uniti d’America. Il prossimo 20 Gennaio, infatti, si insedierà alla Casa Bianca il nuovo capo di stato america-no. Se in questo momento il presiden-te uscente sta cercando di rafforzare il proprio lascito politico, tra le fila dei due partiti Democratico e Repubblica-no ci si sta confrontando con le prima-rie, per poter scegliere chi saranno i rispettivi candidati alle presidenziali di Novembre. Tra i repubblicani ai nastri di partenza si sono presentati: il miliardario newyorkese Donald Trump, il senato-re federale dello stato del Texas Ted Cruz, il senatore federale della Florida Marco Rubio e il governatore dell’Ohio John Kasich. Per i democra-tici è invece sfida a tre fra l’ex Segreta-rio di Stato Hillary Clinton, il senatore dello stato del Vermont Bernie San-ders e l’ex Governatore del Maryland Martin O’Malley. Sin dalle prime vota-zioni, sono balzati in testa per i rispet-tivi partiti Donald Trump e Hillary Clinton.La corsa per la nomination tra le fila dei Repubblicani ha visto infatti un forte rafforzamento della figura del magnate di New York; caratterizzando la sua campagna con un forte conser-vatorismo, Trump è riuscito a guada-

gnare innumerevoli consensi a suon di “sparate” ed uscite non poco discutibi-li, cavalcando quell’onda di odio e vio-lenza venutasi a creare a causa del senso di paura e di mancanza di sicu-rezza della popolazione, largamente diffusi dopo 15 lunghi anni di lotta al terrorismo e 8 anni di crisi economica. Il programma di Trump include l’arre-sto e la deportazione di 11 milioni di immigrati illegali, la costruzione di un muro con il Messico, l’applicazione di tasse più alte sui prodotti cinesi, bom-bardamenti a tappeto dell’Isis, e il divieto d’ingresso negli Stati Uniti ai musulmani; o almeno risulta esser questo dai suoi comizi basati su un forte slancio populista senza alcuna base solida, come additato da molti. L’ascesa di Trump preoccupa, non solo la maggior parte della realtà politica mondiale, ma anche i piani alti del Partito Repubblicano. Nelle ultime settimane è venuta a crearsi infatti una spaccatura all’interno di esso, poiché in molti non vedono di buon occhio una possibile nomination alla presi-denza dell’imprenditore di New York, il quale più volte si è dimostrato lonta-no dai valori delle ideologie del partito pronunciando secondo molti delle vere e proprie eresie dal punto di vista repubblicano. Fra gli altri tre candida-ti, è noto l’appoggio al conservatore

Primarie USA: corsa alla presidenziali

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Ted Cruz da parte delle alte sfere dei repubblicani, specialmente in seguito al ritiro dell’altro candidato preferito Marco Rubio, il quale ha abbandonato in seguito alla sconfitta nel Mega Tue-sday (martedì 16 Marzo) in Florida, stato nel quale è eletto senatore. Tut-tavia potrebbe risultare una preferen-za inutile quella nei confronti di Cruz, poiché allo stato attuale è ben distac-cato da Trump, il quale proprio nel Mega Tuesday ha rafforzato ulterior-mente la propria posizione in seguito alla vittoria in 4 stati su 5. Molto lon-tano l’altro candidato John Kasich.Se nel Partito Repubblicano la situa-zione risulta maggiormente ingarbu-gliata, nel Partito Democratico le cose sembrano procedere in modo decisa-mente più conforme e unitario. Hil-lary Clinton è la prima candidata a conquistare la nomination per la pre-sidenza, con quasi il doppio dei dele-gati di vantaggio rispetto al suo diretto concorrente (e unico dopo il rapido ritiro di O’Malley) Bernie Sanders, il quale è stato staccato ulteriormente nell’ultimo scontro alle votazioni del 16 Marzo, alle quali è risultata vincitri-ce in 4 dei 5 stati in cui si è votato. La ex first lady (in quanto moglie dell’ex presidente Bill Clinton) gode della fiducia del partito e delle simpatie della maggior parte del mondo politi-co di stampo progressista. La sua cam-pagna è incentrata verso un maggior benessere per la classe media america-

na con l’abbattimento delle disugua-glianze economiche, un rafforzamen-to dei diritti delle donne, la regolariz-zazione degli immigrati senza docu-menti, la lotta alle discriminazioni verso gli omosessuali, riforme sulla questione delle armi e il consolida-mento delle alleanze internazionali. Un programma che può essere defini-to agli antipodi, rispetto a quello pro-posto dal suo probabile avversario alla corsa finale Donald Trump.Infatti, nonostante le primarie siano ancora in corso, le schermaglie tra i due proseguono già da tempo. Negli ultimi giorni, poi, la Clinton ha accu-sato Trump di far paura al mondo, cui l’avversario ha risposto con uno spot pubblicitario dove la sua rivale invece di parlare abbaia, come fosse un cane. Risposta certo di cattivo gusto, che ha scatenato le critiche dell’ala democra-tica. Tuttavia, al di là di ogni scontro, sarà la democrazia a decidere chi sarà il vincitore. Sperando nel buon senso.

Damiano Mascioni

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1616 Politica & Attualità

Da mesi la stabilità dell’Europa è in bilico a causa di numerosi muri e bar-riere di contenimento che Paesi come Ungheria, Austria, Slovenia, Serbia e Macedonia stanno erigendo. Le ondate di migranti che percorrono la “Rotta Balcanica” portano confusione non solo nella gestione dell’accoglienza, ma soprattutto nella ricerca di soluzioni, che a livello europeo si rivelano incon-cludenti.Il 7 marzo ha preso il via a Bruxelles un vertice tra Unione Europea e Turchia per trovare una volta per tutte la giusta soluzione all’odissea dei profughi. Una prima risoluzione del summit è stata concretizzata, e prevede lo stanzia-mento di ben 6 milioni alla nazione turca affinché accolga nel proprio terri-torio i rifugiati, già arrivati e ora bloc-cati sul confine tra Grecia e Macedonia. Il <<patto faustiano>>, come lo ha defi-nito Fabrizio Maronta, prevede inoltre l’utilizzo di mezzi turchi che, con l’aiu-to di Frontex e della Nato, pattuglieran-no il Mar Egeo pronti ad intervenire in caso di naufragi.Ma siamo sicuri noi di voler affidare migliaia di richiedenti asilo ad una na-zione che non tutela i diritti umani? Molto probabilmente il presidente Er-dogan vuole solo sottrarsi all’isolame-nto diplomatico ed aprire una coopera-zione con l’Europa, che ancora una

volta ha dimostrato la sua indifferenza verso la risoluzione di un problema di portata epocale. I leader europei vo-gliono superare questa crisi migratoria, ma solo a parole. Il presidente del con-siglio europeo Donald Tusk all’indo-mani del summit di Bruxelles afferma: <<L’ondata di immigrazione clandesti-na verso l’Europa è terminata>>. In realtà si è solo voltato le spalle ad un enigma troppo difficile da risolvere per l’Europa, che è straordinariamente cinica.Alexis Tsipras recentemente ha detto: <<Tutti insieme riusciremo, o tutti insieme falliremo>>; e come dargli torto? Il primo ministro greco chiama l’Europa ad una maggiore solidarietà e cooperazione, nient’altro. La Grecia sta vivendo una situazione difficile, soprattutto ad Indomeni, dove arriva-no ormai a migliaia i profughi che vo-gliono passare il confine. Sono circa 12.000 i migranti bloccati al confine che cercano vie alternative per fuggire, come ad esempio l’attraversamento di fiumi.Ma la Grecia non è l’unica a vivere queste realtà. Non possiamo non parla-re della “giungla” di Calais abbattuta dalle ruspe delle autorità francesi. I primi di Marzo il campo profughi è stato raso al suolo, ora restano solo ma-cerie e alberi spezzati.

L’Europa sottovaluta la crisi umanitaria

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Insomma l’Europa sta totalmente sot-tovalutando la crisi umanitaria dei mi-granti.Le numerose guerre civili che stanno travolgendo gli stati del Medioriente spingono le famiglie ad intraprendere questi interminabili viaggi senza spe-ranza. In un reportage fatto da Inter-nazionale e intitolato “The long jour-ney”, una famiglia parte da Kobane (nord della Siria) per provare a rag-giungere i Paesi Bassi; “provare” perché non si ha la certezza di rag-giungere la meta. Ciò che spinge questa donna ed il marito a scappare dal proprio Paese, che in realtà amano e in cui sperano di tornare in futuro, sono i figli: <<Se fossimo rimasti, lo stato islamico avrebbe ucciso i miei figli davanti ai miei occhi. È un bene che siano ancora molto piccoli e pro-babilmente ricorderanno poco di questo viaggio>>, dice la madre, por-tavoce della loro storia. Il viaggio co-mincia dunque a Kobane: da lì si parte per raggiungere Grecia, Macedonia, Serbia, Ungheria, Austria, Germania e Olanda (dove resteranno). Nelle im-magini girate a fianco di questa fami-glia colpisce la cooperazione tra sco-nosciuti, uomini che si proteggono a vicenda nei passaggi pericolosi, che escogitano tutti insieme delle strate-gie su come meglio attraversare punti noti per la presenza di saccheggiatori di tesori e vari altri criminali. È una solidarietà spontanea, quasi contagio-

sa.Una analoga tensione all’unione tra persone e popoli si prova osservando il lavoro fotografico di Valerio Vincenzo (2007) intitolato “Borderline, frontiers of peace”, realizzato durante un lungo viaggio in Europa. Con la guida di un semplice GPS l’artista è andato alla ricerca delle antiche frontiere, cancel-late nel 1985 dal trattato di Schengen. Le foto realizzate ritraggono scene che richiamano frontiere ormai invisibili nel mare, tra le montagne. Un lavoro potente all’insegna della pace tra Paesi che oggi invece sono in gara tra chi respinge più profughi al giorno e chi alza il muro più invalicabile.La crisi di Schengen provoca una ulte-riore disillusione rispetto alla solida-rietà dell’UE; e queste foto, nel giro di pochi anni, sono diventate solo un ricordo di quell’Europa che un tempo aveva voluto unirsi.

Carolina Bernardi

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1818 Link in Rete

Il referendum sulle trivelle del 17 Aprile 2016 sarà innanzi tutto la prima occasione, a pochi mesi dalla COP 21 di Parigi, per mettere in discussione le politiche adottate dal governo Renzi in materia di energia e sviluppo. Il quesito riguarda la cessazione della rinnovabilità dei permessi di prospe-zione o trivellazione di giacimenti di combustibili fossili entro le dodici miglia dalla costa. Il dibattito che ci troviamo però ad affrontare non riguarda solamente le trivelle nei nostri mari, ma può diventare la base di partenza per una rivoluzione nella nostra politica di sviluppo energetico ed economico.L'esempio della Val d’Agri in Basilicata basta a dimostrare quanto sia necessa-rio svincolarsi dalla dipendenza dai combustibili fossili per la produzione di energia. La valle è la più grande riserva petrolifera italiana, e nel tempo lo spostamento di ogni attività nell’orbita dell’industria estrattiva ha segnato l’abbandono di ogni altra idea di impresa e la devastazione ambien-tale di quel territorio, risultato di anni di sfruttamento. Risalta poi come i cit-tadini non abbiano avuto alcuna voce in capitolo in tutto questo processo, non avendo quindi modo d’opporsi alle aziende, come l’ENI, che si arric-chivano devastando l’area. L’esclusi-

one delle comunità dal dibattito è stata legittimata in maniera evidente e definitiva con il decreto Sblocca Italia: i processi decisionali sono stati cen-tralizzati, togliendo potere anche ad istituzioni pubbliche, come le Regio-ni, che si ritrovano a subire nell'imme-diato le conseguenze delle politiche adottate dalla capitale per il loro terri-torio.A seguito di questa legge abbiamo dovuto assistere ad una carrellata di permessi per prospezioni e trivellazio-ni, sia nell’Adriatico che nello Ionio, concessi nell'ultimo anno. Ha seguito il tentativo di eliminare la possibilità del referendum tramite la legge di sta-bilità, cancellando il Piano delle Aree e sospendendo i permessi per le pro-spezioni entro le dodici miglia. È così saltato il progetto di Ombrina Mare, che aveva scatenato forti proteste ed era stato oggetto della convocazione di alcune manifestazioni, come quella dello scorso maggio a Lanciano. Il pro-getto del governo è evidentemente quello di scoraggiare in questo modo la partecipazione al referendum nei territori che più di tutti avevano espresso la loro contrarietà alle trivel-lazioni. Infatti, gli emendamenti ap-provati in fretta e furia durante la discussione parlamentare sulla legge di stabilità non impediscono al

Verso il 17 Aprile

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governo di intervenire successivamen-te quando – sperano – l’opinione pub-blica sarà di nuovo permeabile ad ulteriori trivellazioni.Infine, l’ennesimo strumento utilizza-to dal governo per depotenziare ancora la partecipazione popolare, è stata la decisione di non indire un election day, scorporando il voto refe-rendario da quello delle amministrati-ve e prevedendo dei tempi estrema-mente ristretti per la campagna refe-rendaria. A questo tentativo si deve poi unire la possibile narrazione, stru-mentale anch’essa ad una diminuzio-ne della partecipazione delle popola-zioni interessate, del ritiro da siti del Golfo di Taranto e delle Tremiti da parte dei gruppi interessati.La sfida per l’immaginazione e la co-struzione di un modello di sviluppo alternativo si fa sempre più urgente: se da una parte resta centrale il discorso sulle risorse (“come” produciamo), dall’altra non si può non considerare il “perché”, il “quanto” e il “cosa” produ-ciamo. Si tratta di una battaglia da condurre su scala generale, partendo in ogni caso dal basso, dai luoghi che ogni giorno attraversiamo e viviamo; per affermare che servono altre fonti e altre modalità di distribuzione dell’energia, che la questione energeti-ca non è un affare di pochi, che il coin-volgimento della popolazione è condi-zione necessaria. L’assenza di un piano energetico nei diversi provvedi-

menti in materia “ambientale” del Go-verno Renzi (Sblocca Italia e c.d. Green Act, cioè collegato alla Legge di Stabilità 2016) è indicativa, ancora una volta, di come la direzione intrapresa dall’Esecutivo sia decisamente quella della centralizzazione. La schizofrenia che emerge da tali provvedimenti, fra l’altro, denota la totale assenza di una reale pianificazione: leggendo il colle-gato ambientale, emerge chiaramente l’idea di ignorare le problematiche effettive, concentrandosi piuttosto su provvedimenti minimi (come ad esempio quelli circa il “decoro”), non andando così in alcun modo a distur-bare gli interessi dei grandi gruppi energetici, gli unici soggetti che pare il governo voglia tutelare. Il voto del 17 Aprile è essenziale per riprendere parola: si tratta di un voto politico, che supera il contenuto del quesito e si pone come trampolino di lancio per la costruzione di una valida alternativa, che parli seriamente di decarbonizza-zione e di democrazia energetica.

Emanuele Papi

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2020 Link in Rete

Ormai da più di un anno, Link – Coor-dinamento Universitario segue e prende parola su criticità e trasforma-zioni in campo per quel che riguarda l’accesso all’insegnamento, argomento di primaria importanza per tutti quei laureandi e laureati nel nostro Paese in attesa di uno sbocco in quest’ambi-to lavorativo.Certo, adesso i precari abilitati delle seconde fasce, tra cui PAS e TFA, po-tranno finalmente partecipare ad un concorso per 63000 posti, come con-fermato dalla stessa Ministra Giannini nell’audizione in Commissione Cultu-ra alla Camera. Troppo spesso, però, non si tengono affatto in considera-zione tutti coloro che devono ancora intraprendere il percorso abilitativo, siano essi precari di terza fascia o neo-laureati. La legge 107/15 prevede l’atti-vazione di un nuovo percorso di abili-tazione, il cosiddetto concorso-corso; ma il tavolo ministeriale sulla legge delega della 107 che arrivare a formu-larlo è ad oggi bloccato: riattivarlo im-mediatamente rappresenta una neces-sità imprescindibile, per arrivare alla formulazione definitiva del nuovo percorso di reclutamento e garantire così tempistiche certe per la sua atti-vazione.Da parte nostra, abbiamo sottolineato la assoluta contrarietà a prevedere

un’altra valutazione al termine dei tre anni di formazione: questo ulteriore step rischia di sostanziarsi nella chia-mata diretta da parte dei presidi, asso-lutamente da rigettare. A nostro parere, al superamento di un concorso deve conseguire l’ottenimento della cattedra. Sarebbe altresì auspicabile stabilire dei requisiti minimi da rispettare nell’arco dei tre anni di for-mazione, legati per esempio alla pre-senza durante lezioni e tirocini e alla realizzazione di elaborati. È inoltre importante chiarificare la tipologia contrattuale prevista per i vincitori del concorso in preparazione.Infine, chiediamo chiarimenti sull’acquisizione di 36 CFU in materie didattico-pedagogiche: poiché, a causa del blocco del turn over, molti atenei non hanno docenti per riattiva-re insegnamenti di didattica per le varie materie, si rischia che tali crediti vengano acquisiti attraverso attività formative non funzionali alla forma-zione dei docenti; inoltre, bisogna chiarire le modalità di acquisizione degli stessi da parte dei laureati prima del 2019.Fino a quando sarà compiuto il pas-saggio al nuovo regime, la norma pre-vede, senza troppe specifiche, l’attiva-zione di un percorso transitorio di abi-litazione, che le parole della Ministra

Accesso all’insegnamento: novità e criticità

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Giannini hanno più volte fatto inten-dere consisterebbe in un nuovo ciclo di TFA. Ad oggi questa prospettiva appare più concreta; ma le recenti dichiarazioni del sottosegretario Fara-one specificano che sarà previsto solo per le classi di concorso esaurite. Questo fatto priverebbe molti della possibilità di abilitarsi, fino all’attiva-zione del nuovo meccanismo di reclu-tamento: perciò riteniamo essenziale si costruisca una programmazione triennale dei posti banditi con il nuovo TFA. Tenendo in considerazio-ne le effettive esigenze didattiche e i pensionamenti previsti del mondo della scuola, non si lascerebbero classi di concorso scoperte per i prossimi anni e si renderebbe accessibile il TFA anche a quelle attualmente non esau-rite. C’è bisogno di procedere con estrema accortezza e con una visione strategica di lungo periodo: solo con una gestione lungimirante della fase transitoria è possibile armonizzare la valenza triennale delle graduatorie dei concorsi con l’avvio di un nuovo siste-ma per l’assunzione e la formazione iniziale dei docenti, coniugare la ga-ranzia per tutti di un canale ben strut-turato e definito all’insegnamento con la ferma volontà di scongiurare la for-mazione di nuove sacche di precariato nella scuola pubblica. È un punto irri-nunciabile per tutti: dagli attuali stu-denti, ai neo-laureati che potranno partecipare al prossimo ciclo di TFA,

fino agli attuali abilitati che non saranno assunti con l’attuale concorso (200.000 potenziali vincitori contro 63.000 cattedre messe a bando).LINK – Coordinamento Universitario e la Rete della Conoscenza si mobilite-ranno inoltre all’interno degli organi di rappresentanza, dal livello naziona-le ai senati accademici degli atenei, per chiedere che il nuovo TFA non presenti i grossi difetti dei due prece-denti. Chiediamo:- una tassazione progressiva, perché riteniamo inaccettabile il carattere eccessivamente dispendioso, quindi iniquo ed escludente, del Tirocinio Formativo Attivo, che costa alle tasche degli abilitandi almeno € 2000 a pre-scindere dal proprio reddito; - l’accesso dei “tieffini” ai benefici per il diritto allo studio, dal momento che vengono considerati soggetti in for-mazione; - modifiche dell’impostazione didat-tica volte a rendere il percorso real-mente formativo. Abbiamo riscontra-to, infatti, che spesso gli insegnamenti impartiti dalle università, le quali non erogano corsi specifici sulla didattica delle varie materie, si sostanzino in mere ripetizioni dei programmi già svolti nel proprio precedente percorso di studi.

Serena Fagiani

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2222 Scienza

Due pesci stanno nuotando senza meta nelle profonde acque del mare, quando vedono un pesce più anziano dirigersi verso di loro. Arrivato più vicino, il pesce più anziano li guarda e fa: “È calda l'acqua oggi, eh?”; poi con-tinua per la sua strada. Dopo qualche metro uno dei due pesci fa all'altro: “Ehi, ma che diavolo è l'acqua?”Ciò che abbiamo in comune con i due pesci della storiella qui sopra è che, come loro, ci muoviamo in un mare immenso e del quale non abbiamo una reale percezione. Certo, se toglies-simo i due pesci dall'acqua essi avver-tirebbero subito che qualcosa non va, come noi capiremmo subito di essere immersi nell' acqua se ci tuffassimo nel mare; ma non mi riferisco all'aria e neanche all'acqua come elementi.Ciò che manca a tutte e due le specie, o meglio, a tutte le specie, è la capacità di percepire che ogni singola cosa, dal più piccolo granello di sabbia alla più grande stella, è immersa in un qualco-sa: lo spazio-tempo, appunto.Siamo abituati a pensare che questo spazio sia come una grande scatola vuota, nel quale i corpi si muovono; ma il fisico tedesco Albert Einstein fornì una spiegazione diversa. Egli pensò lo spazio come un entità fisica,

non più separata dal mondo materiale nel quale viviamo, ma parte integrante di esso.Citando il fisico Carlo Rovelli: “Non siamo contenuti in un invisibile scaf-falatura rigida: siamo immersi in un gigantesco mollusco flessibile”.Qualsiasi cosa abbia una massa, da un piccolo meteorite alla stella più grande, provoca in questo “mollusco” una deformazione, proprio come una palla da bowling farebbe su un tappe-to elastico.Tutto chiaro? Perfetto. Perché è qui che le cose si fanno complicate.Einstein pensò questo spazio non a tre, bensì a quattro dimensioni. Le prime tre sono le dimensioni a cui siamo tutti abituati: larghezza, lun-ghezza e profondità. La quarta dimen-sione? Il tempo.Ritornando all'esempio della palla da bowling sul tappeto elastico, così la terra piegando lo spazio “piega” anche il tempo. Per questo motivo, in prossi-mità di un corpo di massa elevata, il tempo scorre più lentamente. Qualsi-asi cosa che subisce un’accelerazione modifica lo spazio-tempo - anche cia-scuno di noi muovendosi - formando delle onde gravitazionali.

Segnali dal passato attraverso lo spazio-tempo

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Le onde gravitazionali sono piccole increspature nel nostro enorme tap-peto elastico, come le onde generate da una piccola biglia che cade nell'O-ceano Pacifico.Quelle di cui si è pubblicato l'11 Feb-braio negli Stati Uniti sono nate da una biglia molto grossa: due buchi neri, uno di 29 e l'altro di 36 masse solari, hanno cominciato ad attrarsi a vicenda, iniziando una danza che si è conclusa nella loro fusione e quindi nella creazione di un nuovo buco nero, di 62 masse solari.Se fate un semplice calcolo, somman-do le masse dei due buchi neri, vi verrà come risultato 65. Sappiamo che la materia non può scomparire da un momento all'altro: dove sono finite, quindi, le 3 masse solari che mancano al calcolo? Semplice, si sono trasfor-mate in energia, espressa in forma di onde gravitazionali.Immaginate quindi l'energia di 3 soli sparata in tutte le direzioni, da un punto lontano da noi circa 1,3 miliardi di anni luce (si, è parecchio).Quello di cui stiamo parlando è quindi un evento di proporzioni epiche, acca-duto più di un miliardo di anni fa ad una distanza inimmaginabile, e del quale abbiamo ricevuto un debole segnale solo ora: ma come?Le onde gravitazionali schiacciano e dilatano lo spazio, ed è esattamente questa dilatazione che è stata osserva-ta il 14 Settembre da due laboratori

americani in collaborazione con uno europeo, situato nei pressi di Pisa, grazie a dei macchinari, chiamati interferometri, di altissima precisio-ne.Tutto ciò non aiuterà i malati, non farà uscire il mondo dalla crisi economica e non porterà qualche soldo nelle casse dello stato. Tutto ciò è solo un piccolo monito per ricordarci cosa ci rende umani: la voglia di conoscere, di fare luce nell'oscurità dell'universo; e pure che, spesso, la realtà ha molta più fantasia dell'immaginazione.

Matteo Giordano

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2424 Scienza

L'11 Febbraio 2016 la collaborazione scientifica fra LIGO e Virgo ha annun-ciato la prima osservazione di un'onda gravitazionale.L'onda gravitazionale ha prodotto un segnale, che è stato denominato GW150914. Il segnale è stato rivelato dall'interferometro LIGO di Livingsto-ne (USA, LA) alle 9:50:45 (ora di Gre-enwich) del 14 Settembre 2015 e dopo circa 1/100 di secondo è stato rivelato anche dall'interferometro LIGO nella città di Handford (USA, WA). La picco-lissima differenza temporale di arrivo del segnale è dovuta al tempo di propa-gazione dell'onda gravitazionale da un laboratorio all'altro, la cui distanza è pari a circa 3000 km (un'onda gravita-zionale si propaga alla stessa velocità della luce, ovvero a 300 000 km/s).Il fatto che entrambi i rivelatori abbia-no visto lo stesso segnale (anche le forme del segnale sono perfettamente compatibili) è una conferma che il fenomeno che lo ha prodotto ha origi-ne esterna ai laboratori.Dalla forma del segnale si è dedotto che l'onda gravitazionale è stata prodotta dal collasso di un sistema binario che inizialmente era costituito di due buchi

neri rotanti l'uno intorno all'altro. Con il passare del tempo le loro orbite si sono avvicinate sino a fondersi in un unico buco nero e, nel fare ciò, essi hanno perso una massa che è pari a circa 3 volte tutta la massa del Sole. Questa massa persa si è trasformata nell'energia dell'onda gravitazionale secondo la nota l'equazione di Einstein E=mc2. Ed infatti l'osservazione di questo evento è stata un'ulteriore con-ferma che la teoria della relatività gene-rale di Albert Einstein è la migliore de-scrizione che abbiamo a disposizione per la comprensione della gravità.Questa scoperta, tanto attesa e tanto cercata, è arrivata dopo decine di anni di prove ed esperimenti realizzati da scienziati di tutto il mondo, sempre più precisi. In passato sono stati co-struiti altri apparati sperimentali, che non hanno rivelato segnali di onde gra-vitazionali: ma scientificamente anche questi producono dei risultati, perché permettono di porre un limite superio-re al segnale cercato (piccolo di questo limite, se esistesse). Certo, umanamen-te può portare sconforto l'aver investito anni, o decenni, della propria carriera per costruire un rivelatore il cui

Una nuova finestra per l’astronomia: le onde gravitazionali per l'esplorazione

dei misteri dell'universo

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risultato è un “limite superiore”; ma, in questa storia che è ad una svolta, la determinazione e la convinzione di alcuni fisici ed astrofisici ha permesso di insistere, migliorando la precisione e la sensibilità proprio di quegli appa-rati che non avevano rivelato alcun segnale. E grazie all'aggiornamento (un nuovo interferometro) dell'esperi-mento LIGO è stato possibile rivelare, il 14 Settembre 2015, il debolissimo segnale prodotto sui suoi specchi, cor-rispondente ad un evento “catastrofi-co” avvenuto nell'universo a grande distanza di tempo e di spazio da noi.Gli apparati sperimentali, con cui è stato possibile captare il segnale dovuto all'onda gravitazionale, sono dei grandi interferometri, costituiti da 2 bracci perpendicolari lunghi 4Km ciascuno, in cui viaggia un fascio di luce laser che viene scomposto e ricombinato dopo aver percorso en-trambi i bracci. Quando si ricombina, il fascio di luce interferisce con se stesso e, a seconda che i 2 fasci di luce si trovino ancora in fase oppure no, produce diverse frange d'interferenza (un'immagine differente). L'onda gra-vitazionale modifica alternativamente la lunghezza dei 2 bracci di una quan-tità moltissimo inferiore allo spessore di un capello, ma questi sistemi oggi sono in grado di rivelare una variazio-ne così piccola.Ci si può domandare se la scoperta sia epocale per la storia dell'astronomia.

Il mio punto di vista è che lo è. Noi dobbiamo interpretare questa scoper-ta come un inizio per una nuova astro-nomia. L'astronomia ha le sue origini agli albori della civiltà. Già gli Assiro/Babi-lonesi e i Greci compivano osservazio-ni del cielo per cercare di capirne il funzionamento (che è esattamente il compito dell'astrofisico). I “messagge-ri” che utilizzavano per scoprire i mi-steri dell'universo erano le particelle luminose visibili ad occhio nudo: i fotoni della luce visibile. Questo è il più importante strumento utilizzato per l'astrofisica. A questo mezzo si sono aggiunti in diverse epoche i fotoni delle altre lunghezze d'onda: le onde radio con i radiotelescopi, i fotoni millimetrici e infrarossi con telescopi speciali, i raggi X e gamma con osservatori satellitari.Dai primi del '900 oltre ai fotoni si è iniziato ad utilizzare un altro mezzo per studiare il cosmo, costituito da particelle provenienti dallo spazio: i raggi cosmici. Tra i raggi cosmici ce n'è un tipo molto difficile da rivelare che sono i neutrini, particelle che hanno una debolissima interazione con la materia, ma sono in grado di attraver-sare qualsiasi corpo fatto di essa, anche l'intero globo terrestre: infatti, ad esempio, di notte è possibile rileva-re i neutrini provenienti dal Sole.Oggi si può affermare che è possibile osservare l'universo anche con le onde

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gravitazionali, in aggiunta alle prece-denti tecniche. Siamo solo all'inizio, ma nel futuro sono convinto che le onde gravitazionali forniranno un im-portante contributo alla nostra cono-scenza dell'universo.Si pensi per esempio che una stella come il Sole si può studiare molto bene tramite la luce visibile; ma questa luce è prodotta dagli strati più esterni della stella, la cosiddetta atmo-sfera stellare. Per diversi anni si è dibattuto sul perché il Sole emetta la sua luce. Verso la fine dell'800 si sup-poneva che la luminosità fosse pro-dotta dalla combustione chimica del materiale di cui era costituito e dalla sua stessa contrazione gravitazionale. Ma c'era un paradosso: il tempo di “vita” del Sole (calcolato pari a qual-che decina di milioni di anni) era molto inferiore all'età stimata di alcune rocce presenti sulla Terra (pari correttamente a qualche miliardo di anni). Immagino il lettore si doman-derà: qual era l'errore? Era un errore di calcolo dell'epoca? No, semplicemen-te non si conoscevano le reazioni di fusione nucleare, scoperte all'inizio del '900, che permettono al Sole di riscaldare la superficie ad una tempe-ratura di circa 5600°C. Perciò il Sole emette luce non perché stia “brucian-do” come la legna in un caminetto, bensì perché all'interno del nucleo avvengono di continuo reazioni di fusione nucleare, la cui energia spri-

gionata è in grado di tenere costante-mente “rovente” la superficie del Sole. Quindi la sua luminosità è dovuta esclusivamente alla temperatura della sua superficie (si pensi ad un oggetto rovente che anche al buio è luminoso). Le reazioni di fusione nucleare nelle stelle come il Sole possono mantener-si stabili per un periodo di circa 10 mi-liardi di anni, compatibile quindi con le conoscenze geologiche. Ma queste ipotesi, in accordo con modelli di struttura stellare, senza un'osserva-zione sperimentale potevano rimane-re anche solo un'interessantissima speculazione scientifica. La verifica sperimentale di queste ipotesi e di questi modelli di struttura stellare è arrivata proprio grazie alla scoperta e alla misura del flusso di neutrini pro-dotti dal Sole, in quanto i neutrini sono prodotti direttamente nel nucleo del Sole a causa delle reazioni nucleari e possono poi giungere sino alla Terra praticamente indisturbati.La controversia sull'origine della lumi-nosità del Sole aiuta ad interpretare quale può essere l'importanza dell'os-servazione di un'onda gravitazionale. Con il parallelo ho illustrato che la contraddizione nasceva dalla man-canza di una teoria (la fusione nuclea-re) e dalla mancanza dell'osservazione del flusso di neutrini solari, nemmeno noti come particelle.Ebbene, sono convinto che l'osserva-zione delle onde gravitazionali (per il

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momento una, ma gli strumenti sono accesi e stanno cercando di captare altri segnali ed altri esperimenti nel mondo sono in aggiornamento e in costruzione) aiuteranno a capire e stu-diare meglio l'universo. Già quest'os-servazione ci permette di confermare ancora una volta la teoria della relati-vità di Einstein. Inoltre ci da un'ulte-

riore prova dell'esistenza dei buchi neri.In definitiva sicuramente questo nuovo “messaggero dell'universo”, le onde gravitazionali, ci permetterà di capire meglio alcuni dei misteri del cosmo, in particolare sui fenomeni più energetici.

Dedalo Marchetti

A sinistra: Fenomeno di fusione dei due buchi neri con il segnale simulato (sopra) e il segnale osservato (sotto).

A destra: Schema degli interferometri LIGO che hanno osservato l'onda gravita-zionale

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2828 Scienza

La Conferenza di Parigi sui cambia-menti climatici si è svolta dal 30 No-vembre al 12 Dicembre 2015. È stata la 21ª sessione annuale della Conferenza delle Parti (COP 21) della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cam-biamenti Climatici (UNFCCC) del 1992, e insieme la 11ª sessione della riu-nione delle parti (CMP 11) del protocol-lo di Kyoto del 1997. Ha avuto come presidente il ministro degli Esteri fran-cese Laurent Fabius. L’accordo risultato da questi giorni di discussione impegna tutti i Paesi del mondo, ciascuno con le proprie tempi-stiche, a diminuire le emissioni che causano i cambiamenti climatici; detto accordo, però, al momento non è ancora vincolante per tutti: alcuni par-lamenti nazionali hanno accettato gli INDCs (Intended Nationally Determi-ned Contributions), cioè gli impegni che ciascuno stato membro dichiara di voler mettere all’interno dell’accordo, ma questo diverrà giuridicamente vin-colante per tutti quando sarà ratificato da almeno 55 Paesi che insieme rappre-sentino più del 55% di emissioni di gas serra.Tali gas sono presenti nell’atmosfera e trasparenti alla radiazione solare in en-trata sulla Terra (cioè, la lasciano pas-sare senza interferenze), ma riescono a trattenere, anche in maniera consi-

stente, la radiazione infrarossa emessa dalla superficie terrestre, dall'atmosfe-ra e dalle nuvole. Questo è l’effetto serra. Fra i gas serra principali annove-riamo il vapore acqueo, l’anidride car-bonica e il metano.Da questa conferenza esce inoltre una forte coalizione di 120 stati sull’energia solare, guidata dall’India e chiamata International Agency for Solar Techno-logies and Applications (IASTA). Questa alleanza prevede lo stanzia-mento di fondi a sostegno di nuovi pro-getti fotovoltaici e della ricerca tecno-logica nel settore. Il “quartier generale” dell’organizzazione verrà istituito in India, grazie a uno stanziamento di 30 milioni di dollari da parte del governo indiano. L’obiettivo posto è raccogliere 400 milioni di dollari da destinare all’espansione del fotovoltaico, dei sistemi di stoccaggio e delle reti intelli-genti. I sistemi di stoccaggio raccolgo-no l’energia elettrica prodotta da quella solare durante il giorno, quando i con-sumi sono più bassi, e la immettono nella rete di distribuzione di notte, quando i consumi sono maggiori, con le reti intelligenti che “prevedono” i momenti di picco. Enel, Tata Steel e HSBC Francia hanno già aderito al pro-getto. Secondo il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon, la coalizione solare permetterà di centrare entro il

Conferenza di Parigi: un accordo per il clima

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2030 l’obbiettivo dell’accesso universale all’energia fissato nel 2011. La leadership assunta dall’India è importante: nel

2030 la nazione sarà la più popolosa del mondo con ben 1,45 miliardi di abitanti.

M. P.

Cultura

Un panino con la culturaPerché non riusciamo a comunicare il nostro patrimonio?

Qualche anno fa uno sbadato ministro dell’Economia del nostro Paese, in una nota trasmissione di approfondimento politico, invitava il suo interlocutore a provare a fare un panino con la cultura. Continuando su questa falsariga po-tremmo anche argomentare che il vero problema è che qualcuno con la cultura ci ha proprio banchettato, mentre altri si sono dovuti accontentare delle bri-ciole.Cercando di innalzare il tono della nostra conversazione, evitando facili e inutili ironie, non può non colpire la dichiarazione dell’attuale ministro della Cultura Franceschini di Giugno del 2014, a Pollenzo, per l’inaugurazi-one della scuola di cucina ideata dall’Università di Scienze Gastronomi-che e da Slow Food: «Sono alla guida del più importante Ministero economico italiano: l’avevo detto come battuta nel giorno del giuramento da ministro, dopo questi mesi ne ho la certezza». Un abisso comunicativo, verrebbe da dire, se non si trattasse proprio dello stesso ministro tacciato di aver ufficializzato la possibilità di sostituire ai professionisti i volontari e di esser maggiormente interessato al turismo, riprendendo

alcune delle più aspre critiche apparse su alcuni quotidiani nazionali. Per non parlare del polverone che si è alzato con la riforma delle soprintendenze: un enorme calderone in cui è difficile rac-capezzarsi, tra gli interessi corporativi e di chi ossequiosamente si conforma alla regola.Le ragioni delle difficoltà in cui versa il nostro patrimonio culturale sono molto più complesse e non riguardano sola-mente i vertici dell’esecutivo, ma si tratta di un disagio stratificato fin dalla sua base. Come comunicare la nostra cultura? Scagli la prima pietra chi non ha almeno una volta cercato disperata-mente l’uscita dopo una visita in un museo o in un’area archeologica. «I supporti didattici, quando presenti, sono il più delle volte poco chiari, di fatto riservati solo a specialisti o a un pubblico particolarmente colto. Ai “vi-sitatori normali” si concede al massimo una sorta di contemplazione acritica. “Aryballos quattrefoil tardo corinzio II”, è scritto su una didascalia...». Ecco uno degli esempi descritti da Giuliano Volpe – accademico e presidente del Consi-glio superiore dei Beni Culturali, il mas-simo tecnico (lo potremmo

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3030 Cultura

definire così) della gestione Franceschi-ni – nel suo Patrimonio al Futuro che, riportando il caso di un importante museo siciliano, fotografa perfettamen-te lo stato di una comunicazione muse-ale a volte ostica non solo ai non specia-listi. Un libro piacevole e in alcuni tratti confortanti, ma che reca in seno la prima avvisaglia della tanto criticata riforma delle soprintendenze uniche.Con la consapevolezza di paragonare Davide a Golia, non si può non pensare di paragonare il museo siciliano oggetto del libro citato alle ricostruzioni virtuali firmate dalla collaudata coppia Piero Angela e Paco Lanciano. Secondo i dati del comune di Roma Capitale, lo spet-tacolo dello scorso anno al Foro di Cesare ha registrato ben 135mila spetta-tori da Aprile 2015, con un indice di gra-dimento perlopiù unanime (99,6% degli spettatori si è ritenuto molto/ab-bastanza soddisfatto in un'apposita serie d'interviste a campione) con un incasso di oltre 1 milione e 700mila euro, più della cifra necessaria a coprire i costi. Nel 2014, lo spettacolo al Foro di Augusto aveva già registrato 110mila spettatori in 563 repliche.Ovviamente, non tutto il vasto compar-to dei beni culturali può servirsi all’occorrenza di un Piero Angela. Ci possono essere anche diverse forme co-municative per promuovere il nostro patrimonio, magari meno spettacolari, meno costose e più intime. Non è detto neanche che, nonostante l’apprezza-mento degli specialistici, la comunica-

zione culturale debba standardizzarsi verso queste forme. Prendendo in pre-stito le parole di un bravo e generoso archeologo, direttore di un museo prei-storico della provincia di Roma, la co-municazione culturale deve avere più livelli, da quello prettamente didattico e di facile accessibilità, fino quello più specialistico per permettere l’approfo-ndimento; aggiungerei, a tutti.Insomma, comunicare in maniera ade-guata il nostro patrimonio culturale significa anche avvicinare, far conosce-re e in qualche modo rendere giustizia a tutti quei professionisti che operano nell’ombra, precari e malpagati. L’opi-nione che la Cultura (quella con la c maiuscola) sia un’attività accessoria o peggio ancora da salotto, destinata ai soli iniziati – anche questa un’opinione spesso figlia di chi propone solamente mansioni da volontario agli operatori dei beni culturali – , da contrapporre a un etica del lavoro vero, calata nel con-testo economico-sociale reale, è dura da scardinare. Per inciso, nulla da recrimi-nare verso le nobili e fondamentali atti-vità del volontario, laddove queste siano da percorrere come una scelta e non come una costrizione: insomma, non si deve diventare volontari perché questo è l’unico modo per poter conti-nuare a svolgere la mansione per la quale si è qualificati. Sarebbe solamente uno svilimento globale, e non solo del nostro patrimonio culturale.

Fabio Brandoni

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Non esiste società umana senza comu-nicazione tra gli individui che ne fanno parte. Quello che però oggi è realmente cambiato sono il tempo e l’attenzione che vi dedichiamo.Ci troviamo infatti in una società “vir-tuale” dove qualsiasi forma di intera-zione sembra possibile. I social network sono oramai diffusi, a partire da MySpace fino a Twitter e Facebook. Così siamo costantemente con gli occhi incollati allo schermo del nostro smartphone, come se la nostra vita dipendesse da questo. La nostra vita che dipende da un oggetto? Non è assurdo? Eppure effettivamente è così. C’è qualcuno che riesce a stare un solo giorno senza il proprio tablet o cellul-lare? Nessuno.Ecco allora che corriamo sempre, senza mai fermarci a guardare l’altro; la nostra è una comunicazione fredda, quasi glaciale, dove al posto di un ab-braccio basta una emoticon inviata via WhatsApp. Certo, in questo mondo fatto di messaggi, Skype e telefonate ci saranno pure aspetti positivi affianco a quelli negativi.Il maggior difetto è la distruzione della riflessione, il soffermarsi e consi-derare attentamente qualcosa o qual-cuno; non riuscire a relazionarsi con il prossimo, che implica anche non saper gestire il proprio “IO”. Attraverso

la riflessione si conosce pure se stessi: l’esortazione socratica del “conosci te stesso” è più attuale che mai; ciascuno di noi si forma attraverso il dialogo, col proprio io e con gli altri.Molti professori universitari sempre più spesso dicono a tanti loro studen-ti: non siete in grado di scrivere in un linguaggio consono alla vita accade-mica, usate una pessima sintassi, risultate sgrammaticati; e via dicendo. Da cosa dipende tutto questo? Sicura-mente pure dall’usare sempre un cel-lulare invece che una penna! Un primo grande pregio alla comunicazione scritta e immediata delle chat, però, lo dobbiamo concedere: permette di parlare con persone che non vediamo tutti i giorni e quindi di comunicare con loro in tempo reale. In questo modo si accorciano le distanze. Un secondo pregio è la possibilità di tro-vare in poco tempo, navigando su internet, ciò che si desidera.Eppure abbiamo abbandonato le enci-clopedie, molte nuove generazioni forse non le hanno mai viste, e hanno perso e stanno perdendo le occasioni e la gioia nello sfogliare un libro.Oramai non vedo più ragazzi con un libro in mano: ora ci sono i Kindle, i lettori di libri elettronici.Un libro lo senti tuo, lo senti vicino; un computer invece lo tocchi e ne

Comunicazione: virtuale o reale?

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senti la freddezza, quello schermo ti separa da quelle righe che invece vor-resti toccare come per assaporare ogni parola e viverla a ogni lettera che leggi.Essere se stessi è fondamentale ma non sempre facile; le nostre opinioni, i nostri sogni e le nostre paure dove si nascondono? Dietro a un computer.Sulla maggiore piattaforma social, Fa-cebook, oramai tutti sono presenti e tutti comunicano ogni giorno ciò che fanno durante la giornata o si esprime un proprio pensiero.Mi domando, però, se siamo realmen-te liberi, se siamo noi stessi oppure veniamo condizionati dall’opinione degli altri. Direi che chiunque riesca ad essere se stesso sia in una piattafor-ma virtuale sia nella vita reale è libero

davvero. Libero da ogni pregiudizio, libero da mille domande; ma soprat-tutto libero di pensare con la propria testa.C’è una frase del filosofo e psicoanali-sta Umberto Galimberti che mi ha molto colpito e racchiude tutto il mio discorso: “Oggi la società è diventata una solitudine di massa”. Questa frase è stranamente e profondamente vera, ci troviamo in una società di massa ma soli, ognuno per la sua strada senza quel filo rosso che ci lega.Vi lascio con una domanda a cui ognuno dentro di sé ha già risposto: vogliamo davvero uscirne fuori?

Enkeleda Keqi

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Sono stati tanti gli artisti che nel loro modo di spiegare cosa fosse il teatro hanno parlato anche di vita. Muri, luci, corpi, voci: tutto sembra avere vita pro-pria in quel magnifico mondo a sé chia-mato Teatro. Un mondo che ci sconvol-ge, che ci fa innamorare, che entra a far parte della nostra vita quotidiana quando lo incontriamo, che ci dà la possibilità di vivere per qualche ora in una realtà diversa con uomini e storie diverse, che non coincidono con il nostro vero essere nel mondo. Il teatro per questo motivo ci dà un'enorme possibilità.Entrare in un teatro è un po' come en-trare in un sogno, ovvero in una trance dove fantasia e irrealtà prendono forma in uno spettacolo di vita in cui il mondo esterno viene escluso, almeno illusoriamente.Eppure, se anche il mondo esterno fosse realmente tagliato fuori da questo teatro, quanta vita può esserci al suo interno? Rispondo io a questa doman-da: tantissima.In questo periodo, grazie alla nostra università, nell’ambito del curriculum Teatro del corso di laurea DAMS ho avuto l'opportunità di svolgere un tiro-cinio teatrale nel Teatro del carcere di Rebibbia; e posso dirvi che con questo

teatro il mondo esterno neanche ci confina: solo celle e spazi artificiali lo circondano.Per molti detenuti aver trovato questo teatro in carcere è stato come trovare un eremo in un deserto: una fonte di speranza, qualcosa che dà la possibilità di credere in una vita nuova, nel conte-sto di un luogo, quale è il penitenziario, in cui ti senti perso e dove sei solo con te stesso.Gli attori, anzi, i grandi attori di questo teatro ci hanno parlato di loro stessi come persone del tutto diverse da quelle che erano entrate qualche anno prima in quel carcere: perché questa gente grazie al teatro si sente cambiata, rinata. Molti di loro passeranno la loro intera vita in carcere; ma ci hanno teneramente detto che hanno avuto, almeno sul palco, la possibilità di vivere nuovamente e diversamente quella stessa vita che per loro era ini-ziata col passo sbagliato.Questa esperienza, che la realtà uni-versitaria mi ha offerto, mi ha fatto concretamente comprendere cosa sia quella meravigliosa forma di vita che noi tutti chiamiamo Teatro.

Giorgia Granata

Il teatro che ridona la vita

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3434 Cultura

Personalmente avrei preferito conti-nuare alla maniera del mio precedente articolo, presentandovi cioè un altro disco, ma un pensiero ben più alto ha fermato la mia mano in tempo e mi spinge ora ad aprire una breve parente-si, senza la quale questa piccola mia rubrica – chiamiamola pure “Jazz-o-pe-dia” – neppure avrebbe senso di esiste-re; un fenomeno fondamentale all’inte-rno di quell’universo chiamato Jazz, di cui pure è stato sua linfa vitale sino ai giorni nostri.Mi riferisco, cari lettori, a quel partico-lare elemento base che è detto, comu-nemente, jazz standard. So già quel che immagina la vostra mente nel contem-plare questa piccola locuzione: io stesso, davanti a queste due semplici paroline, ho stimato, in un primo tempo, che fossero semplice sinonimo di jazz mainstream o roba del genere; quasi che l’espressione mainstream fosse applicabile al Jazz (cosa che nel tempo ho scoperto essere del tutto priva di logica). E poi standard! Appare, così com’è, una semplice norma tecnica: un prodotto basico, puro, di livello medio, uniforme, generico. Tutto ciò, insom-ma, che lo jazz standard non è! Ecco, ancora una volta vi chiedo quindi un piccolo sforzo, necessario: torniamo nuovamente nel passato.I dischi in gomma-lacca e i relativi ap-parecchi fonografici sono ancora merce costosa, di lusso. Assai più diffusi gli

strumenti meccanici, capaci di ripro-durre qualsiasi melodia tramite rulli di carta perforata, anch’essi tuttavia per lo più un piccolo privilegio. Le hit del mo-mento sono allora diffuse agli angoli delle strade, nei parchi, durante i pic-nic e i concerti domenicali, nei teatri, sui treni e sui battelli a vapore; da bande militari, piccoli complessi, musici itineranti, gruppi vocali, song-pluggers e pianisti da saloon, e orchestrine classiche riconvertite. Sono questi i principali veicoli di intratteni-mento musicale, che appare di certo onnipresente, in città e in campagna. C’è però una particolarità in tutto questo: difatti, a dispetto dell’eteroge-neità di circostanze e interpreti, la musica è sempre la stessa!Mi spiego meglio: eseguono tutti ogni volta gli stessi, identici, precisi arran-giamenti – più o meno adattati, ovvio, a seconda della strumentazione e degli interpreti disponibili. Di conseguenza, però, accade che una marching band di New York suoni un qualsiasi brano o canzone popolare alla stessa maniera di una della California, e che un’altra di Washington appaia indistinguibile da una che opera invece nello Stato della Florida. Del resto è comprensibile: non esistevano ancora i mezzi di comunica-zione odierni, compreso il più sempli-ce, la radio, e quindi era necessaria la presenza fisica di interpreti in ogni dove, che sapessero eseguire pop music

Jazz-o-pedia #02“Tutti quanti voglion fare Jazz”

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3535per allietare le masse. Anche noi mo-derni, quando una canzone ci piace alla follia, non l’ascoltiamo miriadi di volte? E non suona forse nello stesso, identico modo ogni singola volta? Non vogliamo che sia così, in fondo?Quanto al Jazz, dimenticate tutto quel che vi ho detto finora. Ogni jazz band che si rispetti ha un suo stile proprio il quale è unico e inimitabile, spontaneo e riconoscibile. In una data regione, in una data epoca, possono individuarsi infatti generi, mode e tendenze acco-munanti; mai però precise coincidenze, mai come un tempo. E c’è di più, si dif-fondo gli standard: brani facili, orec-chiabili, commerciali; sono vecchi e nuovi, eppure senza tempo; immortali, sin da subito destinati a divenire dei classici. Spesso – pensate – sono solo poche note e accordi, buttati sulla tastiera del pianoforte, pensati durante una cena o un viaggio in treno, e subito inviati alle case editrici di spartiti musi-cali. Il bandleader di turno li acquista e… la sua mente parte! Ecco che una melensa canzoncina d’amore, nelle giuste mani, può trasformarsi in un pezzo degno delle più grandi sale da concerto, o al contrario in uno basso spettacolino da vaudeville.Lo standard in sé non vive di vita pro-pria: non esiste infatti nessuna versione ufficiale di un qualunque standard. Prendiamo il più famoso di tutti, “Tiger Rag”, eseguito regolarmente anche oggi: una jazz band, all’epoca, non poteva dirsi tale se non l’aveva nel suo reperto-rio. E non conta che sia derivato da

un’antica quadriglia francese: adattato e riadattato, “Tiger Rag” risultava sempre al passo coi tempi. Neppure la purezza cronologica ci aiuta, in tal senso: la più antica incisione di questo brano è del 1917; suona – la conosce chi ha letto il mio articolo precedente – la Original Dixieland ‘Jass’ Band; incisione più antica però, badate, non ufficiale. Era, e rimane, una delle tante possibili perfor-mance di quel dato brano.Spesso i compositori di standard non avevano una propria band, affidando così ad altri l’esecuzione delle loro idee, che avevano tutto il diritto di stravol-gerle a loro arbitrio. Quando è invece un bandleader a comporre uno stan-dard, neppure in questo caso si può parlare di arrangiamento ufficiale, sem-plicemente perché non è destinato ad esserlo; e neppure di diritto d’autore, poiché chiunque può prendere libera-mente quel brano ed eseguirlo a suo modo!Lo standard, ripeto, è una semplice idea, una fonte cui tutti possono attin-gere; un banco di prova per novizi e vir-tuosi, per vecchi e giovani, per antichi e moderni. È nello standard, o meglio, nei suoi tanti adattamenti, che emergo-no le abilità, la creatività (o la banalità) del singolo o del singolo gruppo. Non c’è da stupirsi quindi se un brano può essere alterato al punto da apparire irri-conoscibile. Prendete pure in mano “Tiger Rag”, fate ricerche: verrete som-mersi da migliaia di incisioni, e tutte diverse poi!

Davide Longo

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3636 Cultura

Qualora mi convenisse esprimere una franca opinione – naturalmente pura-mente personale – su artista del pano-rama italiano cinquecentesco da segnalare, sposterei la vostra attenzio-ne verso il territorio parmense.Mi riferisco ad Antonio Allegri, più co-nosciuto come il Correggio, sopranno-me che prese dal suo paese natio.Benché vivesse in un periodo storico non così agevole per emergere, a causa della presenza dei grandi mostri sacri a lui contemporanei che si impadroni-vano, con doveroso merito, delle più prestigiose commissioni artistiche delle principali capitali italiane, l'emi-liano seppe distinguersi con diligente eleganza e peculiare originalità; tanto da guadagnarsi il titolo di "pittore sin-gularissimo", nelle famose Vite dell’edizione giuntina dell’artist-a-letterato Giorgio Vasari.Scarni sono i dati della biografia rinve-nuti sul Correggio, tuttavia le sue opere giovanili appaiono particola-mente eloquenti: l’iniziale formazione dovette presubilmente compiersi nel clima culturale mantovano, non poco incline agli stilemi dell’illusionismo prospettico e del gusto per la citazione antiquaria del Mantegna; tratti pre-senti e visibili nella Madonna di San Francesco, databile all’incirca tra il 1514-1515, già nella chiesa di San Fran-

cesco a Correggio e oggi a Dresda.Al seguente soggiorno a Roma, ove ebbe avuto modo di osservare l’imme-nsa vastità del repertorio artistico della città dei papi e le straordinarie novità introdotte da Michelangelo e da Raffaello, e conseguentemente al probabile viaggio verso la vicina Milano per ammirare i lavori di Leo-nardo, l’Allegri si concentrò prevale-mente a Parma, dimostrando un ine-guagliabile carisma artistico. Basti pensare al ben noto affresco della volta della Camera Della Badessa nel Mona-stero di San Paolo, eseguito intorno al 1519, ottenendo notevole successo e, sopratutto, commissioni sempre più prestigiose; come l’affidamento della decorazione dell’abside e della cupola (oggi resta solo quest’ultima) della chiesa di San Giovanni Evangelista, tra il 1520 e il 1524, raffigurante la scena della Visione di San Giovanni a Patmos, oppure l’intendimento del tutto nuovo dello spazio teso verso l’infinito dell’Assunzione della Vergine della cupola nella cattedrale di Parma, terminata nel 1530. Lavori largamente ammirati dai suoi contemporanei, che non compresero la rivoluzione che si manifestò un secolo dopo con la grande pittura barocca.Non di soli affreschi dipinse il Correg-gio. La vasta raccolta di opere

La grazia del “pittore singularissimo”

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attribuite al suo pennello rispondono ad un numero considerevole di capo-lavori su tavola e su tela, ove espresse il suo singularissimo fare pittorico, attingendo dalla triade vasariana dell’eccellenza i loro tratti più distinti-vi: la prospettiva aerea e i volti segnati dai moti dell’animo di Leonardo, i corpi avvitati come serpenti del Buo-narroti e la dedizione all’antico e la solenne monumentalità del Sanzio; unendo il tutto con morbidi effetti chiaroscurali di “avvolgimento atmo-sferico” e uso intimo del colore tipici della lezione giorgionesca e tiziane-sca. Malgrado ciò, il pittore emiliano non assomiglia a nessuno. Cattura e plasma nella sua solitudine provincia-le.Definire le sue pale d’altare suggestive è a dir poco riduttivo. Come non farsi minimante coinvolgere emotivamente e non partecipare col proprio animo all’allegrezza ed alla dolcezza dell’Adorazione dei Magi, conosciuta anche come la Notte, collocabile entro il 1525, oggi conservata a Dresda? È inamissibile! L’allora re di Spagna Filippo IV concorderebbe drammati-camente col sottoscritto, dato che, perfino con la consulenza del suo pit-tore di corte Diego Velázquez, non riuscì ad acquistare il quadro. Per non parlare del “fratello” di questo dipinto, la Madonna di San Girolamo, o meglio detto il Giorno, del 1528, conservato nella Galleria Nazionale di Parma.

Scena intonata dalla placida e serena contentezza degli astanti, gaudiosa-mente assorti nei loro gesti, ma con-nessi gli uni e gli altri da affettuosi sguardi che risaltano la comunione profonda che unisce i presenti.Di Correggio, di stabilmente a Roma non abbiamo alcunché se non la Danae della Galleria Borghese e il Cristo in Gloria dei Musei Vaticani. Semmai fossi riuscito ad aver un minimo solleticato la vostra sensibilità artistica, tanto da suscitare in voi un’insaziabile passione per il Correg-gio e voleste contemplarlo nella con-cretezza e non attraverso le sgranate ed immateriali immagini presenti su internet, cosa consigliarvi al fine di soddisfare tale appetito stando nei dintorni? Bene, senza far piangere esageratamente le vostre tasche, fino al 26 Giugno 2016, avrete l’enorme possibilità di respirare e di vivere i suoi capolavori riuniti, assieme a quelle del celebre Parmigianino, nella mostra sull’Arte a Parma nel Cinquecento alle Scuderie del Quirinale.“Parmigianino? E mo’ chi è questo?” Eh, mo’ aspetti il prossimo numero in uscita de LINKiostro.

Joshua De Loa

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3838 Recensioni

TITOLO: The Cabin in the Woods (lingua originale) – Quella casa nel bosco (italiano)REGISTA: Drew GoddardCAST: Kristen Connolly, Fran Kranz, Jesse Williams, Chris Hemsworth, Anna Hutchi-son, Richard Jenkins, Whitford, Brian J White, Amy Acker, Tim De Zarn, Jodelle Fer-land, Tom Lenk, Sigourney WeaverPRODOTTO DA: Joss WhedonDISTRIBUITO DA: M2 PicturesANNO: 2011

“Quella casa nel bosco” è un film horror del 2011, per la regia di Drew Goddard, già conosciuto per aver sceneggiato l’ultima stagione di “Buffy l’ammazza vampiri”.La storia si basa sui classici cliché del genere; cinque ragazzi (Dana, Jules, Marty, Holden e Curt) decidono di pas-sare qualche giorno in una graziosa casetta nel bosco. Qui cominciano ad accadere fatti insoliti: un inquietante benzinaio li avverte del pericolo a cui presto andranno incontro, porte e botole che si aprono e chiudono da sole, si vedono spaventosi quadri raffi-guranti sacrifici, oggetti misteriosi ed infine creature mostruose assetate di sangue.Sin dalle prime scene si avverte qualco-sa di anomalo: dei “burattinai” guidano gli eventi e le decisioni dei personaggi tramite uso di droghe e del subconscio portandoli al tragico epilogo, il sacrifi-cio.Si tratta di veri e propri registi, che scri-vono la trama per soddisfare un pubbli-

co, in questo caso composto da divinità malvagie e crudeli. Viene quindi mo-strato minuziosamente come si costru-isce un film, in particolare il genere horror, come si scelgano gli ingredienti (creature e personaggi) e come si amal-gamino tra di loro. In questa sorta di meta-film, i cliché sono inseriti anche per ironizzare un genere cinematografico ormai fossiliz-zato da anni sulle medesime scelte e tematiche.Tale parodia è visibile anche nella sovrapposizione di situazioni opposte, come ad esempio nei cambi di scena repentini che mostrano momenti di dolore e morte affiancati a scene che rasentano la commedia; o anche la pre-senza di oggetti e creature al di fuori del loro contesto classico-culturale, come in una delle scene finali dove i sopravvissuti (Marty e Dana) giunti nella struttura dei loro aguzzini libera-no le creature “fantastiche” lì detenute, tra cui un magnifico unicorno che ga-loppando sotto una piacevole musica

Quella casa nel bosco

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fiabesca uccide uno scienziato trapas-sandolo con il suo corno, ciò allo stesso tempo lascia attonito e diverte lo spettatore.Il mondo in cui la storia ha luogo viene descritto come in piena decadenza, un mondo dove si è anestetizzati, non c’è alcuna traccia di umanità, i giovani protagonisti vengono trattati come carne da macello, spersonalizzati, non viene mostrata dai membri dell’age-nzia che li controlla alcuna pietà né senso di colpa, arrivando al punto di creare una sorta di centro scommesse sul loro destino.Marty, descritto come un drogato complottista, è l’unico dei cinque ragazzi a capire che c’è qualcosa di sbagliato non solo nelle occorrenze che accadono loro; ma anche in quel mondo malato dove uccidere delle persone innocenti per un bene supe-

riore è diventato normale, e che questo necessita di un cambiamento: “La società ha bisogno di sgretolarsi”, dice durante il viaggio iniziale, con-cetto poi ripreso negli ultimi minuti. I dialoghi sono costruiti con una cura estrema, si collegano tra di loro crean-do una rete che va oltre i due piani narrativi (storia dei ragazzi e agenzia), richiamandosi in continuazione, cre-ando proprio quelle contrapposizioni che divertono e stupiscono lo spetta-tore.Si tratta di un film fuori dalla norma, paragonabile a una matriosca, un film nel film, una regia nella regia; per nulla scontato, capace di far sorridere, riflettere e sorprendere allo stesso tempo il suo pubblico.

E. C.

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4040 Sport

Quando Ayrton Senna entrò nel mondo della Formula Uno, nel 1984, il mondo delle corse era convinto di aver già visto tutto ciò che ci fosse da vedere. Gli occhi dei più esperti avevano già assistito alla guida precisa e meticolosa di Niki Lauda, all’eccellente visione di gara di Alain Prost; gli appassionati erano abituati alla velocità del britan-nico Jim Clark e alla straordinaria grinta di Gilles Villeneuve. Ma si sba-gliavano. Nella stagione d’esordio con la Tole-man, una macchina che non poteva certo impensierire i primi posti, nel circuito più difficile e tecnico, Monte-carlo, sotto un diluvio che porterà alla fine anticipata della corsa, Ayrton Senna disputa una delle gare più me-morabili di sempre, coronata da un secondo posto che sa tanto di <<stella nascente>>, come lo definisce Mario Poltronieri, storico commentatore Rai. Da quel giorno la carriera di Senna è segnata: tra il 1988 e il 1991 vince ben tre titoli mondiali, riuscendo a dar vita al conflitto più aspro che si ricordi in un mondiale d’auto da corsa. Il compa-gno di scuderia Alain Prost, nel Gp del Giappone del 1989, a Suzuka, chiude la strada a Senna nei giri finali, costrin-gendolo a rinunciare al titolo di quell’anno. Dal canto suo, Ayrton, che considerava la sconfitta come un’umili-

azione da riscattare al più presto, si vendicò nello stesso circuito un anno dopo, speronando il compagno france-se subito dopo lo start. <<Le corse sono fatte così, a volte terminano a sei giri dalla fine, altre subito dopo il via>> afferma Senna in modo provocatorio nel dopo gara. La Formula Uno non era mai stata tanto al centro dell’attenzi-one dei media: iniziarono a seguire la vicenda riviste d’ogni tipo, telegiornali, e anche coloro che di corse non si erano mai interessati. Ayrton Senna fu il pilota che più di tutti, per talento e carisma, fece parlare di sé. <<Ho sacri-ficato la mia esistenza alle corse fin da quando sono nato>>, diceva, <<Corre-re è il mio modo di esprimere i miei sentimenti>>. Mai banale, Ayrton Senna fece breccia nel cuore dei tifosi per il suo comportamento differente da quello degli altri piloti: spietato in pista ma generoso nella vita, dedicava ogni sua vittoria al Brasile, che sognava di liberare dalla miseria e dalla povertà. << Non puoi cambiare il mondo da solo – affermava –, ma puoi iniziare facendo del tuo meglio. Quello che faccio io non lo dirò mai, la Formula Uno è ben poca cosa in confronto a certe trage-die>>. Religiosissimo, Ayrton aiutava segretamente i bambini delle favelas e fu il primo pilota a scomodare Dio per una competizione motoristica,

Obrigado, Ayrton!

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affermando di averlo visto nella griglia di partenza della corsa che avrebbe sancito il suo primo mondiale piloti, il 30 Ottobre del 1988.Solo un destino beffardo poté fermar-lo, in Italia, nel Gran Premio di Imola del primo Maggio 1994. Alle 14:17 Senna saluta il mondo delle corse a modo suo, davanti a tutti e a 200 all’ora, esattamente quando il piantone dello sterzo della sua Wil-liams Renault, dopo una modifica a dir poco artigianale, si spezza, lasciando il pilota senza alcuna possibilità di sterzare. Il cedimento avviene durante la percorrenza della curva “Tamburel-lo”, curva velocissima da fare in sesta piena. Anche in questo caso, nono-stante la rottura, Senna dimostra il suo immenso talento: riuscendo a sca-lare dalla sesta alla terza marcia, e riducendo la velocità dell'impatto da 300 Km/h a una velocità compresa tra i 215 e 186. Lo schianto avviene in un’atmosfera surreale, di preghiere e di speranze, di sguardi terrorizzati da-vanti alla vettura distrutta dall’impa-tto. La causa della morte non fu però l’impatto contro il muro, bensì il pian-tone della sospensione anteriore che

penetrò il casco un centimetro sopra la visiera, danneggiando gravemente il cervello del pilota. Quel casco chino a bordo pista segnerà per sempre la For-mula Uno.La mancanza di una personalità come quella del brasiliano sarà sempre co-stante, ed è tutt’oggi, dopo più di vent’anni, palpabile, presente. Da quel momento poco importa di uno Schu-macher o di altri campioni. Ci sarà sempre un “ma”, un <<Senna era un’altra cosa>> come affermerà Lauda, o un <<non è più Domenica>> come canterà Cremonini, in “Marmel-lata #25”. Ayrton Senna resterà il mo-dello, il mito, un termine di paragone insostenibile per chiunque, soprattut-to per coloro che avrebbero vinto dopo di lui, davanti a una platea innamorata di un altro pilota.Quando Ayrton Senna salutò il mondo della Formula Uno nel 1994, il mondo delle corse era convinto di aver già visto tutto ciò che ci fosse da vedere. Aveva ragione. Obrigado, Ayrton!

Simone Trinca

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(…) lì la luna la chiamavano Mese. Era molto bonaria, guardava il villaggio e i campi con gli occhi sgranati e sembrava una tazza di rame pulita. Inutilmente il poeta l’avrebbe guardata con gli occhi estasiati: lei avrebbe guardato il poeta nello stesso modo ingegnoso in cui una bella ragazza di campagna con la faccia rotonda risponde agli sguardi appassionati e eloquenti di un dongiovanni di città.Oblomov

Luna della Semina. Luna del seme. Luna dei Venti. Luna dell’Aratro. Luna del Rinnova-mento. Luna di Pasqua. Luna del Vigore. Luna del Corvo. Quanti epiteti per la Luna di Marzo, la cui faccia rotonda si illuminerà per noi il giorno 23. Luce e buio trovano il loro punto d’incontro nell’Equinozio di Primave-ra, e la Natura tutta risponde al richiamo di equilibrio e di armonia: gli uccelli nidificano, gli animali si accoppiano, le prime farfalle fecondano i fiori, gli uccelli migratori fanno ritorno a casa loro.E come non aver presente l’Inno a Venere di Lucrezio? “Poiché per opera tua ogni specie di esseri animati fu concepita, e una volta nata vide la luce del sole: te, Dea, te fuggono i venti, te e il tuo giungere le nubi del cielo, sotto i tuoi passi con mutevole grazia la Terra germina fiori soavi, a te ridono le distese del mare e il cielo rasserenato sfavilla di luce infi-nita. Appena si schiude l’aspetto primaverile del giorno e disserrato s’avviva il soffio fecon-do di Zefiro, subito nell’aria gli uccelli si fanno segno di te, o Divina, e del tuo arrivo, scossi nel cuore dalla tua potenza.” A leggere questi versi pare quasi di vederla: una deflagrazione di colori, di vita, di energia che investe e stordisce e chiama a sé tutte le cose. Questo delicato passaggio avviene nel segno dei Pesci, che chiude la Ruota dello Zodiaco

ed è connesso alle origini, alla fonte spirituale da cui tutto proviene, all’inconscio. L’irrequ-ietezza, l’inafferrabilità e la sensibilità di questo segno si riflettono nella Natura che è tutta in subbuglio, in questo mese di Marzo che, con il passaggio all’ora legale, ci dà anche il vantaggio di un’ora in più di luce sottraendo un’ora al sonno. Avremo più luce per studiare, certo, ma anche per concederci preziosi mo-menti ricreativi: perché la Primavera è la sta-gione dell’espansione, della creatività, dell’allegria. In questo periodo dell’anno, gli antichi celebravano gli dei fanciulli, come Pan che significa “tutto”. Questa accezione lo lega alla foresta, all’abisso, al profondo. Il dio Pan era una divinità ellenica, mezzo uomo e mezzo capra, protettore delle greggi, della fertilità, dei pastori della foresta, della vita selvaggia. Non era connesso con valori sociali o morali, personificava l’istinto. Non a caso la Primavera è connessa al risveglio degli istinti. Vigoroso e giocoso, Pan, era l’allegro compa-gno delle Ninfe danzanti, sempre innamorato e sempre respinto a causa della bruttezza del suo aspetto. La genesi del dio Pan è contro-versa: Omero racconta che Pan era figlio di Hermes e Driope, ninfa della Quercia la quale lo rifiutò alla nascita, perché terrorizzata dal suo aspetto animalesco. Hermes però lo avvolse in una pelle di capra e lo portò al cospetto degli dei i quali lo accolsero bene-volmente perché, contrariamente al suo aspetto, Pan era gioviale e rallegrava tutti con la sua presenza. Potremmo proporci, anche noi, in accordo con il mito e in armonia con la nuova stagio-ne, di guardare oltre le apparenze di eventi e persone e addentrarci con lo sguardo oltre la corteccia, fin dentro la materia, per coglierne i frutti migliori e goderne con gioia. Buona luna a tutti.

Monia Serapiglia

Che Luna gira a… Marzo

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Monia SerapigliaSquilibrio Perfetto

Terza puntata

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La prima puntata su LINKiostro, Anno I, Numero I – Gennaio 2016; qui il link: http://bit.ly/21sAZMyLa seconda puntata su LINKiostro, Anno I, Numero II – Febbraio 2016; qui il link: http://bit.ly/1UHhjUt

Una mattina ho sentito la mano di mia madre che si avvicinava piano verso di me per scostarmi i capelli dalla fronte, toccarmi una guancia. – Se l'amor tuoha un'ombrabaciamocidi ombre –, ho mormorato con la testa sepolta sotto il cuscino.– Adesso basta, Alice –, ha detto. Ha scalzato il cuscino, mi ha avvicinato una tazza bollente. – È latte, bevi –, le tremava la voce.– Mi baciano le ombre di uno spazio immenso –, mi sentivo il tono dimesso, rotto. Mi faceva male il naso, forse aveva memoria del tubo che era servito per lavarmi dallo sto-maco la candeggina. Non l'avevo pre-meditato. Ho visto il flacone sulla lavatrice, ho svitato il tappo e mi sono attaccata. Al pronto soccorso non sono riusciti a

farmi passare la canna dalla bocca, al medico che si è avvicinato per forzar-mi i denti gli ho quasi staccato un dito. Lui ha ritirato la mano, ha urlato a un'infermiera di portargli subito del ghiaccio. Quando è tornato a occupar-si di me ho pensato: l'ho fatto arrab-biare, non mi salverà. Lui, invece, mi ha messo una mano sulla fronte per tenermi ferma la testa, ha detto: – Povera figlia, facciamo in fretta –.Mia madre si è avvicinata al mio letto, ha soffiato sul latte dentro la tazza, mi ha fatto bere. Poi tutta tenera ha allac-ciato le sue dita alle mie, se le passava sulla guancia, sulla bocca, le baciava. – Non ci posso pensare a quello che poteva succedere se non fossi entrata in bagno; se... Non ci posso pensare... –, aveva gli occhi consumati, piangeva come davanti a una morta. Eppure lo vedeva che non avevo subito danni, nel flacone non c'erano che poche gocce, non potevo morire.

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Restava il bruciore, però. Lingue di fuoco che mi strisciavano in bocca e nell'esofago senza fermezza, che da-vanti a un po' di latte caldo ripiegava-no vigliacche. – Ci voleva l'acido muriatico –, ho detto.

Non mi potevo uccidere. L'armadietto dei detersivi era chiuso con un luc-chetto, i sonniferi di mia madre erano finiti in cassaforte, mangiavamo con posate di plastica. Ero stata costretta a passare dal letto al divano. Mia madre mi sedeva accanto con il computer sulle ginocchia, gli occhi immersi nel forum di Psicologia on line: faceva ricerche sulla mia con-dizione, come la chiamava lei. Una volta era ossessione, un'altra inconsa-pevolezza, un'altra ancora assenza del senso di realtà o curiosità morbosa. La volta che mi ha diagnosticato il bisogno compulsivo di dedicarmi anima e corpo a quelli che la vita aveva voluto sfortunati o deboli o difettosi, si è presentata con un gatto. – Il figlio della portinaia lo voleva sep-pellire vivo –, ha detto mentre me lo sistemava delicatamente in grembo.Ho alzato le spalle. L'ho guardato senza interesse: di pelo nero, gli occhi ramati, superbi.A fare le fusa, non era capace. Più di tutto m'infastidiva la coda che teneva dritta mentre mi sfilava davanti. Quando gliel'ho tagliata e gli ho spun-

tato le orecchie ha sanguinato tutto il giorno, si lamentava. Se provavo a prenderlo in braccio, scappava. Lo ritrovavo dentro l'armadio, acciambel-lato con la testolina sopra un mio ma-glione, per dormire. Gli davo quello che avevo in casa, compresse di Rona-xan tritate fine in un vasetto di omoge-nizzato e Aulin sciolto nel latte; pulivo il sangue dalle orecchie a ogni ora e le coprivo con cerotti o piccole garze. Dopo qualche giorno la ferita si è rimarginata, non gli ha lasciato infe-zioni ma gli ha cambiato il carattere. Camminare storto gli sembrava nor-male, chiedeva carezze strusciando il fianco contro le caviglie. Durante la notte, quando il pensiero di Fabrizio mi tagliava la carne come una lama, a ogni mio spasmo, a ogni mio singhioz-zo, il gatto drizzava la testa e tendeva il muso. Allora io me lo prendevo sotto le coperte, gli parlavo piano dentro l'o-recchio e lui mi rispondeva con le fusa.

Dopo avermi ripulito lo stomaco con latte caldo e brodo di gallina, mia madre voleva lavarmi Fabrizio dal cuore come se anche lui fosse veleno. C'era un certo Teo, che stava per Teo-doro, secondo quanto diceva lei, aveva interesse a conoscermi. Stava nel mio stesso palazzo, abitava con gli studenti fuori sede, al primo piano. L'ho guar-data intontita, ho alzato le spalle. – Lui ti ha vista, qualche volta. Ha saputo...

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l'ambulanza l'hanno vista tutti. Da allora non perde occasione, mi chiede come stai, se ti serve qualcosa, se può venire a tenerti compagnia. È un ragazzo capace, studia legge –, ha detto pettinandomi i capelli con le sue dita, sfiorandomi la fronte, le guance, il naso con baci asciutti. –Lo chiamo e lo faccio salire. Ti fa bene se esci, se ti distrai con uno della tua età –.Ormai non le parlavo più, né con i versi di Fabrizio né con frasi fatte, l'ho fissata stando zitta.– Brava –, ha detto.A mia madre piaceva non capire. Quando è salito, questo Teo, non l'ho riconosciuto però ho cacciato un urlo: Il corpo tozzo, a piombo sul pavimen-to, mi sono venute le vertigini. Il gatto, quando ha provato ad accarezzarlo, ha inarcato il dorso, gli si è arruffato il pelo, ha soffiato, è filato in camera mia. – Alice va a cambiarsi, ci mette un attimo –, gli ha detto mia madre.– Alice viene così come sta –, ho fatto io. Mi sono infilata la giacca di jeans sopra la tuta da casa impataccata d'unto, ho stretto le fibbie degli anfibi, mi sono aggiustata i capelli con le mani.Dopo che ha aperto la portiera della macchina dalla mia parte, Teo si è fer-mato a guardarmi. Gli tremavano le mani e gli occhi. Il suo sguardo lungo, apprensivo, è scivolato sopra il mio corpo disordinato e misero. – Stai be-

nissimo –, ha detto con una voce sfia-tata, da donnetta. Al ristorante, per sbaglio, ci hanno dato un tavolo zoppo. Ogni volta che mi appoggiavo con il gomito traballa-vano le posate, il piatto e il bicchiere, dalla mia parte. Lui ha chiamato il cameriere: lo innervosiva il movimen-to. Gli ho detto – Non ti azzardare –. Ha visto i miei occhi incattivirsi e ha lasciato perdere. Ha lasciato perdere anche quando ho cominciato a piegare le posate. Qualcosa di familiare nel manico curvato del cucchiaio o nei denti divaricati e contratti della for-chetta, mi parlava del braccio o delle gambe o delle dita di Fabrizio. Ce l'a-vevo davanti agli occhi, sempre, e mi faceva male.

Ma la comunità era un guscio coria-ceo, notizie di Fabrizio non ne usciva-no. Le volte che chiamavo io, senza pietà riattaccavano subito. Il dolore non era passato, ma non piangevo più. Davanti a mia madre mi forzavo a sor-ridere a mangiare a fare stare Teo sul divano in mezzo a me e al gatto. Così, si è convinta che quell'altro mi fosse definitivamente uscito dalla testa. Avevo anche il permesso di andare fuori se mi accompagnava lui. Potevo scappare quando volevo. Invece mi facevo prendere sottobraccio, allenavo il passo a essere svelto, più deciso.Saliva quasi tutte le sere, Teo. Dopo un mese ci ho fatto l'abitudine come a un

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pezzo nuovo nell'arredamento del soggiorno. Non gli importava se non gli parlavo, se non lo guardavo. Stare seduto vicino a me lo faceva sentire fidanzato. Pensavo: prima o poi si stanca, sennò peggio per lui. Non si fiaccava: un religioso in attesa di un segno eccezionale. Ogni tanto tradiva la sua devozione silenziosa, ma gli mancava il coraggio di andare più in là di una carezza sul ginocchio, di qual-che bacio bagnato sulla guancia. Non lo scansavo, mi facevo di legno come per dirgli non mi smuovi il sangue, non vali niente. Un sabato si è presentato con una rosa blu, me l'ha offerta con una delicatez-za, con due occhi accesi, soddisfatti che sembrava chissà che dono mi facesse. – È bella come te –, ha detto mentre me la metteva in mano. – Era meglio nera o rossa, il blu mi fa schifo –, ho fatto per buttarla e m'ha punto una spina. Alla vista della goccia di sangue che si gonfiava sul dito le sue mascelle quadrate si sono contratte in una smorfia, i suoi occhi affilati hanno avuto un guizzo, –Ci penso io – ha detto. Si è preso il mio indice in mano, se l'è infilato in bocca. La sua saliva acida che lavava il mio sangue mi ha fatto orrore. Se deve essere questo, ho pensato, mi butto dalla finestra. Ho dato uno strattone alla mano, mi sono ripresa il dito. Ho riso per i nervi e il dolore.

– Vattene –, gli ho detto calma.Gli è scesa come un'ombra sulla faccia, all'improvviso sembrava un vecchio stanco, ha detto: – Ti faccio così schifo? –– Non so più come te lo devo fare capire – ho detto e ho sentito il cuore che si gonfiava lentamente, che batte-va rumoroso dentro il petto. – Hai la macchina qui sotto? – gli ho chiesto mentre stringevo forte la fibbia degli anfibi.

Le dita sul manubrio non me le senti-vo. Il mio corpo si era disintegrato in onde di energia, la mia testa era un vespaio di piani strategici. Entrare dalla porta. No. Rompere un vetro del refettorio. No. Arrampicarsi sul muro fino alla sua stanza. Sì. La strada mi si scioglieva davanti, inghiottiva le fila di alberi, la campagna, come sabbie mobili. Alla comunità sono arrivata che era già buio. Nelle stanze le luci erano spente. Ho fatto il giro della Casa e ho visto la finestra della cucina illuminata, non erano ancora le dieci. Anna e le altre donne non se ne sarebbero andate prima delle undici. Ho rifatto il giro della Casa. Ho parcheggiato sotto la sua finestra, sono scesa e ho alzato gli occhi. Ho raccolto il fiato e l'ho chia-mato. – Fabrizio –, sussurravo per non sve-gliare tutti.

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pezzo nuovo nell'arredamento del soggiorno. Non gli importava se non gli parlavo, se non lo guardavo. Stare seduto vicino a me lo faceva sentire fidanzato. Pensavo: prima o poi si stanca, sennò peggio per lui. Non si fiaccava: un religioso in attesa di un segno eccezionale. Ogni tanto tradiva la sua devozione silenziosa, ma gli mancava il coraggio di andare più in là di una carezza sul ginocchio, di qual-che bacio bagnato sulla guancia. Non lo scansavo, mi facevo di legno come per dirgli non mi smuovi il sangue, non vali niente. Un sabato si è presentato con una rosa blu, me l'ha offerta con una delicatez-za, con due occhi accesi, soddisfatti che sembrava chissà che dono mi facesse. – È bella come te –, ha detto mentre me la metteva in mano. – Era meglio nera o rossa, il blu mi fa schifo –, ho fatto per buttarla e m'ha punto una spina. Alla vista della goccia di sangue che si gonfiava sul dito le sue mascelle quadrate si sono contratte in una smorfia, i suoi occhi affilati hanno avuto un guizzo, –Ci penso io – ha detto. Si è preso il mio indice in mano, se l'è infilato in bocca. La sua saliva acida che lavava il mio sangue mi ha fatto orrore. Se deve essere questo, ho pensato, mi butto dalla finestra. Ho dato uno strattone alla mano, mi sono ripresa il dito. Ho riso per i nervi e il dolore.

– Vattene –, gli ho detto calma.Gli è scesa come un'ombra sulla faccia, all'improvviso sembrava un vecchio stanco, ha detto: – Ti faccio così schifo? –– Non so più come te lo devo fare capire – ho detto e ho sentito il cuore che si gonfiava lentamente, che batte-va rumoroso dentro il petto. – Hai la macchina qui sotto? – gli ho chiesto mentre stringevo forte la fibbia degli anfibi.

Le dita sul manubrio non me le senti-vo. Il mio corpo si era disintegrato in onde di energia, la mia testa era un vespaio di piani strategici. Entrare dalla porta. No. Rompere un vetro del refettorio. No. Arrampicarsi sul muro fino alla sua stanza. Sì. La strada mi si scioglieva davanti, inghiottiva le fila di alberi, la campagna, come sabbie mobili. Alla comunità sono arrivata che era già buio. Nelle stanze le luci erano spente. Ho fatto il giro della Casa e ho visto la finestra della cucina illuminata, non erano ancora le dieci. Anna e le altre donne non se ne sarebbero andate prima delle undici. Ho rifatto il giro della Casa. Ho parcheggiato sotto la sua finestra, sono scesa e ho alzato gli occhi. Ho raccolto il fiato e l'ho chia-mato. – Fabrizio –, sussurravo per non sve-gliare tutti.

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Poco dopo, dalla siepe è venuta fuori Anna. Il rumore del motore l'aveva insospettita o forse aveva guardato dentro la macchina, mi aveva ricono-sciuta.– Alice! –– Lui come sta? –– Se ti vedono ti denunciano –, ha detto con la voce graffiante.– Non m'importa. Lui, come sta? –Lei ha fatto una faccia strana, mi è sembrata cattiva.– Tua madre lo sa che sei qui? –– Lui come sta? –– Vado a chiamare qualcuno –, ha detto.– Lui come sta? Come sta? Come sta! –, mi sono buttata per terra davanti la porta.Lei si è chinata su di me, mi ha afferra-ta per i polsi e mi ha rialzata. Ha detto – Ha avuto un brutto attacco –, le è venuta una voce triste, dimessa. – Come: ha avuto un brutto attacco? –; ho sentito il cuore allentare il battito, le gambe cedere.Ho pensato: “Povero cuore. Che gli hanno fatto. Che è successo”. Spingevo contro il corpo duro di Anna. Pensavo solo ad entrare e riprender-melo. Ho preso il corridoio con i piedi che quasi non toccavano terra. I passi di Anna mi stavano appresso svelti e gommosi. Ma faceva fatica a starmi dietro, le sentivo il fiato pesante da vecchia. Ogni tanto i suoi passi si fer-

mavano e io acceleravo i miei per met-termi in vantaggio. Ma mi ha raggiun-to sulla porta della camera di Fabrizio e lì mi ha bloccato. Respirava affanna-ta. Aveva gli occhi spalancati, la faccia congestionata e sudata. – Dopo che te ne sei andata sono co-minciati questi attacchi –, ha detto con una voce affaticata. Mi sentivo gli occhi bagnati. Mi era esploso nel cervello come un brusio di insetti che copriva la voce di Anna. Allora mi sono concentrata sull'aper-tura larga e nera della bocca. Leggevo da lì.– Qui non poteva più stare, Alice – ha detto triste. Sembrava sincera.– Dove sta? –Ha alzato le spalle, mi ha guardata fissa, ha fatto per abbracciarmi. – È tutta colpa tua! Fammi passare! –. Mi sono liberata con uno strattone, lei mi ha di nuovo afferrata per i polsi. – È inutile, Alice. Non entrare! –– Prova a fermarmi – le ho detto con un moto di repulsione che finalmente l'ha fatta staccare e vacillare. Mi sono chiusa la porta dietro con due giri di chiave. Il letto l'ho trovato senza il bisogno di accendere la luce. Dormi-va pesante: di certo gli avevano dato qualche farmaco. Ho scalzato lenzuo-la e coperte e gli sono scivolata di fianco. Ho detto: sono venuta a ridarti l'aria, cuore. Il suo odore aveva qualcosa di nuovo, insieme al muschio gli sentivo una

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componente acida come caglio. I capelli si erano assottigliati, mi si ap-piccicavano alle dita. Ho pensato: è perché non se ne prendono cura abba-stanza. Ma ora ci sono io. Ricomincia-mo da dove abbiamo lasciato. Gli ho infilato la mano sotto la maglietta per sentirgli la pelle. Scottava. C'erano peli che non conoscevo, dal petto scendevano, in una fila aggrovigliata, verso l'ombelico. Ho pensato: è nor-male. Ho addirittura sorriso pensando alle volte che lo prendevo in giro per il suo torace glabro e lucido.A qualcuno spuntano in ritardo, ma ti cresceranno peli ricci e forti, gli giura-vo. Dovevo pensarci, invece, che al buio non si è più sicuri di niente. Qualcosa mi batteva dietro gli occhi, forte come un dolore. Bastava che allungassi la

mano, l'interruttore della luce stava sopra la spalliera del letto. Mi sono rannicchiata, invece, la mia schiena contro il suo petto. Allora lui, come un cucciolo che aderisce al corpo della madre quando se la sente vicino, si è stretto a me. La sua mano sconosciuta è caduta larga e pesante sul mio sedere che sporgeva come una piccola collina nella sua metà del letto. L'ho allonta-nato con uno scatto violento, si è spa-ventato. Ho sentito che si copriva la faccia con i gomiti. – Non ti faccio niente –, ho detto con le lacrime agli occhi. – Non è tua la colpa se ti hanno messo nel suo letto. Vedrai che lo ritrovo. –Si è fidato della mia voce e si è messo giù a dormire, ubbidiente come un bambino.

Fine

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ARIETE come ARfio MarchiniSe la vostra bellezza da fotoro-manzo porta spesso gli altri a considerarvi solo per come appa-rite e non per come siete vera-mente (sperando che non siate palazzinari), provate ad esprime-re ciò che avete davvero nel cuore. (Evitando di dedicare feste a quest’ultimo.) Splendido cielo dalla prossima settimana.

TORO come Vincenzo De LucaOroscopo: squallida pratichetta da personcina insicura, nota dis-sonante nell’inno della vita, nuvola grigia nel limpido cielo dell’esistenza. Benché la pensiate così, sappiate che da domani, con Plutone in quadratura, sono favoriti incontri importanti in ambito lavorativo. E fatelo un sorrisetto.

GEMELLI come Marchionne“I soldi non fanno la felicità” recita una famosa massima. Siete d’accordo, cari Gemelli? Se sì, non sarà poi così tremendo sapere che da martedì prossimo, con Marte retrogrado, possibili fallimenti finanziari sono alle porte. (D’altronde, non era facile trasformare in una scatola infor-me un mito come la Jeep.)

Oroscopodi Emma BiancaLuna

CANCRO come la MerkelCari cancro, la vostra improvvisa apertura verso gli altri, non serve forse a celare oscuri interessi per-sonali? Achtung: la luna in oppo-sizione porterà a galla le discre-panze tra ciò che pensate e ciò che fate.

LEONE come Er ViperettaSaturno nel segno vi fa essere vitali ed energici come non mai. Marte in sestile può portarvi però a qualche eccesso, state attenti. Ma in fondo sanno tutti che voi del Leone avete bisogno di poco per stare bene. Mi racco-mando, siate stupefacenti come al vostro solito.

VERGINE come MontezemoloOttimisti da sempre, protetti dal cosmo, nella buona e nella catti-va sorte, le stelle pagheranno per voi tutti i vostri debiti! Gli errori dell’ultimo mese saranno risuc-chiati dai buchi neri che popola-no l’universo. Siete quindi pronti a partire per una nuova, spaziale, avventura? A voi l’oro olimpico dello zodiaco.

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BILANCIA come PutinMarte, dio della guerra, è nel vostro segno da settimane. Cre-dete che questo transito abbia portato ad effetti benefici? In ogni caso, da lunedì vi toccherà fare i conti con un ostile Mercu-rio in opposizione. Le stelle con-sigliano di iniziare un corso di giardinaggio.

SCORPIONE come AlfanoLe congiunzioni astrali delle ultime due settimane favoriran-no un riavvicinamento ad un caro amico che non sentivate da tempo. La luna in quadratura può portare a eccessi di superfi-cialità. Attenzione: non fate coincidere i confini del mondo con i confini delle vostre palpe-bre.

SAGITTARIO come il Cardinal BertoneGli ottimi transiti planetari del mese faranno sì che vi si presen-tino dinanzi occasioni irripetibi-li! Venere nel segno vi parla di nuovi amori. Non lasciateli sfug-gire! Cogliete l’attimo! (Ho detto l’attimo, non l’attico.)

CAPRICORNO come la MeloniMarte nel segno vi rende instan-cabili, siete in grado di poter fare più cose contemporaneamente. Ma dalla prossima settimana, ahimé, i nuovi transiti celesti faranno diminuire le vostre sinapsi. Gli astri consigliano: provate a rilassarvi un po’. Atten-zione ai rapporti con persone dei pesci.

ACQUARIO come Maria Elena BoschiUltimamente ci sono stati pro-blemi in famiglia? Non temete, cari Acquario: un amico speciale, come un cherubino, vi tenderà la mano dall’alto dei cieli per ripor-tarvi allo splendore di sempre. Consiglio degli astri: guardare il film di Robin Hood, quello che ruba ai poveri per dare ai ricchi… era così, no?

PESCI come BertolasoCari Pesci, il transito di Mercurio in IV casa vi porta a parlare a sproposito: per evitare spiacevoli discussioni in campo lavorativo, provate a contare fino a dieci prima di aprire bocca. (Se siete Bertolaso, contate anche fino a mille). Attenzione ai rapporti con persone del Capricorno.

Page 52: LINKiostro - Marzo 2016 - Anno I, Numero III

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