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Publius - per un'alternativa europea. Numero 11, Maggio-Luglio 2012. Giornale degli studenti dell'Università di Pavia.
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pag.1 EditorialePublius
pag.2 Nobel a Obama?Giulia Spiaggi
pag.4 Compendio del politico europeo (part II)
Davide Negri
pag.5 Il nuovo governo tedesco e il “nodo di Gordio”
Luca Lionello
pag.6 Storiche elezioni in Giappone
Gabriele Felice Mascherpa
PubliusPer un’Alternativa Europea
Confederazione dei giornali universitari pavesi Numero 11 - Maggio/Luglio 2012
distribuzione gratuita
Giornale degli studentidell’Università di Pavia.
Informazione, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi
e di domani
Le prese di posizione sull’av-‐venire dell’Europa che si sus-‐seguono sempre più rapida-‐mente in questi ultimi mesi, e che iniziano ad entrare nei dettagli riguardo alla necessi-‐tà di realizzare profonde ri-‐forme politiche a livello eu-‐ropeo, dimostrano che, a li-‐vello degli esponenti più con-‐sapevoli della classe politica, si sta prendendo coscienza dell’urgenza di tali riforme. Anche nel corso del vertice italo-‐tedesco svoltosi a Roma lo scorso 13 marzo, la cancel-‐liera Merkel, in particolare, non ha mancato di sottoli-‐neare come serva ormai mol-‐ta più unità politica in Europa per poter completare l’unio-‐ne monetaria ed economica. E anche il presidente del Consiglio Monti, durante la
conferenza stampa, nel sotto-‐lineare l’importanza del nuo-‐vo trattato, il cosiddetto Eiscal compact, ha ricordato la ne-‐cessità che l’Unione europea lavori insieme per riavviare la crescita economica e raf-‐forzare l’unione Eiscale in modo da aumentare la com-‐petitività dei paesi dell’ euro-‐zona sui mercati mondiali. Tutto questo però non è an-‐cora sufEiciente. Se la Eirma del Eiscal compact e del trat-‐tato che istituisce il nuovo Meccanismo europeo di sta-‐bilità ha anche un profondo signiEicato politico nell’indi-‐care la necessità che l’Europa non sia solo mercato, ma sia anche un’unione di bilancio, un sistema di regole per i mercati Einanziari, una co-‐munità di solidarietà (e su
questo è avvenuta la rottura con la Gran Bretagna, apren-‐do Einalmente la via alla co-‐siddetta “Europa a due velo-‐cità” che è condizione indi-‐spensabile per una sempre maggiore integrazione tra i paesi dell’eurozona), ciò non toglie che questi due accordi non vadano minimamente a sanare il deEicit democratico, che è una delle ragioni fon-‐damentali della paralisi delle istituzioni europee. Non ba-‐sta quindi evocare la necessi-‐tà che l’Europa diventi un attore globale, capace di tor-‐nare a giocare un ruolo poli-‐tico sul piano mondiale in-‐sieme agli USA e alla Cina, né è sufEiciente parlare dell’esi-‐genza della crescita e del raf-‐
Indice
pag.1 EditorialePublius
pag.2 L’Europa e il Medio-‐Oriente
Gabriele Felice Mascherpa
pag.4 Fiscal Compact: limiti e potenzialità
Giulia Spiaggi
pag.5 La nuova politica di difesa americana e le ripercussioni sull’Europa
Francesco Violi
pag.7 La Grecia: tra crisi e risposte insufGicienti.
Maria Vittoria Lochi
>> fondo pag. 2
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La Siria brucia e inEiamma la comunità internazionale. Quello che può apparire come una sanguinosa crisi interna è in realtà il tassello di un complesso scena-‐rio che mette in campo interessi globali e potenze di rango mondiale. E la prova del nove delle crisi nord africana e medio orientale rivela ancora una volta l’incon-‐sistenza dell’Europa, il bluff dell’“inte-‐resse comune europeo”, fondato sulla pretesa volontà di espandere la sfera della pace e dei diritti, che resta una Eina-‐lità dichiarata e non perseguita.
In questa sede non vogliamo tanto inda-‐gare le cause che hanno portato il com-‐plesso mosaico di quarantasette tra etnie e gruppi religiosi della Siria a far esplo-‐dere una sanguinosa guerra civile, in cui l’unico scopo comune dei diversi gruppi politici in lotta sembra l’abbattimento del regime baathista di Bashar Assad (regime che un tempo fu faro ideologico di un panarabismo sociale, e che ora è degenerato a mera autocrazia). Piutto-‐sto, vogliamo cercare di capire le conse-‐guenze di questa crisi sui delicati equili-‐bri globali e della regione. La posizione geopolitica della Siria è infatti centrale nel Grande Medio Oriente, a diretto con-‐tatto con la Turchia (e quindi con la Na-‐to), il Libano (porta commerciale dell’area), l’Iraq (ridotto a satellite statunitense ma che riveste un forte interes-‐se per il vicino Iran), e non da ultimo Israele. La Turchia, allontanatasi la pro-‐spettiva dell’integrazione europea e ta-‐gliati repentinamente i ponti con Israele dopo gli incidenti della Freedom Flottilla
nel 2010, si trova nella possibilità di giocare il ruolo di pivot della regione, contando sul retaggio culturale ottoma-‐no, su di un’economia Elorida e su forze armate ben organizzate. L’Iran, che ha sempre supportato i gruppi sciiti siriani e libanesi, tra cui Hezbollah, vero Stato nello Stato, può sfruttare la pressione internazionale sulla Siria per accrescere la propria inEluenza. Israele, d’altra par-‐te, persi gli alleati più prossimi, si ritrova a dover affrontare le minacce iraniane (minacce di distruzione che, è bene spe-‐
ciEicare, sono recipro-‐che), cercando soluzioni al proprio dilemma della sicurezza che spaziano dall’idea paranoica di
potersi isolare rispetto alle minacce esterne, al rischio calcolato di un inter-‐vento contro i siti nucleari iraniani.
Da una prospettiva più ampia, la que-‐stione siriana coinvolge però anche atto-‐
ri di rango globale, segnatamente la Rus-‐sia, la Cina e gli Stati Uniti. In questa otti-‐ca, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che dovrebbe fungere da camera di compen-‐sazione rispetto ai diversi interessi delle potenze globali e costituire la sede della loro ricomposizione, assumendo il ruolo di garante della pace e della sicurezza internazionale, dimostra tutti i suoi limi-‐ti; esso, infatti, resta lacerato tra due vi-‐sioni contrapposte, quella di forum di una comunità mondiale di Stati uguali e indipendenti (concezione un tempo tan-‐to cara al gruppo dei paesi non allineati e ora fatta propria dai governi russo e ci-‐nese) e la visione post wilsoniana ameri-‐cana e britannica, che mira ad usarlo come strumento per la sostituzione, o la spinta all’evoluzione, dei regimi “scomo-‐di” in senso democratico. Quest’ultima posizione, oltre ad essere difEicilmente percorribile, si è rivelata nell’esperienza
L’Europa e il Medio-Oriente
forzamento dell’unità politica, senza in-‐dicare concretamente come realizzarli. Come ha recentemente ribadito anche il Presidente Napolitano, la questione da affrontare è ormai: come trasformare l’eurozona, e i paesi che lo vogliono, in una vera unione federale sul piano poli-‐tico ed economico (salvando l’euro, ma conservando le “diversità” dei singoli
Stati e mantenendo l’autogoverno in tutte materie di carattere nazionale)? Come armonizzare la coesistenza di que-‐sto ambito federale all’interno della più vasta Unione europea? Che trasforma-‐zioni istituzionali servono a questo pro-‐posito? E che metodo è più adeguato? Sicuramente, per realizzare la democra-‐zia a livello europeo serve una procedura costituente che coinvolga i cittadini e
costringa le forze politiche a dibatterne e a schierarsi. Per questo è importante che i giovani, il cui futuro è così profonda-‐mente legato agli esiti del processo eu-‐ropeo, siano i primi a raccogliere la sEida e a reclamare davanti alle istituzioni, ai partiti, ai mezzi di d informazione la Fe-‐derazione europea e la democrazia eu-‐ropea, subito!
Publius
da pag. 1
>> pag. 3
La posizione geopolitica della Siria è centrale nel Grande Medio Oriente.
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concreta quanto meno è ipocrita, e in seguito al declino della leadership ame-‐ricana viene ormai contestata sempre più apertamente. Ciò che Russia e Cina non possono accettare, infatti, è l’idea di interve-‐nire nella sfera di sovrani-‐tà dello Stato siriano. Si tratta di una strenua dife-‐sa della sovranità formale e sostanziale legata ai timori dell’effetto di eventuali forze cen-‐trifughe nelle aree periferiche e poten-‐zialmente instabili dei due Stati-‐conti-‐nente. Se si accetta l’idea che una forza d’opposizione politica interna possa es-‐sere riconosciuta dalla comunità inter-‐nazionale come governo di uno Stato in sostituzione del legittimo (per quanto brutale) titolare, perché la stessa situa-‐zione non potrebbe ripetersi con un go-‐vernatore ribelle di una provincia cauca-‐sica o centro asiatica? Il ministro degli Esteri russo Lavrov ha eloquentemente dichiarato che la Russia non avrebbe fomentato una guerra civile e che nessun leader sano di mente deporrebbe le armi a seguito di una risoluzione ONU mentre vi sono gruppi ribelli armati nel proprio territorio.
Per quanto riguarda l’Unione europea, rispetto a questa contrapposizione, emerge chiaramente la contraddizione tra la volontà dichiarata di ergersi a pa-‐ladino del soft power e di promuovere i diritti umani, e la politica post coloniale perseguita da alcuni Stati dell’Unione, che risulta quanto meno anacronistica
data la dimensione del quadro e degli attori in gioco. Ad esempio, il 1° dicem-‐bre 2011 il Consiglio dell’Unione euro-‐pea ha proibito l’esportazione verso la
Siria di sistemi e soft-‐ware destinati al con-‐trollo di internet e delle comunicazioni telefo-‐niche. Eppure questi sistemi, molto apprez-‐zati dai regimi del Nord
Africa nel recente passato, sono com-‐mercializzati proprio da aziende ameri-‐cane ed europee (tra le quali la francese Bull che ha venduto tramite una control-‐lata il servizio di spionaggio telefonico al regime di GheddaEi, o la francese Qosmos che forniva centraline di controllo al re-‐gime siriano o l’italiana Area Spa ). Inol-‐tre, La vendita di armi nella regione è sempre stato un lucroso affare per le aziende (spesso a partecipazione statale) europee.
La contraddizione risulta ancora più marcata se si pensa a Francia e Germa-‐nia, Stati intimamente e necessariamente legati nella gestione della crisi della mo-‐neta unica (al punto da arrivare di fatto a svolgere il ruolo di supplenti del governo economico dell’eurozona), ma che perse-‐guono politiche estere “nazionali” diver-‐genti: la prima incentrata sui legami con il mondo mediterraneo e le ex colonie africane, la seconda incentrata sulla vi-‐sione di sé stessa come leader nell’Euro-‐pa centro orientale. Anche la gestione dei negoziati sul nucleare iraniano negli scorsi anni dimostra come una questione
che investe direttamente l’interesse di tutti i cittadini europei (la proliferazione nucleare) sia stata affrontata in maniera frammentaria da alcuni dei maggiori Sta-‐ti dell’Unione sulla base della tradiziona-‐le, per quanto ormai superata dai fatti, logica di potenza.
La domanda che bisogna porsi, tuttavia, non è quanto sia coerente la politica del-‐l’Europa, ma piuttosto se e come sia pos-‐sibile attuare una politica estera europea che non sia la somma di politiche estere nazionali e contradditorie. L’effetto di questa cacofonia di interessi e poteri, infatti, determina la mancanza di un grande polo di stabilità che potrebbe essere in grado di colmare il vuoto di potere nell’area mediorientale. La divi-‐sione degli europei in Stati nazionali ormai superati dalla storia e l’assenza di un potere politico europeo capace di ela-‐borare una grand strategy per l’area me-‐diorientale e nordafricana, impedisce interventi razionali e di ampio respiro, che non siano condizionati dai piccoli interessi contingenti. L’ignavia dei go-‐verni europei impedisce dunque non solo la promozione di quei valori di cui si dichiarano portatori, ma anche la stabi-‐lizzazione della regione del Grande Me-‐dio Oriente, teatro di uno scontro tra grandi potenze mondiali, mentre i regimi locali implodono senza essere sostituiti da governi più democratici e lungimi-‐ranti, e si concretizza il rischio della guerra.
Gabriele Felice Mascherpa
Scheda personaggio - Luciano BolisNato a Milano nel 1918, Luciano Bolis iniziò a fre-‐quentare gli ambienti antifascisti presso la nostra Uni-‐versità di Pavia, dove si laureò in Lettere e FilosoHia. La sua attività antifascista, attraverso soprattutto la di-‐stribuzione di opere vietate e volantini, lo portò ad essere incarcerato dal 1941 al 1943. Liberato, si recò esule in Svizzera, e qui instaurò i primi fondamentali rapporti con i promotori del Movimento federalista europeo, tra i quali vi erano Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Attraverso i suoi contatti con Ferruccio Parri, storico dei leader del Partito d’Azione (cui Bolis si era iscritto nel 1942), ricevette l’incarico di recarsi a Ge-‐nova per coordinare i gruppi partigiani liguri di Giu-‐stizia e Libertà. Fu fermato, come sospetto, il 6 febbraio 1945, dai fascisti genovesi. Temendo di non riuscire a sopportare oltre le tor-‐ture che gli venivano inHlitte e di correre il rischio di tradire i com-‐pagni di lotta, tentò il suicidio tagliandosi le vene dei polsi e la caro-‐tide e lacerandosi, tra l’altro, le corde vocali. Portato in ospedale, fu fatto evadere dai partigiani. Nel dopoguerra ricoprì incarichi im-‐portanti sia nel Partito d’Azione che nel Movimento Federalista Eu-‐
ropeo, continuando la sua battaglia per la libertà e la Fe-‐derazione europea. Nel 1964 divenne funzionario presso il Consiglio d’Europa di Strasburgo, e, terminato l’incarico, rientrò a Roma nel 1978, dove continuò il suo impegno politico e federalista. Verso la Hine degli anni Ottanta costi-‐tuì la "Fondazione Europea Luciano Bolis" con l’obiettivo di approfondire la teoria del federalismo e avviare una riHlessione sui problemi della pace nel mondo e promuove-‐re studi e ricerche riguardanti la storia del processo di uniHicazione europea. Alla sua morte, sopraggiunta a Roma nel 1993, gli fu dedi-‐cata una targa nel luogo dove fu arrestato dai fascisti che recita:
Luciano Bolis 1918-‐1993In questa piazza, il 6 febbraio 1945
fu arrestato dai fascisti.Torturato tentò il suicidio per nonrivelare i nomi dei compagni.
Dedicò la vita alla causa della pace e dell’Unità europea.
Ciò che Russia e Cina non possono accettare è l’idea di intervenire nella sfera di sovranità dello
Stato siriano.
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Fiscal Compact: limiti e potenzialitàIl Fiscal compact, noto anche come pat-‐to di bilancio, è stato Eirmato il 2 marzo dagli Stati dell'Unione europea ad ecce-‐zione del Regno Unito e della Repubbli-‐ca Ceca, ed entrerà in vigore il 1º gen-‐naio 2013, se almeno dodici membri della zona euro l'avranno ratiEicato. I tempi relativamente brevi in cui il trat-‐tato è stato Eirmato riElettono la situa-‐zione precaria in cui si trova l'Unione e la necessità di attuare nuove politiche. La volontaria esclusione di due paesi e l'abbandono del principio dell'unanimi-‐tà sancisce l'abbandono del metodo co-‐munitario che ha guidato il processo di integrazione Eino ad ora e che prevede l'accordo tra tutti i paesi membri per le decisioni principali. Inoltre il trattato riconosce l'esistenza di due velocità di integrazione in Europa, in cui i paesi della zona euro oltre che la moneta condividono maggiori responsabilità nella soluzione della crisi.
Il trattato contiene una serie di regole, vincolanti ai Eini del rispetto dell'equili-‐brio di bilancio, che riguardano la stabi-‐lità, il coordinamento e la governance dell'Unione economica e monetaria. Tra i punti principali c’è l'impegno ad avere bilanci pubblici in equilibrio, o meglio ancora positivi al netto del ciclo econo-‐mico, in cui il deEicit strutturale non deve superare lo 0,5% del Pil mentre per i Paesi il cui debito è inferiore al 60% del Pil il limite è l'1%. Inoltre ogni Stato deve garantire correzioni automa-‐tiche quando non raggiunge gli obiettivi di bilancio concordati ed è obbligato ad agire con scadenze determinate. Come previsto dal Patto di stabilità e crescita il deEicit pubblico dovrà essere mante-‐nuto sotto al 3% del Pil, in caso contra-‐rio scatteranno sanzioni semi-‐automati-‐che. Inoltre, dovranno essere inserite nuove norme nella legislazione naziona-‐le, preferibilmente sotto la forma di leg-‐gi di tipo costituzionale. La Corte euro-‐pea di giustizia veriEicherà la trasposi-‐zione del trattato nelle leggi nazionali dei paesi che lo applicheranno. In caso
di inadempienze uno Stato potrebbe essere deferito alla Corte e incorrere in una sanzione pari allo 0,1% del Pil.
Sul piano istituzionale, sono previsti due vertici l’anno dei leader dei paesi che utilizzano l'euro (e che hanno ratiEi-‐cato il nuovo trattato), mentre gli altri paesi che sottoscriveranno il trattato, ma che non avranno ancora adottato l’euro, verranno invitati ad almeno uno dei due. Fino ad ora il trattato è stato ratiEicato da Grecia, Portogallo e Slove-‐nia. I recenti sviluppi politici hanno messo in discussione la ratiEica del trat-‐tato in alcuni paesi come l'Olanda in cui è caduto il governo o l'Irlanda dove è previsto un referendum in merito il 31 maggio. I sostenitori del trattato hanno ragione nel dire che, in caso di bocciatu-‐ra, l'Irlanda non potrebbe più accedere al Fondo salva-‐Stati e andrebbe in de-‐fault. Ma il ministro delle Finanze tede-‐sco Schaeuble si è detto certo che l'ac-‐cordo verrà ratiEicato da tutti i paesi sottoscrittori. Intanto in Francia il trat-‐tato è diventato oggetto di discussione già in campagna elettorale infatti il so-‐cialista Hollande, neo eletto presidente ha detto di volerlo rinegoziare in quan-‐to è incentrato sull'auste-‐rità mentre occorre dare spazio alla crescita eco-‐nomica. Una proposta che ha incontrato l'oppo-‐sizione della Germania che non intende affrontare modiEiche al trattato a breve termine.
Non sono solo i politici a criticare i ter-‐mini del patto; anche molti economisti, soprattutto di scuola keynesiana, non sono d'accordo sui vincoli imposti dal Fiscal compact. Recentemente vari premi Nobel tra cui Kenneth Arrow e Peter Diamond hanno affermato che l'inserimenton nella Costituzione del vincolo di pareggio del bilancio rappre-‐senta una pessima scelta politica, men-‐tre aggiungere ulteriori restrizioni qua-‐le un tetto rigido della spesa pubblica avrebbe effetti negativi in caso di reces-‐
sione. Infatti nei momenti di difEicoltà diminuisce il gettito Eiscale e aumentano spese quali i sussidi di disoccupazione, cioè gli ammortizzatori sociali che limi-‐tano la contrazione del reddito disponi-‐bile e del potere di acquisto. Nell'attuale fase dell'economia gli ingenti tagli alla spesa pubblica e gli incrementi della pressione Eiscale necessari per raggiun-‐gere il pareggio di bilancio Einirebbero per danneggiare una ripresa già di per sé debole. Invece l'economista e premio Nobel Paul Krugman ritiene che l'inse-‐rimento in Costituzione del vincolo di pareggio del bilancio possa portare alla dissoluzione del Welfare state.
Oltre alla mancanza di misure per sti-‐molare la crescita il problema principa-‐le del trattato è che lascia insoluto il problema della sovranità; infatti si basa ancora sull'accordo tra governi naziona-‐li, anche se in un gruppo più ristretto. Si tratta quindi di un meccanismo che non è basato su principi democratici; per questo i governi più forti riescono ad avere un ruolo egemone, in particolare Germania e Francia. Questo alimenta il malcontento in paesi come la Grecia che si vedono imporre misure di austerità
che rischiano di depri-‐mere u l t e r iormente l'economia. Per superare il deEicit democratico i paesi dell'eurogruppo dovrebbero costituire il
nucleo di uno stato federale competente per le questioni monetarie e Eiscali. Questa responsabilità ricade soprattut-‐to su Francia e Germania, che dovrebbe-‐ro avviare questo processo per lanciare una nuova fase di integrazione e di cre-‐scita per l'Europa,ma anche sull’Italia, che ha sempre vauto un ruolo propulso-‐re sul paino dell’integrazione politica ed istituzionale e la cui assenza, ancora oggi, su questi temi, pesa negativamente sulla possibile evoluzione del quadro europeo.
Giulia Spiaggi
Il problema del trattato è che lascia insoluto il problema
della sovranità.
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La nuova politica di difesa di Obama:le ripercussioni sull’Europa
Il taglio di 487 miliardi di dollari nel-‐l’arco dei prossimi dieci anni, recente-‐mente deciso dal Pentagono -‐ e stre-‐nuamente difeso da Obama, mentre è ferocemente criticato dalla maggioranza dei membri del partito repubblicano -‐ è un evento che segna un cambiamento importante nella storia recente della difesa americana. I tagli, che non saranno immediati, ma cominceranno a partire dal 2013, pre-‐vedono il ridimensionamento dalle at-‐tuali 570.000 unità a 490.000 nell’arco di cinque anni, mentre il numero dei marines calerà anch’esso dalle attuali 200.000 unità a 182.000; inoltre si pre-‐vede il rinvio di alcune grandi commes-‐se militari.Panetta, segretario alla difesa, ha an-‐nunciato che il Pentagono chiederà al congresso 525 miliardi di dollari per l’anno 2013, 6 in meno rispetto all’at-‐tuale budget. La spesa destinata alle operazioni belliche, esclusa dal bilancio militare di base, passerà da 115 miliardi a 88 miliardi, anche sulla scia del ritiro delle truppe americane dall’Iraq e dal-‐l’Afghanistan. Nel complesso, da qui al 2017, le spese annuali, pur aumentando (il Pentagono spenderà ogni anno una cifra che arriverà ad un picco di 567 miliardi di dollari nel 2017), saliranno meno di quanto non indicassero le pre-‐cedenti previsioni, che stimavano nel 2017 un bilancio annuale di 622 miliar-‐di di dollari. Quindi, non si tratta di cer-‐to di un’inversione di tendenza, quanto piuttosto del rallentamento di un trend comunque crescente. Nel 2001, prima dell’11 settembre, le spese militari per l’anno cor-‐rente ammontavano a 297 miliardi di dollari. Nel gennaio 2009, al debutto della presiden-‐za di Obama queste invece ammontavano a 513. In termini reali, il budget annuale per la difesa è raddoppiato progressivamente nel corso di otto anni. Complessivamen-‐te, il piano di tagli proposto, prevede un “rallentamento” del trend, con il conse-‐guente risparmio di 487 miliardi di dol-‐lari, spalmati su 10 anni. Nel prossimo quinquennio, il risparmio che si vuole conseguire sarà, cumulativamente, di 259 miliardi di dollari. Il pentagono non
ha tuttavia fornito dettagli, su come il taglio dovrà essere raggiunto, anche se dalle parole di Obama, emerge la volon-‐tà di utilizzare questi tagli come volano per rivedere Ein dalle fondamenta le priorità della difesa statunitense, un impegno Obama aveva già avviato Ein dal momento della sua elezione.
Il progetto di Obama e le nuove s6ideIl principale obiettivo di Obama è quello di aprire una nuova fase nella difesa USA. Le attuali dimensioni della difesa, in termini di budget e di uomini impie-‐gati, sono innegabilmente dovute al-‐l’impegno americano in Afghanistan ed
in Iraq. Conse-‐guentemente, il ritiro da questi due scenari bel-‐lici rende neces-‐sario un riequi-‐librio delle ri-‐sorse, soprattut-‐to in termini di impiego di sol-‐dati e di spesa in termini reali.
In sintesi, la difesa americana che con-‐cepisce Obama non può rimanere foca-‐lizzata solo sulla capacità di sostenere due guerre contemporaneamente. Le due lunghe guerre in Iraq ed in Afghani-‐stan sono state costosissime non solo in termini di Einanza pubblica e di vite umane, ma anche in termini di perdita di prestigio e di logoramento dell’appa-‐rato bellico statunitense. La nuova dife-‐
sa, che Obama vuole entro il 2020, do-‐vrà essere agile, Elessibile, basata su un arsenale di elevatissimo livello tecnolo-‐gico e legata ai propri alleati da un rap-‐porto di leale collaborazione reciproca. Inoltre, coerentemente con gli impegni di riduzione della proliferazione nuclea-‐re, anche l’arsenale nucleare statuniten-‐se verrà ridimensionato, mentre verrà data maggiore importanza agli investi-‐menti in termini di difesa missilistica, di guerra cibernetica, di sorveglianza e di intelligence.Tuttavia, la principale novità riguarda proprio come quei tagli verranno distri-‐buiti a livello di dispiegamento interna-‐zionale. Sulla base della Defense Strate-‐gic Guidance, se la stretta collaborazio-‐ne con i paesi europei all’interno della cornice della NATO rimane un punto fermo nella politica estera americana, è prevista la riduzione delle truppe statu-‐nitensi sul suolo europeo, Eino ad un numero non superiore alle 30.000 unità, a cui si afEiancherà un progressivo au-‐mento della presenza militare nel Sud-‐Est asiatico. Considerata oramai un con-‐tinente paciEicato, lontana da possibili scenari di crisi, l’Europa è sempre meno al centro dell’attenzione per l’ammini-‐strazione Obama. Nonostante le recenti frizioni con Putin e l’annuncio di que-‐st’ultimo di lanciare un nuovo pro-‐gramma d’investimenti bellici, la Russia non è più considerata una minaccia co-‐me in passato e nonostante le recenti crisi nel Mediterraneo, questo non è considerato come fonte di tensioni de-‐
I tagli prevedono il ridimensionamento delle attuali 570.000 unità a
490.000, il numero di marines calerà dalle attuali 200.000 unità a 182.000. La spesa destinata alle operazioni belliche passerà da 115 miliardi a 88 miliardi.
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stabilizzanti per la sicurezza mondiale. L’Unione europea sarà quindi chiamata a svolgere un ruolo di crescente importan-‐za nella stabilizzazione del suo vicinato e potrà contare sempre di meno sulla sponda americana. La nuova arena mondiale, potenziale scenario per nuovi conElitti, è invece il Sud-‐Est asiatico, dove il peso della Cina continua a crescere. Solo per l’anno 2012, il governo della Repubblica Popo-‐lare ha disposto un incremento delle spese per la difesa dell’11,2%. L’aumento del peso e degli investimenti militari ci-‐nesi, sta inoltre portando ad una nuova corsa agli armamenti un tutta l’area. L’India infatti, il principale competitor della Cina nell’area, ha anch’essa annun-‐ciato un aumento delle proprie spese per la difesa, che cresceranno per l’anno 2012 ad addirittura del 17% rispetto all’anno scorso. Aumenti della spesa mi-‐litare sono stati annunciati anche da altri governi dell’area, in primis il Giappone, la Corea del Sud e Taiwan. Lo scenario in Asia resta molto teso. La pace nel conti-‐nente asiatico è sempre più pros-‐sima ad uno stato di tregua perma-‐nente. Potenzial-‐mente, dal momen-‐to in cui l’egemo-‐nia statunitense su l l ’ a rea v i ene messa in discus-‐sione, l’Estremo Oriente potrebbe rivelarsi lo scena-‐rio più instabile e più pericoloso per la sicurezza mondiale. Proprio per questa ragione, l’obiettivo degli Stati Uniti nel-‐l’area è continuare a detenere il controllo dei cosiddetti spazi comuni e rafforzare una strategia di containment nei con-‐fronti della Cina, considerata da tutti i
report del Pentagono come il principale contendente al ruolo di potenza egemonica degli Stati Uniti.Nel breve periodo, il Golfo persico rimane lo scenario che più impensierisce Oba-‐ma. La tensione fra Israele ed Iran non è mai stata così alta e si moltiplicano le voci di un intervento israeliano entro la Eine dell’anno. Oba-‐ma vuole ad ogni costo evi-‐tare il veriEicarsi di questa possibilità, e soprattutto intende evitare che gli Stati Uniti vengano trascinati in un possibile conElitto contro l’Iran, a meno che un’even-‐tuale provocazione iraniana, quale il blocco totale dello
stretto di Hormuz, non lo renda necessa-‐rio. Questa guerra avrebbe costi elevatis-‐simi non solo in termini di vite umane, ma anche politici, creando scenari im-‐prevedibili. Sicuramente porterebbe an-‐che ad un aumento esponenziale del prezzo degli idrocarburi, che sarebbe letale per la fragile ripresa economica mondiale. Inoltre, sEiancherebbe ulte-‐riormente le Einanze americane, rende-‐rebbe impossibile effettuare i tagli previ-‐sti ed al contrario porterebbe ad un ulte-‐riore aumento nella spesa militare.
Quale ruolo per l’Europa nella nuova politica di difesa americana?Dallo scenario descritto, emerge chiara-‐mente che l’Unione europea sarà chiama-‐ta nei prossimi anni a ricoprire un mag-‐giore ruolo per garantire la sicurezza internazionale. Sia politicamente sia Ei-‐nanziariamente, è diventato insostenibi-‐le per i contribuenti americani continua-‐re a pagare per la difesa di entrambe le sponde dell’Atlantico, soprattutto in un
momento storico in cui la nuova strategia america-‐na richiede una maggiore presenza nel PaciEico. Obama punta chiaramente ad emancipare gli europei dall’egida americana ed è nei sui piani l’opzione di avere un’Europa responsabile della propria difesa ma
alleata, e non concorrente, agli Stati Uniti nel garantire la difesa mondiale. L’obiet-‐tivo di Obama è un’Europa forte ma Eilo-‐americana, in linea con la tradizione del-‐la politica estera statunitense a partire da Roosevelt, e diversa sia dalla dottrina neocon di Bush, che voleva un’Europa
divisa ed essenzialmente succube degli USA, sia dalla dottrina neogaullista di Chirac, che voleva un’Europa forte ma concorrente agli Stati Uniti sullo scenario mondiale. La storia ha mostrato la falla-‐cia di entrambe queste due utime dottri-‐ne. Un’Europa completamente succube degli Stati Uniti è infatti un costo che Washington non può, né vuole, più con-‐tinuare a sostenere, mentre l’evoluzione dei rapporti economici internazionali e delle spese militari nel mondo, dimo-‐strano che l’Unione europea non è nelle condizioni di sostituirsi agli Stati Uniti come potenza egemonica, ma può con-‐tribuire, su una condizione di parità con gli altri partner mondiali, a scrivere un nuovo capitolo nella storia di un nuovo ordine multilaterale della sicurezza mondiale.E’ quindi venuto il momento, per gli eu-‐ropei, di cominciare ad assumersi le pro-‐prie responsabilità e a prendere coscien-‐za dei rischi che la loro divisione com-‐porta. Mantenendo ciascuno la propria politica nazionale sovrana, si scontre-‐ranno con il fatto che la priorità non sarà più solo quella di continuare a Einanziare lo Stato sociale, ma che la spesa per la difesa potrebbe cominciare a pesare sempre di più sui bilanci di ogni Stato e conseguentemente sulle tasche dei citta-‐dini. In questa prospettiva, occorre riElet-‐tere attentamente non solo sulla quantità della spesa, ma soprattutto sull’efEicacia e l’efEiciente allocazione di quest’ultima. Allo stato attuale, l’Unione europea sa-‐rebbe, aggregando i dati dei ventisette paesi membri, il secondo “paese” al mondo per spese militari. Secondo gli ultimi dati disponibili, i paese dell’Unio-‐ne europea nel loro complesso hanno speso poco più di 194 miliardi di Euro nel 2010, e pari all’1,61% del PIL com-‐plessivamente. A livello di cifre assolute, un fantomatico esercito UE (sempre ag-‐gregando i dati di tutti i paesi membri) sarebbe il secondo al mondo, contando 1.695.122 uomini di personale attivo, 2.614.491 riservisti e 755.034 uomini di personale paramilitare. Inoltre, dei 194 miliardi spesi, solo 44 miliardi sono ri-‐servati alla voce “Ricerca e Sviluppo”, il più delle volte dispersi nella duplicazio-‐ne di progetti simili fra paesi membri, mentre 100 miliardi, quindi più della metà del totale, sono impiegati in spese di personale. I mali più gravi che afElig-‐gono la difesa europea sono quindi la polverizzazione e la duplicazione di pro-‐getti, funzioni, strutture e reparti milita-‐ri. La dispersione di risorse dovuta al mantenimento dei vari eserciti nazionali è il principale tributo che i contribuenti europei pagano ad uno sciovinismo ob-‐soleto.
Francesco Violi
Per i contribuenti americani è diventato insostenibile pagare per la difesa di entrambe le sponde dell’atlantico. E’ nei
piani di Obama avere un’Europa responsabile della propria difesa ma alleata agli
Stati Uniti nel garantire la difesa mondiale.
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La crisi che sta colpendo la Grecia da ormai tre anni ha in realtà origini pro-‐fonde radicate nelle istituzioni e nelle caratteristiche del paese. Basti pensare che si stima che un terzo della popola-‐zione greca sia dipendente statale, con le ovvie conseguenze: ad esempio alcuni dipartimenti dell’amministrazione pub-‐blica arrivano a contare cinquanta auti-‐sti per ogni auto blu. Oppure, il principa-‐le ospedale di Atene ha assunto ben qua-‐rantacinque giardinieri; mentre ci sono 40.000 pensioni di mille euro al mese erogate sulla base del solo, ed esclusivo, titolo di essere Eiglie nubili di funzionari statali defunti. Esistono inoltre seicento categorie di lavoratori che vanno in pen-‐sione a 55 anni a causa della loro profes-‐sione logorante: inclusi parrucchieri, musicisti di strumenti a Eiato e presenta-‐tori televisivi. Oppure, ancora, poiché spetta al coniuge rimasto in vita comu-‐nicare all’ente competente di iniziare ad erogare la pensione di reversibilità al posto di quella percepita direttamente dal defunto, sembra che in Grecia ci sia-‐no ben novemila ultracentenari che per-‐cepiscono la pensione.Come si sta intervenendo su questa si-‐tuazione, chiaramente insostenibile, che si accompagna anche a tassi di corruzio-‐ne tra i più elevati in assoluto?Da un lato ci sono gli interventi dal-‐l’esterno a sostegno del debito greco, per evitare un default del paese, la cui lunga e tormentata storia è molto signi-‐Eicativa. Dopo il primo downgrading su-‐bito dalla Grecia all’inizio del 2010 da parte delle agenzie di rating internazio-‐nali, nel maggio dello stesso anno è stato predisposto, da parte dei paesi membri della zona euro, un pacchetto di 110 miliardi di euro di aiuti da spalmare in
tre anni. L’intervento si è dimostrato insufEiciente, non essendo riuscito a calmare i mercati, che hanno continuato a non credere né che la Grecia potesse risanare la propria situazione, né che i partner europei fossero disponibili a proseguire nel loro sostegno; tanto che nel 2011 Atene ha subito un ulteriore taglio del rating che ha portato il debito ellenico a essere considerato un inve-‐stimento a rischio altamente speculati-‐vo, costringendo il governo greco (anche sotto la spinta dalle pressioni dell’Unione europea e del Fondo monetario interna-‐zionale) ad effettuare altri tagli per 6,5 mi-‐liardi di euro e ingen-‐ti privatizzazioni, al Eine di ricavare nuovi fondi. Nel frattempo la crisi, ovviamente, ha avuto pesantissimi riElessi anche sulla situazione occupazionale, con un tasso di disoccupazione che ha raggiunto il 15,9%. E il paese è entrato in una pesan-‐te recessione. Nei mesi successivi, dopo l’approvazione da parte del parlamento ellenico di un ulteriore nuovo piano di austerità (che impone al paese tagli per 28 miliardi di euro entro il 2015), l’Unione europea ha dato il via libera alle nuove tranche d’aiuti per tutto il 2011. Ma nel settem-‐bre del 2011, dopo un ennesimo aggra-‐varsi dell’attacco speculativo dei merca-‐ti, il governo greco è stato costretto a varare un’ulteriore manovra, tassando gli immobili allo scopo di recuperare 2,5 miliardi di euro da usare come garanzia
per poter ottenere una nuova tranche d’aiuti pari a otto miliardi di euro. Ma neppure questa manovra si è rivelata sufEiciente, e nello stesso mese il gover-‐no ha dovuto varare una nuova, dram-‐matica Einanziaria che prevede un ulte-‐riore taglio alle pensioni, la messa in mobilità di 30.000 dipendenti statali già dal 2011 e il prolungamento della pre-‐cedente tassa sugli immobili Eino al 2014.Tutto questo non ha restituito ai mercati
nessuna Eiducia nei confronti della Gre-‐cia: all’inizio di que-‐st’anno, l’agenzia di rating Fitch dava ormai per certo il default della Grecia. Dalla Germania, uno dei paesi più espo-‐
sto al debito greco, veniva addirittura una proposta (riEiutata, ovviamente, con grande sdegno) di commissariare il pae-‐se, afEidando alla Commissione europea il compito di stabilire gli interventi ne-‐cessari per sbloccare la situazione. An-‐cora in febbraio l’ipotesi del default sembrava inevitabile, visto che i partiti politici non riuscivano a trovare un ac-‐cordo per procedere ai nuovi tagli alla spesa pubblica necessari come garanzia per ottenere l’aiuto economico da parte della troika (BCE, FMI e UE) attraverso un prestito di 130 miliardi di euro ne-‐cessari per rimborsare i bond in scaden-‐za a marzo. La crisi politica è stata drammatica, ed è stata sbloccata con grande fatica dalla nascita di un nuovo governo di unità nazionale che ha permesso al parlamen-‐
La Grecia: tra crisi e risposte insufficienti
Come si sta intervenendo su questa situazione,
chiaramente insostenibile, che si accompagna anche a tassi di corruzione tra i più
elevati in assoluto?
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to greco di votare un ennesimo piano di austerità. Nel frattempo, però, l’indigna-‐zione della popolazione ellenica è sfocia-‐ta in una violenta protesta di piazza, con numerosi e gravi episodi di guerriglia, di attacchi contro la polizia, di devastazioni e di incendi di banche e negozi. E pertan-‐to, nonostante l’approvazione da parte dell’Eurogruppo di una nuova tranche di aiuti, che sembrava aver momentanea-‐mente scongiurato il fallimento greco, Starndard&Poor’s ha rivisto nuovamen-‐te al ribasso il rating greco portando la valutazione a default selettivo (SD) – ultimo passaggio prima del default vero e proprio. Era questa, soprattutto, la risposta dei mercati al negoziato, in di-‐rittura di arrivo, sulla ristrutturazione del debito greco, che penalizzava gli in-‐vestitori privati (riducendo ad un terzo il valore dei bond ellenici) ma che per-‐metteva di abbassare drasticamente il valore del debito greco.
In questo momento, in cui i mercati sembrano in attesa di capire gli ulteriori sviluppi, e in cui l’ondata di attacchi sul-‐l’eurozona è momentaneamente meno forte (anche in seguito alla sottoscrizio-‐ne dei due nuovi trattati per l’eurozona, il Eiscal compact e il nuo-‐vo Meccanismo europeo di stabilità), restano la pesantissima situazione dell’economia reale e la grave crisi politica. Non esiste infatti alcun accor-‐do solido tra i partiti poli-‐tici per far fronte comune alle problematiche della crisi; le forze politiche sono lacerate da un profonda spaccatura che ha portato alla frammen-‐tazione del sistema politico, portando il numero dei partiti da cinque a nove (che dovranno essere tutti rappresentati in parlamento dopo le prossime elezioni) ed a un malcontento della popolazione
che dichiara di vedere la propria situa-‐zione Einanziaria peggiorata del 60% in un anno.In tutto ciò, la grande rilevanza del qua-‐dro europeo è evidente, ma lo è anche la sua insufEicienza. Nonostante il 14 mar-‐
zo ci sia stato il via libero deEini-‐tivo al secondo piano salva-‐Gre-‐cia e ai 130 mi-‐liardi di aiuti, la situazione del p a e s e ( c o m e quella irlandese e
portoghese) continua non solo ad essere drammatica, ma anche a costituire una fonte di contagio per tutta l’eurozona. La debolezza di qualsiasi paese dell’area euro si riversa infatti sull’intero sistema (persino su Francia e Germania, che, nel caso speciEico della Grecia, detengono rispettivamente 53 e 34 miliardi del de-‐bito sovrano greco: è stato di conse-‐guenza calcolato quanto siano dramma-‐ticamente esposte ad un possibile de-‐fault di Atene): è quindi l’effetto a cate-‐na, dato dalla profonda interdipendenza dei membri dell’unione monetaria, che costituisce l’elemento di rischio e fragili-‐tà per tutti.La ragione è principalmente dovuta alla mancanza di una politica economica e Eiscale comune all’interno dell’eurozona in grado di attutire le divergenze tra i diversi membri e garantire le risorse necessarie per il sistema nel suo insie-‐me. La crisi greca è dunque, innanzitut-‐to, la catastroEica evidenza del fallimento degli Stati nazionali europei di fronte ad una crisi mondiale. Mai come ora si sen-‐te la necessità di un’unione politica ed economica forte e concreta quale quella che potrebbe essere garantita da una federazione europea..
Maria Vittoria Lochi
La crisi greca è dunque, innanzitutto, la catastrofica evidenza del fallimento degli
Stati nazionali europei di fronte ad una crisi mondiale.
Publius - Per un’alternativa europeaNumero 11 - Maggio/Luglio 2012
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Direttore responsabile: Laura FilippiRedazione: Nelson Belloni, Federico Butti, Martina Cattaneo, Laura Filippi, Giacomo Ganzu, Gianmaria Giannini, Luca Lionello, Maria Vittoria Lochi, Gabriele Mascherpa, Laura Massocchi, Davide Negri, Matilde Oppizzi, Carlo Maria Palermo, Gilberto Pelosi, Giovanni Salpietro, Giulia Spiaggi, Francesco Violi.Stampato presso: Tipografia P.I.M.E Editrice S.r.l
Puoi trovare Publius, oltre ai vari angoli dell’Università, anche presso: bar interno facoltà di Ingegneria, bar facoltà di Economia, mensa Cravino, sala studio San Tommaso, bacheca A.C.E.R.S.A.T cortile delle statue.
Periodico trimestrale degli studenti dell’Università di Pavia. Informazioni, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi e di domani.Registrazione n. 705 del Registro della Stampa Periodica - Autorizzazione del tribu-nale di Pavia del 19 Maggio 2009
Iniziativa realizzata con il contributo della Commissione A.C.E.R.S.A.T dell’Univer-sità di Pavia nell’ambito del programma per la promozione delle attività culturali e ricreative degli studenti.Distribuito con licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
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