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Publius - per un'alternativa europea. Numero 15, Maggio / Settembre 2013. Giornale degli studenti dell'Università di Pavia
PubliusPer un’Alternativa Europea
Confederazione dei giornali universitari pavesi Numero 15 - Maggio/Settembre 2013
distribuzione gratuita
Giornale degli studentidell’Università di Pavia.
Informazione, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi
e di domani
È ormai riconosciuto da tutti che il vero problema che af5ligge la zona euro è la debolezza delle istitu-‐zioni di governo di cui è dotata e che af5inché l’Eu-‐ropa torni a crescere e ad essere competitiva sulla scena mondiale è necessa-‐rio consolidare l’unione monetaria con le quattro unioni (bancaria, politica, 5iscale ed economica); è altrettanto evidente che la ragione per cui non si pro-‐cede speditamente in que-‐sta direzione è perché manca la volontà politica per farlo. E’ in questa otti-‐ca che vanno valutate le recenti, importanti, aper-‐ture sia da parte del nuovo governo in Italia, sia da parte del presidente Hol-‐lande. Fino a poche setti-‐mane fa, erano infatti solo la cancelliera Merkel e il ministro Schaeuble a ri-‐chiamare la necessità di sciogliere il nodo del-‐
l’unione politica per com-‐pletare l’unione monetaria e a porre la questione della condivisione della sovrani-‐tà come condizione neces-‐saria per una piena solida-‐rietà all’interno dell’euro-‐zona. Oggi, invece, Enrico Letta ha ricordato, sia nei suoi discorsi di fronte al Parlamento italiano sia nei colloqui con la cancelliera Angela Merkel, il presiden-‐te François Hollande ed i responsabili delle istitu-‐zioni europee, l’esigenza di uno sbocco federale per l’Unione economica e mo-‐netaria. E Hollande (ed è la prima volta che in Francia succede) ha affermato di voler raccogliere la s5ida tedesca per la realizzazio-‐ne dell’unione politica, po-‐nendo anche il termine temporale di due anni “qualunque siano i governi in carica”. Purtroppo, le dif5icoltà nel districare il groviglio giu-‐
ridico-‐istituzionale che impedisce il governo della moneta e morti5ica la legit-‐timità democratica in Eu-‐ropa, sono note. La più complessa riguarda l’esi-‐genza di conciliare i rap-‐porti all’interno dell’Unio-‐ne tra la Gran Bretagna (e gli altri paesi non euro) e l’eurozona che dovrebbe dotarsi di proprie istitu-‐zioni federali di governo. E’ proprio questa, pertan-‐to, la s5ida che bisogna avere il coraggio di affron-‐tare e nei confronti della quale i partiti politici e le istituzioni nazionali ed europee dovranno schie-‐rarsi in vista delle prossi-‐me scadenze, coinvolgen-‐do i cittadini in un dibatti-‐to costituente europeo. Illudersi che sia ancora possibile rinviare signi5i-‐cherebbe accettare la di-‐sgregazione dell’Europa e la 5ine dei suoi valori di civiltà.
Indice
pag.1 EditorialePublius
pag.2 Perchè è così necessaria l’unione bancaria europea, ma è così dif9icile farla
Anna CostaMaria Vittoria Lochi
pag.4 E’ rinato il motore franco-‐tedesco?
Nelson Belloni
pag.5 I movimenti sociali e la crisi dell’impegno politico in Europa
Claudio FilippiGiulia Spiaggi
pag.7 SOS MercosurDavide Negri
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L’unione bancaria è uno dei quattro pila-‐stri della politica 5inanziaria dell’euro, insieme a quello 5iscale, economico e politico.Tutto parte dalla necessità di salvaguar-‐dare la moneta, che è il vincolo di unione più forte tra i 17 paesi.L’unione bancaria ha già delle scadenze precise. Perchè necessaria? A che cosa serve? Come funzionerà? Chi si oppone e perché?
Perchè necessaria?La crisi dal 2007 a oggi, ha messo in luce la cattiva gestione del settore 5inanziario a livello mondiale, derivante dalle libera-‐lizzazioni eccessive partite già dagli anni Ottanta e continuate nei decenni succes-‐sivi.Molti fanno risalire i guasti del sistema all’abolizione del Glass-‐Steagall Act, una legge introdotta da Roosevelt a salva-‐guardia del risparmio negli USA dopo la crisi del ‘29 che stabiliva, come scrive l’economista premio Nobel Joseph E. Sti-‐glitz nel suo libro Bancarotta, “una netta distinzione tra banche commerciali (che prestano denaro) dalle banche di inve-‐stimenti (che organizzano la vendita di obbligazioni e azioni)”. Essa prevedeva inoltre di “fare in modo che le persone incaricate di custodire il denaro del co-‐
mune cittadino nelle banche commerciali non intraprendessero attività rischiose come quelle delle banche di investimen-‐to”. Abolendo questa legge il sistema bancario aveva, dunque, aggirato una serie di norme volte a assicurare un si-‐stema 5inanziario sicuro e solido.Anche l’economista olandese Dirk Beze-‐mer aveva rilevato che l’era del credito facile e della deregolamentazione aveva creato un grandissimo divario tra 5inanziamento delle imprese dell’econo-‐mia reale e 5inanziamento bancario, mettendo in ri-‐salto come i 5inanziamenti delle banche in qualche modo erano stati in gran parte assorbiti dalle ban-‐che stesse. In particolare negli USA il sistema 5inanziario, nel suo complesso, aveva ottenuto nel 2007 più dell’80% dei capitali prestati alle banche, contro il 60% del 1980. Tali 5inanzia-‐menti avevano alimentato la nascita dei prodotti 5inanziari, i derivati, basati an-‐che sui prodotti immobiliari, che davano grande ed immediata redditività, a fron-‐te, però, di gravi rischi. I prestiti di ban-‐che ad altre banche, che erano stati gros-‐so modo costanti 5ino al 1980, da quel-‐l’anno 5ino al 2007 sono quasi triplicati
negli USA, arrivando a toccare la dimen-‐sione di 5,8 volte il PIL.Tutto ciò ha prodotto una grande distor-‐sione nel funzionamento dell’economia, facendo crescere a dismisura il peso del settore bancario anche in Europa, dove esiste una moneta, ma non esistono mec-‐canismi di controllo e di stabilizzazione continentaliE sono proprio questo gran disordine e
questo divario dimensionale che determinano la necessità di un controllo e di una disci-‐plina.
A che cosa serve?Le banche europee dopo la crisi sono state salvate dall’in-‐tervento degli Stati che però, soprattutto nei paesi più debo-‐
li, hanno visto aumentare il loro già forte debito.Il legame banche-‐debiti degli Stati è, in effetti, uno degli elementi fondamentali per comprendere la complessità di que-‐sti problemi.Le banche, che erano sorte in Europa per 5inanziare le guerre dei principi e dei re e per 5inanziare i bisogni dei cittadini, so-‐no diventate bene5iciarie di aiuti in cui lo Stato è prestatore in ultima istanza. Esempio rilevante è stato l’aiuto dei go-‐
Perchè è così necessaria l’unione bancaria europea, ma è così difficile farla
L’unione bancaria è uno dei quattro pi-lastri della politica
finanziaria dell’euro, insieme a quello fi-scale, economico e
politico
Scheda personaggio - Lionel RobbinsLionel Robbins fu un economista britannico (1898-‐1984). La formazione accademica di Robbins è riconducibile alla scuola margina-‐lista, teoria economica che individua nel be-‐ne5icio marginale l’origine della diversità dei prezzi dei beni. Per via della sua formazione liberale classica, egli fu inizialmente un ac-‐ceso oppositore di Keynes e della sua teoria generale. Tuttavia, successivamente Robbins divenne anch’egli un sostenitore dell’inter-‐vento pubblico in economia. A differenza di Keynes, Robbins individuava nell’ordine economico internazionale l’origine dei pro-‐blemi dell’economia contemporanea e con-‐seguentemente, sosteneva che nessun go-‐verno nazionale poteva essere in grado di per sé di condurre politiche economiche ef5i-‐cienti per un’economia le cui dimensioni diventavano sem-‐pre più mondiali. Da qui la necessità di governi sovranazio-‐nali in grado di affrontare i problemi dell’economia interna-‐zionale. Fu docente alla London School of Economics and Political Sciences dal 1929, istituto che contribuì a far cre-‐scere in termini di prestigio e produzione scienti5ica nel cor-‐so della sua lunga carriera.
Tra le sue frasi più celebri: “Se il mondo fosse stato uni0icato in un solo Stato federale, è indubbio che sarebbero so-‐pravvissuti problemi bancari della massima importanza. Ma possiamo affermare, quasi a colpo sicuro, che tra di essi non vi sarebbe stato posto per il «problema» del trasferimen-‐to e dell’equilibrio tra paese e paese nella forma in cui lo conosciamo.”“In uno Stato mondiale, con una moneta mondiale, alcuni paesi potrebbero trovarsi di fronte a gravi dif0icoltà 0inanziarie. Certe banche locali potrebbero accordare un credi-‐to eccessivo e fallire. Produttori locali potreb-‐bero soffrire di tali diminuzioni nella doman-‐da per i loro prodotti da trovarsi nell’impossi-‐bilità di pagare i debiti che hanno verso i loro
creditori stranieri. Ma non si veri0icherà mai un abbandono della base monetaria internazionale, né un crollo dell’unità monetaria internazionale. Nulla di tutto ciò accadrebbe se non fosse per l’intervento degli Stati sovrani indipendenti… “ [Lio-‐nel Robbins, “L’economia piani0icata e l’ordine internazionale, trad. ital., Milano, 1948, pp 180 e 182]
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verni americani e europei alle banche nella grande depressione degli anni tren-‐ta e gli aiuti concessi in occasione di que-‐st’ultima crisi.Il fatto che i gruppi bancari sia diventati colossi transnazionali rende ancora più dif5icile il compito degli Stati nazionali europei per intervenire a salvarli, sia per l’onere insostenibile, che per il fatto che non essendo istituti solo nazionali non rientrano tra gli interventi giusti5icabili agli occhi dei propri cittadini.Nello stesso tempo esiste un altro lega-‐me tra Stati e banche: le banche di di-‐mensione europea hanno infatti effettua-‐to molti investimenti in titoli del debito pubblico di molti paesi della zona euro e sono quindi fortemente interessate al fatto che questi non vadano in bancarot-‐ta.Da qui la necessità di attivare un sistema di sorveglianza attraverso la BCE e di riordinare il settore 5inanziario.
Come funzionerà? Poiché l’obiettivo è rendere convergenti le condizioni di 5inanziamento delle ban-‐che nei diversi paesi, la Commissione europea e i paesi dell’eurozona hanno
convenuto che l’unione bancaria poggi su tre fondamentali meccanismi: • il primo è la supervisione unica che
dà il potere alla BCE di monitorare le circa 6000 banche dell’Unione. In realtà la BCE si occuperà solo della sorveglianza di quelle banche, circa 200, il cui bilancio supera i 30 mi-‐liardi di euro. Le altre saranno sog-‐gette al controllo delle autorità ban-‐carie nazionali. Questa supervisione europea inizierà dal 2014;
• il secondo è che il MES ( il nuovo fondo salva stati) ricapitalizzi diret-‐tamente le banche in dif5icoltà, che ora sono aiutate a livello nazionale, con aggravio dei relativi bilanci degli Stati;
• il terzo riguarda l’attivazione di una sorta di garanzia europea sui deposi-‐ti bancari per favorire la 5iducia dei risparmiatori e dell’intero sistema;
Chi si oppone alla realizzazione del-‐l’unione bancaria e perché?Mentre la decisione sulla supervisione è già avviata, ci sono riserve su come capi-‐talizzare le banche in crisi e sull’istitu-‐zione dei fondi di garanzia. Questo per-‐chè, come scrive Edwin Le Héron nel suo libro A quoi sert la Banque centrale eu-‐
ropéenne?, ciò presupporrebbe la crea-‐zione di un sistema politico di tipo fede-‐rale, un’autorità soprannazionale politica garante. Non deve stupire dunque che le obiezioni vengano soprattutto dalla Germania e dall’Olanda, decise a limitare l’accesso delle banche ai fondi del MES, sapendo che le perdite che potrebbero veri5icarsi su questo meccanismo, che permette di indebitarsi sui mercati 5i-‐nanziari, si riverserebbe sugli Stati più solidi della zona euro. Punto molto controverso resta in propo-‐sito quello sulle condizioni dell’interven-‐to, in particolare sulla presa in carico dei debiti contratti anteriormente all’entrata in vigore della supervisione bancaria unica. A questo proposito la Germania non vuole impegnarsi su un rischio non misurabile ex ante, dato che essa è il primo azionista della BCE e del MES.Ecco perché è impensabile realizzare l’unione bancaria senza avviare anche la creazione di un potere politico a livello di zona euro, che preveda un trasferimento di sovranità dagli Stati membri alla fede-‐razione europea nei campi indispensabili a gestire la moneta, la 5inanza e l’econo-‐mia su scala continentale.
Anna CostaMaria Vittoria Lochi
da pag. 2
Il rapporto tra la cancelliera Merkel ed il presidente Hollande è stato interpretato da molti giornalisti e dagli stessi esponenti del mondo politico come un confronto tra destra e sinistra (più precisamente tra austerità e crescita), impersonato da due leader che rappresentano sia forze politiche sia paesi diversi. Pochissimi hanno invece evidenziato come la Germania si sia dichiarata pronta a creare l'unione politica europea, mentre la Francia, per l’eurozona, ha continuato a sostenere la prospettiva intergovernativa.La visione francese è confermata anche dal documento redatto dal PS durante la Convention Europe du Parti socialiste, l’aprile scorso. Il testo comincia con buone ri5lessioni sul passato e buoni propositi per il futuro: richiama l'idea del progetto europeo come progetto di pace, il modello economico europeo come modello per il mondo e propone che la Francia si impegni per affrontare a livello europeo le grandi s5ide: quella ecologica, quella demogra5ica, quella politica e quella tecnologica. Ma i limiti del documento emergono non appena
gli estensori iniziano a sostenere che per affrontare i problemi in Europa bisogna prima risolvere quelli in patria, senza voler prendere atto del fatto che la recessione francese, così come le dif5icoltà a livello industriale del paese, non si possono superare in un singolo paese con politiche nazionali. Basti pensare alla questione della competitività: grazie soprattutto al vantaggio demogra5ico, unitamente ormai allo sviluppo tecnologico, la Cina può mantenere il costo del lavoro mensile molto più basso di quello francese e a l tempo stesso conquistare fette sempre più ampie nei settori industriali di gamma superiore; non può essere certo la polit ica industriale francese lo strumento per affrontare questa dif5icilissima s5ida, né può bastare la politica estera francese a far valere i diritti dei lavoratori francesi a fronte di una Cina sempre più potente.Un ulteriore aspetto criticabile di questo documento è il tentativo di trasformare
la crisi economica e politica in una contrapposizione tra destra e sinistra, e di voler interpretare da questa angolatura molti momenti del processo di integrazione europea. Si ritiene, nel
E’ rinato il motore franco-tedesco?
>> pag.4
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testo, che tutte le cariche delle istituzioni europee siano di destra, che molti Capi di Stato e di governo fossero di destra durante la crisi e che di destra sia oggi la Merkel, anche quando avanza proposte per far evolvere i l processo di integrazione. L'intera visione europea è pensata impropriamente sulla base di categorie nazionali, anche quando si ipotizza la nascita di un grande partito socialista europeo, senza mai tenere in considerazione il fatto che questa possibilità è legata alla nascita di un potere statale europeo; solo in una vera federazione potranno infatti svilupparsi la dialettica e il dibattito politico (e di conseguenza le organizzazioni politiche) secondo i canoni della democrazia, mentre in un contesto sostanzialmente confederale come quello attuale de5inito dal Trattato di Lisbona il quadro politico determinante rimane quello nazionale, ed è per questo che è ancora a questo livello che si sviluppano il confronto, la formazione del consenso e le stesse forze politiche.L'idea che l'Europa attuale, ancora non democratica, sia già un terreno adeguato per sviluppare politiche comuni è confermato da varie proposte, che non sono concepite in modo strumentale per aprire la via ad avanzamenti sul terreno sovranazionale, ma sono considerate degli obiettivi in sé: è in questa ottica che v iene concepito l 'uso del le cooperazioni rafforzate per la Tassa
s u l l e t r a n s a z i o n i 5inanziarie (la cosiddetta Tobin Tax), oppure il rafforzamento della BEI e l ' i s t i t u z i o n e d i u n a comunità europea per l'energia, sempre a trattati invariati. Al tempo stesso viene anche giustamente ricordata come battaglia cruciale quella per i l r a f f o r z a m e n t o d e l l ' e u r o z o n a , e s i preferisce accantonare il dibattito sulle votazioni a maggioranza piuttosto che all'unanimità in seno al C o n s i g l i o e u r o p e o , privilegiando invece la questione dell'integrazione differenziata e sostenendo l'istituzione di un bilancio ad hoc de l l ' eurozona 5inanziato con risorse proprie (al contrario di quello dell'Unione europea a ventisette in cui sono i singoli governi a versare i fondi). Ma l'idea politica di fondo rimane comunque ancorata all’ipotesi che una
maggiore integrazione sia possibile senza modi5icare i trattati esistenti (nonostante la proposta del bilancio dell'eurozona implichi in realtà una modi5ica dei trattati); ed è sulla base di questa idea che vengono criticate duramente sia la Merkel che la Corte c o s t i t u z i ona l e t e de s c a quando sostengono che per realizzare il R e d e m p t i o n F u n d ( o s s i a l a mutualizzazione parziale del debito) bisogna superare il de5icit di legittimità democratica del livello europeo.Un punto che si ritrova più volte nel d o c umen t o è a n c h e l a c r i t i c a all'austerità, intesa come una politica che una Germania virtuosa cerca di i m p o r r e a i p a e s i d e l l ’ E u r o p a meridionale. Mai, pertanto, si prende in considerazione il fatto che sono proprio i limiti dell'Unione europea come è attualmente costituita che impediscono di fare politiche comuni diverse da quelle del rigore dei conti pubblici, e che quindi per fare politiche europee di crescita e sviluppo serve innanzitutto l’unione politica. Nel complesso lo spirito del documento si può riassumere in una frase presente proprio nel testo, che recita: “l'amicizia franco-‐tedesca non è l'amicizia tra la Merkel e la Francia”, e il futuro dell'Europa dipende quindi dai risultati delle elezioni tedesche. Di fatto, l’effetto più positivo prodotto da
questo documento dei socialisti francesi è, paradossalmente, proprio quello di aver suscitato reazioni critiche molto forti, soprattutto nella stessa Francia. Tra le principali personalità che hanno preso posizione denunciando i toni eccessivi del documento si elencano infatti non solo il presidente del Parlamento europeo e socialdemocratico tedesco Martin Schulz e il ministro tedesco degli esteri Westerwelle, ma anche il primo ministro francese Jean-‐Marc Ayrault e, soprattutto, Hollande stesso, anche se indirettamente, quando i l 16 magg io s i è p ronunc ia to accogliendo (ed è la prima volta che un capo di Stato francese lo fa) la proposta tedesca di marciare verso l'unione politica, aggiungendo addirittura l’indicazione della scadenza, 5issata nei prossimi due anni. Il presidente ha voluto sottolineare quattro punti: l’esigenza di un governo dell'eurozona che si riunisca ogni mese, quella dell'uso dei fondi del bilancio europeo a favore dei giovani e a sostegno delle politiche per l'impiego, quella dell'istituzione di una comunità europea dell'energia per affrontare le s5ide del nuovo modello di sviluppo sostenibile e quella di un budget ad hoc per l'eurozona.E’ stata sicuramente l’evoluzione del quadro politico ed economico europeo a rendere possibile un discorso così innovativo. Da un lato il fatto che i dati macroeconomici hanno ormai mostrato che la Francia è entrata in recessione, assestando così un duro colpo al paese, che si somma alle criticità del sistema industriale evidenziate già dal Rapporto Gallois; e preoccupando la classe dirigente francese al punto da spingerla negli ultimi mesi a prendere in considerazione livelli di integrazione che portino al superamento della sovranità nazionale. Dall'altro lato i risultati delle elezioni italiane, che hanno portato ad un governo che impedisce di riproporre l’antistorica dicotomia tra destra e sinistra e che non può certo spalleggiare la Francia in una battaglia politica di questo tipo contro la Germania della CDU. Viceversa, il progetto politico su cui si fonda il governo guidato da Letta sembra fortemente orientato nella direzione della realizzazione degli Stati Uniti d'Europa e a trovare su questo punto gli elementi di convergenza con la Germania.Sembra quindi aprirsi una nuova possibilità per la battaglia federalista in Europa, nel momento in cui su questa prospettiva sembrano poter convergere Francia, Germania e Italia.
Nelson Belloni
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I movimenti sociali e la crisi dell’impegno politico in Europa
Il Forum mondiale dei movimenti socia-‐li si è concluso il 30 marzo 2013 con una dichiarazione in cui sono riassunti i punti della piattaforma strategica co-‐mune. Il documento de5inisce gli ambiti in cui i movimenti intendono concentra-‐re la loro azione:• nell’ambito dell’economia e della
5inanza globalizzate, contro le mul-‐tinazionali e le organizzazioni in-‐ternazionali (FMI, BM, OMC);
• sul tema dell’accesso e della gestio-‐ne delle risorse naturali, contro l’attuale sistema di produzione, di-‐stribuzione e consumo e per la so-‐vranità alimentare;
• contro ogni forma di violenza sulle donne e i traf5ici di persone;
• nell’ambito dei rapporti internazio-‐nali, contro l’attivismo delle poten-‐ze mondiali, motivato dal “falso di-‐scorso in difesa dei diritti umani e della lotta contro gli integralismi” e in favore dell’autodeterminazione e della solidarietà tra i popoli;
• per la “democratizzazione dei mezzi di comunicazione di massa e per la costruzione di media alternativi”.
I movimenti sociali si sono riuniti nella città in cui sono cominciate le proteste della “Primavera araba”, per difendere con forza il movimento popolare che ha sconvolto il Nord-‐Africa, e che “ha con-‐tagiato tutti i continenti del mondo ge-‐nerando processi di indignazione e di occupazione delle pubbliche piazze”.In effetti la globalizzazione, e a maggior ragione in questa fase di crisi economi-‐
ca e 5inanziaria che sta colpendo tutto il mondo, ha ridato vigore ai movimenti che agiscono al di fuori del quadro isti-‐tuzionale e propugnano cambiamenti radicali delle istituzioni economiche e sociali in nome dei valori della giustizia sociale, della pace, della democrazia e della libertà dei popoli.Sotto questo aspetto i mo-‐vimenti globali di oggi ri-‐chiamano i movimenti so-‐ciali e politici che hanno occupato la scena a partire dall’Ottocento e per tutto il secolo scorso. Questi mo-‐vimenti storici, e gli ideali che li hanno caratterizzati, hanno giocato un ruolo im-‐portante nell’emancipare e unire gli uomini all’interno degli Stati. La diffe-‐renza maggiore, rispetto a d oggi, è do-‐vuta al fatto che essi, agendo in un pe-‐riodo storico in cui la dimensione delle relazioni economiche e sociali non ave-‐va ancora raggiunto il livello globale, hanno potuto porre in secondo piano le istanze universalistiche, che pure costi-‐tuivano un aspetto essenziale dei valori che propugnavano, e stabilire uno stret-‐to rapporto con i movimenti nazionali che in quello stesso periodo si stavano diffondendo in tutto il mondo. Il fatto di agire all’interno di un quadro statuale adeguato rispetto all’interdipendenza sociale, economica e politica del tempo, con l’obiettivo di farne evolvere il regi-‐me, ha reso questi movimenti straordi-‐nariamente ef5icaci.
Il legame tra il na-‐zionalismo e i mo-‐vimenti liberale, socialista e demo-‐cratico (incluso quello paci5ista) è entrato in crisi in Europa già all’ini-‐zio del secolo scor-‐so con la prima guerra mondiale (che ha reso evi-‐dente l’incompati-‐bilità del naziona-‐
lismo con il paci5ismo) e con il fascismo, sintomo drammatico del fatto che gli Stati nazionali non riuscivano più a con-‐ciliare le istituzioni e la vita democrati-‐che con la seconda rivoluzione indu-‐striale, che richiedeva una dimensione continentale dei mercati e delle istitu-‐zioni statali.
In questo modo, l’inade-‐guatezza del quadro sta-‐tuale nazionale rispetto al livello effettivo di interdi-‐pendenza ormai raggiun-‐to, ha minato la vita dei partiti politici che, pur essendo stati uno stru-‐mento ef5icace per l’af-‐fermazione a livello na-‐
zionale dei valori democratici e di giu-‐stizia sociale, si sono dimostrati inadatti a portare avanti la battaglia per la crea-‐zione di un potere statuale sovranazio-‐nale democratico e quindi a portare oltre i con5ini nazionali la lotta per l’emancipazione degli uomini, a causa del loro ruolo di organizzatori del con-‐senso nell’ambito delle comunità nazio-‐nali. Distaccandosi dalle motivazioni profonde che animano l’impegno politi-‐co degli individui, i partiti sono pertanto andati incontro ad un processo, lungo ma inesorabile, di corruzione che ha coinvolto gli ideali stessi che ne stanno alla base.I movimenti sociali sono anche il frutto di questa situazione di crisi della politi-‐ca nazionale. Ma se da una parte essi traggono alimento da quelle istanze di giustizia sociale e di pace che non tro-‐vano più nei partiti degli strumenti ef5i-‐caci di affermazione, tuttavia sono tra i sostenitori più intransigenti del diritto dei popoli alla loro sovranità e non ri-‐conoscono in genere la necessità di isti-‐tuzioni sovranazionali la cui autorità nei settori a loro assegnati stia al di sopra degli Stati.Per questo da un lato contestano i go-‐verni delle potenze mondiali, le istitu-‐zioni internazionali e le grandi corpora-‐tion, 5ino a spingersi, in alcuni casi, ad una critica radicale degli assetti econo-‐
Il problema centrale che il mondo ci im-pone oggi di risolve-re è la contrapposi-zione tra l’estensio-ne delle comunità
sociali e le istituzioni politiche.
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mici e politici mondiali; tuttavia, quando cercano con le loro azioni di incidere sulla realtà concreta, non sono in grado di proporre istituzioni alternative a quelle nazionali e a quelle internazionali create per promuovere la cooperazione internazionale, ma che hanno nella so-‐vranità esclusiva degli Stati la fonte della loro legittimità e del loro potere.Analogamente, il programma dei movi-‐menti sociali, pur dando espressione ad esigenze reali, non riesce ad essere con-‐vincente perché, al pari di quelli dei par-‐titi, non sa dare una risposta ef5icace ai problemi dello sviluppo dei paesi più deboli e dell’utilizzo sostenibile delle risorse naturali. Il problema centrale che il mondo ci impone oggi di risolvere è infatti la contraddizione tra l’estensione delle comunità sociali, che ha ormai rag-‐giunto la dimensione dei continenti in buona parte del mondo e si sta ormai spingendo 5ino a coincidere con il mon-‐do intero, e le istituzioni politiche, cioè gli strumenti che gli uomini si danno per governare la società e per risolvere in modo paci5ico le controversie che in es-‐sa si pongono. E’ chiaro ormai che nelle regioni che non si sono ancora unite politicamente a li-‐vello continentale, cioè l’Europa, l’ Afri-‐ca, larghe parti dell’America latina e del-‐l’Asia, l’ottica in cui devono porsi i parti-‐ti e i movimenti sociali è quella di trova-‐re un mezzo più ef5icace del semplice coordinamento delle politiche decise a livello locale per risolvere i problemi comuni , s iano essi quelli della crescita economica e sociale o dell’indipendenza poli-‐tica. La stessa qualità degli obiettivi e dei programmi, e l’incisivi-‐tà delle proposte di cui intendono farsi porta-‐tori, dipendono in larga parte dalla capacità di acquisire questa nuova visione. “Think global-‐ly, act locally” è la ri-‐sposta sbagliata perché insuf5iciente di fronte a problemi che superano le dimensioni degli Stati na-‐zionali e che devono necessariamente essere affrontati insieme per essere ri-‐solti. E per questo le soluzioni che anche il Forum pre5igura appaiono così poco
adeguate rispetto alla reale s5ida dello sviluppo e del progresso delle regioni ancora depresse. Il compito principale e la principale responsabilità dei popoli di queste aree è di trovare la loro via verso l’unità per poter giocare un ruolo positi-‐vo e non essere semplicemente al traino (o vittime) del progresso della comunità internazionale.Gli europei hanno una particolare re-‐sponsabilità perché in Europa è stato avviato il processo che ha portato al-‐l’unione economica e monetaria, ma che risulta ancora molto carente sul piano delle istituzioni dell’unità politica. L’at-‐tuale crisi economica e 5inanziaria ha posto gli europei di fronte ad una scelta
cruciale che determinerà il futuro non solo per loro, ma per il mondo intero. I cittadini europei possono limitarsi ad op-‐porsi con le manifesta-‐zioni alle lobby della 5i-‐nanza e dell’economia internazionale e possono ottenere, votando per i partiti euroscettici, il ritorno alle monete na-‐zionali e la riduzione dei poteri delle istituzioni europee nell’illusione
che ciascuna comunità nazionale possa trovare al proprio interno la forza per uscire da sola dalla crisi; oppure posso-‐no concordare un programma comune di interventi coordinati a livello euro-‐peo. Ma devono anche capire che questo programma può avere successo solo se a
5ianco degli Stati esisteranno delle isti-‐tuzioni europee dotate di strutture di governo indipendenti da questi ultimi, che possano procurarsi autonomamente le risorse 5inanziarie necessarie e che rispondano direttamente ai cittadini attraverso il voto. Solo così gli europei potranno ridare un senso al loro impe-‐gno politico e riacquistare 5iducia in quegli ideali di libertà, democrazia e giustizia sociale dei quali l’Europa è sta-‐ta maestra nel mondo.Gli Stati che si sono spinti più avanti nel processo di integrazione e, tra questi, quelli più in5luenti – la Germania, la Francia e l’Italia – hanno in questo mo-‐mento una particolare responsabilità perché è ormai sul campo la proposta di dotare l’Eurozona di un bilancio comune 5inanziato con risorse proprie e di rea-‐lizzare per questa strada un governo comune, responsabile di fronte ad un Parlamento, col compito di amministrar-‐le. E’ oggi possibile dar vita al primo nu-‐cleo della Federazione europea, dal qua-‐le potrà prender forma il progetto del-‐l’unità politica degli europei.Per questo ai movimenti sociali, al pari dei partiti, è oggi offerta una grande op-‐portunità per stabilire un legame sano e vitale con i cittadini: porsi al 5ianco dei federalisti europei per dar vita ad un grande movimento popolare che colga questa occasione che ci viene offerta. E’ 5inito il tempo delle perplessità ed è giunto il momento di agire: per la Fede-‐razione europea, subito!
Claudio FilippiGiulia Spiaggi
“Think globally, act lo-cally” è la risposta
sbagliata perché insuf-ficiente di fronte a
problemi che superano le dimensioni degli
Stati nazionali e che devono necessaria-
mente essere affronta-ti insieme per essere
risolti.
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Dopo l’ Unione europea, il MERCOSUR è il secondo grande processo di integra-‐zione economica tra paesi sovrani oggi in atto. Tale percorso, iniziato con il Trattato di Asunción nel 1991, affonda le sue radici nell’alleanza strategica tra Argentina e Brasile. E’ pertanto dalla loro relazione che dipende il futuro del-‐l’integrazione del continente sudameri-‐cano come blocco regionale.
Negli ultimi mesi le relazioni tra i due paesi sono abbastanza tese, nonostante la retorica uf5iciale continui ad affermare la volontà di proseguire verso una mag-‐giore integrazione. La causa principale delle tensioni è l’evidente squilibrio di potere politico-‐economico esistente tra i due che dà al Brasile un ruolo decisa-‐mente privilegiato (a tratti con aspira-‐zioni di egemonia regionale). Buenos Aires, per non perdere in5luenza nel de-‐terminare il futuro della regione, ha co-‐minciato una guerra commerciale fatta di restrizioni sulle importazioni brasilia-‐ne e di annullamento delle linee di inve-‐stimento alle sue compagnie estrattive. Per capire i motivi di questi passi indie-‐tro di oggi, e per intuire quali saranno i passi in avanti, bisogna analizzare la si-‐tuazione dei due paesi e le ragioni politi-‐che strategiche a base dell’integrazione.
Il Brasile, gigante della regione sudame-‐ricana, reclama con la forza dei suoi nu-‐meri un ruolo di primo piano interna-‐zionale. Però un paese pur di dimensioni continentali ma con forti squilibri regionali e sociali ha bisogno di un robusto sviluppo economico per sostenere qualsiasi tipo di politica redistributiva scel-‐ga di adottare e per rag-‐giungere il pieno impiego. E questo sviluppo è possibile solo con un mercato regio-‐nale aperto e integrato. E’ questo il presupposto su cui si è costruito il discorso politico integrazionista che trova il consenso trasversa-‐
le di partiti, sindacati e industriali. Il secondo motivo che trova consenso qua-‐si unanime è legato ad una questione di politica estera: l’integrazione latino-‐a-‐mericana come mezzo di lotta contro l’imperialismo statunitense. Per gli ope-‐ratori economici brasiliani è ancora vivi-‐do il ricordo dell’apertura del loro mer-‐cato alla competizione estera: inondazione di prodotti importati e catene di fallimenti industriali.
L’America “spagnola”, nella visione brasiliana, è l’area di riferimento commerciale capace di assorbire l’85 % delle sue esportazioni manifatturiere che hanno raggiunto i 35 mld di dollari nel 2010. In un documento del 2012, la FIESP (la potente Federazione degli in-‐dustriali di San Paolo) ha descritto il processo d’integrazione come “un pro-‐cesso di rottura con una storia di cinque secoli di sottomissione dei nostri inte-‐ressi nazionali alle potenze straniere”. Al tempo stesso è nell’area delle infrastrut-‐ture che si concentra l’esigenza di svi-‐luppo industriale della regione, ed è esattamente in questo settore che il Bra-‐sile esercita la sua volontà di autonomia geopolitica e di espansione del proprio capitale. Le necessità infrastrutturali della regione sono immense; un solo esempio: in Brasile la produzione di gra-‐
no è aumentata del 220 % negli ultimi vent’anni, ma la rete ferroviaria e strada-‐le è rimasta la stessa. Risultato: l’aprile scorso un incidente stradale ha bloccato la statale BR 364 che porta al terminal ferroviario collegato con il porto di San-‐tos. In poco tempo si è formata una coda di più di 100 km di soli camion e si è ac-‐
cumulato un ritardo di 60 giorni nell’esportazione del prodotto. Il problema è che i piani di costruzio-‐ne delle infrastrutture sono tutti falliti per man-‐canza di soggetti privati capaci di sostenere lo sforzo economico, anche
se c’era il sostegno del BID (Banco inte-‐ramericano di sviluppo). Solo quando il governo brasiliano si è impegnato diret-‐tamente si è riusciti a raggiungere una discreta percentuale di progetti appro-‐vati e avviati. Lo strumento di 5inanzia-‐mento utilizzato è il BNDES, la Banca di sviluppo nazionale più grande del mon-‐do, capace di erogare 100 mld di dollari di 5inanziamenti contro i 40 della Banca mondiale. Attraverso questa istituzione il Brasile riesce a garantire la costruzio-‐ne nei tempi e modi dettati da Itamaraty (l’in5luente Ministero degli esteri brasi-‐liano che assiste le imprese nei processi d’internazionalizzazione); ma – regola stabilita nello statuto – i fondi possono essere concessi solo ad imprese brasilia-‐ne.
Il Brasile dunque riconosce l’esigenza dell’integrazione regionale come strumento di sviluppo economico, ma, per evitare che questa aspirazio-‐ne assuma connotati egemo-‐nici, deve basarsi sulla co-‐struzione d’istituzioni so-‐vranazionali che solo i soci “latini” possono imporre al Brasile. Tra questi l’unico paese della regione che può almeno tentare di essere portavoce di quest’esigenza (per dimensioni geogra5iche,
SOS Mercosur
Dopo l’ Unione europea, il MERCOSUR è il secon-do grande processo di integrazione economica tra paesi sovrani oggi in
atto.
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Publius - Per un’alternativa europeaNumero 15 - Maggio/Settembre 2013
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Periodico trimestrale degli studenti dell’Università di Pavia. Informazioni, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi e di domani.Registrazione n. 705 del Registro della Stampa Periodica - Autorizzazione del tribu-nale di Pavia del 19 Maggio 2009
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risorse minerarie ed economiche) è l’Ar-‐gentina.
L’Argentina, per uscire dalla gravissima recessione del 2001-‐2003, ha puntato sul ridare potere d’acquisto alle classi medio-‐basse attraverso politiche di sus-‐sidi sui servizi essenziali e assegni di spesa. Gran parte di questi programmi sono pagati da royalties (anche del 30%) imposte sulle esportazioni di commodi-‐ties come grano, soia e petrolio. Ciò ha accentuato sia la dipendenza del paese dalle 5luttuazioni dei prezzi internazio-‐nali, sia la bassa diversi5icazione del-‐l’economia. Il paese a distanza di dieci anni non ha ritrovato la 5iducia nel pro-‐prio sistema 5inanziario, considerato ancora solo uno strumento di accumula-‐zione incapace di drenare risorse per investimenti nella produzione. Per que-‐sto motivo è ancora costume cambiare i propri risparmi da pesos in dollari sta-‐tunitensi per tesaurizzarli o esportarli in conti correnti all’estero. La mancanza di 5iducia nella propria moneta, le continue tensioni sindacali per l’aumento dei sa-‐lari, l’aumento dei prezzi internazionali delle commodities e il 5inanziamento del debito tramite l’emissione di nuova mo-‐neta si traduce in una in5lazione del 25 % (mai riconosciuta dal governo perché aiuta a ridurre lo stock di debito pubbli-‐co) che erode il potere d’acquisto e l’ac-‐cumulazione di capitale per investimen-‐ti. Il governo vorrebbe stimolare la crea-‐zione di un’industria nazionale e auto-‐noma proteggendole con barriere doga-‐nali e dazi per stimolare la sostituzione delle importazioni, con il 5ine non se-‐condario di continuare a garantirsi il surplus commerciale. La politica della
Casa Rosada è purtroppo l’eredità di più di trenta anni di smantellamento del settore industriale strategico pesante per mantenere un’economia dipendente dalle esportazioni di prodotti a basso contenuto tecnologico, appannaggio di poche grandi famiglie. Per ricostruire un’industria nazionale di livello tecnolo-‐gicamente autosuf5iciente ha bisogno di un grande mercato di sbocco e del so-‐stegno 5inanziario e tecnologico che solo il suo grande vicino può fornire. Infatti uno dei settori in cui si è veri5icato un certo livello di integrazione con il Brasi-‐le (regolato da uno speciale protocollo) è nel comparto della produzione auto-‐mobilistica che ha permesso ad entram-‐bi i paesi di mantenere alti livelli di esportazioni e di sviluppo.
Le tensioni commerciali cominciano a farsi sentire tuttavia proprio per la man-‐canza di coordinamento della politica economica nei due paesi: il Brasile pro-‐muove sviluppo e concorrenza mante-‐nendo una moneta forte e un tasso d’in-‐5lazione basso per garantire la forma-‐zione del risparmio e fare in modo che le importazioni di prodotti stranieri siano di stimolo al miglioramento della produ-‐zione interna. Poi, come si diceva, l’indu-‐stria e la costruzione di infrastrutture strategiche nel suo complesso è sostenu-‐ta dal BNDES con linee di 5inanziamento a tassi molto bassi. Diametralmente op-‐posta è invece la politica economica ar-‐gentina che, nonostante abbia una mo-‐neta svalutata rispetto al real e quindi con con prezzi nominali competitivi per l’export in Brasile, a causa della sua in-‐5lazione troppo alta ha prezzi reali inca-‐paci di competere. Inoltre le esportazio-‐
ni argentine sono costituite quasi tutte da prodotti a basso valor aggiunto, al contrario di quelle brasiliane.
L’integrazione economica purtroppo è stata pensata senza prendere in consi-‐derazione al necessità di una integrazio-‐ne politica basata su istituzioni sovrane indipendenti dai governi nazionali. I nodi da risolvere sono due: il primo è riequilibrare il potere contrattuale in sede di trattative tra Brasile e Argentina, attraverso alleanze strategiche di questo paese con altri vicini. Il secondo punto è come effettuare queste cessioni di so-‐vranità e con quali 5ini. Ciò che serve loro è l’esempio dell’unica area del mondo, l’Europa, dove questo processo è iniziato senza però giungere ad un risul-‐tato stabile. Se non si fa l’Europa unita mancherà il necessario modello che evi-‐denzia come l’integrazione economica possa essere solo una tappa. Senza una vera Europa politica e federale, il Brasile comincerà a vedere il Mercosur ed il resto dell’America latina come un’area da egemonizzare mentre l’Argentina non avrà alcun modello a cui far riferimento sul tavolo delle trattative per chiedere una integrazione economica equilibrata.
Davide Negri